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1 INDICE Introduzione…….………………………………………………………...3 . Capitolo Primo ELEMENTI NORMATIVI….……………………………………..…14 1 Normativa internazionale ed europea: cosa è stato fatto e cosa si sta facendo………………..……………………………………………………16 1.1 La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ……..…………………………………………….………...….17 1.2 Il Patto internazionale sui diritti civili e politici………...…….……...……19 1.3 Normativa e progetti europei recenti……...……………..…..……………20 1.4 La Direttiva Europea 2010/64/UE sul Diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali………………….……….……………….22 2 Normativa e Giurisprudenza in tema di interpretazione e traduzione in ambito legale in Italia……………….………………………………..……24 2.1 La tutela linguistica nella Costituzione italiana………..……….....………27 2.2 Il Codice di Procedura Penale……...…………….…………….………...28 2.3 Il caso particolare delle minoranze linguistiche riconosciute……….….…..32 2.4 La sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 1993…………….…..…...34 2.5 L’interprete di parte o interprete fiduciario……….….............…..……….36 . Capitolo Secondo LA MEDIAZIONE LINGUISTICA IN AMBITO LEGALE…..37 1 Fenomeni migratori, criminalità e interculturalità nel contesto della interpretazione legale.………….……………………….………………….41 1.1 L’immigrazione in Italia: un fenomeno recente…………..………………..42 1.2 L’importanza dell’interpretazione in un panorama interculturale……….....46 2 La scomparsa del monolinguismo nelle aule di tribunale…..…………48 2.1 Le difficoltà dell’interprete tra interpretazione e traduzione…….……..…..50 2.2 L’asimmetria linguistica e la gestione del potere……………..……………52 3 Chi è l’interprete legale: ruolo e compiti………..…………………........54 3.1 La macchina traduttrice e il ponte…………..……..……………………...61

Introduzione Capitolo Primo ELEMENTI NORMATIVI - Gioia... · of those who needed a competent interpreter when their liberty, property and happiness were at stake ... da rendere nel

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INDICE Introduzione…….………………………………………………………...3

. Capitolo Primo

ELEMENTI NORMATIVI ….……………………………………..…14 1 Normativa internazionale ed europea: cosa è stato fatto e cosa si sta

facendo………………..……………………………………………………16

1.1 La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali ……..…………………………………………….………...….17

1.2 Il Patto internazionale sui diritti civili e politici ………...…….……...……19

1.3 Normativa e progetti europei recenti……...……………..…..……………20

1.4 La Direttiva Europea 2010/64/UE sul Diritto all’interpretazione e alla

traduzione nei procedimenti penali………………….……….……………….22

2 Normativa e Giurisprudenza in tema di interpretazione e traduzione in

ambito legale in Italia……………….………………………………..……24

2.1 La tutela linguistica nella Costituzione italiana………..……….....………27

2.2 Il Codice di Procedura Penale……...…………….…………….………...28

2.3 Il caso particolare delle minoranze linguistiche riconosciute……….….…..32

2.4 La sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 1993…………….…..…...34

2.5 L’interprete di parte o interprete fiduciario……….….............…..……….36 . Capitolo Secondo

LA MEDIAZIONE LINGUISTICA IN AMBITO LEGALE …..37

1 Fenomeni migratori, criminalità e interculturalità nel contesto della

interpretazione legale.………….……………………….………………….41

1.1 L’immigrazione in Italia: un fenomeno recente…………..………………..42

1.2 L’importanza dell’interpretazione in un panorama interculturale……….....46

2 La scomparsa del monolinguismo nelle aule di tribunale…..…………48

2.1 Le difficoltà dell’interprete tra interpretazione e traduzione…….……..…..50

2.2 L’asimmetria linguistica e la gestione del potere……………..……………52

3 Chi è l’interprete legale: ruolo e compiti………..…………………........54

3.1 La macchina traduttrice e il ponte…………..……..……………………...61

2

3.2 Da dilettante a professionista….…………..……………………………..64

4 Il mediatore linguistico-culturale…………..……………………………66

5 Gli altri professionisti in ambito legale: periti, esperti e ausiliari…..…...69 . Capitolo Terzo

L’ITALIA E IL RESTO DEL MONDO……………………………73

1. La qualità dell’interpretazione…………………………………………..73

2. Il reclutamento e la formazione…………………………………………76

3. Una finestra sulla realtà italiana………………………………………...78

3.1 Italia: terra di lacune……………………………...……………………..79

3.2 L’indagine empirica presso il Tribunale di Roma……..…………………...82

3.3 Il caso Yesmin Akter……………………………………………………...85

4 Esempi da altre realtà del mondo………………………………………..87

4.1 La necessaria collaborazione: gli interpreti legali presso la polizia inglese e

scozzese……………………………..............................................................89

4.2 Lo State Court Interpreter Certification Consortium……………….………91

4.3 L’interpretazione legale in Malaysia: un esempio che viene da lontano…….92

. Capitolo Quarto

CODICI DEONTOLOGICI, ALBI E REGISTRI………………...94

1 I codici deontologici……………………………………………………..95

1.1 I concetti di neutralità e imparzialità……………………………………...99

2 Albi, registri e associazioni di interpreti e traduttori…………………..102

2.1 AITI, AssiTIG e ANTIMI………………………………………………...105

2.2 EULITA………………………………………………………………..109

. Riflessioni Conclusive….………………………………………...…..113

. Bibliografia …………………………………………………………….121

. Sitografia ……………………………………………………………….127

. Appendice I……………………………………………………………..133

. .

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Introduzione

Across the centuries and the oceans, the voices speak to us. The voices

of those who needed a competent interpreter when their liberty,

property and happiness were at stake in legal proceedings.

(Ruth Morris)1

Nel 1535 Jacques Cartier rivendicò come francese l’intera area intorno al fiume Saint Lawrence in Canada. Immediatamente si rese conto della necessità di comunicare con la popolazione nativa di quelle terre, gli indiani Irochesi, così da poter stabilire con essi legami commerciali. Per far fronte a queste necessità, Cartier decise quindi di rapire due indiani e di portarli per otto mesi in Francia affinché imparassero la lingua e tornassero poi in Canada per fungere da interpreti. I francesi si aspettavano che i due indiani si mostrassero leali verso la Francia, ma così non fu, e alla prima occasione in cui gli interessi dei due popoli si trovarono in conflitto, i due irochesi non esitarono a prendere le parti del proprio popolo. Sconcertati dal loro comportamento sleale, gli uomini di Cartier decisero quindi di rispedirli in Francia, dove vennero esiliati fino alla morte (Colin J., Morris R. 1996: 117).

Quando le persone parlano, quello che esse dicono può essere o non essere compreso in modo appropriato da coloro che le ascoltano. L’incomprensione è spesso provocata dalla barriera linguistica che impedisce a persone parlanti lingue diverse e provenienti da culture diverse di comunicare tra loro in modo efficace. L’esperienza di Jacques Cartier e dei francesi con gli 1 Morris R. (1999), The Face of Justice: Historical Aspects of Court Interpreting (http://www.ruth-morris.info/wp-content/uploads/2010/03/Historical-Aspects-of-Court-InterpretingFINAL.pdf)

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indiani irochesi è particolarmente interessante per almeno due ragioni: in primo luogo ci mostra come, diversamente da quanto spesso immaginato, la storia dell’interpretazione abbia avuto inizio in un passato affatto recente, e in secondo luogo ci mostra le difficoltà che da sempre hanno accompagnato l’attività interpretativa. Per quanto riguarda il primo punto, diversi autori e studiosi dell’interpretazione, tra i quali De Jongh2 (1992: 1), hanno sostenuto nel corso del tempo che l’interpretazione è in realtà sempre esistita, in quanto dal momento in cui gli esseri umani sono stati in grado di parlare, la presenza di intermediari è divenuta necessaria per poter facilitare la comunicazione da una lingua all’altra, o tra diverse culture. Col passare del tempo, poi, grazie soprattutto alla nascita delle organizzazioni internazionali, allo sviluppo del commercio e ai fenomeni migratori, l’interpretazione è divenuta un bisogno fondamentale all’intera umanità, una vera e propria professione praticata da persone sempre più qualificate e specializzate.

Per quanto spesso considerata come un’attività automatica e scontata, l’attività interpretativa è in realtà piuttosto complessa. Gli interpreti, infatti, sono sempre più spesso chiamati a svolgere contemporaneamente due importanti funzioni: se da un lato infatti ci si aspetta che essi esprimano determinate idee attraverso il linguaggio, dall’altro ci si aspetta che al tempo stesso comprendano le idee espresse da altri (De Jongh 1992: 25). L’attività interpretativa si snoda quindi simultaneamente tra l’ambito linguistico e quello della comunicazione, all’interno dei quali l’interprete deve sapersi destreggiare con abilità, essendo spesso l’unico canale di comprensione e comunicazione tra due o più interlocutori.

Quanto al livello di comprensione del messaggio da parte dell’interprete, questo può dipendere da diversi fattori (De Jongh 1992: 26): innanzi tutto va tenuto conto della conoscenza che egli 2 DE JONGH E. M. (1992), An Introduction to Court Interpreting: Theory and

Practice. Lanham: University Press of America

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ha delle lingue parlate dai due interlocutori (conoscenza/ competenza linguistica); inoltre un aspetto altrettanto importante e da non sottovalutare è la conoscenza che l’interprete ha in merito all’argomento trattato o discusso dagli stessi interlocutori (conoscenza/competenza extra-linguistica). Questi due aspetti sono entrambi fondamentali per far sì che l’interprete abbia una visione chiara dell’intera situazione comunicativa, tale da consentirgli la corretta comprensione del messaggio che dovrà tradurre/interpretare. È trascorso ormai molto tempo infatti da quando Seleskovitch3 ha sostenuto che l’interpretazione è praticata da un buon interprete non come un’operazione sulle lingue, ma come un’operazione su ciò che viene detto attraverso le lingue. Non si tratta quindi di convertire semplicemente una lingua in un’altra, bensì di comprendere e spiegare, in modo tale da rendere nel modo più preciso possibile il significato e il senso di un messaggio. Sul tema è intervenuto anche Moeketsi all’interno del suo Discourse in a Multilingual and Multicultural Courtroom: A Court Interpreter’s Guide (1999: 97), sostenendo che l’interpretazione non è che un’attività comunicativa che si realizza nel momento in cui un messaggio viene “trasferito” da una lingua all’altra all’interno di un contesto in cui lingue e culture diverse si scontrano tra loro rendendo difficile, se non addirittura impossibile la comunicazione.

Se è vero che l’interpretazione è un’attività piuttosto complessa, è anche vero che numerosi sono i metodi interpretativi messi a disposizione di specialisti e non, in base alle diverse esigenze e ai numerosi contesti in cui l’interpretazione viene utilizzata. Vi sono fondamentalmente quattro metodi di interpretazione:

- l’INTERPRETAZIONE CONSECUTIVA, in cui mentre un parlante si esprime nella sua lingua madre (o comunque nella lingua che ha scelto di utilizzare per comunicare il

3 Seleskcovitch D. (1985), Interprétation ou Interprétariat? (http://www.erudit.org/revue/META /1985/v30/n1/004086ar.pdf)

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proprio messaggio) l’interprete si limita ad ascoltare e a prepararsi a rendere lo stesso messaggio in una lingua comprensibile all’interlocutore del parlante.

- l’INTERPRETAZIONE SIMULTANEA, in cui l’interprete ascolta e traduce il messaggio nello stesso momento in cui questo viene espresso dal parlante.

- l’INTERPRETAZIONE A VISTA, in cui all’interprete viene sottoposto un testo scritto che egli traduce immediatamente in forma orale.

- l’INTERPRETAZIONE SOMMARIA, in cui l’interprete è chiamato a “condensare” il messaggio originale in un breve riassunto contenente comunque i concetti chiave del messaggio originale.

C’era una volta l’interpretazione di conferenza. Così Garzone introduce il tema della mediazione linguistica nel volume intitolato Domain-Specific English and Language Mediation (2003: 7), sottolineando che nessuna altra forma di mediazione linguistica era mai stata considerata prima. Aggiunge però anche che nel corso degli ultimi anni – decenni ormai – ci sono stati interessanti sviluppi nell’ambito dell’attività di mediazione e interpretazione, con l’emergere di nuove figure professionali e la definitiva ammissione che mediazione linguistica non significa solo conference interpreting. La cosiddetta interpretazione di comunità è, in effetti, in assoluto la più antica forma di interpretazione utilizzata nella storia dell’umanità (Roberts 1995: 7). Nonostante ciò essa resta un fenomeno privo di definizioni ben specifiche, tant’è che vengono spesso utilizzate diverse etichette per identificarla nei diversi contesti in cui viene utilizzata. Alcune di queste etichette sono ad esempio: community interpreting, public service interpreting, cultural interpreting, dialogue interpreting, liaison interpreting. Tutto ciò che insomma si differenzia dalla cosiddetta interpretazione di conferenza.

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La vasta gamma di contesti in cui viene utilizzata l’interpretazione di comunità include anche l’ambito legale. Il termine Community Interpreter è stato infatti coniato dall’Institute of Linguistics di Londra all’inizio degli anni ’80 proprio per fare riferimento all’attività interpretativa all’interno degli uffici di polizia e dei tribunali, oltre che naturalmente nell’ambito dei servizi sociali (Benmaman 1995: 179). In molti paesi, infatti, l’interpretazione di comunità si è sviluppata nell’ambito della giustizia e dell’equità sociale proprio per far fronte a situazioni di inaccettabile disparità, in cui persone che non parlano o comprendono sufficientemente la lingua sono state private dell’accesso a determinati servizi.

Garber, in un suo contributo intitolato “Community Interpretation: A Personal View” (1998: 16), individua alcune importanti aspetti che caratterizzano l’interpretazione di comunità. Innanzi tutto essa si realizza in una situazione di incomprensione, dovuta principalmente al coinvolgimento di lingue e culture diverse. In parte a causa della crescente mobilità di migranti all’interno dei paesi europei, e non solo, il concetto di “nazione omogenea da un punto di vista linguistico” è ormai inesistente (Wadensjö 1998: 48). Sempre più crescente e non ignorabile è invece la presenza di persone, principalmente stranieri, che non parlano la lingua di una determinata comunità linguistica e culturale, ma che comunque riescono a condurre la loro esistenza quotidiana in modo accettabile, grazie ad un livello minimo di comprensione.

Il problema per queste persone sorge nel momento in cui esse necessitano di un particolare servizio. Di norma situazioni critiche di questo tipo si presentano nell’ambito sanitario o legale, dove la conoscenza a un livello base della lingua non è sufficiente a garantire una comprensione piena e adeguata. Si tratta quindi spesso di situazioni ad elevato contenuto di stress e tensione, che potrebbero impedire una corretta comunicazione. È

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in questi casi che la presenza di un interprete qualificato e professionale è di fondamentale importanza.

È altrettanto vero però che la figura dell’interprete di comunità è percepita e concepita in modi che variano sensibilmente da un paese all’altro (Chesher et al. 2001: 275), impedendo così una definizione condivisa di questa importante figura professionale e, soprattutto, del suo ruolo. Un significativo passo avanti in questo senso è stato fatto nel corso del XIV Congresso Mondiale della FIT (Fédération Internationale des Traducteurs/International Federation of Translators), svoltosi a Melbourne, Australia, nel 1996, nel corso del quale è stato coniato il nuovo e importante concetto di community-based interpreting, definito come “any interpreting which takes place in everyday or emergency situations in the community. Possible settings include health, education, social services, legal and business” (Chesher et al. 2001: 276).

In passato non molta attenzione è stata riservata al contesto in cui lavorano gli interpreti di comunità. Solo a partire dagli anni novanta, e in particolare in seguito ai sempre più numerosi flussi migratori che hanno coinvolto molti paesi europei, e non, la figura dell’interprete ha iniziato ad essere considerata come parte attiva e fondamentale del processo comunicativo. La presenza e inevitabile convivenza di realtà linguistiche e culturali differenti ha notevolmente incrementato la richiesta di forme di mediazione linguistica e culturale, in particolare negli ambiti sociale, sanitario e soprattutto legale4.

Per quanto riguarda specificatamente l’interpretazione in ambito legale è facile comprendere quanto essa sia di fondamentale importanza per poter garantire a tutte le persone il

4 Non a caso, infatti, l’interpretazione di comunità viene spesso identificata come Public Service Interpreting (PSI), con riferimento alle diverse situazioni di emergenza che rifugiati e immigrati si ritrovano ad affrontare: pratiche burocratiche, forme di assistenza sanitaria, forme di assistenza legale, etc. (in Garzone 2003: 15)

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rispetto di un diritto fondamentale, quale il diritto alla difesa. Come Roberts-Smith ci fa giustamente notare in un suo contributo sull’interpretazione forense5 (2007: 13), un’interpretazione corretta è fondamentale per la giustizia, poiché la mancata correttezza nell’interpretazione nel contesto di un processo può influire negativamente sull’intero procedimento.

Non a caso infatti Mellinkoff ha definito la legge come una “professione fatta di parole” (in Moeketsi 1999: 1). E le parole sono effettivamente tra i principali protagonisti nelle aule di tribunale, dove sempre più spesso lingue e culture diverse si incontrano e si scontrano, nel tentativo, non sempre semplice o realizzabile, di comunicare tra loro. Il crescente numero di stranieri nel nostro paese, così come in generale nell’ambito della realtà europea, ha portato all’aumento esponenziale di persone coinvolte in procedimenti legali, ma prive di una conoscenza adeguata della lingua utilizzata in tali contesti. Nel descrivere la realtà della comunicazione all’interno delle aule di tribunale Seleskovitch (in Moeketsi 1999: 99) la paragona alla situazione in cui due persone cercano di comunicare tra loro, ma sono separate da un muro che non lascia trapassare alcun suono. Queste due persone si possono vedere, ma non sentire.

Coloro che parlano lingue diverse sono come queste due persone e l’unico modo che hanno per comunicare è attraverso un mezzo che consenta loro di abbattere il muro che le separa: questo mezzo è l’interprete. E questo è il ruolo che anche De Jongh (in Moeketsi 1999: 99) attribuisce all’interprete legale, definendolo come un vero e proprio “eliminatore” di barriere linguistiche e culturali, permettendo così a colui o colei che partecipa ad un procedimento legale e che non è in grado di parlare o comprendere correttamente e pienamente la lingua utilizzata, di partecipare comunque attivamente al procedimento stesso. Per questo motivo la figura dell’interprete è ormai 5 ROBERTS-SMITH L. (2007), “Forensic Interpreting: Trial and Error”, in HALE S. B. ET AL. (2009)

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indispensabile nell’ambito del procedimento legale, anche se sfortunatamente molte persone che lavorano e sono coinvolte in tali procedimenti spesso non comprendono l’importanza dell’interprete, ritenendolo addirittura a volte superfluo o non prestando la necessaria attenzione al fattore qualitativo dell’interpretazione. È importante sottolineare e ribadire infatti come la mancanza di competenza da parte degli interpreti legali possa arrecare danni notevoli allo svolgimento di un procedimento penale, nonché danneggiare la credibilità dell’intero sistema giuridico e giudiziario (Wadensjö 1998: 52). Lo scopo di ogni interprete, e quindi anche dell’interprete legale, è idealmente quello di rendere nel modo più accurato possibile nella lingua di arrivo (target language) ciò che è stato detto nella lingua di partenza (source language). Tutto ciò non è affatto semplice, e per questo motivo è assolutamente indispensabile che l’interprete sia debitamente qualificato e competente, sia sul piano linguistico - interpretativo che sul piano giuridico. Spesso infatti i giudici, o comunque gli esponenti delle forze dell’ordine che lavorano a stretto contatto con gli interpreti, non possiedono le competenze, specificatamente linguistiche, per poter giudicare in merito alla qualità dell’interpretazione.

Prima di approfondire il delicato tema della qualità e della competenza in ambito interpretativo, che sarà ripreso più avanti nel corso di questa dissertazione, vorrei piuttosto attirare l’attenzione su un altro aspetto fondamentale riguardante l’interpretazione in generale, e in particolare l’interpretazione in ambito giuridico e giudiziario. Parlando di interpretazione, e soprattutto quando si pensa all’attività interpretativa effettuata all’interno degli uffici di polizia o nelle aule di tribunale, la si considera spesso, anche se erroneamente, come una pura e semplice attività di traduzione. È invece fondamentale sottolineare fin dal principio che interpretare non significa tradurre. Nello specifico, quando si parla di traduzione (translation) si fa per lo più riferimento alla cosiddetta “parola

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scritta”, mentre quando si parla di interpretazione (interpretation) ci si riferisce generalmente a situazioni in cui si comunica oralmente (De Jongh 1992: 35). Molte persone tendono a confondere tra loro le figure dell’interprete e del traduttore, anche se si tratta di due professioni ben distinte, ed entrambe comunque di fondamentale importanza per riuscire ad abbattere le barriere che impediscono a persone che si esprimono in lingue diverse di comunicare tra loro in modo efficace. Si potrebbe anche dire che l’interpretazione esiste da molto più tempo della traduzione (Moeketsi 1999: 93). Come già detto e ribadito infatti, non c’è nulla di nuovo nell’interpretazione: fin da quando l’uomo è esistito, fin da quando ha fatto uso del linguaggio, l’uomo ha anche utilizzato degli intermediari in modo tale da poter comunicare da una lingua all’altra (Moeketsi 1999: 97).

L’interprete, in particolare l’interprete legale, non va quindi immaginato come un puro e semplice traduttore, ma come colui/colei che rende possibile la comunicazione tra due parti non in grado, da sole, di interagire tra loro. Come sottolineato da Wadensjö (1998: 152) quello che si viene a formare con la presenza di un interprete è un vero e proprio pas de trois comunicativo, in cui l’interprete funge da abile coordinatore, se non addirittura da persona chiamata ad agire in qualità di mediatore, ponte, elemento di collegamento tra le parti coinvolte.

In ambito legale, soprattutto quando si pensa agli interpreti di tribunale, il ragionamento diventa più complesso. Se è vero che l’interprete non può limitarsi a tradurre, laddove per traduzione s’intende un vero e proprio processo di transcodificazione da una lingua all’altra, è altrettanto vero che sono molti coloro che ritengono che l’interprete di tribunale dovrebbe effettivamente limitarsi a tradurre “parola per parola” ciò che viene detto, trasformandosi in una semplice macchina traduttrice, senza alcun ruolo attivo all’interno del procedimento. È facilmente deducibile come ciò sia un’utopia irrealizzabile, se non addirittura un’ingiusta fantasia. Esistono numerosi elementi che

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impediscono la realizzazione della pura traduzione, anche in ambito giuridico. Innanzitutto va tenuto conto delle inevitabili differenze tra le lingue. Come giustamente fa notare Halliday (1983: 223) il fatto che tutte le lingue abbiano lo stesso potenziale di sviluppo, non implica che esse siano identiche rispetto ai significati che esprimono. Al contrario, le lingue differiscono tra loro per i significati, così come differiscono per le parole, le strutture e i suoni. In secondo luogo va tenuto conto degli aspetti extra-linguistici che influenzano l’interpretazione, a partire dalle inevitabili differenze all’interno dei sistemi giuridici in vigore nei paesi di provenienza delle persone coinvolte nei procedimenti legali e che necessitano dell’ausilio dell’interprete per poter partecipare attivamente al procedimento. Per non parlare dei differenti background culturali di coloro che partecipano ai procedimenti legali. Ancora una volta emerge quindi la necessità di guardare all’interpretazione legale come un atto di comunicazione, più che di semplice traduzione6.

A partire da questa breve panoramica sul mondo dell’interpretazione in generale, e nello specifico di quella in ambito legale, vorrei illustrare ciò che verrà trattato e approfondito nel corso di questo lavoro, che è stato diviso in quattro capitoli. Il primo capitolo è principalmente dedicato ad un approfondimento degli aspetti normativi che riguardano l’interpretazione e la traduzione, a partire dall’ambito internazionale ed europeo fino alla normativa nazionale. Il secondo capitolo tratta invece il tema principale di questa dissertazione, ovvero l’interpretazione (spesso definita nel contesto italiano anche come mediazione linguistica) in ambito legale, i rapporti con i fenomeni migratori, la figura dell’interprete forense nella realtà specificatamente italiana e i problemi legati a questa professione. Il terzo capitolo è invece

6 Gémar J.-C. (2003), Art, Méthodes et Techniques de la Traduction Juridique : Commentaires inspirés par le livre de Susan Sarcevic « New Approach to Legal Translation » (http://www.tradulex.org/Hieronymus/Gemar.pdf)

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dedicato ad una panoramica della situazione italiana rispetto ad altri paesi europei, ma non solo, nel tentativo di approfondire due temi di fondamentale importanza, ovvero quello della formazione degli interpreti e della qualità dell’interpretazione. Infine, nel quarto capitolo, viene affrontato il tema della deontologia professionale, degli albi e dei registri degli interpreti legali, sempre mettendo a confronto la realtà del nostro paese con quella di altri paesi della realtà europea e non.

Lo scopo di questo lavoro è infatti quello di cercare di illustrare la figura dell’interprete legale in Italia, nel tentativo di capire cosa è stato fatto fino ad oggi, e quale sia quindi la realtà attuale dell’interpretazione legale nel nostro paese, per arrivare a capire che cosa si sta facendo o che cosa verrà fatto in futuro per migliorare una situazione affatto ottimale, soprattutto alla luce degli inevitabili cambiamenti che l’azione dell’Unione Europea ci sta chiamando ad effettuare.

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Capitolo Primo

ELEMENTI NORMATIVI

Il linguaggio come memoria storica cosciente è solo la nostra

sopravvenuta disperazione di fronte alle difficoltà della tradizione.

Credendo di trasmettersi una lingua, gli uomini si danno in verità voce

l’un l’altro, e parlando si consegnano senza remissione alla giustizia.

(Giorgio Agamben)7

A prima vista diritto e lingua appaiono concetti disgiunti, quasi che il primo possa rivestire interesse soltanto per i giuristi e il secondo impegnare in via esclusiva gli studiosi delle scienze glottologiche (Curtotti Nappi 2002: 1). In realtà, la lingua interagisce con il diritto, sia nel momento in cui riveste il ruolo di veicolo di comunicazione normativa, sia nel momento in cui essa stessa diviene oggetto di disciplina giuridica, in particolare nel momento in cui il legislatore è chiamato a disciplinare i numerosi conflitti che insorgono all’interno delle comunità statali, sempre meno linguisticamente unitarie. In ogni caso, la parola è lo strumento attraverso il quale la volontà legislativa si manifesta (Curtotti Nappi 2002: 4) e al legislatore spetta quindi il compito di eliminare ogni possibile conflitto e/o situazione di incomprensione linguistica.

Naturalmente l’impegno normativo è minore in società linguisticamente unitarie, in cui cioè praticamente tutte le persone fanno uso di una stessa lingua. Sempre più spesso però tale omogeneità manca, o almeno viene meno col passare del

7 Agamben G. (1985), “Idea della Prosa”, in MORTARA GARAVELLI B. (2001), Le parole e la Giustizia: Divagazioni Grammaticali e Retoriche su Testi Giuridici Italiani. Torino: Einaudi

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tempo a causa dei sempre più numerosi flussi migratori, sia legittimi che clandestini, da un paese all’altro. Con l’aumentare di questi flussi e, di conseguenza, del pluralismo linguistico, il legislatore è chiamato ad intervenire sempre più attivamente nella ricerca di soluzioni normative adatte a ciascuna situazione concreta. Basti pensare alla presenza, nelle zone di confine tra stati, di insediamenti minoritari in cui il legame linguistico, religioso e culturale è così forte da portare alla formazione di vere e proprie comunità sociali ufficialmente riconosciute nell’ambito dell’ordinamento statale, sia sotto il profilo politico che giuridico (e di conseguenza spesso anche linguistico).

Per quanto riguarda la realtà italiana, nel corso del tempo la politica legislativa in materia di impiego della lingua italiana è mutata progressivamente col mutare degli avvenimenti storici, fino ad una generale apertura del sistema politico e normativo verso il riconoscimento di forme di tutela nei confronti delle culture linguistiche diverse da quella nazionale e, aspetto di grande importanza, di protezione dei cosiddetti “soggetti deboli” all’interno dei rapporti con la pubblica amministrazione (Curtotti Nappi 2002: 15). In particolare il secondo comma dell’art. 109 del codice di procedura penale consente agli appartenenti alle minoranze linguistiche riconosciute di fare uso della lingua d’origine nel corso dei processi tenuti nei cosiddetti territori “protetti”8, mentre l’art. 143 dello stesso codice garantisce al singolo (imputato o altro soggetto processuale che sia) di servirsi dell’ausilio di un interprete per comprendere la lingua ufficiale utilizzata nella redazione degli atti processuali e per interloquire

8 “Davanti all'autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello su un territorio dove è insediata una minoranza linguistica riconosciuta, il cittadino italiano che appartiene a questa minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta.” (http://www.altalex.com/index.php?idnot=2011)

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nella propria lingua senza arrecare danno al corretto svolgimento del processo (Curtotti Nappi 2002: 17).

Prima di approfondire questi aspetti riguardanti la tutela linguistica, è importante spiegare che nell’art. 122 del codice di procedura civile viene sancito a chiare lettere l’obbligo dell’uso della lingua italiana nei processi, così come viene anche previsto, al secondo comma dello stesso articolo, che qualora debba essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il giudice può nominare un interprete (Curtotti Nappi 2002: 33). Alla base dell’impiego dell’italiano quale lingua ufficiale dei procedimenti penali, e non, che si svolgono nel nostro paese, vi sono naturalmente evidenti esigenze di comprensibilità, oltre che di funzionalità e di uniformità (Vigoni 1995: 338). Naturalmente la prescrizione a livello normativo della lingua italiana deve coniugarsi con la predisposizione di forme adeguate di assistenza linguistica e di efficaci garanzie di tutela nei confronti di quelle persone che, coinvolte nei procedimenti, non conoscono o non comprendono la lingua. Non si tratta infatti solamente di consentire la comunicazione interpersonale fra i diversi soggetti, ma soprattutto di una forma di tutela tale da consentire a coloro che non parlano la lingua di far valere i propri diritti, alla difesa, così come ad un equo e giusto processo.

1 Normativa internazionale ed europea: cosa è stato fatto e cosa si sta facendo

Al di là degli aspetti di carattere generale relativi alla tutela delle minoranze linguistiche, gli accordi internazionali si segnalano soprattutto per la rilevanza specifica che assume la tutela linguistica di fronte all’autorità giudiziaria penale. L’eventualità che ostacoli di carattere linguistico possano di fatto vanificare i cosiddetti diritti minimi riconosciuti all’individuo accusato di un reato al fine di assicurare un giusto processo (fair

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trial ) viene superata negli accordi internazionali sui diritti dell’uomo, attraverso l’espressa previsione di alcune specifiche garanzie (Vigoni 1995: 344).

L’impegno sia a livello europeo che sul piano internazionale per garantire il diritto all’interprete e all’interpretazione ha avuto nel corso del tempo, ed ha tuttora, come scopo quello di assicurare all’imputato che non comprende la lingua d’udienza di usare la propria lingua madre per partecipare consapevolmente al processo, con la reale possibilità di seguire il compimento degli atti processuali (Curtotti Nappi 2002: 256). Questo impegno verso i problemi linguistici ha ispirato sia la Comunità Europea, nella redazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sia la comunità internazionale, nella redazione del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Non sono mancati, in merito, interventi (soprattutto a livello europeo) più recenti. In particolare va rilevata l’importanza della recente direttiva dell’Unione Europea proprio in tema di diritto all’interpretazione e alla traduzione. 1.1 La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali

Il diritto alla libertà e il diritto, di tutti coloro che sono stati privati della loro libertà, ad un giusto processo sono due tra i diritti fondamentali contenuti all’interno della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (Garwood 2012)9. Proprio sulla base di questo documento, proclamato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, è stata redatta e successivamente siglata, il 4 novembre 1950 a Roma, la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Si tratta di un documento molto importante, 9 GARWOOD C. (2012), Court Interpreting in Italy. A Daily Violation of a Fundamental Human Right. (In corso di stampa)

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che rappresenta la base della politica europea in tema di tutela linguistica in ambito legale, e a cui i sistemi giuridici dei vari paesi membri hanno necessariamente dovuto adeguarsi. Per quanto riguarda il nostro paese, ad esempio, la Convenzione è stata ratificata dal sistema legislativo italiano con la Legge 848 del 4 agosto 1955.

Nel secondo comma dell’art. 5 della Convenzione è stabilito che ogni persona che venga arrestata debba essere informata, al più presto e in una lingua a lui/lei comprensibile, dei motivi dell’arresto e di ogni accusa formulata a suo carico10. Il tema della tutela linguistica viene ripreso anche al terzo comma dell’art. 6 nel quale si specifica che ogni accusato ha, in particolare, il diritto di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui/lei comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico, oltre al diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza11.

Il ricorso all’interprete è quindi, fin da questa prima Convenzione, espressamente previsto in una duplice evenienza: non solo quando l’imputato non parli, ma anche quando non comprenda la lingua ufficiale del luogo in cui si svolge il procedimento.

Proprio in relazione all’art. 6 della Convenzione la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) si è pronunciata nel cosiddetto “caso Brozicek” del 1989, riguardante tra l’altro il diritto italiano. Nello specifico, la Corte ha accolto le doglianze del ricorrente sotto il profilo della violazione dell’art. 6 della Convenzione, sottolineando la necessità che l’autorità procedente provveda a notificare gli atti in una lingua comprensibile

10 Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (http://www.echr.coe.int/NR/rdonlyres/0D3304D1-F396-414A-A6 C1-97B316F9753A/0/ITA_%20CONV.pdf) 11 Ibidem

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all’imputato, quando non sia provato che egli conosca la lingua italiana in modo tale da comprendere la portata dell’atto a lui indirizzato. L’interessato, un cittadino tedesco, aveva ricevuto una comunicazione giudiziaria redatta in lingua italiana, per fatti in cui si era trovato coinvolto in Italia, che lo aveva informato del procedimento penale iniziatosi nei suoi confronti. Il documento è stato restituito al pubblico ministero dallo stesso interessato con richiesta motivata di indirizzare gli atti nella sua lingua madre o in una delle lingue internazionali ufficiali dell’ONU, richiesta che tra l’altro è rimasta inevasa (Vigoni 1995: 346). 1.2 Il Patto internazionale sui diritti civili e politici

Il diritto all’assistenza gratuita da parte di un interprete, nel

rispetto del più generale diritto alla difesa e ad un giusto processo, è stato successivamente ripreso e sottolineato all’interno di un altro importato documento di portata internazionale. Si tratta del Patto Internazionale sui diritti civili e politici, siglato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23 marzo 1976 e ratificato dal sistema legislativo italiano con la Legge 881 del 25 ottobre 1977.

All’interno dell’art. 14, in particolare al comma 3, si specifica che ogni individuo accusato di un reato ha diritto […] ad essere informato sollecitamente e in modo circostanziato, in una lingua a lui/lei comprensibile, della natura e dei motivi dell’accusa a lui/lei rivolta. Ha inoltre diritto a farsi assistere gratuitamente da un interprete, nel caso non comprenda o non parli la lingua usata in udienza12. Si tratta fondamentalmente quindi degli stessi elementi già definiti all’interno della Convenzione del 1950, ma

12 Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici (http://www.volint.it/scuolevis/dirittiumani/patto_dir_civ.htm)

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qui ribaditi anche a sottolineare l’importanza e la portata di tale diritto. 1.3 Normativa e progetti europei recenti

Facendo un passo indietro e concentrandosi sulla realtà europea13, è possibile notare come, a partire dalla Convenzione del 1950, importanti passi avanti siano stati fatti in materia di politiche linguistiche, in particolare in ambito giuridico, dove più volte è stata ribadita l’importanza della comprensione e della comunicazione linguistica all’interno delle aule di tribunale, e più in generale nei procedimenti legali, sia civili che penali. Un punto di svolta in questo senso è rappresentato dal Consiglio Europeo tenutosi a Tampere, Finlandia, il 15 e 16 ottobre 1999, nel corso del quale ci si è posti l’importante obiettivo di migliorare alcuni aspetti nell’ambito della giustizia penale14. In particolare a Tampere si è parlato di migliore accesso alla giustizia e della necessità per coloro che sono coinvolti in procedimenti penali di essere sentiti e di ricevere tutte le informazioni a loro necessarie nella loro lingua. Si è discusso inoltre del necessario reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie da parte dei vari Stati Membri, così come di una coordinazione e collaborazione da parte delle autorità e delle forze di giustizia (Garzone e Viezzi 2002: 149).

Per quanto riguarda, in particolare, l’interesse dell’Unione Europea in tema di interpretazione e traduzione, è stata più volte ribadita l’importanza di stabilire degli standard a livello europeo, e proprio con questo scopo sono stati finanziati tre progetti (Hertog et al. 2004: 152). Il primo è il programma GROTIUS

13 Per realtà europea non ci si riferisce al continente, bensì si fa specificatamente riferimento ai 27 paesi facenti parte dell’Unione Europea (UE). 14 Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999: conclusioni della Presidenza (http://www.europarl.europa.eu/summits/tam_it.htm)

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1998 (e quindi precedente il Consiglio di Tampere del 1999). Si tratta di un programma biennale, conclusosi nel 2000, che si è basato sulla collaborazione di cinque istituti appartenenti a quattro Paesi membri dell’UE – Belgio, Danimarca, Spagna e Regno Unito – nel tentativo di stabilire delle equivalenze in merito a:

- standard di selezione, formazione e valutazione; - standard sul piano etico e dei codici di condotta; - forme di interazione tra interpreti/traduttori legali e sistemi

legali. C’è un proverbio inglese piuttosto interessante, che dice: you

can take a horse to water, but you can’t make him drink (Hertog et al. 2004: 153). Questo per chiarire che, nel momento in cui si parla di politiche linguistiche a livello europeo, bisogna tener conto di un aspetto molto importante, ovvero del fatto che di norma le persone e i paesi sono fieri delle loro istituzioni, e pertanto restii ad apportare modifiche sostanziali. Proprio per questo motivo è di fondamentale importanza convincere le persone, e in particolare i governi, dei benefici che potrebbero derivare dallo stabilire degli standard in tema di interpretazione e traduzione in ambito legale. E proprio con questo scopo è stato quindi finanziato un secondo progetto, il programma GROTIUS del 2001, che ha visto il coinvolgimento di ben cinque paesi dell’UE: Belgio, Danimarca, Regno Unito, Paesi Bassi e Repubblica Ceca.

Il programma AGIS del 2003 – Instruments for lifting language barriers in intercultural legal proceedings – è stato infine realizzato come necessaria prosecuzione dei programmi GROTIUS, ovvero con lo scopo di migliorare la legislazione e le strategie messe in atto a livello europeo, in modo tale da garantire ai cittadini dell’UE un adeguato livello di protezione sul piano della libertà, della sicurezza e della giustizia (Hertog et al. 2004: 163).

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1.4 La Direttiva Europea 2010/64/UE sul Diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali15

Un grande passo avanti sul piano dell’interpretazione e della traduzione in ambito legale è stato compiuto a livello europeo grazie alla Direttiva 2010/64/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Con questa direttiva sono infatti stati stabiliti alcuni provvedimenti importanti per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale da parte degli Stati membri, oltre al dovere degli Stati stessi di garantire forme di assistenza linguistica adeguata e all’impegno a istituire un registro, o dei registri, di traduttori e interpreti.

Nella parte introduttiva della Direttiva viene ribadito l’impegno dell’Unione Europea di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in modo tale da consentire il necessario ravvicinamento delle legislazioni per poter così facilitare la cooperazione tra le autorità competenti e la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli. Vale la pena inoltre ricordare come il diritto all’interpretazione e alla traduzione per coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento è sancito dall’art. 6 della CEDU (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) e che lo scopo della Direttiva del 2010 è quello di assicurare questo diritto al fine di garantirne un altro, ovvero il diritto ad un processo equo. L’obbligo di dedicare un’attenzione particolare ad indagati o imputati in posizione di potenziale debolezza (dovuta alla non

15 Direttiva 2010/64/EU del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul “Diritto all’Interpretazione e alla Traduzione nei Procedimenti Penali” (http://www.cortedicassazione.it/Documenti/Direttiva%202010_64_UE.pdf)

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conoscenza o comprensione della lingua) costituisce infatti il fondamento di una buona amministrazione della giustizia.

Data l’importanza di questo documento e il potenziale volume di cambiamenti a cui dovrebbe portare nel giro di pochi anni – l’art. 9 prevede infatti che gli Stati membri mettano in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva entro il 27 ottobre 2013 – è bene analizzarne in modo più approfondito il contenuto, che si divide in dodici articoli. In particolare gli articoli 2 e 3 sono dedicati proprio all’interpretazione e alla traduzione dei documenti fondamentali. Parlando di interpretazione, al primo comma dell’art. 2 si legge: gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento […] siano assistiti senza indugio da un interprete nei procedimenti penali dinnanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, inclusi gli interrogatori di polizia, e in tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari.

Emerge quindi fin da subito un’importante novità rispetto al passato e alla normativa vigente nel nostro paese, ovvero l’estensione del diritto all’interpretazione (così come alla traduzione – a cui è dedicato interamente l’art. 3) durante l’intero procedimento. Un altro aspetto fondamentale è quello trattato al comma 8 dell’art. 2 in cui viene specificato che l’interpretazione […] dev’essere di qualità sufficiente a tutelare l’equità del procedimento in modo tale che i soggetti interessati siano in grado di esercitare i loro diritti alla difesa, diritti – questi ultimi – sanciti tra l’altro nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Il tema della qualità viene ripreso anche nell’art. 5, in cui è stabilito che sono gli stessi Stati membri ad adottare misure atte a garantire che l’interpretazione e la traduzione fornite rispettino la qualità richiesta. Sempre nell’art. 5 viene precisato l’impegno da parte degli Stati membri a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati.

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L’aspetto qualitativo è quindi fortemente sottolineato all’interno della Direttiva, precisando che è compito degli Stati garantire un’assistenza linguistica di qualità sufficiente, fornita da professionisti debitamente qualificati. A sostegno di questo impegno nei confronti dell’aspetto qualitativo dell’interpretazione e della traduzione, all’art. 6 della Direttiva viene specificatamente espresso che gli Stati membri richiedono ai responsabili della formazione di giudici, procuratori e personale giudiziario coinvolti nei procedimenti penali, di prestare particolare attenzione alle specificità della comunicazione assistita da un interprete in modo da garantirne l’efficacia e l’efficienza.

Partendo da basi fondamentali come la tutela dell’equità del procedimento e l’esercizio del diritto di difesa, la Direttiva 2010/64/EU ha apportato alcune interessanti innovazioni, tra cui il tema dell’adeguatezza dell’assistenza linguistica, la garanzia di un livello di qualità sufficiente, il controllo sull’adeguatezza da parte degli Stati membri, l’istituzione obbligatoria di un registro degli interpreti e dei traduttori per terminare con il controllo e l’intervento sul piano della formazione di questi professionisti. Si tratta di novità importanti che porteranno a cambiamenti notevoli all’interno dei sistemi legislativi, giuridici e giudiziari di molti dei Paesi membri dell’Unione Europea, tra i quali certamente anche l’Italia.

2 Normativa e Giurisprudenza in tema di interpretazione e traduzione in ambito legale in Italia

Il bisogno di interpretazione nei processi penali si è manifestato a lungo nel corso del tempo e della storia dell’umanità intera. Si tratta, come sottolineano Garzone, Mead e Viezzi nel loro “Perspectives on Interpreting” (2002: 205), di un’esigenza che si presenta specialmente in situazioni di

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plurilinguismo, ovvero in casi in cui all’interno di una Nazione si parlino – in modo più o meno ufficiale – più lingue, ma solo una di queste sia riconosciuta dalla Legge. Un altro aspetto non trascurabile e che contribuisce ad aumentare il bisogno di interpreti in ambito legale, è la presenza sempre più massiccia di stranieri, persone che spesso non hanno una conoscenza adeguata della lingua parlata all’interno di un paese e quindi anche del suo sistema giuridico e giudiziario.

Volendo ricostruire una storia dell’interprete legale in Italia, va detto che l’uso di interpreti nel corso dei processi è stata documentata nei secoli (Garzone et al. 2002: 205), e che a partire dagli inizi del XIX secolo, la figura dell’interprete di tribunale è stata ufficialmente riconosciuta e introdotta all’interno dei diversi codici penali che si sono susseguiti nel corso del tempo. I vari codici che sono entrati in vigore tra il XIX e il XX secolo presentano dei riferimenti al ruolo dell’interprete di tribunale, anche se in modi e con punti di vista differenti e a volte persino in contraddizione tra loro. In particolare, nel tempo, due diverse visioni della figura dell’interprete si sono diffuse. La prima è quella secondo cui l’interprete è messo a disposizione dell’imputato in modo tale da garantire che questi comprenda le accuse che gli sono rivolte e possa quindi di conseguenza prendere parte attiva nel procedimento e organizzare la propria difesa. Un secondo approccio alla figura dell’interprete di tribunale è quello che lo vede principalmente come uno strumento o comunque una forma di tutela ad esclusiva disposizione delle autorità.

Limitandosi alla prospettiva storica del XX secolo, un esempio del primo approccio alla figura e al ruolo degli interpreti utilizzati nei procedimenti penali è rintracciabile all’interno del codice di procedura penale del 1913 (Garzone et al. 2002: 206). Vale la pena sottolineare l’importanza che il codice del 1913 ha avuto, in particolare per le innovazioni riguardanti proprio i doveri e i diritti dell’interprete. Per la prima volta nella storia del

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diritto italiano, all’interprete viene infatti riconosciuto il ruolo di perito, di specialista, di esperto della lingua. Lo stesso codice sottolinea inoltre la necessità di un atteggiamento imparziale e di una condotta morale impeccabile da parte della persona chiamata ad agire in qualità di interprete o traduttore.

Un cambiamento significativo si ha con il cosiddetto codice Rocco, ovvero il codice di procedura penale introdotto nel 1930 e rimasto pressoché invariato fino all’entrata in vigore del codice del 1989 (tutt’ora in vigore). La differenza principale contenuta all’interno del codice Rocco è l’idea che l’interprete vada considerato principalmente quale strumento al servizio delle autorità, indipendentemente dalle esigenze dell’imputato.

Nel momento in cui il nostro Paese ha ratificato i trattati internazionali (CEDU e Patto Internazionale per i diritti civili e politici), è stato quindi riconosciuto ufficialmente – sia da un punto di vista legale che morale – il diritto delle persone che non parlano o comprendono la lingua italiana di essere assistite da un interprete nel corso dei procedimenti penali in cui sono coinvolte (Garwood 2012).16. Va comunque tenuto conto del fatto che almeno fino alla metà degli anni ’70, l’Italia è stata principalmente un paese di emigrazione più che di immigrazione, e anche per questo motivo gli interpreti di tribunale non hanno rivestito un ruolo fondamentale. Dagli anni ’80, però, la situazione demografica del nostro paese è cambiata radicalmente, con un aumento considerevole delle immigrazioni,17 e quindi della presenza di stranieri in Italia. Questi aspetti sono naturalmente stati presi in considerazione al momento dell’introduzione del nuovo codice di procedura penale nel 1989, all’interno del quale l’interno Titolo IV del Libro II è proprio

16 GARWOOD C. (2012) 17 La prima legge sull’immigrazione (L. 943/1986) è introdotta in Italia nel 1986, a soli due anni dalla riforma del sistema di giustizia penale (1988), che ha poi portato alla modifica dello stesso codice di procedura penale (introdotto nel 1989 e tutt’ora in vigore). In GARWOOD C. (2012)

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dedicato alla Traduzione degli Atti e alle figure dell’interprete e del traduttore.

2.1 La tutela linguistica nella Costituzione italiana

In base all’art. 3 comma 1 della Costituzione della Repubblica Italiana tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali18. Nonostante la Costituzione rivolga questo principio di uguaglianza letteralmente a “tutti i cittadini” è comunque ormai consolidata l’interpretazione secondo cui il principio è valido in realtà nei confronti di “tutti gli uomini”, a prescindere dal fatto che si tratti di cittadini o di stranieri (Vigoni 1995: 341).

Un’ulteriore forma di tutela linguistica riconosciuta dalla Costituzione è inoltre quella rivolta alle cosiddette Minoranze Linguistiche Riconosciute, contenuta nell’art. 619. Tra l’altro, il diritto all’uso della lingua materna nell’ambito della comunità di appartenenza – elemento fondamentale di identità culturale e come mezzo primario di trasmissione dei relativi valori – è ritenuto un aspetto essenziale della tutela delle minoranze (Vigoni 1995: 343), sulla base dello stesso articolo 2 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità […]20.

È infine importante segnalare quanto previsto nell’art. 111, riguardante le norme sulla giurisdizione: la giurisdizione si attua

18 Costituzione della Repubblica Italiana, contenuta in CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006) (p. 9) 19 “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche”: Costituzione della Repubblica Italiana, contenuta in CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006) (p. 10) 20 Costituzione della Repubblica Italiana, contenuta in CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006) (p. 9)

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mediante il giusto processo regolato dalla legge. […] Nel processo penale la legge assicura che la persona accusata di un reato […] sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo21.

2.2 Il Codice di Procedura Penale Dove esiste un processo, esiste uno scontro verbale in cui le

parti affermano, negano, deducono, dissertano, formulano domande. Il processo ha allora bisogno di un mezzo di comunicazione comune alle parti coinvolte, così da rendere più agevole i rapporti tra loro e garantire al rito uniformità, ordine e funzionalità (Curtotti Nappi 2002: 233). Il principale strumento di comunicazione del processo penale è la lingua italiana, non sempre conosciuta da tutti i protagonisti della vicenda giudiziaria. E l’unico rimedio in grado di sanare un’eventuale situazione di incomprensione linguistica tra le parti coinvolte è rappresentato proprio dalla previsione dell’assistenza di un interprete/traduttore, che faccia da mediatore tra le parti.

Le norme che direttamente o indirettamente incidono in materia di tutela linguistica sono diversamente dislocate all’interno del codice di procedura penale (Vigoni 1995: 355). In particolare vanno rilevati:

- l’art. 109, in apertura della normativa sugli “atti” (Libro II), in cui al primo comma si afferma che gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana22;

- gli artt. 143-147 dedicati specificatamente al tema della “traduzione degli atti”;

- l’art. 169, riguardante le “notificazioni all’imputato all’estero, nel quale si specifica al comma 3 che tutto ciò che viene notificato deve essere redatto nella lingua

21 Ibidem (p. 27) 22 Ibidem (p. 101)

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dell’imputato straniero quando dagli atti non risulta che egli conosca la lingua italiana23;

- l’art. 142, riguardante la “traduzione di documenti”, in cui al comma 1 si specifica che quando è acquisito un documento redatto in lingua diversa da quella italiana, il giudice ne dispone la traduzione a norma dell’art. 143, se ciò è necessario alla sua comprensione24.

Ciò che è importante rilevare è comunque la vera e propria “mutazione genetica” (Vigoni 1995: 356) della figura dell’interprete all’interno del nuovo codice rispetto a quello del 1930, per cui l’interprete passa dal semplice ruolo di ausiliare o collaboratore del giudice a vero e proprio strumento di difesa a disposizione dell’imputato.

La normativa riguardante gli atti processuali, contenuta nel Libro II del codice di procedura penale, viene introdotta con la specificazione della lingua del processo (che in base all’art. 109 è naturalmente la lingua italiana), anche se – come già fatto notare – l’art. 169 dello stesso codice prevede la traduzione in caso di notifica all’imputato all’estero nella sua lingua materna. Accanto alla situazione di chi non parla o comprende la lingua italiana, vi può naturalmente essere chi la comprende ma non è comunque in grado di esprimersi in tale lingua. Questo tipo di situazione è particolarmente frequente nell’ambito dei procedimenti penali, dove tra l’altro la lingua utilizzata è un italiano ad alto contenuto specialistico e quindi di difficile comprensione spesso anche per i non stranieri.

L’art. 143 del codice di procedura penale prevede al comma 1 la possibilità di nominare un interprete/traduttore facendo riferimento alla “non conoscenza” della lingua italiana25. Viene 23 Ibidem (p.116) 24 Ibidem (p.133) 25 1. L'imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa […]. (http://www.altalex.com/index.php?idnot=2011)

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adottata quindi una formula abbastanza generica, in grado di ricomprendere sia la capacità di comprendere sia quella di parlare la lingua del procedimento (Vigoni 1995: 379).

Se da un lato vi è la volontà di tutelare ogni alloglotta, indipendentemente dal possesso della cittadinanza, al tempo stesso però sempre al primo comma viene anche esplicitamente dichiarato che la conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano26. Si acconsente dunque anche al cittadino di usufruire di assistenza linguistica, ponendo però a suo carico il dovere di dimostrare la mancata conoscenza adeguata della lingua italiana. Diverso è il caso del cittadino straniero, per il quale si pone il problema di dover definire a chi spetti il compito di provare la mancata conoscenza della lingua, ancor prima di valutarne eventualmente l’adeguatezza. La questione cruciale è infatti quella del dover stabilire il grado di conoscenza della lingua italiana tale da rendere superflua la nomina dell’interprete. La condizione di straniero non legittima di per sé il ricorso ad un interprete/traduttore (Vigoni 1995: 380), in quanto per questo occorre specificatamente il presupposto di ignoranza o inadeguata conoscenza della lingua italiana.

Risulta pertanto che le garanzie linguistiche dipendono sostanzialmente dal livello di conoscenza della lingua. Nel suo contributo intitolato “Minoranze, stranieri e processo penale” Vigoni (1995: 382-383) tenta di ipotizzare un modo per stabilire questo livello di conoscenza. Si è pensato che una conoscenza di tipo scolastico potrebbe essere ritenuta sufficiente al fine della comprensione di atti scritti, ma raramente tale livello consente all’alloglotta di comprendere effettivamente la lingua parlata – importante per seguire ciò che avviene in udienza – e di esprimersi in maniera corretta qualora voglia rendere dichiarazioni spontanee, o meno. Allo stesso modo, anche una

26 In CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006) (p. 109)

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conoscenza elementare della lingua, che consente di farsi capire nelle fondamentali esigenze della vita quotidiana, potrebbe non essere adeguata per comprendere il contenuto degli atti scritti, né tantomeno ciò che avviene in udienza, impedendo così all’alloglotta di partecipare ed eventualmente intervenire nel corso del procedimento. D’altra parte, è bene considerare che il linguaggio “legale” – un linguaggio piuttosto tecnico e già ostico per chi conosce la lingua italiana – può rappresentare un ostacolo ancora maggiore per chi parla una lingua diversa dall’italiano. In linea generale, quindi, per escludere la presenza dell’interprete/traduttore, l’alloglotta dovrebbe avere una buona conoscenza della lingua italiana, sia scritta sia parlata, tale da consentirgli la comprensione di quanto avviene in udienza, nonché del contenuto degli atti scritti.

Nonostante l’impegno da parte del legislatore nel voler tentare di annullare ogni possibile forma di disparità linguistica, il completo successo è puramente illusorio. Il soggetto alloglotta che non conosce adeguatamente la lingua italiana e si serve quindi della professionalità dell’interprete, non abbandona comunque lo status di inferiorità linguistica. Anche la migliore interpretazione non sarà mai infatti in grado di trasmettere pienamente e perfettamente il significato di ogni parola pronunciata nel corso del procedimento. Quello a cui aspira la norma è piuttosto quindi il tentativo di evitare che ostacoli di carattere linguistico impediscano alle persone coinvolte in un procedimento penale di esercitare un loro diritto fondamentale, che è il diritto alla difesa, senza il quale nessun processo può davvero dirsi equo, ragionevole e giusto (Curtotti Nappi 2002: 235).

Si è detto precedentemente che gli articoli “dedicati” all’interpretazione e alla traduzione sono essenzialmente quelli del titolo IV del Libro II del codice di procedura penale. Se l’art. 143 tratta del tema fondamentale della nomina dell’interprete, i seguenti non sono meno importanti. Nell’art. 144 vengono

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elencati i casi in cui potrebbero manifestarsi situazioni di incapacità e incompatibilità dell’ufficio di interprete, mentre l’art. 145 tratta il tema della ricusazione e dell’eventuale astensione dell’interprete. Di grande rilevanza è l’art 146 – conferimento dell’incarico – in cui si stabilisce che l’autorità, una volta accertata l’identità dell’interprete e verificato che non si trovi in una delle situazioni previste dagli artt. 144 e 145, lo ammonisce sull’obbligo di adempiere bene e fedelmente l’incarico affidatogli, senz’altro scopo che quello di far conoscere la verità, e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza. Quindi lo invita a prestare l’ufficio27.

Infine, l’art. 147 tratta del termine per la presentazione delle traduzioni scritte, e della possibilità di sostituzione dell’interprete quando questi non le presenti entro il termine fissato dall’autorità procedente.

2.3 Il caso particolare delle minoranze linguistiche riconosciute Se, di norma, l’interprete è chiamato a prestare il proprio

servizio nei casi in cui cittadini stranieri, che non comprendono in maniera adeguata la lingua italiana, sono coinvolti in procedimenti penali, è però possibile che situazioni analoghe si presentino in casi in cui ad essere coinvolti nei procedimenti penali siano cittadini italiani che appartengono a specifiche aree del territorio in cui la lingua comunemente usata nei rapporti interpersonali non è quella italiana. La stessa Costituzione, all’art. 6, stabilisce che la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche (Curtotti Nappi 2002). 37). In questo caso, comunque, la questione linguistica viene ad intrecciarsi con il più articolato problema della tutela delle minoranze etniche.

27 Ibidem (p. 110)

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Come sottolineato da Vigoni (1995: 340), parallelamente alla tutela e alle garanzie di tipo linguistico che vanno assicurate ad ogni individuo, cittadino o straniero, il quale non conosca la lingua italiana, si colloca quindi il diritto all’utilizzo della lingua materna da parte del cittadino appartenente ad una minoranza linguistica.

Si tratta comunque di due forme di tutela differenti: mentre la tutela linguistica generale è infatti riconducibile alla garanzia costituzionale dei diritti inviolabili della difesa, ed è legata al presupposto dell’inadeguata conoscenza della lingua ufficiale del processo, la tutela riconosciuta agli appartenenti alle minoranze linguistiche è invece legata alla speciale protezione, prevista dalla stessa Costituzione, nei confronti del patrimonio culturale di un particolare gruppo etnico e prescinde dall’effettiva conoscenza della lingua ufficiale, ovvero la lingua italiana.

Un aspetto che in parte accomuna queste due forme di tutela linguistica è invece il fatto di dover in principio individuare i destinatari di tale tutela. Si è detto precedentemente che lo status di straniero non è sufficiente a garantire il diritto all’interprete, e che l’unico requisito per avere accesso al servizio interpretativo è la mancata conoscenza ad un livello adeguato della lingua italiana. Si è accennato anche alle difficoltà incontrate nel definire quale sia questo livello. Ora, per quanto riguarda le minoranze linguistiche, il problema da affrontare è, in modo similare, il dover identificare quali siano effettivamente i gruppi oggetto di protezione, che si manifesta proprio attraverso la garanzia dell’uso della lingua materna nei procedimenti penali.

Come già detto, e come ribadito anche da Vigoni (1995: 362), il diritto all’uso della madrelingua, entro i confini delineati dall’art. 109 del codice di procedura penale, viene garantito al cittadino che appartenga a una minoranza linguistica riconosciuta. Si tratta in questo caso, e diversamente da quanto previsto per il cittadino alloglotta in generale, di una forma di tutela indiretta: oggetto di protezione non è infatti l’individuo,

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bensì la comunità a cui l’individuo appartiene. Si tratta comunque anche di una forma di tutela limitata, che ha quindi valore solamente nel territorio d’insediamento della stessa comunità28. Questa forma di tutela si traduce sostanzialmente nel diritto di essere interrogato o esaminato nella lingua materna e di conseguenza nel diritto di traduzione degli atti del procedimento, diritti comunque subordinati alla richiesta da parte di chi appartiene alla minoranza. Al comma 2 dell’art. 109 si legge infatti che il cittadino che appartiene alla minoranza è, a sua richiesta, interrogato o esaminato nella madrelingua e il relativo verbale è redatto anche in tale lingua. Nella stessa lingua sono tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati successivamente alla sua richiesta29.

Allo stato attuale si possono definire “minoranze riconosciute” tre comunità linguistiche: quella francese presente in Valle d’Aosta, quella tedesca del Trentino Alto Adige e quella slovena del Friuli Venezia Giulia. A queste è inoltre possibile aggiungere la comunità ladina del Trentino Alto Adige.

2.4 La sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 1993 Premesso che l’interprete svolge un importante ruolo

difensivo nel procedimento penale, trasformando in un linguaggio comprensibile per l’imputato il contenuto degli atti processuali, emerge di conseguenza come l’esercizio della lingua materna divenga spesso per lo straniero, o comunque per chi non parla o comprende l’italiano, un mezzo indispensabile per l’esercizio del diritto di difesa. Solo consentendo all’imputato

28 L’art. 109 dispone infatti che la garanzia dell’uso della lingua materna opera soltanto “davanti all’autorità giudiziaria avente competenza di primo grado o di appello sul territorio dove è insidiata la minoranza linguistica riconosciuta” (http://www.altalex.com/index.php?idnot=2011) 29 http://www.altalex.com/index.php?idnot=2011

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che non comprende o non parla la lingua impiegata in udienza di essere assistito da un interprete, l’ordinamento può concorrere a modellare il processo penale secondo i più elevati fondamenti etici e morali (Curtotti Nappi 2002: 254-255).

Con la sentenza n. 10/1993 la Corte Costituzionale ha riconosciuto lo stretto legame che lega indissolubilmente il diritto all’interprete al modello internazionale del cosiddetto “giusto processo”. In particolare è stata riconosciuta l’importanza della nomina dell’interprete – così come previsto dall’art. 143 del Codice di Procedura Penale – immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, tanto se tale circostanza sia evidenziata dall’interessato quanto se sia accertata dall’autorità procedente (Curtotti Nappi 2002: 356).

La Corte Costituzionale ha in particolare voluto sottolineare il carattere generale della garanzia prevista dall’art. 143, chiarendo che la tutela linguistica garantita dall’interprete è suscettibile di applicazione estensibile a tutte le ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio dell’interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale e che l’imputato può fruire dell’assistenza dell’interprete ogni volta che abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati, sia scritti che orali (Vigoni 1995: 394). Con questa decisione la Corte si pone quindi in sintonia con quanto espresso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito al fatto che la garanzia linguistica deve essere assicurata lungo tutto il procedimento. Soprattutto, viene riconosciuta la necessità dell’assistenza dell’interprete/traduttore in tutti i casi in cui dalla sua assenza potrebbe derivare un pregiudizio della difesa dell’imputato, situazione assolutamente inaccettabile dato il carattere fondamentale e inviolabile di tale diritto.

36

2.5 L’interprete di parte o interprete fiduciario Il cosiddetto interprete di parte, detto anche interprete

fiduciario, è colui che viene nominato direttamente dal soggetto interessato al fine di tradurre nella sua lingua gli atti di indagine privata compiuti dal proprio difensore per ricercare ed individuare elementi di prova a suo favore (Curtotti Nappi 2002: 264). Proprio perché atti compiuti dal difensore di madre lingua italiana, si suppone che essi siano redatti in questa lingua e che pertanto l’imputato non italoglotta debba necessariamente ricorrere all’opera d’intermediazione linguistica dell’interprete per comprenderne il senso.

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Capitolo Secondo

LA MEDIAZIONE LINGUISTICA IN AMBITO LEGALE

Nowhere does language play a more important role than in the

adversarial courtroom.

(Sandra Hale)30

Ogni volta che lo scambio comunicativo tra due o più persone viene impedito dalla mancata condivisione della stessa lingua diventa evidente la necessità di forme di intermediazione. E proprio a seguito dei mutamenti a cui l’intera umanità ha assistito nel corso degli ultimi decenni e a cui continua ad assistere giorno dopo giorno – mutamenti sul piano economico, ma anche sociale e demografico – il ruolo degli intermediari si è sempre più definito e specializzato. In particolare, come anche Garzone ci ricorda31, gli ultimi anni hanno visto la moltiplicazione e la diversificazione dei profili professionali nell’area dell’assistenza linguistica. Alla figura dell’interprete di conferenza si sono affiancate, nel corso del tempo, figure nuove come l’interprete di trattativa e quella dell’interprete di comunità in tutte le sue varie declinazioni: interprete giuridico, interprete di tribunale, interprete in ambito medico, etc. 30 HALE S. B. (1995), “The Interpreter on Trial: Pragmatics in Court Interpreting”, in CARR S. E. ET AL. (1997), The Critical Link: Interpreters in the Community. Papers from the First International Conference on Interpreting in Legal, Health and Social Service Settings, Geneva Park, Canada 1-4 June 1995. Amsterdam/Philadelphia: John Benjamins Publishing Company 31 Garzone G., “L’interprete e il Mediatore: Aspetti Deontologici”. In Miller D., Pano A. (a cura di), La Geografia della Mediazione Linguistico - culturale. Quaderni del CeSLiC, Bologna 2009. (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf)

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Un aspetto interessante, e che riguarda da vicino la realtà italiana, è inoltre l’emergere della figura del cosiddetto “mediatore linguistico”, talvolta etichettato anche come “mediatore linguistico - culturale”. Si tratta fondamentalmente di una figura ibrida sotto la cui etichetta si tende in realtà a ricomprendere la formazione alla traduzione, all’interpretazione dialogica nei più diversi ambiti (aziendale, politico, diplomatico, istituzionale) e all’interpretazione in ambito sociale – c.d. community interpreting – e giudiziario. Se si pensa a fenomeni come l’emergenza immigrazione o ai sempre più intensi contatti interetnici e interculturali che caratterizzano da tempo ormai il nostro paese, è facile rendersi conto della necessaria attenzione da porre nei confronti delle attività di mediazione linguistica – soprattutto in forma orale – che oggi vanno complessivamente sotto la denominazione di interpretazione dialogica o interpretazione di trattativa o ancora interpretazione di comunità32.

Una metafora che viene utilizzata abbastanza spesso per riferirsi a quanto avviene all’interno delle aule di tribunale nel corso dei processi è quella di una battaglia in cui l’arma vincente è rappresentata dalla lingua (Hale 1995: 201). Il processo diviene quindi una sorta di battaglia combattuta a suon di parole. Nel momento in cui, però, una battaglia di questo tipo deve essere combattuta da qualcuno che non parla o non capisce la lingua usata in aula, quel qualcuno si ritrova a combattere senza armi a disposizione. È in questi casi che la presenza di un interprete diviene assolutamente fondamentale: egli è il mezzo che può consentire a chi non parla o conosce la lingua di combattere ad armi pari. La responsabilità dell’interprete è quindi notevole, e il suo compito per nulla semplice. Il suo scopo è teoricamente quello di rendere un’interpretazione il più accurata possibile di ciò che viene detto e di ciò che si è voluto intendere all’interno di

32 Ibidem

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un’aula di tribunale. Questo significa che nelle migliori condizioni, quello che si tenta di ottenere attraverso l’intervento dell’interprete è una “traduzione equivalente” di quanto pronunciato nella lingua di partenza (la lingua parlata in aula).

Per equivalenza non s’intende una traduzione letterale, bensì – e questo è uno degli aspetti che rende il lavoro dell’interprete piuttosto complesso – una traduzione sia del contenuto generale del messaggio, sia – aspetto ancora più importante – l’intenzione del parlante. Anche Bot (2009: 115), parlando del modello di traduzione meccanico (parola per parola) lo definisce una pura ideologia, nel senso che per quanto nella realtà quotidiana – soprattutto nell’ambito legale – vi sia la tendenza a preferire un’interpretazione il più possibile letterale, la corrispondenza esatta tra due lingue diverse è impossibile. Ciò che l’interprete è chiamato a fare è rendere in lingua d’arrivo quanto detto in lingua di partenza in modo tale che la reazione di chi ascolta il messaggio in lingua di arrivo sia potenzialmente la stessa che avrebbe chi ascolta il messaggio nella lingua di partenza (Hale 1995: 202). Il compito dell’interprete oscilla quindi dall’essere un semplice e meccanico convertitore di messaggi, all’essere un vero e proprio convertitore di intenzioni e idee.

Per quanto una traduzione perfetta sia praticamente irrealizzabile, gli interpreti sono comunque tenuti a garantire il massimo livello di accuratezza – non a caso il codice di procedura penale italiano definisce l’attività dell’interprete come un servizio da svolgere “bene e fedelmente”– naturalmente nel limite delle possibilità umane e del livello di equivalenza sul piano sia linguistico che culturale (Hale 1995: 211). La cosiddetta “traduzione letterale” o “parola per parola” – spesso idealizzata da avvocati e giudici – non equivale infatti necessariamente ad una buona traduzione. E proprio per questo, ciò che si domandano esperti come Martin ed Ortega Herráez (2009: 141) è quanto l’espressione “fedelmente” sia da considerare quale sinonimo di “letterale”. Bisogna infatti tenere

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in debita considerazione che a volte una traduzione letterale può addirittura rappresentare un ostacolo alla comunicazione tra le parti coinvolte in un procedimento. Martin ed Ortega Herráez introducono quindi il concetto di legal equivalent, definito da González, Vasquez e Mikkelson come “a linguistically true and legally appropriate interpretation of statements spoken or read in court, from the second language into [the language of the court] and vice versa” 33 (in Martin e Ortega Herráez 2009: 145).

Se è quindi praticamente impossibile parlare di traduzione letterale perfetta, un importante aspetto da considerare è che, soprattutto in ambito giuridico, omissioni o aggiunte da parte dell’interprete divengono spesso necessarie alla corretta comprensione di quanto viene detto all’interno di un’aula di tribunale, e quindi fondamentali a garantire la comunicazione tra le parti. Al tempo stesso, gli interpreti devono tener conto della particolarità del linguaggio giuridico e averne una buona conoscenza, così come devono necessariamente conoscere il funzionamento del sistema giuridico e giudiziario. Non occorre forse ricordare quanto un’interpretazione inaccurata possa risultare dannosa per l’intero procedimento, mentre vale la pena ribadire (Edwards 1995: 63) che, in quanto unica persona in grado di comprendere le diverse lingue parlate e le diverse culture coinvolte, l’interprete risulta essere la persona con maggiore potere all’interno di un procedimento. Quanto alla gestione responsabile di questo potere, essa viene stabilita e regolata all’interno dei codici di etica professionale che gli interpreti, in quanto professionisti della lingua, sono chiamati a rispettare.

Nel corso di questa dissertazione ci sarà ancora occasione di riprendere il discorso intorno ai codici di deontologia professionale. Vorrei tuttavia anticipare alcuni aspetti che sono solitamente contenuti all’interno di questi codici. Edwards (1995: 33 GONZÁLEZ R. D. ET AL. (1991), Fundamentals of Court Interpretation: Theory, Policy and Practice. Durham: Carolina Academic Press

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64-66) ne elenca alcuni piuttosto rilevanti come il rispetto della segretezza, il mantenimento di un atteggiamento imparziale, il divieto di esprimere opinioni personali riguardanti il caso e di essere personalmente coinvolto nel caso stesso. In particolare, un aspetto che Edwards sottolinea (1995: 69) è il dovere di ammettere ed eventualmente correggere – nel più breve tempo possibile – ogni errore che l’interprete è consapevole di aver commesso. L’interprete, infatti, è un esperto della lingua (Edwards 1995: 146) e come tale è chiamato ad agire nelle aule di tribunale o negli uffici di polizia. In quanto esperto, l’interprete è responsabile delle conseguenze che ciò che dice può avere sul corso di un procedimento. Per questo motivo, accuratezza, precisione e grande umiltà sono elementi fondamentali per la riuscita del suo lavoro, dal quale tra l’altro spesso dipendono il futuro e la libertà delle persone.

1 Fenomeni migratori, criminalità e interculturalit à nel contesto dell’interpretazione legale

Lo spostamento delle persone verso nuovi luoghi è sempre

avvenuto nel corso della storia e sono state diverse le motivazioni che hanno spinto individui e gruppi a migrare da una determinata area geografica verso un’altra. Le persone si muovono da un paese all’altro per motivi di lavoro, di studio, o anche solo per piacere, e questi spostamenti comportano quasi sempre l’adattamento della persona alla nuova realtà, alle sue regole. Ovvero comportano un sostanziale cambiamento a molti livelli 34. In particolare, Chattat35 ci ricorda che è proprio dal momento

34 Chattat R., “Immigrazione, Integrazione e Costruzione delle Identità”, in Miller D., Pano A. (a cura di), La Geografia della Mediazione Linguistico - culturale. Quaderni del CeSLiC, Bologna 2009 (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf) 35 Ibidem

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dell’approdo nella nuova realtà che inizia il lungo processo della cosiddetta ”immigrazione”, e cioè quel processo di immissione in un mondo nuovo in cui fin da subito emerge la necessità urgente di stabilire dei contatti. Il trovarsi in un territorio nuovo obbliga, in effetti, da un certo punto di vista, lo straniero al confronto con la nuova realtà, nonché ad un’interazione con essa.

Per quanto riguarda l’Italia è ormai noto che negli ultimi decenni, come anche sottolineato da Garzone (2003: 130) il nostro ha cessato di essere un paese prevalentemente di emigrazione per trasformarsi in una meta di immigrazione, con fenomeni migratori soprattutto dall’Europa dell’est, dall’Africa settentrionale, dal sud-est asiatico e dall’Africa sub sahariana. A seguito di questi movimenti, l’Italia ha cominciato lentamente, ma inesorabilmente, la sua trasformazione in una realtà multiculturale, seguendo lo stesso processo di cambiamento che altri paesi europei, prima del nostro, hanno subìto. La crescente presenza di stranieri, regolari e non, sul territorio italiano ha avuto tra l’altro importanti conseguenze sul piano linguistico. Un paese come l’Italia, essenzialmente monolingue, si è trovato nel giro di poco tempo a dover affrontare una situazione di vera e propria emergenza linguistica. Quel che è certo comunque è che il monolinguismo è ormai un lontano ricordo. 1.1 L’immigrazione in Italia: un fenomeno recente

Non ci sono dubbi riguardo al fatto che l’esigenza, sempre più

forte, della necessità di predisporre forme adeguate di tutela linguistica, derivi dalla posizione di precarietà in cui spesso si vengono a trovare gli stranieri presenti nel nostro paese, soggetti quindi privi della cittadinanza italiana (Curtotti Nappi 2002: 51). In particolare, forme di tutela linguistica devono necessariamente essere garantite in quanto strumento indispensabile alla salvaguardia di un diritto riconosciuto quale fondamentale

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nell’ambito del procedimento penale italiano, che è appunto il diritto alla difesa dell’imputato. Si tratta di un aspetto che sta venendo ad assumere un sempre maggior rilievo considerato il crescente numero di persone non italoglotte che, sempre meno occasionalmente, si trovano a dover affrontare e/o subire un procedimento penale in Italia. Dai dati statistici elaborati nel nostro paese emerge infatti con chiarezza che nell’ultimo decennio il coinvolgimento di cittadini stranieri nei processi penali è aumentato considerevolmente (Curtotti Nappi 2002: 52). Non è perciò più possibile considerare come “episodica” la necessità di una tutela linguistica degli stranieri presenti sul nostro territorio.

Ogni anno (a partire dal 1990) viene pubblicato in Italia un dossier statistico sull’immigrazione con la collaborazione della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes, il cui scopo è quello di fornire una conoscenza del fenomeno migratorio nel nostro paese, sia sul piano nazionale che a livello regionale. Ciò che emerge immediatamente dal dossier36 è la necessità di stabilire una volta per tutte che l’immigrazione è ormai una realtà organica della società italiana, all’interno della quale si contano oltre 4 milioni di immigrati37, con un’incidenza di circa il 7,5% sul totale della popolazione. Negli ultimi vent’anni la popolazione immigrata sul territorio italiano è cresciuta di quasi venti volte, aumento che tra l’altro trova conferma nel resto dell’Unione Europea. Tra le nazionalità a più elevata consistenza numerica, si trovano in Italia principalmente romeni, albanesi e marocchini, seguiti da cinesi, ucraini, filippini e indiani. Per una

36 CARITAS E MIGRANTES (2010), Immigrazione: Dossier Statistico 2010. Per una Cultura dell’Altro. Roma: Idos Edizioni 37 Nel Dossier Statistico 2011 il numero esatto fornito è di 4.570.317 milioni di residenti stranieri in Italia. (http://www.caritasitaliana.it/home_page/pubblicazioni/00002486_Dossier_Statistico_Immigrazione_Caritas_Migrantes_2011.html)

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visione d’insieme delle diverse collettività presenti in Italia, si può osservare la tabella che segue38: Tab. 1 – ITALIA: prime 30 collettività di stranieri residenti

Paese di cittadinanza v.a. % Paese di cittadinanza v.a. %

Romania 887.763 21,0 Senegal 72.618 1,7

Albania 466.684 11,0 Pakistan 64.859 1,5

Marocco 431.529 10,2 Serbia 53.875 1,3

Cina 188.352 4,4 Nigeria 48.674 1,1

Ucraina 174.129 4,1 Bulgaria 46.026 1,1

Filippine 123.584 2,9 Ghana 44.353 1,0

India 105.863 2,5 Brasile 44.067 1,0

Polonia 105.608 2,5 Germania 42.302 1,0

Moldova 105.600 2,5 Francia 32.956 0,8

Tunisia 103.678 2,4 Bosnia-Erzegovina 31.341 0,7

Macedonia 92.847 2,2 Regno Unito 29.184 0,7

Perù 87.747 2,1 Russia 25.786 0,6

Ecuador 85.940 2,0 Algeria 25.449 0,6

Egitto 82.064 1,9 Repubblica Dominicana 22.920 0,5

Sri Lanka 75.343 1,8 Altri Paesi 459.953 10,9

Bangladesh 73.965 1,7 Totale 4.235.059 100,0

Per quanto riguarda la distribuzione dei migranti sul territorio

italiano, anche in questo caso il dossier Caritas offre informazioni interessanti, dalle quali è possibile osservare la realtà più circoscritta delle regioni, tra cui anche l’Emilia Romagna (tra le principali mete di insediamento degli stranieri in Italia, nonché la regione italiana con la più alta incidenza sulla popolazione residente). In particolare, osservando la tabella che segue e che riporta i dati riguardanti il numero di immigrati per regione italiana, si può facilmente constatare come la maggior

38 I dati contenuti nella tabella 1 sono contenuti nel Dossier Statistico 2010 e si riferiscono al 31.12.2009.

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parte degli stranieri presenti nel nostro paese risieda in regioni del nord Italia. Dai dati contenuti nel dossier sappiamo che al primo gennaio 2010 l’86,9% degli stranieri risultava distribuito tra le regioni del nord e del centro, così come anche il fatto che l’immigrazione in Italia è un fenomeno prevalentemente urbano.

Tab. 1 – ITALIA: popolazione straniera residente per regione Regione v.a. v.a. % Regione v.a. %

Piemonte 377.241 8,9 Lazio 497.940 11,8

Valle d'Aosta 8.207 0,2 Campania 147.057 3,5

Liguria 114.347 2,7 Abruzzo 75.708 1,8

Lombardia 982.225 23,2 Molise 8.111 0,2

Trentino Alto Adige 85.200 2,0 Puglia 84.320 2,0

Veneto 480.616 11,3 Basilicata 12.992 0,3

Friuli Venezia Giulia 100.850 2,4 Calabria 65.867 1,6

Emilia Romagna 461.321 10,9 Sicilia 127.310 3,0

Marche 140.457 3,3 Sardegna 33.301 0,8

Toscana 338.746 8,0

Umbria 93.243 2,2 Totale 4.235.059 100,0

Quando si parla di immigrazione, in Italia così come in altri

paesi dell’UE, è bene tener conto di un fatto importante: con l’aumentare del numero di stranieri residenti all’interno di un paese, aumenta purtroppo anche il numero dei cosiddetti “clandestini” o immigrati irregolari39. E sono proprio gli stranieri, e ancora più spesso gli stranieri “irregolari” i principali destinatari di forme di assistenza linguistica, nel nostro paese così come in altri paesi europei e del mondo, trattandosi di persone per lo più carenti di un’adeguata conoscenza della lingua.

39 Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo (OECD) nel nostro paese vivono all’incirca tra i 500 mila e i 750 mila immigrati irregolari.

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1.2 L’importanza dell’interpretazione in un panorama interculturale

In parte a causa del fatto che l’immigrazione è un fenomeno

relativamente recente in Italia, il nostro paese si presenta piuttosto mal equipaggiato nella gestione dell’immigrazione (Garzone 2003: 137). I problemi riguardano la mancanza di infrastrutture, di opportunità di lavoro e di salari adeguati, l’eccessivo costo della vita e delle abitazioni. In un panorama di questo genere non è difficile immaginare come il bisogno di garantire un servizio di tutela linguistica passi in secondo piano. Eppure – come ogni altra persona – anche gli stranieri hanno bisogno di comunicare con le istituzioni.

Per consentire agli immigrati che non parlano la nostra lingua di comprendere, capire, comunicare, avere accesso ai servizi di cui possono usufruire e partecipare attivamente alla vita sociale è assolutamente indispensabile metterli nelle condizioni di poter comunicare (Garzone 2003: 137). Per quanto riguarda l’Italia, uno dei problemi principali nella gestione dei servizi linguistici a favore degli stranieri è l’aver proposto e fornito nel corso del tempo per lo più soluzioni ad hoc per le diverse situazioni che si venivano a creare, spesso soluzioni ideate al momento e quindi prive di un fondamento giuridico specifico e adeguato. Oltretutto, mentre solo alcuni anni fa il coinvolgimento di uno straniero in un procedimento penale poteva considerarsi un fatto episodico, oggi si tratta invece di un fenomeno che assume ben più ampie dimensioni. E in un tale contesto, l’esigenza del superamento delle barriere linguistiche diviene sempre più pressante (Vigoni 1995: 339). Come sottolinea Vigoni, infatti, la facilità delle comunicazioni e la pressoché totale assenza di controlli alle frontiere hanno consentito lo sviluppo di flussi migratori con la conseguente presenza sul territorio italiano di persone spesso

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prive di un lavoro e ancora più spesso in forte stato di bisogno. E sono proprio queste condizioni di disagio a rendere queste persone soggetti a maggior rischio in relazione alla commissione di reati penali (1995: 339). Quanto detto non fa altro che accentuare l’urgenza, nell’ambito dei procedimenti penali italiani, l’urgenza di un superamento degli ostacoli derivanti dall’uso di una lingua (non parlata e compresa da tutti i partecipanti al procedimento) e la necessità di rendere effettive le garanzie di tipo linguistico.

Quando si parla di interpretazione in ambito legale bisogna tener conto di un altro importante aspetto oltre alla necessità del superamento della barriera linguistica. Gli interpreti che operano per garantire la tutela linguistica degli stranieri sono infatti chiamati ad effettuare un vero e proprio doppio lavoro di mediazione: linguistica, ma anche e soprattutto culturale. Spesso, infatti, ciò che impedisce un’efficace comunicazione tra le parti non è semplicemente la lingua, bensì le differenze che si manifestano sul piano culturale. Come ci ricorda anche Arlene Kelly (1998: 131), con l’aumentare dei fenomeni migratori aumenta di conseguenza anche la diversità culturale dei paesi, e con essa il bisogno sempre più pressante dell’interpretazione.

Tra gli aspetti “culturali” più importanti di cui un interprete non può non tener conto, soprattutto in ambito legale e in particolare nelle aule di tribunale, vi sono le possibili differenze a livello di sistemi giuridici dei paesi di appartenenza delle diverse parti coinvolte in un procedimento. Diversi “codici di comportamento”, diverse forme di comunicazione, diversi modi di esprimersi in contesti ad alto livello formale, quale appunto un’aula di tribunale, possono rivelarsi seri ostacoli nel processo comunicativo tra le parti. Ecco perché il lavoro di mediazione, anche culturale, da parte dell’interprete si rivela di estrema importanza, se non addirittura – a volte – una vera e propria necessità.

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Sfortunatamente il più delle volte gli interpreti vengono chiamati a prestare il proprio lavoro senza essere messi nelle condizioni di appurare le eventuali divergenze culturali che possono manifestarsi nel corso di un procedimento. Un ulteriore problema, soprattutto nel panorama italiano, è rappresentato dalla difficoltà nel reperire interpreti debitamente qualificati, e non semplici “conoscitori della lingua” (Garzone 2003: 138). Proprio per questo motivo è importante mettere l’accento sulla figura dell’interprete legale in Italia, un professionista troppo spesso non considerato al pari delle sue potenzialità, uno strumento indispensabile per assicurare la necessaria tutela linguistica dello straniero e rendere possibile il corretto ed equo svolgersi della giustizia. 2 La scomparsa del monolinguismo nelle aule di tribunale

Un’immagine piuttosto diffusa della figura dell’interprete nelle aule di tribunale è quella di un “male necessario”40 (Wadensjö 1998: 9). Questa visione dell’interprete è principalmente dovuta al fatto di guardare alla realtà dell’aula di tribunale come ad una realtà monolingue, in cui il bilinguismo non rappresenta altro che una situazione eccezionale. Questa idea del monolinguismo come normalità si ricollega, da un lato, alla concezione della lingua come di un’entità definita e chiusa in se stessa, e dall’altro con la propensione a ritenere che ogni persona in quanto individuo parlante si identifichi con una e una sola lingua “nativa”. In realtà basta osservare il mondo per rendersi conto con facilità di quanto spesso le persone parlino contemporaneamente più di una lingua, o almeno più varianti di una stessa lingua. E soprattutto per capire quanto nella vita

40 Definizione fornita dall’interprete anglo-francese, esperto in conference interpreting, Jean Herbert.

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quotidiana di molta gente sia il bilinguismo, se non addirittura il plurilinguismo, a rappresentare la cosiddetta “normalità”.

Al tema del bilinguismo all’interno delle aule di tribunale si è dedicata anche Berk-Seligson con un volume intitolato non a caso The Bilingual Courtroom (1990). In particolare, attraverso il suo studio, Berk-Seligson mostra come la realtà dell’aula di tribunale venga completamente trasformata grazie alla presenza dell’interprete (Wadensjö 1998: 72), che non va affatto visto come una figura trasparente, ma piuttosto come una chiave di volta in grado di influenzare l’intero procedimento, e che per questo possiede un enorme potere. Trattandosi sostanzialmente dell’unica persona presente in aula in grado di comprendere pienamente tutto ciò che viene detto, l’interprete ha un ruolo assolutamente fondamentale, in quanto dalla sua performance può dipendere l’esito positivo o negativo dell’intero procedimento. È infatti l’unica persona in grado di rendere possibile la comunicazione tra le parti, e così facendo, mettere il giudice nelle condizioni di prendere la giusta decisione, e all’imputato di avere un giusto giudizio.

Il bilinguismo all’interno dell’aula di tribunale implica anche una sorta di necessaria collaborazione tra le parti: in particolare quella che deve venirsi a creare è una vera e propria cooperazione tra l’avvocato, l’interprete e i testimoni/imputati, dove l’interprete rappresenta l’unico ponte di passaggio comunicativo. Questa attività di mediazione viene svolta però in un contesto non privo di limitazioni – soprattutto temporali, ma anche logistiche – e difficoltà – queste legate più che altro alle scelte strategiche dell’interpretazione in sé. Sono principalmente due i problemi che l’interprete deve affrontare nella sua attività interpretativa all’interno delle aule di tribunale: in primo luogo il dilemma dell’interpretazione-traduzione, in secondo luogo una corretta gestione del potere che inevitabilmente si trova ad avere in una realtà – com’è appunto un’aula di tribunale – di completa asimmetria linguistica (Hale 2004: 236).

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2.1 Le difficoltà dell’interprete tra interpretazione e traduzione

Quando l’interprete è chiamato a prestare la propria attività professionale nel contesto legale emerge spesso un conflitto di opinioni in merito all’attività interpretativa. Per quanto sia stato ribadito più volte, anche nel corso di questo lavoro, che “interpretare non significa tradurre”, non sono rari i casi in cui l’attività interpretativa viene a confondersi, se non addirittura a sovrapporsi all’attività traduttiva. Si tratta indubbiamente di due forme di trasposizione del significato di un messaggio da una lingua all’altra, anche se di norma si parla di traduzione nel caso di documenti scritti e di interpretazione nel caso in cui il messaggio venga trasmesso in forma orale. C’è un ulteriore fattore che contribuisce a distinguere queste due “discipline”, ed è l’idea che l’attività interpretativa vada, in realtà, oltre la traduzione, dovendo prendere in considerazione elementi anche di carattere culturale e sociale.

L’interprete è comunque in primo luogo un traduttore, il cui compito è proprio quello di sostituire un messaggio pronunciato in una lingua con lo stesso enunciato – o comunque con un enunciato equivalente – in un’altra lingua. Così come ogni traduzione, anche l’interpretazione comporta, in modo spesso inevitabile, una certa perdita di significato dovuta principalmente alle diversità intrinseche delle lingue coinvolte, ma anche a diversità nelle culture che quelle lingue “rappresentano”. Proprio per questo motivo, così come Peter Newmark (1988: 42) indica per il traduttore, l’interprete deve sviluppare tecniche e strategie che gli consentano da un lato la comprensione del messaggio, e dall’altro la formulazione del nuovo messaggio, in cui può essere richiesta una certa dose di ricreazione del significato. In ogni modo, il fattore predominante è sempre il contesto (Newmark 1988: 199), sia linguistico che culturale, che influisce in maniera

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sostanziale sul significato contenuto all’interno dei messaggi da tradurre/interpretare.

A seconda delle scelte strategiche operate dall’interprete, si possono generare diversi tipi di relazione tra quanto pronunciato dal primo parlante e quanto prodotto dall’interprete (Garzone 2003: 117-118), in base alle quali Wadensjö indica diverse forme di traduzione/interpretazione che possono manifestarsi sotto forma di:

- close rendition: il contenuto dei due messaggi è identico e lo stile utilizzato è approssimativamente lo stesso;

- expanded rendition: il messaggio nella lingua di arrivo contiene informazioni esplicite non contenute nel messaggio originale;

- reduced rendition: il messaggio nella lingua d’arrivo contiene meno informazioni esplicite rispetto al messaggio originale;

- substitued rendition: consiste in una combinazione delle due forme precedenti;

- summarised rendition: il messaggio nella lingua d’arrivo è un riassunto del messaggio originale;

- two-part/multi-part rendition: una frase del messaggio originale è resa dall’interprete con due o più frasi corrispondenti;

- non rendition: il messaggio nella lingua d’arrivo è il frutto della fantasia dell’interprete, ma non corrisponde letteralmente al messaggio originale;

- zero rendition: il messaggio originale non viene tradotto dall’interprete.

Ogni qualvolta si parli di traduzione e/o interpretazione c’è un concetto ricorrente, che è l’idea di equivalenza (Wadensjö 1998: 103) e che è strettamente associata ad un’altra idea: quella di concepire i traduttori/gli interpreti come professionisti essenzialmente occupati a stabilire delle corrispondenze tra testi

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di partenza (source texts) e testi di arrivo (target texts). Nel momento in cui è spesso impossibile trovare corrispondenze perfette tra le diverse lingue, gli interpreti – così come anche i traduttori – si trovano nelle condizioni di svolgere due funzioni al tempo stesso: tradurre il messaggio originale in una forma equivalente della lingua di arrivo, e al tempo stesso far fronte alle inevitabili differenze tra le lingue trovando soluzioni adeguate a risolvere le divergenze linguistiche, ma anche e soprattutto socio-culturali che si vengono a presentare. 2.2 L’asimmetria linguistica e la gestione del potere

Come già anticipato, gli interpreti che prestano la loro attività professionale nell’ambito legale si trovano spesso coinvolti in realtà in cui si verificano vere e proprie interazioni asimmetriche, ovvero “interazioni comunicative in cui non si realizza fra gli interagenti una parità di diritti e doveri comunicativi, ma i partecipanti si differenziano per un accesso diseguale ai poteri di gestione dell’interazione” (Orletti 2000: 12). Questo è esattamente quanto avviene – sfortunatamente troppo di frequente – nelle aule di tribunale, in cui le parti coinvolte non godono quasi mai dello stesso livello di potere di interazione, soprattutto quando sono coinvolti nel procedimento persone straniere che non parlano o comprendono sufficientemente bene la lingua.

Le difficoltà linguistiche che lo straniero deve affrontare sono aggravate dall’uso – all’interno delle aule di tribunale, così come in generale nell’ambito legale – di un linguaggio tecnico e specialistico spesso di difficile comprensione anche per un madrelingua. Sull’uso del linguaggio “tecnico” si è espressa, tra gli altri, anche Orletti (2000: 34), secondo la quale la scelta di una varietà specialistica – in un preciso ambito istituzionale – costituisce soprattutto un simbolo di status, un modo per

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riconfermare la distribuzione del potere sociale e per ribadire, attraverso l’innalzamento di barriere linguistiche, la distanza sociale tra i partecipanti. A maggior ragione, nell’interazione nativo/non nativo, il secondo è destinato ad occupare una posizione subordinata nella scala del potere di interazione, proprio a causa della distanza linguistica e culturale che lo separa dagli altri partecipanti.

Trovandosi in una posizione subalterna, lo straniero deve necessariamente ricorrere all’ausilio di un professionista – l’interprete – per “colmare la distanza” e ottenere ciò di cui ha bisogno (nell’ambito legale il fine ultimo è quello di avere la garanzia del diritto di difesa e ad essere giudicato in modo equo). Se quindi in precedenza l’interprete era stato definito “un male necessario”, in questo contesto diviene piuttosto “una necessità irrinunciabile”, nonché spesso l’unico mezzo per garantire l’equo procedimento. Tutto ciò è reso possibile dal fatto che l’interprete, nel contesto legale specialmente, si trova in una posizione di grande potere.

Salancik e Pfeffer (Hale 2004: 159) hanno definito il potere come l’abilità di coloro che lo possiedono di ottenere ciò che vogliono, ovvero la possibilità di controllare le proprie azioni e anche quelle degli altri per raggiungere uno scopo. Il potere linguistico, generato dalla conoscenza e quindi dal controllo della lingua, è fondamentale nell’esercitare il proprio potere su altre persone. E quello linguistico è esattamente il tipo di potere che un interprete possiede. Le aule di tribunale sono uno dei luoghi di massima espressione della gerarchia del potere, e in particolare del potere linguistico. È infatti proprio attraverso la lingua – e soprattutto attraverso un uso strettamente specialistico della lingua – che avvocati e giudici esercitano il loro potere sugli altri partecipanti.

Se avvocati e giudici sfruttano la loro conoscenza del linguaggio giuridico per affermare il proprio potere d’interazione e stabilire una certa distanza rispetto agli partecipanti al

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procedimento, esiste qualcuno che ha un potere ancora maggiore, e questo qualcuno è l’interprete. Un interprete qualificato non ha solo una buona conoscenza della materia giuridica tale da consentirgli la corretta comprensione di quanto viene detto all’interno di una aula o nel corso di un procedimento, ma conosce anche – ed è proprio questo a rappresentare il suo potere – entrambe le lingue parlate dai partecipanti, ovvero la lingua italiana (lingua ufficiale del procedimento) e la lingua parlata dagli imputati/dai testimoni stranieri. È quindi l’unico ad avere una piena e completa comprensione di tutto ciò che viene detto e/o scritto. 3 Chi è l’interprete legale: ruolo e compiti

Nel corso di una sua dissertazione sui dilemmi e sui problemi che affliggono l’interpretazione legale in molti paesi del mondo41, Morris evidenzia quello che dovrebbe essere il fine ultimo di ogni interprete, ovvero “rimuovere qualunque barriera che impedisca la comprensione o la comunicazione”. E proprio per questo motivo, gli interpreti vanno intesi come veri e propri professionisti, la cui attività è regolamentata da precisi codici di condotta etica e morale. Troppo spesso i sistemi giuridici e giudiziari di molti paesi hanno sottovalutato l’importanza dell’interpretazione legale e la “delicatezza” di questa attività professionale, impedendo che il mestiere di interprete venisse debitamente riconosciuto. Il problema fondamentale che molti paesi devono affrontare, e tra questi anche l’Italia, è la mancanza di una precisa definizione a livello giuridico del ruolo dell’interprete legale. A partire dai criteri con cui gli interpreti di tribunale vengono nominati, a volte piuttosto vaghi e assolutamente non uniformi, la principale mancanza che si 41 Morris R. (1995) (http://www.ruth-morris.info/wp-content/uploads/2010/03/Moral-Dilemmas.pdf)

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avverte – soprattutto nel nostro paese – è proprio l’assenza di un albo professionale degli interpreti42. Questa situazione “nebulosa” in cui si trovano a lavorare quotidianamente gli interpreti ha fatto sì che nel tempo non si sviluppassero dei criteri comuni di formazione e reclutamento di questi professionisti, bensì sono state ricercate spesso soluzioni temporanee o ad hoc per risolvere problemi o rispondere ad esigenze specifiche.

Ciò che risulta immediatamente osservabile, almeno per quanto riguarda la realtà del nostro paese, è proprio la mancanza di un appropriato livello di attenzione nei confronti dell’importanza della lingua e della comunicazione (Garzone 2003: 140). Tuttavia i danni causati da questa disattenzione – dovuti essenzialmente alla mancanza di qualità interpretativa – si sono rivelati a volte davvero gravi, motivo per cui hanno cominciato a percepirsi alcuni cambiamenti nel mondo dell’interpretazione legale. Vale la pena inoltre ricordare che la stessa Unione Europea, con la direttiva 2010/64 obbliga gli stati membri, tra le altre cose, anche all’istituzione di uno o più registri nazionali degli interpreti e traduttori legali.

Ma quali sono i criteri utilizzati per stabilire quando un interprete sia effettivamente necessario? E qual è il ruolo che ci aspetta venga rivestito dall’interprete legale, e in particolare dall’interprete di tribunale?

Uno dei principali ostacoli rispetto ad un uso efficace degli interpreti nelle aule di tribunale sembra essere proprio la varietà delle aspettative nei confronti di questi professionisti della lingua (Fowler 1995: 196). Se da un lato ci aspetta infatti che essi traducano tutto ciò che sentono, al tempo stesso essi sono stati formati per far fronte alla necessità di operare delle scelte sul piano traduttivo. Troppo spesso la legge tende a considerare l’interprete come una mera macchina traduttrice senza tener conto della presenza di una pluralità di significati tra cui 42 In Italia gli interpreti legali vengono inseriti all’interno dell’albo dei periti, mancando un vero e proprio registro a livello nazionale.

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scegliere – in base ai diversi contesti linguistici e socio culturali – in modo da rendere efficace la comunicazione tra le parti coinvolte. Il ruolo che l’interprete è chiamato a svolgere non è quello di un mero traduttore, bensì di un vero e proprio mediatore linguistico.

Per quanto riguarda specificatamente la realtà italiana purtroppo non sono molti gli aspetti positivi che possono essere rilevati nell’osservare la situazione degli interpreti che operano in ambito legale. Come sottolinea anche Ballardini (2002: 208), nonostante il codice di procedura penale del 1989 abbia introdotto alcune importanti novità sul piano del procedimento penale, per quanto riguarda la figura dell’interprete non ci sono state grandi modifiche. Il codice, ad esempio, non menziona alcun criterio su cui basare la scelta dell’interprete da nominare, così come non vengono precisati i casi in cui sia richiesta la presenza dell’interprete, ovvero fino a che punto si può stabilire di farne a meno43.

La persistenza di una normativa già manchevole sotto molti aspetti, non ha contribuito quindi che a peggiorare ulteriormente la situazione in cui versa l’interpretazione legale nel nostro paese, con implicazioni sempre più gravi sul piano della qualità dei servizi offerti. Un primo problema è costituito dall’ambiguità con cui il sistema italiano affronta il tema dell’assistenza linguistica. Il codice di procedura penale differenzia infatti tra il servizio di interpretazione nei confronti dello straniero (il cui bisogno deve essere esplicitato) e l’interpretazione che viene invece garantita ai cittadini italiani appartenenti a minoranze linguistiche riconosciute (diritto “automatico”). Questa differenziazione pone immediatamente un limite in termini di uniformità, limite che va ad affiancarsi ad altre gravi mancanze: la prima, come più volte ribadito, è rappresentata dall’assenza di un registro nazionale, la seconda è invece causata dallo scarso

43 GARWOOD C. (2012)

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riconoscimento sul piano professionale della figura dell’interprete, causa sempre più spesso di frustrazione e mancanza di motivazione.

Nell’ambito del procedimento penale italiano, l’autorità procedente nomina un interprete qualora le parti coinvolte non conoscano la lingua ufficiale del processo, o comunque qualora non la conoscano a sufficienza per affrontare adeguatamente la dinamica processuale. Tale nomina è motivata dalla necessità di garantire all’imputato il diritto ad una piena comprensione, nel rispetto del principio costituzionale dell’uguaglianza di ogni individuo davanti alla legge, in virtù del quale nessuno può essere discriminato su basi linguistiche o culturali. Scopo ultimo di questa tutela linguistica è quindi quello di far sì che l’imputato sia “presente”, vale a dire parte attiva nel procedimento in cui è coinvolto44. Come già più volte affermato, e come anche ribadito da Longhi, il diritto all’interprete costituisce insomma una condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato che è quello alla difesa.

La funzione assegnata all’interprete dal secondo comma dell’art. 143 del codice di procedura penale è quella di intervenire ogni qualvolta occorra tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intellegibile, ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana45. In questa prospettiva è affidato all’interprete il compito di consentire a ciascun protagonista della vicenda processuale, sia esso giudice, pubblico ministero, polizia giudiziaria o parte, di comprendere il contenuto di un’enunciazione scritta od orale resa in lingua diversa da quella usata in udienza (Curtotti Nappi 2002: 287). In questo senso

44 Longhi A. (2004), L’interprete nel Processo Penale Italiano: Perito, Consulente Tecnico o Professionista Virtuale? (http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=350_0_2_0_M) 45 Art. 143 c.2, in CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006). Napoli: Gruppo Editoriale Esselibri – Simone (p. 109)

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l’interprete viene a rappresentare un vero e proprio garante della comunicazione interpersonale.

Un aspetto importante, e che non è mai superfluo ribadire, è che l’interprete non è solamente e semplicemente un collaboratore dell’ufficio giudiziario (così come invece era definito nel codice del 1930), bensì un coadiutore indispensabile alla difesa. L’interprete diviene cioè uno strumento di supporto alla difesa dell’imputato, fornendogli le conoscenze linguistiche indispensabili per un suo effettivo intervento al processo e, più in generale, per l’esercizio consapevole della sua difesa (Curtotti Nappi 2002: 291-292). Ciò che importa davvero è infatti che l’imputato/testimone possa capire tutto e, soprattutto, farsi capire da chi lo ascolta. Ciò spiega perché l’interprete assume un ruolo determinante, necessario e indispensabile per garantire il diritto alla difesa di chi non parla la lingua italiana.

La categoria di soggetti che di norma usufruisce della tutela linguistica è quella degli stranieri, trattandosi di persone generalmente prive di un’adeguata conoscenza della lingua ufficiale usata in udienza. Quello che è possibile realizzare attraverso la nomina dell’interprete è annullare ogni discriminazione di tipo linguistico nei confronti dello straniero, eliminando quella situazione di squilibrio sul piano giuridico in cui lo straniero viene a trovarsi per il semplice fatto di parlare una lingua diversa da quella italiana, che è lingua ufficiale di ogni procedimento (Curtotti Nappi 2002: 326). La nomina dell’interprete è comunque riconosciuta genericamente all’accusato, senza alcuna distinzione tra lo straniero alloglotta e il cittadino che si trova in una situazione di incomprensibilità linguistica (Curtotti Nappi 2002: 341). Per quanto riguarda la prestazione dell’ufficio di interprete, in quanto soggetto che coopera all’attività della pubblica amministrazione con prestazioni di tipo intellettuale, l’interprete assume il ruolo, in un certo senso, di pubblico ufficiale. In quanto esercente quindi temporaneamente una pubblica funzione giudiziaria, l’interprete

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è tenuto a prestare il proprio servizio “bene e fedelmente”, senz’altro scopo se non quello di far conoscere la verità e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si fanno per suo mezzo o in sua presenza46 (Curtotti Nappi 2002: 398-400).

Se da un certo punto di vista la normativa mette l’accento sulla garanzia di imparzialità e obiettività, non altrettanta attenzione è dedicata ad assicurare la massima affidabilità dei risultati della prestazione linguistica. Può accadere ad esempio di dover reperire interpreti per lingue di rara o anche rarissima diffusione, ed è proprio in questi casi che l’aspetto qualitativo passa in secondo piano. La priorità non è più quella di assicurare la migliore interpretazione possibile, bensì quella di garantire per lo meno la presenza di un interprete, chiunque egli sia, qualunque sia il suo livello di preparazione o anche, a volte, il suo grado di affidabilità. Data quindi l’importanza del ruolo che l’interprete riveste nell’ambito legale, è fondamentale ribadire l’assoluta necessità di una maggiore uniformità nelle procedure di reclutamento e nomina degli interpreti. Uniformità che non escluderebbe comunque la possibilità di far cadere la designazione su un soggetto diverso da quelli iscritti nei registri tenuti presso le cancellerie dei tribunali, qualora siano richieste competenze specifiche e non già disponibili.

Se da un lato la normativa assegna all’interprete una funzione di tipo “tradizionale”, che lo vede come collaboratore dell’autorità procedente, dall’altro gli viene riconosciuta una funzione “difensiva”, che lo vede piuttosto come collaboratore dell’imputato (Vigoni 1995: 385). La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 10/1993, ha assegnato all’interprete un ruolo specificatamente indirizzato alla tutela della difesa dell’imputato. Di certo, comunque, la mancanza di linee guida precise o di specifiche indicazioni a livello normativo ha fatto sì che l’interpretazione legale in Italia divenisse uno strumento quasi 46 Art. 146 c. 2, in CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006). Napoli: Gruppo Editoriale Esselibri – Simone (p. 110)

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totalmente arbitrario, lasciando sia gli interpreti che gli altri protagonisti della scena legale a decidere liberamente in base alle necessità del momento.

In effetti, presso le cancellerie dei tribunali italiani sono depositati i cosiddetti registri dei periti, che includono anche gli interpreti/i traduttori legali. Normalmente è da questi registri che gli interpreti vengono scelti e in seguito nominati, ma i criteri di iscrizione ai registri varia considerevolmente da tribunale a tribunale, in una situazione generale di completa eterogeneità. Le stesse cancellerie hanno solitamente anche una lista “non ufficiale” di interpreti/traduttori, da utilizzare eventualmente per lingue meno conosciute e per le quali non esistono interpreti iscritti al registro: purtroppo in questi casi spesso l’unico criterio di iscrizione è la pura e semplice conoscenza della lingua47.

Un ultimo problema che incide in modo non indifferente sul ruolo dell’interprete nel panorama legale italiano, oltre alla mancanza di riconoscimento sul piano professionale, è quello che riguarda la mancanza del riconoscimento a livello economico dell’attività interpretativa legale. Il guadagno di un interprete di tribunale nel nostro paese è davvero molto basso e questo fatto influisce negativamente sulla qualità dell’interpretazione. Poiché non esiste in Italia un albo degli interpreti e traduttori, e la loro non è quindi una professione ufficialmente riconosciuta, questi “professionisti della lingua” vengono pagati in base al tempo che effettivamente trascorrono nelle aule di tribunale. Il pagamento viene effettuato, spesso con tempi molto lunghi (a volte più di un anno dopo la prestazione lavorativa), in base alle cosiddette vacazioni, che sono periodi di tempo di due ore: l’interprete riceve così 14,68 euro per la prima vacazione e 8,15 euro per ogni vacazione successiva, per un massimo di quattro vacazioni al giorno48. Questa situazione di mancato riconoscimento, sia professionale che economico, aggiunta alle precarie condizioni 47 GARWOOD C. (2012) 48 Ibidem

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lavorative rendono il mestiere di interprete legale in Italia molto difficile e poco desiderabile. Il risultato di un tale panorama è un peggioramento della qualità dell’interpretazione, che è invece di fondamentale importanza in un delicato contesto quale quello dei procedimenti penali, nei quali dalla prestazione dell’interprete può dipendere il destino dell’imputato. 3.1 La macchina traduttrice e il ponte

In passato l’interprete è stato a lungo considerato come un puro e semplice languageswitching operator49, una macchina traduttrice priva di qualunque forma di partecipazione all’atto comunicativo. Da tempo ormai diversi autori propongono invece di attribuire all’interprete un ruolo più rilevante, vedendolo piuttosto “as an active third participant who can influence both the direction and outcome of the event”50. Questo è quanto sostenuto anche da Bot (2009: 121), la quale definisce il lavoro dell’interprete come un’attività che si svolge lungo un continuum che va dal ruolo di macchina traduttrice a quello di partecipante attivo del procedimento, passando attraverso il concetto di interattività dell’interprete stesso. Ed è essenzialmente da questa nuova visione dell’interprete che nasce tutto il dibattito intorno ad un tema alquanto delicato – soprattutto in ambito legale – come quello della neutralità.

Prima di affrontare nello specifico il dilemma della neutralità nell’interpretazione (di cui si parlerà in maniera più dettagliata nel capitolo quarto), è interessante riprendere l’idea dell’interprete elaborata dal sociologo Georg Simmel (in Wadensjö 1998: 11): nella visione di Simmel l’interprete è l’intermediario che opera per rendere possibile la comunicazione tra due parti. Il dilemma da affrontare è se pensare a questo 49 Garzone G. (2009) (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf) 50 Ibidem

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intermediario come ad un canale assolutamente neutrale e passivo, attraverso cui far passare le informazioni da una lingua all’altra, o se invece considerarlo come un ponte di collegamento tra le parti e attivamente coinvolto nello scambio comunicativo. Lo stesso Gulliver (in Wadensjö 1998: 63-64) ha sostenuto che l’idea dell’interprete come mediatore imparziale è più un concetto che un dato di fatto realizzabile, e a questo proposito propone di definire l’interprete piuttosto come “la terza parte che partecipa alla negoziazione/all’incontro tra le parti coinvolte, esercitando un’inevitabile influenza sull’esito del processo comunicativo”.

Un’altra immagine significativa che è stata attribuita nel tempo alla figura dell’interprete, e che rispecchia la cosiddetta visione trasparente della lingua51, è quella di non-person. In questo senso l’interprete riveste il ruolo di colui che è sì presente allo scambio comunicativo tra le parti, ma è come se non lo fosse. Il suo compito si limita a garantire il passaggio da una lingua all’altra di ciò che viene detto durante un incontro senza che la sua presenza influisca in alcun modo sull’esito dell’incontro stesso, proprio come se fosse una macchina traduttrice. Rimanendo su questa visione dell’interprete, anche Angelelli (2001: 16) parla di invisibilità, sostenendo però come questo sia in realtà il punto di vista sbagliato. Non solo l’interprete è visibile e attivamente presente all’interazione tra le parti, ma influisce anche in modo considerevole sull’esito dell’incontro: “the interpreter brings not just the knowledge of languages and the language-switch. The interpreter brings the self” (Angelelli 2001: 16). Quello dell’interprete invisibile non resta dunque che un mito (Angelelli 2001: 26).

Nel tentare di definire il ruolo dell’interprete, Wadensjö (1998: 277) propone due punti di vista diversi sull’interpretazione. In un certo senso, infatti, l’interpretazione è 51 “The transparent view of language”, in Morris R. (1995) (http://www.ruth-morris.info/wp-content/uploads/2010/03/Moral-Dilemmas.pdf)

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una traduzione (interpreting as translation) da una lingua a un’altra, ma l’interpretazione è anche e soprattutto una forma di interazione (interpreting as interaction). Ciò che l’interprete è chiamato a “tradurre” infatti non sono solamente gli elementi linguistici che prendono vita in uno scambio comunicativo, ma anche e soprattutto gli elementi extra-linguistici che vengono a manifestarsi e che influiscono sull’esito dello scambio. Un ulteriore aspetto da tenere in debita considerazione, come sottolinea la stessa Wadensjö (1998: 278) è che mai, in nessun caso, la lingua di partenza e la lingua di arrivo corrisponderanno in modo esatto.

Se a questo si aggiungono le inevitabili differenze sul piano dei sistemi giuridici e giudiziari dei diversi paesi di provenienza delle parti coinvolte in un procedimento legale, è davvero semplice rendersi conto come sia totalmente inaccettabile pretendere che l’interprete agisca come una pura macchina traduttrice. Se così fosse, molte informazioni importanti – soprattutto a livello extra-linguistico – andrebbero perse, col rischio di compromettere lo stesso procedimento legale. Ammesso che in ogni interazione tra parti parlanti lingue diverse ci sia un’inevitabile mancanza di comprensione reciproca, il compito dell’interprete è quindi proprio quello di colmare il vuoto tra le due parti, ed è esattamente per questo che spesso lo si definisce metaforicamente come un ponte. È comunque vero che nel caso dell’attività interpretativa all’interno delle aule di tribunale la situazione diviene molto delicata e il dibattito intorno alla neutralità si fa decisamente più complesso.

A lungo si è creduto che il principale compito dell’interprete fosse quello della ricerca e del raggiungimento dell’identità perfetta nel processo traduttivo tra lingua di partenza e di arrivo (source e target language). Questa visione “romantica” o “positivista” è legata all’idea che tutto ciò che viene detto in una lingua possa essere detto in un’altra, motivo per cui l’atto interpretativo non è che un puro e semplice processo di

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transcodificazione. La realtà ci mostra però che, al contrario, nessuna traduzione è in grado di rendere perfettamente il messaggio originale e che un certo margine di errore è inevitabile52. La concezione ideale della legge è quella di un interprete invisibile, una macchina traduttrice in grado di rendere in maniera esatta in lingua d’arrivo tutto ciò che è stato detto in lingua di partenza. Il fatto stesso che la si definisca una concezione ideale dimostra che essa sia in realtà irrealizzabile.

Per concludere, come già più volte sottolineato e come efficacemente ribadito da Hale (2004: 12), l’interprete in generale – e l’interprete legale soprattutto – non può limitarsi ad una traduzione meccanica, perché così facendo non ci sarebbe alcuna “interpretazione”, ma una semplice transcodificazione che renderebbe la sua traduzione imperfetta. L’interprete di Hale, così come di molti altri, ha uno scopo da raggiungere e questo scopo è consentire la comprensione reciproca e la comunicazione tra le parti. Proprio per questo egli deve abbattere le barriere linguistiche e costruire un ponte di collegamento tra le parti.

Mettere a disposizione di coloro che non parlano la lingua usata in udienza interpreti che non hanno un’idea ben chiara e definita di quali siano il loro ruolo e il loro compito rappresenta una grave ingiustizia, in quanto si impedisce a queste persone di poter comprendere e di poter essere compresi. Un sistema giuridico che si pretende giusto non può permettersi un tale errore. 3.2 Da dilettante a professionista

Alla base della definizione del ruolo di interprete legale vi è il concetto di “mezzo/canale di comunicazione” (Roberts-Smith 2007: 14) tra le parti coinvolte. Il fallimento del processo 52 Morris R. (1995) (http://www.ruth-morris.info/wp-content/uploads/2010/03/Moral-Dilemmas.pdf)

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comunicativo nelle aule di tribunale, dovuto a mancanza di qualità e competenza nel lavoro dell’interprete, può essere causa di condanna di persone innocenti, o di assoluzione di persone colpevoli, o comunque in generale di sentenze sbagliate o ingiuste. Questo è ciò che può accadere, e che spesso purtroppo accade, quando vengono utilizzati interpreti non qualificati o non competenti.

La mancanza di qualità e competenza è spesso legata al fatto che quella dell’interprete è una professione relativamente recente e spesso non debitamente considerata sul piano professionale. Su questo punto si è dibattuto molto nel corso del tempo, in particolare in seguito alla conferenza tenutasi a Geneva Park in Canada nel 1995 (Wadensjö 2007: 1), durante la quale si è appunto discusso di professionalisation dell’interpretazione. L’aggettivo dilettante riferito al mondo dell’interpretazione si può riferire a due diverse situazioni: sia nel caso in cui i servizi interpretativi vengano forniti in maniera gratuita (ovvero da “volontari”) sia nel caso in cui coloro che lavorano come interpreti non abbiano al riguardo alcuna formazione specifica. La mancanza di formazione, che influisce in modo assolutamente negativo nella performance dell’interprete, ha contribuito a far percepire all’interno della società il bisogno di un processo di professionalizzazione degli interpreti, visto e considerato il peso e l’importanza che la loro attività può avere.

Già nel 1964 Parson aveva proposto alcune caratteristiche che un interprete professionista dovrebbe possedere per definirsi tale, tra cui la cosiddetta neutralità emozionale (ogni persona/utente per cui si lavora deve essere trattato in modo uguale) e naturalmente anche una certa competenza (il processo di professionalizzazione è legato alla formazione individuale del professionista) (in Wadensjö 2007: 2).

Nella definizione del processo di professionalizzazione di Parson viene sottolineata anche l’importanza del rispetto di norme etiche e del mantenimento di una condotta morale

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adeguata. In questo senso, la definizione di Parson rispecchia perfettamente quello che dovrebbe essere il ruolo dell’interprete, in generale e specificatamente nell’ambito legale, dove professionalità, qualità e competenza sono elementi indispensabili alla garanzia della tutela di diritti umani fondamentali come il diritto alla difesa e ad un equo e giusto processo. 4 Il mediatore linguistico - culturale

Nel panorama italiano dell’interpretazione si tende spesso a sovrapporre le due figure dell’interprete e del mediatore linguistico - culturale. Questa ambiguità e questa incertezza nella scelta di un termine specifico per riferirsi ai professionisti della lingua nell’area dell’interpretazione di comunità – all’interno della quale si trova appunto la mediazione/interpretazione legale – rispecchia sostanzialmente, e come anche sottolineato da Garzone53, l’insufficiente chiarezza che regna nel nostro paese in termini di profili e ruoli di questi due protagonisti del mondo interpretativo. In Italia è da tempo in corso un acceso dibattito proprio in merito alla terminologia da usarsi quando ci si riferisce ai cosiddetti “esperti della lingua” che operano sia sul piano sociale che giuridico e giudiziario: essi sono interpreti, mediatori linguistici o mediatori culturali?

Uno dei pochi punti di riferimento al riguardo può essere rappresentato dalla legge 6 marzo 1998 n. 40 (legge Turco - Napolitano), dove per la prima volta emerge la figura del mediatore inter-culturale con una breve disposizione all’interno del “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” – testo approvato con d.lgs. 25 luglio 1998 n. 286 – che all’art. 42

53 Garzone G. (2009) (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf)

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prevede: Lo Stato, le regioni, le province e i comuni […] favoriscono la realizzazione di convenzioni con associazioni […] per l’impiego all’interno delle proprie strutture di stranieri […] in qualità di mediatori interculturali al fine di agevolare i rapporti tra le singole amministrazioni e gli stranieri appartenenti ai diversi gruppi etnici, nazionali, linguistici e religiosi.54

La particolarità che caratterizza il nostro paese è proprio però l’uso sistematico del termine mediatore ogni qualvolta ci si riferisca ad un professionista della lingua in ambito comunitario, o anche più in generale a tutte le forme di assistenza linguistica che vengono fornite a livello sociale e legale.

In un interessante contributo sulla mediazione linguistico - culturale Fiorenza Maffei55 (Vice Questore aggiunto della Polizia di Stato) illustra in dettaglio proprio la figura del mediatore linguistico - culturale e del suo utilizzo in ambito legale, in particolare nell’ambito della garanzia della sicurezza. Innanzitutto occorre precisare che all’interno degli uffici di polizia non è prevista, proprio da un punto di vista istituzionale, la figura del mediatore culturale. Gli unici “esperti della lingua” riconosciuti istituzionalmente nel panorama giuridico italiano sono gli interpreti, che prestano servizio in qualità di dipendenti del Ministero dell’Interno. La grossa differenza che si può immediatamente stabilire tra la figura dell’interprete e quella del mediatore in Italia è che mentre l’opera del primo resta normalmente ristretta all’ambito della “traduzione” – tenendo comunque debito conto del contesto culturale di riferimento delle parti coinvolte – l’attività del mediatore si allontana maggiormente dalla semplice intermediazione linguistica, in

54 Ibidem 55 Maffei F., La Mediazione Linguistico - culturale e Aspetti di Sicurezza. In Miller D., Pano A. (a cura di), La Geografia della Mediazione Linguistico - culturale. Quaderni del CeSLiC, Bologna 2009. (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf)

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quanto il suo compito è essenzialmente quello di “creare un contatto”. L’opera del mediatore, in quanto conoscitore della cultura e delle tradizioni del Paese di provenienza della vittima/dell’indagato, è quindi assolutamente preziosa e per questo dovrebbe interagire con le dinamiche investigative e giudiziarie56 in modo da garantire un migliore servizio ed una maggiore tutela, sia sul piano linguistico che legale.

Per quanto si tratti di un’attività professionale ancora indefinita, soprattutto sul piano normativo nazionale, la mediazione culturale si è comunque sviluppata in modo pressoché inevitabile nell’ambito degli Enti Locali: le Regioni si sono spesso attivate al riguardo, non solo con iniziative specifiche, ma anche proprio da un punto di vista normativo. Tanto per fare un esempio, la Regione Emilia Romagna con la legge 24 marzo 2004 n. 5, all’art. 17 ha previsto il consolidamento delle competenze del mediatore socio-culturale, cercando di valorizzarne la specifica professionalità. Sulla scia di tale norma poi, la Giunta regionale con delibera 30 luglio 2004 n. 1576 ha emanato le prime disposizioni inerenti proprio la figura professionale del mediatore interculturale, indicando tra gli ambiti di operatività anche il settore giudiziario, accanto ai servizi sociali, scolastici e sanitari.

Ciò di cui non si può non tener conto è comunque la grande differenza che esiste tra le due diverse figure dell’interprete e del mediatore, soprattutto in ambito giuridico e giudiziario. Come tra l’altro anche Garzone suggerisce all’interno di un suo contributo sulle figure dell’interprete e del mediatore57 emerge in modo prepotente la necessità di fare chiarezza sui profili di queste due figure professionali, in quanto solo con un chiarimento della diversità e della specificità dei ruoli si può contribuire a promuoverne lo statuto (ad oggi mancante) e fare quindi un passo

56 Ibidem 57 Garzone G. (2009) (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf)

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avanti verso un riconoscimento da troppo tempo auspicato e tutt’ora ben lontano dall’essere attuato. 5 Gli altri professionisti in ambito legale: periti, esperti e ausiliari

Parlando di soggetti chiamati a compiere opere di mediazione linguistica in ambito giuridico - giudiziario è facile cadere nella tentazione di ricercare affinità, somiglianza ed assimilazioni con le altre figure presenti sulla scena processuale (Curtotti Nappi 2002: 280). In particolare non si può non notare la forte affinità tra l’interprete e il perito: entrambi infatti sono chiamati ad assolvere il loro compito grazie alle loro conoscenze tecniche e alle loro specializzazioni, senza però alcun apporto di carattere personale. La vicinanza di queste due figure è però relativa. L’interpretazione, in effetti, non è semplicemente l’attività diretta a commutare in un linguaggio noto un’enunciazione originariamente incomprensibile (Curtotti Nappi 2002: 282), anche se fondamentalmente è questo il suo fine. L’interpretazione è in realtà un processo ben più complesso, che si sviluppa in due differenti momenti: un momento ricognitivo e un momento riproduttivo. Il messaggio originale quindi viene in un primo momento decodificato e successivamente ri-codificato in un’altra lingua. E benché l’interpretazione imponga un giudizio, essa non produce a sua volta un giudizio, ma semplicemente consiste in un’operazione di fedele riproposizione della dichiarazione originale. In questo senso, l’attività interpretativa non coincide con e non somiglia nemmeno all’attività del perito. Non c’è infatti, da parte dell’interprete, alcuno scopo di convincimento del giudice, come invece accade per il perito. L’interpretazione, per quanto fondamentale ai fini di un equo e giusto processo, non deve incidere sulle decisioni prese dal giudice in merito alla colpevolezza o all’innocenza di un

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imputato, ma semplicemente consentire la comunicazione e la comprensione reciproca tra le parti. Per questo l’interprete non va considerato quale un mero ausiliario delle autorità, quanto piuttosto un garante degli interessi di tutti i protagonisti della vicenda processuale (Curtotti Nappi 2002: 285).

Non a caso il terzo comma dell’art 143 del codice di procedura penale prevede che l’interprete debba essere nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l’ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare58, respingendo in questo modo l’idea di un interprete-collaboratore con i soli organi di giustizia. Se proprio si vuole parlare dell’interprete come di un collaboratore o di un ausiliare, si può definirlo semplicemente coadiutore della giustizia (Curtotti Nappi 2002: 286): non ausiliario dell’autorità giudiziaria dunque, bensì collaboratore di tutti i soggetti coinvolti nel processo.

Si è accennato alla relativa vicinanza delle due figure del perito e dell’interprete. Longhi59, in un suo contributo sulla figura dell’interprete nel processo penale italiano intitolato “L’interprete nel Processo Penale Italiano: Perito, Consulente Tecnico o Professionista Virtuale?”, ha elaborato un’interessante riflessione proprio riguardo alle affinità/divergenze tra l’interprete forense, il perito e il consulente tecnico. Premesso che nel nostro paese non è al momento presente un albo degli interpreti e dei traduttori, in ambito giuridico essi generalmente confluiscono nell’albo dei consulenti tecnici e dei periti60. La nomina di un perito è motivata dalla necessità del giudice di avvalersi di competenze tecniche specializzate61 indispensabili

58 In CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006). Napoli: Gruppo Editoriale Esselibri – Simone (pag. 109) 59 Longhi A. (2004) (http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=350_0_2_0_M) 60 L’albo dei consulenti tecnici è tenuto presso il tribunale civile, mentre l’albo dei periti è tenuto presso il tribunale penale. 61 In CODICE DI PROCEDURA PENALE (2006). (pag. 128)

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per accertare i fatti e formulare un giudizio. La perizia (attività del perito) assume perciò un carattere di eccezionalità, nel senso che il perito è nominato esclusivamente quando la sua presenza risulti necessaria per colmare una mancanza di competenze tecniche da parte delle autorità giudiziarie. La perizia è inoltre importante per le parti stesse in quanto garanzia di giudizio tecnico qualificato.

Una volta acquisita, la perizia non ha comunque valore vincolante ai fini della decisione dell’autorità giudiziaria, ma resta semplicemente uno degli elementi probatori che possono essere utilizzati, o meno. Diversa dalla perizia è invece la consulenza tecnica: mentre la prima è disposta dal giudice (anche se importante strumento a tutela delle parti), la seconda è disposta dalle parti stesse. Il consulente tecnico è quindi chiamato a prestare la sua opera nel solo interesse della parte che lo ha nominato, e non è pertanto tenuto all’obiettività (impegno che i periti sono invece chiamati a rispettare).

Un quesito interessante che viene posto nel contributo di Longhi è questo: se il perito viene nominato dal giudice per ovviare a una situazione di disagio dovuta alla necessità di avvalersi di competenze altamente specializzate e indispensabili alla valutazione di un fatto che concorre a formare il giudizio, cosa può esserci di più indispensabile della comprensione linguistica al fine di valutare i fatti62? In un certo senso si potrebbe dire che l’interprete svolge una funzione davvero molto simile a quella del perito nel momento in cui l’autorità procedente si avvale delle sue competenze linguistiche per la comprensione di quanto affermato dall’imputato o da eventuali testimoni alloglotti. Altri fattori che avvicinano l’interprete al perito sono la procedura di nomina e di notifica dell’incarico, l’obbligatorietà dell’ufficio e le cause di incapacità e incompatibilità. Se la figura del perito e quella dell’interprete 62 Longhi A. (2004) (http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=350_0_2_0_M)

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hanno importanti elementi che le avvicinano, per quanto riguarda il consulente tecnico – nominato direttamente dalle parti – si potrebbe invece accostarlo alla figura del cosiddetto interprete di parte o interprete fiduciario, che è appunto nominato dalle parti e ad esse vincolato per contratto, al punto da essere qualificato in termini di difensore tecnico. Da un lato quindi l’interprete d’ufficio sembra effettivamente assimilabile alla categoria dei periti, dall’altro l’interprete di parte sembra svolgere un ruolo più simile a quello del consulente tecnico. Come già sostenuto però, per quanto quella dell’interprete – al pari di quella del perito e del consulente – sia un’attività ad alto contenuto specialistico (competenze linguistiche), essa non incide a livello probatorio, motivo per cui è sbagliato mettere su un identico piano l’attività peritale o di consulenza e quella specificatamente interpretativa.

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Capitolo Terzo

L’ITALIA E IL RESTO DEL MONDO

Effective communication and understanding is the key to the

constitutional protections each of us is guaranteed.

(Catherine Gill – William E. Hewitt)63

In che modo, quando, da parte di chi e in base a quali criteri qualitativi i servizi di interpretazione e traduzione devono essere forniti in modo da garantire a coloro che non parlano o non comprendono a sufficienza la lingua italiana di partecipare pienamente al procedimento? L’unica risposta, seppur molto vaga, a questo importante quesito che riguarda la realtà giuridica del nostro paese è quella che viene fornita dal codice di procedura penale64, il quale si limita però a porre come requisito alla traduzione/interpretazione il fatto che essa debba essere resa “bene e fedelmente” (Garzone et al. 2002: 211). 1 La qualità dell’interpretazione

L’interpretazione è un processo piuttosto complesso e soggetto a limitazioni. Innanzi tutto, se si tiene conto delle inevitabili differenze che le lingue coinvolte presentano, è fondamentale tenere presente che ciò che il parlante dice

63 Gill C., Hewitt W. E. (1996), Improving Court Interpreting Services: What States Are Doing (http://www.ncsconline.org/wc/publications/Res_CtInte_StateCrtJV20N1WhatStatesAreDoingPub.pdf) 64 Art. 146 comma 2 – Conferimento dell’incarico

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potrebbe in ogni momento risultare ambiguo. Ed è proprio questa ambiguità che spesso impedisce all’interprete di produrre una versione “accurata” e precisa del messaggio originale (Colin, Morris 1996: 17). È inoltre doveroso considerare l’elevato numero di “ostacoli” o limitazioni che possono influire sul lavoro dell’interprete, come ad esempio l’acustica di un’aula di tribunale o eventuali rumori provenienti dall’esterno. Si tratta in questo caso di elementi esterni, ma non mancano certo anche diversi elementi cosiddetti “interni”, che possono influenzare – e che spesso in effetti influenzano – la qualità dell’operato dell’interprete. Questi aspetti riguardano ad esempio la familiarità dell’interprete con l’argomento trattato in un particolare processo, oltre alla possibilità – quasi sempre assente – di prepararsi rispetto all’argomento trattato. A influenzare la qualità dell’interpretazione contribuiscono inoltre la competenza dell’interprete relativamente alle lingue utilizzate in aula, e naturalmente la sua capacità strettamente interpretativa legata principalmente alla scelta della tecnica di interpretazione (Colin, Morris 1996: 18).

Ciò che di conseguenza è lecito domandarsi è: cosa fa di un interprete un buon interprete? In altre parole, cosa fa di un’interpretazione di qualità? Secondo Franz Pöchhacker (2000: 96-99) la qualità dell’interpretazione può essere definita o percepita in modi diversi, ma vi sono alcuni concetti chiave fondamentali sui quali tutti gli esperti si trovano d’accordo. Questi concetti sono precisione, chiarezza e fedeltà. Ciò che viene quindi chiesto all’interprete è pensare e agire nella prospettiva della lingua e, soprattutto, del testo di arrivo, il quale dovrebbe rappresentare un’immagine fedele, una riproduzione praticamente perfetta del messaggio originale. Ed è proprio per questo che risulta fondamentale effettuare scelte espressive precise.

In merito alla chiarezza, essa esprime un altro importante aspetto della qualità interpretativa, ovvero l’orientamento nei

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confronti di chi ascolta e percepisce l’interpretazione. Scopo ultimo del traduttore è pertanto quello di effettuare scelte accurate che garantiscano da un lato la piena comprensione del messaggio e dall’altro la realizzazione di un messaggio fedele all’originale.

Per parlare di qualità dell’interpretazione Garzone – basandosi sul modello di Gideon Toury – propone di definirla in termini di norme (2000: 110): in questo senso per norme possono intendersi forme di autocontrollo e autoregolamentazione che gli interpreti possono decidere di imporre a se stessi in determinati contesti allo scopo di raggiungere certi standard qualitativi, a loro volta stabiliti e definiti sulla base di una qualche forma di normativa o regolamentazione sociale. Le norme vigenti in una società sono infatti generalmente accettate e rispettate da tutti i membri di quella società, e si esprimono nei comportamenti e negli atteggiamenti che i parlanti hanno in determinate situazioni comunicative. Garzone definisce quindi la qualità interpretativa in termini essenzialmente normativi, definendola in sostanza il prodotto di una norma sociale.

Tra i numerosi contributi sul tema della qualità interpretativa, anche quello di Kalina (2000: 124) insiste sull’importanza di non dover limitare il giudizio sulla qualità basandosi esclusivamente sulla performance dell’interprete. In particolare, vanno considerate anche le condizioni in cui l’interpretazione viene effettuata, ovvero tutti quegli elementi esterni che possono avere un impatto negativo su di essa. Altri spetti di cui tener conto sono inoltre il numero e, in particolare, il ruolo dei partecipanti all’atto comunicativo. Infine, una certa importanza è comunque rivestita dalle competenze personali e dalla professionalità dell’interprete stesso. Kalina (2000: 126) elenca in maniera dettagliata le caratteristiche che un buon interprete non può fare a meno di possedere, facendo una distinzione tra capacità a livello fisico/mentale (tolleranza dello stress ed elevata capacità di concentrazione) e competenze a livello linguistico/comunicativo

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(trasferimento di concetti da una lingua all’altra, conoscenza delle tematiche trattate, preparazione, predisposizione al lavoro di squadra ed etica professionale). Competenze maggiormente specifiche riguardano, infine, la comprensione e la produzione linguistica anche in difficili condizioni comunicative, la conoscenza delle terminologie adeguate e del loro utilizzo, conoscenze sul piano interculturale e competenze sul piano delle strategie interpretative. 2 Il reclutamento e la formazione

Le critiche espresse nei confronti degli interpreti e del loro lavoro sono piuttosto diffuse. Quando all’interno di un processo comunicativo – in cui è presente l’interprete – si verifica una qualche incomprensione, spesso è proprio l’interprete ad esserne incolpato o accusato (Hale 2004: 1). Come Hale specifica, se da un lato è vero che gli interpreti vengono a volte ingiustamente ritenuti gli unici responsabili del “fallimento comunicativo” tra le parti, è altrettanto vero che proprio ad essi spetta il compito di migliorare le proprie capacità ed incrementare le proprie competenze, in modo da garantire un adeguato livello qualitativo (2004: 1).

Nell’ottica di Wadensjö, anche lei consapevole della critica situazione in cui spesso vengono a trovarsi gli interpreti che operano nell’ambito legale, vi sono alcuni importanti aspetti che devono essere tenuti in debita considerazione. Innanzi tutto gli interpreti devono avere una piena consapevolezza di quali siano le responsabilità della loro professione. In secondo luogo, è necessario che gli interpreti acquistino una certa familiarità con il sistema legale in vigore nel paese in cui essi prestano il proprio servizio, facendo in particolare attenzione alla grande importanza che la lingua ha all’interno delle aule di tribunale. Inoltre, è fondamentale che gli altri protagonisti della scena giudiziaria –

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giudici e avvocati soprattutto – comprendano quale sia il ruolo dell’interprete all’interno del procedimento. L’ultimo aspetto, di assoluta importanza, è che, in qualità di professionisti della lingua, agli interpreti vengano garantiti un giusto riconoscimento economico ed adeguate condizioni lavorative (Hale 2004: 2).

Un aspetto sicuramente non trascurabile, e strettamente correlato alla qualità dell’interpretazione – è la formazione degli interpreti. È grazie ad essa, infatti, che essi possono prendere effettiva coscienza dell’importanza del loro ruolo e, di conseguenza, della necessità di garantire una certa qualità interpretativa. A livello nazionale in diversi paesi, ma anche a un livello transnazionale europeo, sono stati sviluppati in tempi recenti importanti progetti di uniformizzazione sia sul piano formativo che del riconoscimento professionale degli interpreti (Garzone 2003: 141). In tal senso, negli ultimi due decenni in particolare si è assistito ad un incremento notevole di corsi di formazione e aggiornamento, conferenze e pubbliche discussioni riguardanti proprio l’interpretazione in ambito pubblico65. Il fatto stesso che gli interpreti che operano nei servizi pubblici, tra cui appunto gli interpreti legali, si trovino spesso ad operare e “collaborare” con gli strati più vulnerabili della società (Garzone 2003: 142) dimostra in modo ancora più incisivo l’importanza dell’elemento formativo. È infatti nell’interesse di tutti – istituzioni, sistema giuridico, autorità, utenti e professionisti della lingua di ogni genere – incoraggiare lo sviluppo (laddove ancora manca) o il miglioramento (laddove invece già esiste) del sistema formativo degli interpreti e delle loro condizioni lavorative, in modo tale da garantire un’efficace ed efficiente comunicazione tra le parti.

In molte realtà nazionali, tra cui purtroppo va considerato anche il nostro paese, spesso gli interpreti che operano in ambito

65 Come già specificato in precedenza, l’interpretazione in ambito legale viene considerata come una parte della più ampia interpretazione nell’ambito dei servizi pubblici (Public Service Interpreting).

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legale non ricevono – per uno svariato numero di ragioni, che vanno dalla mancanza di consapevolezza dell’importanza del ruolo rivestito dagli interpreti, alla più cruda e semplice mancanza di fondi – un’adeguata formazione. In particolare, una delle mancanze che maggiormente si percepisce, è proprio la carenza sul piano dell’offerta formativa a livello accademico: è piuttosto scarso il numero di corsi e programmi a livello universitario specificatamente dedicati alla mediazione linguistica di comunità e ancor più specificatamente legale.

Oltre al problema concernente la formazione degli interpreti, un altro problema – tra l’altro particolarmente sentito in Italia – è quello che riguarda il reclutamento, ovvero la selezione e il conferimento degli incarichi agli interpreti che operano in ambito legale, che è poi strettamente connesso ad un altro problema, che è quello riguardante il processo di professionalizzazione degli interpreti stessi. Proprio il mancato riconoscimento sul piano professionale è spesso alla base di una qualitativamente scarsa selezione degli interpreti. In particolare, come tra l’altro già detto in precedenza e come anche ribadito da Wadensjö (1998: 53), sono ancora troppe le persone che ritengono che la conoscenza di una lingua sia elemento sufficiente per operare in qualità di interprete. 3 Una finestra sulla realtà italiana

Rispetto a quanto detto precedentemente, sembra mancare

ancora in Italia una generale consapevolezza dell’importanza del ruolo svolto dall’interprete nell’ambito del procedimento penale, divenuto ormai negli ultimi anni bilingue o addirittura plurilingue, così come delle difficoltà linguistiche riscontrabili nell’attività traduttivo - interpretativa. Questa mancanza di consapevolezza è dimostrata dallo scarso riconoscimento normativo ed economico del ruolo particolare e importante svolto

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appunto dall’interprete forense. Tra l’altro le autorità giudiziarie italiane non dispongono nemmeno di un albo degli interpreti e dei traduttori che possa garantire la professionalità del loro lavoro66. Questo fa sì che il nostro paese si trovi in una posizione piuttosto arretrata rispetto ad altri paesi europei, o del resto del mondo, nei quali maggiore è l’attenzione che è stata riservata all’importanza dell’attività interpretativa e traduttiva in ambito legale. È vero anche che a seguito dell’entrata in vigore della direttiva europea 2010/64/EU tutti i paesi membri dell’Unione Europea sono stati chiamati ad agire concretamente in modo da garantire maggiore regolamentazione e uniformità, motivo per cui importanti cambiamenti dovrebbero avvenire presto anche nel nostro paese. I tempi non sono però ancora sufficientemente maturi per cogliere i frutti di questa trasformazione in atto.

3.1 Italia: terra di lacune

Sul piano dell’interpretazione e della mediazione legale, il nostro paese si trova purtroppo in una situazione di grande incertezza. In particolare, la mancanza di una chiara distinzione tra la figura dell’interprete e quella del traduttore, o tra chi sia un professionista e chi invece non lo sia, è l’inevitabile risultato dell’assenza di una vera e propria regolamentazione di queste due professioni (Garzone et al. : 210). Innanzi tutto, come già detto in precedenza, non esiste in Italia un registro ufficiale degli interpreti e dei traduttori, così come non esiste alcun regolamento o legge che imponga che la professione possa essere svolta solo da coloro che sono in possesso di una qualifica o di un titolo rilasciati da scuole o università specializzate. Al momento attuale, infatti, chiunque conosca la lingua può essere “scelto” dalle autorità per prestare il proprio servizio di interprete o 66 Longhi A. (2004) (http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=350_0_2_0_M)

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traduttore. Ciò non significa che nel nostro paese non vi siano alcun interesse o attenzione nei confronti della qualità dell’interpretazione. Semplicemente non esistono attualmente mezzi certi per garantire il controllo di tale qualità. Molto di conseguenza è lasciato alla libera discrezione delle autorità giudiziarie, sia in termini di selezione, sia in termini di assegnazione degli incarichi. Un simile stato di incertezza si traduce spesso, e purtroppo, in un scarso riconoscimento sul piano economico, che inevitabilmente incide in maniera negativa anche sul riconoscimento a livello professionale.

Alla base dei principali problemi presenti nel nostro paese sul piano dei servizi di interpretazione e traduzione in ambito legale sembra esserci quindi un vuoto di tipo normativo. Manca ad esempio una chiara e precisa definizione dei criteri con cui stabilire quando sia necessaria la presenza dell’interprete. Per quanto il diritto all’interprete sia un diritto esercitabile da tutti coloro – e quindi non solo stranieri – che non parlano la lingua italiana, così come anche da coloro che non la comprendono, resta da stabilire il livello di incomprensione linguistica tale da richiedere la presenza dell’interprete. Generalmente la nomina dell’interprete è ritenuta superflua quando si ha prova che l’imputato abbia una “buona” conoscenza della lingua italiana, tale da permettergli la comprensione del contenuto degli atti scritti a lui indirizzati e di interloquire in udienza in modo comprensibile per tutti gli altri protagonisti della vicenda processuale (Curtotti Nappi 2002: 352). Manca invece chiarezza rispetto al soggetto a cui spetti l’onere di dimostrare la mancata conoscenza della lingua italiana e della quindi relativa esigenza di un supporto linguistico da parte dell’interprete (Curtotti Nappi 2002: 353): resta infatti da stabilire se la richiesta debba pervenire dallo stesso imputato o se spetti invece all’autorità procedente. L’art. 143 del codice di procedura penale non pone infatti l’obbligo di nomina dell’interprete, lasciando all’interessato la libertà di decidere se usufruire o meno di tale

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assistenza. Ciò non implica comunque che la richiesta possa pervenire dall’autorità stessa, nel caso in cui la ritenga necessaria.

L’assenza di chiarezza in merito ai criteri in base ai quali stabilire in quali casi la presenza dell’interprete sia necessaria e a chi spetti l’onere di “evidenziare” tale necessità non è purtroppo l’unico vuoto da colmare all’interno del nostro apparato normativo. Oltre all’assenza di linee guida per valutare il grado di conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, altre gravi lacune normative sono, come in parte già annunciato:

1. la mancata distinzione fra le competenze dell’interprete e del traduttore;

2. il soggetto che presiede alla nomina dell’interprete; 3. i criteri che dovrebbero guidare l’accertamento della

idoneità e delle competenze della persona nominata67. Per quanto riguarda il primo punto, è già stato ribadito come il codice di procedura penale non si riveli in questo caso particolarmente chiarificatore. Gli articoli del codice68, per quanto contenuti all’interno di una sezione denominata “Traduzione degli atti” richiamano sempre ed esclusivamente la figura dell’interprete, affidandogli entrambi i compiti, ossia l’attività prettamente traduttiva e quella interpretativa. Per quanto riguarda, invece, il secondo punto, l’art 143 del codice si riferisce al soggetto cui spetta la nomina dell’interprete con un generico appellativo di “autorità procedente”, senza alcuna specificazione. Rispetto al terzo punto, infine, nessuna normativa fornisce indicazioni precise circa i criteri di scelta e di nomina dell’interprete. Pur essendo la qualità della performance interpretativa un presupposto fondamentale per il pieno esercizio del diritto alla difesa dell’imputato non italoglotta, la normativa purtroppo non propone alcuna linea guida precisa al riguardo.

67 Ibidem 68 Artt. 143-147 (Libro II “Atti” – Titolo IV “Traduzione degli atti”)

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È quindi lecito domandarsi quali qualifiche, competenze e capacità permettano all’interprete di adempiere bene il suo servizio, così come quali siano i criteri cui un interprete dovrebbe attenersi perché la sua interpretazione sia fedele. “Bene e fedelmente” sono infatti gli unici, seppur vaghi, criteri stabiliti all’interno del codice di procedura penale69. Un ultimo elemento di riflessione proposto da Longhi70 è il fatto che l’attuale formulazione della legge italiana lascia intendere che l’incarico di interprete possa essere conferito a chiunque sia ritenuto capace di adempiere l’ufficio, e che essere “professionisti” o possedere un titolo specifico sia auspicabile ma non vincolante. Quest’ultimo punto, dimostra ancora una volta la grave situazione in cui versa il nostro paese da un punto di vista della regolamentazione di quella che dovrebbe essere una prestazione professionale specializzata e che invece è sempre troppo spesso abbandonata al caso o al libero arbitrio delle autorità. 3.2 L’indagine empirica presso il Tribunale di Roma71

Nel corso dell’anno 2009 è stata svolta una doppia indagine presso il Tribunale di Roma – il più grande in Europa – con lo scopo di analizzare la figura del traduttore-interprete giudiziario

69 Art. 146 comma 2: “ [L'autorità procedente] ammonisce […] [l’interprete] sull'obbligo di adempiere bene e fedelmente l'incarico affidatogli, senz'altro scopo che quello di far conoscere la verità […]. 70 Longhi A. (2004) (http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=350_0_2_0_M) 71 I dati sono stati estratti dal contributo della Prof.ssa Anna Caterina Alimenti intitolato “I Magistrati Presso il Tribunale Penale di Roma: Un’indagine Empirica” intervenuta all’evento formativo ANTIMI (Associazione Nazionale dei Traduttori e degli Interpreti del Ministero degli Interni) sul tema “Traduzione Giuridica e Riconoscimento degli Interpreti che Operano in Ambito Giudiziario e di Polizia” tenutosi a Bologna il 22 maggio 2010, e dal contributo della Prof.ssa Annalisa Sandrelli intitolato “Gli Interpreti Presso il Tribunale Penale di Roma : Un’Indagine Empirica” (http://www.intralinea.it/volumes/eng_more.php?id=936_0 _2_0_M%)

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in Italia72, indagine che si è rivelata particolarmente interessante in quanto, per la prima volta, oltre ad alcuni interpreti sono stati intervistati anche alcuni magistrati e PM.

Sulla base di quanto dichiarato da coloro a cui è stato sottoposto il questionario, sono emersi alcuni interessanti elementi di riflessione sulla realtà dell’attività traduttivo - interpretativa nel nostro paese. In particolare è emerso come l’interprete abbia un ruolo assolutamente centrale nel corso del procedimento, essendo la voce dell’imputato stesso, il suo unico e fidato canale di comunicazione, colui il cui operato può divenire l’elemento chiave per formulare una sentenza. Grande incertezza emerge invece purtroppo in merito ai criteri di conferimento dell’incarico di interprete: allo stato attuale la maggior parte dei magistrati si basa infatti su criteri differenti, lasciando ampio margine alla discrezionalità e impedendo di conseguenza lo sviluppo di un sistema uniforme.

In generale, ciò che di più interessante emerge è l’immagine piuttosto variegata e spesso anche offuscata dell’interprete legale, a volte visto addirittura come un “tuttologo” che per il solo fatto di conoscere una lingua ne debba conoscere anche tutti i vari “linguaggi”, tra l’altro spesso sconosciuti all’interprete stesso anche nella sua lingua madre. Ciò che purtroppo invece gli intervistati non hanno riconosciuto è che uno dei principali punti di forza del lavoro di un interprete è proprio la “preparazione del caso specifico”. Al tempo stesso c’è però la convinzione che un’interpretazione errata o la mancanza di professionalità possano compromettere, anche gravemente, l’andamento e/o l’esito del processo.

72 Indagine confluita nelle tesi di laurea di Davide Carnevali (2009), L’interprete al tribunale penale di Roma: assunti teorici e risvolti pratici, e Irene Atanasio (2010), Regolamentazione e formazione del traduttore-interprete di tribunale: presupposti fondamentali per garantire un equo accesso alla giustizia, presso la Facoltà di Interpretariato e Traduzione, LUSPIO di Roma. (in Alimenti A.C., 2010 e Sandrelli A., 2010).

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Per quanto riguarda in particolare gli interpreti intervistati (in totale 41), anche in questo caso sono emersi alcuni dati interessanti. Nello specifico, uno degli aspetti che invitano maggiormente alla riflessione è il fatto che in diversi abbiano dichiarato di lavorare regolarmente per il Tribunale pur non essendo iscritti al registro dei periti. Come già detto in precedenza, la legge italiana73 consente all’autorità giudiziaria, motivandone la scelta, la nomina di un perito non iscritto al registro. Tuttavia, la nomina di interpreti non iscritti dovrebbe essere limitata alle situazioni in cui le esigenze del caso non siano soddisfatte dal registro, come ad esempio nel caso di una lingua straniera o di un dialetto particolarmente rari e per i quali non è disponibile alcun interpeti tra quelli iscritti al registro dei periti del Tribunale.

Ancora più preoccupante è quanto emerge dal fattore “formazione”. La maggioranza degli interpreti intervistati è sostanzialmente autodidatta: sono numerosi infatti coloro che hanno dichiarato di aver imparato “sul campo” e di non aver quindi ricevuto una specifica formazione all’attività traduttivo - interpretativa. Un dato confortante è invece che la maggior parte degli intervistati si è mostrato pienamente consapevole dell’importanza e della necessità dell’avere una conoscenza approfondita del linguaggio e del sistema giuridico utilizzato nelle diverse lingue. È proprio grazie a questo tipo di conoscenza infatti che l’interprete è in grado di fornire un’interpretazione fedele e, soprattutto, adeguata.

Se tra i magistrati e i PM non viene data eccessiva importanza alla cosiddetta “preparazione al caso specifico”, la questione è invece particolarmente sentita da parte degli interpreti, i quali ritengono sia che dovrebbe essere sempre fornita l’informazione sufficiente sull’incarico affidato sia che dovrebbe essere concesso un tempo ragionevole per la preparazione al caso. 73 Art. 221 c. 1 del Codice di procedura penale (http://www.altalex.com/index.php? idnot=2011)

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Proprio questi due aspetti sono infatti considerati come i più problematici del mestiere di interprete. Un ulteriore elemento di preoccupazione che emerge è l’evidente disomogeneità nell’approccio all’attività interpretativa, disomogeneità peraltro già riscontrata anche tra i magistrati. Un ultimo aspetto negativo riguarda infine il rapporto tra remunerazione e soddisfazione personale. Come tra l’altro già precedentemente affermato, le principali cause della diffusa insoddisfazione che colpisce gran parte degli interpreti intervistati sono dovuti all’assenza di un adeguato riconoscimento del proprio ruolo e nell’estrema precarietà del lavoro. 3.3 Il caso Yesmin Akter

Come già accennato all’inizio di questa dissertazione, l’incremento del fenomeno migratorio ha portato nel tempo all’aumento dei casi in cui la giustizia italiana è chiamata a giudicare persone straniere che non parlano la nostra lingua, e che necessitano quindi dell’intervento di un intermediario linguistico. Purtroppo ancora oggi nelle aule di giustizia si assiste con una frequenza a dir poco sconcertante a gravi violazioni del diritto all’interprete, come chiaramente rilevato dall’avvocato Luciano Faraon74, il quale sottolinea ancora una volta la mancanza in Italia di una vera e propria normativa che regoli la professione di interprete. In particolare, nel momento in cui l’art. 24 comma 3 della nostra Costituzione prevede che anche ai non abbienti siano assicurati i mezzi per agire e difendersi in giudizio, tutelando i propri diritti e i propri interessi legittimi, ne consegue che anche agli stranieri debba essere consentita l’esplicazione della loro tutela difensiva. Il fatto di avvalersi di un interprete

74 Faraon L. (2008). Diritto di Difesa dello Straniero dopo la Sentenza 254/2007 della Corte di Cassazione. (http://www.diritto-in-rete.com/articolo.asp?id=797)

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consente all’imputato straniero di soddisfare le sue più elementari necessità difensive, dalla traduzione degli atti all’ancor più primaria esigenza di poter conferire con il proprio difensore.

Il caso di riferimento per l’intervento dell’avv. Faraon riguarda nello specifico un caso di omicidio avvenuto in Italia nel 2004, in cui la signora Yesmin Akter, originaria del Bangladesh e priva di conoscenza della lingua italiana, è stata accusata e poi ingiustamente condannata per la morte del marito. Si tratta di un caso eclatante nel quale una donna innocente è stata condannata e ha dovuto scontare due anni di ingiusta carcerazione a causa della negligenza dell’interprete nominato dalle autorità. Le traduzioni fornite dall’interprete incaricato dal giudice si sono infatti rivelate errate fin dal principio e il processo sarebbe continuato in una situazione di assoluta impossibilità di qualsiasi forma di difesa ragionevole se ad un certo punto non fosse stato presente l’interprete della difesa, l’unico a rendersi conto che la traduzione fornita era errata.

Come giustamente ribadito dall’avv. Faraon, il cittadino straniero che venga a trovarsi in stato di detenzione (come accaduto alla signora Akter) perché non posto nelle condizioni di difendersi, essendo sprovvisto di un suo interprete, comporta una plurima violazione di legge. In particolare, poi, l’importanza della preparazione dell’interprete emerge con la massima chiarezza da questo caso specifico: a causa dell’incapacità dell’interprete nominato dalle autorità la signora Yesmin Akter è stata sottoposta ad ingiusta custodia cautelare per oltre ventitre mesi e successivamente rinviata a giudizio in qualità di imputata, mentre era stata in realtà solamente testimone dell’omicidio del marito75.

Il caso di Yemisn Akter mostra molto chiaramente come la mancata valorizzazione dell’interprete – scarsa attenzione alla

75 Ibidem

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sua attività e scarso riconoscimento economico-professionale – possa arrecare danni devastanti sul piano giudiziario e soprattutto alla vita delle persone. Yemisn Akter era solo una donna, una vittima la cui unica colpa è stata quella di assistere all’omicidio del marito, una persona che è stata privata della libertà e dei propri diritti a causa della mancanza di preparazione e di professionalità degli interpreti intervenuti durante il suo processo.

Quanto detto mette chiaramente in evidenza coma la mancanza di un sistema di formazione e preparazione adeguate possa rendere impossibile l’applicazione del principio di “uguaglianza di fronte alla legge”76. La giustizia parte dalla legittimità del procedimento e nel problema della difesa dello straniero questa legittimità è garantita solo e soltanto se questi è messo nelle condizioni di avvalersi di un interprete che gli consenta di capire e di farsi capire, consentendo così che venga pronunciata una giusta sentenza. 4 Esempi da altre realtà d’Europa e del mondo

Certamente il nostro paese si trova in grave ritardo sul piano degli interventi migliorativi in ambito interpretativo, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione legale, rispetto ad altre realtà europee e non. Spesso la situazione migliora una volta passati i confini nazionali, ma non sempre: altri paesi dell’Unione Europea – tra cui Portogallo, Spagna e Grecia – si trovano a convivere con le medesime difficoltà che ogni giorno riscontriamo nel nostro paese. E se a livello europeo i paesi maggiormente all’avanguardia in tema di interpretazione, oltre al Regno Unito, sono quelli scandinavi, a livello internazionale è sicuramente l’Australia a rappresentare il “paese-guida” cui fare

76 GARWOOD C. (2012)

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riferimento per quanto riguarda l’interpretazione di comunità, soprattutto sul piano della regolamentazione e della formazione di interpreti e traduttori (Roberts 1995: 16).

I programmi formativi per gli interpreti sono stati elaborati in questi paesi da moltissimi anni ormai, proprio con lo scopo ultimo di apportare significativi miglioramenti sul piano dell’accuratezza interpretativa. Nel Regno Unito, ad esempio, il Community Interpreter Project è stato approvato nel 1983 dall’Institute of Linguists di Londra, lo stesso istituto attraverso cui è possibile superare l’esame per ottenere il Diploma in Public Service Interpreting (DPSI). Dal 1994 il possesso di tale diploma consente tra l’altro di effettuare la richiesta di iscrizione al National Register of Public Service Interpreters (Wadensjö 1998: 57). In Australia, invece, gli interpreti di comunità godono di riconoscimento ufficiale dal 1977, anno in cui è stato istituito il National Accreditation Authority for Translators and Interpreters (NAATI) – istituzione che ha enormemente contribuito allo sviluppo delle professioni di interprete e traduttore in territorio australiano (Roberts-Smith 2007: 32) – anche se non mancano altre importanti istituzioni a livello nazionale come ad esempio l’Australian Institute of Interpreters and Translators (AUSIT) (Wadensjö 1998: 56).

In generale, sono stati fatti numerosi sforzi in molti paesi – d’Europa e non solo – nel tentativo di creare sistemi e programmi formativi validi nel campo dell’interpretazione di comunità, che come già precedentemente esplicitato comprende diversi ambiti: quello dei servizi sociali, quello legale e anche quello sanitario. Seguono quindi alcuni brevi esempi di quanto è stato fatto nel corso del tempo al di fuori dei confini italiani, esempi di progetti riusciti e potenziali spunti di riflessione per il cambiamento necessario e imminente che anche l’Italia è chiamata ad effettuare.

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4.1 La necessaria collaborazione: gli interpreti legali presso la polizia inglese e scozzese77

Nello svolgere la loro funzione, gli ufficiali di polizia sono sempre più spesso coinvolti in situazioni in cui si rivela necessaria la presenza di un interprete. Ciò ha inevitabilmente sollevato alcuni importanti quesiti che fondamentalmente riguardano l’impatto che il servizio di interpretazione può avere sul ruolo professionale del pubblico ufficiale, e viceversa. Come Perez e Wilson (2004: 79) sottolineano, infatti, troppo spesso gli studi riguardanti l’interpretazione in ambito legale si sono concentrati nel lavoro che viene svolto all’interno delle aule di tribunale, mentre un sostanzioso utilizzo degli interpreti si ha anche e soprattutto negli uffici di polizia, dove si svolgono la maggior parte degli interrogatori che prevedono la presenza di un interprete (Fowler 2001: 201).

Premesso che in Gran Bretagna non esiste un sistema di polizia a livello nazionale, e che nella stessa Scozia la polizia è organizzata in otto diverse forze di polizia indipendenti, è quindi riscontrabile nella realtà britannica – e nel caso specifico scozzese – una certa autonomia che si differenzia in maniera sostanziale da quanto avviene invece nel nostro paese. In generale, ciò che governa e regola l’operato dei poliziotti scozzesi è il principio di equità nei confronti della persona accusata e della società intera. Di conseguenza, gli ufficiali di polizia vengono addestrati ed istruiti per annotare tutto ciò che viene detto o fatto, oltre che formati a sviluppare determinate competenze e qualità, e a seguire specifiche procedure nell’ambito degli interrogatori di polizia (Perez, Wilson 2004: 80-81). D’altro canto, come anche ben esplicitato da Yvonne

77 Tratto da FOWLER Y. (2001), “Taking an Interpreted Witness Statement at the Police Station. What Did the Witness Actually Say?”, in BRUNETTE L. ET AL. (2003) e PEREZ I. A., WILSON C. W. L. (2004), “Interpreter-Mediated Police Interviews: Working as a Professional Team”, in WADENSJÖ C. ET AL. (2007)

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Fowler (2001: 207), nell’interazione tra indagati e ufficiali di polizia mediata da un interprete, quest’ultimo deve necessariamente mettere in atto alcune competenze specifiche e fondamentali alla riuscita dell’incontro. Nello specifico, ciò che un interprete che collabora con le forze di polizia deve essere in grado di fare consiste in:

- interpretare nella forma consecutiva dalla lingua straniera dell’indagato quanto detto nella lingua delle forze di polizia (lingua ufficiale del paese, e nel caso specifico l’inglese), e viceversa;

- interpretare nella forma simultanea, se richiesto, in modo di garantire alla persona ascoltata dai poliziotti di avere un accesso ininterrotto a quanto viene detto;

- tradurre a vista da una lingua all’altra; - avere una certa famigliarità con le procedure utilizzate

dalle forze di polizia e, soprattutto, con la terminologia specifica dell’ambito giuridico/giudiziario;

- essere in grado di intervenire, in entrambe le lingue, a scopo di chiarire alcuni concetti che potrebbero non essere compresi, col rischio di compromettere la comunicazione tra le parti;

- prendere nota di quanto detto e gli appunti necessari ad una corretta interpretazione/traduzione;

- tradurre testi scritti facendo particolare attenzione all’equivalenza semantica;

- essere in grado di comporre testi ben strutturati dal punto di vista grammaticale;

- saper mettere in atto molte di queste competenze in maniera simultanea.

Uno degli aspetti più importanti da considerare resta comunque il necessario spirito di collaborazione che deve instaurarsi tra le forze di polizia e gli interpreti: il mancato riconoscimento professionale da entrambe le parti rischierebbe infatti di compromettere la riuscita dell’interrogatorio o dell’incontro,

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influenzando così negativamente l’andamento dell’intero procedimento. 4.2 Lo State Court Interpreter Certification Consortium78

L’accesso alla giustizia per milioni di persone che risiedono negli Stati Uniti ma che non parlano la lingua inglese viene irrimediabilmente ostacolato dall’impossibilità – dovuta alla mancata conoscenza della lingua parlata nelle corti di giustizia – di partecipare attivamente e di avere una piena comprensione dei procedimenti legali in cui queste persone possono trovarsi coinvolte. In particolare, si è stabilito che l’utilizzo di interpreti incompetenti e privi della necessaria professionalità avrebbe notevolmente incrementato situazioni di incomprensione e fraintendimenti altamente dannosi e pericolosi.

Proprio per evitare spiacevoli situazioni di questo genere, diversi stati americani si sono quindi attivati per cercare di garantire un servizio di interpretazione legale efficace ed efficiente. Ed è esattamente con questo spirito che gli stati del Minnesota, New Jersey, Oregon e Washington – in collaborazione con il National Center for State Courts – hanno contribuito nel 1995 alla creazione dello State Court Interpreter Certification Consortium, il cui compito è fondamentalmente quello di mettere a disposizione dei tribunali – a costi contenuti – dei test di valutazione del livello di competenza degli interpreti che prestano la loro attività in aula. Nel corso degli anni altri stati hanno aderito al consorzio, tra i quali ad esempio il New Mexico, la Virginia, il Maryland, lo Utah, il Delaware e l’Illinois.

78 Tratto da Gill C., Hewitt W. E. (1996), Improving Court Interpreting Services: What States Are Doing (http://www.ncsconline.org/wc/publications/Res_CtInte_StateCrt JV20N1WhatStatesAreDoingPub.pdf)

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La partecipazione di diversi stati a questo tipo di iniziativa mette in luce ancora una volta l’importanza dello sviluppo di un sistema il più possibile uniforme, in grado così di garantire migliori e più equilibrati risultati. La lingua non dovrebbe mai rappresentare un ostacolo alla comunicazione e, soprattutto, alla giustizia. E proprio per questa ragione è assolutamente indispensabile educare l’intero sistema giuridico e giudiziario alla necessità di potersi servire di interpreti preparati e qualificati. 4.3 L’interpretazione legale in Malaysia: un esempio che viene da lontano79

Le origini dell’interpretazione legale in Malaysia risalgono all’epoca coloniale, in cui l’amministrazione britannica si serviva di interpreti per semplificare i processi in cui venivano parlate lingue diverse da quella inglese (Ibrahim, Bell 2001: 212). L’importanza dell’interpretazione è stata però riconosciuta soltanto nel 1937, anno in cui è stata creata la cosiddetta Interpreters’ Association, che a partire dal 1948 è divenuta un vero e proprio sindacato degli interpreti. A differenza di quanto avviene in Gran Bretagna, dove gli interpreti sono tutti libero-professionisti incaricati di volta in volta in base a specifiche necessità – situazione tra l’altro molto simile a quella del nostro paese – in Malaysia gli interpreti sono invece dipendenti stessi del tribunale, all’interno del quale oltre che a svolgere attività interpretativa svolgono anche altre svariate mansioni.

La necessità di un servizio di interpretazione è fondamentalmente dovuto alla presenza, in Malaysia, di tre

79 Tratto da IBRAHIM Z., BELL R. T. (2001), “Court Interpreting: Malaysian Perspectives”, in BRUNETTE L. ET AL. (2003) e IBRAHIM Z. (2004), “The Interpreter as Advocate: Malaysian Court Interpreting as a Case in Point”, in WADENSJÖ C. ET AL. (2007)

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cospicui gruppi di persone che non parlano – per lo meno non ad un livello adeguato – la lingua ufficiale del paese (Ibrahim, Bell 2004: 215), tra cui:

- una minoranza di madre lingua indiana o cinese; - un elevato numero di lavoratori immigrati da altri paesi; - un numero variabile di visitatori stranieri.

Tutte queste persone, che possono trovarsi, per svariati motivi, coinvolti in un procedimento legale durante la loro permanenza nel paese, verrebbero private del loro diritto fondamentale alla difesa se non messi nelle condizioni di comprendere e di farsi comprendere. Ed è proprio per questo motivo che la figura dell’interprete viene ad assumere – qui come altrove – un ruolo cruciale, ovvero quello di unico collegamento tra l’individuo e lo stato. Il diritto all’interprete è inoltre sancito all’interno del codice di procedura penale del paese, nel quale si legge: “whenever any evidence is given in a language not understood by the accused, and he is present in person, it shall be interpreted to him in open court in a language which he understands” (Ibrahim, Bell 2004: 215).

Un aspetto fondamentale sottolineato da Ibrahim e Bell (2004: 221-222) è che un competente servizio di interpretazione rappresenta una delle più potenti forme di garanzia di giustizia, specialmente in una realtà multilingue come quella della Malaysia. E per garantire un adeguato livello di competenza è necessario il rispetto di un altro principio fondamentale che è quello dell’imparzialità. Ma di questo si parlerà più avanti.

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Capitolo Quarto

CODICI DEONTOLOGICI, ALBI E REGISTRI

A professional register is not a list but the public manifestation

of a professional structure and of its integrity.80

Sono molte le professioni in cui esiste un codice etico da rispettare e a cui aderire, e spesso è proprio il rispetto di certi principi contenuti all’interno di questi codici di condotta a definire il livello qualitativo di una determinata professione (Leinonen 2004: 227)81. Da questo punto di vista l’interpretazione non fa eccezione.

Per quanto l’interpretazione nell’ambito dei pubblici servizi (in cui rientra anche la cosiddetta interpretazione legale) sia una disciplina relativamente recente, e per quanto non esista nel nostro paese una normativa specifica che regoli la professione di interprete, diverse associazioni di interpreti si sono comunque attivate per proporre alcuni codici di condotta che gli interpreti possono utilizzare come linee guida, in modo da raggiungere soddisfacenti livelli qualitativi e da garantire una buona interpretazione.

Come già ribadito in precedenza, il lavoro dell’interprete legale consiste fondamentalmente nell’interpretare tutto ciò che l’imputato, il giudice, gli avvocati o altre parti coinvolte in un procedimento sarebbero in grado di comprendere nel caso in cui non esistesse alcuna barriera linguistica. Il primo scopo

80 CORSELLIS A. ET AL. (2001), “European Equivalencies in Legal Interpreting and Translation”, in BRUNETTE L. ET AL. (2003) 81 LEINONEN S. (2004), “Professional Stocks of Interactional Knowledge in the Interpreter’s Profession”, in WADENSJÖ C. ET AL. (2007)

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dell’interprete è infatti quello di facilitare la comunicazione tra le parti. E poiché il suo dovere è quello di tradurre in modo accurato e preciso da una lingua all’altra tutto ciò che viene detto, egli deve fare il possibile affinché il testo tradotto sia fedele all’originale, cercando quindi di evitare aggiunte od omissioni di ogni genere. In generale, si richiede quindi agli interpreti – e in modo ancor più specifico agli interpreti che operano in ambito legale – di fornire sempre un’interpretazione di elevata qualità, la quale è resa possibile grazie anche e soprattutto al rispetto dei codici di condotta. 1 I codici deontologici

Sempre più numerosi sono i codici, le linee guida o gli elenchi degli standard professionali che vengono prodotti e che riguardano l’attività interpretativa, la performance e il ruolo dell’interprete (Colin J., Morris R. 1996: 137). Questi codici sono per lo più molto simili tra loro anche quando prodotti in paesi diversi, poiché hanno alla base alcuni principi fondamentali, tra i quali l’idea di professionalizzazione dell’attività interpretativa. L’idea stessa di professionalizzazione implica l’esistenza di norme etiche ufficialmente riconosciute e condivise, che regolano appunto la condotta professionale degli interpreti (Wadensjö 1998: 58).

Le norme contenute all’interno di questi codici si basano quindi su alcuni principi fondamentali, tra i quali l’obbligo da parte dell’interprete di evitare qualunque forma di propensione per una delle parti in causa: si parla in questo caso specifico di neutralità e distacco dell’interprete (elementi tra l’altro dati per scontato nel caso dell’interpretazione legale). I codici deontologici prevedono inoltre che l’interprete non si trovi coinvolto in alcun caso di conflitto d’interesse, o che, se ciò dovesse accadere, egli rinunci immediatamente all’incarico che

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gli è stato assegnato. Un altro principio importante, troppo spesso dato per scontato, è quello della confidenzialità: ogni interprete è infatti chiamato a mantenere il massimo riserbo sulle informazioni cui ha accesso attraverso la sua attività. Lo stesso codice di procedura penale prevede al comma 2 dell’art. 146 che l’interprete è ammonito dal giudice sull'obbligo di adempiere bene e fedelmente l'incarico affidatogli, senz'altro scopo che quello di far conoscere la verità, e di mantenere il segreto su tutti gli atti che si faranno per suo mezzo o in sua presenza82.

Le parole del codice di procedura penale mettono tra l’altro in risalto un ulteriore aspetto da non sottovalutare, ovvero il fatto che l’interprete dovrebbe – in maniera coscienziosa – sempre rinunciare agli incarichi che vanno oltre le proprie competenze (Wadensjö 1998: 59). Gli stessi Colin e Morris (1996: 142) insistono su quest’ultimo punto, dichiarando che l’interprete dovrebbe esercitare la propria attività solo nel caso in cui ritenga di possedere un adeguato livello di conoscenze, qualità e competenze, poiché – altro aspetto fondamentale – l’interprete deve sempre avere ben chiari quali siano i limiti e le responsabilità del proprio ruolo professionale (Garzone 2003: 149). In generale comunque l’interprete è sempre tenuto ad un comportamento adeguato e al rispetto di elevati standard di condotta etica e morale. L’interprete è infatti l’unico, attraverso il suo operato, in grado di garantire un’efficace ed efficiente comunicazione fra tutte le parti coinvolte. Il suo lavoro è prezioso e per questo motivo il rispetto delle norme etiche – che permettono il raggiungimento di un elevato livello qualitativo – è di assoluta importanza.

Su questi aspetti i codici di condotta professionale sono generalmente piuttosto chiari. Per quanto riguarda nello specifico il nostro paese, nel codice deontologico dell’Associazione

82 Codice di procedura penale, Libro II, Titolo IV (http://www.altalex.com/index.php?idnot=2011)

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Italiana Traduttori e Interpreti (AITI)83, adottato tra l’altro anche dall’Associazione Nazionale Italiana Traduttori e Interpreti (ANITI) si parla proprio di lealtà e correttezza dell’interprete, specificando nell’art. 6 che al traduttore e all'interprete è assolutamente vietato trarre un utile personale da informazioni di cui vengano a conoscenza nell'esercizio della professione e che l'interprete deve svolgere il proprio incarico con obiettività ed equidistanza, e l'interprete di tribunale deve tenere sempre presente il fatto che opera nell'interesse superiore della Giustizia. Come sottolineato anche da Garzone84, particolarmente significativo è proprio il concetto di equidistanza in quanto, essendo l’interprete un essere umano è possibile che a volte egli possa sentirsi più leale nei confronti di chi lo ha assunto (e lo retribuisce) oppure maggiormente solidale nei confronti della persona in difficoltà che assiste con il proprio servizio interpretativo. La stessa questione sull’imparzialità si riscontra anche nel Draft Code of Professional Practice della Fédération Internationale des Traducteurs (FIT)85, di cui AITI è membro fondatore. Nel terzo paragrafo del primo punto si precisa infatti che translators and interpreters shall carry out their work with complete impartiality and not express any personal or political opinions in the course of the work.

Il concetto di imparzialità, così come quello di lealtà o correttezza, si ritrova praticamente in tutti i codici deontologici concernenti le attività di interpretazione e disponibili sui siti delle varie associazioni professionali. Anche volgendo lo sguardo al di fuori dell’Europa, a paesi che hanno una più lunga e affermata tradizione di assistenza linguistica allo straniero, il contenuto dei codici e le indicazioni deontologiche non variano in maniera sostanziale. Prendendo ad esempio il Code of Ethics

83 Disponibile all’indirizzo: http://www.aiti.org/codice_deontologico.html 84 Garzone G. (2009) (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf) 85 Disponibile all’indirizzo: http://www.fit-europe.org/vault/deont/DraftCode-FIT-Europe-en.pdf

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dell’Australian Institute of Interpreters and Translators (AUSIT)86 (ricordando che l’Australia è indubbiamente uno dei paesi più all’avanguardia nell’ambito dell’interpretazione), tra l’altro approvato e adottato anche dalla National Accreditation Authority for Translators and Interpreters (NAATI) si può facilmente notare come i requisiti del distacco e dell’imparzialità vengano messi in evidenza: interpreters and translators shall observe impartiality in all professional contracts. Professional detachment must be maintained at all times. If interpreters or translators feel their objectivity is threatened, they should withdraw from the assignment.

I contenuti non variano nemmeno nel caso di codici rivolti a interpreti che operano in un ambito specifico, come ad esempio quello propriamente giuridico/giudiziario. Il Code of Ethics and Professional Responsibilities della National Association of Judiciary Interpreters and Translators degli Stati Uniti (NAJIT)87 ribadisce infatti che court interpreters and translators are to remain impartial and neutral in proceedings where they serve, and must maintain the appearance of impartiality and neutrality, avoiding unnecessary contact with the parties. Court interpreters and translators shall abstain from comment on matters in which they serve.

In un limitato numero di casi è ammessa qualche eccezione rispetto alla totale imparzialità dell’interprete, come ad esempio nel codice dell’Institute of Translation and Interpreting (ITI) in Gran Bretagna, all’interno del quale viene concessa all’interprete la possibilità di intervenire – rinunciando quindi temporaneamente alla sua posizione totalmente distaccata – nel caso di un possibile fraintendimento fra le parti e/o di una qualche incomprensione dovuta a differenze di carattere culturale: members shall interpret impartially between the

86 Disponibile all’indirizzo: http://ausitlegacy.com/eng/showpage.php3?id=650 87 Disponibile all’indirizzo: http://www.najit.org/about/NAJITCodeofEthicsFINA L.pdf

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various parties in the languages for which they are registered with the Institute and, with due regard to the circumstances prevailing at the time, take all reasonable steps to ensure complete and effective communication between the parties, including intervention to prevent misunderstanding and incorrect cultural inference.

Sintetizzando, quindi, ciò che viene richiesto all’interprete è sostanzialmente un atteggiamento basato su: oggettività, non intrusione, astensione dall’espressione di opinioni personali, non coinvolgimento personale ed equidistanza. Sono invece poche le posizioni in favore di un’espansione del ruolo dell’interprete a quello di un vero e proprio intermediatore culturale, indicate sempre e comunque come eccezioni soggette a condizioni e cautele particolari88. 1.1 I concetti di neutralità e imparzialità

Parlando di interpretazione – soprattutto in ambito legale – ci si ritrova spesso a fare i conti con la cosiddetta “questione dell’imparzialità”. Neutralità, distacco e imparzialità sono nozioni chiave nell’etica professionale degli interpreti, ma che cosa significhino questi concetti a livello pratico non è sempre chiaro. Molti professionisti che operano in ambito interpretativo insistono sul fatto che l’interprete non dovrebbe mai essere personalmente coinvolto nel processo di mediazione, mantenendo quindi una posizione imparziale ed oggettiva. Come ci ricorda anche Garzone (2003: 150) tutto ciò è naturalmente più facile a dirsi che a farsi. È infatti importante per un interprete mantenere un comportamento assolutamente professionale, ma l’interprete è anche e soprattutto un essere umano, per natura incapace di essere pienamente oggettivo e distaccato. Per quanto

88 Garzone G. (2009) (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf)

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l’approccio professionale si basi sull’imparzialità, l’esperienza di vita, le opinioni, l’ideologia e la cultura possedute influiscono inevitabilmente sulla performance interpretativa. Tutto ciò che l’interprete può fare è quindi imparare a gestire la sua soggettività e utilizzarla in maniera costruttiva nella costruzione del ponte comunicativo tra le parti coinvolte.

Troppo spesso l’interprete, come anche già sostenuto in precedenza, è visto e considerato come una mera macchina traduttrice, il cui compito è semplicemente quello di rendere parola per parola in una lingua tutto ciò che viene detto in un’altra lingua, senza alcun apporto personale, come se fosse invisibile, trasparente, inesistente. Tuttavia, tra gli altri, anche Jacobsen (2001: 224) ci ricorda quanto questa presunta invisibilità sia nella realtà insostenibile e irrealizzabile, per almeno due ragioni: innanzi tutto l’elemento chiave dell’attività interpretativa è la presenza fisica dell’interprete, indispensabile alla riuscita dell’interazione comunicativa; in secondo luogo sono numerosi i casi in cui le parti coinvolte si rivolgano in maniera diretta all’interprete, manifestandone quindi la presenza e la soggettività.

Un altro aspetto non trascurabile, in contrasto con la tesi dell’imparzialità, è il fatto che spesso, per garantire un’adeguata interpretazione e facilitare così la comunicazione tra le parti, gli interpreti si vedono costretti a modificare il testo originale, e nello specifico, ad apportare delle aggiunte (additions) al testo originale in modo tale che esso sia pienamente comprensibile a tutti i soggetti coinvolti nel procedimento. Lo scopo dell’interprete è infatti quello di trasmettere non una parola, non una frase, bensì un significato, un messaggio (Jacobsen 2001: 225). Si può quindi facilmente sostenere che, contrariamente a quanto sostenuto da molti, l’interprete è un soggetto attivo nel processo di comunicazione tra le parti, e che in virtù della sua soggettività e della sua attività contribuisce alla costruzione del significato (Rudvin 2002: 217). Tuttavia, se tanto si è parlato di

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imparzialità dell’interprete, non meno importanza è stata attribuita ad un altro importante principio dell’interpretazione: la neutralità.

La parola neutrale viene generalmente intesa come sinonimo di oggettivo e/o imparziale, tutto ciò non è considerato come il risultato di una valutazione soggettiva o di un’opinione personale (Rudvin 2002: 219). Tuttavia, così come per l’imparzialità, anche nei confronti del concetto di neutralità, in tempi recenti si è assistito ad un cambiamento del punto di vista sull’interprete. Nel momento in cui l’interprete diventa un protagonista attivo della scena comunicativa, un soggetto che può prendere decisioni e basare il suo operato su interpretazioni di tipo personale, difficilmente si potrà ancora concepirlo come un’entità trasparente attraverso cui trasmettere un messaggio. L’interprete è, prima di ogni altra cosa, un essere umano, e come tale influisce necessariamente sull’esito dello scambio comunicativo che avviene in sua presenza, poiché ogni sua interpretazione riflette inevitabilmente la sua soggettività (Rudvin 2002: 220). In nessun modo, da nessun punto di vista è quindi possibile poter sostenere la neutralità dell’interprete, e a tal proposito Peter Jansen (Rudvin 2002: 226) ci ricorda che “la situazione in cui l’interprete si ritrova ad operare influenza in maniera diretta la scelta della sua strategia traduttiva, mettendo quindi in luce come un’interpretazione neutrale sia di fatto irrealizzabile”. Gli stessi Laster e Taylor89 sostengono che per quanto “in theory the interpreter’s ethical obligation is to be impartial” tuttavia nella realtà per un interprete è difficile rimanere totalmente imparziale quando si trova per esempio ad assistere emigranti in situazioni di difficoltà. Spesso l’interprete diviene per lo straniero non solo colui che gli consente l’accesso ad una lingua non compresa ma anche e soprattutto una fonte di informazioni materiali rispetto alle procedure giuridiche e giudiziarie, o di delucidazioni di tipo

89 Garzone G. (2009) (http://amsacta.cib.unibo.it/2626/3/Volume_121109.pdf)

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culturale, tant’è che a volte si vengono a creare vere e proprie situazioni di advocacy, ovvero di una forma di supporto e di sostegno – giuridico ma anche morale – che va ben al di là dell’assistenza linguistica. 2 Albi, registri e associazioni di interpreti e traduttori

Dopo aver ricevuto un’adeguata formazione e aver raggiunto un soddisfacente livello qualitativo, interpreti e traduttori necessitano di una struttura professionale all’interno della quale esercitare la propria professione (Corsellis 2008: 82). È stato più volte ribadito nel corso di questo elaborato che non esiste in Italia un registro nazionale degli interpreti e dei traduttori, così come non esiste un albo professionale. È stato specificato altresì che di norma nel nostro paese gli interpreti che operano in ambito legale – in particolare i cosiddetti interpreti di tribunale – risultano tra gli iscritti ai registri dei periti e dei consulenti conservati presso le cancellerie dei tribunali, anche se tale registrazione non è obbligatoria al fine dell’attività interpretativa che essi svolgono. Sono molti infatti gli interpreti che, pur non essendo iscritti in tali registri, collaborano comunque attivamente con i tribunali. La realtà italiana è quindi una realtà piuttosto eterogenea e priva di limpidezza circa la situazione dei cosiddetti interpreti di comunità, tra cui appunto anche gli interpreti legali. E ancora una volta, le cose cambiano una volta varcati i confini nazionali.

A tale proposito potrebbe risultare interessante rivolgere l’attenzione alla realtà britannica. Il UK National Register for Public Service Interpreters è stato istituito nel 1994 e successivamente trasformato in una vera e propria organizzazione no-profit in collaborazione con l’Institute of Linguists (IoL), il quale comprende al suo interno circa 6.000 membri tra cui interpreti, traduttori, docenti di lingua e tutti coloro che utilizzano le proprie competenze linguistiche nello

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svolgimento del loro lavoro. Ogni membro dello IoL è tenuto a rispettare determinati standard qualitativi e a osservare un codice di condotta professionale90.

Nel momento in cui una persona si trova nella posizione di non essere in grado di giudicare la qualità di un servizio di cui usufruisce, le istituzioni hanno il dovere di agire. Nell’ambito dei servizi sociali, in particolare, il bisogno di affidabilità e accuratezza divengono essenziali, ed è in questo senso che la presenza di un registro nazionale ufficiale degli interpreti e dei traduttori può risolvere il problema della garanzia del livello di qualità del servizio offerto (Corsellis et al. 2004: 140-141). E i benefici portati dalla presenza di un registro nazionale si sono potuti osservare nel corso del tempo, dimostrando come l’accesso all’esperienza di interpreti affidabili e qualificati sia assolutamente essenziale, specialmente quando nello scambio comunicativo sono coinvolte persone parlanti lingue diverse.

In particolare, uno dei principali punti di forza della presenza di un registro nazionale è il fatto che laddove vi sia necessità di un interprete per una lingua particolare e che non sia disponibile localmente, il registro nazionale consente di reperirne uno, o comunque di operare una scelta sulla più vasta scala nazionale. Il registro diviene inoltre un importante strumento a disposizione degli interpreti per poter pubblicizzare le proprie competenze ed ottenere così un maggior numero di incarichi91. Un ulteriore elemento a favore dell’istituzione di un registro nazionale è il fatto che, attraverso l’iscrizione ad esso, interpreti, traduttori ed altri esperti della lingua possono avere accesso ad una costante formazione e ad un costante aggiornamento delle proprie competenze, che, tra le altre cose, consentono anche un

90 Disponibile all’indirizzo: http://www.iol.org.uk/Charter/CLS/CodeofProfConductCouncil17Nov07.pdf 91 Va ricordato che gli interpreti in Gran Bretagna sono tutti liberi professionisti e non dipendenti di alcuna struttura statale o locale.

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miglioramento del proprio status professionale (Corsellis et al. 2004: 142).

Il National Register for Public Service Interpreters è a disposizione di tutte le organizzazioni che operano nell’ambito dei servizi pubblici e viene aggiornato annualmente. È inoltre disponibile in una versione on-line chiamata Interactive Online Register che viene invece aggiornata quotidianamente, consentendo quindi di avere accesso ad informazioni aggiornate praticamente in tempo reale. Attualmente (2011) risultano iscritti al registro circa 2.350 interpreti per un totale di 101 lingue diverse92.

Per quanto molti Stati membri dell’UE siano ancora ad oggi privi di registri nazionali o albi professionali, esistono comunque sia a livello nazionale, che europeo, o addirittura internazionale, vere e proprie associazioni di interpreti e traduttori. Tanto per fare qualche esempio, la FIT – Fédération Internationale des Traducteurs / International Federation of Translators è un’organizzazione su scala internazionale che raggruppa oltre cento associazioni di interpreti, traduttori e altri esperti della lingua – per un totale di circa 80.000 persone – operanti in 55 paesi del mondo. Lo scopo della Federazione – definita tra l’altro come la voce dei traduttori, degli interpreti e dei terminologi di tutto il mondo – è essenzialmente quello di promuovere la professionalizzazione in ambito traduttivo e interpretativo, oltre che di tutelare i diritti e la libertà di espressione di interpreti e traduttori93. Oltre alla FIT, che è un’organizzazione internazionale, come anche già anticipato, esistono associazioni di interpreti operanti nel più ristretto ambito europeo – come ad esempio EULITA – o nell’ancor più ristretto ambito nazionale – come ad esempio AITI, AssITIG e ANTIMI. Vediamole di seguito.

92 Dati disponibile all’indirizzo: http://www.nrpsi.co.uk/index.php 93 Dati disponibile all’indirizzo: http://fit-ift.org.dedi303.nur4.host-h.net/index.php ?frontend_action=display_compound_text_content&item_id=980

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2.1 AITI, AssITIG e ANTIMI

Membro fondatore della FIT, l’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti è stata fondata nel 1950 con lo scopo di riunire al suo interno traduttori e interpreti professionisti senza scopo di lucro. Nel quadro degli obiettivi perseguiti dalla stessa FIT, che l’AITI riconosce come organismo internazionale rappresentativo della categoria, ciò che l’associazione italiana si prefigge consiste sostanzialmente nel94:

- promuovere la definizione delle migliori condizioni e prestazioni di lavoro di traduttori e interpreti e garantirne il rispetto;

- promuovere iniziative legislative volte al riconoscimento di uno stato giuridico professionale, del diritto d'autore a favore dei traduttori e dell'insegnamento della tecnica di traduzione in istituti di istruzione a vari livelli;

- promuovere l'aggiornamento professionale di traduttori e interpreti, la raccolta e la diffusione di informazioni riguardanti la professione, nonché la collaborazione con gli istituti di formazione di traduttori e interpreti.

In AITI operano inoltre, a livello locale e nazionale, diverse commissioni il cui compito è quello di elaborare soluzioni ai problemi di interesse generale posti dai soci. Una di queste è la Commissione Traduttori e Interpreti di Tribunale, che nel 2009 ha elaborato un Position Paper sulle figure dell’interprete giudiziario e del traduttore giuridico95. Quanto emerge da questo interessante documento è che sempre più spesso sentiamo parlare di nullità dei processi dovuta ad errori o incapacità dell’interprete. E sempre troppo spesso il profilo professionale

94 Dati disponibili all’indirizzo: http://www.aiti.org/index.html 95 Disponibile all’indirizzo: http://www.aiti.org/fileadmin/downloads/tit/Position_Paper_UFF_prot_2009.pdf

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dell’interprete non viene riconosciuto – sia dal punto di vista linguistico che deontologico – così come non viene prestata la necessaria attenzione ai requisiti fondamentali obbligatori per svolgere un tale ruolo, che richiede grande responsabilità e una formazione specifica. All’interno del Position Paper dell’AITI viene tra l’altro ribadito il fatto che non esiste in Italia un ruolo professionale degli interpreti giudiziari – né in generale degli interpreti – sebbene alcuni tribunali abbiano da qualche anno ormai disposto dei criteri per l’iscrizione degli interpreti e dei traduttori agli albi dei tribunali stessi, principalmente sulla base dei titoli di studio posseduti. È altrettanto noto però che i magistrati hanno la facoltà di nominare un interprete al di fuori dell’albo, rendendo quindi la selezione un procedimento del tutto discrezionale, per non dire – a parere dell’AITI – superficiale e arbitrario. Il più delle volte, in effetti, la selezione avviene semplicemente in base alla conoscenza linguistica dell’interprete, senza che vengano accertate le competenze e la qualità del servizio offerto. Per queste ragioni, l’AITI suggerisce alcuni requisiti da valutare – a garanzia di una qualità minima dell’interpretazione – ai fini dell’iscrizione agli albi dei tribunali così come nella selezione – a volte necessaria – dei potenziali candidati non iscritti. Primo fra questi requisiti è l’appartenenza ad un’associazione professionale di categoria, che sia dotata di statuto, regolamento e codice deontologico. Nello specifico gli interpreti dovrebbero essere in possesso di una certificazione che attesti il livello della loro conoscenza linguistica, di una formazione specifica e di esperienza lavorativa acquisita e documentata.

Di più recente costituzione rispetto ad AITI è, invece, AssITIG, l’Associazione Italiana Traduttori e Interpreti Giudiziari, fondata – senza scopo di lucro – nell’agosto del 2010. Si tratta fondamentalmente di una realtà nuova, il cui fine ultimo non si discosta però da quanto già precedentemente detto per

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l’AITI. Anche gli scopi che AssITIG si propone di raggiungere, infatti, consistono in96:

- promuovere la qualità della traduzione e dell’interpretazione attraverso la professionalizzazione della figura del traduttore/interprete giuridico - giudiziario in tutti gli ambiti dove la suddetta figura professionale sia richiesta;

- promuovere iniziative legislative volte al riconoscimento dello status giuridico professionale del traduttore/interprete giuridico - giudiziario;

- garantire nell’interesse primo della giustizia, i principi fondamentali dei diritti umani e le libertà fondamentali, così come previsto agli art. 5 e 6 della Convenzione Europea di Diritti Umani e Libertà Fondamentali, attraverso una prestazione professionale altamente qualificata;

- promuovere la formazione e l’aggiornamento professionale mediante l’istruzione di corsi di perfezionamento e programmi di formazione continui, anche in collaborazione con altri Istituti, Enti e Associazioni, favorendo altresì l’inserimento nella professione con un programma di sostegno per quegli associati che sono in corso di pratica professionale;

- garantire sotto l’aspetto etico e sociale il rispetto delle migliori condizioni di lavoro ed eque e ragionevoli retribuzioni dei traduttori e degli interpreti che lavorano in ambito giuridico - giudiziario.

AssITIG è inoltre Membro Ordinario (Full Member) di EULITA e, ad oggi, l’unica associazione italiana rappresentata in ambito europeo. Come AITI e molte altre Associazioni di categoria, uno dei progetti che AssITIG intende realizzare è il cosiddetto processo di professionalizzazione di traduttori e interpreti che 96 Informazioni disponibili all’indirizzo: http://www.interpretigiudiziari.org/index.htm

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operano in ambito giuridico. Proprio con questo scopo è stato organizzato il 15 ottobre 2011, a Siracusa, un primo seminario di formazione intitolato appunto “Il Traduttore/Interprete giuridico - giudiziario: Introduzione alla Professione”.

Un breve accenno, infine, prima di concentrarsi sul piano europeo, va fatto ad ANTIMI, l’Associazione Nazionale dei Traduttori e degli Interpreti del Ministero dell’Interno, costituita come associazione senza scopi di lucro nel gennaio 2002 a Roma. Le finalità dell’ANTIMI, che non presentano particolari novità rispetto a quanto già detto, consistono in97:

- tutelare ed incentivare professionalmente il personale inserito nel settore linguistico dell’Amministrazione Civile del Ministero dell’Interno, che abbia avuto accesso previo concorso pubblico;

- garantirne la sua piena valorizzazione agendo attraverso un’azione di impulso dello strumento associativo;

- favorire il graduale adeguamento del sistema organizzativo alle crescenti esigenze di interazione tra la comunità nazionale, europea ed internazionale;

- promuovere lo scambio culturale e professionale attraverso la partecipazione a e l’organizzazione di convegni di studio, nonché la collaborazione con altre associazioni del settore;

- mantenere rapporti con il mondo accademico e della ricerca e organi istituzionali competenti;

- fornire consulenza scientifica, promuovere programmi di ricerca, elaborare progetti per il raggiungimento delle proprie finalità, nonché per favorire la formazione, l’aggiornamento ed il perfezionamento professionale della categoria.

97 Informazioni disponibili all’indirizzo: http://www.antimi.org/index.php?&set=548&dom_id=&dom_sld=antimi&dom_tld=org&no_tags=1&sito_gratis=&sito=&local_page=home

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Quanto espresso rispecchia il punto di vista di tre importanti associazioni italiane, attraverso il quale si è voluto mettere in risalto come il buon esito di un giudizio legale dipenda anche dal buon esito della comunicazione e dal rispetto dei ruoli di ciascuno. E agli occhi dei rappresentanti di associazioni come AITI, AssITIG o ANTIMI, il rispetto va inteso anche e soprattutto nel riconoscimento professionale. La qualità nell’interpretazione non dipende infatti soltanto dalle competenze linguistiche e personali degli interpreti; molto dipende anche dalle condizioni di lavoro. Una retribuzione adeguata è alla base di una performance ottimale di un professionista, e condizioni lavorative soddisfacenti sono uno stimolo e un incentivo alla formazione e all’aggiornamento.

2.2 EULITA

Come detto e ribadito più volte in precedenza, i flussi migratori da un paese all’altro hanno imposto – e costantemente impongono – alle istituzioni dei cosiddetti paesi di accoglienza di rispondere a esigenze sempre più crescenti di comunicazione con i nuovi “residenti”. Da questo punto di vista, particolarmente significativa è l’opera di sensibilizzazione che, su questa tematica, è stata portata avanti da EULITA, l’Associazione Europea di Traduttori e Interpreti Giuridici, fondata ad Anversa nel 2009 proprio con l’obiettivo di rappresentare gli interessi della professione del traduttore e interprete giuridico, sia a livello europeo che internazionale. Tra le novità presenti all’interno della Direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali va in particolar modo rilevato l’impegno all’istituzione di un registro nazionale degli interpreti e dei traduttori nei vari stati membri dell’Unione, e associazioni come EULITA si impegnano appunto a promuovere la costituzione di questi registri – anche se l’impegno è rivolto in

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modo specifico agli interpreti e ai traduttori che operano in ambito giuridico – laddove ancora mancano, come ad esempio nel nostro paese.

Naturalmente l’attività di EULITA non è puramente e limitatamente di tipo promozionale. Lo scopo generale98 di un’associazione di questo tipo è essenzialmente quello di promuovere la qualità della giustizia, assicurare l’accesso alla giustizia senza alcun limite dovuto alla lingua o alla cultura di appartenenza, garantendo quindi il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, tra cui il diritto alla difesa e alla libertà, così come stabilito dalla Convenzione Europea per i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali. In particolare, ciò a cui aspira EULITA è riunire al suo interno – in qualità di suoi membri – le associazioni professionali di interpreti e traduttori giuridici presenti negli Stati membri dell’Unione Europea, ovvero ogni organizzazione, istituzione o anche individuo il cui scopo sia quello di apportare un significativo miglioramento qualitativo nell’interpretazione e nella traduzione legale, a livello nazionale (dei singoli paesi) così come europeo ed anche internazionale.

Un importante punto di partenza per poter apportare questo significativo miglioramento qualitativo è proprio l’istituzione di associazioni di traduttori e interpreti giuridici, laddove esse non esistano, ma anche la promozione della cooperazione tra associazioni e istituzioni, soprattutto nell’ambito della formazione e della ricerca. È inoltre fondamentale sostenere la necessità di istituire – a livello nazionale dei singoli Stati membri – i cosiddetti registri di interpreti e traduttori, in modo tale da rispettare una certa uniformità a livello europeo e, al tempo stesso, la specificità dei singoli sistemi giuridici/giudiziari e delle diverse culture.

L’impegno di EULITA è quindi sostanzialmente rivolto alla promozione della qualità nell’ambito dell’interpretazione e della

98 EULITA Mission Statement: http://www.eulita.eu/mission-statement

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traduzione giuridica, che avviene anche e soprattutto attraverso un dovuto riconoscimento dello status professionale dei traduttori e degli interpreti, attraverso l’impegno alla formazione, alla ricerca e all’aggiornamento costante, e alla necessaria collaborazione e al riconoscimento reciproco – da parte dei diversi paesi – dei differenti sistemi di interpretazione e traduzione in ambito giuridico. Perché ciò sia realizzabile è fondamentale promuovere la cooperazione anche sul piano dei servizi e dei sistemi legali dei singoli Stati membri.

L’impegno e gli obiettivi di una grande e importante associazione come EULITA si concretizzano, giorno dopo giorno, attraverso:

- l’aggiornamento di un sito web contente le informazioni necessarie agli interpreti e ai traduttori giuridici che operano all’interno di associazioni o organizzazioni membri di EULITA;

- la realizzazione di un forum di discussione per i soci; - pubblicazioni in formato elettronico; - organizzazione di eventi internazionali in materia di

interpretazione e traduzione giuridica; - cooperazione con altre organizzazioni.

EULITA riunisce al suo interno 22 membri a tutti gli effetti, tra cui l’AssITIG – Associazione Italiana dei Traduttori e degli Interpreti Giuridici e 42 membri associati, di cui 20 membri individuali e 22 tra associazioni e organizzazioni, tra le quali risultano anche l’ANTIMI – Associazione Nazionale dei Traduttori e degli Interpreti del Ministero dell’Interno italiano e la SSLiMIT – Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori di Forlì.

Per quanto riguarda nello specifico l’organizzazione di eventi a livello internazionale, dal 19 al 21 maggio 2011 si è tenuto a Parigi il decimo forum internazionale in tema di “Ethics and Good Practices” in ambito traduttivo e interpretativo, mentre dal 24 al 26 di novembre 2011 si è tenuto a Lubiana (Slovenia) il

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primo di quattro workshop del progetto TRAFUT – Training for the Future. Si tratta di un importante progetto che ha come scopo quello di riflettere sugli imminenti cambiamenti che la Direttiva Europea 2010/64/EU sta imponendo a tutti i suoi Stati membri, e che riguardano sostanzialmente l’organizzazione e la gestione dei servizi di traduzione e interpretazione in ambito legale. Nel corso del 2012 si svolgeranno altri tre workshop: il primo a Madrid (Spagna) dal 15 al 17 marzo, il secondo a Helsinki (Finlandia) dal 14 al 16 giugno, e infine l’ultimo incontro si svolgerà ad Antwerp (Belgio) dal 18 al 20 ottobre. I workshop sono stati pensati e organizzati proprio con lo scopo di fare maggiore chiarezza su alcuni specifici punti della nuova direttiva, e in particolare:

- il diritto all’interpretazione (Art. 2) - il diritto alla traduzione di documenti fondamentali (Art. 3) - la qualità dell’interpretazione e della traduzione (Art. 5) - la formazione (Art. 6)

Quanto detto mette quindi chiaramente in luce quanto l’impegno nei confronti del miglioramento qualitativo in ambito traduttivo e interpretativo sia grande e fortemente sentito, sia da parte di associazioni come AITI, AssITIG, ANTIMI e EULITA, sia da parte di altre associazioni e organizzazioni che con esse collaborano e cooperano sia a livello nazionale che internazionale.

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Riflessioni Conclusive

Whether explicitly stated in legal instruments or not, access to

translation and interpreting in public service settings is a natural,

human right to be guaranteed. Failure to enforce it may endanger the

life and the wellbeing of millions of people while perpetuating a social

landscape where everyone is not equal.99

Un’Unione Europea composta di 27 Stati membri non potrebbe esistere e funzionare senza interpreti e traduttori. Nell’introduzione al Final Report of the Special Interest Group on Translation and Interpreting for Public Services (SIGTIPS) – istituito dallo European Language Council nell’anno 2010 – Androulla Vassiliou100 dichiara che la lingua è la linfa vitale della politica e della vita pubblica, poiché è proprio attraverso di essa che l’uomo esprime i propri valori e le proprie ambizioni.

Il sempre più ampio movimento di persone attraverso il continente europeo negli ultimi decenni mostra chiaramente quanto la diversità linguistica sia oggi più evidente e forte che mai. Di conseguenza, servizi come l’interpretazione e la traduzione sono ormai divenuti una parte essenziale della vita pubblica, un diritto umano basilare che spetta ad ogni individuo. È pressoché impossibile, infatti, avere fiducia nella giustizia e nel principio di equità fintanto che non si ha la certezza che ogni parte coinvolta in un procedimento legale sia messa nelle condizioni di avere una piena e soddisfacente comprensione e di 99 Final Report of the Special Interest Group on Translation and Interpreting for Public Services (SIGTIPS): Recommendations. (http://www.eulita.eu/special-interest-group-translation-and-interpreting-public-services-publishes-its-final-report) 100 Commissario Europeo per l’Educazione, la Cultura, il Multilinguismo e la Gioventù.

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partecipare attivamente al procedimento. L’Unione Europea, attraverso gli Stati che la compongono, si sta quindi attivando per apportare le necessarie modifiche – in seno ai singoli Stati membri – ai sistemi giuridici e giudiziari, in modo tale da garantire il diritto alla traduzione e all’interpretazione, servizi indispensabili per la realizzazione di un giusto ed equo processo. La relazione stilata dal SIGTIPS ha proprio lo scopo di offrire una chiara e semplice analisi della situazione attuale concernente l’interpretazione e la traduzione in Europa, illustrando ciò che è stato fatto finora e ciò che deve essere fatto nell’immediato futuro.

Quanto, in sostanza, emerge dal Final Report del SIGTIPS è che, per far sì che interpreti e traduttori possano svolgere correttamente il loro importantissimo ruolo, è necessario che prima di tutto vengano create delle condizioni appropriate di lavoro. La traduzione non riguarda semplicemente i manuali di istruzioni o la letteratura, così come l’interpretazione non è un qualcosa che riguarda solamente grandi organizzazioni internazionali o conferenze scientifiche. Soprattutto nel momento in cui vengono utilizzate nell’ambito dei servizi pubblici, la traduzione e l’interpretazione riguardano principalmente le persone, e specialmente alcuni diritti umani fondamentali – quali il diritto alla difesa e alla giustizia – che esse devono contribuire a promuovere, difendere e garantire. Per questo motivo fornire un corretto servizio di traduzione e/o interpretazione non è più una scelta, ma una necessità.

Dalla sua fondazione l’Unione Europea è cresciuta molto, sia da un punto di vista multilinguistico che multietnico, e i paesi degli emigranti sono con il tempo divenuti mete per gli immigranti. Per quanto riguarda nello specifico la pluralità linguistica europea, esiste una Carta Europea delle Lingue Minoritarie e Regionali che promuove e protegge circa settanta lingue parlate in Europa. Tra queste non sono purtroppo contemplate le lingue dei migranti, che a loro volta

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contribuiscono però all’arricchimento del panorama linguistico europeo. Tutta questa varietà linguistica può comportare naturalmente il verificarsi di situazioni di incomprensione e di difficoltà di comunicazione, alle quali è possibile far fronte garantendo un’adeguata forma di assistenza linguistica a chi ne abbia bisogno. E per assistenza linguistica s’intendono fondamentalmente i servizi di traduzione e interpretazione offerti nell’ambito dei pubblici servizi, tra i quali spiccano la sanità e l’ambito legale.

Vi sono diversi documenti ufficiali europei e internazionali – tra i quali la Dichiarazione Universale per i Diritti Umani e la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – che proibiscono in maniera esplicita la discriminazione linguistica. Per quanto riguarda nello specifico l’ambito legale, esiste più di un documento ufficiale che ribadisce il rispetto dei diritti legati alla comprensione e alla capacità di comunicazione: innanzi tutto la Convenzione per la Tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali (CEDU), e in secondo luogo l’importantissima e recente Direttiva Europea del 2010 (2010/64/EU) sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali.

Naturalmente quando si parla di servizi di traduzione e interpretazione non si può non considerare alcuni aspetti fondamentali ad esse legati, tra i quali la qualità della traduzione/interpretazione, la disponibilità di interpreti e traduttori, e infine la loro formazione. Forme di assistenza linguistica nell’ambito dei pubblici servizi esistono praticamente da sempre, ma è solo a partire dagli anni sessanta che in alcuni paesi europei questa assistenza comincia ad essere garantita da veri e propri professionisti. Nonostante ciò, sono ancora molti i casi in cui un adeguato servizio di traduzione e/o interpretazione non risulta disponibile, anche se il problema più diffuso – in Europa così come altrove – rimane quello della qualità del servizio offerto. Le ragioni di tutto ciò sono spesso da ricercare in una legislazione inadeguata, nella mancanza di interesse sul

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piano politico, nella mancanza di risorse (soprattutto finanziarie) e nella scarsa attenzione che viene rivolta dagli stessi fornitori di servizi alla questione linguistica. Purtroppo ciò che viene spesso ignorato è che fornire un’assistenza linguistica inadeguata significa il più delle volte che la comunicazione tra coloro che parlano lingue diverse e che appartengono a culture diverse diviene praticamente impossibile, con effetti potenzialmente devastanti. Fortunatamente un aiuto importante viene sempre più spesso dalla tecnologia, utilizzata soprattutto in ambito legale (video/remote interpreting), la quale consente – tra le altre cose – di ridurre sia i tempi che gli spazi.

Di qualità dell’interpretazione si è parlato spesso in questo elaborato e ancora più spesso ne hanno discusso illustri professionisti che operano nel ramo traduttivo e interpretativo. Ciò che non può essere comunque ignorato è che la qualità è il più delle volte percepita e ricercata in modi tra loro anche molto diversi. Quello che invece resta costante è il fatto che, se lo scopo ultimo è la realizzazione soddisfacente dell’atto comunicativo, allora la questione qualitativa va assolutamente affrontata. Sono diversi i fattori che vengono considerati come fondamentali nel perseguimento della qualità. Uno di essi è indiscutibilmente la professionalità: la mancanza di qualità nella traduzione e nell’interpretazione è infatti troppo spesso dovuta allo svolgimento di queste importanti attività da parte di non professionisti. Naturalmente, come anche più volte ribadito nel corso della dissertazione, il processo di professionalizzazione deve necessariamente andare di pari passo con un adeguato riconoscimento economico di queste professioni.

Un altro importante fattore che contribuisce al raggiungimento di un soddisfacente livello qualitativo della traduzione e dell’interpretazione è la cosiddetta formazione, sia dal punto di vista educativo che dell’aggiornamento professionale. Per quanto l’aspetto formativo sia assolutamente fondamentale in una professione come quella del traduttore e

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dell’interprete, essa non è purtroppo sempre realizzabile e/o disponibile. E questo è certamente uno dei principali cambiamenti che la Direttiva 2010/64/EU sta obbligando molti paesi europei ad effettuare, oltre alla realizzazione di sistemi di accreditamento e riconoscimento ufficiali e la creazione di registri nazionali per traduttori e interpreti.

Quando si affronta il complesso tema della qualità traduttivo - interpretativa è bene sottolineare sempre quanto sia importante che il traduttore e l’interprete siano consapevoli del loro ruolo e del servizio che essi sono chiamati a svolgere, così come resta fondamentale che si crei un clima di comprensione e collaborazione reciproche tra interpreti/traduttori e coloro che offrono/forniscono un servizio pubblico. Infine, resta da ricordare la necessità del rispetto di un codice etico di comportamento e dell’impegno, da parte di tutti, per il miglioramento delle condizioni lavorative dei cosiddetti “esperti della lingua”.

Ciò che viene sostanzialmente sottolineato all’interno della relazione del SIGTIPS è che tutti – Unione Europea, autorità nazionali e locali, fornitori di servizi, istituzioni, così come gli stessi traduttori e interpreti – sono chiamati a svolgere la loro parte nel processo di cambiamento che sta avvenendo e che dovrà, in tempi abbastanza brevi, modificare lo stato attuale delle cose. Nello specifico, il SIGTIPS ha indicato alcuni interessanti suggerimenti, che vengono riportati di seguito101.

To the European Union

• a conference should be organised with the aim to raise awareness about

the importance and the urgency of addressing issues related to

translation and interpreting in public service settings

• the official recognition of the right to translation and interpreting in

public service settings should be actively promoted

• projects should be funded for the development of core curricula for

101 Tabelle e dati disponibili all’indirizzo: http://www.eulita.eu/special-interest-group-translation-and-interpreting-public-services-publishes-its-final-report

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training of public service translators and interpreters and for training of

trainers

• a EU label should be awarded to training programmes meeting agreed

quality standards

• A EU harmonised approach to certification and accreditation should be

encouraged

• projects should be funded for the translation of the most significant

publications on the theoretical and practical aspects of translation and

interpreting for public services

• research on public service translation and interpreting should be

promoted and financed

To national and local authorities

• legislation guaranteeing the right to translation and interpreting in

public service settings should be promoted

• mechanisms for the accreditation of agencies should be developed

• accreditation systems and registers of qualified translators and

interpreters should be created

• the profession should be recognised

• forms of quality control and quality assurance should be put in place

To public service providers

• translation and interpreting services should be made available in all

settings interpreting services available

• only properly trained and qualified translators and interpreters should

be hired

• staff should be trained to work with translators and interpreters

• working conditions, including remuneration, of translators and

interpreters should be improved

To higher education institutions

• training programmes based on properly designed curricula should be

offered

• the admission procedure should be open to candidates lacking

appropriate formal qualifications

• research aiming at developing translation tools, especially for less widely

spoken languages, as well as research on videoconference and remote

interpreting should be promoted and carried out

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• whenever appropriate, remote teaching and learning facilities should be

put in place

• programmes for training of trainers should be offered

To translators and interpreters

• professionalisation should be actively pursued

• codes of ethics and professional practice should be developed

• action should be taken to define standards for the use of new

technologies

In conclusione, come anche dichiarato fin dal principio, questo elaborato è stato pensato e realizzato con lo scopo di illustrare in modo chiaro e semplice la realtà attuale dell’interpretazione legale nel nostro paese e, in particolare, di quali siano i cambiamenti che stanno avvenendo alla luce di quanto espresso dalla recente Direttiva Europea 2010/64/EU sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali. Alla data del 27 ottobre 2013 tutti gli Stati membri dell’UE dovranno dimostrare di aver recepito la Direttiva e di aver apportato le modifiche necessarie richieste ai propri sistemi e apparati giuridici e/o giudiziari. Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, ad oltre un anno dalla pubblicazione della Direttiva Europea non sembrano essere molte le iniziative di miglioramento riscontrabili. Mancano ancora molti mesi all’ultimatum posto dall’Europa e molto ancora può essere realizzato: non resta quindi che cercare di capire cosa ognuno di noi può fare per cambiare lo stato attuale delle cose e impegnarsi affinché il cambiamento non resti ancora una volta un’utopia irrealizzabile, ma divenga una meta raggiungibile.

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Appendice I

DIRETTIVA 2010/64/UE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL

CONSIGLIO del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla

traduzione nei procedimenti penali

IL PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA, visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea, in particolare l’articolo 82, paragrafo 2, secondo comma, lettera b), vista l’iniziativa del Regno del Belgio, della Repubblica federale di Germania, della Repubblica di Estonia, del Regno di Spagna, della Repubblica francese, della Repubblica italiana, del Granducato di Lussemburgo, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica d’Austria, della Repubblica portoghese, della Romania, della Repubblica di Finlandia e del Regno di Svezia, previa trasmissione del progetto di atto legislativo ai parlamenti nazionali, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, considerando quanto segue: (1) L’Unione si è posta l’obiettivo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Secondo le conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, in particolare il punto 33, il principio del reciproco riconoscimento delle sentenze e delle altre decisioni di autorità giudiziarie dovrebbe diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria nell’Unione in materia civile e in materia penale, poiché un reciproco riconoscimento rafforzato e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbe la cooperazione tra le autorità competenti e la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli. (2) In ottemperanza alle conclusioni di Tampere, il 29 novembre 2000 il Consiglio ha adottato un programma di misure per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali. L’introduzione al programma stabilisce che il reciproco riconoscimento «deve consentire di rafforzare non solo la cooperazione tra Stati membri, ma anche la protezione dei diritti delle persone». (3) L’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale presuppone che gli Stati membri ripongano fiducia reciproca nei rispettivi sistemi di giustizia penale. La portata del reciproco

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riconoscimento è strettamente vincolata a numerosi parametri, inclusi i meccanismi di protezione dei diritti degli indagati o degli imputati e le norme minime comuni necessarie ad agevolare l’applicazione del suddetto principio. (4) Il reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale può realizzarsi efficacemente soltanto in uno spirito di affidamento, nel quale non solo le autorità giudiziarie, ma tutti i soggetti coinvolti nel procedimento penale considerano le decisioni delle autorità giudiziarie degli altri Stati membri equivalenti alle proprie. Ciò presuppone affidamento non solo nell’adeguatezza delle normative degli altri Stati membri, bensì anche nella corretta applicazione di tali normative. (5) L’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (in prosieguo, la «CEDU») e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo, la «Carta») sanciscono il diritto a un processo equo. L’articolo 48, paragrafo 2, della Carta garantisce il rispetto dei diritti della difesa. La presente direttiva rispetta tali diritti e dovrebbe essere attuata di conseguenza. (6) Sebbene tutti gli Stati membri siano firmatari della CEDU, l’esperienza ha dimostrato che questa circostanza non sempre assicura un grado sufficiente di affidamento nei sistemi di giustizia penale degli altri Stati membri. (7) Ai fini di un rafforzamento della fiducia reciproca è necessaria un’applicazione più coerente dei diritti e delle garanzie stabiliti all’articolo 6 della CEDU. È inoltre necessario, per mezzo della presente direttiva e di altre misure, sviluppare ulteriormente all’interno dell’Unione le norme minime stabilite nella CEDU e nella Carta. (8) A norma dell’articolo 82, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, è possibile stabilire norme minime applicabili negli Stati membri al fine di facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensioni transnazionali. L’articolo 82, paragrafo 2, secondo comma, lettera b), indica «i diritti della persona nella procedura penale» quale uno degli ambiti in cui è possibile stabilire norme minime. (9) Le norme minime comuni dovrebbero incrementare l’affidamento nei sistemi di giustizia penale di tutti gli Stati membri, che a sua volta dovrebbe generare una più efficace cooperazione giudiziaria in un clima di fiducia

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reciproca. Tali norme minime comuni si dovrebbero stabilire nell’ambito dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali. (10) Il 30 novembre 2009 il Consiglio ha adottato una risoluzione relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali. Seguendo un approccio in varie tappe, la tabella di marcia ha invitato ad adottare misure concernenti il diritto alla traduzione e all’interpretazione (misura A), il diritto a informazioni relative ai diritti e all’accusa (misura B), il diritto alla consulenza legale e all’assistenza legale gratuita (misura C), il diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D), nonché le garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili (misura E). (11) Il Consiglio europeo ha accolto con favore la tabella di marcia e l’ha integrata nel programma di Stoccolma (punto 2.4), adottato il 10 dicembre 2009. Il Consiglio europeo ha sottolineato il carattere non esaustivo della tabella di marcia, invitando la Commissione a esaminare ulteriori elementi in materia di diritti procedurali minimi per gli indagati e gli imputati, nonché a valutare la necessità di affrontare altre questioni, ad esempio la presunzione d’innocenza, in modo da promuovere una migliore cooperazione in tale settore. (12) La presente direttiva si riferisce alla misura A della tabella di marcia. Essa stabilisce norme minime comuni da applicare nell’ambito dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali al fine di rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri. (13) La presente direttiva si basa sulla proposta della Commissione di decisione quadro del Consiglio sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, dell’8 luglio 2009, e sulla proposta della Commissione di una direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, del 9 marzo 2010. (14) Il diritto all’interpretazione e alla traduzione per coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento è sancito dall’articolo 6 della CEDU, come interpretato nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo. La presente direttiva facilita l’applicazione di tale diritto nella pratica. A tal fine, lo scopo della presente direttiva è quello di assicurare il diritto di persone indagate o imputati all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali al fine di garantire il loro diritto ad un processo equo.

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(15) I diritti previsti dalla presente direttiva dovrebbero altresì applicarsi, quali necessarie misure di accompagnamento, all’esecuzione del mandato d’arresto europeo nei limiti stabiliti dalla medesima. Gli Stati membri di esecuzione dovrebbero provvedere all’interpretazione e alla traduzione a beneficio delle persone ricercate che non parlino o non comprendano la lingua del procedimento e assumerne i relativi costi. (16) In taluni Stati membri un’autorità diversa da una corte avente giurisdizione in materia penale è competente per comminare sanzioni in relazione a reati relativamente minori. Questo può essere il caso, ad esempio, delle infrazioni al codice della strada commesse su larga scala e che potrebbero essere accertate in seguito a un controllo stradale. In tali situazioni, non sarebbe ragionevole esigere che l’autorità competente garantisca tutti i diritti sanciti dalla presente direttiva. Laddove la legislazione di uno Stato membro preveda l’imposizione di una sanzione per reati minori da parte di tale autorità e vi sia il diritto a presentare ricorso a una giurisdizione competente in materia penale, la presente direttiva dovrebbe quindi applicarsi solo ai procedimenti dinanzi a tale giurisdizione in seguito a tale ricorso.IT L 280/2 Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 26.10.2010 (17) La presente direttiva dovrebbe assicurare un’assistenza linguistica adeguata e gratuita, consentendo a indagati o imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale di esercitare appieno i loro diritti della difesa e tutelare l’equità del procedimento. (18) L’interpretazione a beneficio degli indagati o degli imputati dovrebbe essere fornita senza indugio. Tuttavia, qualora un certo lasso di tempo trascorra prima che l’interpretazione sia fornita, ciò non dovrebbe costituire una violazione dell’obbligo di fornire l’interpretazione senza indugio, nella misura in cui tale lasso di tempo sia ragionevole date le circostanze. (19) Le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato dovrebbero essere tradotte a norma della presente direttiva. Gli indagati o gli imputati dovrebbero, tra l’altro, poter spiegare al loro avvocato la loro versione dei fatti, segnalare eventuali dichiarazioni con cui sono in disaccordo e mettere il loro avvocato a conoscenza di eventuali circostanze da far valere a loro difesa. (20) Ai fini della preparazione della difesa, le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato, direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso o di un’altra richiesta procedurale, quale un’istanza di libertà provvisoria,

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dovrebbero essere tradotte laddove necessario al fine di tutelare l’equità del procedimento. (21) Gli Stati membri dovrebbero garantire la messa a disposizione di procedure o meccanismi allo scopo di accertare se indagati o imputati parlano e comprendono la lingua del procedimento penale e se necessitano dell’assistenza di un interprete. Tale procedura o meccanismo implica che le autorità competenti si accertino opportunamente, anche consultando gli interessati, se gli indagati o gli imputati parlano e comprendono la lingua del procedimento penale e se necessitano dell’assistenza di un interprete. (22) L’interpretazione e la traduzione a norma della presente direttiva dovrebbero essere fornite nella lingua madre degli indagati o imputati o in qualsiasi altra lingua che questi parlano o comprendono, per consentire loro di esercitare appieno i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento. (23) Il rispetto del diritto all’interpretazione e alla traduzione stabilito nella presente direttiva non dovrebbe arrecare pregiudizio ad alcun altro diritto procedurale sancito dal diritto nazionale. (24) Gli Stati membri dovrebbero garantire che possa essere esercitato un controllo sull’adeguatezza dell’interpretazione e della traduzione fornite, quando le autorità competenti sono state informate in merito a un determinato caso. (25) Gli indagati o gli imputati o le persone soggette a procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo dovrebbero avere il diritto di impugnare la decisione che dichiara superflua l’interpretazione, secondo le procedure della legislazione nazionale. Tale diritto non comporta per gli Stati membri l’obbligo di prevedere un meccanismo separato o una procedura di ricorso con cui tale decisione potrebbe essere impugnata e non dovrebbe pregiudicare i termini applicabili all’esecuzione di un mandato di arresto europeo. (26) Qualora la qualità dell’interpretazione sia considerata insufficiente per garantire il diritto a un processo equo, le autorità competenti dovrebbero poter sostituire l’interprete in questione. (27) L’obbligo di dedicare un’attenzione particolare a indagati o imputati in posizione di potenziale debolezza, in particolare a causa di menomazioni fisiche che ne compromettono la capacità di comunicare efficacemente, costituisce il fondamento di una buona amministrazione della giustizia. Le autorità preposte all’esercizio dell’azione penale, le autorità di pubblica

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sicurezza e le autorità giudiziarie dovrebbero quindi provvedere affinché tali persone possano esercitare in modo effettivo i diritti previsti dalla presente direttiva, ad esempio prendendo in considerazione qualsiasi potenziale vulnerabilità che compromette la loro capacità di seguire il procedimento e di farsi capire, e intraprendendo le azioni necessarie per garantire i diritti in questione. (28) Quando si utilizza la videoconferenza per l’interpretazione a distanza, le autorità competenti dovrebbero poter utilizzare gli strumenti sviluppati nel contesto della giustizia elettronica europea (ad esempio informazioni sui tribunali che dispongono di materiale o di manuali per la videoconferenza). (29) È opportuno che la presente direttiva sia esaminata alla luce dell’esperienza pratica acquisita e, se del caso, modificata al fine di rafforzarne le garanzie. (30) La garanzia dell’equità del procedimento esige che i documenti fondamentali, o almeno le parti rilevanti di tali documenti, siano tradotti a beneficio di indagati o imputati a norma della presente direttiva. Alcuni documenti dovrebbero sempre essere considerati fondamentali a tale scopo e dovrebbero quindi essere tradotti, quali le decisioni che privano la persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze. Le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero stabilire, di propria iniziativa o su richiesta di indagati o imputati o del loro avvocato, quali altri documenti sono essenziali per tutelare l’equità del procedimento e che dovrebbero pertanto essere ugualmente tradotti. (31) Gli Stati membri dovrebbero facilitare l’accesso alle banche dati nazionali da parte dei traduttori e degli interpreti giurati laddove tali banche dati esistano. In tale contesto, è opportuno prestare particolare attenzione all’obiettivo di fornire l’accesso alle banche dati esistenti attraverso il portale della giustizia elettronica, come stabilito nel piano d’azione pluriennale 2009-2013 in materia di giustizia elettronica europea del 27 novembre 2008 ( 1 ). (32) La presente direttiva dovrebbe stabilire norme minime. Gli Stati membri dovrebbero poter ampliare i diritti previsti dalla presente direttiva al fine di assicurare un livello di tutela più elevato anche in situazioni non espressamente contemplate dalla presente direttiva. Il livello di tutela non dovrebbe mai essere inferiore alle disposizioni della CEDU o della Carta, come interpretate nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo o della Corte di giustizia dell’Unione europea.

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(33) Le disposizioni della presente direttiva, che corrispondono ai diritti garantiti dalla CEDU o dalla Carta, dovrebbero essere interpretate e applicate in modo coerente rispetto a tali diritti, come interpretati nella pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia dell’Unione europea. (34) Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire stabilire norme minime comuni, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa della sua portata e dei suoi effetti, essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. (35) A norma dell’articolo 3 del protocollo (n. 21) sulla posizione del Regno Unito e dell’Irlanda rispetto allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea, tali Stati membri hanno notificato che desiderano partecipare all’adozione e all’applicazione della presente direttiva. (36) A norma degli articoli 1 e 2 del protocollo (n. 22) sulla posizione della Danimarca, allegato al trattato sull’Unione europea e al trattato sul funzionamento dell’Unione europea, la Danimarca non partecipa all’adozione della presente direttiva, non è da essa vincolata, né è soggetta alla sua applicazione, HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA: Articolo 1 Oggetto e ambito di applicazione 1. La presente direttiva stabilisce norme relative al diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali e nei procedimenti di esecuzione di un mandato di arresto europeo. 2. Il diritto di cui al paragrafo 1 si applica alle persone che siano messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, vale a dire fino alla decisione definitiva che stabilisce se abbiano commesso il reato, inclusi, se del caso, l’irrogazione della pena e l’esaurimento delle istanze in corso. 3. Laddove la legislazione di uno Stato membro preveda, per reati minori, l’irrogazione di una sanzione da parte di un’autorità diversa da una giurisdizione competente in materia penale e laddove l’irrogazione di tale sanzione possa essere oggetto di impugnazione dinanzi a tale giurisdizione,

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la presente direttiva si applica solo ai procedimenti di impugnazione dinanzi a tale giurisdizione. 4. La presente direttiva lascia impregiudicato il diritto nazionale relativo alla presenza dell’avvocato in tutte le fasi del procedimento penale, così come il diritto nazionale relativo al diritto di accesso dell’indagato o imputato ai documenti nei procedimenti penali. Articolo 2 Diritto all’interpretazione 1. Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale in questione siano assistiti senza indugio da un interprete nei procedimenti penali dinanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, inclusi gli interrogatori di polizia, e in tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari. 2. Gli Stati membri assicurano, ove necessario al fine di tutelare l’equità del procedimento, che l’interpretazione sia disponibile per le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato, direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso o di un’altra istanza procedurale. 3. Il diritto all’interpretazione di cui ai paragrafi 1 e 2 comprende l’appropriata assistenza per persone con problemi di udito o difficoltà di linguaggio. 4. Gli Stati membri assicurano la messa a disposizione di procedure o meccanismi allo scopo di accertare se gli indagati o gli imputati parlano e comprendono la lingua del procedimento penale e se hanno bisogno dell’assistenza di un interprete. 5. Gli Stati membri assicurano che, secondo le procedure della legislazione nazionale, gli indagati o gli imputati abbiano il diritto di impugnare una decisione che dichiara superflua l’interpretazione e, nel caso in cui l’interpretazione sia stata fornita, abbiano la possibilità di contestare la qualità dell’interpretazione in quanto insufficiente a tutelare l’equità del procedimento. 6. Se del caso, è possibile utilizzare tecnologie di comunicazione quali la videoconferenza, il telefono o Internet, a meno che la presenza fisica dell’interprete non sia necessaria al fine di tutelare l’equità del procedimento. 7. Nel procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo lo Stato membro di esecuzione assicura che le proprie autorità competenti, a norma del presente articolo, forniscano l’assistenza di un interprete alle persone che siano soggette a tale procedimento e non parlino o non comprendano la lingua del procedimento. 8. L’interpretazione fornita ai sensi del presente articolo dev’essere di qualità sufficiente a tutelare l’equità del procedimento, in particolare garantendo che gli imputati o gli indagati in procedimenti penali siano a

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conoscenza delle accuse a loro carico e siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa. Articolo 3 Diritto alla traduzione di documenti fondamentali 1. Gli Stati membri assicurano che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una traduzione scritta di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento. 2. Tra i documenti fondamentali rientrano le decisioni che privano una persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi d’imputazione e le sentenze. 3. In qualsiasi altro caso le autorità competenti decidono se sono fondamentali altri documenti. Gli indagati o gli imputati o il loro avvocato possono presentare una richiesta motivata a tal fine. 4. Non è necessario tradurre i passaggi di documenti fondamentali che non siano rilevanti allo scopo di consentire agli indagati o agli imputati di conoscere le accuse a loro carico. 5. Gli Stati membri assicurano che, secondo le procedure della legislazione nazionale, gli indagati o gli imputati abbiano il diritto di impugnare una decisione che dichiara superflua l’interpretazione di documenti o di passaggi degli stessi e, nel caso in cui una traduzione sia stata fornita, abbiano la possibilità di contestare la qualità della traduzione in quanto non sufficiente a tutelare l’equità del procedimento. 6. Nel procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo lo Stato membro di esecuzione assicura che le proprie autorità competenti forniscano a chiunque sia soggetto a tale procedimento e non comprenda la lingua in cui il mandato d’arresto europeo è redatto, o è stato tradotto dallo Stato membro emittente, la traduzione scritta del documento in questione. 7. In deroga alle norme generali di cui ai paragrafi 1, 2, 3 e 6, è possibile fornire una traduzione orale o un riassunto orale di documenti fondamentali, anziché una traduzione scritta, a condizione che tale traduzione orale o riassunto orale non pregiudichi l’equità del procedimento. 8. Qualsiasi rinuncia al diritto alla traduzione dei documenti di cui al presente articolo è soggetta alle condizioni che gli indagati o gli imputati abbiano beneficiato di una previa consulenza legale o siano venuti in altro modo pienamente a conoscenza delle conseguenze di tale rinuncia e che la stessa sia inequivocabile e volontaria. 9. La traduzione fornita ai sensi del presente articolo deve essere di qualità sufficiente a tutelare l’equità del procedimento, in particolare garantendo che gli imputati o gli indagati in procedimenti penali siano a conoscenza delle accuse a loro carico e siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa.

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Articolo 4 Costi di interpretazione e traduzione Gli Stati membri sostengono i costi di interpretazione e di traduzione derivanti dall’applicazione degli articoli 2 e 3, indipendentemente dall’esito del procedimento. Articolo 5 Qualità dell’interpretazione e della traduzione 1. Gli Stati membri adottano misure atte a garantire che l’interpretazione e la traduzione fornite rispettino la qualità richiesta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 8, e dell’articolo 3, paragrafo 9. 2. Al fine di assicurare un servizio di interpretazione e di traduzione adeguato e un accesso efficiente a tale servizio, gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. Una volta istituiti, tali registri, se del caso, sono messi a disposizione degli avvocati e delle autorità competenti. 3. Gli Stati membri assicurano che gli interpreti e i traduttori rispettino la riservatezza per quanto riguarda l’interpretazione e la traduzione fornite ai sensi della presente direttiva. Articolo 6 Formazione Fatta salva l’indipendenza della magistratura e le differenze nell’organizzazione del potere giudiziario in tutta l’Unione, gli Stati membri richiedono ai responsabili della formazione di giudici, procuratori e personale giudiziario coinvolti nei procedimenti penali, di prestare particolare attenzione alle specificità della comunicazione assistita da un’interprete in modo da garantirne l’efficacia e l’efficienza. Articolo 7 Obblighi di verbalizzazione Gli Stati membri provvedono affinché, quando l’indagato o l’imputato è stato sottoposto ad interrogatori o ad udienze da parte di un’autorità di polizia o giudiziaria con l’assistenza di un interprete ai sensi dell’articolo 2, quando sono stati forniti una traduzione orale o un riassunto orale in presenza di detta autorità ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 7, ovvero quando una persona ha rinunciato al diritto alla traduzione ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 8, si prenderà nota che tali eventi si sono verificati, utilizzando la procedura di verbalizzazione ai sensi del diritto dello Stato membro interessato. Articolo 8 Non regressione

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Nessuna disposizione della presente direttiva può essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali offerti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla Carta di diritti fondamentali dell’Unione europea, da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dalle legislazioni degli Stati membri che assicurano un livello di protezione più elevato. Articolo 9 Recepimento 1. Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 27 ottobre 2013. 2. Essi trasmettono alla Commissione il testo di tali misure. 3. Quando gli Stati membri adottano tali misure, queste contengono un riferimento alla presente direttiva o sono corredate di un siffatto riferimento all’atto della pubblicazione ufficiale. Le modalità di tale riferimento sono decise dagli Stati membri. Articolo 10 Relazione Entro il 27 ottobre 2014 la Commissione presenta al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione in cui valuta in che misura gli Stati membri abbiano adottato le misure necessarie per conformarsi alla presente direttiva, corredata, se del caso, di proposte legislative. Articolo 11 Entrata in vigore La presente direttiva entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Articolo 12 Destinatari Gli Stati membri sono destinatari della presente direttiva conformemente ai trattati.

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“DICHIARO CON LA PRESENTE CHE IL LAVORO DI TESI È STATO DA ME PERSONALMENTE REDATTO SULLA BASE DI MIE PROPRIE RICERCHE E CHE HO SEGNALATO PUNTUALMENTE IN NOTA E IN BIBLIOGRAFIA LE FONTI, OSSIA LE RIPRESE LETTERALI DEI TESTI CRITICI, NONCHÉ QUALSIASI RIPRESA DA PENSIERO ALTRUI”