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Suggestioni dantesche I luoghi della Divina Commedia nella poesia del ‘900 G. Vasari, Dante e sei poeti toscani, 1540, Minneapolis Institute of Arts

G. Vasari, Dante e sei poeti toscani, 1540, Minneapolis ... · i vivi e i morti, penetrare il mondo ... V. Magrelli- Il viaggio ïè il silenzio tra una pagina e laltra ... la pioggia

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Suggestioni dantesche

I luoghi della Divina Commedia

nella poesia del ‘900

G. Vasari, Dante e sei poeti toscani, 1540, Minneapolis Institute of Arts

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Percorsi del progetto Suggestioni dantesche nella poesia del Novecento

11/ 02/2015- I luoghi della Divina Commedia nella poesia del

Novecento- prof.ssa Romano

20/02/2015- «Beatrice – dal verbo beare nome comune

singolare». Rivisitazione del topos di Beatrice /donna- angelo dantesca.- prof. ssa

Armentano

27/ 02/ 2015- La Divina Mimesis: variazioni novecentesche sugli incipit danteschi-

prof. Maiorano

06/ 03/ 2015- Schegge dantesche nella lingua poetica del Novecento:

risemantizzazione, allusione e parodia- prof. ssa Curati

16/ 03/ 2015- Ulisse e il destino dell'uomo moderno. Storia di una "metafora

infinita” - prof. Russo

prof.ssa Raffaella Romano

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Il grande classico

Il grande classico e come un filo che l’uomo dispone nello svolgimento caotico del processo storico, e il filo d’Arianna,

mediante il quale la frequentazione del labirinto diventa meno rischiosa e piu agevole [... ] l’immagine di un uomo tanto lontano

da noi e insieme tanto vicino, un Giano bifronte che guarda al tempo stesso verso il nostro passato e verso il nostro presente.

A. Asor Rosa, Il canone delle opere in Letteratura Italiana

prof.ssa Raffaella Romano

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“Sempre, in ogni tempo, i poeti

hanno parlato ai poeti,

intrattenendo con essi una reale o

ideale corrispondenza.

I poeti della nuova scuola si

pongono problemi, sollevano questioni, attendono

risposte per le rime”.

E. Montale, Dante ieri e oggi, 24 Aprile 1965

(Discorso pronunciato a Firenze in occasione del settimo centenario della nascita di Dante)

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione

Nel Discorso del 1965, Montale, dopo aver

sottolineato la sua singolare esperienza

dantesca, afferma che oggi Dante può parlare a

tutti, dall’iniziato al profano, in modo

sorprendentemente nuovo, in quanto ci

troviamo in un’epoca nuova e particolare.

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione

Dopo una serie di excursus, Montale dice: “Si fa

tardi ed è ora che io chieda, non ai miei

ascoltatori ma soprattutto a me stesso: che

cosa significa l’opera di Dante per un poeta

d’oggi? E perché può parlarci meglio proprio

oggi?”

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione

“Perché Dante non è un poeta

moderno….”

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione Jörg Scheibe, Nature morte, 1966

Dante non è moderno, secondo

Montale, e proprio oggi noi possiamo forse

riuscire a sentirlo stranamente vicino a noi

perché anche noi non viviamo più in un’epoca

moderna, ma in un «… nuovo medioevo di cui

non possiamo ancora intravvedere i caratteri».

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione

“E, col probabile trionfo della ragione tecnico-scientifica,

questo nuovo medioevo altro non sarà se non una nuova

barbarie che camufferà e stravolgerà le stesse nozioni di

cultura e civiltà; ben diverso, quindi, dall’età di

mezzo della nostra storia,

che non fu solo barbara, né

sprovveduta di scienza,

né vuota d’arte”.

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione

Ai nostri tempi «… il benessere ha i

Lividi connotati della disperazione…»,

e «… l’uomo civilizzato è giunto ad avere

orrore di se stesso»; «… le comunicazioni di

massa, la radio e soprattutto la televisione, hanno tentato non senza

successo di annientare ogni possibilità di solitudine e di riflessione…»,

e domina, perciò, nella società e nella cultura, un «… esibizionismo

isterico…»; di conseguenza «… le arti tendono a confondersi, a

smarrire la loro identità», entrando in una crisi strettamente legata al

mutarsi della stessa condizione umana (Discorso per il Nobel, 1975)

prof.ssa Raffaella Romano

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Introduzione

In tale epoca di disorientato smarrimento, Dante diventa

un punto di riferimento, un «esempio massimo di

oggettivismo e razionalismo…», un «Poeta

concentrico, in un mondo che si

allontana progressivamente dal

centro e si dichiara in perenne

espansione».

prof.ssa Raffaella Romano

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I luoghi danteschi

La Divina Commedia è la storia di un viaggio. Un

viaggio attraverso tre regni

ultraterreni, durante il quale

il protagonista incontra anime,

vive esperienze, riceve

insegnamenti e matura. prof.ssa Raffaella Romano

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Il viaggio

Il processo di maturazione è, allo stesso tempo,

emotivo, etico, culturale e religioso.

Quando il Poeta giunge “nel ciel che più de la

Sua luce prende”, è ormai un uomo migliore,

un’anima purificata, un innamorato adulto, un

cristiano che ha visto Dio, un poeta più grande.

prof.ssa Raffaella Romano

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Il viaggio Il viaggio di Dante nell'al di là, allora, vuole essere

la metafora, la rappresentazione allegorica del

viaggio dell'uomo attraverso l'al di qua. La vita in

terra riceve una nuova legittimazione dal suo

sperimentare i luoghi post-mortem e quelli hanno

un senso solo perché il vivere terreno li determina

per noi.

prof.ssa Raffaella Romano

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Il viaggio

Ciò che interessa a Dante è l’aldiqua,

se riusciamo a renderlo migliore

grazie all’aldilà…

Cfr.

Col viso ritornai per tutte quante

le sette spere, e vidi questo globo

tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; (Par. XXII 133-5)…

L'aiuola che ci fa tanto feroci (ibidem, 151): la Terra, vista dal cielo delle stelle

fisse, è un posto piccolo e vile; ma quanto amore nel termine “aiuola”!

prof.ssa Raffaella Romano

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Il viaggio

Inoltre attraverso l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso, che rappresentano

tutta la storia, Dante giunge alla visione della Trinità, ma soprattutto il suo

sguardo viene attratto e potenziato dalla contemplazione di uno dei tre

cerchi della Trinità e, precisamente, quello che contiene l'effigie di Cristo;

dunque al termine del suo itinerario, Dante ha la visione dell'effigie umana,

cioè dell'uomo universale: Cristo o se stesso?

prof.ssa Raffaella Romano

Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige (Par. XXXIII 127-131)

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La vita è, insomma, il tempo

di cui l’uomo dispone per la

conquista della vera

immagine

di sé.

prof.ssa Raffaella Romano

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Mario Luzi- Il viaggio della vita Nell’imminenza dei quarant’anni (1954)

Si sollevano gli anni alle mie spalle

a sciami. Non fu vano, è questa l’opera

che si compie ciascuno e tutti insieme

i vivi e i morti, penetrare il mondo

opaco lungo vie chiare e cunicoli

fitti d’incontri effimeri e di perdite

o d’amore in amore o in uno solo

di padre in figlio fino a che sia limpido.

E detto questo posso incamminarmi

spedito tra l’eterna compresenza

del tutto nella vita e nella morte,

sparire nella polvere o nel fuoco

se il fuoco oltre la fiamma dura ancora (vv. 12-24).

prof.ssa Raffaella Romano

Poi s’ascose nel foco che li affina. Purg. XXVI, v. 145

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Vittorio Sereni

Presto saro il viandante stupefatto

avventurato nel tempo nebbioso. La ragazza d’Atene , 1947

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Sereni e Dante

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura

ché la diritta via era smarrita… Inf. I 1-3

…e io sol uno

m'apparecchiava a sostener la guerra

sì del cammino e sì de la pietate… Inf. II 3-5

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Sereni e Dante

Vero è che 'n su la proda mi trovai

de la valle d'abisso dolorosa

che 'ntrono accoglie d'infiniti guai.

Oscura e profonda era e nebulosa

tanto che, per ficcar lo viso a fondo,

io non vi discernea alcuna cosa. Inf. IV 7-12

prof.ssa Raffaella Romano

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Sereni e Dante

Come quando la nebbia si dissipa,

lo sguardo a poco a poco raffigura

ciò che cela 'l vapor che l'aere stipa,

così forando l'aura grossa e scura,

più e più appressando ver' la sponda,

fuggiemi errore e cresciemi paura;

(Inferno, XXXI vv. 34-39)

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V. Magrelli- Il viaggio

C’è il silenzio tra una pagina e l’altra

La lunga distesa della terra fino al

bosco

dove l'ombra raccolta

un si sottrae al giorno,

dove le notti spuntano

separate e preziose

come frutta sui rami.

In questo delirio

luminoso e geografico

io non so ancora

se essere il paese che attraverso

0 il viaggio che vi compio.

prof.ssa Raffaella Romano

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I PARTE- L’INFERNO

prof.ssa Raffaella Romano

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Luzi- l’Inferno

“Dante ci consegna l’inferno. Ed il suo inferno

è immagine della fede.

Riuscire a parlare ed a scrivere

dell’inferno, infatti, significa coglierne, certo,

l’eterna minaccia, ma anche delimitarne con chiarezza confini

e portata. Quest’inferno, frammento di dolore assoluto, è

stato però rimosso dall’umanità e dalla poesia dopo Petrarca.

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La selva Bosco d’autunno

A che somiglia un bosco in pieno autunno?

Soprattutto ad un sommesso incendio.

Lambiscono mute la coppa dei cieli

gialle lingue di fiamma.

Più d’uno scialle zingaro e screziato

il bosco ancora un po’ verde.

Ad ogni albero, come a un falò,

puoi riscaldarti l’anima.

Boris Sluckij, 1973

prof.ssa Raffaella Romano

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V. Sereni- La selva

• Ecco. E si fa strada sul filo

cui si affida il tuo cuore, ti rigetta alla citta selvosa [...]

(Una visita in fabbrica, sez. V)

• Citta selvosa consente il rinvio a Pd., XIV, v. 64:

Sanguinoso esce de la trista selva: cioe da Firenze.

Con un di piu di ambiguita in Sereni, là dove la città è selvosa perche,

come scrive lo stesso Sereni, “con promesse d’avventura”, ma anche

“ambigua tra “giungla” e “scampo” nel senso della vecchia natura”.

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La selva

Laura Pariani, Milano è una selva oscura, 2010

Il protagonista è un barbone, soprannominato

Dante, che passa la vita camminando attraverso

una Milano intricata e labirintica.

prof.ssa Raffaella Romano

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G.Ungaretti- La selva (e il Purgatorio)

L’isola

A una proda ove sera era perenne

di anziane selve assorte, scese,

e s’inoltrò

e lo richiamò rumore di penne

Ch’erasi sciolto dallo stridulo batticuore dell’acqua torrida,

E una larva (languiva

e rifioriva) vide;

Ritornato a salire vide

ch’era una ninfa e dormiva

ritta abbracciata a un olmo.

In sé da simulacro a fiamma vera

errando giunse a un prato ove

l’ombra negli occhi s’addensava

delle vergini come

sera appiè degli ulivi; (…)

prof.ssa Raffaella Romano

I’ venni in luogo d’ogni luce muto Inf. V 28

Tosto che fu là dove l’erbe sono bagnate già da l’onde del bel fiume, di levar li occhi suoi mi fece dono. Non credo che splendesse tanto lume sotto le ciglia a Venere… Purg. XXVIII 61-65

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A. Zanzotto- La selva-

Sylva

Non ha inizio l’amore.

«Or volge l’anno, sovra questo colle ...»

E fronde cupe cupo nel fondo

del bosco, dell’unico bosco,

del bosco eterno mi fanno mi vivono mi stormiscono in mille

diversi cupi cuori.

prof.ssa Raffaella Romano

Come d’autunno si levan le foglie l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie…Inf. III 112-114

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Quasimodo-La porta dell’Inferno

Auschwitz

Laggiù, ad Auschwitz, ...in un campo di morte:

fredda, funebre,

la pioggia sulla ruggine dei pali

e i grovigli di ferro dei recinti:

e non albero o uccelli nell’aria grigia

o su dal nostro pensiero, ma inerzia

e dolore che la memoria lascia

al suo silenzio senza ironia o ira. Da quell’inferno

aperto da una scritta

bianca: " Il lavoro vi renderà liberi “

uscì continuo il fumo

di migliaia di donne spinte fuori

all’alba dai canili contro il muro

…storia in forme di fiumi, d’animali…

Restano… ombre infinite di piccole scarpe e di

sciarpe d’ebrei.

Sulle distese dove amore e pianto

marcirono e pietà, sotto la pioggia,

laggiù, batteva un no dentro di noi,

un no alla morte, morta ad Auschwitz,

per non ripetere, da quella buca

di cenere, la morte.

prof.ssa Raffaella Romano

Lasciate ogni speranza, (o) voi ch’intrate Inf. III 9

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Luzi- Il doloroso abisso

Non fu pari all’attesa, 1990

…Ci appariva insolita Firenze.

Stava muta, impiccata allo strapiombo

delle sue nere muraglie,

rigata dalle lacrime

di luce delle sue alte lampade

Era insolita nel volto

o noi troppo mutati suoi nottambuli attraversati da lei, passati oltre.

prof.ssa Raffaella Romano

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G. CAPRONI- Inferno- La guida-

La lanterna Non porterà nemmeno

la lanterna. Là il buio è così buio

che non c’e oscurita.

prof.ssa Raffaella Romano

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La metafora della lanterna connessa alla funzione di guida deriva dal Purgatorio

dantesco, quando Stazio indica Virgilio come sua guida,,

perché gli ha chiarificato il percorso verso la fede:

Facesti come quei che va di notte, che porta il lume dietro e sé non giova,

ma dopo sé fa le persone dotte. Purg. XXII 67-69

prof.ssa Raffaella Romano

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Questa citazione dantesca richiama un’immagine delle poesia Palo, nel Muro della terra, quando al

protagonista, che si ritrova in una situazione di debole visibilità, circondato dall’oscurità e dalla nebbia, appare una

sagoma:

prof.ssa Raffaella Romano

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Il palo La nebbia che mi ricopriva

era vuota, era vera. Ma io non sapevo se ombra

od uomo certo, era lunga la figura nera

che su e giù andava – alzava col braccio la lanterna

cieca, e scuoteva dal cappotto il nevischio.

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi agli occhi mi si fu offerto

chi per lungo silenzio parea fioco. Quando vidi costui

nel gran diserto, «Miserere di me,» gridai a lui,

«qual che tu sii, od ombra od omo certo!»

Inf. I 61-66

prof.ssa Raffaella Romano

CAPRONI- Inferno- La guida

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Campana- La città di Dite

Ricordo una vecchia citta, rossa di muri e

turrita, arsa su la pianura sterminata

nell’Agosto torrido, con il lontano refrigerio di

colline verdi e molli sullo sfondo. Archi

enormemente vuoti di ponti sul fiume

impaludato in magre stagnazioni plumbee. [...]

e a un tratto dal mezzo dell’acqua morta le

zingare e un canto, da la palude afona una

nenia primordiale monotona e irritante [...]

La notte, Cer. 83

Lo buon maestro disse: “Omai, figliuolo,

s’appressa la citta c’ha nome Dite,

coi gravi cittadin, col grande stuolo”.

E io: “Maestro, gia le sue meschite

la entro certe ne la valle cerno,

vermiglie, come se di foco uscite

fossero”. Ed ei mi disse: “Il foco etterno

ch’entro l’affoca le dimostra rosse,

come tu vedi, in questo basso inferno”.

Inf. VIII, vv. 67-75

prof.ssa Raffaella Romano

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Sanguineti- l’Inferno

• Nell'epoca che -con un termine ormai comune- viene detta della «globalizzazione», predomina un solo modello

universalmente riconosciuto per la produzione di beni e l'organizzazione della società, che tende ad avvicinare i

luoghi, a renderli sempre più simili tra loro. Esiste ancora uno spazio reale che potremmo

immaginare come il luogo dell'inferno per eccellenza?

• Alla luce delle considerazioni sullo stato attuale delle cose, potrei dire che l'inferno è la terra. E'

un inferno globalizzato. Per lo meno nel senso dei «dannati della terra», che oramai occupano la maggior parte dello

spazio disponibile. Cosa evidentemente non del tutto nuova, perché gli squilibri di condizioni sociali, umane, culturali,

materiali tra privilegiati ed emarginati hanno accompagnato tutta la storia. Però, mancando la globalizzazione, il

nesso tra privilegiati e non era meno diretto, e in certe zone quasi inesistente.

Intervista di Riccardo Bonavita a Edoardo Sanguineti (2003)

prof.ssa Raffaella Romano

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Pasolini- l’Inferno

Nel ‘59 scrive un testo, variamente intitolato – La Mortaccia,

L’Infernante, infine semplicemente L’Inferno – nel quale chi scende nei gironi infernali

è Teresa, una prostituta, guidata da una guida che è Dante Alighieri stesso, promosso

al ruolo di Virgilio. Qui la chiave è violentemente parodica: la selva oscura è diventata

il lurido paesaggio di una periferia degradata; il colle solatio a cui cerca di ascendere

Dante è un “montarozzo che sotto i ragazzi ci giocano al pallone”, le tre belve

diventano “tre canacci lupi...secchi allampanati...” Dagli appunti di Pasolini sappiamo

come la discesa agli Inferi doveva continuare: Dante e Teresa vi avrebbero trovato fra

l’altro Stalin, al posto di Farinata, i due amanti suicidi di Centocelle, al posto di Paolo e

Francesca, Andreotti come Gerione (emblema della frode, si ricordera...).

prof.ssa Raffaella Romano

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Pasolini- l’Inferno

• Roma, cinta dal suo inferno di borgate, è

in questi giorni stupenda: la fissità, così

disadorna, del calore è quello che ci vuole

per avvilire un poco i suoi eccessi, per

denudarla e mostrarla quindi nelle sue

forme più alte …

• Sono perduto qui in mezzo, ed è difficile

per me e per gli altri ritrovarmi

Da una lettera a Spagnoletti del 1952

prof.ssa Raffaella Romano

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura…

Inf. I vv.1-2

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Pasolini- l’Inferno

Picasso

Quanta gioia in questa furia di capire!

In questo esprimersi che rende

alla luce, come materia empirea,

la nostra confusione [...]

Nel restare

dentro l’inferno con marmorea

volontà di capirlo, è da cercare

la salvezza (sezz.VII e VIII)

prof.ssa Raffaella Romano

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Pasolini- Divina mimesis

• E’ un abbozzo di poema pubblicato nel 1975, in cui il poeta fa un viaggio

nell’Inferno della degradata civiltà contemporanea, con nostalgiche puntate negli

altri due regni.

• Il protagonista è Pasolini stesso, che si sdoppia in viandante e guida: il doppio

Pasolini-Dante e Pasolini-Virgilio,però, implica una distanza temporale tra il poeta

più eretico degli ultimi anni e l’intellettuale civile e integralista di un decennio

prima, quando ancora in lui fervevano gli ideali.

• Dinanzi a Pasolini-Virgilio, Pasolini-Dante parla di sé a sé: e parla degli anni '40

friulani (il paradiso), degli anni '50 e della morte delle ideologie (il purgatorio),

degli anni '60 e del neocapitalismo (l'inferno).

prof.ssa Raffaella Romano

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Pasolini-Divina mimesis

Subito il narratore autobiografico incontra la Lonza,

il Leone e la Lupa, che però non sono nemici

esterni: La Lonza: «eccola lì, uscita dai ripostigli

comuni della mia anima (che accanitamente

continuava a pensare, per difendersi, per

sopravvivere - per tornare indietro!), eccola lì, la

bestia agile e senza scrupoli […]. Così, la 'Lonza' (in

cui non ebbi, subito, difficoltà a riconoscermi)».

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; Inf. I vv.31-33

Il Leone: «Dal suo essere sonno e ferocia,

egoismo e fame rabbiosa, il 'Leone' traeva

un'ispirazione a vivere che lo distingueva, con

violenza addirittura brutale, dal mondo esterno.

Che lo ospitava quasi tremando. L'idea di sé non

ha ragione: e quando si esprime distrugge la

realtà, perché la divora. […] Sia pure

parzialmente, anche in quel 'Leone', come in uno

sproporzionato segno premonitore, io mi

riconobbi»

Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse. (Ibidem,46-48)

prof.ssa Raffaella Romano

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Pasolini-Divina mimesis

• La Lupa: «Ma dovevo riconoscermi

ancora in qualcosa di ben peggio. […]

venne fuori una 'Lupa', che si

affiancò alle altre due bestie. I suoi

connotati erano sfigurati da una

mistica magrezza, la bocca

assottigliata dai baci e dalle opere

impure, lo zigomo e la mascella

allontanati tra loro; lo zigomo in alto,

contro l'occhio, la mascella in basso,

sulla pelle inaridita del collo».

prof.ssa Raffaella Romano

Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza. Ibidem, 49-54

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Pasolini-Divina mimesis

Una terna di duplicazioni per tre forme d'alterità:

dell'anima (la Lonza), dell'azione (il Leone), del corpo

(la Lupa).

All'incontro dell'alterità felina, Pasolini-Dante disegna un autoritratto mimetico: dalla

natura della propria anima, alle strategie dello stare al mondo, fino alla descrizione

mimetica del proprio corpo

Di fronte alle fiere è al cospetto di sé: nel riconoscersi, al contempo, quale triplice

proiezione, Pasolini-Dante afferma il valore «naturale» dell'identità, attribuendo alle

proiezioni qualcosa in cui rivedersi e qualcosa da cui fuggire.

prof.ssa Raffaella Romano

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C. Govoni- L’Inferno

Aladino

…fu un tale peso pel tuo cuore umano,

che avrai sofferto, o figlio, e conosciuto

tutto il dolor del mondo in quel minuto.

Non fu un sogno. E pareva di sognare.

La città, la campagna e tutto il mondo

era in preda al terrore e al tradimento.

L’incubo dentro l’incubo: era questo

il più terribile e infernal tormento.

La notte intera si invocava il giorno;

e il giorno era più torvo della notte.

Aladino è il figlio del poeta, trucidato nella strage delle

Fosse ardeatine, il 24 Marzo del 1944. prof.ssa Raffaella Romano

Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai.

Inf. I 10-12

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C. Govoni- L’Inferno

Govoni si attribuisce anche il

ruolo di profeta maledicente, che

con inusitata virulenza verbale

gioisce del corpo sfatto del duce

e di quello dell’amante:

– vigliacco, che tu sia – ti maledissi

– impiccato pei piedi! – Così fosti.

E fu scagliata la carogna ignuda

nella Caina insieme alla tua druda.

Caina attende chi a vita ci spense.

Inf. V v. 107

prof.ssa Raffaella Romano

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C. Govoni- L’Inferno

Forse, laggiù, l' orribile dolore

non sarà più nel nostro cuore…

…più non avrem sul nostro capo,

come un irresistibil gorgo,

il giardino di febbre delle stelle ;

La città morta, vv.63-64 e78-79

Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto

che tu vedrai le genti dolorose

c'hanno perduto il ben de l'intelletto.

…Quivi sospiri, pianti e alti guai

risonavan per l'aere sanza stelle,

per ch'io al cominciar ne lagrimai.

Inf. III vv. 16-18 e 22-24

prof.ssa Raffaella Romano

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Luzi- La selva dei suicidi

La raccolta “Un brindisi” è intessuta di immagini ultramondane: un

gelo che paralizza ed una livida fuliggine ricoprono la città che, di

là d’Acheronte, non guarda più il poeta, mentre le strade di Firenze

conducono all’Eliso; Luzi dialoga di continuo con un mondo di

morti, con l’intento di valorizzare la continuità tra viventi e defunti.

prof.ssa Raffaella Romano

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A. Gatto- l’Inferno

La storia delle vittime, 1966

[...] Domani

i giusti saranno con noi

nel tempo che i morti non hanno.

Or la pietà dell'inganno

vi chiude le tombe già aperte

perché la morte vi opprima

col peso di tutte le offerte,

col senno di poi.

Per altri innocenti, per altro furore

s'accenda la prima

la stessa parola d'amore

che ci fu tolta: domani. (vv.41-52)

prof.ssa Raffaella Romano

La gente che per li sepolcri giace potrebbesi veder? già son levati tutt’i coperchi, e nessun guardia face». E quelli a me: «Tutti saran serrati quando di Iosafàt qui torneranno coi corpi che là sù hanno lasciati. Suo cimitero da questa parte hanno con Epicuro tutti suoi seguaci, che l’anima col corpo morta fanno.

Inf. X 7-15

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Luzi- La selva dei suicidi In Primizie del deserto, del 1952,, Luzi richiama la

coscienza dell’uomo a mischiarsi nel pantano del

mondo, nei suoi grovigli, senza mai disertare la

lotta:

[...] ferisciti, sanguina anche tu,

soffri con noi, umiliati in un tronco.

In questi versi il poeta si sta inoltrando in una foresta quasi

«di color fosco: non rami schietti,

ma nodosi e ‘nvolti». Le foglie, gli sterpi ed i rovi che nascondono il

sole hanno tutti i colori, tutta la selvaggia fierezza della selva dei suicidi del tredicesimo canto dell’Inferno.

prof.ssa Raffaella Romano

Allor porsi la mano un poco avante, e colsi un ramicel da un gran pruno; e ‘l tronco suo gridò: “perché mi schiante!” Inf. XIII 28-30

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Montale- l’Inferno

Arsenio

Così sperso tra i vimini e le stuoie

grondanti, giunco tu che le radici

con sé trascina, viscide, non mai

svelte, tremi di vita e ti protendi

a un vuoto risonante di lamenti

soffocati, la tesa ti ringhiotte

dell'onda antica che ti volge; e ancora

tutto che ti riprende, strada portico

mura specchi ti figge in una sola

ghiacciata moltitudine di morti,

e se un gesto ti sfiora, una parola

ti cade accanto, quello è forse, Arsenio,

nell'ora che si scioglie, il cenno d'una

vita strozzata per te sorta, e il vento

la porta con la cenere degli astri.

(vv. 45- 60)

prof.ssa Raffaella Romano

Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo del viso su per quella schiuma antica per indi ove quel fummo è più acerbo».

Inferno, IX 73-75

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Luzi: il Cocito

Forse un fremito lungo di mandorla

sulle oscure invetriate ancora vibra

se la luna sui traffici viola

delle citta col vento s’equilibra

tanto sensibilmente. Un astro guarda

un altro anno morir dietro la nuca

tua senza requie, gia l’ala più tarda

scalda ai tuoi vetri in sogno una festuca.

[...] Impresa, 1946

Già era, e con paura il metto in metro,

là dove l’ombre tutte eran coperte,

e trasparìen come festuca in vetro.

Inf. XXXIV 10-12

L’atmosfera ghiacciata, d’eterna dannazione, con gli anni che seguono l’uno l’altro senza requie(v. 7), richiama, col gelo d’un fremito sulle oscure invetriate, la Giudecca e la sua immobilità assoluta.

La festuca del v. 8, un filamento di paglia bloccato in un’immagine di sogno, evoca ancor più direttamente la

ghiacciata del sepolcro infernale del Cocito.

prof.ssa Raffaella Romano

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Luzi- il Cocito Già goccia la grigia rosa il suo fuoco

Già goccia la grigia rosa il suo fuoco

il fuoco rapito fumido di pioggia

sulla calce dei muri ciechi ove il fioco

tuo bagliore s’appoggia.

Già strepe sui grevi banchi di breccia

nei recinti angosciosi dissono attutito

il tuo piede cupo di cui l’eco s’intreccia

col fiume dal lento corso Cocito.

La mano nei rovi vizzi è una fiamma

crepitante di febbre vitrea semiviva,

nel tuo sguardo un autunno langue e s’infiamma

sol che l’anno riviva. prof.ssa Raffaella Romano

Non avean penne, ma di vispistrello era lor modo; e quelle svolazzava, sì che tre venti si movean da ello: quindi Cocito tutto s’aggelava. Con sei occhi piangea, e per tre menti gocciava ’l pianto e sanguinosa

bava. Inf. XXXIV 49-54

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Luzi e Dante Ad ogni sforzo vitale, ad ogni movimento naturale, è sottratta la vita: la rosa è grigia (v. 1); il

fuoco non brucia, ma è fumido di pioggia (v. 2), la mano è una fiamma di febbre vitrea semiviva(v.

10); il corso del fiume è lento(v. 8), quasi immobile nell’eterna stasi del Cocito (v. 8). Il verbo

gocciare (titolo e v. 1) compare con frequenza nell’Inferno dantesco:

1. per rappresentare il pianto interiore, poiché quello esteriore è impedito dal gelo

dei fratricidi («li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli, | gocciar su per le labbra, e

‘l gelo strinse | le lacrime tra essi, e rinserrolli», Inf., XXXII, vv. 46-48);

2. per raffigurare il lacrimare di Lucifero («Con sei occhi piangea e per tre metri |

gocciava ‘l pianto e sanguinosa bava», Inf., XXXIV, vv. 53-54);

3. e il perpetuo stillicidio di lacrime dalle ferite del Veglio di Creta, la lontana e

misteriosa sorgente delle acque infere («Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta |

da una fessura che lagrime goccia, | le quali, accolte, foran quella grotta», Inf., XIV,

112-114).

prof.ssa Raffaella Romano

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Montale- Lucifero Piccolo testamento

Solo quest'iride posso

lasciarti a testimonianza

d'una fede che fu combattuta,

d'una speranza che bruciò più lenta

di un duro ceppo nel focolare 4.

Conservane la cipria nello specchietto 5

quando spenta ogni lampada

la sardana si farà infernale

e un ombroso Lucifero scenderà su una prora

del Tamigi, dell'Hudson, della Senna

scuotendo l'ali di bitume semi-

mozze dalla fatica, a dirti: è l'ora. (vv. 8-19)

prof.ssa Raffaella Romano

S’el fu sì bel com’elli è ora brutto, e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui proceder ogne lutto.

Inf. XXXIV 34-36

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II PARTE- Il Purgatorio

prof.ssa Raffaella Romano

…n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. Inf. XXVI 133-135

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F. Fortini- Purgatorio

Una volta sperare era sperare

aria d'amore o d'ozio o di campagna

o d'infanzia risorta o un pianto o un mare

dove spunti una vela, una montagna

bruna per la distanza, una città

dove perdersi in pace. Piano, un passo

| dopo l'altro, è mutata, spenti i simboli

ridicoli, quei miti blandi limbi.

E la speranza ora è convulso passo

di bestia, entro di noi, che viene e va.

Spene», diss’io, «è uno attender certo

de la gloria futura, il qual produce

grazia divina e precedente merto. Pd. XXV 66-68

Per lor maladizion sì non si perde,

che non possa tornar, l’etterno amore,

mentre che la speranza ha fior del verde. Purg. III 133-135

prof.ssa Raffaella Romano

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Luzi- il Purgatorio

Salendo la montagna il tempo si riduce,

il tempo si annulla e si distrugge

più prossimo all’eternita imperante.

I luoghi e le memorie si unificano

in un punto solo,

in un punto onnipresente.

Il Purgatorio:31 (1990)

prof.ssa Raffaella Romano

Un punto solo m’è maggior letargo che venticinque secoli a la ‘mpresa, che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.

Pd. XXXIII 94-96

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Campana- il Purgatorio

…finché io là giunsi indove

avanti a una vastità velata di

paesaggio una divina dolcezza

notturna mi si discoprì nel

mattino, tutto velato di chiarìe

il verde, sfumato e digradante

all’infinito…

La Verna

Dolce color d'oriental zaffiro,

che s'accoglieva nel sereno aspetto

del mezzo, puro infino al primo giro,

a li occhi miei ricominciò diletto…

Purg. I 13-16

prof.ssa Raffaella Romano

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Campana- il Purgatorio

... poi che nella sorda lotta notturnala più

potente anima seconda ebbe frante le nostre

cateneNoi ci svegliammo piangendo ed

era l’azzurro mattino:Come ombre d’eroi

veleggiavano:de l’alba non ombre nei puri

silenziide l’albanei puri pensierinon ombrede

l’alba non ombre:piangendo: giurando noi fede

all’azzurro

Immagini del viaggio e della montagna

…feriami il sole in su l’omero destro,

che già, raggiando, tutto l’occidente

mutava in bianco aspetto di

cilestro;

e io facea con l’ombra più rovente

parer la fiamma; e pur a tanto indizio

vidi molt’ombre, andando, poner

mente.

Purg. XXVI 4-9

prof.ssa Raffaella Romano

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G. Comi- il Purgatorio

Il tempo-intenso-pare intatto e fermo

-zaffiro acceso nell’oscurita

della Notte che regna

Illimitatamente sulla zolla pregna

di morti ansiosi d’immortalita.

La morte, vv. 6-10

Dolce color d'oriental zaffiro…

Purg. I 13-16

Come quando, cogliendo biado o loglio,

li colombi adunati a la pastura,

queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,

se cosa appare ond’elli abbian paura,

subitamente lasciano star l’esca,

perch’assaliti son da maggior cura;

così vid’io quella masnada fresca

lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa,

com’om che va, né sa dove riesca

Purg. II 124-132

prof.ssa Raffaella Romano

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Sereni- il Purgatorio- la spiaggia

La spiaggia

Sono andati via tutti -

Blaterava la voce dentro il ricevitore.

E poi, saputa: - Non torneranno più -

Ma oggi

su questo tratto di spiaggia mai prima visitato

quelle toppe solari... segnali

di loro che partiti non erano affatto?

E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno

In giorno va sprecato, ma quelle

toppe di inesistenza, calce o cenere

pronte a farsi movimento e luce.

Non dubitare, - m'investe della sua forza il mare –parleranno.

Venimmo poi in sul lito diserto,

che mai non vide navicar sue acque

omo, che di tornar sia poscia esperto.

Purg. I 130-132

prof.ssa Raffaella Romano

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Sereni- il Purgatorio- la spiaggia

La spiaggia

Sono andati via tutti -

Blaterava la voce dentro il ricevitore.

E poi, saputa: - Non torneranno più -

Ma oggi

su questo tratto di spiaggia mai prima visitato

quelle toppe solari... segnali

di loro che partiti non erano affatto?

E zitti quelli al tuo voltarti, come niente fosse.

I morti non è quel che di giorno

In giorno va sprecato, ma quelle

toppe di inesistenza, calce o cenere

pronte a farsi movimento e luce.

Non dubitare, - m'investe della sua forza il mare –parleranno.

Noi eravam lunghesso mare ancora,

come gente che pensa a suo cammino,

che va col cuore e col corpo dimora.

Purg. II 10-12

ond’ei si gittar tutti in su la piaggia

Purg. II 50

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto!

Purg. II 79

Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio,

rotto m’era dinanzi a la figura,

ch’avea in me de’ suoi raggi l’appoggio.

Io mi volsi dallato con paura

d’essere abbandonato, quand’io vidi

solo dinanzi a me la terra oscura;

Purg. III 16-21 prof.ssa Raffaella Romano

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Dario Bellezza- Purgatorio

Li saluto tutti come da una partenza senza ritorno, senza pianti speciali o maledizioni per il mare lasciato indietro; per il mare che ci sanò, per il sale che ci seccò; per la vita stessa che non urla più niente dentro tranne la vita del giorno dopo con un cappuccino in mano e una siringa d'ospedale per risparmiare l'infermiera.Forse saliremo scale dirupate precipitando salendo immortali inquisendo ragazzi selvaggi e tuguri pieni di giornali.

prof.ssa Raffaella Romano

Noi divenimmo intanto a piè del monte; quivi trovammo la roccia sì erta, che ‘ndarno vi sarien le gambe pronte. Tra Lerice e Turbìa la più diserta, la più rotta ruina è una scala,

verso di quella, agevole e aperta. Purg. III 46-51

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Campana- il Purgatorio

SALGO (nello spazio, fuori del

tempo)L’acqua il ventoLa sanità delle

prime cose –Il lavoro umano

sull’elementoliquido – la natura che

conduceStrati di rocce su strati…

Riposo ora per l’ultima volta nella

solitudine della foresta. Dante la sua

poesia di movimento, mi torna tutta in

memoria. O pellegrino, o pellegrini che

pensosi andate!

La Verna- Il ritorno

Noi salivam per una pietra fessa,

che si moveva e d’una e d’altra parte,

sì come l’onda che fugge e s’appressa.

Purg. X 7-9

prof.ssa Raffaella Romano

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Purgatorio - Luzi

La notte lava la mente

La notte lava la mente.

Poco dopo si è qui come sai bene,

file d’anime lungo la cornice,

chi pronto al balzo, chi quasi in catene.

Qualcuno sulla pagina del mare

traccia un segno di vita, figge un punto.

Raramente qualche gabbiano appare.

prof.ssa Raffaella Romano

Ben si de’ loro atar lavar le note che portar quinci, sì che, mondi e lievi, possano uscire a le stellate ruote. Purg. XI vv. 34-36

«Fa che lavi, quando se’ dentro, queste piaghe», disse. Purg. IX v. 114

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V. Cardarelli- il Purgatorio

Distacco Io ti sento tacere da lontano. Odo nel mio silenzio il tuo silenzio. Di giorno in giorno assisto all’opera che il tempo, complice mio solerte, va compiendo. E già quello che ieri era presente divien passato e quel che ci pareva incredibile accade. Io e te ci separiamo. Tu che fosti per me più che una sposa! Tu che volevi entrare nella mia vita, impavida,

come in inferno un angelo e ne fosti scacciata. Ora che t’ho lasciata,

la vita mi rimane quale un’indegna, un’inutile soma, da non poterne avere più alcun bene. IO non so più qual era il porto a cui miravo. Per tanti luoghi insospettati e strani mi trattenne l'amore, ch'è nemico ad ogni alto destino come il vento contrario al navigare: dove persi il mio tempo e logorai le forze del mio cuore. Luoghi a cui, disertati, non tornerò giammai. Sì che per me la terra non è più che un asilo vietato, un cimitero di memorie.

prof.ssa Raffaella Romano

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Cardarelli-Dante - il Purgatorio

Ne l’ordine ch’io dico sono accline

tutte nature, per diverse sorti,

più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti

per lo gran mar de l’essere, e ciascuna

con istinto a lei dato che la porti.

Pd. I 109-114

prof.ssa Raffaella Romano

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V. Cardarelli- il Purgatorio

Solo in te, alba, riposa

la mia mente affannosa.

Solo in te trova pace

l’insonnia mia, ch’è simile

ad un rombante fiume

rapinoso, infernale,

dove io vado ogni notte

dibattendomi invano....

La morte, mia nera

compagna di veglia,

se ne va, s’allontana

a passi di ladro.

Ond’io emergo e mi libero

dall’onda tenebrosa

e affranto mi riduco

al mio sonno di pietra.

O alba, o dolce alba,

mare di luce incerta,

in cui tutto ha foce.

L’alba vinceva l’ora mattutina

che fuggia innanzi, sì che di lontano

conobbi il tremolar de la marina.

Purg. I vv. 115-117

prof.ssa Raffaella Romano

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V. Cardarelli- il Purgatorio

Sopra una tomba

Tutto un inverno ho sofferto

pensando alla fradicia zolla

dove tu riposavi

in provvisoria fossa

ch’era il tuo purgatorio.

Piovose notti insonni

conobbero il mio rimorso.

E a te volavo, o madre,

cui non piacque la terra

per l’ultima dimora,

la terra faticosa,

la terra che patisti oltre la morte.

Ora esaudita, emersa

dal confuso elemento,

tu sei come redenta.

Non più l’informe grembo

travaglierà le tue spoglie.

Tu che vivente avesti incerto asilo,

sicuro loco avrai or che sei morta,

fin che l’umana pietà lo conceda.

prof.ssa Raffaella Romano

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C. Rebora- Purgatorio

Sola, raminga e povera

un'anima vagava…

un vecchio, in dignità modesta

s'accompagnava all'andar

stanco mio / ... / con un pio

piglio mi offerse la certezza.

Da Curriculum vitae

…vidi presso di me un veglio solo,

degno di tanta reverenza in vista,

che più non dee a padre alcun

figliuolo.

Purg. I vv.31-33

prof.ssa Raffaella Romano

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Sanguineti (Genova 1930- 2010)

Il Purgatorio de L'Inferno:

La raccolta permette di osservare come il tema del

viaggio oltremondano diventi, in un poeta del

secondo Novecento, in tutto e per tutto mondano

e storico, attraverso una Storia entro la quale il

risveglio, per quanto necessario e auspicabile, non

assume mai i contorni di una epifania edenica.

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Sanguineti-1

Il Purgatorio de L'Inferno:

Sanguineti-personaggio (con evidente debito

nei confronti di quel personaggio-poeta

inventato proprio da Dante), è un intellettuale

marxista in viaggio tra Italia e Francia, nei primi

anni Sessanta.

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Sanguineti-1

…o come in sogno, altra volta (in

rappresentazione); e sofferta (altro sogno); o

come una diagnosi (un sogno critico, un sogno):

(Purgatorio de l'Inferno 4)

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Sanguineti-1

ma si toccheranno, adesso

(in questa selva) le nostre fronti; e a me stesso, ancora

(invocando): oh non

sarebbe, questo (dissi) un amore? oh non sarebbe (dissi),

questo, un amore

(in questa selva) fascista?

(Purgatorio de l'Inferno 3)

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Sanguineti-1

E’ un’opera purgatoriale in quanto popolata di una umanità sempre in

cammino, di un gruppo in cerca di una giustificazione etico-politica

che rappresenta la forma laica della redenzione; infernale in quanto

calata dentro un presente di cupo e martellato negativo ("la selva

fascista") con accenni da ossessione persecutoria ("così (nella soffitta

di via Pietro Micca) io e mia moglie / scrivemmo: W PCI (in ogni angolo)

[…]; e mia moglie disse: ma questo /e un covo di missini…", sez. 3).

La raccolta trova la sua dimensione paradisiaca nella sezione finale,

grazie all'immagine simbolica dei figli.

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Sanguineti

• ma vedi il fango che ci sta alle spalle,

• e il sole in mezzo agli alberi, e i bambini che

dormono: i bambini che sognano (che parlano,

sognando); (ma i bambini, li vedi, così inquieti);

• (dormendo, i bambini); (sognando, adesso)

prof.ssa Raffaella Romano

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Sanguineti 2- Laborintus La raccolta, pensata e organizzata come un poemetto

dalla struttura aperta e circolare, è costruita su un

complesso impianto narrativo articolato in ventisette

componimenti senza titolo e numerati

progressivamente.

I singoli brani, interrelati fra loro e accomunati da

medesime caratteristiche tecniche e tematiche, sono

"sezioni" di un complesso poema labirintico.

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Sanguineti 2- Laborintus

Il labirintico e contraddittorio «disordine» della società

neocapitalistica viene attraversato, fin nei recessi più oscuri, come in

una discesa agli Inferi: «complicazione / come descendant in Infernum

viventes».

In un delirio onirico e visionario,

di impostazione psicoanalitica, il

poeta, come un alchimista, spinge la sua

ricerca regredendo verso le origini liquide

del mondo, in «materne acque mature».

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Sanguineti2- Laborintus

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Sanguineti 2- Laborintus

La palude, allegoria della «meravigliosa melma» primigenia,

diventa l'archetipo della «lividissima mater», Ellie, che

rappresenta il termine di riferimento iniziale di questa discesa

agli Inferi: «vulva essenze radicali / est porta Inferni». Ma

anche: «tu sei l'amore nell'amore senza soluzione Ellie sei

l'amore tutto l'amore».

Ellie è il punto in cui si conciliano gli opposti,

oscura putredine e amore luminoso e totale.

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Sanguineti 2- Laborintus

Le fonti:

Virgilio, Aen. VI 323 " Cocyti stagna alta vides

Stygiamque paludem ”

“la morta gora” Dante, Inf. VIII 31

Per estensione, la parola indica anche

l'Acheronte (livida palude, Inferno III 98)

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Sanguineti 2- Laborintus

Ma il proposito di dare un'unità agli opposti è destinato a

fallire: la morte di Ellie «dentro un cerchio di nulla»

simboleggia la fine del «sogno» utopistico di risolvere le

contraddizioni storiche. Di fronte a questo disperato

nichilismo, l'unica soluzione sembra

essere la rivolta anarchica:

«finalmente anarchia come

complicazione radicale».

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L’Eden

Il Paradiso terrestre si trova in cima alla montagna del Purgatorio, ed è il

luogo dal quale Adamo ed Eva furono cacciati in seguito al peccato originale.

La divina foresta è di una dimensione che trascende l'umano: ricorda, infatti,il

locus amoenus della tradizione classica, luogo immerso in una

eterna primavera, fatto di delizie, lontano dalle perturbazioni

atmosferiche.

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L’Eden

Vago già di cercar dentro e dintornola

divina foresta spessa e viva,ch'a li occhi

temperava il novo giorno,

sanza più aspettar, lasciai la

riva,prendendo la campagna lento

lentosu per lo suol che d'ogne parte

auliva.Un'aura dolce, sanza

mutamentoavere in sé, mi feria per la

frontenon di più colpo che soave

vento;per cui le fronde, tremolando,

prontetutte quante piegavano a la

parteu' la prim'ombra gitta il santo

monte;non però dal loro esser dritto

spartetanto, che li augelletti per le

cimelasciasser d'operare ogne lor arte;

Purg. XXVIII vv.1-15

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L’Eden Già m'avean trasportato i lenti

passidentro a la selva antica tanto,

ch'ionon potea rivedere ond'io mi

'ntrassi;ed ecco più andar mi tolse un

rio,che 'nver' sinistra con sue picciole

ondepiegava l'erba che 'n sua ripa uscìo.

Tutte l'acque che son di qua più

monde,parrieno avere in sé mistura

alcuna,verso di quella, che nulla

nasconde,avvegna che si mova bruna

brunasotto l'ombra perpetua, che

mairaggiar non lascia sole ivi né luna.

Purg. XXVIII vv.22-33

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L’Eden

…e là m'apparve, sì com'elli apparesubitamente cosa che

disviaper maraviglia tutto altro pensare,una donna

soletta che si giae cantando e scegliendo fior da

fioreond'era pinta tutta la sua via.

Purg. XXVIII vv.37-42

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L’Eden

“Voi siete nuovi, e forse perch'io rido»,cominciò ella, «in questo luogo

elettoa l'umana natura per suo nido,maravigliando tienvi alcun

sospetto;ma luce rende il salmo Delectasti,che puote disnebbiar

vostro intelletto”.

Purg. XXVIII vv.76-81

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L’Eden

Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,fé l'uom buono e a

bene, e questo locodiede per arr'a lui d'etterna pace.

Per sua difalta qui dimorò poco;per sua difalta in pianto e in

affannocambiò onesto riso e dolce gioco.

Purg. XXVIII vv.91-96

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L’Eden- Calvino

Nel racconto di Calvino Il giardino incantato (1949), si narra di

due bambini, Giovannino e Serenella, che vagano

all’avventura, fino ad arrivare in un giardino. Prima, però,

attraversano un tunnel, mentre da un lato c’è il mare e

dall’altro la parete di monte: C'erano grandi agavi grige, verso

mare, con raggere di aculei impenetrabili. Verso monte correva

una siepe di ipomea, stracarica di foglie e senza fiori.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino

Attraverso una siepe di rampicanti, che copre

una rete metallica, si ritrovano in un posto

bellissimo, simile a una foresta: C'erano grandi e

antichi eucalipti color carne, e vialetti di ghiaia.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino Tutto era così bello: volte

strette e altissime di foglie

ricurve d'eucalipto e ritagli di

cielo; restava solo quell'ansia dentro, del giardino

che non era loro e da cui forse dovevano esser

cacciati tra un momento.

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L’Eden- Calvino

Ma l'ombra dei grandi alberi a un certo punto finiva e si trovarono sotto il

cielo aperto, di fronte ad aiole tutte ben ravviate di petunie e convolvoli,

e viali e balaustrate e spalliere di bosso.

In tutta questa bellezza, non c’è nessuno, se non gli uccellini che

cantano: E tutto era deserto… a una svolta, s'alzò un volo di passeri, con

gridi.

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L’Eden- Calvino

Nella parte alta del giardino-foresta, c’è però una

casa, di cui vengono descritti solo lo splendore dei

vetri e i colori delle tende, sicuramente peculiari: E

sull'alto del giardino, una grande villa coi vetri

lampeggianti e tende gialle e arancio.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino

Mentre passeggiano indisturbati tra

giochi d’acqua e fiori, a metà tra la

curiosità e il timore, Giovannino coglie

fiori per Serenella, che Ne aveva gia dei belli in un

mazzetto . Quindi arrivano presso una piscina: era a

piastrelle azzurre, ricolma d'acqua chiara fino all'orlo.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino

I due bambini decidono di tuffarsi, ma Non era

bello come s'immaginavano: rimaneva sempre

quel fondo d'amarezza e d'ansia, che tutto questo

non spettava loro e potevano esserne di

momento in momento, via, scacciati.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino In seguito giocano, fanno colazione con leccornie portate loro

da due servitori muti, ma non riescono a goderne: non

riuscivano a sentire il sapore dei dolci e del te e latte. Ogni cosa

in quel giardino era così: bella e impossibile a gustarsi, con quel

disagio dentro

e quella paura, che fosse solo

per una distrazione del destino,

e che presto sarebbero chiamati

a darne conto.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino Infine i due protagonisti si avvicinano alle persiane e

in casa vedono un ragazzo che sfoglia un libro, il

quale, benchè sia il proprietario, sembra provare il

loro stesso disagio: …quel ragazzo ricco sembrava

sedesse e sfogliasse quelle pagine e si guardasse

intorno con piu ansia e disagio di loro. E s'alzasse in

punta di piedi come se temesse che qualcuno, di

momento in momento, potesse venire a scacciarlo,

come se sentisse che quel libro, quella sedia a sdraio,

quelle farfalle incorniciate ai muri e il giardino coi

giochi e le merende e le piscine e i viali, erano concessi

a lui solo per un enorme sbaglio, e lui fosse

impossibilitato a goderne, ma solo provasse su di sé

l'amarezza di quello sbaglio, come una sua colpa.

prof.ssa Raffaella Romano

Nel suo profondo vidi che s'interna legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna…

Pd. XXXIII 85-87

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L’Eden- Calvino

A Giovannino e Serenella il batticuore spento

riprendeva ora piu fitto. Era la paura di un

incantesimo che gravasse su quella villa e quel

giardino, su tutte quelle cose belle e comode,

come un'antica ingiustizia commessa.

prof.ssa Raffaella Romano

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L’Eden- Calvino

Il sole s'oscurò di nuvole. Zitti zitti Giovannino e

Serenella se ne andarono…Tra le agavi trovarono un

sentiero che portava alla spiaggia, breve e sassosa,

con cumuli d'alghe che seguivano la riva del mare.

prof.ssa Raffaella Romano

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V. Cardarelli- l’Eden Alla terra

Terra mia nativa, perduta per sempre. Paradiso in cui vissi felice, senza peccato, ed ebbi amiche un tempo le biscie fienaio più che gli uomini poi. Nelle notti d’insonnia, quando il mio cuore è più angosciato e grida e non si vuol dar pace, tu mi riappari ed in te mi rifugio. Non memorie io ti richiedo ma riposo ed oblio. E dopo tanto errare godo in te ritrovarmi, terra mia di cui porto l’immortal febbre nel sangue. Sempre più persuaso che tu sola non m’abbia mai tradito e che il lasciarti fu grande follia. Così lontana sei, così lontana! Pur di raggiungerti ed annullarmi in te anche la morte mi sarebbe cara.

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande,

che per mare e per terra batti l’ali,

e per lo ’nferno tuo nome si spande!

Inf. XXVI, vv. 1-3

Se mai continga che ‘l poema sacro

al quale ha posto mano e cielo e terra,

sì che m’ha fatto per molti anni macro,

vinca la crudeltà che fuor mi serra

del bello ovile ov’io dormi’ agnello,

nimico ai lupi che li danno guerra;

con altra voce omai, con altro vello

ritornerò poeta, e in sul fonte

del mio battesmo prenderò ‘l cappello;

Pd. XXV, vv. 1-

9

prof.ssa Raffaella Romano

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Campana- Purgatorio

Un passo de La Notte di Dino Campana dice così:

[...] povero, ignudo, felice di essere povero ignudo, di

riflettere un istante il paesaggio quale un ricordo

incantevole ed orrido in fondo al mio cuore salivo: e

giunsi la fino dove le nevi delle Alpi mi sbarravano il

cammino. Una fanciulla nel torrente lavava, lavava e

cantava nelle nevi delle bianche Alpi. Si volse, mi

accolse, nella notte mi amò. E ancora sullo sfondo le

Alpi il bianco delicato mistero, nel mio ricordo s’accese

la purita della lampada stellare, brillò la luce della sera

d’amore. (Cer. 95-96).

prof.ssa Raffaella Romano

ché per tal donna, giovinetto, in guerra del padre corse, a cui, come a la morte, la porta del piacer nessun diserra; e dinanzi a la sua spirital corte et coram patre le si fece unito; (Francesco sposa la povertà)

Pd. XI 58-62

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Campana- il Purgatorio

Guardo oppresso le roccie ripide della Falterona: dovro salire, salire. [...] Come incantate

erano sorte per me le stelle nel cielo dallo sfondo lontano dei dolci avvallamenti dove

sfumava la valle barbarica [...]. Io sentivo le stelle sorgere e collocarsi luminose su quel

mistero. Alzando gli occhi alla roccia a picco altissima che si intagliava in un semicerchio

dentato contro il violetto crepuscolare, arco solitario e magnifico teso in forza di

catastrofe sotto gli ammucchiamenti inquieti di roccie all’agguato dell’infinito, io non ero

non ero rapito di scoprire luci ancora luci (La Chimera, Cer.118).

prof.ssa Raffaella Romano

Noi salivam per una pietra fessa che si moveva d’una e d’altra parte, sì come l’onda che fugge e s’appressa Purg. X 7-9

Poco potea parer lì del di fori; ma, per quel poco, vedea io le stelle di lor solere e piu chiare e maggiori Purg. XXVII 88- 90

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Campana- Purgatorio

Una campana dalla chiesetta francescana tintinna nella tristezza del chiostro: e pare il giorno dall’ombra,

il giorno pianger che si muore. ( La Verna, Cer. 126).

Era gia l’ora che volge il disio

ai navicanti e ‘ntenerisce il core

lo dì c’han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d’amore

punge, se ode squilla di lontano

che paia il giorno pianger che si more;

Purg. VIII 1-6

Il sogno e al termine e l’anima improvvisamente sola cerca un appoggio una fede nella triste ora (Ibidem).

prof.ssa Raffaella Romano

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III PARTE- Il Paradiso

prof.ssa Raffaella Romano

La gloria di colui che tutto move per l’universo penetra, e risplende in una parte più e meno altrove. Nel ciel che più de la sua luce prende fu’ io, e vidi cose che ridire né sa né può chi di là sù discende; Pd. I 1-6

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Ungaretti- il Paradiso

M’illumino

d’immenso.

Luce intellettual, piena d’amore,

amor di vero ben, pien di letizia,

letizia che trascende ogni dolzore. Par. XXX 40-42

prof.ssa Raffaella Romano

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Giudici- Paradiso

Fanno dodici lustri quasi netti

che intorno al collo mi ebbero messa

pio di rossore grato di sorriso

la cordicella della tua promessa

che il primo sabato dopo morto

discesa a me dagli alti luoghi eletti

mi portavi risorto in paradiso:

stasera è venerdì, che cosa aspetti?

Regina Carmeli, 2000

prof.ssa Raffaella Romano

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A. Onofri- il Paradiso

Ecco il ritmo frenetico del sangue, quando gli azzurri tuonano a distesa, e qualsiasi colore si fa fiamma nell’urlo delle tempie. Ecco il cuor mio nella selvaggia ebbrezza di svincolare in esseri le forme

disincantate a vortice di danza.

Ecco i visi risolti in fiabe d’oro

e in lievi organi d’ali

Ecco gli alberi in forsennate lingue

contorcersi, balzar fra scoppiettii

di verdi fiamme dalla terra urlante.

E fra l’altre manie del mezzogiorno, ecco me, congelato in stella fissa,

ch’esaspero l’antica aria di piaghe

metalliche, sull’erba di corallo. Van Gogh, Alberi con sole

prof.ssa Raffaella Romano

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli si fuor girati intorno a noi tre volte, come stelle vicine a’ fermi poli, donne mi parver, non da ballo sciolte, …

Pd. X 76-79

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Giudici- Paradiso

La vita in versi

Metti in versi la vita, trascrivi

fedelmente, senza tacere

particolare alcuno, l’evidenza dei vivi.

Ma non dimenticare che vedere non è

sapere, né potere, bensì ridicolo

un altro voler essere che te.

Nel sotto e nel soprammondo s’allacciano

complicità di visceri, saettando occhiate

d’accordi. E gli astanti s’affacciano

al limbo delle intermedie balaustre:

applaudono, compiangono entrambi i sensi

del sublime – l’infame, l’illustre.

Inoltre metti in versi che morire

è possibile più che nascere

e in ogni caso l’essere e più del dire.

…e s’io al vero son timido amico,

temo di perder viver tra coloro

che questo tempo chiameranno

antico.

Pd. XVII 118-120

Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,

tutta tua vision fa manifesta;

e lascia pur grattar dov’e la

rogna.

Pd. XVII 127-129

Però ti son mostrate in queste rote,

nel monte e ne la valle dolorosa

pur l’anime che son di fama note

Pd. XVII 136-138

prof.ssa Raffaella Romano

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F. Fortini- il Paradiso

Traducendo Brecht

Scrivi mi dico, odia

chi con dolcezza guida al niente

gli uomini e le donne che con te si accompagnano

e credono di non sapere. Fra quelli dei nemici

scrivi anche il tuo nome. Il temporale

è sparito con enfasi. La natura

per imitare battaglie è troppo debole. La poesia

non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi. (vv. 13-20)

Giù per lo mondo sanza fine amaro,

e per lo monte del cui bel cacume

li occhi de la mia donna mi

levaro,

e poscia per lo ciel, di lume in lume,

ho io appreso quel che s’io ridico,

a molti fia sapor di forte

agrume;

e s’io al vero son timido amico,

temo di perder viver tra coloro

che questo tempo chiameranno antico».

Pd. XVII 112-120

tutta tua vision fa manifesta;

Pd. XVII 128

Questo tuo grido farà come vento,

che le più alte cime più percuote;

e ciò non fa d’onor poco argomento.

Pd. XVII 133-135

prof.ssa Raffaella Romano

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Campana- il Paradiso

E allora fu che nel mio intorpidimento finale io

sentii con delizia l’uomo nuovo nascere: l’uomo

nascere riconciliato colla natura ineffabilmente

dolce e terribile: deliziosamente e

orgogliosamente succhi vitali nascere alle

profondità dell’essere: fluire dalle profondità della

terra: il cielo come la terra in alto, misterioso, puro,

deserto dall’ombra, infinito. Mi ero alzato. Sotto le stelle impassibili, sulla terra

infinitamente deserta e misteriosa, dalla sua tenda l’uomo libero tendeva le braccia

al cielo infinito non deturpato dall’ombra di Nessun Dio.

Pampa (Durante un viaggio a Montevideo)

prof.ssa Raffaella Romano

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Dante –Ungaretti- Campana

Ciò ch'io vedeva, mi sembrava un riso

dell'universo, perochè mia ebbrezza

entrava per l'udire e per lo viso.

Oh gioia! Oh ineffabile allegrezza!

Oh vita intera d'amore e di pace!

Oh senza brama sicura ricchezza!

Par., XXVII, 4-9

prof.ssa Raffaella Romano

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Giudici- il Paradiso- Beatrice

O beatrice senza manto senza cielo né canto. Beatrice tutta di terra attraversata in guerra. Beatrice costruttrice della mia distruzione felice. Beatrice ultimo

gioco. Beatrice salto nel fuoco. Beatrice da sempre nata. Beatrice stella designata. Beatrice fiato e voce dell'inchiodato in croce.

prof.ssa Raffaella Romano

Sì com’fui dentro, in un bogliente vetro gittato mi sarei per rinfrescarmi, tant’era ivi lo ‘ncendio sanza metro. Lo dolce padre mio, per confortarmi, pur di Beatrice ragionando andava, dicendo: «Li occhi suoi già veder

parmi». Purg. XXVII 49-54

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Giudici- il Paradiso- Beatrice Beatrice delle paure. Beatrice delle venture. O beatrice senza santi senza veli né oranti. Beatrice tutta di furore di febbre e tremore. O beatrice di lacrime. Beatrice furtiva bestiola. O beatrice infinita. Beatrice nella tagliola. Beatrice pietosa filia et mater mea gloriosa. Beatrice che si spezza per troppo di tenerezza. O beatrice mia apprensiva. O beatrice viva.

…l’amico mio, e non de la ventura, ne la diserta piaggia è impedito sì nel cammin, che volt’e per paura;

Inf. II 61-63 Beatrice, loda di Dio vera, ché‚ non soccorri quei che t’amò tanto, ch’uscì per te de la volgare schiera? non odi tu la pieta del suo pianto?

Inf. II 103-106 Poscia che m’ebbe ragionato questo, li occhi lucenti lagrimando volse;

Inf. II 115-116 Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura…

Pd. XXXIII 1-2 e come ambo le luci mi dipinse il quale e il quanto de la viva stella che là sù vince come qua giù vinse…

Pd. XXII 91-93

prof.ssa Raffaella Romano

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F.Fortini- il Paradiso

Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea

Zanzotto

…Qui stiamo a udire la sentenza. E non

ci sarà, lo sappiamo, una sentenza.

A uno a uno siamo in noi giù volti.

Quanto sei bella, giglio di Saron,

Gerusalemme che ci avrai raccolti.

Quanto lucente la tua inesistenza.

(vv.9-14)

…Maestro, esti tormenti

crescerann’ei dopo la gran sentenza,

fier minori, o saran sì cocenti?

Inf. VI 103-105

prof.ssa Raffaella Romano

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Pasolini- La luce

Le ceneri di Gramsci

…Ma come io possiedo la storia,

Essa mi possiede; ne sono illuminato:

Ma a che serve la luce?

(IV)

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Camerana- Paradiso-la Vergine

Oropa I

Fate, o Maria, fate la grazia immensa! Fate che stanco, affranto, il viandante dal cammin non travolga infra il tonante clangor degli uragani e per la densa ombra di morte; ascoltate la intensa prece di lui; reggete il vacillante passo, e il segreto affanno, e il cor tremante; fategli voi la limosina immensa, siate la mano pia che a lui si stende dal trono d'oro per pieta suprema, nella suprema fra tutte le orrende spiritali agonie; si che raggiante piu che il raggiar del trino diadema egli voi risaluti, il viandante.

prof.ssa Raffaella Romano

Or questi, che da l’infima lacuna de l’universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi

più alto verso l’ultima salute. Pd. XXXIII 22-27

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M.L. Spaziani- il Paradiso/Inferno

Ore 14.47

Passa il tempo nel fuoco del tuo

sguardo.

“Non vedo ponti per tornare

indietro.

Né l’angelo mi prende sulle ali”.

Comunque si è deciso: rifiutare

tetri pedaggi al passatore.

(vv 1-5)

Beatrice mi guardò con li occhi pienidi faville d'amor così divini,che, vinta, mia virtute diè le reni,

e quasi mi perdei con li occhi chini.

Par. IV, vv. 139-142

S'io ti fiammeggio nel caldo d'amoredi là dal modo che 'n terra si vede,sì che del viso tuo vinco il valore,

non ti maravigliar…

Par. V, vv. 1-4

prof.ssa Raffaella Romano

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Montale- il Paradiso/ Inferno

La belle dame sans merci

Stupefacente il tuo volto s'ostina

ancora, stagliato

sui fondali di calce del mattino;

ma una vita senz'ali non lo

raggiunge e il suo fuoco

soffocato è il bagliore

dell'accendino.

(vv. 9-12)

Paradiso

Donna, se' tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre

sua disianza vuol volar sanz'ali.

Pd. XXXIII 13-15

E quella pia che guidò le penne

de le mie ali a così alto volo…

Pd. XXV 49-50

prof.ssa Raffaella Romano

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Saba- il Paradiso nell’Inferno

Città vecchia

Spesso, per ritornare alla mia casa

prendo un'oscura via di città vecchia.

Giallo in qualche pozzanghera si specchia

qualche fanale, e affollata è la strada.

Qui tra la gente che viene che va

dall'osteria alla casa o al lupanare,

dove son merci ed uomini il detrito

di un gran porto di mare,

io ritrovo, passando, l'infinito

nell'umiltà.

Qui prostituta e marinaio, il vecchio

che bestemmia, la femmina che bega,

il dragone che siede alla bottega

del friggitore,

la tumultuante giovane impazzita

d'amore,

sono tutte creature della vita

e del dolore;

s'agita in esse, come in me, il Signore.

Qui degli umili sento in compagnia

il mio pensiero farsi

più puro dove più turpe è la via.

Tant' è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

Inf. I 7-9

prof.ssa Raffaella Romano

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A. Merini- Paradiso/ Inferno

Io ti chiedo Signore

Io ti chiedo Signore per che passo dovrei entrare senza più sentire la tua voce di colpa e di rovina.

E invece approdo sempre alle tue sfere quando mi mostri il firmamento... Perché questo tuo incanto o questa frode, cosa ti costa prendermi nel seno?

Come in esilio vado a domandare alla luce e al giorno se hanno visto orma di te lungo le siepi brune.

prof.ssa Raffaella Romano

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D. Bellezza- Paradiso/ Inferno Assassino, scuoti il poeta, discreto infantile

tessitore d'inganni, scuotilo, con la tua magia:

fallo fuori con gli occhi della mente bruta;

calpesta l'orgoglio di chi rimane attaccato

alla Realtà! La Realtà non esiste, ma esiste

un mattino in cui ci si sveglierà perfetti

e ciechi nella ridondanza dei corpi,

o della loro fresca resurrezione. E noi saremo

là, angeli di fiamma e ghiaccio, a cantare

la gloria del Signore per aver saputo

registrare l'orrore del mondo mendico

in Marocco o a New York, non ha importanza.

La patria è la lingua, vv. 15- 26

L’incendio suo seguiva ogne scintilla;

ed eran tante, che ‘l numero loro

più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla.

PD. XXVIII, vv. 91-93

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S. Penna- Paradiso/ Inferno

Le porte del mondo

Le porte del mondo non sanno

che fuori la pioggia le cerca.

Le cerca. Le cerca. Paziente

si perde, ritorna. La luce

non sa della pioggia. La pioggia

non sa della luce. Le porte,

le porte del mondo son chiuse:

serrate alla pioggia,

serrate alla luce.

Io sono al terzo cerchio, de la piova

etterna, maladetta, fredda e greve;

regola e qualita mai non l’e nova.

Inf. VI vv.7-9

Lo duca e io per quel cammino ascoso

intrammo a ritornar nel chiaro mondo

Inf XXXIV, vv. 133-134.

Come subito lampo che discetti...

così mi circunfulse luce viva;

Pd XXX, vv. 46 e 51

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Sanguineti 3- Rinunzia all’Universo

Novissimum testamentum

nell’anno novecento e ottanta e due,

sul principio del mese di novembre,

gabbati i santi, e gabbati anche i morti;

tra le ore diciassette e le diciotto,

questo settimo giorno, che è domenica,

io qui presente sottoscritto, in Como,

dentro i locali della Media Foscolo,

novanta e nove di via Borgo Vico,

pubblicamente dichiaro e certifico

che per sempre rinunzio all’universo: la vita ci consuma, e come un’acqua

che si arrotonda le più quadre pietre,

così ci rode e morde e spolpa e spompa

e spoglia e sbuccia e succhia, e ci smidolla:

noi, l’uomo vivo, fa di pasta frolla:

e, come un ghiaccio, che nel caldo ammolla,

scioglie i muscoli e i nervi in trista colla,

mentre ci svena il sangue a bolla a bolla:

guardate agli occhi miei, che un velo vela,

quasi sbavata nebbia sopra un vetro:

guardate al polso mio, che forte, trema,

quasi criceto o acciuga, in rete o in gabbia:

sopra la pelle mia, scriba tenace,

il tempo ha inciso, con la sua lancetta,

lungo e largo, alto e basso, in furia e in fretta,

la sua firmetta netta maledetta: […]

prof.ssa Raffaella Romano

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Battiato- il Paradiso

Ed è in certi sguardi che si intravede l'infinito

Tutto l'universo obbedisce all'amore

prof.ssa Raffaella Romano

A l’alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,

sì come rota ch’igualmente è mossa, Amor che move il sole e l’altre stelle.

Par. XXXIII 142-145

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Luzi e Dante: il divertissément

La barca

«Amici, ci aspetta una barca e

dondola

nella luce ove il cielo s’inarca

e tocca il mare [...]. /

Amici, dalla barca si vede

il mondo»

Guido, i’vorrei..

«Guido, i’ vorrei che tu

e Lapo ed io / fossimo presi per

incantamento / e messi in

un vasel, ch’ad ogni vento / per mare

andasse al voler vostro e mio».

Cfr anche il vasel di Purg. II e il “gran

mar de l’essere” del XXXIII del Paradiso

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Conclusione

Il poeta russo Osip Mandel’štam parla dei canti

della Commedia come di

«proiettili scagliati verso il futuro, che esigono

un commento ad futurum».

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Conclusione personalissima

Per me la Divina Commedia corrisponde a tutti i

14 punti elencati da Calvino a proposito di cosa

sia un libro classico. Ve ne elenco solo

qualcuno…

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• Un classico è un libro che non ha mai finito di dire

quello che ha da dire.

• I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di

sé la traccia delle letture che hanno preceduto la

nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella

cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più

semplicemente nel linguaggio o nel costume).

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Chiamasi classico un libro che si configura come

equivalente dell'universo, al pari degli antichi

talismani.

Il «tuo» classico è quello che non può esserti

indifferente e che ti serve per definire te stesso in

rapporto e magari in contrasto con lui.

prof.ssa Raffaella Romano

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Un classico è un libro che viene prima degli

altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e

poi legge quello, riconosce subito il suo posto

nella genealogia.

prof.ssa Raffaella Romano