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Augusto Fraschetti Servio Tullio e la partizione del corpo civico In: Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens. Volume 9-10, 1994. pp. 129-141. Citer ce document / Cite this document : Fraschetti Augusto. Servio Tullio e la partizione del corpo civico. In: Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens. Volume 9- 10, 1994. pp. 129-141. doi : 10.3406/metis.1994.1017 http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/metis_1105-2201_1994_num_9_1_1017

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Augusto Fraschetti

Servio Tullio e la partizione del corpo civicoIn: Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens. Volume 9-10, 1994. pp. 129-141.

Citer ce document / Cite this document :

Fraschetti Augusto. Servio Tullio e la partizione del corpo civico. In: Mètis. Anthropologie des mondes grecs anciens. Volume 9-10, 1994. pp. 129-141.

doi : 10.3406/metis.1994.1017

http://www.persee.fr/web/revues/home/prescript/article/metis_1105-2201_1994_num_9_1_1017

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1. I resoconti degli storici antichi sul «regno» de Servio Tullio, anche se non sempre irenici a proposito délia sua presa del potere e soprattutto délia sua morte, ci forniscono tuttavia, se esaminati partitamente, rappresentazio- ne del personaggio nel loro complesso coerenti. Lascio momentaneamente da parte le notizie dedicate a Servio Tullio dall'imperatore Claudio nel suo discorso in senato trasmessoci dalla tavola di Lione. Invece non prenderô volutamente in esame almeno in questa sede quelle tramandate da POxy 2088 su cui forse, per le condizione estremamente lacunose iri cui quel papiro è pervenuto, si è scritto anche troppo, mentre le parti ricostruibili con una certa sicurezza sembrano non aggiungere molto a quanto era già noto in base alla documentazione parallela.

2. Secondo il torrenziale Dionisio di Alicarnasso (corne vedremo, forse un po'troppo sopraffatto non solo dagli schemi délie tirannidi e délie demb- crazie greche, ma anche dal suo scopo dichiarato di dimostrare corne la

1. E' evidentemente impossibile dar conto dell'enorme letteratura che su Servio Tullio va accumulandosi anno dopo anno: fino alla fine degli anni Settanta essa è raccolta e discussa da R. Thomsen, King Servius Tullius, Copenhagen, 1980. Su POxy 2088 mi basti il rimando ultimamente a G. Traîna, "II papiro di Servio Tulio", Annali Scuola Norm. Sup. Pisa, s. III, 17, 1987, pp. 389 sqq.; in precedenza con integrazioni diverse a quel testo molto mutilo ved. L.A. Levi, "Servio Tullio nel POxy 2088", Rivista di Filol. e di Istruzione Classica, 56, 1926, pp. 511 sqq; A. Piganiol, "Le papyrus de Servius Tullius", in Studi in onore di B. Nogara, Città del Vaticano, 1937, pp. 373 sqq.

2. Sul regno di Servio Tullio in Dionisio di Alicarnasso, E. Gabba, "Studi su Dionigi di Alicarnasso II. Il regno di Servio Tullio", Athenaeum, 39, 1961, pp. 98 sqq. (cf. Id., Dionysius and the History of Archaic Rome, Berkeley, 1991); inoltre Cl. Nicolet, "L' idéologie du système centuriate et l'influence de la philosophie grecque à Rome", in La filosofia greca e il diritto romano, in Accademia Nazionale dei Lincei, "Problemi attuali di Scienza e di Cultura", Quaderno n. 221, Roma, 1977, pp. 111 sqq. Sulla storia arcaica di Roma in epoca augustea ultimamente M. Fox, Roman Historical Myths. The Régal Period in Augustan Literature, Oxford, 1996.

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stessa Roma fosse stata in origine una città greca), dopo la morte violenta di Tarquinio Prisco, Servio Tullio - quasi contemporaneo e corne emulo di Solone - detenendo il potere corne tutore dei nipoti del re, opéra prima una cancellazione dei debiti, quindi l'abolizione délia schiavitù per debiti, poi si impossessa ben presto del regno: senza il preventivo intervento degli interreges (a Roma supremi garanti délia legittimità del potere e délia trasmissione degli auspici: prima del potere dei re, poi in epoca repubblicana di quello dei consoli). Tutto avviene senza una deliberazione del senato e senza che siano state espletate le altre procédure previste dalla legge (IV, 8,2: μήτε βουλής ψηφισαμένης, μήτε των άλλων των κατά νόμον έπιτελε- σθέντων). Da buon demagogo, viene quindi eletto direttamente dal popolo, cui avrebbe rivolto un lungo discorso contro i figli di Anco Marcio e i loro alleati patrizi. Lo eleggono più precisamente le trenta curie istituite da Romolo («fratrie» in Dionisio) cui a Roma - ed è circostanza che in questo contesto non puô essere sottovalutata - si appartiene per nascita e che divengono nel caso specifico espressione del démos: «Giudicato degno del regno da tutte le fratrie, assunse allora il potere dall'assemblea del popolo (παρά τον δημοτικού πλήθους), con tanti saluti al senato che non ritenne opportuno ratificare il giudizio popolare, corne era consuetudine che facesse» (IV, 12, 3).

Avversari costanti dell'operato del re Servio Tullio d'ora in poi, fino alla tragica fine délia sua vita, saranno i patrizi, cui farà ricorso Tarquinio il Superbo per riottenere quel regno che (in Dionisio) era stato del suo avo. Sulle riforme del re (nell'ordine: istituzione délie tribu territoriali, istituzione délie centurie e dei comizi centuriati) torneremo in seguito confrontando questa tradizione con quella pervenuta attraverso Tito Livio.

3. Questo di Dionisio d'Alicarnasso è un racconto apparentemente lineare

3. Per l'interpretazione di Georges Dumézil ved. Servius et la Fortune. Essai sur la fonction sociale de Louange et de Blâme et sur les éléments indo-européens du cens romain, Paris, 1943; cf. Id., Idées romaines, Paris, 1969, pp. 103 sqq. Cf. in seguito J. Champeaux, Le culte de la Fortune à Rome et dans le monde romain I, Rome, 1982, pp. 293 sqq.; C. Grottanelli, "Servio Tullio, Fortuna e l'Oriente", Dialoghi di Archeologia, s. 3, 5, 1987, pp. 75 sqq.; F. Coarelli, II F or ο Boario, Roma, 1988, pp. 301 sqq.; C. Ampolo, "Servio Tullio e Dumézil", Opus, 2, 1983, pp. 391 sqq.

Sul frammento di Accio, E. Gabba, "II Bruto di Accio", Dioniso, 43, 1969, pp. 377 sqq. Un'interpretazione in senso democratico di quel frammento è data ancora di récente da R.T. Ridley, "The Enigma of Servius Tullius", Klio, 57, 1976, p. 152. Ved. invece sulP elaborazione deU'immagine «popolare» di Servio in Dionisio soprattutto J.-Cl. Richard, "Recherches sur l'interprétation populaire de la figure du roi Servius Tullius", Revue de Philologie, 61, 1987, pp. 205 sqq. (più in particolare per la citazione pp. 210-21 1).

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e coerente. Non è un caso che Georges Dumézil potesse dichiarare di preferire la ricostruzione di Dionisio a quella di Livio appunto per la sua maggiore linéarité. In tal modo Servio Tullio, che diveniva re grazie aile sue virtù e ai suoi meriti personali, poteva essere strettamente connesso alla dea Fortuna, e a loro volta Servio Tullio e la stessa dea Fortuna potevano essere associati al censimento nel contesto di una ricostruzione destinata a rimanere non solo fondamentale ma anche bellissima nella sua geometria ricostruttiva.

Forse, comunque, la coerenza messa in rilievo da Georges Dumézil era più «narrativa» che «politica». Poiché lo stesso Dionisio, quanto ad attitudini politiche, non poteva non rinvenire a un certo punto nell'operato del re un cambiamento profondissimo. Servio Tullio, che era stato eletto dal popolo nei comizi curiati senza che l'assemblea senatoria ratificasse quella nomina, grazie all'istituzione del sistema centuriato in cambio dei maggiori oneri che gravavano sui «ricchi» li avrebbe gratificati rendendoli «padroni di tutta la politica, allontanando i poveri dal governo» (πάσης... της πολιτείας... κύριοι, τους πένητας απελάσας άπα των κοινών: IV, 20, 1). Cosi «ogni volta che riteneva opportun ο che si eleggessero magistrati, si decidesse di una legge, si dichiaresse una guerra, convocava l'assemblea per centurie anziché per fratrie» (IV 20, 3).

Espediente astuto quello di ricorrere ai comizi centuriati ancora nella tarda repubblica: solo che nel I a. C. vi si ricorreva - Pompeo, p. es., a proposito délia legge che votô il richiamo di Cicérone dall'esilio - a preferenza dei più «democratici» comizi tributi, mentre le «fratrie» erano ormai convocate simbolicamente non più per eleggere magistrati, votare leggi ο dichiarare guerre, ma più tardi solo per problemi in qualche modo «di rappresentanza»: votare la lex curiata de imperio per i magistrati già eletti nei comizi centuriati ο ratificare p. es. le adozioni.

Se in realtà Servio Tullio grazie al sistema centuriato aveva evidentemente favorito i «ricchi», la sua immagine popolare di fatto sarebbe sorta molto più tardi, pervenendo fino a Dionisio attraverso i canali complessi e sinuosi di un'annalistica letteraria che proiettô nell'età di Servio i problemi dei suoi tempi. Lo stesso verso di Accio (Praet. 40 in O. Ribbeck, Tragicorum Romanorum fragmenta, 2 éd. Leipzig, 1871, p. 285), dove si sosteneva che Servio Tullio «aveva stabilito la liberté per i cittadini» (Tullius, qui libertatem civibus stabiliverat), deve intendersi nel senso dello stabilimento di una «liberté» molto aristocratica, poiché - corne ha osservato di récente Jean-Claude Richard - «cet éloge vibrant appelait une condamnation au moins implicite de Tarquin le Superbe, le tyran qui lui avait succédé sur le trône avant d'en être chassé par Brutus, c'est-à-dire par l'ancêtre fictif de D.

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Iunius Brutus Callaicus, cos. 138, qui était le protecteur du poète. Il parait totalement exclu que le vers en question puisse refléter une interprétation dans un sens «démocratique» du sixième règne, s'il est vrai que D. Brutus fut, pendant son consulat, traîné en prison, ainsi que son collègue, par deux tribuns de la plèbe qui font figure de précurseurs des Gracques».

4. Se invece ci accostiamo al racconto di Tito Livio, molto più brève e a prima vista molto più «imbarazzato» e réticente, prima di rifiutarne il carattere contradditorio su cui insisteva Dumézil, le «contraddizioni» vanno partitamente esaminate. In Tito Livio l'elezione di Servio Tullio a re avviene solo poco prima délia sua morte (I, 46, 1) e dunque le riforme da lui attuate sono opéra di una figura di reggitore il cui statuto istituzionale non è ben definibile. La sua elezione infine non produce alcuna ulteriore riforma e sembra non sortire altro effetto che quello di affrettarne la morte per le trame di Tarquinio il Superbo, il quale vorrebbe prendere spunto dalla distrubuzione di terre alla plèbe, avvenuta «contro la volontà dei senatori», per incriminare Servio nella curia (1, 46, 2).

In effetti, secondo Tito Livio, dopo la morte di Tarquinio Prisco e Γ astuto inganno délia moglie Tanaquilla per precostituire la successione di Servio Tullio, costui, munito di une guardia del corpo praesidio firmo munitus), dà inizio alla sua carriera di governo iniussu populi, voluntate patrum, «senza che il popolo lo avesse ordinato, per volontà dei senatori» (1, 41, 6). Si tratta evidentemente di quegli stessi senatori che in Dionisio erano gli awersari più accaniti di Servio tanto da non ratificare la sua elezione comiziale a re, avvenuta invece da parte délie trenta curie, délie «fratrie». Dunque, a differenza di Dionisio di Alicarnasso, nel racconto di Livio per un periodo molto lungo Servio non è re, ma «simula di esserlo» (se regem esse simulât), assumendo senza averne il diritto le insegne délia regilità che consistono neU'abbigliamento con trabea, nei littori che lo scortano (in quanto braccio armato del suo potere), nell'uso del seggio regale.

4. Sulla narrazione liviana del periodo regio G. M. Miles, Livy: Reconstructing Early Rome, Ithaca and London, 1995. Sul censimento attribuito a Servio Tullio, -ved. A. Momigliano, "Timeo, Fabio Pittore e il primo censimento di Servio Tullio", in Miscellanea di studi alessandrini in memoria di A. Rostagni, Torino, 1963, pp. 180 sqq., ora in Storia diRoma arcaica, Firenze, 1989, pp. 123 sqq.-

Sulle curie e i comizi curiati, soprattutto J.-Cl. Richard, Les origines de la plèbe romaine. Essai sur la formation du dualisme patrido-plébéien, Rome, 1978, pp. 211 sqq.; in precedenza p. es. R.E.A. Palmer, The Archaic Community ofthe Romans, Cambridge, 1970; M. Torelli, "Tre studi di storia etrusca", Dialoghi di Archeologia, 8, 1974-75, pp. 3 sqq.

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Quindi dopo parecchio tempo, quando torna dalla guerra contro i Veienti, egli all'evenienza sarebbe anche potuto apparire «re non incerto» (haud dubius rex) sia che avesse voluto mettere alla prova i sentimenti dei patrizi sia quelli dei plebei» (I, 42, 3): esperimento tuttavia che paradossalmente Servio allora evitô di compiere per cominciare invece ad attendere aile sue riforme: in primo luogo alla creazione del censo, poi su questa base alla conseguente creazione dei comizi centuriati.

Per l'«augusteo» Tito Livio il censo infatti è un istituzione ottima (censum... rem saluberrimam tanto fuiuro imperio), se con la valutazione periodica dei béni di ogni cittadino essa fa in modo che gli oneri délia pace e délia guerra non siano più distribuiti indiscriminatamente e pariteticamente tra tutti (viritim), ma in rapporto proporzionale ai béni posseduti da ciascuno (pro habitu pecuniarum). Questa innovazione rende dunque Servio Tullio colui che ha introdotto a Roma la «diversité» dei cittadini, prima distribuiti nelle curie in base alla nascita, secondo gli «ordini» (conditorem omnis in civitate discriminis ordinumque), ordini definiti al contrario in base a «dignità» e a «fortuna» (intergradus dignitatis fortunaeque: I, 42, 5).

Cosî veniva meno la précédente parità di voto di ogni cittadino che era caratteristica dei comizi curiati: précédente parità di voto stabilita per primo da Romolo e poi conservata dai re successivi, dal momento che Romolo infatti aveva dato il voto «a testa a tutti indistintamente con la stessa forza e con identico diritto» (viritim eadem vi eodemque iure promisce omnibus). Al contrario, l'organizzazione dei comizi centuriati, cosî corne Livio Γ attribuiva a Servio Tullio, nell'ambito del corpo civico toglieva al voto del singolo parità di «forza» e di «diritto». Ormai infatti non si sarebbe più votato né a testa (viritim) né indistintamente (promisce), ma appunto per centurie. Da parte sua la votazione per centurie già allora sarebbe stata organizzata in modo taie che, benché nessuno teoricamente fosse escluso dal voto, la maggioranza appartenesse comunque sempre ai primores, ai più potenti in città, dunque ai senatori (ut neque exclusus quisquam suffragio videretur et vis omnis pênes primores civitatis esset: I, 43, 10).

La dissoluzione del sitema «egualitario» curiato (di quelle trenta curie, «fratrie», cui si apparteneva per nascita) viene completata da Servio attraverso la creazione délie tribu territoriali cui cittadini sono iscritti in base al loro effettivo domicilio. Solo a questo punto, dopo queste riforme evidentemente radicali che hanno mutato l'organizzazione complessiva del corpo civico e di consegu^nza le sue modalità istituzionali di funzionamento, Servio Tullio «osô» rivolgersi al popolo per essere eletto re (I, 46, 1: ausus est ferre ad populum vellent iuberentne se regnare) e fu eletto con una maggioranza straripante, con un consenso che nessun altro re prima di lui

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aveva mai avuto (tanto consensu quanto haud quisquam alius ante rex est declaratus).

5. Potrebbe un po'soprendere quella connotazione liviana, in riferimento a Servio, «oso» (ausus est). Di fatto sorprende molto meno se si pensa ai comizi nei quali Servio Tullio sarebbe stato implicitamente eletto re: nei comizi centuriati da lui istituiti e dove si votava secondo centurie, non nei comizi curiati, che in Dionisio di Alicarnasso avevano provveduto a nominarlo poco dopo la morte di Tarquinio Prisco e dove il voto di ogni cittadino aveva stessa «forza» e identico «diritto». Solo cosi si spiega quello che potrebbe definirsi l'estremo «ritardo» deU'elezione di Servio Tullio nei racconto di Tito Livio: corne ormai dovrebbe essere chiaro, questa elezione secondo lo stesso Livio si era svolta a riforme ormai avvenute.

Nella rappresentazione liviana e nell'ambito del nuovo sistema di voto, da lui descritto poco prima, conseguire una maggioranza straripante, ottenere il massimo dei consensi, significava molto semplicemente che si erano limitate a votare le ottanta centurie délia prima classe, quelle dei primores civitatis, e le nobilissime centurie dei cavalieri, ormai diciotto e non più tre corne ai tempi di Romolo (I, 43, 8-9: equitum ex primoribus civitatis duodecim scripsit centurias; sex item alias centurias, tribus ab Romulo institutis, sub iisdem quibus inauguratae erant nominibus fecit): appunto il numéro di centurie (ottanta délia prima classe e diciotto di cavalieri) che in epoca storica in quegli specifici comizi facevano già maggioranza, al punto da rendere inutile il proseguimento del voto da parte délie centurie délie altre quattro classi.

Da un simile punto di vista la rappresentazione che Tito Livio dava del regno di Servio Tullio ci appare molto più coerente di quanto non apparisse a Georges Dumézil. Impossessatosi del potere iniussu populi, voluntate patrum, «illegalmente», senza che il popolo avesse dato il suo assenso, «per

5. Limitandomi al resoconto Iiviano, non entro nei merito délia discussione sul primitivo sistema centuriato e sul numéro originario délie centurie serviane in rapporto alla classis (P. Fraccaro, "La storia dell'antichissimo esercito romano e l'età delF ordinamento centuriato", in Atti del H Convegno Nazionale di Studi romani III, Roma, 1931, pp. 91 sqq.; quindi in Opuscula II, Pavia, 1957, pp. 287 sqq., seguito p. es. da A. Momigliano, "An Intérim Report on the Origins of Rome", Journal of Roman Studies, 53, 1963, pp. 95 sqq.; quindi in Storia di Roma arcaica, cit., pp. 93 sqq.), ο piuttosto aile classes oplitiche (J-Cl. Richard, "Classis-infra classem", Revue de Philologie, 51, 1977, pp. 229 sqq.); cf. da ultimo su questa problematica C. Ampolo, "La città riformata. Lo spazio, il tempo, il sacro nella nuova realtà urbana", in A. Momigliano-A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma I. Roma in Italia, Torino, 1988, pp. 222 sqq.

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volontà dei senatori», lo stesso Servio fa culminare la sua carriera di riformatore con l'istituzione dei comizi centuriati (i comizi dove i primores, suoi iniziali sostenitori, godono comunque délia maggioranza), e conclude la sua ascesa con un'elezione decisa da quegli stessi primores che lo avevano sostenuto ai suoi esordi.

6. Una volta rivendicata la coerenza interna, non solo a livello narrativo ma anche politico, dei testo liviano, resta evidentemente il problema dei confronto con il racconto di Dionisio: un problema che deve essere appunto di confronto, non di «contaminazione». Seguiremo pertanto la via percorsa da uno storico insigne dei Medioevo, Arsenio Frugoni, nelle sue ricerche su Arnaldo da Brescia, lumeggiando l'«impegno di ogni testimone» su Servio «nel circolo di tutti i suoi impegni», corne Frugoni aveva fatto per l'eretico Arnaldo. Allontandoci da sentieri percorsi forse troppo a lungo e che forse anche troppo spesso si sono rivelati impervii e impraticabili, da parte mia non ritengo utile discutere ancora una volta né il numéro délie effettive centurie stabilité da Servio né quello délie tribu. A proposito délie tribu mi limito solo a osservare che Livio dà notizia prudentemente solo délie quattro tribu urbane, non accennando a una divisione in tribu dei territorio, mentre grazie a Dionisio sappiamo che secondo Fabio Pittore in origine sarebbero state ventisei, ο addirittura trenta secondo l'oscuro Vennonio.

Se già Catone era stato molto più prudente non precisandone il numéro, è preferibile forse seguire il suo esempio. Va comunque osservato che una diversa partizione dei corpo civico implicava di nécessita una nuova partizione délia città e dei territorio. Se la nuova partizione era per centurie e non per curie, aile quali si apparteneva per nascita e per «famiglia» (uso volutamente il termine più generico), diveniva dunque essenziale Γ elemento costituito dal domicilio, poiché le stesse operazioni periodiche dei censo non potevano che fondarsi sulle tribu territoriali di appartenenza.

Non combinando pertanto due rappresentazioni fondamentalmente

6. Ved. in effetti A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti dei secolo XII, éd. Torino 1989, p. XXIII. Sulle critica alla creazione délie tribu urbane da parte di Servio Tullio, E. Pais, Storia di Roma I 1, Torino, 1928, pp. 320-321 con n. 1; Id., Ancient Legends of Roman History, London, 1905, p. 140; G. De Sanctis, Storia dei Romani II, Milano- Torino-Roma, 1907, pp. 19 sqq.; K.J. Beloch, Romische Geschichte bis mm Beginn der punischen Kriegen, Leipzig-Berlin, 1926, pp. 225 sqq.; R. Thomsen, King Servius TuIIius cit., pp. 1 16 sqq.; G. J.-Cl. Richard, "L' œuvre de Servius Tullius: essai de mise au point", Revue historique de droit, 61, 1983, pp. 187 sqq.; A. Fraschetti, Roma e il principe, Roma- Bari, 1990, pp. 181 sqq. (trad. franc., Rome et le prince, Paris, 1994, pp. 190 sqq.).

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diverse, è necessario piuttosto riassumerne ormai le caratteristiche. Il Servio Tullio di Dionisio d'Alicamasso opéra a favore del démos; come se fosse in una città greca, eletto dal démos, si appoggia ad esso contro l'aristocrazia dei patrikioi. In una simile prospettiva di governo "popolare", esiste pero una contraddizione unica e insanabile: la creazione del sistema censitario e centuriato che avrebbe reso i «ricchi... padroni di tutta la politica, allontanando i poveri dal governo» (πάσης... της πολιτείας... κύριοι, τους πένητας απελάσας από των κοινών: IV, 20, 1). Tutto al contrario, in maniera estremamente più coerente, il Servio Tullio di Tito Livio, che sale al potere voluntate patrum ("per volontà dei padri"), introduce nel popolo il discrimen e gli ordines mettendo fine aU'originario "egualitarismo" dei comizi curiati e introducendo il voto per classi e per centurie.

7. Roma notoriamente non era una città greca, benché già nel IV secolo a.C. alcuni Greci amassero pensarlo, anticipando cosî le lunghe riflessioni in merito di Dionisio di Alicarnasso. A proposito di Servio Tullio anche Γ imperatore Claudio forniva una sua versione di quella presa del potere:

7. Su Roma città greca in Eraclide pontico, A. Fraschetti, "Eraclide Pontico e Roma 'città greca'", in A.C. Cassio-D. Musti (a cura di), Tra Sicilia e Magna Grecia. Aspetti di interazione culturale nel IV secolo a.C. (Annali Ist. Orient. Napoli, Sez. filologico- lettararia 11, 1989), Roma, 1989, pp. 81 sqq.; cf. in seguito L. Canfora, "Roma 'città greca'", Quademi di Storia, 39, 1994, pp. 5 sqq.

Sull'identificazione di Servio Tullio in Mastarna e su Servio Tullio magister, S. Mazzarino, Dalla monarchia allô stato repubblicano. Ricerche di Storia romana arcaica, 2 éd. con prefazione di A. Fraschetti, Milano, 1992, pp. 175 sqq.; cf. in seguito p. es. M. Pallottino, "Servius Tullius à la lumière des nouvelles découvertes archéologiques", Comptes rendus de l'Acad. des Inscr. et Belles-Lettres, 1977, pp. 216 sqq. = Saggi di antichità I, Roma, 1979, pp. 428 sqq.; L. Bianchi, "II magister Servio Tullio", Aevum, 59, 1985, pp. 57 sqq.; D. Briquel, "Le témoignage de Claude sur Mastarna-Servius Tullius", Revue Belge de Philol. et d'Hist., 68, 1990, pp. 86 sqq.; con percorsi molto tortuosi e non sempre facili da seguire, G. Capdeville, "Le nom de Servius Tullius", in La Rome des premiers siècles. Légende et histoire («Actes de la Table Ronde à l'honneur de M. Pallottino»), Paris, 1992, pp. 47 sqq. Un'opinione divergente fu quella espressa da A. Momigliano, L'opéra delV imperatore Claudio, Firenze, 1932, pp. 36 sqq., che attribuiva quell'identificazione solo aile induzioni di Claudio, sulle cui competenze "etruscologiche" ved. comunque soprattutto J. Heurgon, "La vocation étruscologique de l'empereur Claude", Comptes rendus de l'Acad. des Inscr. et Belles-Lettres, 1953, pp. 92 sgg. = Scripta varia, Bruxelles, 1986, pp. 427 sqq.; T.J. Cornell, "Etruscan historiography", Annali Scuola Norm. Sup. Pisa, ser. III, 6, 1976, pp. 411 sqq.; cf. D. Briquel, "Que savons- nous des «Thyrrenika» de Γ empereur Claude?", Rivista di Filol. e d'Istr. Classica, 116, 1978, pp. 448 sqq.

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versione che egli dichiarava essere non romana, ma etrusca. Poiché il dotto Claudio compose venti libri di Thyrrenica, dobbiamo valutare con estrema attenzione i cenni a Servio Tullio contenuti in un suo brevissimo excursus relativo alla storia romana più antica: excursus documentato in un discorso pronunciato in senato nel 48 con cui l'imperatore proponeva di concedere il ius honorum ai maggiorenti délia Gallia Comata (ILS 2 12). Dunque, secondo Claudio, che in una simile circostanza non mancava di esemplificare il carattere «aperto» délia cittadinanza romana fin dall'elezione a re di Numa «che veniva dai Sabini» ed era «si un vicino, ma allora uno straniero» (ex Sabinis veniens, vicinus qui/dem sed tune extemus), Servio Tullio sarebbe stato un tempo amico fedelissimo dell'eroe dell'epopea etrusca Celio Vibenna seguendolo in tutte le sue avventure. Poi, quando fu allontanato dall' Etruria con quanto rimaneva dell'esercito di Celio (corne dobbiamo intendere, dopo una sconfitta e la morte di quest'ultimo), Servio Tullio sarebbe emigrato a Roma occupando il monte che avrebbe chiamato Celio dal nome del suo antico «comandante» (montem Caelium occupavit et a duce suo / Caelio ita appellita[vit]).

Limitiamoci a sottolineare in questo contesto corne Claudio sembri far morire Celio Vibenna in Etruria ο in ogni caso faccia giungere Servio Tullio a Roma da solo. La notizia è importante poiché diverge da quelle di Verrio Flacco e di Tacito che parlavano entrambi di uno stanziamento di Celio Vibenna e dei seguaci appunto sul Celio al tempo del re Tarquinio Prisco, cui Celio Vibenna sarebbe venuto in aiuto (Verrio Flacco da Festo, p. 486 Lindsay; Tacito, Annali, IV, 65). Dunque, mentre né Verrio Flacco né Tacito ricordavano Servio Tullio al seguito di Celio Vibenna in questa sua spedizione, invece secondo Claudio Servio Tullio, giunto a Roma con quanto rimaneva dell'esercito di Celio Vibenna, qui non solo avrebbe occupato appunto il Celio, ma avrebbe anche provveduto a cambiare nome: da Mastarna, corne lo chiamavano gli Etruschi, appunto in Servio Tullio (mutatoque nomine - nam Tusce Mastarna ei nomen erat - ita appellatus est ut dixi). Quindi a Roma avrebbe addirittura ottenuto il regnum con sommo vantaggio délia res publica (regnum summa cum rei publicae utilitate optinuit). La notizia del cambiamento di nome da Mastarna in Servio Tullio non stupisce: trova anzi un ottimo confronto, più volte messo in rilievo, con la tradizione su Lucumone, figlio del corinzio Demaiato, che anch'egli, quando da Tarquinia era emigrato a Roma, aveva mutato il suo nome da Lucumone in Lucio Tarquinio: pratiche romane délia cittadinanza che tro- vavano riverbero anche nelle formule onomastice. Invece apparentemente contraddittorio per un romano - e soprattutto per un romano colto corne l'imperatore Claudio - era sostenere che qualcuno, nel caso specifico Servio

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Tullio, avesse ottenuto il regnum «con sommo vantaggio» del suo termine antitetico: la respublica.

Nel tentativo di chiarire questa prospettiva, procederemo senza semplifi- care. Sempre secondo Tito Livio, dopo la caduta di Tarquinio il Superbo, nell'anno 510/9 si provvide all'elezione dei primi consoli, Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. L'elezione avvenne nei comizi centuriati presieduti da un prefetto urbano e in base a «memoriali» lasciati dal re Servio Tullio (I, 60, 3: Duo consules inde comitiis centiatis apraefecto urbis ex commentariis Ser. Tullii creati sunf). Prefetto urbano era in quel periodo Spurio Lucrezio, lasciato in città da Tarquinio il Superbo al momento di partire per Ardea e poi da Giunio Bruto al momento di muovere egli stesso alla volta di Ardea contro Tarquinio il Superbo (I, 60, 3 con 59, 12). Lasceremo da parte in questa sede il singolare ruolo di presiedere comizi attribuito a un prefetto urbano: detentore di un potere non solo apparentemente privo di auspici e dunque non abilitato a tenere comizi, ma esso stesso ritenuto ancora in epoca augustea incivilis potestas, magistratura che non si addice a una città di liberi. Qui invece ci limiteremo a osservare il ruolo di Servio Tullio e délie istituzioni da lui stabilité nell' elezione dei primi magistrati délia città repubblicana.

8. Questo ruolo ci riconduce, corne di nécessita, al nome «altro» di Servio

8. Sugli affreschi délia tomba François di Vulci, da datarsi al terzo quarto del IV secolo a.C. (M. Cristofani, "Ricerche sulle pitture délia tomba François di Vulci I. I fregi decorativi", Dialoghi di Archeologia, 1, 1967; pp. 186 sqq.) mi basti il rinvio a F. Coarelli, "Le pitture délia tomba François di Vulci; una proposta di lettura", Dialoghi di Archeologia, ser. 3, 1, 1983, pp. 43 sqq.; in seguito cf. anche E. Buranelli, La tomba François di Vulci («Catalogo délia mostra»), Roma, 1987. In precedenza cf. anche A. Alfoldi, EarlyRome andthe Latins, Ann Arbor, 1965, pp. 212 sqq.

Sul passaggio dalla monarchia alla repubblica a Roma nel contesto di analoghi sommovimenti istituzionali avvenuti in altre città del Lazio e dell'Etruria, accolgo nelle sue linee di fondo Pinterpretazione che ne fu data da S. Mazzarino, Dalla monarcia allô stato repubblicano, cit., pp. 167 sqq. Per la discussione successiva ved. soprattutto Les origines de la république romaine, «Entretiens Fondation Hardt» XII, Vandœuvres- Genève, 1967; i vari contributi di A. Momigliano raccolti ora in Roma arcaica cit., pp. 131 sqq.; D. Musti, "Lotte sociali e storia délie magistrature", in A. Momigliano-A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma I. Roma in Italia, Torino, 1988, pp. 372 sqq. In génère ved. anche ultimamente G. Valditara, Studi sul «magister populi». Dagli ausiliari militari del «rex» ai primi magistrati repubblicani, Milano, 1989; cf. già Id., "Aspetti religiosi del regno di Servio Tullio", Studia et documenta historiae et iuris, 52, 1986, pp. 395 sqq.

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Tullio: a Mastarna corne lo chiamavano gli Etruschi secondo l'imperatore Claudio. Corne è noto, il nome sotto la forma Macstama compare anche negli affreschi délia tomba François di Vulci, dove guerrieri di varie città etrusche si affrontano mentre Macstama libéra dai lacci l'amico Celio Vibenna e Marce Camitlnas uccide Gneo Tarquinio di Roma. Nonostante alcune posizioni «ipercritiche» spesso ripetute ma mai di fatto dimostrate, da parte nostra riterremo sicura l'identificazione di Macstama, che negli affreschi di Vulci viene rappresentato mentre libéra Celio Vibenna, con Mastarna - Servio Tullio, penultimo «re» di Roma che fu sodalis fiaelissimus dello stesso Celio Vibenna, nei termini in cui - corne abbiamo visto - una simile identificazione era fornita dall'imperatore Claudio, storico di Tyrrhenika.

Se ormai nessuno dovrebbe più dubitare deU'identità del personaggio, allô stesso modo ormai nessuno dovrebbe più dubitare che il nome Macstama sia il rendimento etrusco del latino magister. Servio Tullio dunque, re con caratteristiche estremamente ambiguë nelle tradizioni romane confluite in Tito Livio, nelle saghe degli Etruschi sarebbe stato addirittura un magister: magister a Roma nel contesto di un régime di governo evidentemente non più monarchico. Tuttavia, nella ricostruzione che ne diede Santo Mazzarino, l'avvento del magister Servio Tullio non veniva fatto coincidere con la caduta definitiva di ogni forma monarchica di governo, ma in maniera più duttile e articolata quell'avvento veniva ricondotto a tentativi (anche riusciti) di abbattimento délia monarchia, cui poterono comunque seguire sue riprese (corne quella che la tradizione rappresentava, nel caso specifico, con il regno di Tarquinio il Superbo, succeduto a Mastarna-Servio Tullio), nell'ambito di profondissimi mutamenti ο addirittura di rivolgimenti istituzionali che coinvolsero allora non solo Roma ma anche città dell' Etruria e del mondo greco d' Italia.

Soprattutto, saremmo in presenza con Servio Tullio di una forma personale di potere difficilmente configurabile nello schéma di una limpida e netta contrapposizione tra «régime monarchico» e «stato repubblicano». Se in effetti, almeno nei termini in cui ci viene descritta, la monarchia etrusca dei due Tarquini sembra molto più simile aile poderose tirannide greche contemporanee che non aile forme délia regalità latino-sabina (quella di Romolo, di Numa Pompilio, di Tullo Ostilio, di Anco Marcio), la stessa circostanza che Servio Tullio nelle tradizioni romane potesse essere indicato anch'egli corne re, significa che anche la «magistratura», di cui era titolare, doveva essere stata «magistratura» diversissima, nelle competenze, negli attributi, nella sua stessa durata, dalle magistrature repubblicane di epoca storica (compresa, evidentemente, la dittatura).

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9. Il «généralissime»» Servio Tullio offre nella sua figura - una figura fluida e quasi inafferabile - l'immagine del trapasso a Roma, con il titolo di un libro famoso di Santo Mazzarino, «dalla monarchia allô stato repubblicano», cosî corne a Caere intorno al 500 a.C. un analogo trapasso poteva essere individuato dopo la scoperta délie lamine di Pyrgi nella figura di Thefarie Velianas che i suoi concittadini indicavano corne magistrato (zilacal, A 12- 13), mentre nel testo punico appariva «re» (mlk).

Servio Tullio re secondo i Romani e Mastarna-Macstarna (magister) nelle tradizioni etrusche; Thepharie Velianas magistrato secondo i suoi concittadini etruschi, gli abitanti di Caere, ma re da un punto di vista punico. Lo stesso Porsenna, colui che accorse nelle tradizioni romane in aiuto di Tarquinio il Superbo, si rivela nel suo stesso nome purthne, altissimo magistrato (latinamente praetor) a Chiusi, mentre egli secondo i Romani ne sarebbe stato il re. Sono esempi dai quali dedurremo che nelle città d' Italia del VI secolo potevano sorgere regimi di potere personale la cui definizione esatta era già oscillante per gli antichi: in un'epoca di regimi tirannici che in tutto il bacino del Mediterraneo avevano abbattuto monarchie e oligarchie; di regimi repubblicani ancora «imperfetti» che tendevano a sostituirsi all'evenienza a monarchie e a tirannidi.

10. Torniamo ora più in particolare a Servio Tullio. Dionisio di Alicar-

9. SuUe caratteristiche del potere di Thefarie Velianas nelle lamine di Pyrgi, ved. S. Mazzarino, 77 pensiero storico, cit. I, pp. 589 n. 176; cf. al riguardo la successiva discussione il Le lamine di Pyrgi, «Tavola rotonda internazionale dei testi fenicio ed etrusco di contenuto analogo iscritti su due délie lamine d'oro scoperte nel santuario etrusco di Pyrgi», Academia Nazionale dei Lincei, «Problemi attuali di Scienza e di Cultura», Quaderno n. 147, Roma, 1970, pp. 19 sqq. Il testo etrusco è edito in M. Pallottino (a cura di), Testimonia linguae Etruscae, 2 ed. Firenze 1969, p. 109 n. 874; quello fenicio da M.G. Guzzo Amadasi, Le iscrizioni fenice e puniche délie colonie in Occidente, Roma, 1967, pp. 158 sqq.

Su Porsenna corne fissazione in nome proprio del titolo purthne, ved. F. Leifer, Studien zur antiken Amterwesen I. Zur Vorgeschichte des romische Fiihreramts, Leipzig, 1931, pp. 299 sqq.; in seguito S. Mazzarino, Dalla monarchia allô stato repubblicano, cit., pp. 109 sqq. Va invece évidente abbandonata Γ identificazione di Porsenna con Mastarna cosî corne essa fu proposta da L. Pareti, "Marstarna, Porsenna e Servio Tullio", in Studi minori di storia antica I, Roma, 1958, pp. 313 sqq. e da G. De Sanctis, "Mastarna", Klio II, 1902, pp. 96 sqq.; in Scritti minori II, Roma, 1970, pp. 33 sqq.

10. Sul sistema di voto nei comizi centuriati mi basti il rinvio a Cl. Nicolet, Le métier de citoyen dans la Rome républicaine, 2 éd. Paris, 1979, pp. 340 sqq. (trad. it., 77 mestiere del cittadino nell' antica Roma, Milano, 1980, pp. 323 sqq.).

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nasso, come abbiamo visto, lo rappresentava come riformatore democratico e «amico del popolo». E'una rappresentazione che ha una sua storia anche lontana, poiché evidentement Dionisio non era il primo a proporla, e che ha goduto di notevole fortuna anche presso i modérai. Tuttavia - come abbiamo cercato di dimostrare - era anche una rappresentazione non priva di incoerenze, a differenza di quella di Tito Livio. In effetti, la repubblica romana a conduzione eminentemente aristocratica, sorta tradizionalmente dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, poté far proprie le riforme timocratiche attribuite a Servio Tullio solo nella misura in cui le riforme serviane erano perfettamente corrispondenti al sistema di «inegualianze» su cui quella repubblica aristocratica si fondava.

Erano inegualianze di censo che limitavano fortemente il potere di voto dei cittadini nei comizi al punto quasi sempre di far votare solo le centurie délia prima classe e quelle dei cavalieri senza che fosse necessario che le altre classi censitarie prendessero parte alla votazione. Servio Tullio dunque aveva introdotto discrimen tra i cittadini, con l'avvertenza perô che un simile discrimen non avrebbe condotto alla pace, alla concordia civica, ma nei caso specifico avrebbe portato ben presto alla secessio, alla separazione di una parte del corpo civico rispetto a un' altra. Di fatto, se la repubblica secondo la tradizione fu istituita nei 510/9, nei 494 sarebbe già avvenuta la prima secessione délia plèbe e, in conseguenza di essa, l'istituzione del tribunato: uno degli organismi délia città repubblicana che Servio Tullio, il buon re «amico del popolo» di Dionisio, improvvidamente non aveva pre visto.

(Université di Roma "Sapienza") Augusto FRASCHETTI