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l a b i r i n t i collana di nar r a t i v a p e r l a scuola media piccole cause Giovanni Verga piccoli cuori a cura di Maria Concetta Muscio Excerpt of the full publication

Giovanni Verga piccole cause piccoli cuori...l a b i r i n t i c o l l a n a d i n a r r a t i v a p e r l a sc u o la me di a piccole cause Giovanni Verga piccoli cuori a cura di

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narrativa

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piccole cause

Giovanni Verga

piccolicuori

a cura diMaria Concetta Muscio

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inti

collanadi

narrativa

perlascuola

media

piccole cause

Giovanni Verga

piccolicuori

a cura diMaria Concetta Muscio

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Copyright © 2005 Esselibri S.p.A.Via F. Russo 33/D80123 Napoli

Tutti i diritti riservatiÈ vietata la riproduzione anche parzialee con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazionescritta dell’editore.

Per citazioni e illustrazioni di competenza altrui, riprodotte in questo libro,l’editore è a disposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alleopportune correzioni nel caso di errori e/o omissioni a seguito della segnalazionedegli interessati.

Prima edizione: febbraio 2005

ISBN 88-244-8353-4S283 - Giovanni Verga, Novelle scelte

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2005 2006 2007 2008

Questo volume è stato stampato presso«Officina Grafica Iride»Via Prov.le Arzano-Casandrino, VII Trav., 24 - 80022 Arzano (NA)

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Copertina: Gianfranco De Angelis

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Premessa■

Accostare i ragazzi alla narrativa è uno dei compiti più importantidell’istruzione secondaria di primo e secondo grado, e Giovanni Ver-ga è certamente un Autore che consente una simile operazione didat-tica, perché sa far parlare le cose e i personaggi nella loro genuinaessenzialità. I protagonisti delle sue novelle vivono la quotidianità tragica dell’esi-stenza, con i loro piccoli cuori, spinti da piccole cause; sono parte dellafiumana del progresso, che porta l’umanità verso nuove e più avanzateforme di vita, anche se lascia sulle sue rive i propri relitti, ulterioreatto d’amore verso l’umanità che progredisce grazie al sacrificio av-venuto.Le storie proposte in questo volume, tratte dalle raccolte di novelledello scrittore siciliano, si prestano a solleticare l’interesse dei ragaz-zi, perché possano acquisire la consapevolezza di sé, la conoscenzadel mondo esterno, dell’intreccio di sentimenti e di interessi che in-tersecano il vissuto di ogni uomo.La scelta delle novelle è stata operata tenendo conto della poeticaverista e della necessità di fornire un quadro esauriente dei temiverghiani, nonché del forte impatto che alcune vicende possono averesulla curiosità intellettuale dei ragazzi. Esse sono state collocate inquattro sezioni, ciascuna delle quali comprende tre novelle: un mon-do senza speranza; gli indifesi, i deboli; il denaro, il potere; i raccontidella città.Ogni novella è preceduta da una breve introduzione e seguita dall’ap-posita scheda di lavoro, articolata secondo il ritmo del racconto e fi-nalizzata alla comprensione analitica del testo.

MARIA CONCETTA MUSCIO

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Giovanni Verga■

CENNI BIOGRAFICI

1840-1865 Il periodo cataneseGiovanni Verga nasce a Catania il 2 settembre 1840. Il padre discendeda una nobile famiglia di tradizioni liberali originaria di Vizzini, lamadre appartiene alla borghesia catanese. Frequenta la scuola diAntonino Abate, poeta e patriota democratico, avvicinandosi alla gran-de letteratura italiana.Nel 1858, per desiderio del padre, s’iscrive alla facoltà di Legge di Ca-tania. Ma, resosi conto che il suo vero interesse è la letteratura, vi ri-mane solo due anni. Appena sedicenne anni, infatti, ha già pubblicatoil romanzo storico Amore e patria; nel 1862 dà alle stampe il romanzostorico patriottico I carbonari della montagna, mentre nel ’63 è la vol-ta del romanzo sentimentale patriottico Sulle lagune.

1865-1872 Il periodo fiorentinoNel 1865 Verga si reca a Firenze, città ricca di vivacità culturale, dovefrequenta il conterraneo Luigi Capuana, che influirà notevolmentesulla sua produzione verista. In questi anni lo scrittore catanese pub-blica i romanzi Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871).

1872-1893 Il periodo milaneseNel 1872 Verga si trasferisce a Milano, richiamato da una città che sipresenta come un importante centro economico e culturale. Vi fre-quenta i salotti letterari ed entra in contatto con gli Scapigliati, attrat-to dalle loro idee innovatrici e dalla loro polemica antiborghese.È in questi anni che Verga compone le opere più importanti: il ro-manzo Eva (1873); il bozzetto Nedda (1874), scritto in tre giorni; i

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romanzi Tigre reale ed Eros (1875); Primavera e altri racconti (1876);Vita dei campi (1880), che raccoglie racconti già comparsi su alcuneriviste; I Malavoglia (1881), il primo romanzo del “Ciclo dei vinti”; ilromanzo Il marito di Elena (1882); Novelle rusticane, dodici novelleambientate in Sicilia, e Per le vie, dodici novelle ambientate a Milano(1883); Drammi intimi (1884), una raccolta di sei novelle; Vagabon-daggio (1887), una raccolta di dodici novelle; Mastro don Gesualdo(1889), il secondo romanzo del “Ciclo dei vinti”.La narrativa verghiana ci mostra una realtà triste, ostile, popolata dauomini simili a bestie da soma e da derelitti abbandonati a se stessi.Le descrizioni degli ambienti e dei personaggi sono fatte secondo il“punto di vista” di uno di loro. La lingua non è né letteraria né dialettale,ma il più possibile naturale; accanto alle parole italiane non mancanole espressioni e la sintassi della parlata siciliana.In questo periodo Verga svolge anche attività di drammaturgo.Riadatta per il teatro la novella Cavalleria rusticana, messa in scenanel 1884 al Teatro Carignano di Torino. Nel 1885 scrive il dramma indue atti In portineria, che però riscuote scarso successo. Nel 1890 vie-ne rappresentata al Teatro Costanzi di Roma l’opera Cavalleriarusticana, musicata da Pietro Mascagni.

1893-1922 Il ritorno a CataniaNel 1893 Verga torna a Catania. Questi anni sono caratterizzati da unascarsa produzione letteraria. Nel 1894 pubblica l’ultima raccolta dinovelle, Don Candeloro e compagni, e si dedica al teatro; riadatta Lalupa, rappresentata a Torino, e scrive due atti unici: La caccia al lupo eLa caccia alla volpe, messi in scena a Milano. Nel 1920 viene nomina-to senatore del Regno, pur tenendosi lontano dalla vita politica attiva.Muore a Catania il 27 gennaio 1922, colpito da trombosi cerebrale.

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Come studiare un testo narrativo■

1. Esaminare l’intreccio del racconto• dividere il testo in sequenze;• individuare le caratteristiche delle se-

quenze (dialogo, riflessione, raccontodi avvenimenti, descrizione);

• distinguere le 4 fasi principali del te-sto:a. situazione iniziale,b. situazione complicante,c. sviluppo degli avvenimenti,d. risoluzione finale.

2. Trovare il tema• individuare le parole-chiave che evi-

denziano il tema della narrazione.

3. Esaminare il tempo• ricostruire la durata della storia

e l’ordine in cui è narrata(fabula, intreccio).

4. Esaminare lo spazio• ricostruire lo spazio proposto

dalla storia e coglierne il signi-ficato.

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5. Esaminare i personaggi• individuare i personaggi princi-

pali e secondari e le loro caratte-ristiche (fisiche, psicologiche,ideologiche, sociali).

6. Esaminare le tecniche narrative• individuare la voce narrante

(narratore interno o esterno);• individuare il punto di vista del

narratore (focalizzazione inter-na, focalizzazione esterna,focalizzazione zero);

• individuare il modo in cui sonoriportate le parole dei personag-gi (discorso diretto, indiretto,indiretto libero, monologo);

• individuare eventuali formedialettali (registro alto o basso);

• individuare le figure retoriche.

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Glossario■

Analessi: figura retorica consistente nell’inserimento, all’interno dellanarrazione, di un evento anteriore al punto della storia nel quale cisi trova.

Anticipazione: narrazione di eventi futuri.

Canone dell’impersonalità: lo scrittore deve limitarsi a fotografarescientificamente la realtà.

Climax: figura retorica consistente nella successione di frasi o terminidisposti in ordine di intensità espressiva crescente o decrescente.

Discorso indiretto libero: resoconto di parole o pensieri dei perso-naggi senza la mediazione del narratore, quindi non introdotto dainessi verbali “dire” o “pensare”.

Eufemismo: figura retorica consistente nell’attenuazione di un’espres-sione troppo cruda o realistica.

Fabula: l’insieme dei fatti nella loro successione logica e cronologica.

Figure retoriche: associazioni di parole o espressioni che si allonta-nano dal linguaggio normale.

Flashback: ricostruzione di avvenimenti passati inseriti nello sviluppodella narrazione.

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Focalizzazione (o punto di vista): prospettiva secondo la quale èraccontata la storia.

Focalizzazione esterna: il narratore osserva con imparzialità i fatti enon adotta il punto di vista di alcun personaggio.

Focalizzazione interna: il narratore adotta il punto di vista internodi un personaggio, ci dice ciò che pensa e prova quel personaggio.

Focalizzazione zero: il narratore può adottare il punto di vista pro-prio o di più personaggi, interrompere la narrazione per esprime-re giudizi.

Intreccio: l’insieme dei fatti nell’ordine in cui vengono narrati.

Iperbole: espressione di un concetto in maniera esagerata e inverosimile.

Ironia: figura retorica consistente nell’affermazione, a livello lettera-le, dell’opposto che si vuole realmente intendere.

Metafora: figura retorica consistente nel trasferire il significato di untermine a un altro appartenente a un ambito diverso, con il qualeha in comune un rapporto di somiglianza.

Monologo: discorso diretto senza interlocutore.

Narratore esterno: narratore del tutto estraneo alla vicenda.

Narratore interno: narratore partecipe alla storia come testimone ocome protagonista (narrazione in prima persona).

Narratore onnisciente: narratore che sa tutto di tutti e rivela i piùriposti pensieri dei personaggi.

Perifrasi: figura retorica consistente in un giro di parole.

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Prolessi: figura retorica consistente nell’anticipazione di un eventodel racconto.

Ripetizione: figura retorica consistente nel ricorso frequente ad unastessa parola o espressione.

Sarcasmo: figura retorica consistente in una forma più intensa di iro-nia.

Sequenza: unità narrativa che ha un senso compiuto. Il passaggio dauna sequenza all’altra coincide con un cambiamento di luogo, dipersonaggi, di fatti, di tempo.

Similitudine: figura retorica consistente nel paragonare in formaesplicita due cose attraverso locuzioni quali come, sembra, assomi-glia…

Zoomorfismo: tecnica per la quale i personaggi e i loro comporta-menti assumono forme animali.

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un mondosenza speranza

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Nedda

Pubblicata nel 1874, è la prima novella di Verga di taglio verista, manon propriamente verista, in quanto manca l’impersonalità. L’Auto-re, anzi, interviene continuamente con un atteggiamento moralistico.Dopo aver conosciuto, durante la giovinezza, gli ambienti eleganti diMilano, lo scrittore scopre un mondo diverso, duro e crudele e per laprima volta sceglie come protagonisti umili personaggi della sua ter-ra. Nedda è una povera raccoglitrice di olive, che lavora in un poderealle falde dell’Etna.

Il focolare domestico era sempre ai miei occhi una figura rettorica(1), buona per incorniciarvi gli affetti più miti e sereni, come il raggiodi luna per baciare le chiome bionde; ma sorridevo allorquando sen-tivo dirmi che il fuoco del camino è quasi un amico. Sembravami inverità un amico troppo necessario, a volte uggioso e dispotico, che apoco a poco avrebbe voluto prendervi per le mani o per i piedi, e ti-rarvi dentro il suo antro affumicato, per baciarvi alla maniera di Giuda.Non conoscevo il passatempo di stuzzicare la legna, né la voluttà (2)di sentirsi inondare dal riverbero della fiamma; non comprendevo illinguaggio del cepperello (3) che scoppietta dispettoso, o brontolafiammeggiando; non avevo l’occhio assuefatto ai bizzarri disegni del-le scintille correnti come lucciole sui tizzoni anneriti, alle fantastichefigure che assume la legna carbonizzandosi, alle mille gradazioni dichiaroscuro della fiamma azzurra e rossa che lambisce (4) quasi ti-

(1) figura rettorica: figura stilistica chemira a ottenere maggiore efficacia nel di-scorso. Verga paragona il focolare dome-stico a una di queste figure, usate per ren-dere più piacevole una descrizione.

(2) voluttà: intenso piacere. È un termi-ne tipico del lessico tardo-romantico.(3) cepperello: piccolo pezzo di legno daardere.(4) lambisce: sfiora.

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un mondo senza speranza

mida, accarezza graziosamente, per divampare con sfacciata petulan-za. Quando mi fui iniziato ai misteri delle molle e del soffietto, m’in-namorai con trasporto della voluttuosa pigrizia del caminetto. Io la-scio il mio corpo su quella poltroncina, accanto al fuoco, come vi la-scerei un abito, abbandonando alla fiamma la cura di far circolare piùcaldo il mio sangue e di far battere più rapido il mio cuore; e incari-cando le faville fuggenti, che folleggiano come farfalle innamorate, difarmi tenere gli occhi aperti, e di far errare capricciosamente del pari(5) i miei pensieri. Cotesto spettacolo del proprio pensiero che svo-lazza vagabondo intorno a voi, che vi lascia per correre lontano, e pergettarvi a vostra insaputa quasi dei soffi di dolce e d’amaro in cuore,ha attrattive indefinibili. Col sigaro semispento, cogli occhi socchiusi,le molle fuggendovi dalle dita allentate, vedete l’altra parte di voi an-dar lontano, percorrere vertiginose distanze: vi par di sentirvi passarper i nervi correnti di atmosfere sconosciute: provate, sorridendo, sen-za muovere un dito o fare un passo, l’effetto di mille sensazioni chefarebbero incanutire i vostri capelli, e solcherebbero di rughe la vo-stra fronte.E in una di coteste peregrinazioni vagabonde dello spirito, la fiammache scoppiettava, troppo vicina forse, mi fece rivedere un’altra fiam-ma (6) gigantesca che avevo visto ardere nell’immenso focolare dellafattoria del Pino, alle falde dell’Etna. Pioveva, e il vento urlava incolle-rito; le venti o trenta donne che raccoglievano le olive del podere, fa-cevano fumare le loro vesti bagnate dalla pioggia dinanzi al fuoco; leallegre, quelle che avevano dei soldi in tasca, o quelle che erano inna-morate, cantavano; le altre ciarlavano (7) della raccolta delle olive, cheera stata cattiva, dei matrimoni della parrocchia, o della pioggia cherubava loro il pane di bocca. La vecchia castalda (8) filava, tanto per-ché la lucerna appesa alla cappa del focolare non ardesse per nulla; ilgrosso cane color di lupo allungava il muso sulle zampe verso il fuoco,rizzando le orecchie ad ogni diverso ululato del vento. Poi, nel tempo

(5) del pari: allo stesso modo.(6) mi fece rivedere un’altra fiamma: Ver-ga, dopo aver ricordato il focolare dome-stico, dà inizio alla storia di Nedda.

(7) ciarlavano: chiacchieravano.(8) la vecchia castalda: la moglie del fat-tore. Il termine castalda deriva dallongobardo “gastald”, dignitario di corte.

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Nedda

che cuocevasi la minestra, il pecoraio si mise a suonare certa ariettamontanina che pizzicava le gambe (9), e le ragazze incominciarono asaltare sull’ammattonato (10) sconnesso della vasta cucina affumi-cata, mentre il cane brontolava per paura che gli pestassero la coda. Icenci svolazzavano allegramente, e le fave ballavano anch’esse nellapentola, borbottando in mezzo alla schiuma che faceva sbuffare lafiamma. Quando le ragazze furono stanche, venne la volta delle can-zonette: «Nedda! Nedda la varannisa (11)!» sclamarono (12) parec-chie. «Dove s’è cacciata la varannisa?».«Son qua» rispose una voce breve dall’angolo più buio, dove s’eraaccoccolata una ragazza su di un fascio di legna.«O che fai tu costà (13)?».«Nulla».«Perché non hai ballato?».«Perché son stanca».«Cantaci una delle tue belle canzonette».«No, non voglio cantare».«Che hai?».«Nulla».«Ha la mamma che sta per morire» rispose una delle sue compagne,come se avesse detto che aveva male ai denti.La ragazza, che teneva il mento sui ginocchi, alzò su quella che avevaparlato certi occhioni neri, scintillanti, ma asciutti, quasi impassibili,e tornò a chinarli, senza aprir bocca, sui suoi piedi nudi.Allora due o tre si volsero verso di lei, mentre le altre si sbandavanociarlando tutte in una volta come gazze che festeggiano il lauto pasco-lo, e le dissero: «O allora perché hai lasciato tua madre?».«Per trovar del lavoro».«Di dove sei?».

(9) pizzicava le gambe: faceva venir vo-glia di ballare.(10) ammattonato: pavimento di mat-toni.(11) Nedda la varannisa: Nedda èdiminutivo di “Bastianedda” (Sebastiana).

La donna era originaria di Viagrande, insiciliano Varanni, paese ai piedi dell’Etna.(12) sclamarono: esclamarono.(13) O che fai tu costà: è un toscanismo.

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un mondo senza speranza

«Di Viagrande, ma sto a Ravanusa».Una delle spiritose, la figlioccia del castaldo, che doveva sposare il ter-zo figlio di massaro Jacopo a Pasqua, e aveva una bella crocetta d’oroal collo, le disse volgendole le spalle: «Eh! non è lontano! la cattivanuova dovrebbe recartela proprio l’uccello (14)».Nedda le lanciò dietro un’occhiata simile a quella che il caneaccovacciato dinanzi al fuoco lanciava agli zoccoli che minacciavanola sua coda.«No! lo zio (15) Giovanni sarebbe venuto a chiamarmi!» esclamò comerispondendo a se stessa.«Chi è lo zio Giovanni?».«È lo zio Giovanni di Ravanusa», lo chiamano tutti così.«Bisognava farsi imprestare qualche cosa dallo zio Giovanni, e nonlasciare tua madre» disse un’altra.«Lo zio Giovanni non è ricco, e gli dobbiamo diggià dieci lire! E ilmedico? e le medicine? e il pane di ogni giorno? Ah! si fa presto adire!» aggiunse Nedda scrollando la testa, e lasciando trapelare per laprima volta un’intonazione più dolente nella voce rude e quasi sel-vaggia: «ma a veder tramontare il sole dall’uscio, pensando che nonc’è pane nell’armadio, né olio nella lucerna, né lavoro per l’indomani,la è una cosa (16) assai amara, quando si ha una povera vecchia infer-ma, là su quel lettuccio!».E scuoteva sempre il capo dopo aver taciuto, senza guardar nessuno,con occhi aridi, asciutti, che tradivano tale inconscio dolore, quale gliocchi più abituati alle lagrime non saprebbero esprimere.«Le vostre scodelle, ragazze!» gridò la castalda scoperchiando la pen-tola in aria trionfale.Tutte si affollarono attorno al focolare, ove la castalda distribuiva conpaziente parsimonia le mestolate di fave. Nedda aspettava ultima, colla

(14) la cattiva nuova dovrebbe recartelaproprio l’uccello: è un detto popolare, lecattive notizie arrivano subito.(15) zio: appellativo che non indica unlegame di parentela, ma affetto verso unapersona anziana.

(16) la è una cosa: è un toscanismo.

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Nedda

sua scodelletta sotto il braccio. Finalmente ci fu posto anche per lei, ela fiamma l’illuminò tutta.Era una ragazza bruna, vestita miseramente; aveva quell’attitudine (17)timida e ruvida che danno la miseria e l’isolamento. Forse sarebbe statabella, se gli stenti e le fatiche non ne avessero alterato profondamentenon solo le sembianze gentili della donna, ma direi anche la forma uma-na. I suoi capelli erano neri, folti, arruffati, appena annodati con dellospago; aveva denti bianchi come avorio, e una certa grossolana avve-nenza di lineamenti che rendeva attraente il suo sorriso. Gli occhi eranoneri, grandi, nuotanti in un fluido azzurrino, quali li avrebbe invidiatiuna regina a quella povera figliuola raggomitolata sull’ultimo gradinodella scala umana, se non fossero stati offuscati dall’ombrosa timidezzadella miseria, o non fossero sembrati stupidi per una triste e continuarassegnazione. Le sue membra schiacciate da pesi enormi, o sviluppateviolentemente da sforzi penosi, erano diventate grossolane, senza esserrobuste. Ella faceva da manovale, quando non aveva da trasportare sas-si nei terreni che si andavano dissodando; o portava dei carichi in cittàper conto altrui, o faceva di quegli altri lavori più duri che da quelleparti stimansi (18) inferiori al còmpito dell’uomo. La vendemmia, lamesse, la raccolta delle olive per lei erano delle feste, dei giorni di baldo-ria, un passatempo, anziché una fatica. È vero bensì che fruttavano ap-pena la metà di una buona giornata estiva da manovale, la quale davatredici bravi soldi (19)! I cenci sovrapposti in forma di vesti rendevanogrottesca quella che avrebbe dovuto essere la delicata bellezza muliebre(20). L’immaginazione più vivace non avrebbe potuto figurarsi che quellemani costrette ad un’aspra fatica di tutti i giorni, a raspar fra il gelo, o laterra bruciante, o i rovi e i crepacci, che quei piedi abituati ad andarnudi nella neve e sulle rocce infuocate dal sole, a lacerarsi sulle spine, oad indurirsi sui sassi, avrebbero potuto esser belli. Nessuno avrebbe po-tuto dire quanti anni avesse cotesta creatura umana; la miseria l’aveva

(17) attitudine: atteggiamento.(18) stimansi: sono ritenuti.(19) tredici bravi soldi: un soldo corri-spondeva a dieci centesimi, quindicentotrenta centesimi.

(20) muliebre: femminile.

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IndicePremessa ................................................... Pag. 3Giovanni Verga ........................................... » 5Come studiare un testo narrativo ...................... » 7Glossario .................................................. » 9

un mondo senza speranza

Nedda....................................................... » 15Fantasticheria ............................................ » 45Malaria .................................................... » 57

gli indifesi, i deboli

Rosso Malpelo ............................................ » 71Jeli il pastore ............................................. » 93Storia dell’asino di San Giuseppe ...................... » 129

il denaro, il potere

La roba .................................................... » 147Il Reverendo ............................................... » 157La chiave d’oro ............................................ » 171

i racconti della città

In Piazza della Scala .................................... » 181Al veglione ................................................ » 189Il canarino del n. 15 .................................... » 197

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labir

in

ti

collanadi

narrativa

perla

scuolamedia

Leggere per conoscerenuovi mondi e per riflet-tere su cose già conosciu-te. Leggere per perdersinei labirinti dell’immagi-nazione e, attraverso lafinzione letteraria, capirei problemi del mondo checi circonda. Leggere per

“sentirsi convinti che ognilibro degno di questo no-me rappresenta una con-centrazione, un compen-dio e una forte semplifica-zione di cose complicate”.

(H. Hesse)

piccole cause piccoli cuori

piccole cause piccoli cuori

Giovanni VergaNeddaFantasticheriaMalariaRosso MalpeloJeli il pastoreStoria dell’asino di San Giuseppe

La robaIl ReverendoLa chiave d’oroIn piazza della ScalaAl veglioneIl canarino del n. 15

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Teresa
Timbro