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>> 0 >> 1 >> 2 >> 3 >> 4 >> IL CINEMA DEI LUMIÈRE

IL CINEMA DEI LUMIÈRE · 2020. 3. 8. · des Cordeliers, l’acrobata che fa il suo numero come il bimbo che gioca col pesce rosso. Sono tutte «scene di vita vissuta». ... fotografia

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    IL CINEMA DEI LUMIÈRE

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    Mai rifiuto fu più netto e

    mai fu più palese che il

    cinema come noi lo

    vediamo, come l’abbiamo

    vissuto per circa un

    secolo. non coincide con

    il progetto, più o meno

    dichiarato, dei Lumière.

    Eppure sono loro a

    essere unanimemente

    indicati come gli inventori

    del cinema. Perché?

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    1900. Anna Held, star di Ziegfeld,

    pubblicizza un Mutoscope

    Il motivo principale per cui viene loro attribuita la paternità del

    cinema, come è noto, è la capacità di offrire una «proiezione»

    di immagini in movimento di buona qualità a un pubblico che

    fruisce collettivamente della visione, spezzando così il sigillo

    «onanista» di Edison.

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    «Edison per primo aveva

    realizzato l’immagine

    fotografica animata, ma i fratelli

    Lumière l’hanno resa

    accessibile alle folle. Il merito di

    questi ultimi è dunque

    considerevole».

    Charles Pathè

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    E fin qui il loro progetto e la storia successiva del cinema

    ancora coincidono. Ma la loro eredità è un po’ più complessa

    e per comprenderla meglio dobbiamo a questo punto porre

    due domande.

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    La prima: se il loro congegno non doveva essere impiegato

    per creare ambienti esotici, avventure, sogni, personaggi

    leggendari e storie meravigliose, a che cosa sarebbe dovuto

    servire?

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    Che cosa cercavano i due fratelli, che cosa pensavano di aver

    inventato con quel «macinino di immagini» che dà vita alle

    fotografie? La risposta ce la dà Louis Lumière che, cinquanta

    anni dopo, scrive a Georges Sadoul: «Desideravo solo

    riprodurre la vita. I soggetti che ho scelto per i miei film ne

    sono la prova».

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    Cinema totale

    Riprodurre la vita. Un obiettivo

    ambizioso e astratto, ispirato

    secondo Burch (1991) alla

    stessa utopia del meccanismo

    «demiurgico» che animava il

    sogno del barone Frankenstein.

    Un obiettivo che riguarderebbe

    le potenzialità inespresse della

    macchina, se i Lumière non

    avessero anche provato a dare

    un corposo saggio delle sue

    possibili declinazioni concrete.

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    Le vedute Lumièrela capillare esplorazione

    dell’attualità e della vita

    quotidiana confluita nel loro

    imponente Catalogue, forte

    di quasi 1500 film, è di fatto

    la prima cineteca ma anche

    la sintesi e il monumento

    della cultura visuale del

    primo Novecento, a metà

    strada fra il reportage

    documentaristico e la

    cartolina illustrata.

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    L’estraneità dei Lumière all’dea di

    spettacolo, l’indifferenza per i gusti

    del grande pubblico (la cui caciara

    sembra perfino disturbarli) e

    l’apparente casualità delle Vues

    photographique animées non

    devono trarre in inganno. Il loro

    modus operandi può rivelare molto

    sulle intenzioni che li animano,

    sull’idea di «cinema» che li guida,

    sulla loro concezione del rapporto

    fra la realtà e la sua raffigurazione.

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    Soggetti

    L’insieme dei loro prodotti esprime la decisa opzione per un

    cinema-documento di chiara impronta «realista». La poetica del

    quotidiano dei due fratelli riposa infatti su due pilastri. Il primo è

    l’incrollabile fiducia nella potenza della loro macchina, cui

    attribuiscono ingenuamente la facoltà di togliere qualunque filtro

    fra la realtà e la sua rappresentazione, assimilando la loro

    opera a un «album di fotografie», animate da un prodigio

    tecnico, che in teoria esclude ogni artificio.

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    Le vedute Lumière

    Il loro primo passo per inseguire la vita consiste quindi nella

    fedeltà della riproduzione, suffragata da un cinema ineccepibile

    e «pulito». Definizione delle immagini, fluidità del movimento e

    organizzazione delle riprese sono infatti molto curate e Louis,

    esperto fotografo, sa dosare luci e ombre, linee e volumi nella

    composizione delle inquadrature. Gli obiettivi usati delineano

    infine una profondità di campo che garantisce la stessa

    leggibilità agli elementi sullo sfondo e quelli in primo piano,

    come ne L’Arrivée d’un train, con il treno sempre a fuoco.

    L’Arrivée d’un train à La Ciotat, 1895

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    Panorama del Canal Grande da un battello (Cat. Lumière N°295)

    La passione per la tecnica porta anche a grandi

    innovazioni «linguistiche». Alexandre Promio, ad

    esempio, nell’ottobre 1896, chiesto il permesso

    a Lione per porre la macchina da presa su una

    gondola, gira a Venezia la prima “panoramica”

    della storia del cinema. Gabriel Veyre realizza

    nel 1900 in Vietnam, a Namo, il primo «carrello

    all’indietro». Si tratta di «riprese in movimento»

    nitide e spettacolari che anticipano di quasi

    vent’anni l’uso dei movimenti di macchina.

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    Altri elementi grammaticali interessanti sono il fuoricampo con

    funzioni narrative ne L’arrivo del treno e il tentativo di assorbire

    lo spettatore nelle immagini presente in Spanish Bullfight

    (1900), dove la macchina da presa viene parzialmente collocata

    all’interno del fatto narrato, fornendo allo spettatore del film il

    punto di vista di quello della corrida.

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    Questi impulsi sperimentali minacciano l’oggettività della

    raffigurazione, poiché potrebbero far emergere l’ingombrante

    ruolo di «mediazione» ricoperto dall’operatore, ma l’involucro

    documentaristico imposto dalla ditta non consente il passaggio

    dal carattere puramente tecnico a quello narrativo, confinandoli

    al compito di rendere solo più intrigante e profondo lo sguardo

    sulla realtà, «facendo vedere» sempre di più e sempre meglio.

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    Il tarlo della narrazione insidia però ogni genere di film e,

    sebbene i Lumière si rifiutino tenacemente di conferire un

    fine «espressivo» alle Vues, che considerano sempre e solo

    un mezzo per registrare fedelmente la vita e la realtà in

    movimento, anche il loro sguardo sulla realtà non è mai così

    “innocente” e “casuale” come essi vorrebbero.

    Gerusalemme, Porta di

    Jaffa, lato est, 3 aprile 1897

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    Louis sa già prima che cosa vuole vedere, e dove cercare. Le

    sue vedute tradiscono infatti, oltra alla consueta tecnica,

    un’istintiva e particolare attenzione per la complessità delle

    inquadrature, per le azioni che coinvolgono una pluralità di

    persone, cui egli tende a conferire un ordine preciso, anche

    nelle inquadrature più «affollate», come in Sortie d’usines.

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    La Sortie, infatti, non è affatto quell’occhiata distratta sulla

    quotidianità che vorrebbe sembrare. L’esistenza di tre versioni

    rivela la «premeditazione» e molti elementi suggeriscono un

    «copione fantasma»: gli operai escono dividendosi con ordine,

    senza ammassarsi, evitando di passare davanti alla macchina

    da presa e ostruire così l’obiettivo. Anche l’assenza di sguardi

    in macchina, tranne furtivi ammiccamenti, fa intuire che le

    persone, avvertite in anticipo, stiano in parte recitando.

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    Messa in scena

    Si sospetta addirittura che gli operai siano stati convocati di

    domenica per replicare ‒ a uso esclusivo della cinepresa ‒ ciò

    che normalmente facevano durante la settimana e che quindi il

    primo protagonista della storia del cinema, la folla, sapesse fin

    troppo bene di essere filmato, il che spiegherebbe anche i

    cappelli e i vestiti Belle époque inadatti al lavoro.

    Operaie del reparto stenditura nel 1895 ca.

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    Messa in scena

    Anche ne La battaglia con le palle di neve (1897) sembra che

    l’operatore si sia imbattuto in un gruppo di allegri buontemponi

    e abbia deciso lì per lì di filmarli. Osservando la composizione

    dell’inquadratura, però, si nota che i movimenti dei personaggi

    non «impallano» mai l’operatore, che, ricordiamolo, aveva per

    filmare un minuto scarso a disposizione.

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    Messa in scena

    È anche sorprendente che, in un tempo così breve, il campo di

    battaglia sia addirittura attraversato da un ciclista spericolato. Il

    fatto che costui, come si vede all’inizio, non proviene dal fondo

    del viale ma parte da metà percorso, offre la prova ulteriore che

    si tratta di una “messa in scena”.

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    La quota di simulazione e una certa complicità fra i protagonisti

    e l’operatore sono altresì evidenti negli ammiccamenti verso la

    cinepresa che costellano le «scenette»: in Bataille de femmes

    (1896) le due donne protagoniste della lite si trattengono a

    stento dal ridere, in Repas de bébé (1896) la bambina offre un

    biscotto allo zio Louis che sta riprendendo.

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    Le vedute Lumière

    Ma il sentore di messa in scena presente nell’“organizzazione

    interna” delle riprese non minaccia la coerenza del realismo

    dell’impresa tanto quanto la presenza, nel grande mucchio

    delle vedute, di soggetti fictional, a carattere storico (Néron

    essayant des poisons sur des esclaves, 1897) o religioso

    (l’ambiziosa Passione del 1898), o di semplici storielle per

    ridere, a partire dall’Arroseur arrosé del 1895.

    .

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    Le jardinier

    Qui tutto è palesemente recitato e nulla è lasciato al caso: gli

    attori, la composizione dell’inquadratura, il ritmo, l’energia,

    l’astuzia con cui il giardiniere afferra il birbante e lo trascina

    verso una cinepresa che ancora non può muoversi.

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    Le jardinier

    Ma pur essendo più che evidenti la preparazione della scena e

    la filigrana narrativa, si percepisce che tutto questo conta poco:

    gli attori sono del tutto improvvisati, le trame ingenue, le storie

    assolutamente subordinata all’esigenza di «sorprendere» lo

    spettatore. L’obiettivo non è quindi quello di «intrattenerlo» ma

    sempre e comunque quello di fargli apprezzare il valore di

    duplicazione della realtà offerto dalla nuova tecnica.

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    Soggetti

    Entra in gioco qui il secondo pilastro della poetica dei Lumiére:

    una concezione «allargata» di realtà che non si limita alla

    registrazione oggettiva di dati «genuini», ma si estende alle

    ricostruzioni e alle messe in scena, agli aneddoti e alla ripresa

    di soggetti «consapevoli», assimilando gli inevitabili conati

    narrativi delle «messe in scena» (o «scene di genere») alla

    stessa logica del reportage fotografico.

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    Secondo i Lumière, la macchina da presa annulla ogni possibile

    discrepanza fra la vita e il suo racconto, rendendo tutto «reale»:

    l’arrivo del treno alla stazione come la scenetta domestica in cui

    i protagonisti non possono ignorare la macchina che li riprende,

    il giardiniere burlato come la registrazione del traffico in Place

    des Cordeliers, l’acrobata che fa il suo numero come il bimbo

    che gioca col pesce rosso. Sono tutte «scene di vita vissuta».

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    L’aura di naturalezza e spontaneità che aleggia su tutta la loro

    opera è alimentata dalla fede nella possibilità di rappresentare

    la realtà, la vita in movimento, che non permette loro di capire

    l’antinomia tra finzione e documentario, tra fiction e ripresa dal

    vero: per loro quindi la «cattura» di una scenetta quotidiana

    coincide perfettamente con la messa in scena di una «finzione

    realistica». La partita a carta allegramente inscenata dai propri

    parenti nel cortile di casa si sovrappone pertanto alle mille

    partite giocate in ogni dove, col vantaggio di una «cinegenicità»

    che paradossalmente la rende ancor più rappresentativa.

    Partie d’écarté (1895). L’uomo a sinistra è Antoine Lumière.

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    Soggetti

    La loro visione sulle funzioni e sul destino del Cinematografo

    sembra inscritta dentro quel naturalismo positivista che si

    ripropone di decifrare la realtà psicologica e sociale con gli

    stessi mezzi delle scienze naturali e che, in campo letterario,

    impone allo scrittore di raffigurare la realtà in modo oggettivo e

    impersonale, lasciando parlare le cose e i fatti narrati.

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    Soggetti

    Tuttavia è interessante la vaghezza con cui » viene declinato il

    paradigma «realista». La consuetudine dei Lumière con la

    fotografia omologa le vedute animate con l’«album dei ricordi»

    smussandone le potenzialità investigative e spettacolari, come

    del resto la concezione distensiva della realtà ne asseconda

    una lettura compiaciuta che fugge con cura ogni inquietudine.

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    Realismo

    «L’interesse del pubblico è in gran parte

    suscitato dalla curiosità di vedere riprodotta

    con molta esattezza la realtà fenomenica, sia

    nella rappresentazione delle forme, degli

    oggetti, della natura, degli esseri viventi, sia

    nei loro movimenti. È il “realismo” della

    rappresentazione che colpisce e meraviglia il

    pubblico, sono la naturalezza e la “verità”

    degli oggetti e dei personaggi che forniscono

    allo spettacolo il fascino e il carattere di

    novità».

    (Georges Brunel, Les projections mouvementées, Parigi 1897)

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    L’assenza di un progetto o di approfondita

    consapevolezza delle qualità espressive

    del mezzo, l’ambiguo disdegno verso la

    loro produzione materiale e la cieca fiducia

    nell’oggettività del mezzo lasciano quindi

    irrisolta la tensione fra documentazione

    «oggettiva» della realtà e ricorso a bozze

    di struttura narrativa, conducendo i due

    fratelli a una sistematica sottovalutazione

    dei fattori in gradi di distorcere la perfetta

    simmetria fra il reale e la sua riproduzione.

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    La prima volta

    Non si tratta solo dell’artificiosità della scena,

    falsificata dalla consapevolezza della messa

    in scena. A maggior ragione, sfugge a loro

    come a tutti i primi cineasti un elemento

    essenziale: anche nella registrazione più

    rigorosa, l’occhio della cinepresa introduce

    una distorsione inevitabile, potendo

    inquadrare solo un tratto di un’«infinità priva

    di senso», per dirla con Weber, che trova nel

    «punto di vista» dell’operatore (che ne sia o

    no consapevole) il framing che ne indirizza

    la percezione e la lettura.

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    La prima volta

    L’unico dato veramente

    oggettivo è perciò che la

    realtà dello schermo è diversa

    dalla realtà «vera» e gli

    spettatori si trovano sempre di

    fronte a una rappresentazione

    che mette in luce solo alcuni

    aspetti del reale, cui

    conferisce un sorprendente

    rilievo «drammatico»,

    accentuando i particolari

    normalmente trascurati.

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    Dopo tanti anni, col senno di poi e

    alla luce della sensibilità moderna

    possiamo dire che il loro tentativo

    di duplicare la vita, soprattutto se

    paragonato al netto prevalere del

    cinema che manifestamente si

    pone come il teatro del sogno e

    dell’invenzione, possa essere

    dichiarato, anche alla luce del loro

    precoce abbandono, un fallimento.

    Eppure, a guardar bene…

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    A guardar bene, al di là della consapevolezza della propria

    invenzione e della loro personale interpretazione del paradigma

    realista, cosa c’è qualcosa nell’opera dei fratelli Lumiére, una

    specie di «affabulazione primitiva» o «elementare» che

    oggettivamente arriva fino a noi, influenza il nostro rapporto con

    lo schermo e ne rende gradevole e interessante il ricordo.

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    Vedere è potere

    Inoltre, non va dimenticato che la proiezione cinematografica

    offre la possibilità di vedere senza essere visto, che garantisce

    ancor oggi allo spettatore un sottile senso di superiorità rispetto

    ai personaggi e la gratificazione nell’assistere alle loro vicende.

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    Il mare

    Allo stupore per la riproduzione meccanica delle azioni

    quotidiane mediante un apparecchio «miracoloso» le

    immagini dei Lumiére aggiungono il fascino sottile di

    osservare fatti e situazioni come fosse la «prima volta».

    Baignade en mer (1895), ad esempio, veduta di straordinaria

    modernità costruita all’insaputa dei suoi attori, evidenzia il

    legame del cinema dei Lumière con l’infanzia, con qualcosa

    che evoca sistematicamente il concetto di «prima volta».

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    Civiltà dell’immagine

    Il successo del cinematografo risiede essenzialmente in

    questa duplice attrattiva. Mentre si impone la nuova realtà

    dello schermo (tempo e spazio peculiari creati dalle grandi

    immagini bidimensionali in movimento), si intessono inediti

    rapporti con la realtà esterna, dando progressivamente vita

    a quella che sarà poi detta «civiltà dell’immagine».

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    La petite fille et son chat (1900)

    Immortalità

    I film Lumière possiedono il fascino della testimonianza storica

    e insieme quello della società della comunicazione ai suoi albori.

    Al di là della tecnica, del divertimento e della curiosità,

    l’elemento che combina il narcisismo innato della società

    dell’immagine e il desiderio d’immortalità dei “moderni” è l’idea

    di far muovere la fotografia per mostrare e conservare il mondo,

    poterlo tenere fra le mani e guardare in modo nuovo.

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    Non omnis moriar

    È in questo senso che assume spessore anche l’idea, altrimenti

    ingenua, che la registrazione della vita e la sua conservazione

    nel tempo nel tempo fossero una sfida al potere della morte,

    idea che, in una cronaca sulla serata del Salon Indien, compare

    ammanta di lirismo: «Quando queste macchine saranno a

    disposizione di tutti, quando tutti potranno fotografare gli esseri

    a loro cari, non più nella forma immobile ma nel loro

    movimento, nella loro azione, nei loro gesti familiari, con la

    parola sulle labbra, la morte cesserà di essere assoluta».

    La poste, 30 décembre 1895

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    Un altro fattore che consolida la fama dei due fratelli risiede in

    un’ingenua «poetica della famiglia borghese», che asseconda il

    gusto dell’epoca proiettando sulla realtà l’immagine bonaria e

    rassicurante di una società in pace con se stessa, fecondata

    dalla scienza: due affermati imprenditori che, «giocando» con

    gli strumenti ottici, aprono una finestra di rara verosimiglianza

    per un pubblico ancora affezionato al disegno e alla fotografia.

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    Infatti, la macchina per riprodurre il movimento e sorprendere

    la realtà con uno sguardo nuovo, non avrebbe potuto dare il

    suo specifico contributo al narcisismo della civiltà

    dell’immagine senza la partecipazione emotiva di un certo

    tipo di, eccitata e nello stesso tempo rassicurata da vedute

    che si tuffano nella quotidianità, come le stampe di genere e i

    quadretti familiari, amplificando la piacevole quiete della vita

    borghese per consegnarla a un’immortalità di celluloide.

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    Di vita rappresentata quindi nelle vedute ce n’è a volontà. Ma

    di quale vita si tratta? «È quasi sempre la vita quotidiana, più

    ordinaria e familiare. (…) Sì, certo, proprio così, sembrano i

    soggetti dei filmini di famiglia, i super8 del benessere di

    sessant’anni dopo. Il proto-cinema non voleva stupire con

    quello che mostrava, ma per come lo mostrava: perché

    l’album delle foto di famiglia, improvvisamente, si muoveva».

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    Per i Lumière infatti il cinema è un medium «domestico», un

    accessorio per l’appagato autoritratto della famiglia borghese.

    Questo «dilettantismo espressivo» in salsa amatoriale li salva

    dal pedante «oggettivismo» positivista e li tiene vicini al gusto

    dell’epoca. L’ipotesi realistica sospende così il suo rigore in una

    sorta di «limbo incantato» che restituisce ancor oggi il sognante

    ritratto di una società che si specchia compiaciuta in se stessa.

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    Spariscono così le istruzioni date ai «protagonisti», la scelta

    dell’inquadratura, l’allestimento della scena, insomma tutto ciò

    che, in una concezione più rigorosa della documentazione

    oggettiva della realtà, andrebbe fatalmente a «inquinare» la

    fedeltà della rappresentazione. Basta solo sedersi e guardare,

    poiché alla fine l’elemento più potente delle vedute è la

    relazione fra il soggetto e la macchina da presa, orba di tutte le

    interferenze diegetiche: è il modo in cui esse mimano l’atto del

    guardare e dell’osservare.

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    Il loro fascino risiede pertanto nella esplorazione dei

    meccanismi dello sguardo, al di fuori dello spazio finzionale,

    che inscena davanti a noi la pulsione a “guardare soltanto”

    così centrale per la nostra epoca.

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    Documentario

    Puntigliosamente attaccati all’idea di «mostrare la realtà»,

    lontanissimi dal mondo spettacolo, i Lumière inventano, forse

    senza saperlo, lo spettacolo del mondo, «il quadro, lo spazio

    scenico con cui il cinema racconta il mondo», come chiosa

    Farinelli. Guidando il nostro sguardo sul teatro della vita, essi ci

    mettono impegno e tecnica, il tempo aggiunge la magia.

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    «Nella storia del cinema sono

    numerosi i punti di fuga in cui, di colpo,

    sappiamo d’essere davanti a qualcosa

    di straordinario. L’esempio più bello è

    Lumière. E riguarda una cosa persino

    più importante del fatto d’avere

    inventato la proiezione. Perché quel

    che accade, con Lumière, è una sorta

    di miracolo. Lumière, come realista, è

    campione in ogni categoria. Eppure io

    trovo che i suoi film appartengano al

    fantastico».

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    «Quel fantastico che dovrebbe essere

    di tutti i film, ma che dopo Lumière non

    c’è stato più. Si è logorato, si è

    usurato, perché, dopo, tutto è stato

    trucco. Il cinema di Lumière mostra la

    vita come non si era mai vista.

    Lumière non è realista, il suo è il regno

    del miracolo. E tuttavia, i suoi film

    sono la realtà, per la prima volta.

    Un’ingenuità e una purezza che, dopo

    di lui, si sono perdute».

    Maurice Pialat (1925-2003)

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    «La vera storia del mondo inizia nel 1895.

    Prima si raccontava ciò che si vedeva. Con

    la parola, a far da padrone è la menzogna.

    Con le immagini, i bugiardi hanno avuto più

    difficoltà a distorcere la realtà. Per me il

    cinematografo è dunque la più bella

    invenzione di tutti i tempi. Non è la settima

    arte, ma la prima: la vera memoria del

    mondo. La forza dell’immagine e no

    comment. Un viaggio senza audioguida!»

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    «Poi questo vettore di verità si è

    trasformato in una macchina per raccontare

    storie. La magia è diventata un’altra. Ho per

    i fratelli Lumière una riconoscenza

    sconfinata. Senza di loro non avrei mai

    avuto questi piccoli momenti di verità,

    questi momenti magici che fanno la mia

    felicità, e mi ricordano i loro primi film: un

    minuto di pellicola in cui era la vita stessa a

    mettersi in scena».

    Claude Lelouch

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    Ah, per quanto riguarda

    il quesito iniziale, la

    soluzione data da Louis

    Lumière è semplice e

    definitiva e si riassume

    in una sola frase:

    «Qualcuno può dire,

    prima di noi, di

    essere andato al

    cinema?»