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Fisiologia I 12 novembre 2010 1

Fisiologia 1 (work in progress)

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Fisiologia I

12 novembre 2010

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Page 2: Fisiologia 1 (work in progress)

Indice

I Spidalieri 4

1 Lezione 1 4

2 Lezione 2 11

3 Lezione 3 17

4 Lezione 4 21

5 Lezione 5 27

6 Lezione 6 34

7 Lezione 7 44

8 Lezione 8 53

9 Lezione 9 61

10 Lezione 10 74

11 Lezione 11 84

12 Lezione 12 91

13 Lezione 13 99

14 Lezione 14 106

II Bonifazzi 112

15 Lezione 1 112

16 Lezione 2 119

17 Lezione 3 124

18 Lezione 4 131

19 Lezione 5 139

III Guandalini 141

20 Lezione 1 141

21 Lezione 2 143

22 Lezione 3 148

23 Lezione 4 153

24 Lezione 1 [R] 156

25 Lezione 2 [R] 159

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26 Lezione 3 [R] 164

27 Lezione 4 [R] 168

28 Lezione 5 [R] 173

29 Lezione 6 [R] 178

30 Lezione 7 [R] 181

31 Lezione 8 [R] 185

32 Lezione 9 [R] 190

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Parte I

Spidalieri

1 Lezione 1

Il sistema circolatorio in figura, pur non ricordando l’organizzazione anatomica reale, evidenzia nelcuore la sede del meccanismo a pompa che assicura la propulsione del sangue lungo i vasi. Un globulorosso in uscita dal ventricolo sinistro può imboccare solamente l’unico vaso afferente del ventricoloche è l’aorta; a partire dall’aorta si originano, in ordine, le grandi arterie, le medie arterie, le piccolearterie, le arteriole ed i capillari. A partire dai capillari i vasi cominciano a confluire, prima nelle venule,poi nelle piccole vene, nelle vene medie, nelle grandi vene ed infine nelle vene cave. Tutto il sangueproveniente dal circolo sistemico si riversa nell’atrio destro, poi nel ventricolo, da qui inizia il percorsopolmonare attraverso l’arteria polmonare e ritorna all’atrio sinistro attraverso le vene polmonari. Leconclusioni che è possibile trarre sono due:

• Il circolo cardiocircolatorio è chiuso.

• I vasi del sistema sono organizzati secondo due strategie:

– In serie: i vasi appartenenti ad una diversa tipologia funzionale (es. le grandi arterie sono inserie con le arterie medie)

– In parallelo: i vasi appartenenti alla stessa tipologia funzionale (es. tutti i capillari tra loro)

Nell’immagine si nota inoltre che il circolo sistemico e quello polmonare non sono indipendenti mavengono collegati dal circolo bronchiale che inizia dal primo circolo e termina nel secondo. Le “X”

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presenti stanno ad indicare i punti di controllo del sistema, cioè le sedi in cui è possibile ad esempiofar pervenire una maggiore quantità di sangue al rene piuttosto che alla mano.

Una conseguenza della proprietà del circolo di essere chiuso è la possibilità di definire l’area disezione trasversa, cioè l’area di sezione di tutti i vasi che tra loro condividono tipologia anatomofun-zionale; la sezione trasversa dell’aorta sarà quindi data dal contributo di quest’unico vaso e coincideràcon il suo diametro mentre la sezione trasversa capillare sarà data dai contributi dei diametri dei mil-iardi di capillari esistenti. Una seconda conseguenza della chiusura del circolo è che il flusso a livellodi una data sezione trasversa debba essere uguale a qualsiasi altra sezione, cioè:

Q =V

t= costante

Il flusso a livello dell’aorta deve dunque essere uguale a quello dei capillari: se questo non avvenisse ilsangue tenderebbe ad accumularsi in un distretto e il flusso si arresterebbe. I due ventricoli sono tradi loro posti in serie e quindi la costanza del flusso deve valere anche per essi.

La figura sopra schematizza le tipologie di vasi presenti nel sistema cardiocircolatorio. Il diametrodei vasi diminuisce dall’aorta ai capillari e aumenta da questi ultimi alle vene: i vasi in serie hannodiametri diversi, decrescenti sul versante arterioso, crescenti in quello venoso. Il secondo numeroindica lo spessore della parete: è evidente come il rapporto tra spessore e diametro segua un andamentoopposto al semplice diametro. Nella parete dei vasi si riconoscono quattro tipologie di tessuto checonferiscono loro varie proprietà:

• Endotelio

• Fibre di elastina

• Fibre collagene

• Muscolatura liscia

L’elastina ed il collagene diminuiscono dall’aorta ai capillari mentre le fibre muscolari mostrano unaumento.

Elaborando il concetto di flusso costante è possibile affermare che questo sia il prodotto della velocitàper l’area di sezione trasversa:

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Q =V

t=h ·At

=h

t·A = v ·A

I valori di velocità e di area di sezione trasversa sono dunque inversamente proporzionali in ogni sezionedel sistema e questo può essere reso visibile nel grafico sotto:

L’area di sezione trasversa raggiunge il suo massimo in corrispondenza dei capillari (il valore è ottocentovolte maggiore di quello aortico), per contro la velocità raggiunge il suo picco all’interno dell’aorta, conun valore di circa 30cm/sec.

La funzione del sistema cardiocircolatorio è apportare sostanze nutritive ai tessuti e allontanare iprodotti di scarto: se questo fosse però l’unico scopo si potrebbe correlare la perfusione di un organocon il suo consumo di ossigeno ma quando si mettono a confronto i dati i risultati sono diversi.

La relazione tra perfusione e consumo non è diretta e in particolare vi sono alcune variazioni importanti:

• Il rene è perfuso in eccesso e questo è legato alla sua funzione di filtro nei confronti del sangue

• Il muscolo è perfuso in difetto e questo è legato alla sua capacità di estrarre efficacemente ossigenodal sangue

• La cute è perfusa in eccesso e questo è legato alla sua funzione di termoregolazione

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Una regola semplice per dividere il volume di sangue in uscita dal ventricolo verso i vari organi è la“regola del 25%”:

• 25% al rene

• 25% al cervello e alle coronarie

• 25% al muscolo e alla cute

• 25% al fegato e agli altri visceri

I vasi sanguigni hanno un comportamento di tipo elastico e la legge che regola il comportamentodei corpi elastici in fisica è la legge di Hooke. La legge dice che la tensione sviluppata a seguito del-l’allungamento di un corpo elastico dipende dal suo modulo di Young e dall’allungamento stesso, informula:

F

A= Y · L− L0

L0

con L0 lunghezza iniziale del corpo e Y modulo di Young. La legge di Hooke in forma grafica haquesto aspetto:

Questa legge è valida solo in presenza di un materiale omogeneo. Da notare che per la fisica uncorpo è tanto più elastico tanto più si oppone allo stiramento e questo è un uso opposto del terminerispetto a quello colloquiale (un filo di rame per la fisica è più elastico di uno in gomma). L’entità diallungamento è importante in quanto se questa è consistente si raggiunge un punto limite superato ilquale le proprietà elastiche si modificano e la legge di Hooke non è più valida in questa forma.I vasi sanguigni delimitano fisiologicamente un organo cavo e sarebbe infelice studiare la loro relazionetensione-lunghezza: è però possibile derivare una relazione più comoda con pochi passaggi.

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La figura sopra mostra tre pareti con diverse proprietà elastiche ma che racchiudono un volume uguale.Se i palloni vengono gonfiati le spire vengono dilatate e la parete si allunga: abbiamo allora una vari-azione di lunghezza. A questo rigonfiamento corrisponde la messa in tensione della componente elasticache per reazione tenderà a comprimere il contenuto del pallone e quindi ad aumentare la pressione:nell’analizzare il comportamento di un organo cavo andrò dunque a seguire la relazione pressione-volume anzichè quella tensione-lunghezza. Una prima relazione tra la pressione e la tensione è dattadalla legge di Laplace, la cui formulazione è:

P ∝ T · ( 1

R1+

1

R2)

Conoscendo la pressione è dunque possibile risalire alla tensione presente. Passando alla relazionepressione-volume è possibile definire due grandezze rilevanti, l’elastanza e la complianza. Le formu-lazioni matematiche dei due concetti sono

E = ∆P∆V C = E−1 = ∆V

∆P

L’elastanza è una misura di quanto si oppone il corpo alla dilatazione mentre la complianza è unamisura di quanto facilmente lo stesso corpo sia distensibile. In termini di grafico pressione-volume èpossibile individuare un corpo come più o meno compliante (o elastante):

Riprendendo la definizione matematica di complianza

C =V − V0

P − P0

il volume a riposo è quello in cui la pressione interna è uguale a quella esterna; nella maggior partedei casi la pressione a riposto è uguale a quella esterna ed esprimendola dunque in termini relativi èpossibile scrivere P0 = 0 semplificando la formulazione della complianza:

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C =V − V0

P−→ P =

V − V0

C

Quest’ultima equazione è possibile graficarla ottenendo un tracciato identico a quello della legge tensione-lunghezza:

L’approccio finora usato vale anche per i vasi del nostro corpo? Il grafico sotto mostra i risultati dialcuni esperimenti su un’arteria iliaca esterna umana:

L’arteria in generale è costituita da materiale non omogeneo e quindi la legge di Hooke a rigore non èapplicabile. Nell’arteria in esame ad un iniziale aumento di volume la tensione aumenta poco (quindi ilmateriale è compliante) ma ad un certo punto la retta si impenna (il materiale diventa poco compliante).La spiegazione di un tale comportamento sta proprio nella composizione della parete. Durante l’inizialeaumento viene messa in tensione la componente di elastina del vaso e questa è molto compliante;un successivo aumento di volume va a stirare la componente di collagene che invece è elastante:la tensione subisce un’impennata. Questo tipo di approccio si può utilizzare anche in vasi diversi,confrontando ad esempio vene ed arterie come nel grafico sotto:

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Si nota come le vene siano vasi molto più complianti delle arterie: queste ultime veicolano infattisangue ad alta pressione e non possono permettersi di cedere alla pressione. Il risultato di questodiverso comportamento è che all’interno del circolo sistemico tre quarti del sangue sia nei distrettivenosi e solamente un quarto in quelli arteriosi/capillari. L’ultimo confronto da farsi è quello tra i duecircoli sanguigni:

Il circolo sistemico è molto più compliante di quello polmonare. Se aumenta la pressione all’internodel circolo polmonare si ha un edema che innesca un passaggio di liquido dai capillari verso gli alveolicon blocco della respirazione e rischio di morte: l’edema periferico è invece un evento molto più raro inquanto le proprietà elastiche sono diverse.

Una particolarità delle arterie in vivo è che la loro complianza è legata all’età del soggetto: in generalei vasi tendono ad essere meno complianti con l’età e questo giustifica il fatto che negli anziani lapressione arteriosa è un pochino più elevata che nei soggetti giovani.

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2 Lezione 2

Quali vantaggi porta la possibilità di poter variare la tensione all’interno di un vaso? Il punto di partenzaè la figura sotto

La legge di Laplace, nella sua forma più semplice, dice che la tensione è il prodotto della pressione peril raggio dell’organo. La situazione “a” è una situazione di equilibrio che viene turbato nella situazione“b” con il passaggio della pressione da P a P + ∆P : come risultato il volume aumenta ma non lo faall’infinito perchè la tensione inizia ad opporsi finchè non viene trovato un nuovo equilibrio. Lo stessodiscorso vale nella situazione “c” dove è rappresentata una diminuzione della pressione. Lo scenariocambia radicalmente qualora la parete fosse priva di componente elastica (o ne avesse una modesta):ad ogni perturbazione non è più possibile ritrovare un equilibrio e si andrà verso le due reazioni estremedi chiusura o scoppio del vaso. La combinazione di tessuto elastico e muscolare fa si che un vaso possavariare il suo calibro e quindi adattarsi alle varie condizioni che si possono presentare.

I discorsi finora fatti non prendevano in considerazione il movimento del sangue all’interno deivasi: è necessario passare da un approccio emostatico ad uno emodinamico e la prima domanda acui rispondere sarà “quali fattori influenzano il flusso all’interno di un condotto?”. Immaginando diavere un condotto all’interno del quale si muove un liquido, il flusso interno sarà dato, in determinatecondizioni, dalla formula

Q =∆P

R

Le assunzioni richieste per arrivare a questa semplificazione sono principalmente quattro:

1. Il condotto ha raggio e lunghezza costante o, in altre parole, è rigido.

2. Il condotto è orizzontale e privo di curve.

3. Il liquido in movimento è di tipo newtoniano, obbedisce cioè alla legge della viscosità di Newton.

4. Il liquido si muove di moto laminare.

Fatte queste condizioni è possibile affermare che il liquido si muove grazie al gradiente pressorio ai capidel condotto e viene rallentato dall’insieme di forze che va sotto il nome di resistenza. I primi tentatividi determinare da cosa dipenda la resistenza nel condotto furono effettuati da Hagen e Poiseuille chelavorarono su modelli idraulici fino a codificare la legge di Hagen-Poiseuille.

La figura sotto illustra i principi del moto laminare:

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Due lamine di liquido si muovono una a velocità V e una a velocità V + ∆V e scorrono una rispettoall’altra: la lamina più vicina all’asse del condotto ha velocità maggiore e tende ad accelerare quellasopra che di contro tende invece a frenarla. Il risultato delle interazioni tra le lamine è la creazione diun attrito interno misurabile come una forza di resistenza data da

F = A · η · ∆V

∆X

dove A è l’area della lamina, η la viscosità. A partire da questa formula è possibile andare a calcolarela velocità di una lamina che ha espressione

Vt = Vmax · (l −r2

R2)

è questa l’equazione di una parabola per cui la velocità risulta essere massima al centro del condotto perpoi diminuire gradualmente verso la parete dove esiste una sottile lamina di liquido praticamente ferma.Sostituendo il valore della velocità media nell’equazione del flusso si ottiene la legge di Hagen-Poiseuille:

Q = ∆P · (πr4

8ηl)

da questa relazione si può ottenere un’espressione della resistenza:

Q = ∆P/R→ R = (πr4

8ηl)−1 =

8ηl

πr4

La relazione di Hagen-Poiseuille è scomponibile in termini più concettuali nella forma

Q = ∆P · π8· 1

η· r

4

l

il flusso risulta allora essere dato dal prodotto di quattro fattori: la pressione di spinta, un fattorenumerico, la viscosità e un fattore geometrico. In termini colloquiali il flusso dipende dal gradientepressorio, dalla viscosità del fluido e dalla geometria del vaso.

Quali sono gli effetti sul flusso quando vengono variati gli elementi dell’equazione di Hagen-Poiseuille?Il primo elemento da considerare è il fattore pressiorio ∆P con l’immagine sotto:

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Nel condotto orizzontale in esame viene generato un gradiente pressorio variando l’altezza delle colonnedi liquido nei due recipienti. Nel primo caso nel secondo recipiente la pressione da considerare è quellaatmosferica: il flusso risultante è pari a 5ml/s. Raddoppiando l’altezza del liquido nel recipiente A ilflusso raddoppia ma aggiungendo in B una quantità di liquido pari alla metà di quella in A il flussoritorna 5ml/s; il flusso si arresta del tutto quando le due colonne sono uguali: quello che conta èdunque il gradiente pressorio. Prendendo in esame un distretto arterioso con una P di ingresso pari a100 e una di uscita pari a 95 avremo un gradiente pressorio pari a 5, lo stesso di un distretto arteriosomagari con P di ingresso pari a 10 e una di uscita pari a 5. Il punto è che ciò che fa muovere il sangueè il gradiente pressorio e non i valori assoluti della pressione. Se il gradiente pressorio viene dissipatoil flusso si annulla qualunque siano i valori locali di pressione.

Il fattore geometrico della legge di Hagen-Poiseuille è studiato con la figura sotto:

Nella condizione di partenza il flusso è 10ml/s. Raddoppiando la lunghezza del condotto il flussodiventa la metà poichè la lunghezza è al denominatore: tanto più è lungo il condotto tanto minore èil flusso a parità di altre condizioni. Raddoppiando il raggio del condotto il flusso diventa sedici voltemaggiore perchè questo fattore appare alla quarta potenza: basta quindi variare di poco il raggio peravere grandi variazioni di flusso e questo testimonia l’importanza di avere vasi a calibro modificabile. Se

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i vasi non fossero a parete modificabile ma rigida l’unico meccanismo di regolazione di flusso sarebbela variazione della pressione: occorrerebbe sviluppare pressioni elevatissime per aumentare il flusso.Nell’uomo il fattore l è invece poco importante in quanto qualunque sia la posizione assunta dal corpola lunghezza dei vasi si modifica di pochissimo.

Il fattore viscosità è di particolare importanza. In fisica l’unità di misura della viscosità è il Poise main fisiologia si è soliti riferirsi alla viscosità relativa ponendo uguale ad 1 quella dell’acqua. Il graficosotto è il punto di partenza per studiare la viscosità del sangue:

La linea tratteggiata indica la viscosità dell’acqua. Se togliamo al sangue la parte corpuscolata e rimanesolo il plasma questo ha una viscosità pari a 1,8: se circolasse quindi solo plasma si incontrerebberoresistenze quasi doppie rispetto ad una circolazione d’acqua. La parte corpuscolata del sangue è unaproporzione rispetto al totale: questa grandezza viene definita ematocrito e normalmente oscilla intornoal 40%. Con un ematocrito pari al 40% la viscosità del sangue si colloca ad un valore compreso tra tree quattro volte quello dell’acqua. La componente corpuscolata è variabile, può aumentare o diminuiree la viscosità non segue una relazione lineare ma anzi è quasi esponenziale. Il flusso è inversamenteproporzionale alla viscosità e quindi quando l’ematocrito aumenta il flusso diminuisce. In ambitopatologico si possono allora avere due estremi:

• Grave anemia: la viscosità diminuisce di molto e il flusso aumenta con una contemporaneadiminuzione della pressione.

• Policitemia: la viscosità aumenta e i vasi possono chiudersi. COn un aumento dell’ematocrito da40 a 60 la viscosità del sangue quasi raddoppia e quindi anche la resistenza al flusso è quasidoppia.

Considerati i singoli fattori che contribuiscono alla legge di Hagen-Poiseuille è giusto chiedersi sequesta sia applicabile anche al nostro organismo e la risposta va data per gradi esaminando ogniaspetto.

Il primo elemento da considerare è la viscosità del sangue e se esso sia o meno un liquido new-toniano. Per esaminare la viscosità del sangue si può ricavare una formula a partire dalla legge diHagen-Poiseuille:

Q = ∆P (πr4

8ηl) =⇒ η = ∆P (

πr4

8lQ)

Entrambi gli scienziati fecero degli esperimenti su condotti artificiali sui quali variavano i vari parametrie andando a misurare il flusso poterono ricavare la viscosità. Se un liquido è di tipo newtoniano laviscosità è costante in qualsiasi condizione. Gli esperimenti mostrarono che con condotti di diametrosuperiore al millimetro il valore di viscosità era costante ma scendendo a diametri inferiori il valoredi viscosità risultava inferiore al previsto: la viscosità dipende dunque dal calibro dei vasi e questodimostra che il sangue non è un liquido newtoniano1 . Questi risultati non sono però ritenuti sufficientia rigettare la formula perchè alla fine di ogni condotto arterioso è presente un circolo capillare e quindi il

1In esperimenti su arti di animali il risultato era ancora inferiore rispetto al previsto, ad ulteriore dimostrazione dellecaratteristiche del sangue.

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sangue in tutte le condizioni segue lo stesso percorso: in altri termini il sangue non è un perfetto liquidonewtoniano ma all’interno dell’organismo si comporta come se lo fosse con buona approssimazionefisica. In un altro set di esperimenti i due ricercatori scoprirono che quando il sangue circolava avelocità elevate la sua viscosità diminuiva: ancora una volta il sangue si dimostra un liquido nonnewtoniano; questa proprietà non è però di nuovo sufficiente a rigettare la teoria perchè le velocità allequali si ottengono variazioni significative sono molto superiori a quelle con le quali il sangue circolanell’organismo.

Il secondo elemento è il moto laminare. Nel nostro organismo in condizioni fisiologiche il sangue simuove sempre di moto laminare tranne che in una piccolissima fase in corrispondenza della fuoriuscitadai ventricoli nel periodo di massima eiezione: in questo tempuscolo il sangue ha una velocità talmenteelevata da presentare un moto turbolento. Quando il sangue cambia bruscamente velocità o si immettein condotti con una repentina variazione di calibro inizia a muoversi in tutte le direzioni assumendoun moto turbolento; il risultato è un aumento elevato della resistenza, infatti in moto laminare il flussoè direttamente proporzionale al gradiente pressorio mentre in moto turbolento alla radice quadratadello stesso (laminare: Q ∝ ∆P , turbolento: Q ∝

√∆P ). Il moto turbolento però non c’è quasi mai

in condizioni fisiologiche: non esiste nei distretti venosi mentre in quelli arteriosi è presente solo neltempuscolo di massima eiezione ventricolare. La conclusione è che in condizioni fisiologiche il moto èsempre laminare, ma in condizioni patologiche questa affermazione non è sempre vera. A questo puntoè possibile affermare che per quanto riguarda la densità del sangue e il suo moto è possibile accettarela legge di Hagen-Poiseuille con buona approssimazione.

Il terzo elemento è la rigidità dei vasi. Il primo dato è che in un tubo rigido la pressione chevige all’esterno è irrilevante mentre in un tubo non rigido il calibro è condizionato dalla differenza trala pressione interna e quella esterna, differenza che prende il nome di pressione transmurale. Se lapressione transmurale aumenta il vaso tende a dilatarsi mentre se è la pressione esterna ad aumentareil vaso tende a collassare fino a chiudersi. Un altro fattore importante che influenza il calibro del vasoè il tessuto muscolare liscio che quando viene attivato riduce il calibro del vaso; il grafico sotto illustrail contributo muscolare:

Osservando la curva priva di stimolazione si nota che questa non intercetta l’asse X a zero ma adun valore che per l’esperimento è compreso tra 10 e 20mmHg. Questo significa che prendendo unvaso arterioso è necessario mantenervi all’interno una pressione minima per far si che questo rimangapervio: questa pressione minima prende il nome di pressione critica di chiusura. Una volta superatoil valore della pressione critica di chiusura si può avere flusso perchè il vaso è pervio e questo flussoaumenta con l’aumentare del gradiente pressorio. Se la pressione diventa inferiore alla pressione criticadi chiusura il vaso si chiude e il flusso si arresta immediatamente.

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Qual è la resistenza dei vasi? La resistenza totale dei vasi posti tra loro in serie sarà data dallasomma delle resistenze dei singoli componenti, cioè

Rtot = R1 +R2 +R3 + · · ·

La resistenza dei vasi posti invece in parallelo sarà data dalla formula

1

Rtot=

1

R1+

1

R2+

1

R3+ · · ·

I capillari hanno una resistenza altissima perchè il raggio è molto piccolo ma il corpo è dotato di unasola aorta e di miliardi di capillari: come risultato la resistenza totale a livello capillare è bassa. Laresistenza non è uguale nelle varie tipologie di vaso essendo diverso il diametro e ponendo uguale a100 la resistenza di tutto il circolo sistemico è possibile misurare il contributo dato dai diversi vasicome nella tabella:

Si nota che il 40% della resistenza è a livello delle arteriole, vasi lunghi pochi mm e dotati di grandemuscolatura. Nei capillari si trova il 27% della resistenza e quindi nel versante arterioso e in quellocapillare si ottiene il 93% della resistenza totale: i distretti venosi contano per il solo 7% della resisten-za sistemica. Il sangue a bassa pressione di ritorno verso il cuore incontra dunque una resistenzatrascurabile. All’interno dei diversi vasi si trovano anche diversi valori pressori, in particolare la pres-sione è elevata nelle arterie e cade bruscamente nelle arteriole per poi assumere una caduta più dolcenei capillari e nelle vene; dove la resistenza è molto elevata il gradiente di pressione tra inizio e finecondotto è elevato ed è quello che si verifica nelle arteriole.

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3 Lezione 3

Riassumendo le considerazioni fatte, la legge di Hagen-Poiseuille è valida in un sistema formato da tubirigidi ed orizzontali in cui un liquido newtoniano si muove di moto laminare. Nel nostro organismo ilsangue si comporta come fosse un liquido newtoniano anche se sperimentalmente si è scoperto chela sua viscosità dipende dalla velocità e dal diametro del condotto. Il movimento del sangue è quasisempre laminare ad eccezione del tempuscolo di massima eiezione ventricolare; la tendenza a generareun moto turbolento aumenta con la velocità e con i passaggi in condotti di diverso diametro. Restada prendere in considerazione il fatto che i tubi in cui scorre il sangue non sono rigidi e nemmenoorizzontali.

Le leggi fisiche impongono al flusso di andare dal punto ad energia totale più elevata verso quello adenergia totale più bassa: dire che il flusso segue il gradiente pressorio è una semplificazione. L’energiatotale è data dalla somma di tre energie:

• L’energia pressoria P

• L’energia cinetica 12sv

2

• L’energia potenziale gravitazionale ρgh

l’espressione matematica dell’energia totale sarà dunque

E = P + ρgh+1

2sv2

e questo prende il nome di principio di Bernoulli. La legge fondamentale del flusso significa allora chenella maggior parte dei casi le componenti gravitazionale e cinetica dell’energia totale sono modestee la pressione guida il flusso: la formula Q = ∆P/R vale se il tubo è orizzontale (nessun contributogravitazionale) e se la velocità è bassa (modesto apporto cinetico). Se un liquido è fermo in un recipientela sua energia totale sarà data da

E = P + ρgh

in quanto il contributo cinetico è nullo. Se al recipiente viene collegato un tubo il liquido fuoriesce conun flusso che dipende dal dislivello, quindi dal fattore gravitazionale; il flusso in un sistema di condottidipende dal dislivello ma non dal percorso: tanto maggiore è il dislivello tanto maggiore sarà il flusso.Nel nostro organismo il circolo è chiuso: il fatto che i tubi non siano orizzontali è dunque irrilevantealla luce di questo che prende il nome di principio del sifone.

L’elemento dei vasi rigidi può essere studiato grazie ad un modello meccanico che prende il nome diresistore di Starling illustrato nella figura sotto:

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Questo modello simula la condizione cui sono sottoposti i nostri vasi; il diametro del tubo di gommadipende dal gradiente di pressione interno ed esterno. Se viene aumentato il liquido all’esterno iltubo viene compresso fino a chiudersi, se viene prodotta invece una depressione si dilata: il calibro èquindi dipendente dalla differenza di pressione. I tre elementi da considerare sono Pi di ingresso, Pscircostante e Podi uscita:

Un’altra condizione che condiziona i nostri vasi è la posizione dell’organismo rispetto al vettore grav-itazionale. Prendendo un soggetto alto 180cm in posizione orizzontale e misurando la pressione siottiene una pressione media: verso la testa e verso i piedi questo valore tende a diminuire. Il ∆P è 5verso i piedi e 5 verso la testa. La pressione venosa di riferimento è invece 2mmHg a livello cardiacoe 5mmHg a capo e piedi: il sangue si sposta dal cuore alla periferia per gradiente pressorio e tornadalla periferia al cuore per lo stesso motivo. Nel soggetto in piedi il cuore si trova ad un’altezza dicirca 120cm; se a livello cardiaco la pressione è 100 ai piedi sarà 188 per sommazione del fattore ρghmentre a livello della testa il valore sarà inferiore di 44 unità per via della distanza dal cuore. Nellapostura eretta i vasi venosi degli arti inferiori si dilatano per accogliere più sangue mentre quelli delcapo tendono a collassare perchè hanno pressione inferiore: nel passaggio da posizione sdraiata aderetta il sangue invece di tornare inizialmente verso il cuore si accumula nelle vene e si dirige al cuoresolo quando la dilatazione è completa. Questo comportamento è evitabile con la contrattura della mus-colatura delle gambe: vengono così schiacciate le vene per cui si crea un’azione di pompa sufficiente amantenere l’irrorazione al cervello.

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Il sangue circola grazie all’azione compiuta dal cuore. La premessa è che ciascuna parte del cuorericeve sangue da vasi venosi e quindi a bassa pressione e lo espelle in arterie e quindi ad alta pressione:per la fisica un dispositivo che compie questo è una pompa. Il cuore possiede due pompe che sono idue ventricoli; l’atrio non è una pompa perchè non possiede valvole di afflusso:il sangue può andaresia verso il ventricolo che verso le corrispondenti vene e questo impedisce di generare pressioni elevate.Il ventricolo possiede sia valvole di afflusso che di deflusso: il sangue può andare solo verso l’arteria equindi si crea un meccanismo di pompa efficace.Una pompa è un dispositivo con un tempo di riempimento dove si raggiunge un certo volume, in questocaso la diastole, e un tempo di svuotamento, la sistole. Tra questi due tempi sono inseriti due tempus-coli e per questo il cuore può essere definito una pompa a due tempi e a quattro fasi. Il meccanismoche regola l’apertura delle valvole cardiache è completamente passivo. L’ostio atrioventricolare è moltogrande rispetto alle semilunari: un ostio molto grande significa bassa resistenza al flusso. I muscolipapillari non hanno funzione di tenere aperta la valvola ma di impedire che i lembi si estroflettano versol’atrio quando la pressione ventricolare aumenta. Lo stato di chiusura delle valvole dipende dunque dalsolo gradiente pressorio.Il comportamento del cuore viene analizzato misurando le pressioni importanti che, a sinistra, sonoquella atriale, quella ventricolare e quella aortica; viene inoltre studiato l’andamento del volume ventri-colare. Graficando tutte queste informazioni si ottiene questo:

Gli eventi fondamentali nel ciclo cardiaco sono:

• Apertura della valvola AV: questo accade perchè la pressione atriale diventa maggiore di quellaventricolare.

• Inizio della fase di riempimento: il volume ventricolare aumenta (non si parte da un valore zeroperchè il cuore non si svuota mai completamente). La fase di riempimento si divide in tre sottofasi:

– Riempimento rapido: 60% del totale. Questa fase si ottiene perchè prima dell’apertura dellavalvola AV il sangue ha avuto il tempo di accumularsi nell’atrio.

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– Riempimento lento: 20% del totale. Questa fase si ottiene quando il ventricolo si sta riempi-endo del sangue in arrivo direttamente dalle vene polmonari.

– Sistole atriale: 20% del totale. Questa fase si ottiene quando l’atrio si contrae e riversa partedel suo contenuto nel ventricolo e parte di reflusso torna alle vene.

• Inizio della contrazione ventricolare: si chiude la valvola AV quando la pressione del ventricolodiventa maggiore di quella atriale. A chiusura avvenuta il cuore diventa una camera chiusa el’unica variazione possibile è un aumento della pressione: questo tempuscolo è detto contrazioneisovolumetrica e dura fin tanto che la pressione ventricolare non raggiunge il valore di quellaaortica, momento in cui si apre la valvola semilunare.

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4 Lezione 4

Riprendendo il grafico degli eventi del ciclo cardiaco

si possono indicare otto momenti principali:

1. Apertura valvola AV

2. Fase di riempimento con le tre sottofasi

3. Contrazione ventricolare e chiusura valvola AV

4. Contrazione isovolumetrica

5. Apertura della valvola semilunare

6. Fase di eiezione, suddivisa in rapida e lenta. Fino alla fine della fase di eiezione rapida la pressioneventricolare è maggiore di quella aortica; nella transizione a eiezione lenta la pressione si inverte:esiste un punto, detto protodiastole, durante il quale la pressione aortica è maggiore di quellaventricolare ma la valvola non si è ancora chiusa.

7. Chiusura della valvola semilunare

8. Rilasciamento isovolumetrico

Perchè la valvola aortica non si chiude immediatamente alla fine della fase di eiezione rapida ma siosserva il fenomeno della protodiastole? Il flusso segue il gradiente energetico e non solamente presso-rio e ciò che ritarda la chiusura della valvola è la componente di energia cinetica del sangue in uscitadall’ostio semilunare. La valvola si chiude solo quando l’energia totale a livello aortico è maggiore diquella a livello ventricolare.

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Curva del volume ventricolare. Il volume ven-tricolare raggiunge il suo minimo al termine dellafase di eiezione: questo valore prende il nome divolume residuo ed è pari a circa 80mL. Il valoremassimo raggiungibile a fine della diastole prendeinvece il nome di volume telediastolico ed è pari acirca 150/160mL: il riempimento durante un cicloè dunque circa 70− 80mL e questa quantità vienedefinita volume sistolico.

Curva della pressione ventricolare. Duranteil riempimento la pressione ventricolare è moltobassa e presenta solo un piccolo aumento in cor-rispondenza della sistole atriale: questo aumentoè modesto per via del fatto che l’atrio non avendovalvole di afflusso non genera grande spinta. Quando si chiude la valvola AV e inizia la contrazioneisovolumetrica la pressione aumenta molto senza variazioni di volume fino a superare quella aorticafacendo aprire la valvola semilunare; la pressione continua ad aumentare durante la fase di eiezioneraggiungendo il culmine e comincia poi a diminuire inizialmente dolcemente e poi rapidamente. Es-istono dunque una fase ad alta pressione, la sistole, ed una a bassa pressione, la diastole, tra lorounite da due fasi transitorie isovolumetriche.

Curva della pressione aortica. La pressione aortica oscilla tra un valore massimo di fine fase eiezioneed un valore minimo di fine diastole; queste oscillazioni sono legate all’attività cardiaca e normalmenteil picco si assesta intorno ai 120mmHg. Il decremento pressorio nell’aorta viene bloccato intorno agli80mmHg dall’arrivo di nuovo sangue dal ventricolo: le variazioni di pressione dell’aorta sono parallele aquelle del ventricolo. Il piccolo aumento che si nota dopo la valvola aortica si è chiusa è detto incisuradicrotica ed è dovuto al fatto che il sangue subisce un piccolo reflusso legato all’inversione di pressionee questo mette in tensione la parete aortica. La cosa importante è che la pressione aortica non è maibassa: oscilla sempre tra gli 80 e i 120mmHg.

Curva della pressione atriale. Nell’atrio la pressione è sempre bassa perchè non essendoci valvolenon possono essere generati regimi di alta pressione. Nell’andamento si riconoscono tre onde positive:l’onda A (atrio), l’onda C (contrazione) e l’onda V (volume ematico di accumulo). Quando si apre lavalvola AV la pressione nell’atrio è di poco superiore a quella ventricolare e questo garantisce il flusso;quando l’atrio si contrae nella sistole atriale comprime il contenuto e innalza un poco la pressione:è questa l’onda A. Quando inizia la fase isovolumetrica la pressione dell’atrio aumenta e diminuiscequando si aprono le semilunari: questo è dovuto al fatto che l’aumento della pressione nel ventricolospinge i lembi della valvola AV verso l’atrio in un movimento contrastato dai muscoli papillari. Finital’onda C la valvola AV è chiusa e l’atrio ritorna a riempirsi aumentando la pressione: la sua pressionecontinua ad aumentare lentamente mentre quella ventricolare è in calo; quando l’aumento di pressionesarà tale da superare il valore ventricolare la valvola AV si aprirà dando inizio ad un nuovo ciclo.

I termine diastole, sistole, riempimento e svuotamento necessitano qualche precisazione. Defini-amo sistole il tempo durante il quale il ventricolo è contratto dunque dalla chiusura della valvola AVall’apertura della valvola semilunare: la fase di eiezione, o tempo di svuotamento, è però più breve inquanto sono da escludere le fasi isovolumetriche. I termini non coincidono dunque perfettamente.

Nel disegno è presente anche l’elettrocardiogramma: l’attività elettrica del cuore provoca e precedel’attività meccanica. Nell’ECG si ritrovano tre elementi: l’onda P, il complesso QRS e l’onda T. L’ondaP è legata all’eccitazione dell’atrio e precede dunque la sistole atriale. Il complesso QRS è generatodall’eccitamento del ventricolo che precede la sistole: l’onda R coincide circa con la chiusura dellavalvola AV. L’onda T è generata per ultima dalla ripolarizzazione del ventricolo.

Il fonocardiogramma è la registrazione dei suoni emessi dal cuore durante la sua attività. In fisiologiasi chiamano toni i suoni di origine fisiologica e rumori i suoni di origine patologica2. Il primo tonocompare in corrispondenza della chiusura della valvola AV mentre il secondo in corrispondenza dellachiusura delle valvole semilunari. Esiste un terzo tono di più difficile rilevazione che si presenta in fasedi riempimento ed è legato al fatto che il sangue passa nel ventricolo semipieno provocando una sortadi gorgoglio.

2Per la fisica invece i toni sono suoni ad una sola frequenza e i rumori sono suoni con più frequenze.

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Nella figura sopra vengono confrontati gli eventi del cuore sinistro con quelli del cuore destro. Quiil fonogramma è più accurato e mostra un quarto tono in corrispondenza della sistole atriale causatodal movimento del liquido dall’atrio. Confrontando i due ventricoli si notano alcune differenze. Lapressione nel ventricolo sinistro in sistole raggiunge i 120mmHg mentre nel destro il picco è a soli30mmHg; questo fatto rende sfasate nel tempo le aperture delle due semilunari: la prima ad aprirsi èla polmonare perchè la sua pressione d’apertura è inferiore. La valvola aortica si apre dopo e si chiudeprima rispetto alla polmonare perchè il gradiente pressorio è maggiore: la fase di eiezione del ventricolodestro è più lunga di quella del ventricolo sinistro.

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Il grafico mostra due curve di flusso per l’aorta e la polmonare. Durante la fase di riempimento il flussoè zero. La prima valvola ad aprirsi è la polmonare e quindi il flusso diventa positivo; successivamentesi apre l’aortica e le pressioni salgono, poi si chiude per prima l’aorta e poi la polmonare. Prima che lavalvola aortica si chiuda si nota un piccolo flusso negativo causato dal reflusso di un poco di sangue nelventricolo: questo a destra non succede perchè le pressioni sono minori. L’andamento della curva delflusso è perfettamente a campana nella polmonare mentre nell’aorta è meno regolare: questo è legatoalla diversa consistenza della muscolatura dei due ventricoli.

Quanto dura un ciclo cardiaco? Dipende dalla frequenza. Un cuore che batte a 70bpm avrà un ciclodella durata di 60/70 = 0, 8− 0, 85sec. Nel ciclo a riposo distinguiamo una sistole di durata 0, 3sec e unadiastole di 0, 5sec: la diastole dura di più perchè è un evento passivo. Quando la frequenza cardiacasale la sistole non si accorcia molto ma la diastole diventa molto più breve e passa a 0, 12− 13sec. Nellafase di riempimento la sottofase colpita per prima è quella di riempimento lento.

Attraverso l’ecocardiografia si possono rilevare informazioni dinamiche sulla morfologia del cuore.Un esempio di studio ecocardiografico è nella figura sotto:

Durante la fase di svuotamento le pareti si avvicinano ispessendosi mentre durante il riempimento siassottigliano e aumenta la distanza. Nella figura sopra si è studiato il lembo anteriore della valvolamitrale. Il punto D indica l’apertura della valvola AV e l’inizio del riempimento: il lembo si sposta versola parete aumentando la distanza. Da D ad E si ha il riempimento rapido, da E ad F quello lento e lavalvola tende a chiudersi: questa tendenza viene interrotta dalla sistole atriale che riallontana i lembi.I lembi poi si avvicinano e avviene la contrazione ventricolare con la chiusura della valvola AV in C.

I discorsi fatti sui rapporti tensione-lunghezza e volume-pressione possono essere applicati al ven-tricolo in quanto anch’esso ha pareti elastiche che seguono le leggi della fisica. Studiando il cuore in

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condizione di sistole e in condizione di diastole si nota che il comportamento e le proprietà sono moltodiverse:

Nel caso della diastole all’aumentare della lunghezza della fibra miocardica aumenta lo sviluppo ditensione, cioè con l’aumento del volume telediastolico aumenta la pressione; in diastole il ventricoloinizialmente oppone poca tensione ed è dunque molto compliante, poi la curva tende ad impennarsi edunque diventa meno compliante. La situazione cambia molto in sistole: a parità di volume o lunghezzasi raggiungono pressioni molto più elevate. Il ventricolo sviluppa dunque tensione o pressione sia incondizioni passive (diastole) che in condizioni attive (sistole).

Per studiare questa proprietà è stato sviluppatoun modello analogico del muscolo che contienetre elementi fondamentali:

• Un elemento contrattile

• Un elemento elastico in serie

• Un elemento elastico in parallelo

L’elemento contrattile è il sarcomero. Quando ilmuscolo viene allungato si osserva una tensionedovuta alle proprietà elastiche della muscolaturaposta in parallelo con la componente contrattile.Se il muscolo si contrae attivamente il sarcomerosi accorcia e mette invece in tensione l’elemento

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elastico in serie. Lo sviluppo di tensione in con-dizioni attive e passive è dovuto al fatto che esistono i due elementi elastici: quelli in serie sono fonda-mentalmente i tendini, quelli in parallelo sono l’epimisio, l’endomisio e tutto il connettivo che circondai ventri muscolari.

L’evento contrattile del muscolo cardiaco è conseguente all’insorgenza di un potenziale d’azione.Quando viene applicato uno stimolo si osserva un’iniziale latenza e poi una reazione. Esistono duetipologie fondamentali di contrazione:

• Contrazione isometrica: la lunghezza della fibra non si modifica, ad esempio sostenendo un caricocon il braccio

• Contrazione isotonica: il muscolo si contrae e si modifica la lunghezza mantenendo una forzacostante

Queste due tipologie di contrazione sono due estremi e in realtà la contrazione cardiaca non è neisotonica ne isometrica. Nella figura sono indicate entrambe le tipologie di contrazione. Esistonosempre dei carichi esterni o interni dovuti ad esempio al peso dell’arto: questi carichi sono la forza davincere per spostare il braccio. Il muscolo all’inizio deve contrarsi e sviluppare una tensione crescentefinchè non raggiunge il valore del carico e a quel punto si accorcia.

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5 Lezione 5

Quando viene aggiunto un carico ad un corpo elastico, e il muscolo è un corpo elastico, questo siallunga e mette in tensione la componente elastica sviluppando una forza che si oppone all’allunga-mento stesso: quando le due tendenze sono uguali si raggiunge un equilibrio. Nella situazione B almuscolo viene applicato un peso e viene posto sopra un sostegno: il muscolo si allunga dunque sottol’effetto del peso ma non di quanto farebbe in assenza del sostegno. Il peso ha però fatto allungareun po’ il muscolo e in fase di contrazione ci sarà un carico da vincere: il carico da vincere prima dellacontrazione è detto precarico. Si parla dunque di un precarico per indicare il carico applicato primadella contrazione e di un postcarico, cioè quello che il muscolo deve spostare. Il muscolo è preparato apoter spostare il precarico.

La figura sopra mostra come si adatta un muscolo papillare al variare del postcarico: all’aumentaredel postcarico le contrazioni sono sempre più ritardate e la fine è sempre più anticipata, con risultato

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totale che la durata dell’accorciamento è sempre minore. In aggiunta alla riduzione di durata si registraanche una riduzione dell’entità dell’accorciamento e della sua velocità.

Trasferendo le osservazioni al contesto del ventricolo si può dire che la sua contrazione sia anch’essasottoposta a pre e postcarico. La figura sotto è stata ottenuta studiando un modello di ventricolo isolatoe prende il nome di diagramma di Frank:

Questo tipo di curva chiusa è detto inviluppo e descrive le relazioni tra pressione e volume del ventricolosinistro durante un ciclo cardiaco. Il punto A è l’apertura della valvola AV e quindi l’inizio della fase diriempimento: il volume dunque aumenta passando da residuo (70mL) a telediastolico (150mL). Il puntoC è il volume di fine diastole. Inizialmente il ventricolo si riempie perchè la pressione atriale è maggioredi quella ventricolare ma nella figura si vede un fatto paradossale: la pressione inizialmente diminuiscee poi aumenta. La caduta pressoria iniziale è dovuta al fatto che il ventricolo non ha ancora finito dirilassarsi quando inizia a riempirsi: il sangue inizialmente arriva in un ventricolo cedevole e quindi lapressione cala; quando la fase di rilasciamento del ventricolo diminuisce qualsiasi ulteriore aumentodi volume comporta un aumento pressorio. Il tratto BC mostra come il ventricolo sopporti una grandevariazione di volume rispondendo con una modesta variazione pressoria: è un corpo molto compliante(C = ∆V/∆P ). Con l’aumentare del riempimento il ventricolo diventa sempre meno compliante ma incondizioni fisiologiche il cuore lavora sempre nel tratto di curva a complianza elevata. Nel punto C lavalvola AV si chiude ma non perchè il ventricolo si è riempito: la causa è la contrazione del ventricoloche, se non avvenisse, consentirebbe al ventricolo stesso di continuare a riempirsi. La chiusura dellavalvola AV trasforma il ventricolo in una camera chiusa e si ha l’inizio della fase isovolumetrica. Iltratto CD rappresenta la contrazione isovolumetrica e infatti si assiste semplicemente ad un aumentopressorio. D è il valore pressorio in cui la pressione ventricolare eguaglia la pressione aortica e inizia lafase di eiezione: nel tratto DEF il volume ventricolare diminuisce.

Il ventricolo prima di contrarsi non è libero ma ha un carico fornito dal grado di riempimento,cioè dal volume presente che a questo punto è il precarico: volume telediastiolico e precarico sonosinonimi. Quando il ventricolo comincia a contrarsi per potersi svuotare deve sviluppare una pressionesuperiore al postcarico, che sarà la pressione in aorta al suo minimo. Il precarico nel grafico è indicatocon il punto C, il postcarico con il punto D. Il volume ventricolare diminuisce nel tratto DEF e giuntiin F la pressione del ventricolo torna ad essere inferiore a quella aortica, la valvola semilunare sichiude e si è di nuovo nella fase di camera chiusa. Quando il ventricolo si svuota (tratto DEF) lapressione inizialmente aumenta e solo successivamente segna una diminuzione: una camera d’ariafatta svuotare subisce invece una diminuzione immediata della pressione; la differenza sta nel fattoche lo svuotamento ventricolare è un processo attivo e l’aumento di pressione iniziale è espressione delfatto che la tensione viene sviluppata più velocemente di quanto non riesca a svuotarsi il ventricolo.

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Superato il punto E questa tendenza si annulla: la tensione diminuisce, il diametro ventricolare pure equindi anche la pressione. A partire dal punto F il ventricolo inizia a rilasciarsi ma questo processo nontermina in A bensì in B: il rilasciamento continua anche durante la primissima fase del riempimento.

Esaminando il grafico pressione-volume del ventricolo si possono individuare tre volumi: quelloresiduo (proiezione di A), quello telediastolico (proiezione di C) e quello sistolico (tratto AC); maggioreè la distanza AC tra i due segmenti isovolumetrici maggiore sarà la gittata. Si nota inoltre che ilriempimento avviene a bassa pressione mentre l’espulsione necessita di alte pressioni: le due fasiisovolumetriche hanno il significato di portare la pressione dai bassi livelli idonei al riempimento aglialti livelli idonei allo svuotamento. Dal grafico si possono ricavare dati numerici sulle pressioni: il puntoD di apertura della semilunare sarà il livello minimo di pressione aortica e infatti si colloca intorno agli80mmHg mentre il punto E sarà il picco intorno ai 120mmHg.

I valori di pre e post carico non sono fissi ma possono variare coerentemente a parametri circolatorio cardiaci e queste variazioni possono essere studiate. Nell’esempio di un’attività fisica la gittata car-diaca aumenta e quindi è necessario aumentare la frequenza cardiaca o la gittata sistolica; parlare divariazioni di pre e post carico significa parlare di meccanismi regolatori del cuore. Tra i parametri cheregolano l’attività cardiaca ve ne sono tre facilmente studiabili: precarico, postcarico e contrattilità. Lafigura sotto mostra come si modifica la meccanica cardiaca per effetto di variazioni nel precarico:

La figura è semplificata in quanto il tratto ABC è rettilineo ma questo non ha grande importanza.La variazione del precarico è marcata dallo spostamento verso destra del punto C: si tratta di unaumento del volume telediastolico ottenibile aumentando il flusso dall’atrio al ventricolo o ritardandola contrazione ventricolare. L’aumento del precarico fa aumentare sia il volume sistolico (il tratto ACè più lungo) che quello residuo (il punto A si sposta leggermente a destra). Maggiore è l’incremento divolume telediastolico e maggiore sarà l’entità di incremento degli altri due volumi.

L’effetto delle variazioni di postcarico è studiato nella figura sotto:

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La modifica del solo postcarico, cioè lo spostamento in alto del punto D e quindi l’aumento della pres-sione aortica minima, ha come effetto la diminuzione del volume sistolico e l’aumento di quello residuo.Come mai si ottiene questo effetto? Il muscolo comincia a contrarsi utilizzando una parte della forzasviluppata per vincere il postcarico e la parte residua per svuotare il ventricolo: un postcarico aumenta-to significa una frazione maggiore di forza per vincerlo e quindi meno forza per l’eiezione. Questo effettopuò arrivare al caso estremo in cui il postcarico è maggiore della forza massima sviluppabile e il ventri-colo non si svuota. Una condizione di pressione minima elevata e incontrollata può generare dunqueuna contrazione isometrica perchè la forza sviluppata dal muscolo cardiaco è insufficiente a vincere ilpostcarico. Nel grafico l’inviluppo 2 indica il ciclo successivo: questo ciclo partirà da un volume residuomaggiore e, con un ritorno venoso costante, arriverà dunque ad un volume telediastolico maggiore. Seviene raggiunto un volume telediastolico maggiore il ventricolo sviluppa una forza maggiore e si arrivaad avere una gittata sistolica uguale alla precedente: il ventricolo riesce dunque a mantenere costantela gittata pur lavorando con un precarico aumentato. Il concetto è che entro certi limiti l’aumento delpostcarico può essere controbilanciato dal ventricolo per mantenere costante la gittata. In entrambii grafici visti finora i tre punti che corrispondono alla chiusura delle valvole semilunari (punti F deldiagramma di Frank) sono posti su di una retta la cui pendenza è un indice delle condizioni del cuore.

Come mai il ventricolo reagisce in questo modo alla variazione di precarico? Un aumento del pre-carico causa un aumento del volume sistolico che a sua volta è indice di un’aumentata forza: il volumesistolico è un indice delle forze sviluppate dal ventricolo. Quando c’è un aumento del volume teledias-tolico si deve avere un aumento della lunghezza della fibra miocardica ed è questa la ragione dell’au-mento della forza di contrazione, stiamo parlando di una relazione tensione-lunghezza dopotutto. Ilsarcomero ha una lunghezza ottimale alla quale si forma il numero massimo di ponti actinomiosinici ea questa lunghezza sviluppa il picco della forza: allontanandosi da questo valore, sia per eccesso cheper difetto, porta ad una diminuzione del numero possibile di ponti e quindi ad una riduzione dellaforza. Aumentare il volume telediastolico significa allungare la fibra: se la lunghezza non diventa ec-

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cessiva si assiste ad un aumento del volume sistolico mentre se si esagera si ha una diminuzione dellostesso.

Cosa succede nella variazione di postcarico? La forza di contrazione è determinata dal numero diponti actinomiosinici che si possono formare e quindi dal volume telediastolico: aumentare il postcariconon fa contrarre con maggior forza il ventricolo ma lo pone in condizione di dover affrontare uno sforzomaggiore. Il fatto che rimanga un volume residuo maggiore a fine contrazione farà però aumentare laforza di contrazione nel ciclo successivo ripristinando una gittata sistolica costante (sempre se si trattadi variazioni ragionevoli di postcarico).

L’ultimo parametro da analizzare è la contrattilità:

La curva non tratteggiata è la situazione di partenza, la 1 segna un aumento di contrattilità e la 2 unadiminuzione; in tutte le condizioni pre e postcarico sono costanti e prefissati. Nella curva 1 il volumesistolico aumenta molto e il volume residuo diminuisce: il ventricolo si è svuotato più efficacemente.Nella curva 2 accade l’opposto: il volume sistolico è ridotto e quello residuo è aumentato molto. Nelcaso di un aumento della contrattilità l’aumento della forza di contrazione è di origine particolare inquanto il precarico è fisso e dunque non può essere coinvolta la lunghezza del sarcomero: si tratta diuna variazione di tipo omeometrico e non eterometrico. In queste condizioni i punti di chiusura dellevalvole semilunari non sono più su di una retta. Il controllo della variazione di contrattilità è spiegatonelle lezioni dopo.

Tutte queste considerazioni sono state sviluppate a seguito dello studio di un modello di ventrico-lo isolato e a questo punto c’è da chiedersi se esse siano valide per un cuore in situ; il problema fuanalizzato e risolto da un gruppo di scienziati tra i quali il principale fu Starling. La considerazione dipartenza è che i meccanismi di regolazione dell’attività cardiaca sono divisibili in due grandi categorie:quelli intrinseci messi in atto dal cuore stesso e quelli estrinseci che hanno localizzazione esterna alcuore ma su di esso agiscono; all’epoca degli esperimenti di Starling (inizio Novecento) già si conosce-vano gli effetti sul cuore di simpatico, parasimpatico ed alcuni ormoni ma non era chiaro se nell’uomoesistessero regolazioni intrinseche. Starling inventò un meccanismo che gli consentiva di eliminaretutti i fattori di regolazione estrinseca noti o meno al suo tempo lasciando dunque in opera, qualorapresenti, gli ipotetici meccanismi intrinseci; il preparato da lui inventato è illustrato in figura:

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Starling prese il circolo sistemico e chiuse tutti i vasi arteriosi sostituendo loro un circolo artificiale ditubi di gomma studiato in modo da avere gli stessi attributi di quello naturale. Il sistema arterioso hauna certa complianza e una certa resistenza ed entrambe queste proprietà vennero simulate. In alto adestra si vede il resistore di Starling, che è un dispositivo in grado di far variare la pressione transmu-rale e dunque di simulare la proprietà della resistenza arteriolare. La capacità/complianza del sistemaarterioso è invece simulata grazie alla bottiglia capovolta vicina al resistore: questa contiene una certaquantità d’aria che essendo comprimibile permette di immagazzinare sangue ed energia e di restituirlaal sistema al termine della contrazione. Il sangue passa nel sistema in questo circolo artificiale e siscarica in un recipiente di raccolta di grande capacità che simula il bacino venoso. Il recipiente diraccolta presenta una pinza a vite che permette di regolare il ritorno venoso al cuore (ritorno venosoche può essere aumentato anche per via gravitazionale alzando il recipiente di raccolta). Il piccolocircolo polmonare viene mantenuto intatto. Nel preparato di Starling i tessuti, ad eccezione di cuoree polmone, non ricevono più sangue e vanno in necrosi: il sistema nervoso muore e con esso la suacapacità di regolazione cardiaca; a sopravvivere sono dunque solamente il cuore ed il polmone (venti-lato dall’esterno artificialmente) e per questo il preparato prende il nome di preparato cuore-polmonedi Starling. La serpentina con la candela ricorda un aspetto importante: la termoregolazione è man-tenuta dal SN che in queste condizioni muore. Il sangue del preparato deve essere dunque riscaldatoartificialemtne e arricchito in glucosio per i fabbisogni del muscolo cardiaco: in queste condizioni ilpreparato sopravvive parecche ore.Grazie al preparato di Starling è possibile studiare l’adattamento del cuore alle variazioni di pre epostcarico, che vengono così modificati:

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• Precarico: si modifica aumentando il ritorno venoso, quindi svitando la vite o sollevando il recipi-ente di raccolta.

• Postcarico: si modifica aumentando la resistenza del sistema arterioso, quindi con il resistore diStarling.

L’esperimento dimostra l’esistenza di sistemi intrinseci di regolazione se a queste variazioni corrispon-dono variazioni nella gittata sistolica.

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6 Lezione 6

La figura sopra mostra i risultati di esperimenti condotti tramite il preparato di Starling: si trattadi una variazione sul precarico ottenuta per aumento del ritorno venoso (vite allentata/recipiente in-nalzato). La tecnica di registrazione risale ai primi del secolo scorso ed è completamente meccanica: sitratta dei segni lasciati su un cilindro rotante di carta affumicata da una punta collegata al manometroche si vede nella figura del preparato. Nella figura in X è posto il tempo, in Y la pressione in mmH2O. Aseguito dell’aumento della pressione venosa il ventricolo si riempiva in misura maggiore: ad un aumen-to del volume telediastolico corrispondeva un aumento della gittata sistolica e del volume telesistolico(residuo). In modo analogo una diminuzione della pressione venosa genera una diminuzione del vol-ume telediastolico e quindi di quello sistolico. In questo modo Starling diede una prima dimostrazionedell’esistenza di una regolazione intrinseca: a fronte di un aumento del precarico il ventricolo è in gradodi aumentare il volume sistolico e quello residuo.

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La figura sopra mostra i risultati di un secondo esperimento sullo stesso preparato in cui vieneazionato il resistore di Starling e quindi viene aumentata la pressione arteriosa (postcarico). Quandoviene aumentata la pressione arteriosa il volume sistolico resta invariato (le altezze dei tracciati sonocostanti) ma si modificano il volume telediastolico e quello residuo. Il cuore risponde allora ad unaumento del postcarico mantenendo costante la gittata: si ritrova un equilibrio tra la diminuzione dellagittata sistolica e l’aumento del volume residuo.

Sulla base degli esperimenti condotti sul suo preparato venne creata la legge di Starling che in formagrafica ha l’aspetto sotto:

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Sull’asse Y è posto il volume di eiezione (volume sistolico) e sull’asse X il volume telediastolico (pre-carico). Si nota che all’aumentare del volume telediastolico la gittata aumenta fino a uncerto puntooltre il quale si passa da una fase di compenso ad una di scompenso in cui un ulteriore aumento delvolume telediastolico comporta una diminuzione della gittata. La ragione della fase di scompenso staancora una volta nella relazione tensione-lunghezza del sarcomero: il sarcomero troppo allungato vedeil numero dei ponti possibili diminuire e con esso la forza sviluppabile. La legge di Starling dice dunqueche la forza sviluppata dal ventricolo in contrazione dipende dalla lunghezza delle fibre prima dellacontrazione stessa: la forza dipende dunque dal volume telediastolico.

Quando la legge di Starling venne pubblicata vi furono molte critiche. Secondo alcuni la leggenon era valida in quanto sviluppata su di un preparato artificiale ma una delle obiezioni maggiori eralegata al fatto che nello studiare un organismo in vivo si sarebbero dovuti ottenere gli stessi risultati.Valutando il volume telediastolico di un soggetto a riposo e subito dopo un esercizio fisico noto che nonsolo non è aumentanto ma addirittura è diminuito: un risultato opposto a quello previsto dalla legge diStarling. Il risultato in vivo si ottiene però in un sistema in cui sono attive sia le regolazioni intrinsecheche quelle estrinseche: dobbiamo concludere che nell’esercizio fisico i meccanismi estrinseci sono piùpotenti di quelli intrinseci ma dal punto di vista logico questo non impedisce la loro esistenza. Ad oggila legge di Starling mantiene una sua validità ma è necessario fare alcune osservazioni. Si è visto che lagittata dei due ventricoli deve essere uguale come corollario della legge di continuità (i ventricoli sono inserie tra loro, il flusso deve essere uguale) ma cosa succederebbe se venisse introdotta una variazione diappena il 2%? Conteggiando anche la variazione si ottiene una gittata a sinistra pari a 5L/min e a destrapari a 5, 1L/min. Se questa condizione si mantiene per dieci minuti abbiamo uno spostamento netto diun litro di sangue dal circolo sistemico a quello polmonare: a questo punto ci saranno 2, 3L di sanguesistemico e 2, 7L di sangue polmonare. Questa condizione è totalmente ipotetica in quanto la pressionesarebbe così elevata nel circolo polmonare da portare il soggetto a morte per edema polmonare entropochi minuti. La legge di Starling si può allora indicare come il meccanismo attraverso il quale la gittatadei due ventricoli viene mantenuta costante anche a seguito di transizioni momentanee come possonoverificarsi in caso di trasfusioni od emorragie.

La gittata cardiaca è il risultato di tutto ciò che compie il cuore in ambito meccanico: si tratta di unindice funzionale cardiaco. Abbiamo già visto come la gittata venga modificata al variare dei tre fattori

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fondamentali: precarico, postcarico e contrattilità. Come fanno i tre fattori a modificare la gittata?La figura sotto mostra la relazione tra lo stiramento del ventricolo, quindi il volume telediastolico, e ilvolume sistolico:

Il grafico in altre parole illustra la legge di Starling nella fase di compenso: all’aumentare dello stiramen-to aumenta la gittata sistolica in quanto viene incrementata la forza che il ventricolo può sviluppare.Questa curva e le seguenti vengono usate nei reparti di cardiologia per valutare la funzionalità cardiaca.

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La figura sopra è leggermente diversa dalla precedente in quanto viene introdotto l’elemento fre-quenza: non si esamina più la gittata sistolica ma la gittata cardiaca. Sull’asse X è posta la pressionein atrio destro, grandezza dalla quale dipende il volume telediastolico: se la pressione atriale è altasi ha un flusso maggiore all’apertura della valvola AV e quindi un aumento del volume telediastolico;in questo caso si è preso dunque ad esame non il precarico ma un indice ad esso correlato. Il grafi-co mostra l’esistenza di una corrispondenza biunivoca tra la pressione dell’atrio di destra e la gittatacardiaca. La figura sotto introduce a questo esperimento anche l’elemento della contrattilità:

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Se viene ad essere modificata la contrattilità si ottengono curve in cui a variare è la pendenza: pren-dendo un punto in X a parità di condizioni si ottengono tre valori in Y a seconda dello stato del cuore.Si può affermare che la contrattilità va ad incidere sull’efficienza della contrazione e questo si traducenella variazione di pendenza della curva di compenso della legge di Starling.

Normalmente è raro che venga studiato un parametro alla volta; la figura sotto mostra la vera curvadella funzionalità cardiaca in cui vengono presi in considerazione tutti i parametri insieme:

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Misurare lo stato funzionale di un ventricolo significa misurare la pressione al suo interno. La figurasotto mostra la variazioni misurate in funzione del tempo:

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La pressione parte da un livello minimo diastolico, aumenta, raggiunge il livello massimo per poi ri-tornare al punto di partenza. Questo grafico è ottenibile da qualsiasi paziente inserendo un cateterein atrio sinistro. Se il cuore viene reso iperdinamico (curva B) si assiste ad un aumento della pres-sione massima ma soprattutto della velocità con cui questa viene raggiunta: la valutazione del cuorepuò allora essere operata numericamente. Si definisce indice di contrattilità il picco massimo dellapressione o, in alternativa, la derivata prima del tratto iniziale dell’incremento pressorio. Una sec-onda metodica di valutazione funzionale è la rilevazione della frazione di eiezione, cioè del rapportovolume sistolico/volume telediastolico; il volume telediastolico è circa 150mL, quello sistolico oscilla trai 70 e gli 80mL: la frazione di eiezione normale è dunque poco meno del 50%. Questo significa che incondizioni fisiologiche il ventricolo è in grado di espellere circa la metà del suo contenuto massimo:variando i quattro determinanti dell’attività cardiaca (precarico, postcarico, contrattilità e frequenza) siva a modificare anche la frazione di eiezione.

Un approccio totalmente diverso alla valutazione della funzionalità cardiaca è quello energetico.Il sangue arriva all’atrio destro con una pressione minima ed era partito dall’aorta con una pressionemassima: il gradiente pressorio tra inizio e fine del circolo sistemico è allora un indice della dissipazionedi energia legata al flusso sanguigno. Il sangue per poter circolare richiede che vengano spese delleenergie ed è questo il compito del cuore in quest’ottica: l’attività di pompa immette dell’energia nelsangue che verrà dissipata poi per vincere le resistenze al flusso. Partendo da queste considerazioni sipuò andare a studiare il lavoro in senso fisico che il cuore compie. In fisica il lavoro è definito comeprodotto tra forza e spostamento; riprendendo la relazione pressione volume possiamo affermare che:

P · V =F

l2· l3 =

F

l= Lavoro

Parlando della relazione pressione/volume si è dunque parlato del lavoro eseguito dal cuore. La figurasotto analizza l’aspetto:

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In A viene indicata la fase di riempimento del ventricolo: il tratteggio sotto la curva esprime i n terminidi lavoro l’energia residua che il snague possiede di ritorno al cuore; l’energia rimasta nel sangueviene utilizzata per distendere il ventricolo quindi in questo caso è il sangue a compiere un lavoro sulventricolo e non viceversa. In B interviene la contrazione isovolumetrica: non essendoci variazionidi volume non c’è spostamento e quindi il lavoro compiuto in questo momento dal cuore è zero. Ilfatto che il lavoro sia zero non vuol dire che non ci sia energia in gioco: la contrazione isovolumetricarichiede energia che viene accumulata ma non trasformata in lavoro. In C il ventricolo si svuota eviene compiuto un lavoro dal cuore sul sangue mentre in D essendoci una seconda fase isovolumetricanon ci sarà di nuovo lavoro. In E viene illustrato l’inviluppo d’insieme delle varie fasi: l’area sottesadalla curva è il lavoro totale compiuto dal cuore sul sangue. In che modo è possibile calcolare il lavorocompiuto dal cuore?

Lavoro = Forza · Spostamento = (P ·A) ·D = P · (A ·D) = P ·∆V →ˆPdV

Dal punto di vista energetico questa quantità non può essere l’unica in gioco: gli eventi isovolumetricinon sono caratterizzati da produzione di lavoro ma richiedono ugualmente energia. La domanda èdunque: di quanta energia ha bisogno il cuore? Per rispondere è necessario tenere conto sia del lavorocompiuto che dell’energia usata per la contrazione isovolumetrica. L’energia per le fasi isovolumetricheprende il nome di attivazione costante ed è data dall’equazione

A.C. = α

ˆTdt

dove α è un coefficiente legato alla natura del muscolo, T la tensione e t la sua variazione nel tempo.L’energia totale richiesta dal cuore per il suo funzionamento sarà dunque data dall’espressione

Etot =

ˆPdV + α

ˆTdt

L’energia totale richiesta dal cuore non viene interamente trasformata in lavoro e buona parte vienedissipata dal sangue sotto forma di calore quando vengono vinte le resistenze dei vasi; qual è l’efficienzadel cuore? In fisica l’efficienza di una macchina è data dal rapporto tra l’energia trasformata in lavoroe quella totale, dunque

Efficienza(η) =

´PdV´

PdV + α´Tdt

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Questo valore è normalmente compreso tra il 3 e il 15% e in genere è inferiore al 10%: è quindipiccolissima la quota energetica che viene effettivamente trasformata in lavoro. Il concetto di efficienzacardiaca ha aspetti pratici. Se aumenta la frequenza cardiaca l’efficienza si riduce perchè ad ogniciclo cardiaco è necessario sviluppare la tensione isovolumetrica: la conseguenza banale di questo èche un cuore che batte ad una frequenza elevata, magari 80-85bpm anzichè 70, riduce l’aspettativadi vita del suo portatore in quanto tutti i dispositivi meccanici si esauriscono. La tensione sviluppataaumenta all’aumentare del postcarico, cioè della pressione arteriosa: con l’invecchiamento la pressionearteriosa tende naturalmente a salire e, per mantenere costante la gittata, è necessario sprecare moltapiù energia, riducendo ulteriormente l’efficienza meccanica del cuore.

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7 Lezione 7

Finora si è visto cosa influenza la gittata cardiaca, ora il problema è come essa possa essere misurata.Nel 1870 un fisiologo tedesco mise a punto un semplice principio passato alla storia con il nome diprincipio di Fick e sul quale si basano tutte le metodiche di misurazione di flusso attuali. Il punto dipartenza è la definizione di concentrazione di una sostanza:

[X] =X

V

Risolvendo in funzione del volume si ottiene

V =X

[X]

quindi per conoscere un volume basta sapere la quantità della sostanza X presente e la sua concen-trazione. Dividendo primo e secondo termine per il tempo si ottiene

V

t=

X

[X] · t→ Q =

X

[X] · t

Se si passa ad un approccio dinamico in cui la sostanza X può essere aggiunta o sottratta l’equazionediventa

Q =∆X/t

∆[X]

Questa situazione si verifica nella realtà? Si verifica continuamente tanto è vero che il principio diFick prende anche il nome di principio di consumo dell’ossigeno in quanto la sostanza X non è altroche O2:

Q =[ConsumoO2]

[O2]arteriosa − [O2]venosa

Il procedimento di solito viene usato sull’ossigeno ma è valido anche per la CO2. Sapendo dunque ilconsumo di ossigeno è possibile risalire alla gittata cardiaca: quali sono i procedimenti? Per misurareil consumo di ossigeno nell’unità di tempo si utilizzano gli spirometri mentre per le concentrazioni sieffettuano prelievi di sangue arterioso e di sangue venoso: in totale servono dunque una spirometriae una coppia di prelievi. Esiste un problema procedurale: il sangue arterioso in qualsiasi punto èsempre rappresentativo del totale ma non è così per il sangue venoso, che all’interno delle vene nonsi mescola; esiste un unico punto in cui il sangue venoso si mescola ed è nell’arteria polmonare acausa del tempuscolo di moto turbolento che si instaura: prelevare sangue dalla arteria polmonare ècomplesso e richiede ospedalizzazione.Per cercare di ovviare al problema dei prelievi di sangue sono stati inventati dei metodi indiretti basatisulla somministrazione di una sostanza che funge da indicatore (tecnica della diluizione di un indi-catore). La sostanza usata come indicatore non può essere scelta a caso ma deve essere in grado dirimanere in circolo senza abbandonare i capillari: il problema è che questi tipi di sostanze sono rare daindividuare e se è necessario ripetere la misurazione è sempre necessario cambiare indicatore.

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Una soluzione contenente una quantità nota di indicatore viene iniettata al tempo X del grafico e vienemisurata la concentrazione della quantità stessa al tempo Y: il valroe avrà prima un aumento, arriveràal suo picco e poi andrà a diminuire come si vede dal grafico. Esiste anche con questa tecnica un prob-lema operativo: la concentrazione prima sale e poi scende ma non arriva mai a zero perchè l’indicatoreè stato scelto tra le sostanze che non possono abbandonare il circolo; il ricircolo non permette allaconcentrazione di azzerarsi e disturba il calcolo dell’area sottesa dalla curva. Per risolvere il problemabasta usare un artificio matematico: la concentrazione viene espressa tramite il suo logaritmo ottenen-do un decadimento esponenziale che trasforma la curva in retta e rende possibile l’estrapolazione e ilcalcolo della gittata cardiaca.

Metodiche più moderne, sempre basate sul principio di Fick, permettono di aggirare l’ostacolo delriutilizzo nella tecnica della diluizione di un indicatore. Tra queste metodiche la più importante è latermodiluizione: viene iniettata in circolo una soluzione fisiologica o del sangue ad una temperaturaleggermente diversa (inferiore) da quella del sangue in circolo e viene misurata a valle la temperatura.Quando si procede all’iniezione la temperatura inizialmente diminuisce, tocca il suo minimo e poi risalefino a tornare al livello precedente: la curva della variazione termica ha lo stesso andamento di quelladella concentrazione della sostanza indicatrice ma si ha il grande vantaggio di poter riutilizzare latecnica senza problemi.

L’azione di pompa del cuore ha un prerequisito fondamentale: un adeguato volume di sangue devetornare all’atrio destro, se questo non succede il cuore pompa a vuoto. Maggiore è il ritorno venosomaggiore sarà il volume telediastolico e quindi a parità di altre condizioni la gittata sarà maggiore.Quali sono i fattori che influenzano il ritorno venoso? Il punto di partenza è la legge fondamentale delflusso Q = ∆P/R: quali sono i valori di pressione per l’ambito venoso? La pressione iniziale è quellavigente nelle venule mentre quella finale sarà la pressione di atrio destro, quindi la legge fondamentaleè:

Qvenoso =Pvenule − Pa.d.

Rv.s.

La pressione nell’atrio destro è facilmente misurabile mentre la resistenza venosa sistemica è calco-labile. La pressione nelle venule è impossibile da calcolare, sia perchè le venule sono moltissime siaperchè sono di dimensioni tali che il solo inserimento di un catere influisce con il flusso falsando lemisure; per risolvere il problema viene utilizzato il valore di pressione medio sistemica anzichè quellodella pressione venulare. La pressione medio sistemica è la pressione statica che vige nel circolo, cioèla pressione che vige quando il flusso è zero e che viene misurata sperimentalmente negli animali.

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Quando il cuore dell’animale viene fatto fibrillare la gittata si annulla e con essa il gradiente pressorio:a questo punto si misura la pressione medio sistemica. Essendo il sistema cardiocircolatorio un circolochiuso il valore della pressione medio sistemica deve essere compreso tra il valore massimo e quellominimo; alla fine dei capillari oltre il 90% delle resistenze è già stato superato e quindi si può dire cheil valore della pressione medio sistemica è molto prossimo a quello della pressione di tutte le venule. Aquesto punto posso riscrivere l’equazione del flusso venoso:

Qvenoso =Pm.s. − Pa.d

Rv.s.= − 1

Rv.s.· (Pa.d. − Pm.s.)

Questa è l’equazione di una retta in cui il valore − 1Rv.s.

è il coefficiente angolare. Graficando questaequazione con il gradiente pressorio in asse X e il flusso in asse Q e traslando gli assi si ottiene la figurasotto:

I fattori determinanti il ritorno venoso sono dunque la pressione in atrio destro, la pressione mediosistemica e la resistenza venosa sistemica. La retta nella figura sopra ci dice che quando la pressionedell’atrio destro è uguale alla pressione medio sistemica non si ha più un gradiente pressorio e quindiil ritorno venoso al cuore è nullo. A partire dal valore di pressione medio sistemica il flusso cresce amano a mano che la pressione in atrio destro si riduce e raggiunge il suo picco quando questa è zero.La linea tratteggiata della figura esprime il fatto che, quando la pressione nell’atrio destro scende ameno di zero (diventa cioè subatmosferica), il gradiente pressorio da considerare non è più Pm.s. − Pa.d.ma Pm.s.−Patm: si va a considerare da quel punto in poi la differenza con la pressione atmosferica. Pervalori pressori subatmosferici dunque il ritorno venoso non dipende più dalla pressione in atrio destro.

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La figura sopra mostra cosa accade facendo variare non la pressione in atrio destro ma la pressionemedio sistemica. In generale si n ota che se la pms aumenta lo fa anche il ritorno venoso che quindidiminuisce se scende la pms. Quali sono i fattori che influenzano la pms? Il punto di partenza è ladefinizione di complianza sotto richiamata:

C =∆V

∆P=V − V0

P − P0→ P =

V − V0

C

Una precisazione importante è che la complianza è legata ad una situazione statica: la differenzadi pressione non è il gradiente pressorio ma, nell’esempio di un pallone, sono le pressioni interneed esterne ad esso. Vo e P0 sono dunque valori riferiti alle condizioni atmosferiche: se aumento ilvolume aumento la pressione parziale ma senza coinvolgere il concetto di gradiente pressorio. A questopunto esaminando l’equazione ottenuta si capisce che per far variare la pressione medio sistemica sonopercorribili due vie: variare il volume circolante o la complianza del sistema venoso. Il primo caso èla variazione della complianza: le venule possiedono una sottile componente muscolare che, se fattacontrarre, riduce questo attributo senza variare la resistenza. Il volume del sangue circolante (totale enon solo venoso) può variare ad esempio in condizioni di emorragia o di trasfusione ematica: ovviamentese il volume aumenta dovrà aumentare anche il ritorno venoso. In una più ampia prospettiva il volumeematico è in equilibrio con il volume dei fluidi corporei e quest’ultimo dipende dal bilancio in ingresso ein uscita dell’acqua: si perdono liquidi con la sudorazione, l’espirazione e la minzione e vengono inveceassunti con la dieta; conseguenza di questa osservazione è che qualsiasi modificazione a livello degliapparati coinvolti nell’omeostasi dei liquidi (primariamente reni e tratto digerente) ha ripercussione sulritorno venoso al cuore.

L’ultimo elemento da analizzare per il ritorno venoso è la resistenza venosa sistemica, tema indagatonella figura sotto:

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In generale se la resistenza aumenta il ritorno diminuisce. Com’è possibile variare la resistenza venosasistemica? Il fattore importante è la pressione transmurale, cioè la differenza pressoria tra interno edesterno del vaso: ogni volta che la pressione esterna aumenta la resistenza la segue e diminuisce ilritorno venoso. Com’è possibile ridurre invece la resistenza venosa sistemica? I vasi venosi sono dotatidi muscolatura e la contrazione di questa può variare il calibro del vaso: variazioni della resistenzavenosa possono dipende dunque dal tono di contrazione della muscolatura delle vene. La muscolaturadei vasi è quasi esclusivamente controllata dal simpatico che, quando attivo, diminuisce la capacità alivello venulare favorendo il ritorno venoso.

L’atrio destro è il termine del circolo venoso e la pressione al suo interno è l’elemento che accoppiail ritorno venoso con la funzione di pompa. Se il ritorno venoso aumenta la pressione nell’atrio sale equesto valore segue anche l’andamento della funzione di pompa. Maggiore è la capacità di pompa delventricolo e minore sarà la pressione in atrio destro: un cuore che lavora in maniera insufficiente d’altraparte non riuscirà a smaltire tutto il sangue in arrivo e si assisterà ad un aumento della pressionenell’atrio destro.

Tutte le conclusioni finora proposte sono riassunte nella figura sotto:

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La prima parte “a” mostra la curva della funzione ventricolare. L’asse X segna la pressione in atriodestro e l’asse Y la gittata cardiaca. La gittata cardiaca è un flusso come pure il ritorno venoso: sonola stessa cosa. Quando si parla di ritorno venoso vengono enfatizzati i meccanismi che fanno tornareil sangue al cuore, quando si parla di gittata dei meccanismi che invece lo fanno abbandonare. Incondizioni ottimali i due flussi devono essere uguali, altrimenti si crea una situazione di insufficienzacardiocircolatoria.La seconda parte “b” della figura mostra la curva del ritorno venoso già vista.La terza parte “c” mostra la combinazione delle prime due e evidenzia il punto in cui si incrociano gittatacardiaca e ritorno venoso: questo è un punto dinamico in quanto, come già visto, gittata cardiaca eritorno venoso possono essere modificati per mezzo dei loro determinanti.

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Il ritorno venoso finora è stato visto come determinato da fattori sistemici, cioè Pa.d., Pm.s.e Rv.s. main realtà viene influenzato anche da fattori cardiaci, cioè dalla capacità di pompa del cuore:

Quando la capacità del cuore diminuisce il ritorno venoso non può far altro che diminuire, viceversaquando aumenta si assiste al comportamento opposto. Gli argomenti flusso venoso e gittata cardiacasono collegati: il ritorno venoso dipende da fattori sistemici e cardiaci e questi ultimi sono determinantiper la gittata.

La figura sopra mostra come la gittata cardiaca venga modificata (a parità degli altri determinanti)dal ritorno venoso. Quando il ritorno venoso aumenta la gittata fa lo stesso.

Cosa succede al cuore durante un esercizio fisico? La figura sotto mostra le curve di funzionalitàcardiaca a riposo e sotto sforzo:

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In A viene descritta una condizione di riposo con una gittata pari a 5L/min e quindi con un ritornodi pari entità. La gittata cardiaca può aumentare notevolmente e arriva facilmente fino a 20L/mincon picchi di 40L/min negli atleti, cioè fino ad otto volte il valore di riposo: come avviene questo? Lagittata cardiaca come visto può aumentare perchè i quattro determinanti possono essere modificati:contrattilità, frequenza, precarico e postcarico non sono fissi. Non tutti i determinanti della gittatacardiaca hanno però lo stesso valore. La pressione arteriosa, quindi il postcarico, non è agevole chediminuisca e quindi conta poco. Il grosso della variazione è un lavoro sulle resistenze e in generale ifattori più importanti sono la frequenza e la contrattilità. La frequenza non può aumentare all’infinitoperchè se lo facesse ridurrebbe troppo il tempo di riempimento generando contrazioni inefficaci: sitratta dunque di un fattore limitante. Sperimentalmente si è visto che gli atleti hanno a riposo unafrequenza cardiaca relativamente bassa e una gittata sistolica alta; partendo da una frequenza inferiore(55bpm) e arrivando a valori superiori (70bpm) l’incremento di pressione è maggiore.Tutti questi discorsi sottintendono che per aumentare la gittata cardiaca sia necessario aumentare dipari passo il ritorno venoso. Questo proposito viene perseguito modificando sia la resistenza venosasistemica che la pressione medio sistemica: quest’ultima, non potendo far variare il volume di sanguecircolante, verrà modificata lavorando sulla complianza del sistema.

L’elemento scatenante del ritorno venoso è l’esistenza di un gradiente pressorio ∆P tra venule e atriodestro. Questo elemento, una volta definito vis a tergo, è il più importante determinante del ritornovenoso ma non è l’unico: esistono altre due tipologie di forze, definite fattori ausiliari del ritorno venoso.Il primo fattore è la vis a latere che esercitano le pareti dei vasi. Durante la contrazione muscolare molti

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vasi venosi rimangono schiacciati e si occludono spremendosi: in questo scenario il sangue si spostain una sola direzione, verso il cuore, grazie alla presenza delle valvole di flusso. Questo sistema dipompa muscolare è efficace solo se alternato a periodi di rilassamento: una contrazione mantenutanel tempo non solo non favorisce il ritorno venoso ma lo ostacola. Il secondo fattore ausiliario è la visa fronte legata alla capacità di aspirazione del sangue che a sua volta dipende da due meccanismi:la pompa aspirante premente della respirazione e il meccanismo del piano valvolare. La pompa dellarespirazione è legata alla ventilazione polmonare: quando si inspira la gabbia toracica si espande e igrandi vasi si dilatano perchè la pressione transmurale diminuisce; l’opposto accade invece durantel’espirazione. Questo movimento alternato della gabbia toracica porta ad un aumento del ritorno venosoin inspirazione e ad una diminuzione durante l’espirazione. In espirazione però il diaframma ritornain posizione e spreme i vasi venosi addominali favorendo il ritorno venoso al cuore. Il meccanismo delpiano valvolare è invece legato al fatto che anche il cuore ha una sua azione alternata di contrazionee rilassamento. Quando il cuore si svuota diminuisce i suoi diametri, soprattutto la distanza trala base e l’apice (si abbassa la base e non il contrario): quando il ventricolo si svuota dunque siabbassa il pavimento degli atri riducendo leggermente la pressione degli stessi e aumentando così ilritorno venoso. Questi fattori ausiliari sono sicuramente di minore importanza ma la loro esistenza èdocumentata e da sapere.

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8 Lezione 8

La figura sopra è uno sfigmogramma, cioè una rappresentazione grafica dell’andamento della pres-sione arteriosa in funzione del tempo. La pressione arteriosa non è costante ma varia istante per istantein funzione degli eventi del ciclo cardiaco. Quando si parla di pressione arteriosa si possono indicaredunque vari valori, quello istantaneo, quello massimo, quello minimo, o quello differenziale (cioè ladifferenza tra Pmax e Pmin, valore definito anche polso pressorio). Tutti questi valori sono in realtàd’importanza relativa in quanto ciò che davvero interessa parlando di pressione è il suo valore medioche è di fatto un indice della capacità che ha il sangue di progredire nel suo percorso. Le variazioni dipressione arteriosa non sono regolari e quindi non esiste una relazione semplice per calcolare il precisovalore della pressione media e bisogna sfruttare per forza il calcolo integrale. Il calcolo solitamente nonviene però svolto e il medico individua tramite lo sfigmomanometro i valori di pressione massima e dipressione minima; per risalire alla pressione media sono state individuate delle modalità che potesseropartire dai valori rilevati di Pmax e Pmin, in particolare si usa il seguente calcolo:

Pa = Pmin +1

3(Pmax − Pmin)

Pa = 80 +1

3(120− 80) = 93, 3mmHg

La ragione di questa formula sta nel fatto che per circa i due terzi del ciclo la pressione è più vicina aquella diastolica che a quella sistolica. Notare che la pressione media è più bassa del valore 100 chesi ottiene con la media aritmetica dei due valori. Un criterio clinico molto approssimativo è che perpressioni medie da 100 in su si sia in presenza di ipertensione.

Quali sono i fattori determinanti la pressione arteriosa? La pressione arteriosa dipende da duetipologie di fattori:

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Perchè i valori fisici sono volume ematico e complianza arteriosa? Per rispondere ancora una volta siparte dalla definizione di complianza e la risposta è ovvia:

C =V − V0

P→ P =

V − V0

C

La dimostrazione della correlazione ai fattori fisiologici passa invece per la legge fondamentale del flusso

Q =∆P

R→ Qart =

Paorta − ParterioleRarteriosa sistemica

I discorsi fatti per il ritorno venoso valgono anche qui: la pressione aortica è facile da misurare men-tre quella delle arteriole è impossibile. In questo caso non è possibile sfruttare la pressione mediosistemica perchè non è assolutamente vicina alla pressione nelle arteriole: viene dunque introduttaun’approssimazione molto più grande inserendo questo valore nell’espressione. Riscrivendo la formulasi ottiene

Q =Paortica − Pms

Ra.s.

La pressione aortica ha un valore quasi uguale a quello della pressione arteriosa media in quanto si hauna variazione minima nelle grandi arterie. La pressione arteriosa media del soggetto sano si è vistoessere 93, 3mmHg, la pms è calcolata in 7mmHg quindi influisce per poco nel calcolo (anche se in realtàla pressione nelle arteriole è maggiore e il valore 7 è molto sottostimato). Un approccio alternativoa questo calcolo è l’usare il gradiente pressorio dell’intero circolo e non del solo versante arterioso;in questo caso si usa la pressione in atrio destro al posto della pms, introducendo un errore ancoramaggiore ma rendendo molto più semplice il calcolo. Tutte queste considerazioni sono legate al fattoche non esiste una pressione misurabile prossima alla pressione arteriolare media.

Quando viene individuata un’ipertensione viene prescritto normalmente un diuretico e consigliatodi eliminare il sale dalla dieta: questo presidio terapeutico mira a far variare il valore di pms. I diureticifanno eliminare liquidi determinando un calo della Pms mentre la dieta iposodica stimola anch’essa ladiuresi rafforzando l’effetto.

Conoscendo i fattori determinanti la pressione arteriosa si hanno in mano gli attrezzi per farlavariare. I fattori in primo luogo efficaci per far variare la pressione arteriosa sono la gittata cardiaca, lafrequenza e la resistenza arteriosa.

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Il grafico sopra è un grafico volume pressione (il volume andrebbe in X, finezze del cazzo). Ai valoridi Pmin, Pmaxe Pa corrispondono dei volumi. Nella figura si ipotizza che il volume ematico aumentipassando da V 1min e V 2max a V 3min e V 4max: si nota come tutte le pressioni aumentino e in particolareaumenti il polso pressiorio, cioè la distanza tra la minima e la massima.

Il grafico sopra mostra cosa succede se non vengono modificati i volumi ma la complianza. In questocaso vengono modificati solo alcuni valori pressori: la pressione media resta invariata ma aumenta ilpolso pressorio, cioè aumenta l’escursione tra minima e massima. Questo è coerente con la pratica:con l’età le capacità elastiche dei vasi cambiano e questo si traduce in una diminuzione della pressioneminima, un aumento di quella massima ma una teorica capacità di spinta invariata. Il senso del dis-corso è focalizzare l’attenzione sulla pressione media, vero indice funzionale, e non sui valori istantaneio estremi.

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L’ultima figura prende in considerazione variazioni della resistenza periferica totale. In A si ipotizzaun aumento della resistenza: in queste condizioni si ha un aumento di tutte le pressioni, massima,media e polso pressorio. In B viene descritta la reazione in caso di rapporti P/V non lineari: l’incrementodella massima è maggiore rispetto al primo caso e quindi il polso pressorio aumenta.

Normalmente vengono indicati come valori pressori normali di un adulto sano 80mmHg per la min-ima e 120mmHg per la massima; queste affermazioni vogliono dire che misurando queste pressioni inun soggetto a caso sono questi i valori più probabili ma il caso individuale può discostarsi senza perquesto implicare patologie. Esistono tutta una serie di fattori aggiuntivi che modificano la pressionearteriosa, tra i principali vanno ricordati

• Età: con l’età la pressione tende ad aumentare

• Sesso: le donne hanno valori medi di circa 5−10mmHg in meno ma queste differenze sono ormono-dipendenti e infatti spariscono dopo la menopausa

• Metabolismo, legato ad esempio a differenze nelle abitudini alimentari

• Fattori genetici

• Fattori emozionali

La pressione arteriosa si è visto anche che varia in relazione al ciclo cardiaco e questo tipo di variazioniviene definito di I grado per distinguerlo dalle variazioni di II e III grado. Le variazioni legate allarespirazione sono di II grado e vengono definite onde di Hering. Le modifiche di III grado sono legate altono vasomotore.

Una domanda importante a questo punto è: quali sono i vantaggi evolutivi dati dai vasi a pareti nonrigide? Cosa succede nei vasi arteriosi?

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Il primo vantaggio evolutivo è legato al fatto che riducendo il calibro di vasi non rigidi aumenta lapressione interna e quindi la caduta pressoria è in generale minore. Quando il sangue viene espulso insistole la porzione iniziale dell’aorta si dilata e in questo modo immagazzina energia potenziale di tipoelastico, viene cioè messa in tensione la componente elastica. Nel tempuscolo successivo la porzioneche è stata dilatata ritorna nella condizione originaria in quanto si comporta da corpo elastico e questogenera dilatazione nella porzione successiva: la dilatazione prosegue lungo la parete arteriosa e questoè evidente palpando le arterie superficiali. In conclusione le pareti delle arterie pulsano in fase conl’attività cardiaca; cosa succederebbe in un sistema di tubi rigidi? All’atto dell’espulsione di sangue dalventricolo la pressione si innalzerebbe a valori elevati per via della scarsissima complianza ma cadrebbea zero una volta terminata la fase di eiezione: si otterrebbe una pressione oscillante tra un valore nulloe un valore elevatissimo, con un polso pressorio esagerato rispetto ai valori fisiologici. L’esistenza dellepareti elastiche ha due risultati principali:

• Riduzione del polso pressorio: la minima non scende mai molto e la massima non si impenna

• Trasformazione dell’impulso intermittente del cuore in un flusso continuo

Le pareti delle varie tipologie di arterie in cui scorre il sangue hanno composizione diversa e proprietàdiverse: l’aorta è più distendibile delle arterie medie e piccole ad esempio, e le implicazioni di questosono illustrate nella figura sotto.

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La figura mostra gli sfigmogrammi in aorta e nell’arteria femorale. La pressione media in aorta è piùelevata ma la femorale presenta una maggior escursione tra il valore minimo, inferiore a quello aortico,e il valore massimo, superiore a quello aortico. Questo è giustificato dal fatto che i vasi femorali sonomeno complianti e da un lato oppongono maggiore resistenza alla distensione (sviluppando una Pmaxmaggiore) e dall’altro si svuotano restituendo più energia (sviluppando così una Pmin inferiore).

I vasi sanguigni subiscono dilatazioni e costrizioni in funzione dell’attività cardiaca e queste sonovariazioni parietali che si propagano con una velocità di 10 − 30m/s mentre il sangue al loro interno sipropaga al massimo a 10cm/s: si hanno allora due velocità e due fenomeni totalmente diversi. Come inogni fenomeno superficiale, la parete dei vasi risente delle proprietà elastiche del materiale, del calibroe della curvatura: le onde pulsatorie riflettono le condizioni anatomiche del circolo.

La figura sopra mostra diversi vasi tra loro in serie e analizza le modifiche di pressione e di velocitàdi polso. Dalla curva in alto si nota che la pressione arteriosa media diminuisce in funzione delladistanza mentre la massima tende ad aumentare e la minima a diminuire a causa delle modificazionialle proprietà elastiche dei vasi. Queste modifiche non sono di grande entità ed è questa la ragione per

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la quale è accettabile l’andare a misurare la pressione arteriosa sul braccio. La curva in basso mostrainvece un punto fondamentale. Nell’aorta il flusso si ha solo nella sistole, raggiunge un massimo epoi declina fino ad invertirsi: esiste un modestissimo flusso retrogrado che riporta il sangue versoil ventricolo. Nei vasi successivi in serie la dilatazione descritta in precedenza immagazzina energiapotenziale che viene restituita in fase di diasole: il flusso da discontinuo diventa continuo. Attenzione:il flusso diventa continuo ma non costante. Nelle vene se non vengono introdotte condizioni particolariil flusso è continuo. Le arterie sono dunque in grado di trasformare il flusso da discontinuo a continuograzie alle loro proprietà meccaniche.

La pressione minima arteriosa non cade mai a valori prossimi allo zero perchè c’è sempre resistenza.Se viene bloccata la resistenza arteriolare per via farmacologica o con tossine si ha una diminuzionedella pressione minima ma la resistenza non è l’unico fattore: il secondo elemento è il volume ematico.

Come è possibile misurare la pressione arteriosa? Le metodiche per ottenere questo tipo di infor-mazione si dividono in due gruppi: cruente ed incruente. Le metodiche cruente richiedono un inter-vento, un’incisione, per inserire un catetere connesso ad un trasduttore di pressione. Le metodicheincruente permettono di misurare la pressione arteriosa in modo indiretto ma molto più agevole.

La figura sopra illustra il principio su cui si basa il più importante metodo di misurazione incruen-ta: l’uso dello sfigmomanometro. Questo strumetno si compone di un bracciale in gomma contenutoall’interno di un manicotto di tela: si ha dunque una doppia parete, compliante all’interno e rigidaall’esterno. Quando il bracciale in gomma viene gonfiato si dilata ma viene ostacolato in questo dallatela all’esterno; l’aria viene immessa nel bracciale tramite una pompetta collegata ad un manometro:quando viene pompata aria la pressione ottenuta è dunque leggibile sullo strumento. Un punto impor-tante è che manometro e bracciale devono essere alla stessa altezza in quanto per altezze differenti siintroduce una variazione in funzione del vettore gravità (ρgh); il bracciale inoltre si mette sul braccioperchè in questo modo viene a trovarsi a livello del cuore. Quando cuore, bracciale e manometro sonoalla stessa altezza la seconda legge di Pascal garantisce che la pressione sia tra loro uguale. Quando lapressione nel bracciale viene innalzata oltre il valore interno ai vasi arteriosi questi si chiudono e il flus-so si arresta: il soggetto avverte un formicolio legato alla stimolazione dei nocicettori che rispondonoall’anossia. Questa azione è semplicemente tesa ad aumentare la pressione transmurale. A questopunto il polso, tipicamente quello radiale, non è più rilevabile. Quando si svita la vite posta sullapompetta la pressione inizia a scendere nel bracciale e quando raggiunge un valore di poco inferiorea quella massima sistolica si ha un guizzo di sangue: la parete a valle inizia a vibrare e il polso è dinuovo percepibile. Tramite il metodo palpatorio è dunque possibile determinare la pressione sistolicama non c’è modo di determinare la diastolica: serve necessariamente un fonendoscopio. Sfruttando

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un fonendoscopio è possibile apprezzare i rumori legati al flusso sanguigno. Quando la pressione nelbracciale è maggiore a quella aortica non c’è flusso e quindi non c’è rumore ad esso legato; nel momentoin cui la pressione scende al di sotto della massima il flusso ricomincia ad essere presente e mette invibrazione le pareti creando un rumore. Il rumore diventa via via più intenso all’aumentare del flussoma poi inizia a diminuire diventando ovattato in quanto il sangue passa ormai continuamente: quandoil rumore non è più percebile si è raggiunto il valore di pressione minima.Quando si va ad aumentare la pressione nel bracciale è necessario evitare di aumentarla troppo inquanto la compressione attiva la muscolatura liscia dei vasi arteriosi generando errori nella mis-urazione: in generale per un soggetto giovane in cui non si ipotizzano patologie si sale poco sopra i120mmHg e si scende lentamente. In definitiva lo sfigmomanometro si basa sul principio che le carat-teristiche del moto del sangue si modificano quando il vaso arteiroso viene compresso: il moto diventada laminare a turbolento e questo produce rumori che forniscono informazioni sulla pressione minimae su quella massima.

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9 Lezione 9

L’attività meccanica del muscolo cardiaco (come pure del muscolo scheletrico) dipende dalle sue par-ticolari proprietà elettriche. L’attività elettrica consiste nella capacità di generare potenziali d’azione iquali innescano un’attività meccanica attraverso un processo detto complemento ed eccitazione. Chetipo di attività eletrica si può registrare a livello del miocardio?

A livello del miocardio si possono avere due tipologie di potenziale d’azione: la risposta rapida e larisposta lenta. Larisposta rapida è tipica del miocardio specifico di conduzione atriale e ventricolare e del miocardiocomune atriale e ventricolare. La risposta lenta è tipica del tessuto nodale, cioè del nodo senoatriale edel nodo atrioventricolare.

Nel ricavare la curva A di risposta rapida si notano varie fasi dell’esperimento. Inizialmente l’elettro-do è posto nel bagno in cui la cellula è immersa e la differenza di potenziale è zero (tratto “a”); quandoviene portato all’interno del citoplasma si registra un potenziale che è il potenziale di riposo (punto “b”)che in questo tipo di cellule si aggira intorno ai −90mV . Ad un certo punto questo potenziale di riposoviene interrotto dall’insorgenza di un potenziale d’azione che consiste in una rapida depolarizzazioneseguita da una rapida ripolarizzazione: tra le due fasi sono però interposti elementi che sono tipicidelle cellule del miocardio e non esistono in quelle scheletriche. Il potenziale d’azione delle cellule delmiocardio è distinto in quattro fasi:

• Fase 0: depolarizzazione

• Fase 1: parziale ripolarizzazione (o spike)

• Fase 2: plateau

• Fase 3: ripolarizzazione

• Fase 4: potenziale di riposo

Il potenziale d’azione durca circa 200ms, è quindi molto più lungo del potenziale d’azione di una cellulanervosa (0, 5− 1ms) o di una cellula scheletrica (1− 3ms).

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La curva B presenta alcune differenze sostanziali. In primo luogo il potenziale d’azione delle celluleche rispondono in questo modo è molto meno negativo: si attesta intorno ai −60mV . La fase 0 didepolarizzazione è presente ma manca la fase 1 di spike e la flase di plateau è molto meno accentuata.In entrambe le risposte si nota che il potenziale va da un livello negativo ad uno leggermente positivo:accade quella che prende il nome di inversione (o overshoot) del potenziale.

Il potenziale di riposo di una cellula, in generale, dipende dal fatto che in condizioni di riposo lamembrana cellulare è molto permeabile agli ioni potassio ma scarsamente agli ioni sodio. La tabellasotto mostra le concentrazioni ed i potenziali di equilibrio delle principali specie ioniche di interesse peril miocardio:

Il sodio è più concentrato all’esterno della cellula e quindi tende ad entrare all’interno della cellula siasecondo il gradiente chimico sia secondo gradiente elettrico in quanto il suo potenziale di equilibrio diNernst è posto a +70mV (il potenziale di equilibrio di Nernst è il potenziale in cui la tendenza dello ionea migrare cessa). Al potenziale di riposo la permeabilità della membrana a questo ione è molto bassa.Lo ione potassio è molto concentrato all’interno della cellula e ha un potenziale di equilibrio di Nernstposto a −94mV : questo ione tende quindi ad uscire. La spinta all’uscita dalla cellula del potassio èdata da un modesto gradiente elettrico (4mV ) ma da un enorme gradiente chimico. La permeabilità perquesto ione al potenziale di riposo è molto elevata.La tendenza di entrambi gli ioni a muoversi è contrastata e bilanciata dall’azione della pompa Na-K cheriporta fuori li ioni sodio entrati e porta invece dentro ioni potassio. Il potenziale d’equilibrio dunqueè determinato da un lato dalle concentrazioni delle due specie ioniche e dall’altro dall’intervento dellapompa Na-K ATP-dipendente.L’ultimo ione da considerare è lo ione calcio che è fondamentale per la funzionalità miocardica. Questoione è molto più concentrato all’esterno della cellula, come il sodio, e tende dunque ad entrare dentrola cellula e lo fa sfruttando una permeabilità di membrana piuttosto elevata.

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La figura sopra illustra come i vari ioni contribuiscono alle varie fasi del potenziale d’azione (rispostarapida).

La fase zero di depolarizzazione è dovuta ad un aumento della permeabilità di membrana agli ionisodio, aumento reso possibile dall’apertura di canali al sodio voltaggio dipendenti. I canali al sodiovoltaggio diipendenti possono esistere in tre stadi funzionali:

• Chiusi

• Aperti

• Inattivi

Questo è dovuto al fatto che ognuno presenta due barriere: una barriera di attivazione e una barrieradi inattivazione. La depolarizzazione della cellula costituisce il segnale che provoca l’apertura di questicanali e il sodio, seguendo il gradiente elettrochimico, si precipita all’interno della cellula cercando diportarne il potenziale ai suoi +70mV. L’apertura dei canali è transitoria in quanto questi si inattivanodopo un tempuscolo relativamente breve: interviene infatti la barriera di inattivazione e questo spiegacome mai il potenziale di membrana non riesce a raggiungere i +70mV ma si ferma ad un valorecompreso tra +10 e +20mV . Quando interviene la barriera di inattivazione il canale non può più aprirsise non quando la cellula viene ripolarizzata perchè è proprio la ripolarizzazione a rimuovere la barrieradi inattivazione e a restaurare quella di attivazione: riassumendo la riapertura di un canale inattivato èoperata grazie al processo di ripolarizzazione ed è questa la ragione della fase 0 del potenziale d’azione.

La fase 1 è una fase di parziale ripolarizzazione ed è legata ad una corrente, detta ito(to= transientoutwork, transiente uscente), che percorre i canali omonimi. I canali ito sono canali al potassio anch’es-si voltaggio dipendenti e la loro apertura è scatenata dalla depolarizzazione. Quando si ha apertura dei

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canali al potassio questo ione tende a fuoriuscire seguendo il suo gradiente elettrochimico ma anchequesti canali hanno apertura transitoria e dunque non si raggiunge una ripolarizzazione completa mala membrana continua ad essere depolarizzata.

La fase 2 di plateau è una fase complessa alla cui realizzazione concorrono varie componenti. La pri-ma componente è una corrente entrante di ioni calcio attraverso canali detti canali L (L= LongLasting,a lunga apertura); questi canali in realtà si aprono all’inizio della fase 0 ma, poichè lenti, manifestanola loro presenza solo tardivamente, terminata la fase 1. Gli ioni calcio stanno a questo punto entrandonella cellula seguendo il loro gradiente elettrico che vorrebbe la membrana ad un potenziale di +132mV .Questo movimento netto di calcio tende a rendere più positiva la cellula mentre il grafico mostra cheil potenziale è invece piuttosto stazionario: come mai? La ragione è che se il calcio entra una secondaspecie ionica deve uscire e l’unica che lo fa è il potassio: l’equilibrio tra la corrente calcio entrante ela corrente potassio uscente mantiene costante il potenziale durante la fase di plateau. Il discorso èin realtà più complesso perchè se la permeabilità di membrana al potassio aumentasse molto si real-izzerebbe qualcosa di simile ad un corto circuito; durante la fase di plateau in effetti la conduttanza alpotassio diminuisce perchè vengono coinvolti particolari tipi di canali al potassio (le cellule del miocar-dio hanno almeno tre tipologie di canali per questo ione). La corrente al potassio coinvolta in questafase prende il nome di ik1 e viene denominata corrente rettificante in ingresso. La figura sotto illustrameglio il comportamento del potassio in questa fase:

Viene qui illustrato un esperimento di blocco del voltaggio, cioè una condizione in cui viene mantenutostabile un potenziale di membrana e, se vengono aperti dei canali, viene erogata una corrente oppostaa quella che vi passa attraverso. La corrente ik1 passa attraverso il canale omonimo che ha un com-portamento particolare: la sua permeabilità dipende dal potenziale di membrana. Nel grafico in X èsegnato il voltaggio imposto e in Y la corrente da erogare per mantenerlo. Il punto della curva sulla lineaindica il potenziale d’inversione, cioè il potenziale al quale il potassio attraversa il canale in entrambele direzioni con ugual tendenza. Se ci si allontana dal potenziale d’inversione lo ione potassio si muovecome in figura; per valori positivi la conduttanza di questo canale è minima e questo genera il plateaumentre per valori negativi la conduttanza aumenta e con esso la tendenza del potassio a migrare perraggiungere il suo potenziale d’equilibrio.

La fase 3 è la fase di ripolarizzazione ed è anch’essa legata ad una serie di eventi distinti. Il primoevento è la riduzione della permeabilità agli ioni calcio in quanto i canali L, pur rimanendo aperti

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a lungo, vanno incontro ad inattivazione anche se lentamente. Nel frattempo attraverso i canali ik1il potassio tende ad uscire e questo fa diventare la membrana più negativa: come visto nel graficoprecedente se questo accade la permeabilità al potassio aumenta in un circolo vizioso. Esiste inoltreun altro canale al calcio (al potassio?) che media la corrente rettificata ritardata. In sintesi la fase diripolarizzazione è dovuta all’esaurirsi dell’ingresso di calcio e all’aumento dell’ingresso di potassio, siaattraverso la corrente ik1, sia attraverso la corrente ito che si è ridotta ma non è sparita, sia attraversola corrente rettificata ritardata.

Riprendendo la figura 23.1 si possono esaminare altri aspetti dell’attività elettrica del cuore. Tuttii potenziali d’azione possiedono dei periodi refrattari assoluti e relativi. Durante il periodo refrattarioassoluto la cellula è assolutamente ineccitabile mentre durante il periodo refrattario relativo la cellulaè eccitabile ma con stimoli di maggior intensità del normale. Il periodo refrattario assoluto è legato alfatto che tutti i canali al sodio sono inattivati, quindi non apribili qualunque sia l’entità dello stimolo.Il periodo refrattario relativo inizia invece quando i canali escono dall’inattivazione per effetto dellaripolarizzazione: a mano a mano che il numero di canali apribili aumenta lo stimolo necessario ascatenare un potenziale diventa minore. Indicativamente il periodo refrattario relativo inizia a metàdella fase 3 e termina quando la cellula si è completamente ripolarizzata.

Quali sono in sintesi le differenze tra la risposta rapida e quella lenta?

• Il valore del potenziale di riposo: più negativo per la risposta rapida (−90mV ) e meno negativo perla lenta (−60mV ).

• La risposta rapida ha un’ampiezza di potenziale maggiore: parte da valori più negativi e raggiungevalori più positivi.

• Le velocità sia di ripolarizzazione che di depolarizzazione sono maggiori nella risposta rapida.

• La durata totale del potenziale d’azione è minore nella risposta lenta.

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La figura sopra pone l’accento sulla variazione di permeabilità ai vari ioni nelle varie fasi del poten-ziale d’azione. La prima a variare è la permeabilità al sodio che però ha una breve durata per viadell’inattivazione dei canali. La permeabilità al calcio legata ai canali L inizia con la fase di depolariz-zazione e si sviluppa lentamente per poi iniziare a ridursi durante la fase 3. La permeabilità al potassioinfine diminuisce durante la fase di plateau e tende ad aumentare durante la fase 3.

La domanda a questo punto è: come mai il potenziale d’azione di una cellula cardiaca è tanto diversodal potenziale d’azione di una cellula muscolare?

La figura sopra mostra l’aspetto elettrico (potenziale d’azione) accoppiato all’effetto meccanico. La fase0 è rappresentata dal tratteggio per ragioni tecniche: è troppo rapida per essere registrata e se siaumenta l’intensità si sbava tutto il resto. Risulta evidente che la scossa muscolare si sviluppa conun tempuscolo di ritardo rispetto al potenziale d’azione ma raggiunge il suo picco quando la cellulasi sta ripolarizzando e termina quando ormai la cellula è già completamente ripolarizzata. Gli eventimeccanici sappiamo essere sommabili tra di loro nel caso del muscolo scheletrico: in questo tipo dimuscolo si ha il fenomeno della sommazione delle scosse illustrato sotto:

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Uno dei meccanismi attraverso cui è possibile regolare la forza sviluppata da un muscolo scheletrico èappunto la sommazione delle scosse che, nel suo culmine, sfocia nella condizione di tetano muscolare.Nel muscolo cardiaco un secondo potenziale d’azione può insorgere solo nel periodo refrattario ma aquesto punto la seconda scossa non si somma alla prima se non per pochissimo: c’è sempre un periododi rilassamento tra una scossa e la successiva. Un altro dato è che il secondo potenziale d’azione è menoampio del primo e più breve perchè sono a disposizione meno canali al sodio.

Il muscolo scheletrico è sfruttabile in due tipologie di attività: attività tonica in cui la contrazionerimane stabile e attività fasica in cui si alternano fasi di contrazione e fasi di rilasciamento. Il muscolocardiaco non potrebbe mai avere un simile comportamento: la contrazione tonica nel cuore porterebbea morte del soggetto in pochi minuti. L’evoluzione ha trovato il modo di risolvere questo aspetto confer-endo ai potenziali d’azione cardiaci una durata più lunga in modo tale che ogni volta che c’è contrazionec’è obbligatoriamente una fase di rilasciamento prima della contrazione successiva. Il garantire un ri-lasciamento anche minimo a seguito di una contrazione cardiaca è dunque la ragione fondamentaledella durata del potenziale d’azione cardiaco.

Nel muscolo scheletrico il potenziale d’azione innesca un processo di rilascio del Ca++ libero nelreticolo sarcoplasmatico: il calcio liberato raggiunge il meccanismo contrattile, attiva i ponti actino-miosinici e il muscolo si contrae. Questa strategia non è attuabile nel muscolo cardiaco perchè ilpotenziale d’azione non è in grado di liberare direttamente il Ca++ : è il calcio che entra durante lafase di plateau a far uscire altro calcio dal reticolo sarcoplasmatico. Al termine della contrazione il

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calcio viene sequestrato nuovamente all’interno del reticolo sarcoplasmatico e la quota entrata in fasedi plateau viene espulsa dalla membrana.

Questi aspetti si collegano al modo in cui si può graduare la forza muscolare scheletrica. La forza diun muscolo scheletrico si regola tramite due meccanismi fondamentali:

• Sommazione delle scosse

• Reclutamento delle unità motrici

L’unità funzionale del muscolo è l’unità motrice, definita come l’insieme del motoneurone e da tutte lefibre che esso innerva: ogni muscolo può dunque essere considerato come una somma di unità motrici.Quando contraiamo un muscolo le unità motrici non si attivano in blocco ma lo fa solo una parte: èdunque possibile graduare la forza aumentando o diminuendo la frazione di unità motrici attivate.Il muscolo cardiaco ha un’organizzazione molto diversa tale per cui quando una sola cellula si eccital’intero cuore la segue: quando il cuore batte lo fa perchè tutte le cellule del miocardio sono eccitate.Il meccanismo per regolare la forza del cuore non può dunque contare sul reclutamento delle unitàmotrici: viene invece sfruttata la via di modulazione della quantità di ioni calcio in ingresso alla cellula.Questo meccanismo di regolazione è stato accennato parlando della contrattilità e definito come unaregolazione omeometrica, cioè indipendente dalla lunghezza della fibra miocardica. In ultima analisila possibilità del cuore di regolare la forza di contrazione è basata sull’esistenza dei canali al calciovoltaggio dipendenti di tipo L.

Lo studio della regolazione del controllo di contrattilità attraverso i canali L è illustrato nella figurasotto:

La cellula in esame è posta in un bagno in cui viene immessa una sostanza che blocca i canali al calciovoltaggio dipendenti: queste sostanze sono chiamate beta bloccanti. La figura mostra quattro tracciatidi controllo in cui i numeri 3, 10 e 30 rappresentano concentrazioni crescenti di beta bloccante. Dalpunto di vista elettrico si nota che a concentrazione 3 non si hanno quasi modifiche del potenzialed’azione mentre le concentrazioni maggiori, riducendo l’ingresso di ioni calcio, provocano una riduzionedella fase di plateau e quindi una precoce ripolarizzazione della cellula: dal punto di vista elettricodunque il beta bloccante tende a ridurre la durata del potenziale d’azione perchè la fase di plateau èpiù breve. Dal punto di vista meccanico le variazioni sono invece notevoli; la concentrazione 3, chequasi non variava l’aspetto elettrico, quasi dimezza la forza sviluppata e i valori maggiori la riduconoulteriormente. Questo esperimento illustra come il movimento degli ioni calcio sia alla base della

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modulazione della forza. Questo concetto pone le basi di un uso farmacologico dei beta bloccanti: unfarmaco di questo tipo è in grado di ridurre la forza di contrazione modificando l’attività elettrica inmodo marginale.

Riprendendo la figura 23.1 la domanda da porsi è questa: è possibile trasformare un tipo di rispostanell’altro? Il primo caso è la trasformazione di una risposta rapida ad una risposta lenta, processo cheè realizzabile.

In A si vede la reazione di risposta rapida prodotta da una fibra del Purkinje: la fase 1 di ripolarizzazioneè molto più pronunciata rispetto a quelle viste perchè la corrente ito è molto più marcata. Il bagno incui è posta la cellula in esame contiene tetrodotossina che si lega ai canali al sodio voltaggio dipendentie ne impedisce l’apertura. Una cellula muscolare trattata allo stesso modo prima vede il suo poten-ziale d’azione ridotto e poi scomparso; una cellula miocardica invece si adatta alle nuove condizionitrasformando una risposta rapida in una risposta lenta: questo è possibile perchè la tetrodotossinablocca i canali al sodio ma non quelli al calcio. In queste condizioni il potenziale dipende dunqueesclusivamente dagli ioni calcio; in una cellula miocardica sono presenti due correnti: una rapida alsodio e una lenta al calcio. Quando la corrente rapida viene bloccata, la corrente lenta può comunquegenerare un potenziale d’azione ma lo farà più lentamente. Tramite questo esperimento si è dimostratoche è possibile trasformare una risposta rapida in lenta con la tetrodotossina ma questo non ha valoreterapeutico in quanto un soggetto trattato con questa sostanza morirebbe per paralisi respiratoria.

La figura sopra illustra una seconda via per modificare il tipo di risposta: variare la concentrazioneextracellulare di ioni potassio. Se vado ad aumentare la concentrazione di potassio extracellulare ilpotenziale di riposo si riduce perchè questo ione avrà una minor tendenza ad uscire: la cellula è tantomeno negativa tanto maggiore è la concentrazione degli ioni potassio. All’aumentare della concen-trazione extracellulare di potassio il potenziale d’azione si trasforma sempre più in una risposta lenta:questo risultato si ottiene perchè riducendo il potenziale di membrana i canali al sodio si inattivano

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gradatamente quindi applicando uno stimolo ci sono sempre meno canali al sodio chiusi e quindi sem-pre meno apribili. Questa situazione ha un risvolto clinico importante: tutte le situazioni che alteranola concentrazione del potassio interferiscono con l’eccitabilità dei tessuti; tra queste situazioni vannoinserite anche quelle comuni di diarrea o sudorazione elevata.L’ultima condizione in cui è possibile trasformare una risposta rapida in una lenta è legata alla pompaNa-K. Il potenziale di riposo di membrana è legato all’intervento di questa pompa che, se bloccata pervia farmacologica, ne fa ridurre il valore (cioè si avvicina al valore di −60mV ) generando una rispostalenta. Riassumendo il trasformare una risposta da rapida a lenta significa ridurre la forza sviluppatadal muscolo cardiaco ed è un risultato ottenibile secondo tre metodi:

1. Uso della tetrodotossina

2. Variazione della concentrazione extracellulare di potassio

3. Blocco della funzionalità della pompa Na-K

Trasformare una risposta rapida in una lenta è dunque possibile: è fattibile anche l’operazioneopposta? No. La risposta lenta è tipica del tessuto nodale che forma agglomerati di piccole dimensioniche hanno importanza nella funzionalità cardiaca ma non nello sviluppo di forza. Si potrebbe pensareche si possa indurre una risposta rapida in queste cellule portando il potenziale di riposo da −60mV a−90mV ma questo non succede perchè, in condizioni fisiologiche, mancano i canali al sodio voltaggiodipendenti. La ragione per cui non è possibile rendere rapida una risposta lenta è che le cellule nodalisemplicemente non hanno i requisiti minimi: mancano i canali fondamentali.

La figura sopra mostra una risposta rapida e dei tentativi di far insorgere una seconda rispostacon stimoli successivi nel periodo refrattario relativo. Dal grafico sotto si deduce che quando insorgeil potenziale d’azione c’è un periodo di refrattarietà assoluta in cui la soglia di insorgenza di un sec-ondo potenziale è +∞. La soglia tende poi a diminuire nel tempo e quindi stimoli di intensità calantesono richiesti per provocare un secondo potenziale d’azione. L’esistenza del periodo refrattario è statadimostrata molto prima che venisse scoperto il potenziale d’azione e l’esperimento che ha portato aquesta dimostrazione è illsutrato sotto:

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Questa figura risale al 1876 e fu opera di un fisiologo francese, Marey. A quei tempi si lavorava suun cuore di rana che era più facile da mantenere di quello di un mammifero. La traccia in biancoè l’incisura di una punta fatta su cilindri rotanti e misura la forza sviluppata dal ventricolo: tutti itracciati sono allineati in modo da coincidere con l’inizio della seconda sistole. A partire dal tempo0 si applicavano stimoli elettrici e questo si vede dal gradino che si forma nella linea bianca sotto itracciati. L’esperimento dimostra che uno stimolo applicato subito dopo l’inizio della sistole è inutile:il ventricolo in questo tempo non è eccitabile. Nel tracciato 4 l’applicazione di uno stimolo in ritardoinizia a provocare una seconda contrazione di minor forza e durata della prima che si innesca nella fasedi rilasciamento del ventricolo. La scossa indotta dalla stimolazione elettica diventa via via maggiorefinchè nel tracciato 8 arriva a somigliare alla precedente se non per l’insorgenza un pochino precoce:la scossa 8 è insorta prima del previsto. Quando gli eventi elettrici sono turbati questo si riflette neglieventi meccanici e questi sono più facili da rilevare: il tracciato 8 indica un’extra-sistole. L’extra-sistolenon dipende dalla sistole anticipata ma da quella successiva che, per bilanciare la situazione, avvienedopo un intervallo più lungo: il ventricolo si riempie in misura maggiore per regolazione eterometrica equesto viene avvertito come un “rimbalzo” del cuore.

Riassumendo i discorsi di questa lezione si può dire che il muscolo cardiaco differisce da quelloscheletrico per alcune fondamentali tematiche:

• Non può mai avere contrazioni toniche: deve rilasciarsi dopo ogni contrazione.

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• Non può sfruttare la via di sommazione delle scosse.

• Non può sfruttare il reclutamento delle unità motrici.

• La regolazione della forza avviene controllando i gradienti di calcio.

Un altro punto importante è il rapporto delle due tipologie di muscolo con l’innervazione. Il muscoloscheletrico denervato diventa totalmente ineccitabile e, poichè l’innervazione ha funzione trofica, di-venta anche atrofico fino a ridursi ad una massa connettivale. Il muscolo cardiaco denervato conservainvece la capacità di battere3 grazie a due sue caratteristiche fondamentali:

• Automatismo: il cuore è in grado di eccitarsi da solo

• Ritmicità: il cuore è in grado di dare un ritmo alla sua attività autonoma

La figura sopra mostra i potenziali d’azione registrati in una trabecola di muscolo cardiaco isola-ta dal resto del cuore. Per ottenere una contrazione bisogna applicare stimoli elettrici a frequenzacostante in modo da simulare l’attività ritmica fisiologica. La durata del potenziale d’azione è moltolunga quando la frequenza di stimolazione è bassa (24Hz) e si va riducendo a mano a mano che siraggiungono frequenze superiori (162Hz). La durata del potenziale d’azione si riduce perchè si riduce lafase di plateau: la frequenza di stimolazione influenza le proprietà dei canali responsabili della fase diplateau e di quella di ripolarizzazione. Secondo alcuni studiosi la stimolazione modifica la corrente itopotenziandola all’aumentare e facendo insorgere così precocemente la ripolarizzazione.

3Questo è il motivo per cui è stato possibile trapiantare il cuore molto prima del muscolo.

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La figura illustra i potenziali d’azione registrati a tre livelli diversi: in A il miocardio comune ventrico-lare, in B il nodo senoatriale, in C il miocardio comune atriale. Confrontiamo i due miocardi. Nell’atrioil potenziale d’azione dura molto di meno e quindi l’evento meccanico dura circa la metà: questo è ilmotivo per cui la sistole atriale è più breve di quella ventricolare. Il potenziale d’azione delle celluleatriali è diverso per via di proprietà leggermente diverse dei canali per esso responsabili. In B si notache la scala dei tempi è dimezzata rispetto ad A e C: li potenziale qui descritto è molto più breve deglialtri due. Sono presenti le caratteristiche viste prima: potenziale di riposo minore, durata minore,mancanza di fase 1 e di plateau; questo è possibile perchè le cellule nodali non devono sviluppare forzama hanno un ruolo fondamentale che si nota alla fine della fase quattro: in A e in C il potenziale diriposo è stabile mentre in B non si è in grado di mantere un valore costante. L’incapacità di mantereun potenziale di riposo costante delle cellule nodali non è un errore di natura ma è la ragione per cui ilcuore ha la capacità di eccitarsi in maniera autonoma.

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10 Lezione 10

Riprendendo l’ultima figura vista, si era arrivati all’osservazione che le cellule del nodo senoatrialepresentano un potenziale di riposo instabile e che questa proprietà è alla base della capacità del cuoredi autoeccitarsi, cioè del suo automatismo. Questo potenziale instabile ha un nome: si tratta delpotenziale pacemaker ed è il generatore del ritmo cardiaco. Si ha dunque una depolarizzazione gradualeche, quando raggiunge una determinata soglia, determina la generazione di un potenziale d’azione.Nelle cellule nervose o in quelle muscolari l’insorgenza di un potenziale d ’azione è provocata per viasinaptica, grazie all’azione dei recettori sensoriali o artificialmente in laboratorio: qui invece vediamouna capacità totalmente nuova, quella di generare un potenziale d’azione in assenza di stimoli esterni.I meccanismi ionici responsabili del potenziale pacemaker sono molto diversi da quelli responsabili delpotenziale d ’azione che era stato definito risposta lenta.

La proprietà di non avere un potenziale di riposo stabile è posseduta da tre tipologie di cellule:

• Le cellule del nodo senoatriale

• Le cellule del nodo atrioventricolare

• Le cellule ventricolari

Su questa base si afferma che esistono tre pacemaker a tre diversi livelli ma, in condizioni fisiologiche,il ritmo viene dettato solamente dalle cellule del nodo senoatriale.

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La figura sopra parla di un pacemaker A dominante che, in condizioni fisiologiche, è il nodo senoatrialee di un pacemaker subordinato B che può essere sia il nodo atrioventricolare che le cellule pacemakerventricolari. In tutte le curve la linea grigia rappresenta la soglia d’insorgenza del potenziale d’azione.Il potenziale d’azione è un fenomeno tutto o nulla, cioè non presenta livelli intermedi: se in un puntoviene raggiunta la soglia è li che insorgerà il potenziale che si propaga poi in entrambe le direzioni. Lapropagazione dell’informazione normalmente viene descritta come unidirezionale ma non per proprietàfisiche della membrana ma per il fatto che le sinapsi sono strutturate in modo da funzionare in una soladirezione: questo non accade invece in ambito cardiaco. Qual è dunque la differenza tra il pacemakerA e quello B? Le depolarizzazioni hanno velocità diverse. In A la cellula inizia a depolarizzarsi e,raggiunta la soglia, scatena il potenziale d’azione. In B la cellula si nota avere potenzialità da pacemakerma queste non vengono sfruttate perchè il potenziale d’azione insorge propagato da un’altra fonteprima che abbia il tempo di scatenarsi autonomamente: la differenza è dunque legata al fatto che ladepolarizzazione è troppo lenta in B e fa prima la cellula A ad arrivare a soglia. Se vengono distruttele cellule del nodo senoatriale il pacemaker diventa il nodo atrioventricolare che però detterà al cuoreuna frequenza inferiore: il pacemaker dominante è dunque, in ogni momento, semplicemente quellopiù rapido a disposizione.

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Il potenziale pacemaker detta dunque la frequenza alla quale batte il cuore: modificare questopotenziale significa dunque modificare la frequenza cardiaca. Sono stati individuati sperimentalmentetre modi per variare il potenziale pacemaker.Il primo metodo consiste nel cambiare la pendenza del potenziale, cioè di rendere la sua curva piùripida in modo da raggiungere la soglia più velocemente. Questo metodo ha a che fare con la variazionedel comportamento dei canali che determinano il potenziale pacemaker.Il secondo metodo consiste nel variare il livello di soglia: se questo livello si abbassa la frequenzaaumenta perchè il potenziale pacemaker lo raggiunge prima, il contrario accade se si alza.Il terzo ed ultimo metodo consiste nel modificare il livello del potenziale di riposo. Se la forbice trapotenziale di riposo e soglia aumenta la frequenza diminuirà perchè ci vorrà più tempo a colmare ildivario. Riassumendo le metodiche di variazione del pacemaker sono:

• Cambio della pendenza

• Cambio della soglia

• Cambio del potenziale di riposo

Classicamente di questi tre meccanismi uno viene indicato come non vero ma solo teorico: un temposi era certi che la soglia non si potesse modificare ma esperimenti recenti suggeriscono il contrario. Almomento il problema della modificabilità della soglia è aperto.

Come si origina il potenziale pacemaker? Le cellule che ne sono dotate sfruttano canali partico-lari che permettono il passaggio di particolari correnti: tutto questo non è presente nelle cellule conpotenziale di riposo stabile. Quali sono le correnti? La prima corrente viene detta IF (Inward Funny,cioè entrante stramba) edè una corrente al sodio in ingresso che passa attraverso dei canali voltaggiodipendenti il cui segnale di apertura è l’iperpolarizzazione. Quando la cellula ha generato il potenzialed’azione si deve poi ripolarizzare, ed è questo il segnale d’apertura dei canali al sodio IF: la cellulamiocardica a questo punto inizia a depolarizzarsi sotto l’effetto del sodio entrante. L’iniziale depolar-izzazione indotta dalla corrente IF è il segnale che fa scattare l’apertura di un secondo tipo di canale,

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stavolta per il calcio, detto canale T (T=transiente): all’iniziale ingresso di sodio si aggiunge ora l’ingres-so di calcio e quindi la depolarizzazione si fa più intensa e porta la cellula verso la soglia. Una terzacorrente fondamentale contribuisce al pacemaker: si tratta di una corrente al potassio. Durante lagenesi del potenziale pacemaker i canali al potassio tendono a chiudersi e non ad aprirsi: il potassiofinisce con l’essere bloccato all’interno della cellula e la mancata uscita di cariche positive equivalead iniettarne rendendo la cellula ancor più positiva. Riassumendo sono tre le correnti cui è legato ilpotenziale pacemaker:

• Corrente IF: corrente entrante al sodio

• Corrente T: corrente entrante al calcio

• Corrente potassio: blocco della fuoriuscita di potassio

La combinazione di questi tre elementi genera il potenziale pacemaker: a seconda delle caratteristichedei canali interessati si generano frequenze diverse. In base a questa considerazione si può regolareil potenziale pacemaker e modificare così la frequenza cardiaca. Quando un cuore si è eccitato e si ècontratto il ciclo successivo viene innescato dalle cellule che si depolarizzano per prime, cioè le celluledel nodo senoatriale.

Nel muscolo cardiaco le cellule muscolari sono striate e hanno sarcomeri simili a quelli del muscoloscheletrico ma ci sono degli elementi di forte distinzione morfologica e funzionale. In questo tessutoesistono le strie intercalari, visibili anche in microscopia ottica, all’interno delle quali vi sono duetipologie di formazioni: i desmosomi, la cui funzione è l’assicurare continuità meccanica al miocardio,e le gap junctions; le gap junctions sono canali a bassa resistenza che mettono in comunicazione duecellule contigue: sono queste formazioni li substrato anatomico delle sinapsi elettriche. La maggiorparte delle sinapsi elettriche, a differenza di quelle chimiche, è bidirezionale: quando una cellula delmiocardio raggiunge il potenziale d’azione questo si propaga a tutto il ventricolo sfruttando questotipo di connessioni. In base a questo comportamento un tempo si diceva che il cuore non fosse unsincizio ma che si comportasse come tale, cioè lo si può considerare un sincizio funzionale. Il risultatodella presenza di questa organizzazione anatomica è che o il cuore non è eccitato o se è eccitato lo èogni singola cellula. Il pacemaker fisiologico è dunque il nodo senoatriale, dove le cellule raggiungonoper prime il livello soglia, ma il potenziale d’azione qui generato si diffonde a tutto il cuore tramite lesinapsi elettriche. Il miocardio si divide però in varie tipologie di tessuti (miocardio di lavoro, nodale,non nodale, specifico di conduzione): esiste un miocardio specifico di conduzione che è in grado diconvogliare lo stimolo in modo efficace ottimizzando la contrazione.

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In figura si vede uno spaccato del cuore con evidenziato il miocardio specifico nodale e quello di con-duzione. L’eccitamento si propaga attraverso tutto l’atrio tramite il miocardio specifico di conduzioneatriale che è costituito dalle vie internodali; le vie internodali prendono il nome di anteriore, posterioree media e tutte raggiungono il nodo atrioventricolare. Esiste una via atriale aggiuntiva che va dall’atriodestro a quello sinistro: si tratta del fascio di Backmann ed è la struttura alla base della sincronia del-l’attività dei due atri (il potenziale insorge in atrio destro, quindi in posizione asimmetrica). La velocitàdi propagazione dipende in generale da due aspetti:

• Presenza/assenza di mielina

• Diametro della fibra4

Nel caso del muscolo cardiaco non esistono fasci mielinici, sonotutti amielinici e conducono con una velocità dell’ordine di un metroal secondo; questa velocità, non certo elevata, è comunque doppiarispetto a quella a cui conduce il miocardio comune atriale: la fun-zione di questo tessuto specializzato è dunque condurre velocementelo stimolo. Una volta raggiunto il nodo atrioventricolare si incontra ilfascio di His (o fascio atrioventricolare comune) che è l’unica strutturache mette in comunicazione la muscolatura atriale e quella ventrico-lare. Il fascio di His conduce ad una velocità quattro volte superioredel miocardio specifico atriale: si arriva a valori di circa 4m/s. Lastruttura del fascio è divisa in una branca sinistra, più robusta, e una

4Come ordine di grandezza si può ottenere la velocità su di una fibra moltiplicandone il diametro per un valore compreso tra5 e 6, ad esempio una fibra di 20µ conduce a circa 120m/s.

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destra, più esile; la branca sinistra si divide ulteriormente in una di-visione anteriore ed una posteriore. La branca sinistra raggiunge l’apice del c uore e termina sia incorrispondenza di questo che delle pareti laterali come fibre del Purkinje. Le fibre del Purkinje sonodunque le ultime diramazioni del fascio di His. Il senso del fascio di His è condurre velocemente l’impul-so: come risultato la contrazione del ventricolo è simultanea in ogni sua parte. Se non fosse presenteun tessuto con le proprietà del fascio di His ci sarebbe uno sfasamento tra le prime cellule a contrarsie le ultime: il cuore diventerebbe incredibilmente inefficiente.

La figura sopra mostra i potenziali d’azione delle principali cellule di interesse cardiaco. La primacellula è quella del nodo senoatriale, la linea verticale rappresenta l’istante in cui il potenziale pace-maker raggiunge la soglia. Il potenziale d’azione insorge per primo nelle cellule del nodo e si propaga atutto il cuore; le cellule del miocardio atriale si eccitano con un tempo di ritardo legato alla conduzionee si nota che presentano un potenziale di riposo stabile: non hanno potenzialità pacemaker.Il nodo atrioventricolare ha potenzialità pacemaker ma è troppo lento e subisce quindi una eteroecc-itazione. A livello del nodo atrioventricolare l’eccitamento rallenta la sua velocità; questa struttura èformata da cellule di piccole dimensioni che conducono a una velocità bassissima, intorno ai 5cm/s. Lastruttura del nodo atrioventricolare è piuttosto complessa in cui si riconoscono varie zone:

• La zona AN (Atrio-Nodo) dove le cellule subiscono la transizione tra citotipo5 atriale e citotiponodale.

• La zona N costituita da cellule tipicamente nodali.

5Termine che probabilmente neanche esiste ma fa cultura.

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• La zona NH (Nodo-His) dove le cellule subiscono la transizione da citotipo nodale a citotipo delfascio di His.

La velocità di propagazione del segnale è direttamente proporzionale al diametro della cellula da at-traversare: tanto più è piccola la cellula tanto minore è la velocità. Le cellule che compongono ilfascio di His sono molto piccole e questo fornisce una ragione anatomica alla bassissima velocità diconduzione: si ha un rallentamento di parecchie decine di millisecondi. Il significato funzionale diquesto ritardo è che in questo modo l’eccitazione prima invade l’atrio che si contrae e poi invade ilventricolo che si contrae: se fosse tutto simultaneo verrebbe meno il contributo della sistole atrialeche, ricordiamo, contribuisce al 20% del volume telediastolico. Una volta superato il rallentamento delfascio di His si ha il problema di far propagare l’eccitamento nel modo più veloce possibile ad entrambii ventricoli e a questo rispondono le branche del fascio. Tutte le strutture coinvolte a questo punto(fibre del Purkinje e miocardio ventricolare) presentano risposta rapida però le fibre del Purkinje hannoun potenziale d’azione molto più lungo: questo secondo alcuni è legato all’impedire che il potenzialetorni indietro. Se l’ultima cellula del ventricolo ad eccitarsi fosse circondata da cellule il cui periodorefrattario assoluto è terminato si avrebbe eccitazione retrograda: questo è appunto quel che vieneimpedito dal lungo potenziale delle fibre. La prima parte del miocardio comune ad essere eccitata è ilsetto interventricolare o meglio la sua parte anteriore, cioè quella dove decorre il fascio di His. Questacontrazione del fascio è importante perchè il cuore non ha un ancoraggio osseo e l’irrigidimento del set-to fornisce un appoggio per l’azione successiva, quando si eccita l’apice. All’eccitazione dell’apice seguequella delle pareti laterali del ventricolo fino alla porzione posteriore del setto. Riassumendo l’ordine dicontrazione del ventricolo è:

1. Setto interventricolare, porzione anteriore

2. Apice

3. Pareti laterali e setto interventricolare posteriore

Il particolare ordine di contrazione fa si che il ventricolo venga effettivamente spremuto spostando ilsangue in direzione della valvola semilunare in modo da svuotarsi efficacemente; pazienti con patologiedel miocardio specifico di conduzione presentano contrazioni ad efficacia estremamente ridotta.

L’attività elettrica del cuore è dunque alla base delle sue capacità meccaniche: questo quadro èmodificabile in qualche misura? La risposta è ovviamente si, altrimenti la frequenza cardiaca, la gittatae gli altri parametri dovrebbero essere costanti. Si è già visto che il cuore subisce regolazione intrinsecaed estrinseca. La regolazione intrinseca si basa su meccanismi interni al cuore ed esempi sono la rego-lazione eterometrica dell’attività cardiaca (la legge di Starling), l’automatismo cardiaco e la propagazionedell’eccitazione. Accanto ai sistemi intrinseci esistono quelli estrinseci di natura ormonale o nervosa.

Il cuore è innervato sia dal simpatico che dal parasimpatico ma nessuno dei due è necessario per lagenesi del battito cardiaco: qual è dunque il loro ruolo? L’innervazione aggiunge e raffina la capacità diadattamento del cuore. La regola generale è che il parasimpatico ha funzione inibitoria e il simpaticoeccitatoria: hanno funzione antagonista anche in ambito cardiaco.

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L’innervazione parasimpatica è fornita dai rami del nervo vago, i cui corpi cellulari si trovano nel nu-cleo motore dorsale del vago e nel nucleo ambiguo. I nuclei di origine del vago sono a loro volta sottocontrollo di altre regioni del sistema nervoso. Le fibre di questo nervo sono fibre pregangliari e contrag-gono sinapsi con gangli che si trovano in prossimità dell’organo (questa è una grande differenza conl’innervazione simpatica) . Nel caso del sistema nervoso simpatico i nuclei di origine si trovano invecenella colonna intermedia del midollo spinale e fuoriescono come ramo comunicante bianco andando araggiungere i gangli della catena paravertebrale; i segmenti spinali di riferimento sono CVII-TV. I ganglifondamentali per questo sistema sono il cervicale superiore, il medio e quello inferiore oltre ai primigangli toracici. Da questi gangli partono i rami comunicanti grigi che raggiungono i nervi e decorrono fi-no ad arrivare al cuore, innervandolo. Importante è che le fibre pregangliari (ramo comunicante bianco)sono mieliniche, mentre quelle postgangliari sono amieliniche. In ultima analisi sia il sistema nervososimpatico che il parasimpatico sono controllati dal SNC che impartisce ordini ai nuclei diriferimento.Quali porzioni della muscolatura ventricolare sono interessate dall’innervazione? Il simpatico inner-va il nodo senoatriale, il nodo atrioventricolare, il miocardio comune atriale e il miocardio comuneventricolare, in pratica tutto il cuore. Il parasimpatico innerva invece il nodo senoatriale, quello atri-oventricolare, la muscolatura comune atriale mentre innerva pochissimo la muscolatura ventricolare,dunque non influenza la forza di contrazione del ventricolo. La potenza dell’effetto è legata alla potenzadell’innervazione quindi il controllo del ventricolo è legato soprattutto al sistema nervoso simpatico. Ilnodo senoatriale, sede del pacemaker cardiaco, è sotto innervazione di entrambi i sistemi; il parasim-patico (inibitorio) diminuisce la frequenza cardiaca, il simpatico (eccitatorio) la aumenta. Questo tipo dicontrollo viene definito effetto cronotropo, suddiviso in effetto cronotropo positivo (simpatico) e negativo(parasimpatico). Entrambi i sistemi controllano il nodo atrioventricolare, sede di enorme rallentamen-to dello stimolo: il simpatico diminuisce l’entità del rallentamento mentre il parasimpatico l’aumenta;questo effetto prende il nome di effetto dromotropo e sarà dromotropo positivo per il simpatico e dro-motropo negativo per il parasimpatico. Esiste inoltre un’innervazione della muscolatura atriale, di pocaimportanza, e una ventricolare, sulla quale il simpatico effettua azione positiva e il parasimpatico neg-ativa: si tratta dell’effetto inotropo, cioè della variazione della forza di contrazione. Si è visto che lamuscolatura ventricolare è innervata quasi esclusivamente dal simpatico: se ne deduce che l’effettoinotropo positivo esiste mentre quello negativo è qualcosa di irrilevante. A questo punto risulta chiaroche in passato si è parlato di inotropismo usando un suo sinonimo: contrattilità. Le principali azionidel sistema nervoso sul cuore sono dunque:

• Effetto cronotropo sulla frequenza delle contrazioni

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• Effetto dromotropo sulla velocità di conduzione del fascio di His

• Effetto inotropo sulla forza delle contrazioni

In cosa consistono i tre effetti? Vediamo il meccanismo di ognuno singolarmente.L’effetto cronotropo riguarda il potenziale pacemaker, si verifica infatti nel nodo senoatriale. Una

premessa al suo funzionamento è la seguente: se devo regolare un qualsiasi parametro è più semplicese il livello base non è zero ma un valore diverso; le variazioni da un livello non zero sono più facili daottenere in quanto non bisogna andare a valori negativi se si vuole diminuire il fenomeno. In terminirigorosi si afferma che il SNA che raggiunge il cuore è dotato di un’attività tonica: se si registra l’attivitàdelle fibre simpatiche e parasimpatiche si trova un valore di base nell’organismo a riposo; in altre paroleil pacemaker primario del cuore è sottoposto continuamente in modo tonico ad una serie di segnali(ecco il concetto di non partire da valore zero): per regolare l’azione del cuore a questo punto bastamodulare il segnale tonico. Come si dimostra che questo è possibile? Anestetizzando un animale eregistrando l’attività dei tronchi simpatici e parasimpatici, inoltre è possibile andare a studiare l’azionedel singolo comparto del SNA bloccando l’azione dell’altro. L’esistenza di una stimolazione tonica èdimostrata se, eliminando uno o l’altro componente, la frequenza del cuore cambia. La farmacologia conil tempo ha scoperto sostanze che bloccano selettivamente un comparto: la tropina blocca l’azione delparasimpatico perchè blocca l’azione dell’acetilcolina mentre il propanololo blocca l’azione del simpatico(un tempo gli stessi effetti si ottenevano recidendo fisicamente le connessioni con uno o l’altro sistema).Qualunque sia la via di blocco, cosa succede quando viene interrotta la stimolazione? La frequenzacardiaca diminuisce se viene bloccata l’azione del simpatico; se un cuore che batte ad una frequenzadi 70bpm viene privato dell’innervazione simpatica questo si sposta verso frequenze intorno ai 60bpm. Ilrisultato opposto si ottiene con il blocco del parasimpatico: si va verso frequenze di 110bpm. Se entrambele divisioni del SNA vengono bloccate, i loro contributi vanno a sommarsi: il simpatico toglie 10bpm, ilparasimpatico ne aggiunge quaranta con il risultato che il cuore si assesta ad una frequenza di 100bpm.Uno spunto interessante è dato dal trapianto: un cuore sottoposto a trapianto non ha controllo tonicoda parte del SNA e quindi batte autonomamente alla frequenza di 100bpm, ben più alta del normale.In che modo l’innervazione SNA modifica la frequenza? In cosa le cellule del nodo senoatriale vengonocambiate? Si va a modificare il potenziale pacemaker. Un esempio pratico è il desiderio di aumentarela frequenza cardiaca; per ottenere un battito più rapido in teoria ho a disposizione tre vie:

• Inibire l’azione del parasimpatico

• Potenziare l’azione del simpatico

• Fare entrambe le cose in misura minore

Il controllo è dunque raffinato in quanto la frequenza è il determinante fondamentale della gittatacardiaca.

La figura sopra mostra i potenziali registrati a livello delle cellule pacemaker (l’ascesa lenta e costanteè il potenziale pacemaker). La linea discontinua rappresenta il tempo di stimolazione del simpatico odel parasimpatico (nervo vago). Quando si ha stimolazione del parasimpatico la cellula a fine ripolariz-zazione raggiunge un potenziale di riposo più negativo e quindi il potenziale pacemaker diventa meno

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ripido: vengono sfruttati due meccanismi di controllo, cioè l’abbassamento del potenziale di riposo ela variazione della pendenza. Dal grafico si nota un aspetto importante, cioè che l’effetto cronotroponegativo introdotto dalla stimolazione parasimpatica permane anche dopo che lo stimolo è cessato:questo è in contrasto con l’effetto del simpatico che cessa con la stimolazione. Questo è dovuto alfatto che il simpatico agisce attraverso la liberazione di acetilcolina che viene scissa per via enzimatica(acetilcolinesterasi) in brevissimo tempo; il parasimpatico agisce invece tramite la noradrenalina cheviene allontanata per riassunzione in un processo più lungo. L’effetto del simpatico è cronotropo pos-itivo e non è legato ad un abbassamento del potenziale di riposo: si ha solo un aumento della ripiditàdel potenziale pacemaker in modo da raggiungere prima la soglia. In breve dunque il parasimpaticocontrolla la frequenza cardiaca a breve durata mentre il simpatico lo fa per periodi un po’ più lunghiQueste fottutissime sbobinature si contraddicono a rotta di collo. Controllare il libro che tutto sa etutto può.

Sappiamo dunque che è il potenziale pacemaker a generare il battito cardiaco: modificandolo sivaria la frequenza. Il potenziale pacemaker è dovuto a tre correnti (IF, T e al potassio) ed è qui che ilSNA agisce.Il simpatico ha l’effetto di potenziare le correnti entranti, cioè la corrente al sodio IF e la corrente alcalcio T: quando si ha stimolazione entra più calcio e la soglia viene raggiunta più velocemente. Unsecondo effetto del simpatico è la riduzione della permeabilità al potassio e quindi il potenziamento deimeccanismi di base di genesi del potenziale pacemaker. In sintesi maggior ingresso di sodio e calcio eminor uscita di potassio sono gli effetti della stimolazione simpatica.Il parasimpatico svolge il suo effetto soprattutto sui canali al potassio che diventano più permeabili: ilpotassio fuoriesce maggiormente, il potenziale diventa più negativo e la pendenza della curva è minore.

Da un punto di vista funzionale quali sono le ricadute funzionali della variazione di frequenzacardiaca? La tabella sotto le illustra:

La frequenza cardiaca normale di riposo è circa 70bpm e questo è legato al bilancio delle varie regolazioni.Quando questa frequenza aumenta cosa succede? La durata del ciclo deve ridursi, quindi diastole esistole diventano più brevi: la differenza è che la diastole è un processo passivo mentre la sistole unprocesso attivo. La tabella mostra che passando ad una frequenza di 150bpm la sistole diminuiscepochissimo (intorno al 10%) mentre la diastole risulta troncata notevolmente (intorno al 75%) . Daquesti dati si deduce che l’aumento della frequenza cardiaca non è sempre vantaggioso: lo è fintantoche la gittata sistolica è sufficiente e questo dipende dal tempo di riempimento che viene lasciato alcuore. Avevamo visto che il ciclo di riempimento del cuore è diviso in tre fasi: rapido, lento e sistoleatriale. Quando aumenta la frequenza la fase che scompare per prima è quella di riempimento lento,seguita da quello rapido e infine dalla sistole atriale. Esiste una frequenza, intorno ai 180− 200Hz, oltrela quale il riempimento è insufficiente. Ad una frequenza intorno ai 150Hz la durata del riempimento èmodesta ma il ventricolo è ancora in grado di riempirsi a sufficienza, come fa? Aumentando il gradientepressorio tra atrio e ventricolo, quindi aumentando la pressione in atrio, quindi aumentando il ritornovenoso. Riassumendo un ritorno venoso aumentato contribuisce ad incrementare la pressione atrialein misura tale da riempire efficacemente il ventricolo. Qual è allora il livello al quale l’aumento dellafrequenza cardiaca inizia ad essere inutile? La risposta è legata alla capacità del cuore ma anche aquella del circolo: se uno dei due meccanismi è insufficiente la soglia si abbassa.

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11 Lezione 11

Si era parlato di un effetto cronotropo, nella figura si vedono gli effetti della stimolazione delparasimpatico (vago) e del simpatico: ogni grafico è posto a confronto con quanto accade prima dellastimolazione, cioè nella condizione basale.Nella prima riga si vede l’effetto sul nodo senoatriale: il potenziale pacemaker diventa meno ripido , cioèpiù lento a raggiungere la soglia e questo diminuisce la frequenza; il simpatico provoca effetti opposti.La seconda riga mostra gli effetti sul nodo atrioventricolare: si nota l’effetto dromotropo. La velocitàdi propagazione dell’eccitamento è variata da entrambe le divisioni del SNA. Quando viene attivatoil parasimpatico il pacemaker si modifica diventando meno ampio e più lento; la stimolazione delsimpatico fa si invece che il potenziale d’azione abbia una depolarizzazione più ripida e raggiungalivelli leggermente più alti. Com’è possibile variare la velocità di conduzione? Il primo elemento dellavelocità è la dimensione della cellula ma ne simpatico ne parasimpatico sono in grado di variare questoattributo: varieranno dunque altre condizioni. A riposo la cellula è carica negativamente all’esternoe positivamente all’esterno ma quando insorge il potenziale si crea un punto di inversione: in unpunto l’interno diventa positivo e l’esterno negativo ma questo punto si trova circondato da zone dimembrana normalmente polarizzate. In queste condizioni si viene a creare un gradiente elettrico: gliioni positivi tendono a migrare nella zona negativa e viceversa creando una propagazione di correntilocali di tipo elettrotonico. La velocità di propagazione del potenziale lungo la membrana dipende alloradalla resistenza con cui gli ioni si muovo dentro la cellula (all’esterno la resistenza è quasi nulla). Unaltro fattore da cui dipende la corrente è la differenza di potenziale: se il potenziale d’azione diventa piùampio la tendenza di queste correnti a modificarsi aumenta. Se in un punto il potenziale diventa piùampio il risultato è un flusso di cariche più intenso e rapido: i tratti di membrana raggiungono prima lasoglia e la propagazione avviene più velocemente. Modificando dunque la forma del potenziale d’azionea livello del nodo atrioventricolare è possibile modificare la velocità d propagazione.

L’effetto inotropo è la variazione sulla forza di contrazione del cuore. Nella parte C del grafico siillustra l’attività elettrica del cuore in accoppiata a quella meccanica dell’atrio. Quando si stimola ilparasimpatico la durata del potenziale d’azione si riduce e con esso la forza; quando si stimola inveceil simpatico il potenziale d’azione cambia poco ma la forza incrementa.

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In figura si vede lo studio di un preparato isovolumetrico di ventricolo, un preparato cioè alla quale èapplicato un post carico talmente elevato che alla fase di contrazione non ne segue una di eiezione. Laparte iniziale del grafico è prestimolazione del ganglio stellato (il principale dell’innervazione simpatica,di questi gangli ne esistono due ma il principale è quello destro) mentre quella a destra è post stimo-lazione. Quando il ganglio viene stimolato si produce una forza maggiore e in tempi più rapidi: in uncontesto normale si avrebbe un aumento del volume di eiezione ma il ventricolo del preparato non puòsvuotarsi. La figura sotto mostra invece cosa succede quando ad essere stimolato è il vago:

Ad un primo sguardo l’effetto sembrerebbe l’opposto di quello del ganglio stellato ma in realtà questografico è frutto di un artefatto sperimentale legato al fatto che il ventricolo ha un’innervazione moltomodesta d a parte del vago: all’atto pratico dunque l’effetto dell’innervazione parasimpatica è modesto.Cosa comporta questa modesta variazione? Il fatto che se è necessario far variare la contrattilitàbisogna agire sul simpatico perchè il parasimpatico conta poco: nel caso dell’inotropismo la contrattilitàfa la parte da leone.Fino a questo punto si è vista dunque un’azione sulla frequenza cardiaca, l’effetto cronotropo, cuipartecipano sia il simpatico che il parasimpatico, un’azione sulla velocità di propagazione e infineuna sulla contrattilità principalmente legata al simpatico. L’effetto cronotropo è legato alle variazionidelle correnti responsabili del pacemaker, l’effetto dromotropo alla variazione della forma del potenzialed’azione, come funziona l’effetto inotropo? Il meccanismo è in figura:

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Si vede il canale al calcio tipo L (longlasting) che è responsabile della fase di plateau. Questo canalequando si apre fa entrare gli ioni calcio i quali inducono la liberazione di altri ioni calcio dal reticolosarcoplasmatico facendo in ultima analisi attivare il meccanismo contrattile. Il canale al calcio L pre-senta più di un controllo: si tratta di un controllo voltaggio dipendente ma anche ligando dipendente.Un canale ligando dipendente presenta dei recettori, che in questo caso sono recettori β-adrenergiciche vengono attivati dalle catecolamine: in questa famiglia di molecole si trovano sia l’adrenalina chela noradrenalina. La figura mostra che quando la catecolamina si lega al recettore si attiva un’ade-nilato ciclasi che inizia a formare cAMP con ruolo di II messaggero; cAMP attiva delle fosfochinasicAMP-dipendenti che provocano la fosforilazione di particolari proteine, tra le quali soprattutto:

1. Proteina canale del calcio

2. Fosfolambano

3. Troponina I

La fosforilazione della proteina canale del calcio causa l’ingresso di più calcio perchè l’apertura delcanale è sia voltaggio che ligando dipendente. In che cosa consiste la contrattilità? La contrattilità èla forza della contrazione in condizioni omeometriche, cioè indipendenti dal precarico. Osservando igrafici di funzionalità ventricolare, o pressione volume, si nota che l’attivazione del simpatico sposta lacurva verso sinistra mentre il parasimpatico la sposta a destra seppur di poco considerato il suo ruolominore. A parità di riempimento aumenta dunque il volume di eiezione: entra una maggior quantità dicalcio attraverso i recettori beta e questo si traduce in maggior forza. Il fosfolambano è una sostanzache agisce invece sulla pompa ATPasica che risequestra il calcio all’interno del reticolo sarcoplasmatico:si ha una maggior rapidità di sequestro del calcio rilasciato e quindi l’intero evento meccanico ha unadurata inferiore. La troponina I infine agisce inibendo il legame calcio-troponina C: il muscolo dunquesi rilascia precocemente per l’intervento di questa proteina che normalmente non è presente in grandiquantità ma in questo momento lo è per via della fosforilazione. Riassumendo gli effetti:

1. Proteina canale del calcio: entra più calcio e quindi si genera più forza più rapidamente

2. Fosfolambano: il calcio uscito viene sequestrato più rapidamente e l’intero evento meccanico duradi meno

3. Troponina I: il legame calcio-troponina C viene terminato prematuramente causando rilasciamen-to del muscolo

A destra della figura si vedono invece delle proteine canale che hanno ricadute cliniche. Ad ognipotenziale d’azione entra calcio nella cellula e questo potrebbe, in condizioni di mancata omeostasi,accumularsi all’interno: normalmente invece viene espulso nei periodi di riposo grazie a meccanismivari. Uno di questi meccanismi è la pompa ATPasica al calcio che esclude lo ione dalla cellula ma questonon è il più importante. Il meccanismo fondamentale è uno scambiatore sodio-calcio elettrogenetico:

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vengono scambiati tre ioni sodio per uno ione di calcio. Durante i periodi di riposo dunque vieneeliminato uno ione calcio a fronte di un’assunzione di tre ioni sodio. In figura sono citati i farmaciglicosidi cardiaci, farmaci che vengono prescritti quando il cuore non ha forza sufficiente; per anniquesti farmaci sono stati usati senza sapere cosa facessero ma ora il meccanismo è chiaro. I glicosidicardiaci agiscono sulla pompa Na-K inibendola: quando la pompa viene bloccata il sodio si accumuladentro alla cellula e lo scambiatore Na-Ca funziona meno e questo aumenta la concentrazione di calciointracellulare e quindi la forza di contrazione.In che cosa consiste invece l’effetto inotropo negativo del parasimpatico? L’innervazione parasimpaticadel ventricolo è minima e l’effetto inotropo negativo è raggiunto in due modi: inibizione della sintesi dicAMP (antagonismo sul simpatico) o stimolazione della sintesi di cGMP che agisce in maniera oppostaal cAMP. L’effetto diretto può però raggiungere direttamente solo il piccolo numero di cellule innervate,per tutte le altre come si risolve? L’acetilcolina liberata da questo sistema agisce secondo due modalità:neurotrasmettitore propriamente detto e modulatore del rilascio di noradrenalina.

A questo punto si inizia l’argomento dell’elettrocardiogramma che non dice nulla di più della fisi-ologia del cuore rispetto a quanto già descritto. L’ECG è nato in un periodo di modeste conoscenzefisiologiche e risponde alla ricerca di metodiche non invasive per la valutazione della funzionalità car-diaca. Inizialmente si trattò di un approccio patologico: si studiava l’ECG di soggetti patologici e siconfermavano poi le ipotesi in sede autoptica. L’ECG è la registrazione dell’attività elettrica del cuore,effetto sommatorio del contributo delle singole cellule che generano un potenziale d’azione. L’esamesvolto di routine è l’ECG indiretta in cui gli elettrodi sono posti a distanza dal cuore, ma è da sapereche esiste, e si può fare in condizioni particolari, l’ECG diretto in cui si inseriscono gli elettrodi per viaematica. Il disegno sotto è un tipico tracciato ECG:

Ogni quadratino nel tracciato rappresenta sull’asse X 40ms e sull’asse Y 0, 1mV . Si notano tutte leonde registrabili: P, Q, R, S, T, e infine l ’onda U che non si vede quasi mai nei grafici clinici. Laprima onda, l’onda P, venne chiamata così perchè insorge prima della sistole ed è quindi Pre-sistole:le successive sono semplicemente in ordine alfabetico. L’onda P è espressione dell’attività elettricadell’atrio; l’eccitamento è sorto nel nodo senoatriale ma questo è formato da un numero troppo bassodi cellule per essere registrato: l’onda P è dunque la registrazione dell’attività elettrica dei due atriinsieme. L’eccitamento, una volta invaso gli atri, raggiunge il nodo atrioventricolare nel tratto PQ cheviene rappresentato come piatto: questo perchè il tessuto nodale è talmente piccolo da non far registrarevariazioni significative. Il fatto che il tratto PQ sia isoelettrico non vuol dire che non c’è corrente, mache è troppo piccola per essere misurata: si parla quindi con più precisione di tratto apparentementeisoelettrico o tratto isoelettrico spurio. Superato il nodo AV l’eccitazione arriva al ventricolo e segue unasuccessione precisa; prima si eccita il setto interventricolare (onda Q), poi il resto del ventricolo (onde Red S). Quando l’intero ventricolo è stato eccitato c’è un tempo in cui è completamente depolarizzato: iltratto S-T esprime una condizione di stazionarietà. L’onda T chiude l’ECG ed esprime la ripolarizzazioneche si nota essere molto più lunga della depolarizzazione. L’onda U di solito non si vede e se si vedeviene scambiata per un artefatto; in realtà quest’onda è legata al fatto che le cellule del Purkinje hanno

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un potenziale d’azione molto più lungo e sono le ultime a ripolarizzare: quando lo fanno generano l’ondaU. Riassumendo:

• Onda P: onda presistole, misura l’attività elettrica dei due atri

• Tratto PQ: tratto isoelettrico spurio in cui si eccita il nodo AV

• Complesso QRS: misura l’attività elettrica ventricolare

• Tratto ST: stazionarietà di depolarizzazione

• Onda T: ripolarizzazione

• (Onda U): ripolarizzazione delle cellule del Purkinje

L’ampiezza di queste onde è in realtà molto piccola: un ECG misura un evento che va da 1 a 2 millivolt;per confronto il potenziale d’azione varia da un valore di −90mV a uno di +30mV , con un escursionedunque di 130mV .

Come mai compaiono queste onde nell’ECG? La spiegazione parte dal concetto di dipolo illustratosotto:

Un dipolo è un complesso di cariche separate di segno opposto:questa situazione crea una corrente che, secondo la notazioneconvenzionale, va dal polo positivo a quello negativo. In figurale linee tratteggiate sono le linee isopotenziali, perpendicolari aiflussi di corrente e per questo con lo stesso valore di potenziale.La cellula ha cariche negative all’interno separate da quelle pos-itive all’esterno da una membrana isolata: questo è un dipolobiologico. Una coppia di elettrodi, di cui uno vicino alla cellulae uno lontano non registra differenze di potenziale: lo spazio ex-tracellulare è isopotenziale e quindi, in assenza di cellule attive,non ci sono differenze. Cosa succede se si innesca un potenzialed’azione? In un punto della membrana la separazione di carichesi inverte e l’elettrodo inizia a rilevare delle differenze. Esiste unafonte di eccitamento in movimento e l’elettrodo leggerà l’avvici-narsi di cariche positive come un’onda positiva, viceversa comeuna negativa. Le onde registrate saranno tanto più ampie tante più cariche coinvolgeranno e tanto piùqueste saranno vicine all’elettrodo. Questa situazione è definita d ipolo mobile: le cariche si avvicinanoo si allontanano dal dipolo e in fisica si descrive l’evento in termini vettoriali: ogni cellula attiva vienerappresentata da un vettore e questi si sommeranno con la regola del poligono. Come si applicanoquesti concetti fisici alla realtà?

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Ipotizziamo un volume conduttore sferico con un gruppo di dipoli posti al centro; prendendo un pianopassante per il centro della sfera si ottiene una circonferenza, di cui ora prendiamo in considerazioneil triangolo equilatero inscritto. Se si collegano i tre vertici del triangolo con dei connettori, e questiconnettori vengono a coppie attaccati ad un voltimetro, si registra una differenza di potenziale derivantedalla proiezione del vettore risultante sul lato del triangolo compreso tra la coppia di elettrodi in esame.Si vede dunque una grandezza scalare che dipende dal vettore risultatnte e dall’angolo che questoforma con il lato del triangolo: il segnale registrato è in funzione del coseno dell’angolo, quindi il valoremassimo è per angolo nullo ed è minimo per l’angolo retto (cos 90 = 0, cos 0 = 1). Il segnale può essereanalizzato dunque su tre diverse coppie: AB, BC, AC. Questo triangolo è un caso ideale che nella fisicitàumana non esiste, ma questo inconveniente è stato ovviato grazie a dei postulati che presero il nomedel fisiologo tedesco che li inventò: sono i postulati di Einthoven. Questi postulati sono i seguenti:

• Il torace viene assimilato ad una sfera conduttrice omogenea

• Il cuore viene immaginato come puntiforme e posto al centro della sfera idealizzata che è il torace

• Il triangolo di Einthoven viene tracciato tra i punti in cui gli arti, superiori ed inferiori, si in-seriscono al tronco

Con questi presupposti, ponendo gli elettrodi ai vertici del triangolo, si è in grado di registrare un’attivitàelettrica scalare. Si possono fare più derivazioni, in base alle coppie di elettrodi via via collegate; questederivazioni sono standard e sono:

• Prima derivazione: Braccio sinistro (+) / Braccio destro (-)

• Seconda derivazione: Braccio destro (-) / Gamba sinistra (+)

• Terza derivazione: Gamba sinistra (+) / Braccio sinistro (-)

La seconda derivazione inverte le polarità per un motivo pratico: se così non fosse il complesso QRSsarebbe invertito nel tracciato, facendo questa operazione invece i tracciati nelle tre derivazioni sonosimili. Il triangolo di Einthoven è quello che in fisica viene definito nodo: la somma algebrica dellecorrenti che lo attraversano deve dunque essere zero. Chiamando V1, V2 e V3 le proiezioni dei vettorisui lati del triangolo deve valere l’uguaglianza

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V 1− V 2 + V 3 = 0→ V 2 = V 1 + V 3

Questo è verificabile sperimentalmente e garantisce che i postulati di Einthoven, pur essendo moltodistanti dalla realtà, sono corretti.

La figura sopra aggiunge un passaggio al discorso. Si può andare a vedere il vettore risultante nonistantaneo ma medio: questo approccio è importante nello studio del complesso QRS che riguarda ilventricolo ed è quindi indice funzionale. L’ECG è una grandezza scalare, ma prendendone un tratto èpossibile risalire alla grandezza vettoriale: si fa questo sommando il complesso QRS nelle tre derivazionie riportando il risultato sul triangolo a partire dal punto medio; il punto di convergenza dei tre vettori,unito al punto medio, è il vettore risultante, la cui direzione si modifica in condizioni patologiche. Ilvettore risultante da questa operazione varia da soggetto a soggetto e viene chiamato in cardiologiavettore cardiaco medio.

La figura mostra nella prima riga la condizione normale con un orientamento medio dell’asse elettricocardiaco pari a 60°. La seconda riga mostra una situazione in cui l’asse elettrico cardiaco è 120° e ilcuore è orientato verso destra. La terza riga mostra infine un asse elettrico diminuito, 0°, e quindi uncuore orientato a sinistra. L’ambito fisiologico per la direzione della propagazione dell’eccitamento è−30/+ 110°, valori al di fuori del range entrano in patologia.

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12 Lezione 12

La lezione precedente aveva porta alla conclusione che, assumendo i postulati di Einthoven, l’ECG èuna grandezza scalare derivante dalla somma dei vettori elementari legati all’attività delle singole cel-lule. Nelle derivazioni bipolari degli arti viene collocata una coppia di elettrodi secondo lo schema sceltomentre un terzo viene costruito collegando tra loro gli altri cavi simulando così un elettrodo posto all’in-finito e detto elettrodo esplorante. Il concetto di vettore cardiaco medio si era visto dare un’indicazionesulla direzione media di propagazione dell’eccitamento durante il complesso QRS e quindi durantel’attività ventricolare.

Quando viene fatto un ECG di routine vengono posti i tre elettrodi per gli arti (per le derivazionibipolari) ma anche alcuni elettrodi davanti al torace nelle posizioni indicate dalla figura sotto:

Grazie agli elettrodi sul torace sono state codificate altre sei derivazioni:

• Prima e seconda derivazione: a livello del IV spazio intercostale rispettivamente a destra e asinistra della linea marginosternale.

• Quarta derivazione: emiclaveare sinistra

• Terza derivazione: a metà tra seconda e quarta derivazione

• Quinta derivazione: linea ascellare anteriore, V spazio intercostale

• Sesta derivazione: linea ascellare media, V spazio intercostale

Tutte queste derivazioni sono nel complesso dette precordiali, poichè ottenute da misurazioni davanti alcuore. Queste misure permetto l’esplorazione dell’attività cardiaca sul piano orizzontale, e non frontalecome quelle bipolari. Questi esami vengono sfruttati per monitorare l’attività ventricolare di destra e disinistra; in particolare:

• V1 e V2 esplorano l’attività del ventricolo destro

• V3 è intermedia

• V4, V5 e V6 esplorano l’attività del ventricolo sinistro

Come mai gli elettrodi sono posti solo sul torace e non sulla schiena? Perchè la spina dorsale e il midollospinale altererebbero le misurazioni mascherando l’attività cardiaca: se si vuole una misurazione pos-teriore si fa inghiottire al paziente un elettrodo che viene posto nell’esofago all’altezza del cuore anchese oggi esistono altre metodiche. La figura sotto mostra i risultati ottenibili con le varie tecniche, cioèle prime tre derivazioni bipolari, le sei derivazioni precordiali e tre derivazioni aggiuntive, poco usate inItalia, che prendono il nome di aumentate (di Colbergher? In realtà si chiamava Goldberger).

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aVR sta per augmented voltage right, aVL sta per augmented voltage left e aVF per augmented voltagefoot. Queste derivazioni sono dette pseudounipolari e vengono ottenute con un elettrodo esploranteposto di volta in volta su un arto e con il secondo elettrodo ottenuto mettendo insieme le altre duederivazioni. Ad esempio la aVR viene ottenuta tramite l’elettrodo del braccio destro confrontato conl’unione dei due elettrodi del braccio sinistro e del piede: il segnale in questo modo risulta leggermenteaumentato6. Il numero di derivazioni possibili illustra un concetto alla base: il tracciato ECG in con-dizioni sia fisiologiche che patologiche dipende dalla posizione degli elettrodi. Seguono alcuni esempidi tracciati commentati.

Il tracciato in A è normale e si evidenziano i ritmi sinusali, cioè il ritmo del cuore derivato dal nodosenoatriale. In B si ha una tachicardia sinusale, cioè il battito è più elevato, mentre in C si ha unabradicardia sinusale, che è la situazione opposta. Studiando la distanza tra un’onda R e la successivasi può dunque andare a vedere se la frequenza è aumentata o diminuita ma soprattutto se è regolare(distanza costante) o irregolare.

6Wikipedia docet: l’elettrodo positivo viene posto sul braccio destro, mentre l’elettrodo negativo è la combinazione di quello delbraccio sinistro e del piede.

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Lo schema in alto illustra la propagazione dell’eccitamento. Lo stimolo insorge nel nodo senoatriale,invade poi l’atrio e sfrutta il nodo atrioventricolare per arrivare al ventricolo. L’onda T ha la stessapolarità dell’onda R ma hanno significato opposto: una è una depolarizzazione e l’altra una ripolariz-zazione: come mai l’onda T ha verso positivo? Questo aspetto deriva dal fatto che le fibre del Purkinjesono subendocardiche e quindi le prime cellule ad essere eccitate sono subendocardiche. L’eccitamentosi porpaga poi verso l’epicardio quindi la direzione della depolarizzazione è endo-epicardica. Le cellulesubepicardiche sono le ultime ad essere eccitate e anche le prime a ripolarizzarsi perchè hanno unpotenziale d’azione di durata minore: il processo di ripolarizzazione avviene quindi in senso opposto el’onda T ha una polarità uguale a quella dell’onda R. L’onda T e quella R sarebbero opposte se l’ordinedi eccitazione fosse lo stesso di quello di ripolarizzazione.La seconda parte della figura mostra delle considerazioni cliniche. In B1 si ha un’onda P con polaritàverso il basso: questo si ottiene perchè il pacemaker in queste condizioni è il nodo atrioventricolare equindi la direzione di propagazione è opposta a quella normale. In B2 l’eccitamento sorge sempre alnodo atrioventricolare ma l’onda P è simultanea al complesso QRS e ne viene mascherata perchè dientità minore. In B3 si descrive una situazione in cui la propagazione all’atrio è talmente lenta chel’onda P compare dopo il complesso QRS. In C si ha una situazione ancora diversa: il pacemaker è oraa livello del ventricolo (pacemaker ileoventricolare) e questo porta a modifiche sia del complesso QRSche dell’onda T.

In cardiologia viene definito blocco un’interferenza sulla trasmissione dell’eccitamento e ne vengonoindividuati di primo, secondo e terzo ordine. Il blocco di primo ordine è quello in cui l’eccitamento

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impiega più tempo del dovuto per passare attraverso il nodo atrioventricolare. La figura sopra mostrain A un blocco di primo grado. Il risultato pratico è un aumento della latenza tra l’onda P e il complessoQRS: questo tipo di blocco è fisiologico, nel senso che si può ottenere stimolando il parasimpatico(effetto dromotropo negativo) o inibendo il simpatico (che avrebbe effetto dromotropo positivo). In B sivede un blocco cardiaco di secondo grado in cui l’eccitamento insorge nel nodo senoatriale ma vienetrasmesso al ventricolo solo una volta ogni due: il risultato è che la frequenza del ventricolo è metàdi quella dell’atrio. In C si ha una patologia più grave: qui l’eccitamento insorge nel nodo ma nonraggiunge mai il ventricolo, situazione legata a patologie del fascio di His. In queste condizioni ilventricolo e l’atrio sono completamente sconnessi dal punto di vista elettrico e quindi lo sono anchel’onda P ed il complesso QRS.

La figura sopra mostra patologia extrasistolica, cioè la presenza di un battito ectopico distantedalla sua sede fisiologica. A livello dell’atrio l’eccitamento insorge un pochino prima del dovuto (ladistanza tra le due onde R si nota essere minore). In B si ha la stessa condizione ma nel ventricoloe i risultati sono più evidenti: il complesso QRS è completamente modificato in quanto quando arrival’eccitamento dall’atrio il ventricolo è in periodo refrattario e non può eccitarsi; nei giovani l’extrasistoleviene percepita come un battito più forte legato al fatto che il cuore compensa con un aumento delriempimento, negli anziani invece questa stessa condizione è da esplorarsi clinicamente.

La figura sopra mostra due esempi di patologie parossistiche in cui la frequenza cardiaca è alterata arialzo. Questa condizione di tachicardia può insorgere sia a livello atriale (tachicardia sopraventricolare)che a livello ventricolare: la prima è illustrata in A e la seconda in B.

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L’ultima figura mostra patologie molto gravi: le fibrillazioni. In A viene illustrata una fibrillazioneatriale: l’eccitamento insorge si, ma poi non segue il percorso dovuto e rimane a circolare all’internodell’atrio; in queste condizioni si ha un eccitamento continuo e si perde la presenza di una ona P netta:si ha piuttosto un segnale tremolante e la sistole atriale è compromessa. La condizione di fibrillazioneatriale è perfettamente compatibile con la vita7 in quanto la sistole atriale contribuisce per un modesto20% al riempimento ventricolare e questo apporto può facilmente essere compensato dalla attività ven-tricolare. In B si vede invece la patologia grave della fibrillazione ventricolare: l’eccitamento si propagaqui in maniera scoordinata e quindi inefficiente. In queste condizioni il sangue tende a spostarsi all’in-terno del ventricolo anzichè ad uscire: se la fibrillazione non viene corretta con il defibrillatore entropochi minuti il soggetto muore.

L’argomento da affrontare ora è il controllo dell’attività del sistema cardiocircolatorio. La regolazionedel circolo può essere suddivisa con le stesse modalità viste per la regolazione cardiaca: esistono unaregolazione intrinseca/locale, una nervosa ed una umorale.

La tabella sopra è una versione più precisa del grafico a torta visto nella prima lezione. Viene esaminatoun soggetto con una gittata cardiaca a riposo pari a 5, 8L/min che diventano 25L/min durante un’attivitàfisica massimale. Si nota che ci sono organi, ad esempio il cervello, il cui flusso è costante sia a riposoche sotto sforzo: queste sono dunque strutture il cui flusso locale non è influenzato dal movimento.Altri organi, in primis il muscolo, vedono il loro flusso aumentare enormemente: sotto sforzo quasitutta la gittata cardiaca va al muscolo, con la precisazione che il flusso aumenta solo per i muscoliattivi mentre quelli a riposo non subiscono variazioni. Alcuni organi infine subiscono una riduzionedel flusso: ad esempio ci sono riduzioni nei circoli renale e splancnico. Il cuore stesso si garantisceuna quota maggiore di sangue sotto sforzo aumentando il flusso nel circolo coronarico. Quali sono lebasi di questa regolazione? Il flusso, nella sua concezione più semplice, è legato alle resistenze e allecapacità del circolo: sono questi gli aspetti da regolare e verrà fatto questo in modo altamente difformeper i vari organi.Si è già visto che il cuore ha una regolazione della sua attività per cui la gittata aumenta: questoaumento deve e ssere legato ad una modifica del controllo da parte dei vasi, controllo che però deveessere difforme. Per quanto riguarda il circolo periferico l’elemento chiave è il tessuto muscolare lisciopresente nella parete dei vasi, in particolare quelli di resistenza (arteriole) e di capacità (venule): aquesti livelli una vasocostrizione diminuisce il flusso e una vasodilatazione lo incrementa.

La muscolatura liscia è un tema che va affrontato in paragone a quella scheletrica. Nel muscoloscheletrico le cellule muscolari sono indipendenti tra loro e non esistono cellule pacemaker: il muscolo

7L’attività atletica è da escludersi.

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liscio è totalmente diverso. Esistono due grandi categorie di muscolatura liscia: il muscolo unitarioe il muscolo unitario. Queste sono categorie estreme e la maggior parte dei muscoli ha proprietàdi entrambi ma i vari organi hanno comunque una prevalenza di uno o dell’altro. I parametri perdistinguere il muscolo liscio unitario da quello multiunitario sono tre:

• Presenza/assenza di innervazione: non tutta la muscolatura liscia è innervata

• Presenza di attività spontanea

• Presenza di risposta allo stiramento

Il muscolo liscio multiunitario è quello più simile allo scheletrico: si tratta di un muscolo sempre inner-vato, privo di attività spontanea e con una modesta risposta allo stiramento. Il muscolo liscio unitarioè invece privo di innervazione e presenta delle contrazioni spontanee in quanto contiene cellule pace-maker connesse da gap-junctions: questa muscolatura ha dunque un controllo locale indipendente dalsistema nervoso e, quando stirata, risponde con una contrazione riflessa. Come si distribuiscono le duetipologie di muscolo liscio? Il muscolo unitario si trova andando verso i capillari8 mentre allontanandosida essi si ha più facilmente muscolatura liscia multiunitaria.Il muscolo liscio presenta anche altre proprietà, tra cui una fondamentale è la presenza di numerosirecettori di membrana che, al contatto con il loro ligando, possono innescare una contrazione: ques-ta contrazione può essere dovuta sia ad una variazione del voltaggio causata dal ligando sia esserneindipendente. Il muscolo scheletrico per confronto è scarsamente sensibile alle sostanze circolanti. Irecettori del muscolo liscio sono diversi in base ai diversi distretti e quindi la risposta ad una stessasostanza può variare localmente: una molecola può dunque indurre contrazione ad un livello e rilascia-mento ad un altro in quello che viene chiamato effetto farmaco-meccanico. Caratteristica fondamentalepoi di tutto il muscolo liscio, sia multiunitario che unitario, è la presenza di un tono, cioè una con-trazione di base indipendente dai segnali esterni: questo tono può dipendere sia da un meccanismonervoso che dal grado di stiramento cui è sottoposta la muscolatura.

La prima regolazione da studiare è quella locale e per farlo è necessario eliminare tutte le interferenzeestrinseche ripercorrendo quello che Starling fece per il cuore. I fattori nervosi vengono eliminatifacilmente denervando il muscolo mentre il controllo umorale non è facile da sopprimere: lo si fasperimentalmente perfondendo un organo di animale con sangue prelevato esternamente e quindicontrollato dallo sperimentatore.

La figura sopra mostra i risultati di un esperimento nelle condizioni descritte. In X c’è la pressione diperfusione ed in Y il flusso. Alla pressione media di 100mmHg si ottiene un certo flusso, modificandoi valori pressori come cambia? Si hanno solo regolazioni intrinseche. Aumentando la pressione di20mmHg il vaso si dilata ed il flusso aumenta molto ma se questo aumento permane dopo circa dueminuti il flusso diminuisce ritornando ad un valore molto simile a quello basale. La modificazionedel flusso è transitoria: se Q aumenta anche R sarà aumentato mentre se diminuisce anche il raggiofarà altrettanto. Il calibro dei vasi è libero di ridursi perchè c’è la muscolatura liscia che risponde allo

8I capillari però non lo possiedono, in quanto in generale i capillari non hanno muscolatura di alcun tipo.

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stiramento: il muscolo inizialmente si stira, poi inizia a contrarsi e il vaso ritorna nelle condizioni inizialio quasi. Se la pressione in circolo invece di aumentare diminuisce il flusso la segue ma successivamentetorna ad aumentare verso i valori basali. Esiste allora un meccanismo di regolazione grazie al quale,per un certo range pressorio (20 − 120mmHg), il flusso è indipendente dalla pressione se non per unafase transitoria iniziale.

La base del meccanismo descritto sopra è in figura. Quando la pressione di perfusione aumenta ilvaso si dilata, il muscolo si stira e questo risponde lentamente contraendosi e riportando il flusso avalori basali: questo meccanismo è definito meccanismo miogeno, un’autoregolazione tipica del tessutomuscolare e presente nella maggior parte degli organi.

Se il meccanismo miogeno fosse l’unico ogni organo dovrebbe avere un flusso che quasi non varia:è ovvio che manca qualcosa. Quando il flusso sanguigno ad un organo viene bloccato, come succedead esempio con il manicotto dello sfigmomanometro, ottengo una situazione di anossia: questa si puòprotrarre fino a novanta minuti nei tessuti periferici e per al massimo un minuto in cuore e cervello.Quando viene rimosso il blocco il flusso dovrebbe tornare al livello precedente sulla base del meccanis-mo miogeno ma questo non è vero: il flusso risulta aumentato e si parla di iperemia reattiva. L’iperemiareattiva ha entità e durata direttamente proporzionali alla durata del blocco; il flusso dovrebbe tornarealla normalità ma non lo fa, questo significa che il blocco ha fatto variare qualcosa. Il blocco ha cam-biato la possibilità di pulire il tessuto interstiziale dagli scarti del metabolismo: ogni organo producedei metaboliti e dei cataboliti vasodilatatori. Queste molecole vengono allontanate dal flusso sanguignoma quando questo viene bloccato si accumulano e causano vasodilatazione: maggiore è l’accumulomaggiori saranno durata ed entità dell’iperemia reattiva.

I metaboliti vasodilatatori inibiscono la contrazione della muscolatura liscia finchè sono presenti: ilvaso si dilata e si ha l’iperemia. Accanto al controllo intrinseco muscolare esiste allora un controlloestrinseco di tipo metabolico. Dal punto di vista pratico quali sono queste sostanze vasodilatatrici?La vasodilatazione potrebbe dipendere dalla pressione parziale dell’ossigeno, o dalla produzione dianidride carbonica, di protoni, di acido lattico, di prostaglandine, di protossido d’azoto e via dicendo.L’attività sperimentale ha evidenziato che tutte queste sostanze hanno attività vasodilatatrice: se vienecambiato un solo parametro si ha sempre vasodilatazione ma di entità minore di quella fisiologica. Imetaboliti vasodilatatori hanno dunque effetto additivo e l’azione di vasodilatazione non ha un’unicoagente responsabile: in generale la maggior parte delle sostanze che si liberano dall’attività metabolicasono vasodilatatrici. Come si ottiene la risposta altamente differenziata che è richiesta per far variareil flusso? L’azione vasodilatatrice è diversa nei vari organi ammettendo che questi siano sensibili inmodo diverso a ciascuna di queste molecole; può allora avvenire che in un organo sia fondamentalel’acido lattico, in un altro l’adenosina e così via. Esempio concreto: a livello cerebrale il metabolità

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fondamentale è la CO2 mentre a livello muscolare è l’acido lattico, che non ha effetto sulla circolazionedel cervello.

Come funziona il controllo nervoso? La muscolatura liscia è innervata dal simpatico toracolombaredei livelli TI-LII/III dove la colonna intermediolaterale emette gli assoni mielinici (ramo comunicantebianco) che finiscono nei gangli e raggiungono poi i vasi e i nervi simpatici. Il sistema simpatico sfruttacome neurotrasmettitore la noradrenalina a livello periferico e l’acetilcolina a livello dei gangli; l’effettodi questo sistema è la vasocostrizione dei vasi di resistenza e di quelli di capacità. L’attivazione delsimpatico fa contrarre le arteriole e questo aumenta la resistenza al flusso e quindi la pressione. Se siha vasocostrizione da parte del sistema nervoso e vasodilatazione da parte dei metaboliti ad un certolivello si ottiene una riduzione generale del flusso ed un suo aumento invece locale: il flusso aumentanegli organi attivi e diminuisce in quelli inattivi. Sotto questa luce la vasocostrizione simpatica è dunqueun meccanismo attraverso cui deviare il sangue da zone inattive a zone attive. L’innervazione simpaticanon è uniforme: i vasi cerebrali ad esempio sono poco innervati e quindi risalta di più il meccanismometabolico mentre i vasi cutanei sono molto innervati. La regola fondamentale è questa: se l’organo ariposo ha un’attività metabolica elevata il controllo nervoso simpatico è modesto.Non tutto il simpatico è però vasocostrittore: esiste un simpatico vasodilatatore colinergico, cioè basatosull’acetilcolina. Questo sistema è stato scoperto nei cani e nei gatti e poi ritrovato nei primati anchese nell’uomo non se ne conosce l’esatta potenzialità. Il simpatico colinergico vasodilatatore non sidistribuisce uniformemente ma solo a livello della muscolatura scheletrica e delle ghiandole sudoriparecutanee. Questo sistema diventa attivo quando l’organismo sta per iniziare un’attività motoria: i vasimuscolari si dilatano e il flusso ematico aumenta prima che lo faccia il fabbisogno metabolico. Si trattadi un ruolo di preparazione del sistema muscolare e l’aumento del flusso è mirato ai muscoli che stannoper muoversi. In generale allora il simpatico vasocostrittore è sistemico mentre quello vasodilatatore èlocale.

Come funziona il controllo umorale? Si è detto che esistono vari recettori sulle membrane dellecellule muscolari lisce e questi possono, una volta attivati dai ligandi, aumentare o diminuire lacontrazione. I recettori più importanti sono i recettori adrenergici.

I recettori α e β hanno effetti opposti: i primi sono vasocostrittori, gli altri vasodilatatori. Si chiamanorecettori adrenergici perchè vengono attivati dall’adrenalina e dalle sostanze adrenalina-simili quali lanoradrenalina e l’isoproterenolo. Sui recettori α l’adrenalina è quella più potente mentre per i β lamolecola più efficace è l’isoproterenolo: tutte e tre le molecole citate tuttavia sono efficaci sui due recet-tori. In base alla presenza di un tipo di recettore si determinano gli effetti: la sostanza potrebbe dunqueessere vasodilatatrice ad un livello e vasocostrittrice ad un altro. I recettori β-adrenergici sono quelliche mediano la contrattilità: esiste la forma β-1 nel miocardio e la formaβ-2 nei vasi ed eventualmentenel cuore. I vasi della cute possiedono invece soprattutto i recettori di tipo α: l’adrenalina quandoentra in circolo produce quindi vasocostrizione cutanea (si impallidisce). Molti organi hanno vasi chepossiedono entrambi i recettori e l’effetto finale sarà dato sia dal recettore quantitativamente più rapp-resentato che dai valori di soglia che sono diversi. La soglia dei recettori β è più bassa: poca adrenalinain circolo è vasodilatatrice, tanta è vasocostrittrice. Riassumendo gli effetti di una regolazione umorale,in questo caso adrenergica, dipendono da:

• Tipo di recettore presente

• Bilancio numerico tra i vari recettori rappresentati

• Soglia dei recettori

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13 Lezione 13

L’impostazione di studio finora usata prevedeva l’approccio analitico di ogni aspetto preso separata-mente: come si uniscono però i vari meccanismi? Qual è l’elemento unificante il circolo e il cuore?Il parametro unificante tutti gli aspetti è la pressione: il cuore genera una pressione ed è questa chepermette al sangue di progredire lungo il circolo. Se è la pressione il parametro fondamentale un suocontrollo dovrà dunque risiedere nel SNC.

La figura sopra mostra un classico esperimento in cui si sondavano gli effetti sul sistema cardiocir-colatorio di stimolazioni in particolari regioni del cervello. Si vedono raffigurati il bolbo e il ponte:le aree tratteggiate obliquamente nella parte rostrale/laterale, se stimolate, inducono un aumentopressorio e vengono dunque definite aree pressorie. Le aree tratteggiate orizzontalmente nella partemediale/inferiore se stimolate provocano invece una diminuzione della pressione arteriosa e vengonodunque definite aree depressorie. L’area tratteggiata più in generale corrisponde ad una porzione dellaformazione reticolare all’interno della quale i gruppi di neuroni tra loro collegati formano dei centri confunzioni specifiche.

In figura vengono mostrati quattro centri fondamentali: cardio inibitorio (CI), cardio acceleratorio (CA),vasocostrittore (VC) e vasodilatatore (VD). Questi centri sono tra loro connessi: i centri VC e CA sono in

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buona parte sovrapponibili e corrispondono all’area pressoria in quanto si può aumentare la pressionesia agendo sui vasi (vasocostrizione) che sul cuore (aumento frequenza). Il meccanismo nervoso dicontrollo del sistema cardiocircolatorio è tutto qui; le vie afferenti sono per il centro cardio-inibitore ilnervo vago e per il centro cardio-acceleratore le vie bulbospinali che si portano al cuore con il sistemasimpatico. Il centro vasocostrittore è costituito da neuroni che proiettano al midollo spinale, attivanoil simpatico e esercitano vasocostrizione per tramite della muscolatura liscia; il centro vasodilatatoreinfine non ha efferenze ma agisce inibendo il vasocostrittore.I centri che regolano la pressione ricevono influenze da parte di altre regioni del SNC, ad esempiol’ipotalamo che contribuisce a controllare l’espressione emotiva. Un’emozione è mediata da segnali chedall’ipotalamo si portano al bulbo e controllano i quattro centri fondamentali. La corteccia di normanon agisce direttamente sul bolbo e infatti le sue proiezioni non sono sviluppate: le sue influenzesi ottengono per via indiretta tramite l’ipotalamo; esiste però una via diretta per il controllo dei vasicutanei e muscolari: si ha una proiezione verso il midollo spinale. Il pensiero di muovere un braccioattiva la corteccia motrice che invia segnali al midollo provocando una vasodilatazione nei vasi deimuscoli del braccio e questo controllo sfugge al centro bulbopontino di regolazione della pressionearteriosa. Esistono però anche segnali in arrivo dalla periferia di interesse per i quattro centri: sonoi segnali in arrivo dai barocettori e dai chemocettori. Questi tipi di recettori controllano due funzionifondamentali: la funzione respiratoria e quella cardiovascolare.

I barocettori sono trasduttori la cui forma di energia di partenza è la pressione. Questi recettori sonopresenti in numerose sedi tra le quali i vasi che portano il sangue al cervello e l’aorta, due posizionistrategiche.

Esistono due grandi categorie di barocettori: quelli posti in distretti ad alta pressione e quelli in distrettia bassa pressione. I più importanti barocettori sono posti alla biforcazione della cartodie comune eformano il seno carotideo, innervato dal nervo del seno (ramo del glosso faringeo) che si porta anche alglomo carotideo nelle vicinanze: seno e glomo hanno però funzioni diverse, il primo è un barocettore, ilsecondo un chemocettore. Altri barocettori importanti sono i barocettori dell’arco aortico i cui segnaliviaggiano attraverso il ramo aortico del vago e raggiungono il centro bulbare a livello del nucleo deltratto solitario.

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La figura correla lo sfigmogramma dell’aorta ai potenziali d’azione a livello del seno carotideo. Quandoaumenta la pressione si modifica l’attività di questi recettori: più sale la pressione più i potenzialid’azione sono frequenti e di lunga durata. Il punto limite si raggiunge per valori di pressione intornoai 200mmHg: la scarica diventa continua. La registrazione della pressione arteriosa è affidata ad uncontrollo di frequenza: alte frequenze corrispondono ad alte pressioni.

Se sperimentalmente viene trasformata una pressione pulsatoria in stazionaria, cioè pressione media,come cambia la segnalazione da parte dei recettori? La frequenza di scarica è caratteristica per unadeterminata pressione pulsatoria: se si passa ad un regime stazionario la frequenza di scarica scendema non diminuisce, questo cosa significa? Significa che i barocettori forniscono due tipi di informazioni:la pressione arteriosa media e la velocità di incremento della pressione. La figura sotto completa ildiscorso illustrando la gamma di attività che questi recettori possono presentare:

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Quando si modifica la pressione arteriosa si registra una frequenza di scarica. I recettori per poterscaricare devono misurare una pressione minima di 50mmHg: al di sotto di questa soglia non si haalcun firing neuronale9. A partire dal valore soglia ogni incremento provoca un aumento della frequenzadi scarica fino ad un valore di 180mmHg: a questo punto il sistema è saturo e ulteriori aumenti pressorinon vengono rilevati. Funzionalmente le conseguenze sono tre:

• Quando la pressione è bassa o prossima ai 50mmHg tutte le attività legate ai barocettori vengonomeno.

• Il SNC interpreta pressioni oltre i 180mmHg tutte allo stesso modo quindi non c’è controllo.

• La curva ha un picco di capacità di segnalazione intorno ai 90mmHg: il sistema funziona almassimo a valori vicini a quelli fisiologici più comuni.

Cosa se ne fa il SNC delle informazioni che riceve da questi recettori?Claude Bernard nel 1878 formulò un pensiero fondamentale: tutti i meccanismi vitali hanno l’obi-

ettivo di mantenere costanti le condizioni interne dell’organismo, cioè sono meccanismi di omeostasi.Nel nostro corpo la pressione arteriosa è una delle grandezze omeostatiche e quando non viene regolatasi parla di ipertensione. Meccanismi semplici di omeostasi sono realizzati anche dall’uomo, ad esempioper stanze a temperatura controllata. Il valore termico viene mantenuto costante intorno ad un cosid-detto valore di riferimento e ogni variazione viene misurata: la differenza tra valore misurato e valoredi riferimento prende il nome di segnale d’errore che, se nullo, indica che i valori coincidono.

In ambito fisiologico la variabile da regolare è la pressione arteriosa e le informazioni su di essaprovengono dai barocettori. La regolazione viene inviata tramite il nervo vago (e l’accessorio) al centrobulbo pontino dove viene confrontata con il valore di riferimento; se il check genera un segnale d’errorequesto viene processato dal sistema nervoso autonomo e risolto in periferia dagli effettori, cioè cuore evasi. A livello cardiaco si possono modificare frequenza cardiaca e volume sistolico e a livello vascolarele varie resistenze/capacità. La figura illustra poi dove possono esserci dei disturbi, quali ad esempioemorragie o resezioni dei nervi. Come funziona il sistema di controllo?

9Che tecnicismo fioi

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Il sistema prende il nome di regolazione nervosa/barocettiva/riflessa della pressione arteriosa a secon-da dell’aspetto da accentuare. La terminazione di riflesso in particolar modo evidenzia che questo è unmeccanismo interamente incosciente. Si tratta di una regolazione a breve termine che agisce nell’arcodi pochi secondi, solamente il tempo necessario ai segnali di viaggiare lungo le vie; esiste una rego-lazione a lungo termine che impiega più tempo e che si basa su meccanismi diversi (endocrini, roba difisio2). Le regolazioni a lungo termine si basano sugli equilibri di volume ematico a sua volta legato alvolume del liquido extracellulare.In figura sono illustrate tre situazioni possibili: una normale, una di pressione diminuita e una dipressione aumentata. Le informazioni pressorie vengono captate e ritrasmesse dai barocettori (in slidenervo del senocarotideo): il segnale diminuisce od aumenta coerentemente con i valori pressori. Isegnali trasmessi vengono captati dai centri cardiomotori e vasomotori (CI, CA, VC, VD) e confrontaticon quelli di riferimento; il riferimento viene inteso come attività nervosa: se il segnale è diverso siverificano le correzioni da fare e vengono indirizzate attraverso le due sezioni del SNA al cuore e aivasi. Quando la pressione diminuisce si ha inibizione del sistema vagale e quindi un aumento dellafrequenza cardiaca: viceversa quando la pressione aumenta il vago viene stimolato e la frequenzacardiaca sale. Cosa accade alla contrattilità? Questo parametro è legato più al simpatico: bassapressione stimola il simpatico ad aumentare la contrattilità, mentre alta pressione inibisce il simpaticoe la fa calare. La combinazione di frequenza aumentata ed aumentata contrattilità portano ad unaumento della pressione media. Per quanto riguarda la vascolatura si ha una situazione in cui ilsimpatico è tonicamente attivo: quando la pressione sale il tono scende e la muscolatura si rilascia,quando la pressione scende accade il contrario. Riassumendo:

• Calo pressorio

– Effetti cardiaci: aumento della frequenza (inibizione del vago) e aumento della contrattilità(stimolazione del simpatico)

– Effetti vascolari: aumento del tono muscolare (inibizione del simpatico)

• Aumento pressorio

– Effetti cardiaci: riduzione della frequenza (stimolazione del vago) e riduzione della contrattilità(inibizione del simpatico)

– Effetti vascolari: riduzione del tono muscolare (stimolazione del simpatico)

Cosa succede nei vasi di capacità, quali venule e piccole vene? Se la pressione scende il ritornovenoso diminuisce in quanto viene a mancare una spinta al ritorno al cuore, mentre l’opposto accadenell’ipertensione. Alcuni esempi di questo:

1. Passando dalla posizione sdraiata a quella eretta la gravità ostacola il ritorno di sangue al cuore,quindi diminuisce il ritorno venoso e, per la legge di Starling, anche la gittata cardiaca: in ultimaanalisi cala dunque anche la pressione arteriosa. Il drop di pressione arteriosa viene captato dai

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barocettori e viene corretto tramite i vari parametri cardiovascolari. Passando da una posizioneeretta ad una posizione sdraiata vengono fatte le correzioni al contrario e si ritorna comunque allivello pressorio basale.

2. Un soggetto traumatizzato può avere un emorragia interna o esterna. L’emorragia comporta unadiminuzione del volume ematico circolante e quindi di pressione arteriosa: il drop pressorio causaun aumento della frequenza cardiaca e della contrattilità: queste variazioni non sono seguite daun aumentato ritorno venoso in quanto il circolo non è più chiuso. Il soggetto emorragico apparepallido nel volto e negli arti: la vasocostrizione provoca una riduzione del flusso ematico perifericoe quindi anche una diminuzione della temperatura; tachicardia, pallore e temperatura ridottasono tanto più marcati quanto più è grave l’emorragia.

3. Un soggetto costretto a letto per lungo periodo quando si alza scatena il riflesso barocettivoche però non essendo stato usato per lungo tempo genera una risposta non misurata e causasvenimento.

4. Gli astronauti di ritorno dallo spazio devono riaddestrare il cuore in quanto vengono sollecitatitutti i sistemi di controllo: il cuore si era adattato a condizioni molto diverse e questo comportaproblemi cardiovascolari più o meno gravi.

Una malattia estremamente diffusa dopo i quarant’anni è l’ipertensione: questo quadro è sintomo diun’incapacità dell’organismo di mantenere un’omeostasi; la mancata omeostasi può essere legata siaad un deficit totale dei vari meccanismi sia alla presenza di perturbazioni maggiori della capacità dicorrezione massima.

La figura sopra illustra la base di un altro meccanismo regolatore: il riflesso di Baindridge. Questoricercatore si rese conto che soluzioni endovenose di sangue o fisiologica causavano tachicardia privadi modifiche alla contrattilità e al tono vasomotore: come mai? Quando si fa l’iniezione aumenta illiquido a livello venoso e questo provoca un aumento di pressione nell’atrio destro dove esistono deirecettori di volume: in realtà l’atrio è molto compliante e questa variazione pressoria è minima. Questirecettori generano dei segnali afferenti da inviare ai centri di controllo che rispondono con un aumentodella frequenza cardiaca. Vari esperimenti per confermare il fenomeno diedero risultati contrastanti: avolte si otteneva tachicardia e a volte bradicardia, il punto è il riflesso barocettivo. Quando viene fattaun’infusione si ottengono due effetti: da un lato l’attivazione dei recettori di volume atriali e dall’altro lastimolazione ad un maggior svuotamento ventricolare grazie al riflesso barocettivo. Quel che succede aseguito di una trasfusione dipende allora dai due fattori, barocettivo e Braindridge, che si confrontanoalgebricamente: vince semplicemente il più forte.

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L’ultimo meccanismo di regolazione è quello dei chemocettori che hanno accesso ai centri di con-trollo cardiovascolare. Gli stimoli che attivano i chemocettori sono pH, PCO2, PO2. L’effetto primariodei chemocettori è una bradicardia ottenuta tramite azione diretta sui nuclei vagali; i chemocettoriperiferici agiscono anche a livello respiratorio incrementando profondità e frequenza degli atti. Quandoil respiro diventa profondo il polmone si distende ed esistono dei recettori che monitorano questo com-portamento; il secondo effetto della profondità è l’ipocapnia, cioè la riduzione della pressione parzialedell’anidride carbonica. I segnali di ipocapnia e aumento della distensione polmonare raggiungono ilcentro bulbare vagale e lo inibiscono: si ottiene così una tachicardia. In generale l’effetto sul cuoreè proporzionale a quanto intensamente sono attivati i recettori; quando i chemocettori lavorano inun range fisiologico si ottiene una bradicardia, mentre un’attivazione massiccia induce la risposta ditachicardia descritta prima.Esempio patologico dell’azione dei chemocettori. Quando si respira monossido di carbonio c’è una fasetransitoria di tachicardia prima di ottenere l’inibizione dei centri.

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14 Lezione 14

Il ruolo primario del circolo capillare è di contribuire alla costanza dell’ambiente interno: le cellulenecessitano di ossigeno e di materiale nutritivo e producono CO2 e sostanze cataboliche che devonoessere smaltite. La modifica dell’ambiente interno alle cellule oltre un certo range si ripercuote sullaloro funzionalità. Quanti sono i capillari? Probabilmente nell’uomo circa quaranta miliardi, un numerotale da garantire che la stragrande maggioranza delle cellule sia a contatto10 con uno di essi: questaè un’idea generale ma esistono tessuti, ad esempio la cartilagine o il cristallino, che hanno bassaperfusione e basso metabolismo. Il capillare tipo ha una lunghezza molto ridotta, circa 1mm e undiametro compreso tra i 7 e i 9 micron, quindi paragonabile a quello dei globuli rossi. Il numero dicapillari e la loro configurazione in parallelo fanno si che l’area di sezione trasversa sia enorme e quindila velocità molto bassa, al massimo 1mm/sec, valore idoneo agli scambi gassosi.

Il circolo capillare si trova tra le arterie da un lato e le venule dall’altro e in questo reticolo sitrovano diverse formazioni vasali. La prima formazione è il sistema metarteriola- vaso preferenziale:funzionalmente si tratta di un capillare in quanto si svolgono scambi, ma è presente una componentedi muscolatura liscia che sparisce andando verso la venula. La seconda formazione è il capillare vero,caratterizzato dal riversarsi nel vaso preferenziale o direttamente nella venula e dalla presenza dellosfintere precapillare, cioè una formazione a una o due cellule muscolari lisce a decorso circolare checontraendosi chiudono il capillare. La conseguenza funzionale è che i capillari veri possono esserechiusi o aperti mentre il vaso preferenziale è sempre pervio: in ogni istante il 75% dei capillari è chiuso,se così non fosse il volume contenibile nei capillari sarebbe superiore a quello ematico totale e nonsi avrebbe flusso. I singoli capillari alternano fasi di apertura e di chiusura in relazione all’attivitàmetabolica dell’organo in cui si trovano. Lo sfintere precapillare non è innervato ma segue una rego-lazione metabolica in quanto si tratta di muscolatura liscia unitaria. Il circolo capillare è un circolopulsante ed è visibile sul fondo dell’occhio, unica regione in cui è possibile farlo.Elemento importantissimo è il rivestimento dei capillari: tutti i vasi sono rivestiti da endotelio che peròin questo distretto è particolare. Esistono tre tipologie di endotelio: continuo, fenestrato e discontinuo.L’endotelio continuo è fatto di cellule saldate tra loro da giunzioni strette e questo rende difficili gliscambi: movimenti di molecole possono infatti avvenire solo attraverso membrana o tramite pori. Nel-l’endotelio fenestrato si trovano pori di dimensioni maggiori ma la membrana basale è continua: questoschema si trova nel rene e nell’apparato digerente. L’endotelio discontinuo è legato a cellule accostatele une alle altre con pochissime giunzioni e pori grandi: passano tranquillamente proteine ma anchecellule; l’endotelio discontinuo è poco selettivo e si ritrova nel fegato, nel midollo osseo e nella milza.Domanda: come può un endotelio frammentato che poggia solo sulla membrana basale opporsi allapressione interna ai capillari? La spiegazione è legata alla legge di LaPlace, cioè

P ∝ T

R

Esiste una pressione capillare e questa deve essere contenuta dalle proprietà elastiche della parete che,se stirate, generano una tensione: questa tensione è legata soprattutto alla membrana basale che ri-esce a realizzarla perchè il raggio è molto piccolo. Un raggio estremamente piccolo come quello capillare

10Entro distanze di pochi micron

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fa allora si che la tensione sia molto bassa. La pressione capillare dipende da un lato dalla pressionearteriosa e dall’altro dalla pressione venosa: questi due valori non hanno però uguale importanza. Lapressione arteriosa è a monte del filtro resistenziale arteriolare e quindi una situazione di ipertensionearteriosa è compatibile con una pressione capillare normale; la pressione venosa non incontra filtriresistenziali e dunque ogni sua variazione si ripercuote sulla pressione capillare: il determinante fon-damentale per la pressione nei capillari è dunque la pressione nelle vene. Esempio pratico: un cuoredestro che pompa meno sangue di quello che riceve crea un accumulo a livello venoso e questo generauna ipertensione capillare; un cuore destro iperattivo riesce al contrario a pompare tutto il sangue chericeve abbassando la pressione venosa e quindi quella capillare.

Come avvengono gli scambi nei capillari? Gli scambi possono in generale essere attivi o passivi;sono attivi nelle forme di citopepsi in cui le cellule e le sostanze di grande peso molecolare possonoattraversare la membrana per trasporto attivo, quindi con spesa di ATP. La seconda forma è il trasportopassivo in cui l’organismo non spende energia: questo sistema si basa sull’esistenza di gradienti. Inche modo allora una sostanza può uscire da un capillare? La prima possibilità è la diffusione, viapercorribile da sostanze che hanno due caratteristiche:

1. Piccolo peso molecolare

2. Liposolubilità per attraversare il doppio strato lipoproteico

Le sostanze che diffondono sono i gas respiratori, O2 e CO2, e l’acqua. Il passaggio dell’acqua è legatoall’osmosi ed è l’unico ad avere direzione non fissa: i gas respiratori hanno invece sempre la stessadirezione di diffusione. Come si comportano le sostanze idrosolubili? Che siano cariche o meno, questemolecole devono comunque attraversare dei pori che più sono piccoli più sono selettivi: le proteinevengono massicciamente filtrate e passano solo le più piccole come le albumine. Il meccanismo con cuipassano le proteine più piccole e le sostanze idrosolubili è detto filtrazione nel senso capillare-interstizioe assorbimento nel senso interstizio-capillare. Riassumendo esistono dunque due vie per uscire da uncapillare: diffusione per le sostanze capaci di farlo e filtrazione per tutte le altre.Da cosa dipendono gli scambi capillari? Ogni capillare è caratterizzato da una pressione interna, lapressione idrostatica capillare, che favorisce la filtrazione e che è bilanciata nell’interstizio dalla pres-sione idrostatica interstiziale; entrano in gioco poi le proteine, presenti da entrambi i lati: si avrannouna pressione oncotica interstiziale ed una capillare. Esistono dunque due gradienti pressori: il gra-diente idrostatico e quello oncotico, entrambi coinvolti nel favorire la filtrazione o il riassorbimento.Questi gradienti vennero usati da Starling per costruire una formula empirica detta legge di Starlingper i capillari:

Qc = CFC · [(Pc − Pi)− (πc − πi)]

con CFC coefficiente di filtrazione capillare. Questa formula è un richiamo alla legge del flusso Q =∆P/R. Il CFC dipende da vari fattori strutturali:

• Superficie per gli scambi: più è vasta più è alto CFC

• Spessore della parete: più è elevato minore è CFC

• Viscosità del sangue: più è alta minore è CFC

• Tipo di endotelio capillare

Cosa è possibile dedurre dalla legge di Starling:

1. Se i gradienti pressori sono uguali non vi è scambio

2. Se il gradiente idrostatico è maggiore di quello oncotico si ha filtrazione

3. Se il gradiente idrostatico è minore di quello oncotico si ha riassorbimento

Se si riesce a dare un valore alle quattro pressioni in analisi si può capire come cambiare la fisiolo-gia dei capillari. Come è possibile misurare la pressione dello spazio interstiziale? Si ipotizzò che itessuti hanno una condizione pastosa che è espressione di una pressione di poco superiore a quellaatmosferica e quindi si ipotizzò che la pressione interstiziale fosse di poco superiore a 1. La pressionecapillare deve essere inferiore a quella arteriosa ma superiore a quella venulare: si riteneva all’epocache il capillare non avesse pressione costante ma avesse un valore maggiore all’inizio e minore alla fine.

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La figura sopra mostra l’ipotesi convenzionale. Il capillare avrebbe una pressione idrostatica inizialepari a 34mmHg e una finale pari a 14mmHg. La differenza tra pressione iniziale e finale è il gradi-ente che viene dissipato per far circolare il sangue nei capillari. Le pressioni osmotiche stimate sonopari a 5mmHg nell’interstizio e 28mmHg nel capillare (valore attendibile, sono proteine plasmatiche).All’estremità arteriolare il gradiente di pressione idrostatica è 34 − 1 = 33mmHg e quello oncotico28 − 5 = 23mmHg: si ottiene un gradiente netto di 33 − 23 = 10mmHg e quindi una filtrazione. Al-l’estremità venosa il gradiente idrostatico è 14 − 1 = 13mmHg e quello oncotico è invariato: il risultatoè un gradiente netto pari a 13 − 23 = −10mmHg e quindi riassorbimento. Nella porzione centrale delcapillare deve esserci quella regione in cui avviene la transizione tra filtrazione e riassorbimento: nonavviene infatti alcuno scambio. Questo modello, in cui il capillare filtra ad un capo e assorbe dall’altro,venne accettato finchè non furono disponibili nuovi strumenti di misurazione.Tecniche più recenti di misurazione diedero come valore più probabile della pressione interstiziale unvalore negativo: −8mmHg, un valore che impone la revisione di tutto il sistema.

Secondo questo nuovo schema la pressione idrostatica capillare oscilla tra l’inizio e la fine da 16 a14mmHg: i gradienti diventano rispettivamente 16 − −8 = 24mmHg in ingresso e 14 − −8 = 22mmHg inuscita. Considerato che il gradiente oncotico è sempre 23mmHg non vale più la teoria di un’estremitàfiltrante e una riassorbente perchè i margini sono troppo bassi e piccole variazioni sconvolgerebbero lafisiologia. Il risultato è che la nuova visione del capillare è quella di un elemento variabile, che filtra oriassorbe a seconda delle condizioni in cui è posto. Esempi: in posizione eretta la pressione venosa au-menta, aumenta anche quella capillare e i capillari diventano principalmente filtranti a causa del fattoregravità; passando in posizione sdraiata la pressione venosa diminuisce e i capillari diventano principal-mente riassorbenti. La pressione idrostatica nel capillare è variabile per diminuzione della sezione dellearteriole o per aumento della pressione venosa; la pressione venosa può aumentare se il cuore destrofunziona in modo insufficiente: una donna con le caviglie gonfie (cioè con un edema degli arti inferioridovuto al fatto che i capillari diventano principalmente filtranti) potrebbe presentare un’insufficienzadel cuore destro. Il valore della pressione oncotica è anch’esso modificabile: una patologia renale adesempio che generi proteinuria o albuminuria porta ad una diminuzione della pressione oncotica eil capillare diventa completamente filtrante. Nel caso di un’emorragia interna la pressione arteriosadiminuisce, le arteriole riducono il diametro e quindi la pressione idrostatica capillare diminuisce: ilcapillare diventa assorbente e richiama liquido dall’interstizio; l’avere un capillare assorbente in questo

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caso è un vantaggio nel primo momento in quanto compensa le perdite ematiche ma alla lunga questocomportamento riduce la pressione oncotica del sangue e quindi non può continuare per sempre.

A quanto ammontano gli scambi capillari? Il flusso generato dal cuore è pari a 5L/min che nell’arcodella giornata diventano 7200L; il volume di scambio nei capillari è una frazione di poco superioreal 2% quindi circa 20L vengono filtrati nei capillari nelle ventiquattro ore. L’85% di questi venti litriviene riassorbito quindi il sistema filtra più di quanto riesca ad assorbire: rimangono fuori circa trelitri al giorno. La quota non riassorbita dai capillari viene però assoribta dal circolo linfatico chelavora sinergicamente a quello capillare. Il circolo linfatico è un circolo aperto: i capillari linfatici sonoinfatti a fondo cieco. Questo sistema funziona perchè i vasi linfatici hanno poche giunzioni strette e lecellule endoteliali sono sovrapposte tra loro e funzionano come valvola:se la pressione nell’interstizioè maggiore di quella del vaso le cellule si allargano e entra liquido, se la pressione è invece minoreil liquido non può uscire per via della struttura del vaso (il vaso collassa e le cellule sovrapposte sirichiudono eliminando i passaggi). Nel sistema linfatico non esiste un analogo della pompa cardiaca maesistono altri meccanismi che permettono alla linfa di muoversi: la pompa muscolare, cioè l’alternanzacontrazione/rilasciamento, e la pulsazione dei vasi arteriosi che si dilatano e collassano continuamente.Nei vasi linfatici più grandi infine compare una muscolatura liscia che favorisce il flusso centripeto. Ilfatto che il sistema linfatico continuamente porta via proteine è la ragione della pressione negativadell’interstizio (questa è un’ipotesi, non una certezza). Intervenire sul circolo linfatico comporta spessoproblemi: nelle donne in cui è stato svuotato il cavo ascellare a seguito di neoplasia della mammella siritrova un arto superiore che tende a gonfiarsi perchè si riduce la capacità di assorbimento del filtrato.

Circolo coronarico Quali sono i fattori determinanti del circolo coronarico? Sono i fattori meccanici,nervosi, umorali e metabolici. Il fattore meccanico è la pressione arteriosa: a parità di tutte le altrecondizioni più è alta e maggiore è il flusso (Q = ∆P/R); un secondo fattore meccanico è legato al fattoche i vasi coronarici decorrono sul muscolo cardiaco che si contrae ritmicamente: in fase di sistole ivasi vengono schiacciati e dunque l’attività cardiaca è un fattore determinante il flusso.

L’immagine sopra mostra nella prima riga lo sfigmogramma aortico, nella seconda il flusso coronaricosinistro e nella terza il flusso coronarico destro. A livello del ventricolo sinistro la pressione arteriosa èpiù alta e i vasi coronarici corrispondenti vengono schiacciati molto più che a destra. Nella coronariadi sinistra il flusso avviene soprattutto in diastole ed è modesto in sistole in quanto questi vasi vengonochiusi con tale forza che non solo tendono a collassare ma a generare un flusso retrogrado. Nellacoronaria di destra invece il flusso massimo avviene durante la sistole perchè la sua pressione diriferimento, la ventricolare destra, è più bassa e quindi non c’è un grande schiacciamento.

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La figura sopra mostra un esperimento che valuta il peso della compressione dei vasi. In A si perfondeuna coronaria a pressione costante superiore alla pressione arteriosa media e si notano le oscillazionidel flusso nella terza riga: il ventricolo viene a questo punto fatto fibrillare e si elimina così il fattorecompressione; eliminare il fattore compressione aumenta il flusso e contestualmente anche la pressioneparziale dell’ossigeno in quanto arriva più sangue. Se questa condizione viene mantenuta per trentaminuti sia il flusso che la pressione dell’ossigeno sono tornati normali per meccanismo miogeno: questodimostra l’importanza della compressione extravasale delle coronarie. Se viene stimolato il gangliostellato sinistro, il ganglio del simpatico che genera vasocostrizione, il tratto del grafico vede un’inizialevasocostrizione seguita da una vasodilatazione: questo è espressione di un meccanismo metabolico.Il meccanismo metabolico è talmente potente che quando viene stimolato il simpatico si agisce anchesulla muscolatura miocardica che aumenta l’attività metabolica: i metaboliti prodotti hanno un effettovasodilatatore più potente della vasocostrizione simpatica e si ottiene l’andamento in grafico.

La f igura riassume i fattori determinanti la resistenza coronarica:

1. Il meccanismo miogeno è sempre operante e assicura una regolazione del circolo

2. Il meccanismo metabolico, in cui il metabolita più importante è l’adenosina, agisce come vasodi-latatore potentissimo

3. La compressione sistolica e l’influenza del ciclo cardiaco

4. Il controllo del SNA anche se non c’è certezza di un’innervazione vagale dei vasi coronarici:sicuramnete invece il simpatico ha effetti di vasocostrizione.

Circolo cerebrale La regolazione di questo circolo è soprattutto metabolica e legata alla Pco2 . Un prob-lema di questo circolo è il suo essere confinato in un volume rigido e quindi deve essere perfettamentebilanciato: non ci si può permettere un edema.

Circolo cutaneo Il circolo cutaneo è legato soprattutto ad un meccanismo nervoso in quanto è respon-sabile della termoregolazione. Questo circolo si divide in un circolo venoso profondo ed uno superficialee questi cambiano a seconda della condizione in cui si trova l’organismo. Se la cute è esposta al freddo

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il sangue viene deviato dai vasi superficiali a quelli profondi perchè il simpatico fa contrarre le anas-tomosi arterovenose. Quando la richiesta è la termodispersione il simpatico viene inibito, arriva piùsangue alle anastomosi arterovenose quindi più sangue alle vene superficiali e la dispersione aumenta.Esempio. In montagna sulla neve la bassa temperatura crea le condizioni per una vasocostrizionecutanea che è mediata soprattutto dal simpatico. La vasocostrizione crea un accumulo di metabolitivasodilatatori e quel che succede è che i tessuti esposti all’esterno, quali volto e mani, presentano im-provvisamente una vasodilatazione segno del fatto che il meccanismo metabolico batte quello nervoso.Il meccanismo rischia di diventare perverso ad esempio se si resta sotto la neve: si crea un’ischemiaprolungata per effetto del freddo e parte dei tessuti superficiali rischiano di cristallizzare. In generalecomunque anche nel distretto cutaneo il meccanismo nervoso è più debole di quello metabolico.

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Parte II

Bonifazzi

15 Lezione 1

La cellula è una membrana che delimita due spazi: si tratta di un’approssimazione grossolana ma utile.Esistono dei gradienti ch imici tra l’interno e l’esterno della cellula e la membrana è specializzata nellosfruttare l’energia resa disponibile da questa condizione. Parleremo di un neurone intendendolo comeuno schema semplice, una struttura bipolare o polo recettoriale dove un agente eccitante (chimico ofisico) cambia uno stato elettrico predisposto e stazionario; questo stato elettrico è quello che si chiamapotenziale di membrana di riposo ed è la sorgente di energia.

La figura sopra mostra diversi esempi di neuroni recettivi che, pur eseguendo compiti diversi, tra-ducono sempre uno stimolo fisico o meccanico in un segnale elettrico che converge sul pirenoforo doveorigina l’assone. I potenziali d’azione generati in questo modo sono le unità di informazione del sistemanervoso; quando arrivano in periferia possono essere poi trasmessi direttamente ad una cellula a valleo possono generare la secrezione di una sostanza chimica. La trasmissione elettrica è stereotipata, cioèè un fenomeno tutto o nulla, mentre la trasmissione chimica è regolabile nelle quantità di sostanza enell’efficacia d’azione.

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La cellula nervosa possiede dunque una condizione basale che viene definita potenziale di riposodella membrana: come si può misurare? La figura sopra mostra due modalità di registrazione. Nel pri-mo caso si ha un elettrodo posto in prossimità della cellula: si vanno così a verificare delle variazioni dipotenziale in prossimità della cellula. Si ritrova un accumulo di cariche negative all’interno della cellulabilanciato all’esterno da un accumulo di cariche positive in prossimità della membrana cellulare. Nelsecondo caso l’elettrodo è posto direttamente all’interno della cellula ottenendo così una registrazionepiù precisa ma molto più invadente.Che cos’ è il potenziale di membrana? Il potenziale di membrana è definito come la differenza tra ilpotenziale di membrana misurato internamente ed esternamente, cioè

Vm = Vi − Ve

Parliamo di uno stato di stazionarietà definendo il potenziale di membrana di riposo come generato daun lato dai gradienti ionici tra interno ed esterno della cellula e dall’altro dall’azione di un trasportatore:la pompa sodio-potassio. La presenza di una pompa è resa necessaria in quanto la cellula per man-tenere una alta efficienza di trasmissione lavora in perdita: con il tempo i gradienti scomparirebberose non ci fosse questo meccanismo a mantenerli. Un concetto fondamentale è poi quello di soglia: unneurone non sempre trasmette informazioni ai neuroni a valle, lo fa solo se viene raggiunto un valoresoglia di potenziale. In generale la membrana della cellula nervosa è in grado di lavorare sia sopra chesotto soglia, ma con comportamenti radicalmente diversi.

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Quali sono i valori dei vari potenziali? La figura sopra mostra come è possibile misurarli. Nellacondizione iniziale la cellula è posta in una soluzione con composizione uguale a quella dell’interstizio;tramite un microavanzatore viene posto un microelettrodo all’interno della cellula e si inizia a misurare.Quando entrambi gli elettrodi sono esterni alla cellula la differenza di potenziale è zero in quantole cariche sono ugualmente distribuite; appena l’elettrodo entra nella cellula si registra un bruscoabbassamento del valore del potenziale, da zero fino a −60mV . Questo esperimento si può fare moltevolte e con qualsiasi durata: il potenziale di membrana registrato è sempre quello. A contribuire aquesto valore c’è quanto detto: un flusso di corrente che entra, uno che esce e infine il lavoro dellapompa Na-K. La cellula è dunque in grado di mantenere questa energia potenziale a disposizione perun tempo illimitato, come mai?La stessa figura mostra un esperimento che accoppia all’elettrodo un generatore di corrente in grado diiniettare cariche nella cellula. Quando vado a iniettare cariche positive all’interno della cellula ottengola saturazione di quelle negative già all’interno: si ottiene così un potenziale elettrotonico depolarizzatodi intensità pari alla corrente che ho iniettato. Il potenziale elettrotonico depolarizzato aumenta all’au-mentare della corrente iniettata ma ad un certo punto il valore del potenziale di membrana si sganciadalla dipendenza con la corrente iniettata: la depolarizzazione diventa talmente intensa da superare ilvalore 0 e raggiungere valori positivi intorno ai +50mV . Questa variazione indipendente dalla corrente

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iniettata prende il nome di potenziale d’azione e chi ne discrimina la genesi è il livello soglia. L’esper-imento dell’iniezione di cariche può essere fatto anche immettendo cariche negative: in questo casosi ottiene un potenziale elettrotonico iperpolarizzante che ha la caratteristica di non evocare mai unpotenziale d’azione.

La cellula tipo presenta dunque una situazione in cui la membrana ha un accumulo di carichepositive all’esterno e uno di cariche negative all’interno: qualsiasi volume lontano dalla superficie dimembrana ha carica netta nulla; cosa determina la separazione delle cariche? Un esempio sperimentaleè dato dalla figura sotto.

In un becker si è realizzata una concentrazione salina diun sale di potassio e si è posta nel mezzo una membranasemipermeabile che permette al solo potassio di transitare:gli anioni rimangono confinati nella loro metà originaria. Laconcentrazione salina viene presa maggiore nella metà sin-istra: per effetto osmolare ci sarà un transito di ioni K+dasinistra a destra che però non potrà essere accompagnatoda un ugual transito di anioni per via della semipermeabil-ità. Inizialmente dunque ci sarà un traffico netto di carichepositive da sinistra a destra: questo non può andare avan-ti all’infinito in quanto la metà di destra diventa positiva einizia a opporsi all’arrivo di nuove cariche di ugual segno,si forma cioè una barriera elettrostatica. Il lavoro chimi-co generato dal gradiente chimico produce allora un campoelettrico di intensità crescente la cui funzione è riportarele cariche positive da destra a sinistra: ad un certo puntoqueste due forze saranno uguali e la membrana si ritro-verà in uno stato elettrico stazionario. Questo esperimentoartificioso non è lontano dalle condizioni di una membrana cellulare.

Nella membrana cellulare l’equivalente del setto poroso nel becker è il canale ionico di membrana.Questi canali sono proteine intrinseche che esprimono dei siti selettivi e permettono grazie a questi ilpassaggio solo di alcune cariche: se la proteina esprime cariche negative ad esempio passeranno solocariche positive. Nel liquido extracellulare ci sono però cariche positive diverse: sodio e potassio; icanali ionici sono selettivi non solo per la carica ma anche per la specie ionica: siamo in grado di farentare cariche positive in maniera controllata senza raggiungere il valore della soglia ma predisponendol’instaurarsi di un potenziale d’azione. I due compartimenti, intracellulare ed extracellulare, sonoformati da sali e proteine in composizione diversa ma in equilibrio osmolare: l’osmolarità è il numerototale di molecole contenute in un litro di soluzione. Se venisse meno l’equilibrio osmolare la cellulatenderebbe o a gonfiarsi o a collassare a causa dei movimenti netti di acqua.

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Com’è possibile dimostrare l’esistenza dei canali di membrana? Il problema fu risolto da Nehere Sakmann (premi Nobel nel 1991) i quali vollero dare una prova diretta della presenza dei canalie lo fecero mettendo a punto la tecnica del patch clamp. La tecnica sfrutta un microelettrodo cheviene appoggiato sulla membrana cellulare: grazie ad una piccola aspirazione si crea una depressioneinterna che causa l’ingresso di una porzione di membrana all’interno dell’elettrodo stesso. In questomodo si provoca uno stiramento di membrana che favorisce il contatto elettrostatico con l’elettrodo: aquesto punto il pezzetto di membrana interno è isolato da tutto il resto della cellula. Se all’interno delpezzetto in esame c’è un canale e questo si apre facendo passare cariche noi vediamo come unico flussodi corrente proprio questo. Il passo successivo è ricreare all’interno dell’elettrodo le stesse condizionidel citoplasma, quindi simulare una condizione reale, e studiare come reagiscono i canali: si possonoiniettare cariche di entrambi i segni, o variare le situazioni ambientali. La tecnica del patch clamp hadue rami principali:

• Tecnica inside-out: la membrana è rovesciata e quello che normalmente dovrebbe essere internoè all’esterno. Questa tecnica è utile per studiare il comportamento della membrana a variazioniinterne alla cellula.

• Tecnica outside-out: la membrana è normalmente posizionata. Questa tecnica è utile per studiareil comportamento della membrana a variazioni del citoplasma.

Come ci si rende conto che attraverso i canali circola uno ione? Perchè circoli corrente è necessario checi sia una forza che spinge le cariche e questa forza è la differenza di potenziale. Mi rendo conto che c’èun canale perchè questo fa circolare corrente attraverso la membrana e questo è misurabile: in sintesiè questo quello che si fa con il patch clamp.

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La situazione sperimentale prevede dunque un microelettrodo e un circuito che permette di variareil potenziale ai capi di membrana. Inizialmente il potenziale è quello di riposo, cioè −60mV . Sono inuna condizione in cui non c’è gradiente chimico per il potassio in quanto la concentrazione dentro efuori è la stessa: voglio indagare la presenza o meno di un canale che lascia passare questo ione. Sele concentrazioni sono uguali non si può realizzare un flusso, anche se il canale è presente: non c’ènessuna forza che riesca a spostare le cariche. Se viene fatta una misura della corrente in transito siottiene dunque un valore zero. Il secondo passo è questo: cosa succede se riesco a inoculare carichepositive all’interno della cellula? Le cariche positive già presenti tenderanno ad uscire maggiormente.Mi pongo dunque in una situazione a +20mV : quando il canale si apre dovrò dunque registrare unacorrente uscente. Se un canale è aperto in questa condizione lo ione inevitabilmente esce e l’intensitàdella corrente che circola sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la differenza di potenziale: a+50mV dunque la corrente in uscita sarà più intensa. Se faccio l’esperimento inverso, cioè inoculocariche negative, stimolerò il potassio ad entrare ottenendo un risultato speculare al precedente. Ivalori delle correnti, sia in uscita che in ingresso, si dispongono su di una retta la cui pendenza è laconduttanza di membrana; la retta delle intensità di corrente ha formula

i = gV

e si dimostra valida in quanto per un valore di potenziale zero di membrana non si ha corrente in alcunsenso. Questa formula è in realtà una derivazione della legge di Ohm come dimostrato sotto:

i =V

Rg =

1

R−→ i = gV

La conduttanza è dunque l’inverso della resistenza. A parità di differenza di potenziale dunque l’inten-sità di corrente sarà tanto più intensa quanto minore sarà la resistenza o maggiore la conduttanza. Inbase all’intensità della corrente in transito siamo dunque in grado di capire se e quanto la membrana èpermeabile ad una determinata specie ionica: il potenziale è imposto, l’intensità calcolata quindi si haun’incognita sola.

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L’esperimento sopra mostrava una condizione lontana dalla realtà in quanto normalmente la cellulanon ha le stesse concentrazioni di potassio dentro e fuori. In questo secondo esperimento ci si mette inuna condizione più reale: 90mMol/L all’interno e 3mMol/L all’esterno. In questo caso al potenziale zerodi membrana c’è una grande concentrazione interna di potassio che tende a farlo uscire: ci aspettiamoallora una corrente uscente in quanto c’è una forza chimica che spinge gli ioni. Spostandosi anchequesta volta verso i +20mV che succede? Alla forza chimica si somma la forza elettrica: la correnteuscente aumenta di conseguenza. Se l’interno della cellula viene invece caricato negativamente creouna forza elettrica che contrasta quella chimica: ad un certo punto si giungerà alla situazione in cui ledue forze sono uguali e opposte e non c’è più flusso. La forza chimica dipende totalmente dai gradientimentre la forza elettrica è sotto controllo dello sperimentatore: a −50mV la corrente è ancora uscentementre a −100mV diventa entrante, cioè la forza elettrica è diventata più forte di quella chimica. Tra−50 e −100mV c’è dunque un punto in cui la corrente è zero; la relazione per la corrente è:

ik = gk(Vm − Ek)

la corrente è zero se la conduttanza è zero o se la forza elettromotrice netta è zero. La conduttanzaè sicuramente diversa da zero, quindi la corrente è nulla solo quando Vm − Ek = 0 e quindi quandoVm = Ek. Il valore di potenziale di membrana che garantisce l’intensità zero è il potenziale di Nernst peril potassio.

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16 Lezione 2

Che cos’è in definitiva il potenziale di equilibrio di Nernst? Con un semplice esperimento si puòindagarne la natura:

Un becker contiene due compartimenti di soluzione ionica separati tra loro da un setto semiperme-abile:a sinistra la concentrazione di sale è più alta che a destra. Il setto è permeabile ai soli ioni X+.A seguito del gradiente di concentrazione tra i due compartimenti un certo quantitativo di ioni vienetrasportato da sinistra a destra e l’entità di questo movimento dipende dal logaritmo del rapporto delledue concentrazioni. Il lavoro chimico è quantificabile secondo la relazione

Wc = nRT · ln [X+]o[X+]i

con R costante dei gas, T temperatura, n il numero di ioni trasportati. Il punto è che tutto il primofattore è fatto di costanti a temperatura ambiente, quindi si può ignorare. Il costante trasferimento diioni da sinistra a destra nel becker crea nel tempo un campo elettrico che opporrà un lavoro di tipoelettrico in quanto nel lato di destra si verranno ad accumulare cariche positive. Il lavoro elettrico èquantificabile secondo la relazione

We = nZFE

Queste due forze contrapposte arriveranno al punto di trovare un equilibrio. All’equilibrio il numerodi ioni che si sposta per gradiente chimico è uguale a quello di ioni che ritorna per gradiente elettrico.Unendo le due formule finora trovate si ha

We = Wc

RT

zF· log

[X+]o[X+]i

= nZFE

E =RT

zF· ln [X+]o

[X+]i

che è la definizione matematica del potenziale di equilibrio di Nernst, cioè quel valore di potenziale taleper cui il flusso di ioni in uscita è uguale a quello in entrata. Questa relazione rende anche evidenteche affinchè ci sia un flusso è necessaria una differenza di concentrazione tra i due compartimenti.

Come si applica questo concetto ad una cellula ideale? Le condizioni prese in esame sono illustratenella figura sotto:

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La soluzione intracellulare è in equilibrio osmolare con quella extracellulare ma la distribuzione dellespecie ioniche è diversa: il sodio è quattro volte più concentrato fuori al pari del cloro, il potassio trentavolte più concentrato dentro; a bilanciare la situazione sono posti degli anioni impermeabili all’internodella cellula. La membrana è presa permeabile a Na, K e Cl e abbiamo dunque flussi in entrambi isensi con il risultato finale che la polarità della cellula è −85mV . Sfruttando l’equazione di equilibrio diNernst per le concentrazioni in esame si nota che il potenziale di equilibrio è proprio −85mV sia per Kche per Cl: si potrebbe pensare allora che il potenziale di membrana di riposo sia determinato in egualmisura da cloro e potassio. La membrana come si comporta nei confronti dei vari ioni? La permeabilitànon è uguale per tutti, ma prendendo come valore di riferimento 1 la conduttanza al potassio i rapportisono:

PNa : Pk = 0.01 : 0.1 PCl : Pk = 0.4 : 0.6

Il punto è dunque che anche se all’esterno c’è un’enorme quantità di Na questo entrerà poco perchè laconduttanza è bassa, invece per il potassio piccole quantità generano una grande fuoriuscita di questoione. Il Cl ha una permeabilità molto simile a quella del potassio e il suo ruolo va definito. Questodiscorso porterà a decretare che il potenziale di riposo è dovuto principalmente al potassio che risultaessere lo ione maggiormente permeabile, e che un piccolo contributo verrà dato dallo ione sodio a causadella sua massiccia presenza extracellulare. Lo ione cloro si trova in una situazione di equilibrio moltoefficace tra interno ed esterno della cellula e non influenza praticamente mai il potenziale di riposo.Come si fa a dire questo? Un esperimento semplice è variare le concentrazioni di cloro e potassio.

Nel primo esperimento parto da una concentrazione di potassio esterna pari a 3mMol e la raddoppioraggiungendo i 6mMol. Per mantenere valida la condizione di iso-osmolarità si è ridotto il Na all’esterno,passando da 117 a 114mMol. In queste condizioni ci si aspetta che la forza che fa uscire gli ioni K siriduca e che quindi aumenti la loro concentrazione intracellulare: in effetti si passa da 90 a 91mMol, conuna variazione anche per Cl che passa da 4 a 8mMol. Il valore del potenziale di riposo è molto diversoin queste condizioni: si raggiungono i −69mV , quindi variazioni ambientali di potassio sconvolgono ilpotenziale di riposo.Come reagisce la cellula alle variazioni di cloro? Raddoppiare il Cl è impossibile dato che è moltoconcentrato, quindi lo si dimezza portandosi a concentrazioni di 60mMol: il Cl entrerà quindi con minor

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forza e infatti la concentrazione interna passa da 4 a 2mMol. In risposta a questo ingresso una partedegli ioni K uscirà ma piccoli trasferimenti di questo ione riescono a compensare grandi variazioni: ildimezzare la concentrazione non ha variato il potenziale di riposo e questo dimostra che il suo valoredipende principalmente dal potassio.

L’esperimento precedente ha definito un punto importante: il potenziale di riposo è principalmentedovuto alla presenza di un gradiente per il potassio accompagnata dalla grande permeabilità dellamembrana per questo ione; un piccolo contributo al valore di riposo è dato poi dal Na che ha unforte gradiente che lo spinge all’interno ma può contare su una piccola permeabilità. Esaminiamo lacondizione in una cellula reale. Se prendiamo il potassio, questo è soggetto ad una forza chimica chetende a farlo uscire perchè in generale la sua concentrazione è maggiore all’interno; a questa forza sioppone una forza elettrica e queste trovano un equilibrio solamente al valore di potenziale di Nernst,cioè −75mV . Facendo le stesse considerazioni per il sodio e usando le sue c oncentrazioni si ottiene cheil suo equilibrio si colloca a +55mV . Sulla base di queste considerazioni è possibile costruire il graficosotto:

Riprendiamo il potassio: il suo potenziale di equilibrio è dunque −75mV . Che succede alla correntepotassio quando ci si porta a −60mV ? La forza chimica non cambia, perchè non cambiano i gradienti,ma ci siamo allontanati dall’equilibrio e per reazione il potasso tende ad uscire cercando di far ripolar-izzare la cellula verso i −75mV . In generale dunque la corrente non sarà mai zero se non per il punto dipotenziale di equilibrio. Se si passa ad un potenziale di −90mV , cioè si varia il potenziale dello stessovalore assoluto ma in senso opposto si otterrà una corrente di intensità uguale alla prima ma di versoopposto. Per quanto riguarda il sodio invece, dove avrà il suo equilibrio? A +55mV . Al valore −60mVcome sarà la corrente? Intensità uguale ma opposta a quella del potassio, altrimenti il potenziale nonpotrebbe rimanere i nalterato nel tempo. Il grafico da poi un’altra informazione fondamentale: i coeffi-cienti angolari delle due rette sono diversi, in particolare quello della retta del potassio è maggiore. Ilcoefficiente angolare in questo tipo di grafico non è altro che la permeabilità di membrana, quindi piùuna retta è ripida e più la membrana è permeabile per quello ione.

Il potenziale di equilibrio per il sodio è +55mV , quello per il potassio −75mV : nessuno di questidue valori è quello del potenziale di membrana di riposo. Questo significa che al potenziale di riposo dimembrana queste due specie ioniche non sono all’equilibrio e quindi un certo quantitativo di sodio entra

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e uno analogo di potassio esce: questo significa che al potenziale di riposo i gradienti chimici tendonoad esaurirsi spontaneamente. Che cosa mantiene i gradienti nella cellula? La pompa sodio-potassio,che porta dentro due ioni potassio e fa uscire tre ioni sodio. Il lavoro di questa pompa è asimmetrico,in quanto ad ogni ciclo espelle dalla cellula una carica positiva: si dice che la pompa è elettrogenica eche tende ad iperpolarizzare la membrana. L’elettrogenicità della pompa è conseguenza della necessitàdi mantenere vitali i gradienti chimici e la polarità negativa della membrana. L’esistenza della pompaè tutta nel destino della membrana a dissipare i gradienti: se la cellula non fosse soggetta a questoprocesso la pompa non esisterebbe. Com’è possibile dimostrare l’esistenza della pompa? L’esperimentodecisivo fu fatto su neuroni di un serpente a sonagli:

Se entra sodio in grande quantità possiamo pensare che la pompa debba lavorare molto per buttarlofuori. Ipotizzando che il neurone in esame avesse molte pompe attive, gli sperimentatori hanno iniettatoun grande quantitativo di Na nella cellula: a seguito di questo la membrana si portava da un valoredi polarità iniziale di −30mV ad uno di −60mV . Ci si aspetterebbe una depolarizzazione e invece siottiene una iperpolarizzazione, come mai? La pompa si è definita come elettrogenica, e questa iperpo-larizzazione è proprio l’effetto del suo lavoro. Se al posto di Na si inietta litio, ione carico positivamentee dello stesso gruppo del sodio, non si ha una risposta iperpolarizzante in quanto la pompa non loriconosce come substrato. La pompa è sensibile all’ouabaina che se aggiunta all’esperimento risultacompetitiva con i siti di legame per il potassio: sodio + ouabaina non danno alcun effetto.

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Un approccio alternativo allo studio della membrana è quello di fornirne un’approssimazione ditipo elettrico. Abbiamo visto che esiste un potenziale di riposo dovuto alle cariche di segno negativoaccumulate all’interno: questo accumulo è legato ad un certo numero di forze passive che muovonogli ioni. In un circuito equivalente il primo ramo è dato da una batteria che rappresenta il potenzialedi equilibrio di Nernst per il sodio: per valori diversi da +55mV ci saranno correnti in ingresso ouscita. A questo percorso se ne aggiungono altri in parallelo anche per il K e il Cl: la disposizione inparallelo è legata alla selettività specifica dei canali, attraverso i quali passano solamente gli ioni chevengono riconosciuti. Un quarto elemento del circuito equivalente è la pompa Na-K che mantiene lastazionarietà dei gradienti attraverso la membrana. La membrana ha un valore di potenziale di riposodi −70mV soprattutto perchè ha un’alta permeabilità al potassio: se per qualche motivo la permeabilitàal sodio diventasse la più elevata il potenziale di riposo sarebbe molto più vicino ai +55mV . Regolagenerale: il potenziale di membrana di riposo si posiziona a valori prossimi al potenziale di equilibriodella specie ionica per la quale mostra la maggior permeabilità.

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17 Lezione 3

[Riprende tutte le faccende viste finora]

Il grafico sopra mostra un potenziale d’azione, che è definibile come una variazione del potenziale dimembrana Vm. Il potenziale di membrana di riposo è il punto di partenza e l’energia da sfruttare; graziead un’agente depolarizzante (iniezione di corrente) viene raggiunto un valore di soglia di eccitabilitàoltre il quale il potenziale cresce rapidamente (1 − 2msec), raggiunge un picco e infine la membranasi ripolarizza tornando prima a valori più iperpolarizati del potenziale di riposo e poi al potenziale diriposo. In sintesi: depolarizzazione rapida, iperpolarizzazione postuma e potenziale di riposo. Il piccodi depolarizzazione è intorno ai +50mV , un valore interessante in quanto sappiamo essere prossimo alpotenziale di equilibrio di Nernst per il sodio (ENa = +55mV ). Si era detto che il potenziale di membranadi riposo è dettato dallo ione che ha la permeabilità più alta: ci aspettiamo allora che la permeabilità alsodio sia aumentata. Se il sodio attraverso canali dedicati entrano cariche positive quindi viene ridottala polarità negativa della membrana: l’aspetto iniziale di depolarizzazione è dovuto ad un’aumenta-ta permeabilità per questo ione. Seguendo lo stesso ragionamento passiamo all’iperpolarizzazione: ilvalore che si raggiunge è −75mV , praticamente il potenziale di equilibrio del potassio. Interpretiamoquesto dato dicendo che dopo un’iniziale apertura dei canali sodio è aumentata anche la permeabil-ità di membrana per il potassio. L’iperpolarizzazione legata ai potenziali d’azione prende il nome diiperpolarizzazione postuma.

L’ingresso degli ioni sodio è sempre legato alla relazione

INa = gNa · (Vm − ENa)

qual è allora la di fferenza tra potenziale elettrotonico e potenzialed’azione? Il potenziale elettrotonico è direttamente determinato dal-la corrente che io inietto nella cellula, il potenziale d’azione è inveceun’esplosione dello stato elettrico. Come si fa ad avere la certezza cheil pda è determinato dall’ingresso di sodio? Basta agire sulla com-ponente ENa dell’equazione, ad esempio riducendo la concentrazioneesterna di sodio. Facendo questo esperimento si nota che il picco delpotenziale si abbassa e quindi ho la conferma che la prima parte delpotenziale è sodio-dipendente: la seconda parte, l’iperpolarizzazione,non si modifica, in quanto non sono state toccate le concentrazioni

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del potassio. Il grafico mostra però anche una seconda informazione: non solo il picco di potenzialeè minore, ma l’intera insorgenza è ritardata. Per capire perchè il potenziale si ritarda il filo logico daseguire è quello dell’azione del sodio in ingresso. Quando si raggiunge il valore soglia del potenzialeviene aperto un numero di canali al sodio voltaggio dipendenti: questo aumenta in primo luogo la con-duttanza al sodio. A seguito dell’aumento di conduttanza entra una grande quantità di sodio e quindi lacellula si depolarizza ulteriormente: questo ciclo di feedback porta ad aprire ancor più canali al sodio,come mostrato nella figura a lato. Se all’esterno c’è meno sodio ho a disposizione una forza minore chelo spinge dentro: il ciclo di feedback si rallenta e quindi anche il potenziale si sviluppa in ritardo.

La fase successiva al picco è legata ai canali potassio voltaggio-dipendenti. Come si inserisce laconduttanza al potassio nel contesto? La depolarizzazione aumenta gk ma lo ione quando esce haazione iperpolarizzante quindi l’apertura dei canali al potassio favorisce il ritorno verso il valore delpotenziale di riposo. L’intero processo del potenziale d’azione è dovuto alle variazioni di queste dueconduttanze che a loro volta sono legate a variazioni nel potenziale di membrana e che pertanto sonodefinite voltaggio dipendenti. I valori di conduttanza alle varie specie ioniche possono essere modificatifarmacologicamente ed è questa la strategia di farmaci che combattono ad esempio l’epilessia.

Una tecnica fondamentale per lo studio del potenziale d’azione è quella del voltage clamp, unostrumento che è in grado di mantere il voltaggio di membrana bloccato su un valore prestabilito. Adogni variazione si ha una compensazione da parte dello strumento che è in grado di misurare quantacorrente è necessaria (e in che verso) per non far variare il potenziale. In un tipico esperimento di voltageclamp, sotto illustrato, si passa da un potenziale di riposo di −60mV a uno di 0mV e si misurano lecorrenti in circolo.

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A questo potenziale di membrana lo strumento deve, in fasi successive, iniettare una corrente capaci-tiva, una corrente transiente entrante (il sodio) e una corrente ritardata uscente (potassio). In questoesperimento dunque avevamo una membrana a −60mV che è stata portata a 0mV saturandone lecariche negative. Come si può capire che la corrente transiente entrante sia legata al sodio e la ritar-data uscente al potassio? Se si potessero separare si otterrebbero i profili C e D della figura. In C sivede che l’azione del sodio è limitata ad un piccolo intervallo e dopo 3 − 4msec si esaurisce, cioè pocodopo il picco del potenziale: questo perchè la corrente al sodio è depolarizzante ed è dunque inutilee scomoda da mantenere nella fase di ripolarizzazione. In D si vede il comportamento della correntepotassio; nell’intervallo 0− 1msec è molto debole perchè è una corrente iperpolarizzante e siamo in fasedi depolarizzazione: questa corrente gioca infatti un ruolo fondamentale nella fase successiva.

Per chiarire meglio le varie correnti servono altri esperimenti, questa volta sul potenziale di in-versione, unico dato che permette di capire che ione sta circolando in che canale. Se da un canale

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misuriamo una corrente 0, ricordando la formula Ix = gx(Vm − Ex) è ovvio che o la conduttanza o laforza elettromotrice netta debbano avere valore nullo. La conduttanza sappiamo avere un valore magaripiccolo ma diverso da zero, quindi l’attenzione è tutta sul valore Vm − Ex: quando questo è zero siamonella condizione Vm = Ex. L’esperimento consiste dunque nel bloccare il potenziale di membrana avalori diversi fino a incontrare quello che fornisce corrente zero.

Prendendo come riferimento la traccia a −35mV , vedo una curva molto simile a quelle già viste, concorrente transiente entrante e ritardata uscente. A −85mV , valore inferiore ad Ek, non dovrei trovarecorrente in quanto i canali si aprono con la depolarizzazione: l’esperimento conferma la teoria. A questopunto ci si sposta a valori più depolarizzati: a +26mV la corrente entrante si riduce e l’uscente aumentain quanto ci avviciniamo a ENa. A +52mV la corrente entrante è sparita anche se i canali sodio sonoaperti: la forza elettromotrice è dunque nulla11. Come si misura la corrente al potassio? L’intento eratrovare il potenziale di inversione a −75mV e dovremmo girare intorno a questo valore: il problema èche i canali si aprono se depolarizziamo, mentre se si iperpolarizza questi rimangono chiusi.

Figura 1: Il cazzutissimo pesce palla

Il problema del misurare la corrente al potassio è statorisolto quando sono state scoperte sostanze chimiche in gra-do di bloccare selettivamente i canali sodio o quelli potas-sio: andando ad eliminare il contributo del sodio rimanesolo la corrente ritardata al potassio. Il bloccante specifi-co per il sodio prende il nome di tetrodotossina, una tossi-na formidabile che agisce in quantità di nanogrammi e cheproviene dal pesce palla. In presenza di tetrodotossina (TTX)rimangono dunque le sole correnti uscenti ritardate. Suc-cessivamente è stata scoperta una seconda sostanza, lo ionequaternario tetraetilammonio (TEA), che se introdotta nellacellula blocca le correnti al potassio uscenti (Il tetraetilam-monio è un prodotto di sintesi che non dovrebbe trovarsi innatura). I derivati di queste due sostanze sono oggi usaticome farmaci. Tramite i bloccanti specifici siamo dunquein grado di separare le correnti sodio dalle correnti potas-sio e l’azione farmacologica può essere mirata a rallentare oaccelerare l’apertura o la chiusura di questi canali specifici.

Come si comportano i canali da un punto di vista cinetico? All’inizio si trovano in uno stadio inizialedi chiusura, ed è possibile rappresentare la transizione da questo stadio a quello aperto come unareazione cinetica; ogni reazione chimica ha la sua reazione inversa, per cui avremo un ripristino dellecondizioni iniziali con una certa velocità di reazione. Lo stimolo a percorrere la reazione in un verso onell’altro è lo stato elettrico della membrana. I canali sodio e potassio hanno comportamenti diversi:quello al potassio rimane aperto fintanto che dura la depolarizzazione, mentre quello al sodio ha unacinetica più complessa in quanto non ha due stadi ma tre. Il canale sodio può presentarsi dunque intre forme: aperto, chiuso o inattivato. Quando arriva lo stimolo il canale passa da chiuso ad aperto,

11Il valore è leggermente diverso dal potenziale di equilibrio del sodio in quanto per fare questi esperimenti è necessario ferirela cellula con due elettrodi che disturbano l’ambiente.

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ma se la depolarizzazione permante passa allo stadio inattivato e vi rimane per tutta la durata delladepolarizzazione. In un esperimento in presenza di TEA si vede che i canali al sodio si aprono, siraggiunge un picco di corrente e poi inizia il fenomeno dell’inattivazione per cui non passano più ionie la corrente torna a zero: la cinetica a tre stadi è alla base del fatto che la corrente è transiente. Lasituazione per i due canali è dunque

In condizione di riposo il canale al sodio è chiuso, la depolarizzazione lo trasforma prima in aperto epoi in inattivo: se la membrana ha molti canali chiusi la depolarizzazione agirà su molti canali, se neha pochi il fenomeno sarà minimo. La separazione tra canali al sodio chiusi e inattivati da luogo allapossibilità di modulare l’eccitabilità della cellula. Si può infatti agire sul numero dei canali disponibili,ad esempio con la TTX, oppure sulle loro costanti di apertura/chiusura.

Al potenziale di riposo quanti sono i canali al sodio chiusi e quanti quelli inattivati? Ipotesi: sefossero tutti inattivi non potrei mai avere il potenziale d’azione in quanto la corrente semplicementenon circola. La possibilità di eccitarsi viene ripristinata grazie ad un iperpolarizzazione data dallacostante gamma (cinetica da inattivato a chiuso): al valore di riposo tutti i canali sono inattivi (sitratta sempre di un’ipotesi) e se depolarizzo la cellula e basta non vedrò mai corrente perchè mancal’iperpolarizzazione che chiude i canali al sodio.

La figura sopra mostra un esperimento su cellula reale. Si deduce che al potenziale di riposo esistonocontemporaneamente sia canali inattivati che chiusi: iperpolarizzando la cellula prima di stimolarla siabbassa la frazione di canali inattivi e si alza quella di canali chiusi. In generale al valore di riposo icanali inattivati sono più di quelli chiusi: sono infatti il 60%. Il punto è che avendo una grande abbon-danza di questi canali una leggera iperpolarizzazione me li mette a disposizione. Questa particolarità è

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alla base dell’informazione: la cellula non è un interruttore ma deve modulare la trasformazione di unimpulso analogico e questo sistema dei canali permette una certa efficacia in questo.

La figura sopra mostra i risultati di un esperimento in cui vengono inviati due impulsi in successioneper generare un potenziale d’azione. L’impulso P1 genera un potenziale, il secondo impulso è moltoravvicinato al primo e genera un potenziale ridotto perchè i canali a disposizione sono di meno. Aseguito di un potenziale d’azione i canali sodio transitano da aperti a inattivi e per un certo periododi tempo dal picco si entra in quello che è definito periodo refrattario assoluto: la membrana nonpuò generare un secondo potenziale perchè tutti i canali sono inattivi. Superato il picco la membranasi ripolarizza e questo chiude i canali inattivi rendendoli di nuovo disponibili: si può generare unpotenziale d’azione. La cellula affronta ora un momento di iperpolarizzazione quindi il gap tra potenzialeistantaneo e valore soglia è più grande del solito: si ha bisogno di uno stimolo più grande in questafase che prende il nome di periodo refrattario relativo. Se ho un farmaco che mi allunga il tempo 1, cioèla refrattarietà assoluta, posso diminuire la frequenza di generazione dei potenziali d’azione: questifarmaci, che agiscono in ogni distretto, sono oggi usati per il trattamento dell’epilessia e del dolorecronico.

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Nella figura si vedono due esperimenti: nel primo si somministra una corrente a gradino che generaun potenziale, nel secondo si inietta una corrente che depolarizza lentamente la membrana. Nel primocaso l’area del gradino è la carica inviata, nel secondo caso bisogna calcolare l’area sottesa al grafico:in totale invio più carica ma il potenziale scatta dopo, come mai? La risposta è in una figura già vista:

La membrana ha anche una capacità elettrica, che è l’elemento più a destra dello schema. Fornisco treimpulsi alla membrana e li chiamo 1, 2 e 3, di intensità bassa, alta e intermedia. L’impulso 1 generaun potenziale elettrotonico sottosoglia che non apre i canali voltaggio dipendenti e quindi non generapotenziale d’azione. L’impulso 2 è più intenso e fa partire il potenziale. L’impulso 3 è più particolarein quanto il potenziale a volte non parte al valore soglia: si crea un equilibrio instabile. Il concetto disoglia è allora dato dall’equilibrio delle correnti positive in ingresso (Na) e da quelle negative in uscita(K): il valore soglia è un punto di equilibrio tra questi due aspetti, quando il sodio prende il sopravventoscatta il potenziale d’azione.

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18 Lezione 4

Nell’esperimento della figura sopra si è depolarizzata elettrotonicamente una cellula fino a portarla asoglia: le intensità di stimolazione erano crescenti. La corrente iniettata varia istantaneamente mentreil potenziale raggiunge il valore finale in ritardo: a cosa è dovuto questo scarto di tempo? Il ritardonell’innesco del potenziale elettrotonico lo quantificheremo in termini di una costante di tempo che èun primo indice di integrazione dei segnali. Normalmente un motoneurone riceve sui suoi dendriti circaduemila input sinpatici che devono essere integrati; in generale nel segmento dal quale nasce l’assone(che lui chiama pirenoforo ma secondo me si chiama monticolo assonico e io ho ragione) la soglia dieccitabilità è molto più bassa ed è qui che vediamo insorgere il potenziale. Il discorso della costante ditempo è legato alle proprietà elettriche passive della membrana.

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La membrana presenta un certo numero di canali che rappresentano il percorso pervio attraverso ilquale gli ioni entrano o escono: maggiore è il numero dei canali e minore sarà la resistenza. Esiste peròun’ampia superficie di membrana che non presenta canali e che quindi impedisce ogni passaggio diioni: queste due proprietà sono tra loro in parallelo. In condizioni normali uno ione può fluire attraversoi canali o contribuire alla polarizzazione della membrana: questo giustifica il mettere in parallelo questidue elementi. In termini elettrici dunque uno ione attraversa o la resistenza del canale o la capacitàdella membrana. Come si comportano i singoli elementi quando vengono alimentati da una correnteprefissata? I grafici sotto lo mostrano:

In A si vede il solo elemento resistivo: la corrente ha lo stesso identico andamento della differenza dipotenziale, quindi in assenza di corrente non c’è differenza al potenziale. In B si vede il solo elementocapacitativo: quando si inietta la corrente una certa quantità di carica andrà nell’unità di tempo sullacapacità di membrana. In un condensatore la differenza ai capi è data dalla relazione V = q/C quindimaggiore è la capacità è minore è la differenza di potenziale. Questo perchè se c’è un grande spaziodove le cariche possono accumularsi le variazioni sono minime mentre se lo spazio a disposizione èpiccolo poche cariche satureranno velocemente la capacità. In C si vede il comportamento reale dimembrana che ha capacità e resistenza in parallelo. Quando si inietta la corrente la prima carica si vaa depositare sulla capacità perchè è il percorso a minor resistenza: con il tempo la capacità si satura esempre più cariche seguono il percorso resistivo. In sintesi si ha un iniziale corrente di tipo capacitativoche viene poi affiancata e sostituita dalla corrente di tipo resistivo. L’iniezione di corrente a gradino

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comporta allora una variazione di potenziale ritardata (sia in aumento che in diminuzione) in funzionedella capacità di membrana.

Come è possibile riassumere il comportamento della membrana? Si può riformulare il valore delpotenziale in questo modo:

Vm = IRm(1− e−t/τ )

dove τ è definito come il prodotto della resistenza di membrana per la sua capacità. Questa formuladice che a determinare il ritardo è la costante di tempo che, se molto grande, costringe a lunghe atteseprima che il voltaggio sia il massimo possibile. La costante di tempo τ è il valore dell’intervallo di tempodopo il quale la variazione di potenziale raggiunge il 63%12 del suo massimo.Come fa la costante di tempo a modulare l’informazione? La spiegazione è nella figura sotto:

La distanza temporale tra le stimolazioni presinaptiche successive è la stessa nei due esperimenti ma lacostante di tempo è molto diversa: 1msec per la prima cellula e 10msec per la seconda. Costanti di tempobreve significano variazioni del potenziale in tempi brevi, invece costanti di tempo lunghe significanotempi lunghi per far variare il potenziale. La costante di tempo è stata definita come l’intervallo ditempo dopo il quale si è raggiunto il 63% della variazione finale: due costanti equivalgono al 95% e trecostanti al 99%. Nel primo caso il primo evento mi ha portato al valore massimo e riportato a zero:quando arriva il secondo imuplso ottengo due eventi uguali tra loro e in successione, senza alcunasommazione. Nel secondo caso la costante di tempo è più lunga e il secondo stimolo arriva quando siè quasi al valore massimo: i due eventi si sommano tra loro. Il processo di sommazione è efficace solonella seconda cellula e questo ha un risvolto funzionale: posso selettivamente inviare un’informazionesolamente a questa e non alla prima. In generale dunque la costante di tempo favorisce la sommazionetemporale dei segnali che è tanto più efficace quanto più la frequenza di stimolazione è bassa rispettoalla costante. Se viene mandata presinapticamente la stessa frequenza di impulsi non è allora dettoche tutte le cellule rispondano: lo faranno solo le destinatarie dell’informazione grazie alla capacità diintegrazione.

Un punto fondamentale è la geometria: finora ci si è riferiti ad una cellula sferica ma questa èun’approssimazione troppo grossolana. Ad esempio sappiamo che la densità dei canali di superficie ècostante: questo significa che un neurone più grande ha più superficie disponibile, quindi più canali ein ultima analisi una resistenza minore. Come cambia invece la capacità di membrana all’aumentaredelle dimensioni? La capacità aumenta perchè aumenta la superficie. Il problema è che la super-ficie della cellula non è sferica, ma si dirama e, usando una nuova approssimazione stavolta menoimprecisa, si può piuttosto assimilare ad un cilindro: la fibra nervosa.

12Il valore è semplicemente l’espressione percentuale di 1− e−1.

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Consideriamo dunque un assone come un cilindro di diametro costante; in generale un cilindro piùgrande avrà un numero maggiore di canali di superficie rispetto ad uno di diametro inferiore: ad assonidi diametro maggiore corrisponde allora una resistenza minore. Ad un cilindro non sono più applicabilile approssimazioni della sfera e la geometria spaziale richiederà di esser presa in considerazione. Chesuccede se applico una differenza di potenziale su di un assone? Un assone piccolo ha un volumeminore e quindi un quantitativo di ioni minore al suo interno: per questo il flusso di corrente sarà moltominore rispetto a quello che si può generare in un assone di grande diametro. Un punto importante èlegato al fatto che l’assone di piccolo diametro ha una grande resistenza interna legata proprio al fattoche gli ioni hanno poco spazio per muoversi, mentre un grande assone è molto più spazioso.Nell’esperimento in figura viene iniettata corrente esattamente al centro del cilindro: che percorsoseguirà? Questa corrente potrà uscire direttamente attraverso la membrana o circolare lungo l’assedell’assone. Nel punto di iniezione quante sono le resistenze che guidano la corrente? La sola resistenzadi membrana. Spostandosi però a destra o a sinistra alla resistenza di membrana si sommano dueresistenze: quella del tratto successivo di membrana e quella del citoplasma del tratto assonico. Tuttequeste resistenze sono tra loro in serie: la resistenza assonale si somma a quella di membrana con ilrisultato che la corrente che circola è sicuramente minore. Se misuro la differenza di potenziale in unpunto dove circola corrente minore troverò un valore inferiore: questo sarà tanto minore tanto maggioreè la distanza dal punto di iniezione perchè le resistenze continueranno a sommarsi. Allontanandosidal punto di iniezione si ha dunque un decremento progressivo della differenza di potenziale di tipoelettrotonico. Esiste una relazione di tipo esponenziale che descrive l’andamento di questo decremento:

V(x) = V0 · e−x/λ

dove lambda è la costante di spazio ed è proporzionale alla resistenza interna dell’assoplasma e aquella di membrana. Se la resistenza di membrana è alta la corrente uscirà con meno facilità e rimarràconfinata nell’assone. La costante lambda è definita come

λ =√rm/ri

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e indica la distanza dopo il quale la variazione di potenziale si riduce del 63% rispetto al valore iniziale:è un analogo in termini spaziali di quello che era la costante di tempo.Nel neurone il segnale si innesca nella zona più scura dell’immagine sotto che prende il nome di zonadi innesco:

Supponiamo che l’assone e il corpo cellulare siano cilindrici e che il primo abbia costante di spazio1mm e il secondo 0.1mm. Se la distanza tra il segmento integrativo e il punto di iniezione è pari a 1mmarriverà un segnale che è il 37% di quello iniziale perchè dopo una costante di spazio si è perso il 63%della potenza. Se la costante di spazio è invece 0.1mm non vedrò alcun segnale in quanto sarannopassate già dieci costanti. Il giocare sulla costante di spazio permette di modulare la somma nellospazio delle varie depolarizzazioni e graduare la risposta della zona di innesco del neurone.

Compresa la natura del potenziale d’azione ora il problema è come si possa condurlo, cioè in ultimaanalisi capire come vengono trasmesse le informazioni: in generale il potenziale d’azione viaggia e lasituazione è quella della figura sotto.

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In ogni istante esiste un unico punto di polarità interna positiva dove è presente il picco del potenzialed’azione a +50mV : prima e dopo la membrana sarà in situazione di riposo, quindi polarizzata negati-vamente all’interno. Ragionando su di un cilindro ho la presenza di un tratto positivo circondato datratti negativi e questo crea ovviamente una differenza di potenziale. La polarità all’esterno dell’assoneè complementare a quella interna: dove l’assone è negativo sarà positiva e viceversa. In queste con-dizioni esiste dunque un flusso di corrente che va dal polo positivo al polo negativo: ho una correnteche entra dove c’è il potenziale e che esce nei tratti precedenti e successivi. Questa corrente è data dalsodio, quindi ioni postivi, e satura le cariche negative all’interno della membrana, depolarizzandola:questo processo porta a soglia il tratto di membrana a valle e genera un secondo potenziale d’azione. Insintesi il tratto A genera il potenziale d’azione in B che lo genera in C e così via: come viene modulatoquesto passaggio di corrente?. Gli assoni sono fondamentalmente di due tipi: mielinati o non mielinati.La funzione della mielina è di acceleare la velocità di conduzione su queste fibre.

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Il discorso della conduzione del potenziale può anche essere espresso come sopra in termini di circuitoequivalente. In A la membrana è all’equilibrio e non c’è flusso di corrente tra i due circuiti perchèmanca una differenza di potenziale. In B il circuito di sinistra ha un diverso potenziale rispetto a quel-lo di destra: la polarità produce un flusso di corrente che passa al segmento successivo mediante laresistenza assonale che influenza quindi la quantità di corrente in transito. Come varia la resistenzaassonale? Un assone di grande diametro ha una piccola resistenza e quindi conduce meglio. Oltre allaresistenza assonale c’è però la resistenza di membrana: questi due valori cambiano in modo diverso. Laresistenza di membrana varia linearmente con il diametro assonico mentre la resistenza assonale variacon il quadrato del raggio: posso intuire che la resistenza di membrana è dunque meno importantedi quella assonale. Un’alta resistenza di membrana significa che la carica rimane confinata meglioall’interno dell’assone e dunque che ha una maggior probabilità di essere trasmessa al segmento suc-cessivo. Un ultimo elemento da considerare è la capacità di membrana: se il salto dal valore di riposoa quello soglia è grande e si accompagna ad una capacità grande dovrò sfruttare tante cariche primadi raggiungere il valore soglia.

La figura sopra riassume le varie velocità di conduzione del potenziale. Il diametro degli assoni amielin-ici varia da 0 a 800 micron e la velocità di conduzione è pari a 20m/sec; le fibre mieliniche hanno inveceun diametro che varia da 1 a 12 micron e conducono il segnale fino a 100m/sec.

A me sta roba sembra una vaccata: in neuroanatomia per le fibre amieliniche si parlava di un diametromassimo di un micron e una velocità di conduzione di 1,5m/sec.

Come funziona la mielina? Nelle fibre mieliniche gli astrociti creano più avvolgimenti circolari di mieli-na attorno alla fibra con il risultato di isolarla elettricamente. Isolare elettricamente in questo casosignifica che la resistenza della membrana dall’interno all’esterno è diventata enorme e quindi tuttala carica rimane all’interno dell’assone. In termini di capacità gli strati di mielina allontanano le duearmature e quindi la capacità diventa molto piccola: non servono più molte cariche per saturarla equindi la maggior parte va da un nodo di Ranvier al successivo.

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Al nodo di Ranvier c’è una resistenza di membrana bassissima quindi un grande flusso di corrente cheporta a soglia la membrana. Nei tratti internodali la resistenza di membrana è enorme, la capacità èpiccola e quindi le cariche difficilmente escono. In questo scenario ci sono dunque tratti percorsi piùrapidamente (internodali) e più lentamente (nodi di Ranvier). In definitiva esistono dunque tre elementifondamentali: la corrente che circola nell’assone, la sua resistenza e la capacità di membrana.

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19 Lezione 5

Le cellule muscolari striate fanno parte dei muscoli volontari sotto diretto controllo del SNC. La striaturaè data dalla sovrapposizione di uno schema reale di molti sarcomeri. La contrazione muscolare èinnescata da un potenziale d’azione che si genera sul sarcolemma; l’accorciamento avviene perchèin un tempo molto breve la quantità intracellulare di calcio aumenta di tre ordini di grandezza, cioèmille volte (si passa da 10−8 a 10−5). Il calcio in questione non proviene dall’esterno, infatti la cellulamuscolare ha grandi dimensioni ma è molto rapida: lo ione proviene infatti dal reticolo sarcoplasmaticoliscio, dove normalmente è sequestrato.

Il sarcolemma ha invaginazioni interne al muscolo dette tubuli a T che trasportano il segnale elettricoall’interno del reticolo sarcoplasmatico: una depolarizzazione intensa si propaga nel reticolo e fa cosìaprire i canali al Ca+voltaggio dipendenti che lasceranno uscire, secondo gradiente, il calcio.

L’unità fondamentale da analizzare è il sarcomero:

La miosina costituisce il filamento spesso e ha delle teste che sporgono e sono tra loro in contrap-posizione. L’actina si posiziona intorno al filamento spesso miosinico formando una disposizionead esagono che è fondamentale in quanto consente lo scorrimento longitudinale secondo l’asse delsarcomero.

Come si misura la tensione che un muscolo può sviluppare? Bisogna mettersi in condizioni isomet-riche, altrimenti l’energia prodotta è suddivisa in movimento e forza per sollevare il carico. La lunghezzadeve dunque essere imposta da noi:

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Tramite un trasduttore si va a misurare la forza espressa dal muscolo e in particolare lo si fa in duecondizioni distinte: quando il muscolo non ha stimolazioni nervose e quando invece riceve una sequen-za di più potenziali che provocano una stimolazione massimale. Problema tecnico: l’unità muscolareesprime forze diverse per persone diverse in quanto l’esercizio fisico aumenta il diametro della fibrae quindi la forza sviluppabile; si risolve dividendo la forza calcolata per l’area del muscolo ottenendola tensione prodotta che è slegata dal soggetto in esame. L’idea è misurare il funzionamento di unmuscolo in situ, dove sappiamo esistere i tendini e varie strutture connettivali: è necessario misurarequale sia la componente che forniscono. Per misurarla faccio un primo esperimento dove mi pongo alunghezza L0di riposo senza stimolazione nervosa: ci sarà una tensione residua. Facendo una seriedi allungamenti progressivi si trova la componente passiva della relazione tensione-lunghezza: questolo so perchè se invece di allungare il muscolo lo accorcio non ho alcuna espressione di forza. Unaseconda conferma della natura passiva di questa forza è la relazione più o meno lineare con l’entitàdell’allungamento. In conclusione le componenti passive sviluppano tensione solo per allungamenti enon per accorciamenti.Passando ora a stimolare il muscolo si fornisce una sequenza particolare di impulsi tale per cui siottiene la tensione massima: questa sequenza di stimoli è detta tetano completo. Quando si stimolauna fibra muscolare e si descrive nel tempo come varia la tensione meccanica si vede che c’è unarisposta semplice allo stimolo elettrico: si ottiene un evento meccanico singolo. Se si fornisce unsecondo stimolo quando il muscolo non si è ancora completamente rilasciato si nota che alla tensioneresidua se ne somma una seconda: questa coppia di scosse semplici sommate prende il nome di clono.Se io trovo la frequenza opportuna tale per cui le successive contrazioni arrivano quando la precedenteè al picco massimo di tensione ottengo un tetano: quando sono ancora visibili i singoli impulsi parlo ditetano incompleto, se invece risulta un unico grande impulso (curva) parlo di tetano completo. Il tetanocompleto è quello che crea la tensione massima.Riprendendo l’esperimento ci poniamo a lunghezza di riposo L0 e iniziamo ad allungare: la tensionetotale è quella data dalla risposta in allungamento di una fibra stimolata per via tetanica.

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Parte III

Guandalini

20 Lezione 1

La funzione respiratoria avviene attraverso un flusso di aria che è costituito da una miscela gassosadove il principale elemento è l’ossigeno. Un punto di partenza è la legge della diffusione: in generale lavelocità di diffusione è legata allo spessore di tessuto che deve essere superato. In un tessuto spessoun micron si ha diffusione in 0,5msec, in uno di dieci centimetri si parla di un ordine di grandezza diore. L’evoluzione ha favorito i meccanismi di diffusione cercando di ridurre gli spessori respiratori: glialveoli hanno uno spessore di 0, 1− 0, 2µm.

Per giungere agli alveoli l’aria percorre una strada che inizia con la bocca o le cavità nasali e continuacon le vie di conduzione. Le vie di conduzione hanno numerose diramazioni con il requisito generaledi ridurre progressivamente il diametro dei condotti e di moltiplicarne l’area: il calibro dunque calae aumenta invece l’area di sezione trasversa. Gli scambi non avvengono nelle vie di conduzione mainiziano a livello dei bronchioli respiratori e poi giù lungo i dotti alveolari fino agli alveoli: questa è laporzione respiratoria propriamente detta.

Come si può valutare la funzione respiratoria di un soggetto? L’esame base è la spirometria chemisura i volumi e le capacità respiratorie. Il test richiede al soggetto di espirare molto rapidamente e inmodo costante dopo un’insipirazione libera. Lo spirometro è costituito da un cilindro pieno d’acqua chesi muove in risposta ai flussi d’aria e così fa muovere una penna che scrive su una carta millimetrata.Durante un’inspirazione il volume d’aria si riduce e la penna scende, mentre quando si espira accadeil contrario.

La figura sopra è un esame spirometrico. Le piccole oscillazioni sono il volume d’aria che entra ed escedal sistema respiratorio durante una respirazione tranquilla: questo volume è detto volume corrente(VC) ed è mediamente 0, 5− 0, 6L. L’apparato respiratorio è predisposto a fare inspirazioni maggiori delVC in caso di necessità: si può cioè fare un’inspirazione massimale cui segue poi un’espirazione forzataper allontanare l’aria inspirata. Il volume d’aria che si muove in questa condizione è molto superioree prende il nome di capacità vitale (CV): normalmente si parla di 3, 2 − 4, 8L di aria anche se vi sonopesanti differenze per sesso ed età. Nel disegno ci sono altre capacità: la capacità polmonare totale(CPT), intorno ai sei litri, rappresenta l’unione della capacità vitale e del volume residuo, una quantitànon stimabile con la spirometria. Il volume residuo è il volume di aria che rimane sempre all’interno

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del sistema anche dopo una espirazione forzata al massimo. A cosa è dovuto il volume residuo? Alprimo atto respiratorio gli alveoli si dilatano ed imbrigliano una quantità di aria che non sapranno piùespellere: si tratta di quel litro, litro e mezzo che costituisce nell’adulto il volume residuo. Un altroindice funzionale è la capacità funzionale residua (CFR), cioè l’aria che rimane all’interno del polmonea fine espirazione tranquilla: normalmente si parla di circa due litri, somma del volume residuo e diquello espiratorio.

Un altro dato fondamentale è la frequenza respiratoria: questa varia con le situazioni ma a riposo siassesta intorno ai 12 atti respiratori al minuto. Per stabilire dunque l’aria che entra/esce in un minutobasterà moltiplicare il volume corrente per la frequenza: in totale vengono spostati circa 6L di aria alminuto. Riassumendo i vari dati:

• Volume corrente (VC): aria spostata in un atto respiratorio tranquillo, circa mezzo litro.

• Capacità vitale (CV): aria spostata in un atto respiratorio forzato, tra i tre e i cinque litri.

• Capacità polmonare totale (CPT): insieme di capacità vitale e volume residuo, circa sei litri.

• Volume residuo (VR): volume fisso contenuto all’interno del polmone, circa un litro.

• Capacità funzionale residua (CFR): quantità di aria nel polmone a fine espirazione tranquilla.

Si è detto che lo scambio gassoso avviene solamente dove esistono gli alveoli: l’aria contenuta nellesezioni dove non ci sono scambi risulta inutile e prende il nome di spazio morto. Questo volume èdettato dall’anatomia delle vie aeree e prende il nome di spazio morto anatomico. Fisiologicamente nontutti gli alveoli sono in grado di condurre scambi, e la percentuale di alveoli in questa condizione puòaumentare patologicamente: si configura allora uno spazio morto alveolare legato a questo aspetto.Lo spazio morto anatomico insieme a quello alveolare vengono definiti spazio morto fisiologico che incondizione normale si aggira intorno ai 150mL. L’esistenza di uno spazio morto fisiologico non è unfatto negativo ma la sua entità può variare molto in condizioni patologiche.

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Che implicazioni reali ha lo spazio morto? La figura sopra le illustra. Siamo a fine espirazionetranquilla, con l’inspirazione successiva vengono introdotti circa 500mL di aria: dove andranno? Nel-l’aria inspirata, o aria ambiente, la pressione parziale dell’ossigeno è pari a 160mmHg mentre a livelloalveolare si parla di 100mmHg: in figura l’aria ambiente è viola, quella alveolare è azzurra. Durantel’inspirazione l’aria contenuta nello spazio morto, 150mL, sarà la prima ad entrare negli alveoli perchèspinta dall’aria in ingresso. Del mezzo litro di aria fresca inspirato alla successiva espirazione verrannoespulsi per primi quelli nello s pazio morto che adesso ha però una miscela fresca: ad ogni atto res-piratorio dunque ci sono sempre 150mL inutili agli scambi. Il risultato è che il volume d’aria spostatoè mezzo litro ma a fini funzionali è come se si muovessero 350mL. Concludendo il volume corrente èrappresentato da due quote:

VT = VD + VA (T=Total, D=Dead, A=Alveolar)

Posso andarmi a calcolare la ventilazione alveolare semplicemente moltiplicando il volume alveolare perla frequenza respiratoria quindi 350mL · 12 = 4, 2L/min: la ventilazione alveolare è dunque la quantitàutile di aria sposta al minuto ed è ovviamente inferiore alla ventilazione polmonare (6L/min).

21 Lezione 2

La meccanica respiratoria parte da un concetto fondamentale: il sistema poggia su due costituentianatomici, il polmone e la gabbia toracica, che hanno caratteristiche anatomiche molto diverse. Ilpolmone ha una struttura omogenea data dal suo parenchima mentre la gabbia toracica è eterogeneaavendo elementi ossei e muscolari. Queste due strutture, pur diverse dal punto di vista anatomico,sono per la fisica due strutture elastiche.Una struttura elastica è tale perchè è capace di ritrarsi; ogni struttura elastica possiede una posizionedi riposo in cui le forze esterne hanno risultante nulla: questa posizione deve essere ripristinata inseguito all’applicazione di forze o pressioni dall’esterno.

Quali sono gli elementi muscolari della gabbia toracica? I muscoli inspiratori principali sono:

• Il diaframma, fondamentale.

• I muscoli intercostali esterni

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• I muscoli scaleni, lo sternocleidomastoideo e alcuni muscoli di collo, testa e naso.

L’espirazione invece non richiede contributo muscolare in ambito tranquillo ma in ambito forzatosfrutta il muscolo retto, gli obliqui, il trasverso dell’addome e gli intercostali interni.

Il principale muscolo legato alla respirazione è il diaframma, il cui lavoro è indurre una modifica delvolume della gabbia toracica lungo due piani: antero posteriore e laterale (movimento a pompa dellosterno e movimento a manico del secchio delle coste). Questo muscolo è innervato dal punto di vistamotorio dal nervo frenico.

Come sono combinati i due elementi elastici polmone e gabbia? Il polmone tende al collasso mentrela gabbia toracica all’espansione e il rapporto è quello disegnato dalla figura sotto:

Il polmone e la gabbia sono tra di loro vincolati dai due foglietti pleurici, parietale e viscerale: questoimplica che il polmone non può comportarsi in modo disgiunto dalla gabbia e viceversa. Se noi andiamoa porre un manometro nello spazio intrapleurico vediamo che esiste una pressione e che questa ènegativa rispetto a quella atmosferica, cioè si trova una pressione minore di 760mmHg. In fisiologiaspesso si misurano le pressioni in cmH2O in quanto la scala dei mmHg è troppo grossolana. In questoassetto sperimentale se sposto il manometro dentro il polmone registro una pressione nulla, cioè ugualea quella atmosferica. La pressione negativa nello spazio tra i due foglietti pleurici è detta pressioneintrapleurica ed è generata dalle opposte tendenze di polmone e gabbia. Il polmone può esdsere vistocome una molla ancorata ad un capo: le spire sono più distanziate nel punto di ancoraggio piuttostoche all’altro, in questo caso il diaframma, dove sono più compresse. Questo per dire che nello spaziointrapleurico esiste una differenza di pressione: un manometro basale legge un valore meno negativodi quello apicale in quanto la pressione intrapleurica non è uniforme ma è più negativa in posizioneapicale (i valori sono sempre subatmosferici).

Come si può costruire un modello di sistema toracopolmonare con strumenti semplici? Basta unpalloncino che simuli il polmone e un recipiente dove metterlo. Se il recipiente viene connesso aduna pompa aspirante si ottiene un sistema valido. In condizioni di riposo il palloncino è sgonfio e hala stessa pressione atmosferica: quando si accende la pompa questo si distende e diventa adeso alrecipiente. Nel mio sistema all’interno c’è l’alveolo in cui ci sarà la pressione alveolare uguale a quellaatmosferica, poi tra palloncino e contenitore ci sarà una pressione analoga a quella intrapleurica einfine al di fuori del recipiente ci sarà la pressione atmosferica.

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La pressione transpolmonare sarà data dalla differenza di pressione tra il polmone e lo spazio in-trapleurico, vale a dire pressione alveolare meno pressione intrapleurica. La pressione alveolare è quel-la atmosferica e quindi zero, mentre quella intrapleurica è negativa, in media −5cmH2O: la pressionetranspolmonare di norma vale allora 0 − (−5) = +5cmH2O. La pressione transpolmonare rappresentala forza di retrazione elastica del polmone. La pressione transtoracica invece ha valore assoluto ugualea quella transpolmonare ma segno opposto in quanto è il risultato della sottrazione della pressioneatmosferica a quella intrapleurica; riassumendo:

• Pressione transpolmonare: Patm − Pintrapleurica = 0− (−5) = 5cmH2O

• Pressione transtoracica: Pintrapleurica − Patm = −5 + 0 = −5cmH2O

La pressione transtoracica è dunque espressione dell’azione espansiva della gabbia toracica. Si è dettoche la pressione intrapleurica non è uniforme: in particolare in posizione apicale vale 750mmHg mentrein posizione basale 757mmHg, i valori in cmH2O saranno rispettivamente −13cmH2O e 4cmH2O. Lapressione transtoracica è negativa quando i muscoli sono rilassati ma se questi si contraggono siha una pressione positiva: quando effettuo un’inspirazione forzata creo un contributo muscolare chesviluppa una pressione negativa (allarga la gabbia), al contrario durante l’espirazione si genera unapressione positiva (richiude la gabbia).

Si è visto dunque che il sistema poggia su due strutture elastiche diverse ma vincolate: se questosistema si altera, ad esempio per un trauma da perforazione, l’equilibrio si rompe e le due struttureseguono la loro natura, cioè il polmone collassa e la fabbia si espande. Il collasso del polmone prendeil nome di pneumotorace che può essere sia traumatico che spontaneo (individui longilinei e moltomagri).

La pressione intrapleurica è un dato importante per studiare eventuali alterazioni polmonari ma nonè facile da misurare in quanto c’è grande rischio di provocare dei danni. Una stima molto attendibile delsuo valore è ottenibile sfruttando la pressione endoesofagea che viene rilevata introducendo una sondanell’esofago: le variazioni da questa registrate sono coerenti con quelle della pressione intrapleurica.

Polmone e gabbia sono strutture elastiche. Che cosa vuol dire esattamente? Vuol dire che sonostrutture che possono ritrarsi, che a riposo non sono soggette a forze esterne e che rispondono qualorave ne si applichi una. Una struttura elastica sviluppa delle resistenze, dette resistenze elastiche, chedipendono dall’entità della deformazione cui vanno incontro; il sistema toracolombare sviluppa poidelle resistenze dette viscose ed inerziali che dipendono dalla velocità e dall’accelerazione dei movimentidelle due strutture. Le resistenze toracopolmonari sono dunque di due tipi: statiche, legate alla naturaelastica dei corpi, e viscose, dovute all’aria in movimento; nell’insieme le resistenze offerte dal sistemavengono chiamate resistenze meccaniche.

Le due strutture del sistema sono strutture complianti, e questa proprietà può essere studiatastudiando i vari valori pressori.

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Quali valori si prendono per studiare la complianza del polmone? Valuto le variazioni di pressionetranspolmonare e i loro effetti sulle variazioni di volume. Quali sono i riferimenti volumetrici? La ca-pacità funzionale residua (volume d’aria nel polmone a fine espirazione tranquilla) e la capacità vitale(massimo volume d’aria spostabile). Nel primo grafico le pressioni risultano positive perchè positi-va è la pressione transtoracica (Patm − Pintrapleurica) mentre nel secondo grafico si valuta la pressionetranstoracica che può essere sia positiva che negativa grazie all’intervento dei muscoli respiratori.Questo schema è un modello, la realtà è più complessa e illustrata sotto:

Si vedono tre curve: polmone isolato, gabbia isolata e sistema toracopolmonare. Il polmone isolato èrappresentato dalla curva più a destra (rossa); le variazioni di volume avvengono esclusivamente pervariazioni di pressione positive, quindi se voglio espandere il polmone è necessario fornire una pres-sione maggiore di quella atmosferica. La pendenza della curva è maggiore per variazioni pressoriepiccole e diventa meno ripida quando le pressioni aumentano: la complianza è maggiore per le vari-azioni pressorie, modeste, iniziali. Il torace isolato è rappresentato dalla curva più a sinistra (blu):questa curva a differenza della precedente attraversa la linea zero dell’ordinata. Il fatto che la curvaattraversi il valore pressorio 0 significa che la gabbia può mantenere quel volume in una situazione diequilibrio e il punto in cui lo fa corrisponde al 55% della capacità vitale. Perchè il 55% della capacitàvitale: corrisponde al volume corrente, quindi durante un’inspirazione tranquilla la gabbia si espandesenza che sia necessario applicare alcuna forza. La curva tratteggiata è la complianza del sistematoraco-lombare.Si vede subito che il sistema ha un punto di equilibrio a pressione zero: a questo puntola componente toracica e quella polmonare vengono sfruttate in egual misura. Il punto di equilibrio delsistema toracolombare è la capacità funzionale residua, cioè il sistema è in equilibrio a fine espirazionetranquilla. Il fatto che il sistema sia in equilibrio si deduce dal fatto che le distanze della linea trat-teggiata dalla linea rossa e da quella blu sono uguali. Un secondo punto chiave è quello in cui la curva

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del sistema intercetta quella del polmone: questo avviene al 55% della capacità vitale, cioè in ambitodi respirazione tranquilla e in particolare del volume corrente. Per sviluppare volumi superiori in di-rezione della capacità vitale è necessario iniziare a sfruttare sia la capacità retrattile del polmone chele proprietà del torace; in queste condizioni c’è bisogno del contributo aggiuntivo dei muscoli espiratoriperchè in questo momento la gabbia toracica non tende più ad allargarsi ma a collassare. [Sta roba èspiega meglio nella seconda lezione]

Un’alterazione funzionale a carico della forza di retrazione è detta enfisema: si tratta di una perditadella capacità retrattile in cui il tessuto si deforma ma non riesce poi a tornare alla condizione iniziale.Un aumento del tessuto connettivale porta invece a fibrosi in cui l’elasticità si perde ed è necessariosviluppare pressioni elevatissime per far variare il volume.

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22 Lezione 3

Le variazioni di volume richiedono pressioni che possono essere sia subatmosferiche che superat-mosferiche. Il punto critico in cui la curva del sistema toracopolmonare intercetta l’asse Y indica che ilvolume raggiunto in questa condizione non richiede contributi pressori: questo volume è il 35% dellacapacità vitale e corrisponde alla capacità funzionale residua. Questo punto critico è l’unica condizionein cui le tendenze opposte di gabbia e polmone si bilanciano. Per poter mantenere volumi al di sottodella capacità funzionale residua, fino ad arrivare a quello del volume residuo, devo imporre pressioninegative: durante l’espirazione forzata è necessario sfruttare le capacità di distensione del solo torace.I volumi che vanno dalla capacità funzionale residua al volume residuo sono dunque ottenuti con ilcontributo del solo torace.Salendo verso volumi maggiori rispetto alla CFR si incontra un altro punto critico in cui la curvatoracopolmonare incrocia quella polmonare: questo punto corrisponde al 55% della capacità viale edè il volume corrente, quello raggiunto a fine inspirazione tranquilla. A partire dal volume correntel’espirazione tranquilla porta fino a CFR sfruttando la forza di retrazione del polmone: da VC fino aCFR la sola spinta è data dal polmone che si ritrae.Volumi superiori al volume corrente, fino alla capacità vitale, possono essere raggiunti solo a pattoche venga sfruttata sia la pressione del polmone che del torace; quest’ultimo in questa condizioneinverte la sua tendenza alla distensione: è infatti necessario erogare una pressione che non è piùsubatmosferica ma superatmosferica. A seguito di questo fatto posso affermare che il torace ha unanaturale tendenza alla distensione ma questo non è vero in assoluto: quando si va in inspirazionemassimale si deve poi eseguire un’espirazione forzata che richiede l’intervento dei muscoli espiratori.La necessità dell’intervento muscolare è dovuta al fatto che il sistema da solo non riesce ad espirarel’aria; il contributo muscolare è opposto alla condizione naturale del solo torace: per raggiungere lacapacità vitale allora il torace assume un comportamento analogo a quello del polmone.Riassumendo: l’inspirazione richiede sempre un intervento muscolare (diaframma) mentre l’espirazionetranquilla sfrutta la restituzione energetica respiratoria; l’inspirazione massimale tuttavia richiede poiun intervento muscolare per la successiva espirazione in quanto il torace ha raggiunto la sua massimadistensione e ha bisogno di un aiuto dai muscoli.Qual è la situazione delle forze nei vari punti critici del grafico? A volume residuo la capacità dicollasso del polmone è esaurita mentre la capacità di distensione del torace è normalmente presente.A capacità funzionale residua l’equilibrio è perfetto e le due forze si equivalgono. A livello del volumecorrente il contributo del torace è sparito e si ha solo la capacità elastica del polmone. Infine a livellodella capacità vitale si ha sia il contributo del polmone che quello toracico, da intendersi però comecontributo muscolare.

La linea a destra nel grafico è l’andamento dei volumi d’aria durante gli atti respiratori. La compli-anza è pari a circa 200mL di acqua per centimetro ed è uguale per torace e polmone. La complianza èil reciproco della resistenza e il sistema toracopolmonare è un sistema in parallelo: il risultato è che lacomplianza dell’intero sistema è la metà dei due sistemi presi singolarmente.

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Il senso del conoscere l’andamento dei singoli componenti del sistema e non di quest’ultimo ingenerale è clinico: le alterazioni spesso riguardano solo una parte. Il polmone ad esempio ha duealterazioni principali:

Enfisema Situazione dovuta alla rottura degli alveoli che genera un’aumentata complianza e una curvamolto più ripida: cala la forza di retrazione. L’inspirazione nell’enfisema non risulta alterata mai danni si vedono in fase espiratoria: si hanno difficoltà ad allontanare l’aria stantia quindi siaccumula aria sempre più ricca in CO2 e povera di O2.

Fibrosi La situazione qui è di complianza ridotta: il tessuto elastico sparisce e la distensibilità è persa.

Il torace va incontro più difficilmente a modificazioni ma esistono casi comuni: la gravidanza o l’obesitàne modificano ad esempio le caratteristiche meccaniche.

Nel soggetto sdraiato come cambia la situazione? In posizione sdraiata il torace si modifica inquanto il diaframma si sposta a causa della pressione dei visceri: il risultato è che il torace non puòpiù distendersi al 100% e la curva del sistema toracopolmonare cambia spostandosi verso destra. Sela curva del sistema si sposta a destra il punto di equilibrio si abbassa e quindi si raggiunge a volumiinferiori: l’equilibrio va verso il 30% e si avvicina dunque alla capacità funzionale residua. In posizionesdraiata viene dunque introdotto meno ossigeno e quindi chi ha problemi respiratori si sente consigliaredi dormire con dei cuscini extra: più cuscini sono necessari più sarà grave la situazione.

In fisiologia si parla di una complianza statica perchè riferita alla sola componente elastica delsistema e quindi indipendente dalle velocità e dalle accelerazioni. Questo dato è importante in clinicaperchè diminuisce tutte le volte che si sviluppano disturbi ventilatori restrittivi, ad esempio con unpolmone non ventilato o un edema alveolare. L’edema è una condizione in cui del liquido si depositasugli alveoli togliendo spazio all’aria. Condizioni naturali di riduzione della complianza statica sonoinvece l’enfisema e l’invecchiamento.

La figura sopra serve a valutare la complianza del sistema toracopolmonare. Abbiamo due famigliedi curve ricavate da una situazione sperimentale in cui in un polmone espiantato viene insufflata ariae vengono osservate le variazioni volumetriche e di pressione. Quello che si nota è che il comporta-mento del polmone è diverso quando viene insufflato da quando viene sgonfiato, anche se le pressioniche vengono erogate sono le stesse. Nella curva di insufflazione (pallini bianchi) vedo poi che fino auna pressione di circa 8cmH2O il volume quasi non cambia mentre incrementi, anche modesti, oltre

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i 10cmH2O generano variazioni sostanziali del volume; a pressioni elevate il comportamento torna adessere simile alla situazione iniziale, in pratica dunque il polmone oppone grandi variazioni di volumead un range intermedio di pressioni. La curva di desufflazione è molto diversa ed è in generale piùarmonica rispetto a quella di insufflazione; l’area sottesa da queste due curve prende il nome di istere-si. Un dato interessante è che se invece di insufflare aria si usa soluzione fisiologica le due curve sisovrappongono e la complianza del sistema è diversa.

La figura sopra è la stessa di prima in forma più elegante (e presa da un polmone in situ). Si era vistoche il polmone ha una complianza maggiore se viene insufflata fisiologica anzichè aria [Cazzate, hauna complianza minore ma lei non lo sa!], cioè oppone variazioni più ampie di volume per variazionipressorie modeste: perchè dunque si sfrutta l’aria e non la fisiologica? Consideriamo cosa succede alpolmone in situ e non espiantato come prima. La curva più grande è simile al grafico visto prima ma lapiù piccola, pur essendo simile, racchiude un’area molto inferiore. Cosa c’è dietro questo discorso?

La tensione superficiale è la forza, espressa in dine, che agisce attraverso una linea immaginaria di1cm sulla superficie del liquido, in pratica è la forza che tende a restringere la superficie libera. Unagoccia d’acqua assume una forma sferica perchè è il solido che ha il minor rapporto superficie/volume.

Nella figura sopra ho un liquido sotto e dell’aria sopra. Le particelle d’acqua (A) sono mantenute inposizione dai legami intermolecolari ed intramolecolari. Le particelle B sono a contatto con il liquido

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e quindi non hanno un equilibrio come le particelle d’acqua: si parla di tensione sviluppata da ungas nei confronti di un liquido. Il risultato è che sulla superficie del liquido si sviluppa una tensionesuperficiale: questa è la situazione cui sono sottoposti costantemente gli alveoli. Come mai succedequesto? Perchè l’alveolo da un lato ha l’aria inalata e dall’altra i capillari. Gli alveoli hanno però unastrategia per vincere la tensione superficiale: il surfactante, un tensioattivo in grado di abbassarneil valore. Se la tensione superficiale rimanesse come vista sperimentalmente si avrebbe un richiamodi liquido dall’interstizio con conseguente collasso dell’alveolo e, alla fine, retrazione del polmone. Incondizioni fisiologiche dunque la tensione superficiale viene molto ridotta e lo vedo dal grafico vistoprima in quanto l’area di isteresi è fortemente ridotta.Il surfactante è un prodotto dei pneumociti di tipo 2 e il suo nome completo è dipalmitoilsurfatidilcolina:la sua azione è tensioattiva. In questa molecola si identificano un polo idrofilico e uno idrofobico: questipoli contrapposti contrastano la forza delle particelle gassose nei confronti di quelle liquide.

Come si valuta la tensione superficiale? Con la legge di LaPlace che la correla direttamente allapressione: P = 4T

r . Poichè l’alveolo non è una sfera la formula viene corretta in

P =2T

r

Secondo la legge dunque tutte le volte che il raggio aumenta, per tensioni costanti, la pressionediminuisce. Esempio pratico:

L’alveolo a sinistra ha una pressione di 0, 8kPa mentre quello a destra 0, 4kPa: questo perchè ha raggiodoppio rispetto al primo. La tensione nei due alveoli è la stessa ma c’è una differenza di pressione.

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Gli alveoli non hanno tutti la stessa dimensione, che cambia al variare dello stato di insufflazione. Glialveoli sono tra loro collegati dai pori di Kohn; l’alveolo più piccolo ha una pressione più grande di quellovicino: grazie a questi pori la pressione verrà convogliata verso l’alveolo più grande. Questo discorsoè valido perchè abbiamo un sistema in cui variano solamente raggi e pressioni e non le tensioni.Il meccanismo ha però un problema: se funzionasse solamente così tutti gli alveoli finirebbero unodentro l’altro fino ad avere un unico alveolo gigante in una situazione incompatibile con la funzionerespiratoria (la superficie sarebbe insufficiente). Da qui la necessità di agire sulla tensione grazie altensioattivo: il suo valore viene modulato al fine di mantenere il sistema a pressione costante in mododa avere tutti gli alveoli allo stesso regime pressorio. In generale dunque il raggio dell’alveolo cambiain funzione dell’evento respiratorio e, per far si che ogni alveolo abbia la stessa pressione, la tensioneviene regolata di conseguenza.

Come si modula la tensione all’interno dell’alveolo? La modulazione avviene grazie al fatto che ipneumociti di tipo 2 producono surfactante in base al raggio del loro alveolo: più è piccolo il raggio, piùsurfactante viene prodotto. Un esempio pratico:

Alveolo1 Alveolo2 Alveolo1 (Surfactante) Alveolo2 (Surfactante)Raggio 2 1 2 1

Tensione 3 3 2 1Pressione (2x3)/2=3 (2x3)/1=6 (2x2)/2=2 (2x1)/1=2

Grazie all’azione del surfactante alla fine i due alveoli hanno la stessa pressione pur avendo dimensionidiverse. Lo stesso alveolo dunque sarà sottoposto a correzioni diverse alla sua tensione a secondadello stato in cui si trova: in insiprazione ad esempio ci sarà poco tensioattivo mentre in espirazionela correzione sarà maggiore (fino ad arrivare al picco del volume residuo). Il tensioattivo in sostanza fasi che quando l’alveolo raggiunge il raggio minimo, cioè al volume residuo, sia in grado di riprenderela distensione nell’inspirazione successiva. Il surfactante è fondamentale al momento della nascita,quando siamo sotto il volume residuo e gli alveoli sono completamente collassati: in queste condizionila tensione superficiale è enorme e infatti negli ultimi due mesi di gravidanza si sviluppano le proteinee il surfactante per permettere il primo respiro. Nelle gravidanze a termine prematuro (7 mesi) c’è ilrischio che il feto non sia preparato alla prima respirazione ed è necessario attuare terapie apposite persollecitare la produzione di surfactante.Quali sono in definitiva le azioni del surfactante:

1. Riduce la tensione superficiale e rende quindi il respiro più agevole.

2. Mantiene stabili gli alveoli, cioè evita che si infilino uno nell’altro.

3. Mantiene asciutti gli alveoli, evitando l’edema polmonare.

La terza attività si ottiene in quanto la situazione nell’alveolo è questa: esiste un interstizio, poi laparete dell’alveolo su cui è depositato il surfactante e solo dopo c’è l’aria, quindi esiste una barrieratra ambiente umido e ambiente gassoso. Nel versante interstiziale ci sono i capillari, i quali danno lapossibilità al liquido di trasferirsi verso il versante alveolare: è necessario evitare che questo raggiungagli alveoli, cioè evitare che si creino pressioni interstiziali che spingano i liquidi nell’alveolo. Le forzedi Starling che regolano il comportamento del capillare sono due: la pressione idrostatica e quellaoncotica. Se il sangue arriva con una pressione troppo elevata la pressione oncotica non riesce abilanciare la situazione e si ha edema polmonare, cioè liquido in uscita dai capillari verso l’alveolo.

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23 Lezione 4

Finora si è visto che le componenti elastiche del sistema toracopolmonare oppongono delle resistenzeche vengono appunto definite elastiche; esiste però un altro fattore resistivo che è dettato dalle vie diconduzione: i condotti aerei rappresentano una struttura anatomica capace di sviluppare resistenze.

Le resistenze possono essere statiche (derivanti cioè dal tessuto anatomico della struttura) o di-namiche (variano sulla base dei fattori tempo, velocità ed accelerazione): le dinamiche sono quelledettate dai condotti aerei. I condotti aerei portao l’aria dal naso/bocca fino agli alveoli e rappresentanol’espressione delle resistenze viscose, qui rappresentate per il 90% del totale. Il rimanente 10% è dovu-to alla componente tissutale non elastica del sistema. Il senso della dinamicità di queste resistenze èlegato al fatto che c’è dell’aria in movimento che da origine ad un flusso. La legge fondamentale delflusso è quella di Poiseuille:

Q = ∆PR R = 8ηl

πr4

Un flusso può essere di tipo laminare o di tipo turbolento: cosa fa la differenza? La differenza la fa ilnumero di Reynolds che è determinato dal raggio del condotto e dalla velocità, densità e viscosità delfluido:

Re =r · v · dη

Quando questa espressione ha un valore superiore a 2000 il moto diventa turbolento. All’interno deicondotti aerei, a causa della loro anatomia, si sviluppa un flusso sia laminare che turbolento.

Idealmente il flusso laminare si trova a livello dei bronchioli terminali mentre il flusso è sicuramenteturbolento a livello della trachea, a causa del calibro. Dalla trachea ai bronchioli il percorso è lungo:l’albero respiratorio è pieno di ramificazioni e in corrispondenza di esse il moto da laminare diventaturbolento. Qual è allora la situazione? Si dice che, esclusa la trachea dove il moto è turbolento edesclusi i bronchioli dove il moto è laminare, il flusso d’aria sia transizionale, alterna cioè momentilaminari e momenti turbolenti.

Il fattore critico nella modifica del flusso è la resistenza. Dove sono poste le resistenze? Esiste unadistribuzione di tipo anatomico: la maggior parte (70%) è posta nelle prime vie respiratorie, fino aibronchi medi; di questa quota resistiva almeno la metà è collocata nelle vie nasali e questo è evidentein quanto basta un piccolo raffreddore per avere un calo enorme nella capacità respiratoria. In generaledunque le resistenze diminuiscono alla riduzione del calibro del condotto, questo perchè il numero dicondotti di piccolo calibro è enorme e quindi le resistenze totali in parallelo sono minori della resistenzadi un singolo vaso. Il fatto che i condotti aerei siano critici per il movimento dell’aria è documentatoanche dalla ricca innervazione; questi condotti sono innervati sia dal punto di vista parasimpatico(vago) che simpatico. Le terminazioni vagali provocano ipersecrezione e costrizione dei vasi mentre leterminazioni simpatiche hanno effetto opposto. Questo aspetto diventa evidente ad esempio nell’asmain cui il sistema è alterato e non c’è più una modulazione della costrizione dei condotti.

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Qual è la ricaduta delle resistenze sulla funzione respiratoria? Si è visto che le resistenze sonomassime nei condotti di calibro maggiore e minime in quelli minori. Le resistenze dipendono però an-che dal volume polmonare. Quando si raggiunge il volume residuo, cioè il minimo, le resistenze sonomassime mentre a capacità polmonare totale le resistenze sono minime. In sintesi le resistenze sonominime in fase di massima espansione. Il calibro dei bronchi dipende dalla pressione transmurale, chein questo caso è la pressione intrapleurica; in situazione di volume residuo i condotti sono vicini alcollasso perchè la pressione intrapleurica tende a farli chiudere. Quando i volumi polmonari aumen-tano l’espansione della gabbia toracica distende le pareti elastiche dei condotti, quindi li dilata facendodiminuire le resistenze.

I condotti aerei dunque non sono rigidi ma hanno una parete elastica (ad eccezione della trachea, cheè il tratto più rigido) e risentono della distensione del polmone. In altre parole c’è da aspettarsi cheil movimento d’aria all’interno dei condotti sia correlato a delle variazioni pressorie, ad esempio dellapressione intrapleurica, della pressione alveolare e della forza di retrazione polmonare. La chiave dilettura è l’evento respiratorio. A livello di capacità funzionale residua cosa si nota?

1. Il volume è minimo

2. Il flusso d’aria non c’è

3. La pressione alveolare è quella atmosferica

4. La pressione intrapleurica è subatmosferica

5. La pressione di retrazione è espressa dalla componente elastica del polmone stesso

Quando il volume aumenta la pressione intrapleurica diventa ancor più negativa, gli alveoli si disten-dono e la pressione di retrazione diventa anch’essa più negativa. La pressione alveolare è diventatasubatmosferica e questo fa muovere l’aria negli alveoli. L’inspirazione prosegue fino al punto massimodi distensione polmonare e poi cessa quando si è raggiunto il massimo valore negativo della pressioneintrapleurica. A questo punto la pressione alveolare sta perdendo il gradiente accumulato e quindil’aria non raggiunge più gli alveoli. A questo punto inizia l’espirazione: la pressione alveolare diventamaggiore di quella atmosferica e si crea un gradiente inverso. L’espirazione richiede una riduzionedella negatività della pressione intrapleurica. Il processo di espirazione andrà avanti fintanto che c’èun gradiente favorevole verso il naso: quando questo svanisce termina l’evento respiratorio.

Una semplificazione dell’evento respiratorio è data dalla figura sotto:

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Partendo da fine espirazione abbiamo un flusso zero dato dal fatto che non c’è un gradiente pressorio.Due sono le componenti essenziali: la componente muscolare, che a fine espirazione non è presente,e la forza di retrazione polmonare, nulla anch’essa in questo momento. Quali sono le resistenze ingioco al momento? Le resistenze sono alte in quanto i dotti hanno una tendenza al collasso, il calibro èpiccolo e non ci sono forze che tentano di aumentarlo. L’inspirazione è dettata dal contributo muscolareche, insieme all’espansione della gabbia, va a ridurre la pressione intrapleurica che diventa così ancorpiù negativa: questo va a ridurre anche la pressione alveolare che diventa subatmosferica. Si ha oraun gradiente pressorio dal naso agli alveoli e il flusso inizia in questa direzione. Una volta iniziatal’inspirazione i condotti aerei vanno incontro ad una sempre più ridotta componente resistiva: dovesarà il minimo livello resistivo? A fine inspirazione, quando la gabbia è completamente distesa e ilpolmone la segue e quindi si ha il picco di negatività della pressione intrapleurica. Il gradiente cheprima favoriva l’ingresso dell’aria viene annullato e il flusso cessa. A questo punto segue l’espirazioneche può essere tranquilla o forzata.Durante una espirazione tranquilla l’energia dei muscoli che era stata fornita in ispirazione viene resti-tuita e si va a ridurre progressivamente la negatività della pressione intrapleurica. La forza di retrazioneelastica viene contrastata dalla pressione intrapleurica; questa forza ad inizio espirazione è massima.L’effetto sarà una pressione alveolare superiore a quella atmosferica e quindi si ricrea un gradiente chespinge l’aria ad uscire. L’espirazione cessa quando la forza di retrazione diminuisce e non riesce piùa creare il gradiente positivo per l’aria. Quando si effettua invece un’espirazione forzata si aggiungeil contributo muscolare che incide pesantemente sulla pressione intrapleurica. L’espirazione forzata èl’unica occasione in cui la pressione intrapleurica cambia segno: la forza muscolare è tanto elevata darendere positiva la pressione intrapleurica. Normalmente si ha una pressione di inizio espirazione dicirca −8cmH2O: ora si arriva anche a 25cmH2O. Come incide questo sulla pressione alveolare? La faaumentare, portandola a +35cmH2O e creando così un gradiente enorme supportato sia dalla retrazioneelastica che dalla forza muscolare.

Che cosa mantiene pervie le vie aeree? Due elementi: la pressione trasmessa dagli alveoli e la forzadi retroazione polmonare. Cosa succede durnante l’espirazione? La pressione in arrivo dagli alveolisi va esaurendo. Il condotto è soggetto ad una pressione transmurale dettata dalla differenza con lapressione intrapleurica che in fase espiratoria non cambia: esiste allora un punto in cui la forza dipropulsione dagli alveoli è bilanciata dalla forza di distensione esercitata sul condotto. In altri terminia questo punto non c’è una forza sufficiente a mantenere dilatato il condotto stesso.

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24 Lezione 1 [R]

La funzione renale è riassumibile in termini di conservazione dell’ambiente interno, stabilizzando ilvolume e la composizione del fluido extracellulare: l’escrezione urinaria è il frutto di questa attività.La complessità della struttura del rene giustifica le sue funzioni articolate: un semplice filtro avrebbeun’anatomia molto più semplificata.

Due sono gli elementi fondamentali per la funzione renale: acqua ed elettroliti; entrambi possiedonodue ingressi possibili: l’ingresso metabolico, cioè la loro produzione durante le reazioni biochimiche, ol’ingresso alimentare. Acqua ed elettroliti vanno poi a collocarsi in compartimenti precisi che sonosolamente tre: intracellulare, extracellulare e plasmatico13. L’equilibrio idrosalino, e in definitival’omeostasi, è legato al bilancio tra i percorsi compiuti all’interno di questi compartimenti.

Come sono divisi i compartimenti nell’organismo? Per un individuo giovane del peso di 70Kg laripartizione è la seguente:

• 23L è il volume intracellulare totale

• 19L è il volume extracellulare totale (compreso il volume plasmatico)

• 42L è il volume idrico totale

Più in generale si possono esprimere dei rapporti percentuali in funzione al peso corporeo:

• 60% del peso corporeo è il volume idrico totale

• 33% è la quota del volume intracellulare

• 27% è la quota del volume extracellulare

Passando da una visione dell’intero organismo ad una tissutale le percentuali sono diverse: esistonotessuti molto ricchi d’acqua, ad esempio il muscolo, e tessuti molto poveri, ad esempio l’adipe.

I compartimenti sono caratterizzati da una profonda differenza nella disposizione elettrolitica, cioènelle concentrazioni di cationi e ioni. Lo ione Na+è molto più concentrato all’esterno14 della cellula,mentre lo ione K+ è molto più concentrato all’interno. Anche gli anioni hanno distribuzione peculiare:cloro e bicarbonato sono concentrati all’esterno della cellula, mentre il fosfato è tipico dell’ambienteintracellulare. Tra i vari compartimenti esiste un continuo scambio di prodotti ma queste differenzedi concentrazione devono essere sempre mantenute: l’omeostasi del rene è coinvolta dunque in questoequilibrio elettrolitico.

L’equilibrio elettrolitico si può rompere a seguito di molte situazioni cliniche (cardiopatie, alterazionicapillari, variazioni proteiche del sangue, difficoltà del ritorno venoso). Le situazioni che portano aduna disidratazione ad esempio sono molto varie e con risultati clinici diversi. La prima tipologia didisidratazione è la disidratazione isotonica, in cui viene persa acqua con un pari contributo elettroliticoe quindi i rapporti di concentrazione non cambiano; questo tipo di disidratazione si genera in situazioniquali

• Emorragie

• Ustioni

• Diarrea/vomito

• Ipersudorazione

• Natriuresi farmacologica (perdita di Na con le urine per azione di uno o più farmaci)

La perdita di liquido in una disidratazione isotonica evoca lo stimolo alla sete: viene allora introdottaacqua ma non vengono generalmente introdotti elettroliti e questo fa evolvere la situazione. Se l’apportodi acqua non è bilanciato con quello elettrolitico si va allora incontro ad una disidratazione ipotonica,cioè si crea un ambiente diluito. L’ambiente diluito ha conseguenze negative soprattutto per i tessutiche accumulano molta acqua: il compartimento intracellulare è ora fortemente impoverito di soluti e la

13Il compartimento plasmatico a rigore può essere visto come una frazione del compartimento extracellulare.14In generale l’ambiente extracellulare è in equilibrio nelle sue varie frazioni, cioè ad esempio l’interstizio è quasi in equilibrio

con il plasma.

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funzionalità cellulare è minata. I segni che spesso sono legati a questa condizione sono cefalea, vomito,apatia, perdita di coscienza e coma.La disidratazione si può ottenere anche in altre condizioni, ad esempio in alta quota: in questa con-dizione si tende ad iperventilare aumentando la quota idrica persa con la respirazione; quando si perdesolamente la quota idrica senza intaccare la quota salina si va incontro ad una disidratazione ipertonicain cui i compartimenti risultano avere elettroliti in concentrazioni troppo elevate.

Situazione opposta alla disidratazione è l’iperidratazione. L’iperidratazione più comune è legata al-l’introduzione di troppa acqua ed è uguale alla disidratazione ipotonica vista prima. Questa condizioneè legata alla comparsa di edema generalizzati soprattutto negli arti inferiori: la causa può essere siail bere acqua in quantità eccessiva sia un’insufficienza cardiaca, epatica o renale. Un’iperidratazionemolto meno frequente è l’iperidratazione ipertonica, o intossicazione da acqua marina. Se un soggettobeve acqua di mare, la cui concentrazione salina è troppo elevata, crea un danno all’organismo moltopiù grave di quello derivante dal non bere affatto: per compensare alla iperconcentrazione di sali vienerichiamato liquido dal compartimento intracellulare e questo scompensa i tessuti eccitabili.

L’elemento fondamentale per la funzione renale è il corpuscolo renale o del Malpinghi. Questastruttura è formata dalla capsula di Bowmann e dai capillari arteriosi. La barriera di filtrazione renaleè costituita anatomicamente dall’endotelio fenestrato del capillare, dalla lamina basale e dai podociti,cellule specializzate del corpuscolo che rivestono la capsula; questa serie di elementi non crea un muroma piuttosto una sorta di maglia con spazi larghi 40Å, cioè 4nm: si ha dunque un primo criterio difiltrazione che è quello della dimensione. In generale sostanze con un ingombro in peso molecolaresuperiore ai 69000 milliequivalenti o diametro superiore agli 8nm non possono passare mentre quellecon diametro compreso tra 4 e 8nm possono essere ultrafiltrate; tutte le sostanze che hanno diametroinferiore ai 4nm o peso molecolare inferiore a 5000 sono libere di transitare. Questa barriere all’attopratico dunque cosa filtra?

• Passano liberamente: acqua, elettroliti, glucosio

• Non passano: globuli rossi e proteine plasmatiche

Le proteine dunque non passano, ma non tutte hanno un grande ingombro: le albumine ad esempiohanno un diametro ben inferiore ai 40Å tuttavia nel filtrato non sono presenti. La filtrazione qui avvieneper un secondo criterio: le albumine non passano perchè sono dotate di carica. Le proteine in gen-erale hanno carica negativa e vengono respinte dalla membrana basale: gli anioni sono invece liberi ditransitare perchè sono troppo piccoli per suscitare risposta dalla membrana. La dimostrazione dell’e-sistenza di una filtrazione su base elettrica sfrutta il destrano, uno zucchero normalmente non caricoe in grado di essere completamente filtrato; se viene caricato formando il solfato di destrano la capacitàdi filtrazione si riduce drammaticamente. Il punto è dunque che la carica combinata all’ingombro fa ladifferenza nel processo di filtrazione.

Quali sono le forze che guidano il processo di filtrazione? Sono sempre le forze di Starling, cioèla pressione idrostatica e quella colloidosmotica/oncotica. La pressione idrostatica del capillare (Pgl)è contrastata da quella all’interno della capsula di Bowmann (PB): il risultato è che se la pressionecapsulare è inferiore si favorisce la filtrazione. La pressione idrostatica deve però confrontarsi con lapressione colloidosmotica: le proteine presenti nel plasma richiamano liquidi e si oppongono semprealla filtrazione. La pressione idrostatica Pgla livello afferente è pari a circa 47mmHg mentre quellacapsulare a 12mmHg; la pressione colloidosmotica ha valore 25mmHg quindi sul versante afferente lasituazione sarà

(Pgl − PB)− πgl (47− 12)− 25 = 10mmHg

Esiste dunque un gradiente pressorio tale da rendere possibile la filtrazione. Sul versante efferentecome saranno i valori? Le pressioni idrostatiche rimangono invariate, a fare la differenza sarà lacolloidosmotica. Le proteine che non riescono a superare la barriera di filtrazione si concentreranno nelversante afferente in quanto durante la filtrazione è stato perso liquido: il risultato è che sul versanteefferente la pressione colloidosmotica arriva a 35mmHg. Ricalcolando il gradiente:

(Pgl − PB)− πgl (47− 12)− 35 = 0mmHg

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Il gradiente pressorio viene perso e dunque deduco che la filtrazione è un fenomeno che riguardasolamente il versante afferente.

La situazione renale in generale è molto diversa da quella sistemica in quanto i capillari sistemicipresentano sia filtrazione che riassorbimento nella stessa sede anatomica. A livello del glomerulorenale c’è solamente filtrazione a causa delle situazioni emodinamiche che si creano: il gradiente c’èsolo nel versante afferente. Un gradiente per il riassorbimento non esiste a livello del glomerulo: questoprocesso avverrà in una sede anatomofunzionale diversa. Un’altra differenza è nei valori pressori: lepressioni dei capillari glomerulari (45 − 50mmHg) sono di gran lunga superiori a quelle dei capillarisistemici (15− 30mmHg) e questo è specchio della particolare situazione emodinamica dell’organo.

Le proteine sono dunque l’elemento chiave della filtrazione e si è visto come il valore della pressioneoncotica passi da 25mmHg a 35mmHg nei due versanti; questi due valori non hanno tra loro un rapportolineare ma sono legati da un’equazione di terzo grado.

La pressione netta di filtrazione ha un valore medio di 10 − 12mmHg dato da ∆P −∆π ma è neces-sario introdurre un nuovo fattore. Il peso delle forze emodinamiche va corretto e il fattore di correzioneè rappresentato da Kg: il coefficiente di filtrazione. Questo fattore tiene conto di due elementi fon-damentali: la permeabilità idraulica effettiva della parete capillare e l’area della superficie utilizzataper la filtrazione; questi due elementi sono soggettivi sia a livello dell’individuo che a livello del sin-golo glomerulo. Il valore di Kg può variare in quanto entrambi i determinanti possono alterarsi; sela barriera di filtrazione muta lo farò anche il suo criterio di selettività e si può ad esempio generareuna proteinuria. Le glomerulonefriti hanno ragion d’essere nella modifica del coefficiente di filtrazione:valori alterati indicano organi alterati.

Com’è fatto l’ultrafiltrato? Fondamentalmente si tratta di plasma privato di proteine. Per l’equilibriodi Gibbs se le proteine vengono trattenute, e queste hanno carica negativa, deve esserci una redis-tribuzione delle cariche: i cationi calano rispetto alla concentrazione plasmatica quindi l’ultrafiltrato haanche una piccola differenza rispetto al plasma nella distribuzione elettrolitica.

La pressione netta di filtrazione, combinata alle caratteristiche anatomofunzionali del glomerulo,permette di avere un volume netto di filtrato fisiologico in media pari a 125mL/min: come si misuraquesto valore? Si prende una sostanza con tre caratteristiche:

1. Deve essere completamente filtrata

2. Deve essere completamente escreta

3. Non deve essere rimaneggiata lungo il tubulo

Una sostanza di questo tipo viene escreta nelle urine nella stessa quantità che viene filtrata. Il volumedi plasma filtrato viene indicato come velocità di filtrazione glomerulare o GFR, quindi posso affermareche:

[Quantita filtrata] = [Quantita escreta]

GFR · [X]P = VU · [X]U

dove [X]P è la concentrazione plasmatica del sangue, VU il volume delle urine e [X]U la concentrazioneurinaria. Risolvendo l’equazione per GFR si ottiene

GFR =[Quantita escreta]

[X]P=VU · [X]U

[X]P

Una sostanza che ha le caratteristiche per essere sfruttata in questo ambito è l’inulina15, una molecolaesogena derivante dalle dalie. Iniettando questa sostanza in concentrazioni note si va a vederne laconcentrazione ematica attraverso un prelievo e si raccoglie poi l’urina: il risultato sperimentale è unaGFR pari a 118mL, molto prossimo a 125mL.

15In clinica si usa la creatinina, un sottoprodotto del metabolismo della creatina da parte del muscolo scheletrico.

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25 Lezione 2 [R]

Quando una sostanza, qualsiasi essa sia, transita per il rene può finire in due sole sedi: nelle urine onelle vene. Rapportando la quantità di sostanza nelle urine a quella che era contenuta nella sede dipartenza ottengo il rapporto di estrazione. Quanto tutta la sostanza che era nel plasma viene ritrovataa livello urinario il rapporto sarà unitario, mentre se non se ne trova traccia nelle urine questa saràtutta nelle vene e il rapporto sarà zero.

Ex =Xurine

Xarterie

Il rapporto di estrazione può anche essere scritto nella formula

Ex =Vurine · [X]urine

Varterioso · [X]arteriosa

Il numeratore, in virtù delle due sole possibili destinazioni delle sostanze, è però la differenza tral’ambito arterioso e quello venoso: tutto quello che non è nelle vene è per forza nelle urine quindi si puòscrivere

Ex =[(Varterioso · [X]arteriosa)− (Vvenoso · [X]venosa)]

Varterioso − [X]arteriosa

semplificando

Ex =(Varterioso · [X]arteriosa)

(Varterioso · [X]arteriosa)− (Vvenoso · [X]venosa)

Varterioso − [X]arteriosa= 1− Vvenoso · [X]venosa

Varterioso − [X]arteriosa

Quando nel versante venoso non c’è traccia della sostanza il rapporto diventa dunque unitario, mentrequando tutta la sostanza è presente il rapporto diventa zero.

La quantità di plasma che circola nel rene è 660mL/min; nello stesso tempo si formano 1 − 3mL diurina. Sulla base di questi dati so che nel versante venoso ci saranno 660 − 3mL di plasma, quindi il99, 7% del volume arterioso: non si introduce un grande errore dicendo che il volume venoso e quel-lo arterioso sono uguali. Con questa assunzione la formula del rapporto di estrazione si semplificaulteriormente:

Ex = 1− [X]venosa[X]arteriosa

Utilizzando l’inulina si ottiene un rapporto di estrazione pari a 1, 06, quindi concludo che la sostanzaviene completamente filtrata. Una sostanza con un rapporto di estrazione minore di 1 non ha unafiltrazione completa ma parziale.

La clearance è il volume di plasma che viene depurato da una certa sostanza nell’unità di tempo:solo le sostanze che hanno rapporto di estrazione pari a 1 vengono depurate completamente nell’unitàdi tempo; per tutte le altre sostanze il volume depurato è un volume virtuale che si approssima: a livellourinario non ho il 100% della sostanza.L’inulina è tra le rare sostanze con rapporto di estrazione unitario, quindi la clearance dell’inulinaè una clearance reale. Il punto è che questa sostanza è esogena e non può fornire dati realisticisull’organismo: il problema si risolve passando dall’utilizzo di una sostanza esogena a quello di unaendogena, la creatinina.

La creatinina è una sostanza prodotta dal metabolismo muscolare che viene filtrata dal rene, anchese non completamente, ma che può essere secreta e finire direttamente nel tubulo renale ed entrarenelle urine. Mediamente l’organismo produce creatinina in modo costante con valori che dipendono dalsesso e dall’età del soggetto: esistono tabelle con questi valori. Nel paziente si fa una raccolta delle urinedella giornata e un prelievo ematico; da entrambi i campioni si ricava la concentrazione della creatininae si sfrutta la formula vista prima: la clearance ottenuta si confronta poi con i valori tabellari.

A livello non clinico è interessante avere i valori di clearance per porli a confronto con quelli del-l’inulina. In generale una sostanza può subire tre tipi di azione nel rene: escrezione, riassorbimento esecrezione. Se la clearance risulta zero la sostanza in esame viene completamente riassorbita e non sene ha traccia nelle urine (o perchè non passa la barriera o perchè viene riassorbita). Una sostanza cheha clearance zero per riassorbimento totale è ad esempio il glucosio: viene filtrato dalla barriera manon si ritrova nelle urine. Se la clearance della sostanza è minore di quella dell’inulina posso dire chein parte viene escreta e in parte riassorbita mentre se il valore è maggiore devo pensare che la sostanzasia stata secreta, cioè che dal versante venoso sia passata al tubulo.

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La clearance può essere utilizzata anche per andare a misurare la quantità di plasma depurato efiltrato da una sostanza nell’unità di tempo. In questo caso si utilizza una sostanza chiamata PAI,acido para-ammino-ippurico, che è una molecola esogena con rapporto di estrazione 0.95. Il PAI inconcentrazioni plasmatiche molto basse viene filtrato in grandissima parte e in più può essere secreto:qualora una quantità sfugga la filtro renale l’epitelio del tubulo è in grado di richiamarla al suo interno.L’idea è stabilire quanto sangue (o plasma) perfonde il rene e si sfrutta il sistema di Fick che è validoper tutti gli organi; se valuto la quantità di sostanza iniettata nel plasma e la quantità depositata nelleurine posso stimare la quantità di sangue che perfonde il rene nell’unità di tempo. Una correzione dafare però è questa: cerco di indagare la perfusione tramite la clearance che però riguarda solo tubulie glomeruli; il rene non è fatto solo di questi due elementi quindi il flusso plasmatico effettivo è pariall’85-90% del totale. Ricavato il flusso plasmatico bisogna ottenere quello ematico: la differenza traplasma e sangue la fa l’ematocrito. Per ricavare il flusso ematico totale del rene correggo la clearance delPAI per il fattore correttivo dell’ematocrito (1-ematocrito) ottenendo 1200mL/min: quindi in un minutoarrivano al rene 660mL di plasma e 1200mL di sangue.

A fronte di un’enorme quantità di ultrafiltrato si produce molta poca urina: se passano 660mL diplasma al minuto e vengono prodotti 1−3mL di urina si può concludere che la stragrande maggioranzadel filtrato viene anche riassorbito. I meccanismi di riassorbimento avvengono a partire dal tubuloprossimale del nefrone: il glomerulo serve esclusivamente a filtrare. Il riassorbimento è legato moltoall’anatomia; l’epitelio del tubulo renale presenta due aspetti: un versante luminale rivolto verso iltubulo e un versante basolaterale rivolto al capillare. I due versanti sono separati dalle cellule e dallamembrana basale del capillare; queste cellule non sono sovrapposte ma si creano ampi spazi tra diesse. Si possono dunque individuare due vie per il transito di una sostanza:

• Via transcellulare: la sostanza attraversa la membrana luminale e poi la basolaterale

• Via paracellulare: la sostanza passa tra cellula e cellula

I trasporti transcellulari avvengono secondo vari meccanismi. Il primo è la diffusione semplice, grazieal quale una sostanza segue i gradienti elettrochimici: questa via è sfruttata da sostanze liposolubilidi diametro inferiore ad 8Å. Tutte le altre sostanze richiedono un trasporto facilitato, che può essereun trasporto attivo primario o secondario. Il trasporto attivo primario consuma ATP ed è il tipo ditrasporto attuato dalla pompa Na-K. Il trasporto attivo secondario non richiede ATP ma sfrutta uno ionemotore libero di muoversi che si lega ad un canale facendo in modo che una sostanza normalmenteimpossibilitata possa passare; all’interno del trasporto secondario si riconoscono due metodi:

Simporto Quando ione motore e sostanza da trasportare si muovono nello stesso senso: entrambiescono o entrano. Fondamentale è il simporto sodio-glucosio.

Antiporto Quando lo ione motore si muove in senso opposto alla sostanza da trasportare.

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La figura sopra mostra due esempi di trasporto: una sostanza trasportata a Tm (Trasporto Massimo)e una trasportata secondo gradiente tempo. Nel grafico di destra in Y si vedono la quantità filtrata,escreta o riassorbita. La quantità filtrata è una retta, quindi si evidenzia una proporzionalità direttaal carico filtrato (il carico filtrato è la concentrazione della sostanza nel plasma moltiplicata GFR). Laquantità riassorbita è invece una curva, quindi c’è un costante riassorbimento finchè il carico è elevato.La quota riassorbita non è mai il 100% in quanto c’è sempre una parte escreta. Per una sostanzatrasportata a gradiente tempo osservo che il riassorbimento è costante, cioè finchè c’è sostanza questaviene riassorbita anche se non al 100%: la quota mancante sarà quella escreta (filtrata = riassorbita+ escreta). Nel grafico di sinistra, quello del trasporto a Tm, le cose sono molto diverse. Si nota che,per carichi filtrati abbastanza piccoli, il riassorbimento è totale. La sostanza inizia ad essere presentenelle urine solo a partire da un certo valore. Un tipico esempio di questo tipo di trasporto è quello delglucosio:

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Raggiunta la concentrazione di circa 375mg/min la quota riassorbita diventa costante e inizia ad essercipresenza di glucosio nelle urine. A differenza del grafico precedente qui il passaggo tra riassorbimento100% e riassorbimento costante avviene tramite una porzione di curva, quindi all’avvicinarsi ad unriassorbimento costante si avrà anche qualche effetto sulla quota escreta. Nell’intervallo di concen-trazioni tra 200 e 375mg la quantità di glucosio non riassorbita finirà nelle urine e si avrà il fenomenodello splay. Perchè il glucosio si comporta in modo diverso dalla teoria precedente? In realtà esistonodue soglie per questo fenomeno: una soglia empirica e una soglia teorica. La soglia teorica è il risultatodella ricerca di una concentrazione tale per cui la quantità riassorbita risulti costante nel tempo, inquesto caso 375mg/dL. Il trasporto massimo è però legato alla presenza di carrier sulla membranaluminale: immagino che il glucosio venga riassorbito in modo costante quando tutti questi carrier sonosaturati. Sperimentalmente si è visto che questi carrier sono di due tipi: il carrier GLUT2 depositatosull’epitelio S1 vicino al glomerulo, e il carrier GLUT1 depositato sull’epitelio S3 vicino all’ansa di Henle.Quali sono le differenze? GLUT2 ha un rapporto stechiometrico 2:1, cioè trasferisce due ioni sodio perogni molecola di glucosio, mentre GLUT1 ha un rapporto stechiometrico 1:1. Il rapporto tra carrier eglucosio è molto simile a quello enzima substrato. GLUT2 ha una bassa affinità ma una capacità alta inquanto sono molecole numerose. GLUT1 ha invece la situazione opposta: è più raro ma ha un’affinitàmaggiore. Come in un rapporto enzima-substrato, la cinetica è legata ad una costante di dissociazioneche può essere espressa, in questo caso, così:

K =[G][C]

[GC]

cioè il classico equilibrio prodotti su reagenti in cui il prodotto è il carrier saturo e i reagenti il glucosioe il carrier scarico. Quando tutti i carrier sono scarichi la probabilità per una molecola di glucosio dilegarsi sarà prossima al 100% ma con l’aumentare della saturazione questa diminuirà: l’esistenza dellosplay è legata quindi ad un discorso di cinetica di legame. Esistono altri fattori che promuovono losplay, tra i quali vanno ricordati

• Fattori morfologici: i carrier sono un numero finito che è funzione della dotazione genetica dell’in-dividuo

• Fattori soggettivi: è fisiologico che esistano nefroni perfettamente funzionanti e nefrono nonfunzionanti, inoltre l’età condiziona ulteriomente il quadro

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In generale comunque non sono previste tracce di glucosio nelle urine, questo grazie al meccanismodescritto di trasporto a Tm.

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26 Lezione 3 [R]

La concentrazione alla quale il glucosio è già presente nelle urine è molto più bassa della soglia teoricae il suo valore è indicato con il termine di soglia renale. La soglia renale è pari a 180− 190mg/dL e ognivolta che la glicemia supera questo valore c’è da aspettarsi glicosuria.

Altre sostanze importanti sfruttano il meccanismo di trasporto a Tm. Il fosfato viene ultrafiltra-to e quasi completamente riassorbito: il limite per la concentrazione in questo caso è 0.1mMol/min.Analogamente al fosfato questa è la via sfruttata dai solfati e dagli aminoacidi, ciascuno con valorisoglia specifici.

Il trasporto a Tm è anche importante in quanto consente la secrezione di una sostanza, cioè iltrasferimento dal versante peritubulare a quello tubulare. Una sostanza secreta a Tm è il PAI, l’acido-para ammino-ippurico.

Quali sono le trasformazioni che l’ultrafiltrato subisce lungo il tubulo renale? La prima porzione deltubulo, il cosiddetto tubulo prossimale, ha una morfologia particolare che la suddivide in porzione S1,S2 ed S3. La porzione S1 ha un epitelio caratterizzato da un orletto a spazzola molto ricco che ampliala superficie: questo serve ad aumentare il numero di canali ottenendo un’elevata permeabilità a variesostanze. Il versante basolaterale, cioè quello verso i capillari, è caratterizzato da digitazioni piene dimitocondri: queste sono il segno di una grande concentrazione di pompe Na-K ATPasiche. Questoepitelio diventa sempre più semplice andando verso le porzioni S2 ed S3; la riduzione di complessitàsarà accompagnata da una riduzione dei meccanismi che consentono il transito alle sostanze.In S1 l’ultrafiltrato è praticamente la copia del plasma senza le proteine e ha quindi la stessa con-centrazione di elettroliti. Lo ione sodio arriva nel versante luminale con una concentrazione di 145milliequivalenti, praticamente quella plasmatica, e nella porzione S1 viene riassorbito al 60-70%. Cosaregola questo riassorbimento? Nel versante basolaterale ci sono le pompe sodio potassio, che creano ungradiente favorevole per l’ingresso di sodio dal lume. Il sodio passa attraverso la cellula per diffusionepassiva.

Il movimento di sodio è utile per il trasporto di tutta una serie di sostanze che possono sfruttare lastrategia dello ione motore. Queste sostanze sono i derivati metabolici quali i solfati e i lattati e sonorealizzabili sia vie di simporto che vie di antiporto.

Il transito di sodio, in quanto catione, crea un gradiente non solo chimico ma elettrico: si ha unpotenziale negativo dentro la cellula grazie alla pompa Na-K. Se si va a misurare il potenziale elettriconel versante luminale si ottiene un valore di circa −64mV contro un valore intracellulare di −70mV :ovviamente se le cariche positive del sodio abbandonano il tubulo il potenziale elettrico del liquidotubulare dovrà essere negativo. Come mai −64mV ? A fronte del movimento dal tubulo all’interno dellacellula esiste anche un trasferimento dalla cellula al versante basolaterale quindi il potenziale elettricocellulare è dettato dal versante basolaterale. La pompa sul versante basolaterale lavora fintanto che c’èATP e non dipende dai flussi di ioni; il suo lavoro è sbilanciato ed elettrogenico in quanto esclude unnumero di cariche positive maggiore di quello di cariche negative che fa entrare. A cosa si deve allorala differenza tra il potenziale luminale e quello cellulare? Al fatto che il sodio viene sfruttato da moltesostanze tra le quali parecchi anioni. In sintesi il movimento di sodio (catione) è bilanciato in buonaparte dagli anioni che transitano sfruttando il meccanismo dello ione motore.

Quando l’ultrafiltrato va verso S2 si ha una nuova condizione. In S1 pochi ioni cloro vengonotrasferiti dentro la cellula: questi ioni, pur presenti, non transitano agevolmente. In S2 allora il cloro

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risulta essere concentrato nell’ultrafiltrato e questa massiccia presenza renderà il potenziale elettricoluminale particolarmente negativo rispetto a quello intracellulare. Il potenziale transluminale, cioèla differenza tra il potenziale cellulare e quello tubulare, subisce un inversione: passa da negativo(−70− (−64) = −4mV ) a positivo (−70− (−72) = +2mV ).

Un trasporto tipico del tubulo prossimale è il riassorbimento del carbonato, che ha un meccanismoparticolare. Il carbonato lega idrogenioni (HCO−

3 + H+) i quali vengono riversati nel lume tramiteantiporto con il sodio; questo legame forma acido carbonico (H2CO3) il quale si dissocia in acquae anidride carbonica. L’anidride carbonica diffonde, l’acqua entra nella cellula e i due elementi nelplasma si ricombinano, riformando l’acido carbonico che si ridissocia in carbonato. L’idrogenione chesi libera in quest’ultimo passaggio è lo stesso utilizzato per formare l’acido carbonico all’inizio del ciclo.

La porzione prossimale del tubulo fa un lavoro enorme in quanto recupera il 70% dell’ultrafiltrato: pertutto il resto del tubulo renale rimane da gestire dunque solo un terzo dell’ultrafiltrato. Riassumendo:

• Sodio e carbonato vengono recuperati (70%)

• Derivati organici vengono riassorbiti (100%?)

• Il cloro viene riassorbito in S2 grazie all’inversione del potenziale e alla sua concentrazione (In s1non si riassorbe)

• Il potassio viene riassorbito per il 70%

Tutti questi trasporti avvengono tramite canali appositi per i quali sono stati individuati i relativi in-ibitori. La pompa Na-K è inibita dall’ouabaina, la florizina inibisce il simporto glucosio-Na e l’amilorideinibisce l’antiporto Na-H.

Al trasferimento di elettroliti si combina il trasferimento di acqua per attivazione delle aquaporine,localizzate sia nel versante luminale che in quello basolaterale. L’acqua si muove sempre per gradienteosmotico quindi a fronte di un riassorbimento di soluti ci sarà un riassorbimento di acqua. A livellodel tubulo prossimale un 70% dei soluti viene riassorbito, accompagnato da una pari percentuale diacqua. Il liquido che rimane giacente nel lume sarà dunque isoosmotico al plasma perchè i bilanciidrosalini sono stati rispettati; questo liquido a questo punto prende il nome di preurina, in quantonon è più possibile chiamarlo ultrafiltrato a causa della sua composizione.

Cosa sono di preciso le aquaporine? Sono molecole appartenenti ad una famiglia abbastanza ampia;le aquaporine-1 sono tipiche del tubulo prossimale e della porzione discendente dell’ansa di Henle. Altreaquaporine sono distribuite in varie sedi e hanno caratteristiche leggermente diverse.

Superato il tubulo prossimale si affronta l’ansa di Henle. Nella porzione discendente dell’ansa l’epite-lio è abbastanza piatto, privo di orletto sviluppato, e permeabile all’acqua: l’effetto complessivo è con-sentire il riassorbimento di soluti ancora presenti nel lume su base dei gradienti elettrochimici. Laporzione ascendente ha una morfologia eterogenea e presenta un epitelio più alto e spesso: lo spessoredipende dalla lunghezza delle anse; le anse corticali, piuttosto brevi, hanno epitelio uniforme mentrele anse lunghe sono più complesse: il ramo discendente è sottile mentre quello ascendente è spesso.Sulla base di queste caratteristiche si parla di porzione spessa dell’ansa che ha un’alta probabilità ditrovare una pompa Na-K sul versante basolaterale. Nel ramo ascendente spesso c’è dunque movimento

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di sodio e questo viene sfruttato ad esempio dal cloro. Per ogni ione sodio in transito entrano dueioni cloro e, per rispettare l’equilibrio elettrico, viene scambiato uno ione potassio: si realizza così uncotrasporto elettricamente neutro. Nel tratto spesso dell’ansa di Henle si ha un riassorbimento di circail 10% di sodio e di cloro grazie a questa strategia.

A livello dell’ansa ascendente spessa di Henle si osserva una grande permeabilità al potassio ed èquesta la ragione per cui è possibile un trasporto elettricamente neutro.

La porzione successiva è rappresentata dal tubulo distale e dal tubulo collettore, entrambi costituitida un epitelio eterogeneo in cui le cellule principali si alternano a quelle intercalate. Tra le celluleintercalate si riconoscono le cellule infossate e quelle sporgenti, che contribuiscono in maniera diversaal trasferimento di alcuni elettroliti. Nel lume tubulare sono rimaste ancora piccole quantità di sodio,cloro e carbonato. Il tubulo distale è costituito da una prima porzione, il tubulo di connessione conl’ansa di Henle, cui segue un tubulo contorto e infine il dotto collettore; ad eccezione del dotto ci sonosempre le cellule principali e le intercalate. Il dotto ha composizione diversa in quanto la porzionecorticale e l’esterna midollare sono formate dalle due tipologie di cellule mentre la porzione midollareinterna presenta solo cellule intercalate.Il sodio continua ad essere assorbito a livello del tubulo di connessione e del tubulo contorto dis-tale grazie alle pompe Na-K ATPasiche ma non ci sono più anioni in grado di accompagnare questotrasporto. Il risultato è una variazione del potenziale e infatti il potenziale transepiteliale è piuttostonegativo, si arriva a valori di −30, 40, 50mV (a livello del tubulo prossimale erano −4mV ). Man mano cheil sodio luminale viene riassorbito diventa sempre più difficile recuperare la piccola quantità residua:nel dotto collettore questa piccola quantità viene recuperata grazie all’ormone aldosterone. L’aldos-terone è prodotto dalla porzione glomerulare del surrene a partire dal colesterolo, quindi è un ormonesteroideo: il recettore è dunque nucleare e l’effetto è la trascrizione di una proteina, detta proteinaaldosterone-indotta. Questa proteina consente in primo luogo l’attivazione di permeasi che facilitano iltrasferimento del sodio all’interno della cellula; in secondo luogo questa proteina è in grado di poten-ziare l’attività della pompa Na-K rendendola più efficace. Esiste un terzo effetto che è il favorire l’attivitàmetabolica della cellula facendole produrre molto ATP per le pompe: queste tre vie consentono al sodiodi essere recuperato quasi al 100%. Riassumendo, la proteina aldosterone indotta:

1. Attiva le permeasi

2. Migliora la funzionalità della pompa Na-K

3. Stimola il metabolismo cellulare per produrre ATP

Le tre vie non sono indotte simultaneamente: la via metabolica è la più lenta mentre quella dellepermeasi è la più rapida.

Sempre a livello del dotto collettore anche il riassorbimento idrico richiede un ormone, l’ADH o vaso-pressina. L’ADH è prodotto dai nuclei sovraottico e paraventricolare dell’ipotalamo ed è un polipeptide:il suo funzionamento si basa sul secondo messaggero cAMP che viene formato grazie all’azione del-l’adenilato ciclasi. cAMP consente la fosforilazione di protein kinasi cAMP dipendenti che si portanoa fosforilare le aquaporine: queste infatti trasportano acqua solo a condizione di essere fosforilate.L’inibizione della produzione di ADH rende l’epitelio del dotto collettore completamente impermeabile

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all’acqua. Non tutte le aquaporine però reagiscono a questo stimolo in quanto le aquaporine 3 e 4 nonsono ADH-dipendenti.

In sintesi la situazione è la seguente. Nel tubulo prossimale la quota riassorbita in termini di acquae soluti è fissa: 70% qualunque siano le necessità dell’organismo. Il dotto collettore è invece soggetto aregolazione ormonale poichè da un lato le quantità di soluti sono oramai basse e dall’altro la morfologianon è sufficiente al riassorbimento. In generale dove è previsto un intervento ormonale è perchè si èin presenza di meccanismi omeostatici di primaria importanza: la loro esistenza dimostra che il reneserve a conservare l’omeostasi e non solo a filtrare il sangue. Sotto quest’ottica il tubulo distale è quelche serve all’organismo per mantenere l’omeostasi.

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27 Lezione 4 [R]

Riprendendo le ultime conclusioni, il tubulo prossimale e quello distale hanno compiti molto differenti.Il primo ha un enorme carico di lavoro in quanto riassorbe i due terzi dell’ultrafiltrato, il secondo hainvece un significato regolativo dipendente dagli ormoni e lavora su quantità inferiori. Si è detto chel’ultrafiltrato riassorbito a livello prossimale è il 70%, come si fa a calcolarlo? La GFR è 125mL/min. Ilsodio plasmatico ha concentrazione 145mMol/L, la componente filtrata è circa 18mMol/L. A partire da18mMol/L, 12 vengono riassorbite e ne rimangono sei, quindi la quota riassorbita è circa il 67%. Cosasuccede se aumenta la GFR? Se si passa ad esempio ad una GFR di 165mL/min si filtrano 24mMol/Ldi cui ne vengono riassorbite sedici. In totale viene dunque sempre riassorbito un 67% anche se laGFR varia: cosa determina questa costanza? L’aggiustamento costante del riassorbimento da parte deltubulo prossimale viene definito bilancio glomerulo-tubulare.

Esiste una differenza fondamentale tra i capillari sistemici e quelli renali: in quello sistemico laporzione prossimale filtra e la porzione distale riassorbe16; nel rene ci sono due sedi anatomiche differ-enti: il capillare glomerulare è preposto alla filtrazione e quello peritubulare al riassorbimento. Ancorauna volta a guidare tutto sono le forze di Starling, qual è la situazione?

Come mai la pressione all’interno del capillare peritubulare è così bassa rispetto a quella sistemica?C’è stata un’operazione di filtrazione nel glomerulo e quindi sono state trattenute le proteine a montedel capillare: si ha una concentrazione di resistenze (che cazzo vorrebbe dire?) in aumento ed è questala prima ragione del valore pressorio. La seconda ragione è che la pressione idrostatica plasmatica inquesto vaso è modesta: sono vasi in serie e dunque necessariamente presentano alta resistenza e bassapressione. Quali sono i valori pressori relativi a questi capillari peritubulari?

Il capillare peritubulare ha una pressione idrostatica pari a 11mmHg che è contrastata dalla pres-sione idrostatica dell’interstizio che è pari a 7mmHg. La variazione pressoria idrostatica è dunque

16Spida dice il contrario fioi...

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11− 7 = 4mmHg. La pressione colloidosmotica interna al capillare peritubulare è elevata perchè c’è sta-ta l’ultrafiltrazione e quindi le proteine sono concentrate: il valore è 35mmHg. Nell’interstizio qualcheproteina potrebbe essere presente quindi esiste una pressione oncotica anche se bassa: 6mmHg. Qualè il gradiente pressorio netto?

∆P −∆π = (11− 7)− (35− 6) = −25mmHg

Il valore negativo garantisce che ci sia un costante riassorbimento, così come a livello glomerulare erapresente una costante filtrazione. Le cellule epiteliali del tubulo non sono adese tra loro e infatti lesostanze possono prendere la via paracellulare passando tra cellula e cellula. Quando si parla di ri-assorbimento bisogna considerare che la stessa sostanza può prendere sia la via intracellulare che laparacellulare: la via paracellulare è però libera e quindi permette di andare da capillare a interstizioma anche viceversa. La quantità finale di sostanza assorbita viene allora definita come riassorbimentonetto. Che cosa guida il riassorbimento netto? Se la GFR aumenta, cioè aumenta la quantità di ultra-filtrato, aumenta la pressione oncotica: si ha allora un incremento della forza principale che causa ilriassorbimento, quindi il riassorbimento netto sale. L’opposto è da aspettarsi se la GFR cala. Se invecela pressione nel ramo efferente aumenta (dilatazione) si avrà un aumento della pressione idrostaticache si oppone al riassorbimento: il risultato è una diminuzione del riassorbimento netto. L’opposto èda aspettarsi in caso di riduzione della pressione nel ramo efferente. Questo discorso giustifica il fattoche ad un aumento del carico filtrato si abbia un riassorbimento in percentuale costante: questo adat-tamento, legato alla variazione delle condizioni emodinamiche, è fondamentale in quanto intrinsecoall’organo stesso che quindi lo conserva anche in caso di trapianto.

L’elemento fisico, cioè le forze di Starling, è il determinante alla base del bilancio glomerulo-tubulare.Esistono almeno tre spiegazioni per la dipendenza dalla GFR:

• Ipotesi della geometria tubulare. Se aumenta la pressione idrostatica afferente la pressione difiltrazione aumenta ma questo andrà a modificare i rapporti che esistono tra cellula e cellula: lafiltrazione avviene si in base ad un criterio emodinamico ma bisogna confrontarsi con la barrieradi filtrazione, cioè con il coefficiente di filtrazione Kg. Un aumento di pressione risulta in undiverso rapporto spaziale tra le cellule che sostanzialmente si distanziano tra loro aumentando lapermeabilità e quindi influendo sul riassorbimento.

• Ipotesi dell’accoppiamento di riassorbimenti attivi. Nel tubulo prossimale si riassorbono molecoleanche abbastanza grandi come il glucosio. Queste molecole sfruttano lo ione motore sodio:

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se viene a mancare queste sostanze non verranno trasferite e potranno fare la differenza nellepressioni interstiziali che incidono sul riassorbimento netto finale.

• Fattori intratubulari. Si tratta dei fattori umorali che modificano la permeabilità dell’epitelio odel capillare stesso, quindi adattano le condizioni emodinamiche per mantenere una costanza trafiltrato in arrivo e riassorbito.

La quantità di filtrato prodotta dal rene è 125ml/min, ma questo è un organo molto perfuso: in unminuto passano 660mL di plasma e 1200mL di sangue. Una simile ricchezza di flusso deve rimanereabbastanza costante: arriva già molto sangue e non è opportuno che ne arrivi di più. Questi valori diflusso sono un rapporto fisiologico, cioè espressione di una condizione ottimale: la quantità di filtratoottimale è pari al 19% del plasma in arrivo (125 : 660 = X : 100). Questo valore prende il nome difrazione di filtrazione e risente delle variazioni della GFR. Nel nostro organismo ogni volta che cambiala pressione o il fattore resistivo il flusso muta, quindi mi devo aspettare che ad ogni variazione dipressione ci sia una variazione della quantità di sangue in arrivo al rene: è davvero così? Non sempre.

Il grafico mostra che la pressione arteriosa incide sul flusso renale solo quando assume valori inferioriai 90mmHg o superiori ai 180 − 200mmHg. Per pressioni comprese tra 90 − 100mHg e 180 − 200mmHgil flusso renale è costante: questi valori pressori sono un intervallo fisiologico quindi per pressioninormali la quantità di sangue filtrata è costante. Il grafico mostra inoltre che la GFR segue lo stes-so identico andamento ma presenta una particolarità: il filtrato glomerulare richiede una pressioneminima, definita pressione di diuresi, in quanto per pressioni inferiori il rene semplicemente non filtra.

Come si spiega questo meccanismo di autoregolazione? Potrebbe essere l’effetto Baylis [N.B. questaroba è il meccanismo miogeno che raccontava Spida], cioè l’applicazione della legge di Laplace adun vaso (P = 2T

r ). L’effetto Baylis dice che in un vaso le pareti sono soggette a stiramento a frontedi un aumento pressorio e questo ne fa variare il calibro. Questo effetto ha il senso di regolare leresistenze al fine di mantenere costante la tensione in quanto la pressione non dipende dal singolovaso ma dall’intero sistema. L’effetto Baylis può dunque giustificare la costanza della GFR all’internodell’intervallo pressorio fisiologico.

Il meccanismo di autoregolazione è sicuramente intrinseco al rene e lo si dimostra negli organitrapiantati; il suo scopo è mantenere costanti sia la GFR che il flusso ematico renale. Il punto dipartenza è la formula della frazione di filtrazione:

FF =GFR

FPR

lavorando sui fattori della frazione è allora possibile mantenerne costante il valore. L’intervallo d’azioneè abbastanza ampio in quanto si va dai 70mmHg ai 140mmHg. Qual è lo schema seguito dall’autore-golazione? Il primo fattore è la pressione sistemica, che può variare aumentando o diminuendo. Se

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aumenta la pressione sistemica l’arteriola efferente assume un tono maggiore e questo fa aumentarele resistenze vascolari renali: l’opposto accade se la pressione sistemica diminuisce. Questo comporta-mento mantiene la pressione di diuresi: in generale dunque l’arteriola afferente aggiusta il suo tono inmodo da regolare le resistenze e rendere costante GFR e FPR senza scendere mai sotto i valori minimifunzionali.

Meccanismo fondamentale dell’autoregolazione è il feedback tubulo-glomerulare, un feedback ditipo negativo: se un fattore cambia si rileva la variazione e lo si corregge riportandolo al valore diriferimento. Questo feedback coinvolge il tubulo renale e il glomerulo. Quando il liquido tubulareabbandona l’ansa di Henle per andare verso il tubulo distale viaggia quasi a ridosso del glomerulo dove èpresente una struttura: l’apparato iuxta-glomerulare. Questo apparato è in posizione strategica perchèè prossimo sia al gllomerulo che all’ansa ascendente: il risultato è che la preurina che viene a contattocon l’apparato è già stata rimaneggiata dal tubulo prossimale e dall’ansa di Henle. Nell’apparato iuxta-glomerulare gli elementi principali sono:

• La macula densa (MD), formata da una ventina di cellule il cui compito è agire da carrier Na+ −K+ − Cl−.

• Le cellule del mesangio extraglomerulari dotate di filamenti contrattili.

• Le cellule G che sono secernenti e liberano la renina.

Se aumenta la perfusione renale aumenta anche la pressione idrostatica che governa la filtrazione:il primo risultato è un aumento di GFR. Il filtrato scorre lungo tubulo prossimale e ansa dove vienesottoposto al riassorbimento: la preurina che abbandona l’ansa di Henle lo fa con una quantità residuadi sodio e cloro che dipende dal volume stesso; se aumenta la GFR in proporzione aumenta anchela quantità rimasta e questa viene rilevata dalle cellule dell’apparato iuxta-glomerulare che attivanouna serie di meccanismi che hanno lo scopo di ridurre il calibro dell’arteriola afferente. Il meccanismodell’apparato iuxta-glomerulare, essendo un feedback negativo, funziona sia per segnalare aumenti diGFR che diminuzioni.

Come si dimostra che è il cloruro sodico a stimolare l’apparato iuxtaglomerulare? Basta usare uninibitore del carrier Na-K-Cl, il furosemide17, per vedere che il meccanismo non si attiva più, quindil’autoregolazione è persa. Le cellule G dunque liberano renina che è un enzima che attiva una glob-ulina epatica, l’angiotensinogeno, che viene trasformata in angiotensina I: questa angiotensina I vieneconvertita dal fattore ACE, presente nel polmone, in angiotensina II. L’angiotensina II è un potentis-simo vasocostrittore, quindi l’apparato iuxtaglomerulare può attivare questo sistema anche se non ènecessario che avvenga.

Una seconda spiegazione che non coinvolge il sistema renina-angiotensina è la seguente. Le cel-lule iuxtaglomerulari captano le concentrazioni di sodio cloruro e su questa base sintetizzano prodotticapaci di modificare il tono dell’arteriola afferente. Il tessuto interstiziale è poco vascolarizzato (fattaeccezione per il glomerulo) e i soluti qui riversati richiederanno tempo per entrare nei pochi vasi pre-senti; per il solo fatto che ci vuole tempo la concentrazione di cloro aumenta nell’interstizio di due otre volte. Questo aumento potrebbe indurre una risposta vasoattiva non necessariamente collocataa livello dell’arteriola afferente ma che coinvolge magari la barriera di filtrazione. In generale quandocambia il tono del vaso c’è da pensare ad una sostanza vasoattiva. Sostanze che riducono il calibrodi un vaso sono ad esempio adrenalina, noradrenalina o adenosina; fattore dilatante è invece l’ossidonitrico.

Le cellule mesangiali infine hanno capacità contrattile e, se l’ambiente circostante è ipertonico,questa può esssere sfruttata andando a introdurre variazioni proprio nell’ambiente.

17Principio attivo del diuretico Lasics

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Come funziona il sistema renina-angiotensina? Il primo grafico indica il rilascio della renina, ilsecondo l’attività plasmatica della renina e il terzo il flusso renale. La renina viene liberata quando ilflusso ematico renale diminuisce, quindi quando cala la pressione (< 90mmHg): questo sistema dunquenon può da solo spiegare il feedback tubuloglomerulare in quanto agisce solo per cali pressori e nonper aumenti.

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28 Lezione 5 [R]

Il sistema renina-angiotensina viene dunque attivato a fronte di una diminuzione della pressionearteriosa.

Nel grafico sopra la curva blu è espressione della situazione fisiologica, curva rossa (cerchi) è invece ot-tenuta somministrando un ACE-antagonista. L’antagonista impedisce la formazione dell’angiotensinaII e quindi in circolo rimane solo angiotensina I che non ha l’azione vasocostrittrice della II. In con-dizioni fisiologiche dunque la GFR rimane costante anche a fronte di un calo di pressione arteriosa inquanto agisce il sistema renina-angiotensina: nella curva con antagonista si nota invece che la GFRinizia a diminuire per valori pressori al di sotto dei 100mmHg. L’inibitore del fattore ACE è tra i farmacipiù utilizzati per curare l’ipertensione.

L’angiotensina II si attiva dunque a fronte di un calo pressorio, come mai? Il feedback tubulo-glomerulare è attivo sia per aumenti che per diminuzioni della pressione, ma il rilascio di renina siverifica solo nel secondo caso. Qual è la sede di azione della angiotensina II? Si tratta del ramo efferentedel glomerulo. L’angiotensina II viene liberata quando diminuisce la pressione sistemica e quindi lapressione di perfusione: l’apparato iuxta-glomerulare avverte questa diminuzione e quindi le cellule Grilasciano renina, da cui inizia la cascata di attivazioni. Quali sono gli effetti di una vasocostrizione sulversante efferente? L’effetto è un aumento della quantità di ultrafiltrato perchè in effetti aumenta laGFR. Che succede nel dettaglio? Il plasma entra nel versante afferente, percorre il glomerulo ed esce.Se sul versante afferente la pressione diminuisce devo aspettarmi una minore quantità di ultrafiltrato;se nel frattempo viene costretto il ramo efferente le resistenze a valle per il plasma aumentano, quindirimane più a lungo all’interno della struttura filtrante. Questo stratagemma migliora la filtrazione: sel’angiotensina II agisse anche sul sistema afferente non si otterrebbe un risultato degno di nota perchèle resistenze si sommerebbero nel punto sbagliato.

Riassumendo il concetto per variazioni piccole di pressione si attiva il sistema miogeno (versanteafferente) e quindi un’attivazione del feedback glomerulo-tubulare mentre per variazioni maggiori siaffianca il meccanismo aggiuntivo della renina-angiotensina (versante efferente).

I meccanismi di autoregolazione lavorano in maniera locale e indipendente, ma il rene in realtàha una sua innervazione prevalentemente di natura simpatica. Le cellule G sono infatti raggiunte daterminazioni nervose, qual è il loro ruolo? Esistono dei barocettori che quando vengono sollecitatiregistrano le variazioni di pressione tramite una variazione della frequenza di scarica: questa viene ril-evata e comunicata ai centri nervosi e le informazioni vengono sfruttate per modificare la funzionalitàcardiaca. Accanto alle variazioni di funzionalità cardiaca ci sono le variazioni sul sistema circolato-rio, quindi sul calibro dei vasi; il simpatico genera effetti costrittivi tramite rilascio di noradrenalina.L’azione vasocostrittrice del simpatico non è mirata come quella del sistema renina-angiotensina: lanoradrenalina ha azione costrittrice sia a livello afferente che efferente e quindi l’effetto finale è unadiminuzione del flusso ematico/plasmatico al rene. A cosa serve una riduzione del flusso ematico inrisposta ad una riduzione pressoria? La risposta parte dalla frazione di filtrazione: questa è un rap-porto che può essere alto o basso indipendentemente dai flussi assoluti; l’indice di filtrazione mi dicequanto lavora il rene in rapporto alla quantità di sangue che gli arriva. Cosa succede dunque a seguito

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dell’azione del simpatico? Il flusso ematico diminuisce, quindi la GFR diminuisce. La vasocostrizioneagisce anche sul versante efferente quindi rallenta lo scorrimento del plasma: la quantità di filtratoprodotta aumenta. Il risultato finale è che il numeratore per la frazione di filtrazione è si diminuito, manon di molto e quindi in realtà la frazione è quasi costante. Perchè tutto questo? Perchè se si verificaun’emorragia si realizzano ipovolemia e quindi ipotensione: cervello e cuore devono però garantirsi laloro quota ematica. La strategia è dunque mantenere una quota minima funzionale agli altri organi,ma ridurla il più possibile. Al rene viene allora garantita una pressione minima di diuresi ma non dipiù, in quanto la funzione renale in caso di emorragia non è poi fondamentale.Riassunto dei meccanismi di regolazione

1. Effetto miogeno. Meccanismo sempre attivo che lavora entro le variazioni fisiologiche di pressionesistemica; garantisce che nell’intervallo 90− 150mmHg non ci siano variazioni nella GFR.

2. Feedback tubulo-glomerulare. Sistema rapido che agisce sul nefrone; può agire tramite il sistemarenina-angiotensina in caso di cali pressori o tramite la produzione di fattori vasoattivi. I fattorivasoattivi possono essere sia dilatatori che costrittori.

3. Bilancio glomerulo-tubulare.

Tutti i meccanismi intrinseci modulano il KG mentre il simpatico ha effetti sulla variazione dellapressione ematica a livello renale grazie al controllo della muscolatura dei vasi.

Le alterazioni emodinamiche renali possono essere divise in fisiologiche, ad esempio indotte dallevarie posture, o patologiche.Tutte le variazioni patologiche che portano ad una diminuzione del flus-so plasmatico renale portano ad un’attivazione del simpatico che risponde rilasciando noradrenalinae vasocostringendo il versante afferente e quello efferente. Nel frattempo la vasocostrizione attiva ilsistema renina-angiotensina-aldosterone: l’aldosterone opera a livello del dotto collettore e favorisce ilriassorbimento di sodio. Il risultato finale del sistema è una vasocostrizione maggiore nell’arteriola ef-ferente, quindi un aumento della pressione glomerulare: diminuisce si la quantità di plasma nell’organoma ci sono minime variazioni della GFR.

Discutendo del flusso ematico e plasmatico nel rene si è detto che vengono prodotti 1− 3mL di urinaal minuto: questo corrisponde a 1 − 1, 5L al giorno. Quali sono le condizioni che permettono questaescrezione? Il plasma ultrafiltrato viene riassorbito per il 99%, come mai questa cifra? Alla base ci sonogli elementi a livello dell’interstizio e delle anse di Henle.

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I numeri nei disegni sono il valore di osmolalità18 tra la midollare interna dell’ansa di Henle e quellaesterna; più si va in profondità nella midollare più l’osmolalità aumenta fino a un picco di 1000 −1200 milliosmoli. I valori sono uguali sia nell’interstizio che nel ramo discendente dell’ansa: nel ramoascendente c’è invece una costante differenza di 200 milliosmoli. Morfologicamente i due rami sonodiversi: il discendente è sottile, l’ascendente è invece molto spesso. In un epitelio sottile non ci possonoessere trasporti attivi, che invece sono molto presenti nell’epitelio spesso. Il ramo discendente inoltre èpermeabile all’acqua mentre quello ascendente è totalmente impermeabile.Il plasma ha un’osmolalità da considerarsi arrotondata a 300 milliosmoli: la linea nella figura rapp-resenta dunque i punti dove l’osmolalità è uguale a quella plasmatica. Dove nel ramo discendente c’èun’osmolalità pari a quella plasmatica, trovo invece nel ramo ascendente un valore inferiore di 200milliosmoli: in quel punto il liquido è diluito rispetto al plasma. Come mai l’osmolalità ha questoandamento?

Prendiamo un tubo in cui scorre acqua a 30°C e forniamo una massa riscaldante che eroghi100cal/min. Dopo un tempo X la temperatura dell’acqua arriverà fino a 40°C. Se si prende invecedi un tubo una serpentina, come un termosifone, e la si pone nelle stesse condizioni, il calore vienetrasferito in modo diverso:

La serpentina fa in modo che il calore in risalita con l’acqua nel tubo ascendente venga in parte trasferi-to all’acqua nel tubo discendente: questo meccanismo prende il nome di moltiplicazione controcorrentee può essere usato per spiegare i gradienti descritti nell’interstizio.

Invece di prendere una fonte di calore abbiamo un liquido che va progressivamente aumentandola sua concentrazione, cioè aumenta la sua osmolalità. Partiamo con un tubo ad U riempito con unliquido ad osmolalità 300 come il plasma; facendo scorrere questo liquido tra pareti che siano vicinemi aspetto che, per il principio della moltiplicazione controccorente, parte delle osmoli si trasferiscanodal ramo ascendente all’interstizio e dall’interstizio al tubo discendente. Il gradiente viene mantenutoaggiungendo costantemente altro liquido in condizione isoosmotica con il plasma:

18Osmolalità: numero di osmoli di soluto per chilogrammo di solvente. Osmole: quantità in grammi di soluto pari al pesomolecolare divisa per il numero di particelle cui il soluto da origine se posto in soluzione.

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Come si mantiene questo gradiente? Il ramo discendente è costituito da epitelio sottile che lasciatransitare i soluti sulla base dell’equilibrio con l’interstizio: non fa altro che accumulare soluti finchènon sarà in equilibrio e dunque avrà la stessa osmolalità. Il ramo ascendente ha invece epitelio spessodotato di meccanismi attivi in grado di trasferire soluti a prescindere dal valore interstiziale: per questoha un’osmolalità diversa rispetto all’interstizio19. Per mantenere questo gradiente è necessario chel’epitelio del ramo ascendente sia impermeabile all’acqua: i soluti vengono depositati nell’interstizio mal’acqua non può seguirli. Nelle anse vengono riassorbiti sodio e cloro, unici elementi in grado di creareil gradiente; qual è la quantità di cloruro sodico liberamente circolante nelle anse? Si tratta di un terzodel totale in quanto i rimanenti due terzi sono stati riassorbiti a livello del tubulo prossimale: questaquantità è troppo piccola perchè il cloruro sodico sia l’unico responsabile delle differenze di osmolalità.I valori di osmolalità partono da 300 e arrivano a 1200: i soluti sono concentrati quattro volte di più equesto richiederebbe una quantità di cloruro sodico troppo elevata. L’elemento che spiega il gradientein realtà è un altro: l’urea.

19Il valore di 200 osmoli di differenza è dovuto al numero di trasportatori.

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Le sbobinature fanno cagare: questa è roba presa dal Berne-Levy.Per capire il meccanismo di concentrazione delle urine bisogna fare due esempi: la produzione di urinadiluita e quella di urina concentrata. Nel primo caso i passaggi principali sono:

1. Il fluido tubulare entra nel ramo discendente in condizione di iso-osmolalità con il plasma inquanto le porzioni precedenti del nefrone hanno sempre rispettato questo aspetto.

2. Il ramo discendente è molto permeabile all’acqua ma non ai soluti: l’acqua viene riassorbitatramite AQP1 grazie al gradiente di concentrazione con l’interstizio midollare che è ricco in NaCled urea.

3. Il ramo ascendente sottile è impermeabile all’acqua ma permeabile a NaCl: il cloruro vienedunque riassorbito passivamente con il risultato che il volume del fluido non cambia ma la suaconcentrazione in sale diminuisce. A questo punto il fluido diventa meno concentrato rispettoall’ambiente interstiziale.

4. Il ramo ascendente spesso è impermeabile ad acqua e urea ma permeabile a NaCl: questa porzioneriassorbe attivamente NaCl e diluisce ancor di più il fluido.

5. Il tubulo distale e la porzione corticale del dotto collettore assorbono attivamente NaCl ma, inassenza di ADH, sono impermeabili all’acqua: l’osmolalità del fluido si riduce ancora.

6. Il dotto collettore midollare riassorbe NaCl ma, anche in assenza di ADH, è permeabile leggermentesia all’acqua che all’urea: un piccolo volume di acqua viene dunque riassorbito e una piccolaquantità di urea entra.

7. L’urina prodotta in questo modo ha un’osmolarità fino a 50 milliosmoli per chilogrammo d’acqua:in pratica è estremamente diluita.

Come si produce l’urina concentrata? I passi da 1 a 4 sono uguali, però il continuo riassorbimen-to di NaCl è fondamentale: è questo che crea il gradiente osmotico per richiamare acqua nell’inter-stizio. Il processo tramite il quale l’ansa di Henle genera il gradiente osmotico è detto moltiplicazionecontrocorrente.

1. Come sopra

2. Come sopra

3. Come sopra

4. Come sopra

5. Il fluido che arriva al dotto collettore, a causa del riassorbimento di NaCl, è fortemente ipo-osmotico rispetto al fluido interstiziale: si crea il gradiente. In presenza di ADH l’acqua diffondedal lume tubulare e l’osmolalità del fluido tubulare inizia a salire. In queste condizioni l’osmolalitàmaggiore raggiungibile è la stessa del plasma, circa 300 milliosmoli. Considerando che NaCl vieneriassorbito parecchio nelle sezioni prcedenti del nefrone, questa molecola conta per una porzioneminore del solito per l’osmolalità totale del fluido tubulare: il testimone passa ora all’urea.

6. L’osmolalità del fluido interstiziale nella midollare aumenta progressivamente in senso verticale:si passa dalle 300 milliosmoli del confine corticale/midollare alle 1200 milliosmoli della papillarenale. Esiste dunque un gradiente costante lungo l’intero dotto collettore midollare: in presenzadi ADH l’osmolalità del fluido tubulare aumenta grazie al riassorbimento di acqua. La porzioneiniziale del dotto collettore è impermeabile all’urea e questa rimane dunque nel fluido tubulare: lasua concentrazione tende ad aumentare.

7. L’urina prodotta quando ci sono alti livelli di ADH raggiunge osmolalità pari a 1200 milliosmoli ein queste condizioni ha un volume giornaliero che può raggiungere un minimo di mezzo litro.

La chiave di interpretazione per la concentrazione delle urine è il fluido interstiziale della midollare.In questa regione i principali soluti sono due: NaCl e urea, le cui concentrazioni sono difformi lungola midollare. Al confine tra corticale e midollare il fluido ha osmolalità 300 milliosmoli praticamentetutte attribuibili ad NaCl; quando viene escreta l’urina più concentrata possibile, l’osmolalità del fluidointerstiziale raggiunge le 1200 milliosmoli, di cui 600 attribuibili all’urea. L’accumulo di NaCl nellamidollare è il risultato del riassorbimento di questa molecola durante la moltiplicazione controcor-rente; l’accumulo di urea è più complesso. L’urea è una sostanza di origine epatica riconducibile almetabolismo proteico: entra nel fluido tubulare per filtrazione glomerulare; in generale la permeabilitàdel nefrone a questa molecola è bassa. L’eccezione alla regola è il dotto collettore midollare, che ha altapermeabilità all’urea che viene ulteriormente accentuata da ADH. Quando il fluido tubulare scorre nelnefrone, l’acqua viene assorbita e quindi la concentrazione di urea sale. Quando il fluido tubulare riccoin urea raggiunge il dotto collettore midollare, questa molecola segue il gradiente di concentrazione esi riversa nell’interstizio. Una parte dell’urea nell’interstizio entra poi nel ramo discendente attraversoun trasportatore dedicato: questa quantità è intrappolata nel nefrone finchè non raggiunge di nuovoil dotto collettore midollare; in questo modo si crea un meccanismo di riciclo che facilita l’accumulo diurea nell’interstizio.

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29 Lezione 6 [R]

La figura sopra riassume i concetti della lezione precedente: l’urina può essere escreta in tre con-dizioni diverse rispetto al plasma. Nel primo caso l’urina ha la stessa osmolalità del plasma, cioè circa300; nel secondo caso le stesse osmoli sono diluite in un volume d’acqua maggiore, quindi l’urina èipoosmotica rispetto al plasma: il grafico indica la quantità di acqua libera, cioè quella quantità diacqua in più che giusitica la differenza di osmolalità rispetto al plasma. La quantità di acqua liberaviene indicata come CH2O, cioè clearance dell’acqua; quando si parla di CH2O pari a zero si parla diurina isoosmotica, in quanto la quota libera d’acqua non esiste. Quando le osmoli vengono escretein un volume d’acqua superiore a quello necessario per i valori plasmatici di osmolalità l’organismo sista privando d’acqua: stiamo usando una quantità maggiore del previsto di acqua e quindi si avrà lacondizione in cui CH2O > 0.

Definendo meglio il concetto di acqua libera si può partire da quello di clearance osmolare: laclearance osmolare è il volume di plasma che contiene osmoli nella stessa quantità del plasma. Laclearance dell’acqua libera è dunque il volume di urine prodotte meno la quota della clearance osmolare:

COSM = Vurine·Osmurine

OsmplasmaCH2O = Vurine − COSM

• La situazione più semplice è quando il flusso urinario è tale per cui le osmoli vengono allontanateesattamente alla stessa concentrazione plasmatica: la clearance dell’acqua libera è zero in quantosi ha CH2O = 1− 1 = 0.

• Quando la concentrazione delle osmoli nelle urine è maggiore di quella plasmatica la clearancedell’acqua libera è minore di zero e avviene risparmio idrico. Il risparmio idrico viene definitocarico tubulare massimo e viene indicato con T cH2O (T di C in H2O).

• Quando la concentrazione delle osmoli nelle urine è inferiore a quella plasmatica la clearancedell’acqua libera è maggiore di zero e si ha un’escrezione netta di acqua superiore a quella deisoluti.

Esempi pratici. Se viene introdotta poca acqua nell’organismo il flusso urinario si riduce. Le osmolipresenti nelle urine sono più concentrare rispetto al plasma di quattro o cinque volte: l’osmolalitàplasmatica è 300, si arriva a 1500. Il flusso urinario viene ridotto ad esempio a 0,5ml/min: il risultatoè che la clearance dell’acqua libera è

CH2O = 0, 5− 0, 5 · 1500

300= −2ml

Che significa -2ml? Significa che i soluti vengono escreti risparmiando 2ml di acqua al minuto. In unasituazione opposta, con un abbondante ingresso di acqua, l’osmolalità delle urine è piccola e il volumegrande.

Il rene ha dunque margini di correzione per venire incontro alle varie situazioni di idratazione chepuò avere l’organismo. Sono due i percorsi che vengono seguiti per correggere le varie situazioni:

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1. Giocare sulla clearance dell’acqua libera

2. Giocare sul riassorbimento di sodio

L’azione sull’acqua è svolta soprattutto grazie all’ADH che ne consente il riassorbimento agendo sul-l’epitelio del dotto collettore rendendolo permeabile. Quando l’ADH non può essere sintetizzato o secretosi ha diabete insipido. In caso di diabete insipido l’epitelio del dotto collettore rimane impermeabile,l’acqua non viene riassorbita e quindi va persa: con questa patologia si perde circa il 30% dell’acqua inarrivo al rene, quindi un flusso urinario di 10-20 litri al giorno.

L’ADH è fondamentale per la funzione renale: in sua assenza vengono prodotti 10-20 litri di urinamentre se la sua presenza è troppa si può arrivare a non produrre urina affatto. Tra questi due estremic’è la situazione reale dell’organismo: l’elemento che permette un adeguato rilascio di ADH è l’osmolalitàplasmatica.

All’aumentare dell’osmolalità plasmatica si osserva un aumento della concentrazione di ADH: l ’anda-mento è rettilineo con una retta che parte per osmolalità superiori alle 280 milliosmoli. Un secondorilevatore periferico è dato dal volume plasmatico o dalla pressione: il rilascio di ADH non dipendedunque dalla sola osmolalità ma anche da variazioni volemiche o di pressione sistemica. All’atto prati-co che succede? Se l’osmolalità aumenta vuol dire che sono aumentati i soluti rispetto al solvente:aumento l’ADH in modo da trattenere l’acqua e diluire i fluidi corporei. Gli osmocettori più efficaciper questo sistema sono localizzati in prossimità dell’ipotalamo, in particolare ai nuclei sopraottico eparaventricolare, gli stessi che sintetizzano ADH.

Tre esempi pratici:

Parlando del contributo offerto dal rene alla regolazione osmolale vanno considerate le curve didiuresi e natriuresi da pressione, cioè le curve sotto:

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Questa curva rappresenta il meccanismo di regolazione a lungo termine della pressione sistemica. Unsistema di regolazione rapido è rappresentato dai barocettori: lavorano nell’arco di secondi. Un sistemaa medio termine è quello dell’adattamento dei distretti splancnici: il rilascio di mediatori chimici èprotagonista della regolazione. I sistemi più lenti, che richiedono ore se non giorni sono quelli renali.Quando la pressione sistemica è pari a 100mmHg la quantità di urina prodotta è di un litro o un litroe mezzo: con una pressione di 120mmHg si raddoppia questo volume. La curva è di tipo esponenziale:al salire della pressione sistemica il rene aumenta la diuresi. Quando la pressione sale, ad esempioarrivando a 140mmHg, accade una serie di eventi: aumenta in primis la volemia e quindi viene diminuitala produzione di ADH, aumentando l’escrezione di acqua. La riduzione pressioria per aumento delladiuresi richiederà però qualche giorno. La raffinatezza di questo sistema è pari al 100%: la via èattiva fintanto che la pressione non ritorna al valore impostato; si tratta dell’unico sistema in grado diraggiungere questa accuratezza, ma lo fa al prezzo di un lungo tempo per divenire efficace.

Come mai esistono diuresi e natriuresi legate alla pressione? Si è visto che il flusso renale è ampia-mente controllato dai meccanismi di autoregolazione, quindi il rene non dovrebbe risentire della pres-sione sistemica. La verità è che questo è valido solo per i nefroni corticali mentre i nefroni midollarihanno un’autoregolazione molto meno efficiente: le variazioni sistemiche si ripercuotono dunque aquesto livello ed è questa la giustificazione a diuresi e natriuresi da pressione.

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30 Lezione 7 [R]

Come funziona la secrezione di ADH? Il sollecitatore primo è la variazione di osmolalità che viene re-cepita dagli osmocettori centrali. L’osmolalità del plasma normalmente è pari a circa 300 milliosmoli(meglio 285-290): a questo valore l’ADH viene rilasciato e la concentrazione è la più elevata. In con-dizioni di osmolalità normale dunque il sistema non è silente ma è già attivo. Il senso di avere unsistema sempre attivo è il rendere la risposta più veloce possibile; quando viene introdotta una vari-azione l’ADH viene immesso nel circolo ematico, deve raggiungere poi il dotto collettore, far sintetizzareun secondo messaggero e rendere così possibile il recupero di acqua: tutto questo richiede tempo. Ilfatto di avere una secrezione tonica di ADH permette di minimizzare al massimo questi tempi in quantoc’è sempre dell’ADH circolante. Esiste però una seconda motivazione la cui ragione va spiegata perassurdo. Se il rilascio di ADH avvenisse a livello di 300 milliosmoli, quando viene introdotta la vari-azione e viene fatto partire il segnale cosa potrebbe garantire che nel frattempo l’osmolalità non siavariata ancora? L’effetto paradosso è che se io parto con una sollecitazione minima il tempo necessarioper correggerla rende probabile che nel frattempo questa variazione sia aumentata: la quantità di ADHliberata a questo punto non sarebbe più sufficiente a correggere la situazione. Il meccanismo di rilascioa livello osmolale fisiologico è dunque un meccanismo di sicurezza che tutela la regolazione in tempibrevi.

Esistono altri stimoli per la secrezione di ADH che sono le variazioni volemiche: questo è possibileperchè esistono rilevatori di variazioni di volume/pressione. Questi rilevatori possono essere di duetipi:

• Recettori volemici a bassa pressione, localizzati dove la pressione è bassa

• Recettori volemici ad alta pressione, localizzati dove la pressione è alta (seno carotideo, arcocarotideo)

Entrambi i recettori inviano segnali all’ipotalamo. Qual è il sistema più efficace? Variazione osmolale opressioria/volumetrica? La risposta è in un grafico già visto:

Basta una variazione di osmolalità dell’ordine di 1-2% per attivare il sistema mentre per ottenere rispos-ta dalla via pressoria è necessario introdurre variazioni del 15%: le variazioni osmolali sono dunquemolto più importanti e ogni volta che ne avviene una c’è da aspettarsi una risposta correttiva.La lista completa dei fattori che agiscono sul rilascio di ADH in realtà è:

1. Osmolalità plasmatica

2. Volume/pressione sistemica

3. Temperatura (il freddo è diuretico, il caldo antidiuretico)

4. Uso di alcolici → diuresi

5. Uso di tabacco → antidiuresi

6. Uso di barbiturici →antidiuresi

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La diuresi arriva all’apice a fronte di un’inibizione dell’attività ipotalamica come nel caso del diabeteinsipido. In questa patologia l’escrezione urinaria arriva ad essere 10-20 litri al giorno, una quantitàlegata alla quantità di osmoli eliminata con le urine. Solitamente con le urine vengono eliminate 600-800 milliosmoli ma quando l’ADH non è presente l’unica via è eliminare alla stessa osmolalità delplasma: la quantità d’acqua richiestaper farlo è tre volte tanta.Come funziona ADH? Questa molecola si lega al suo recettore che, tramite una proteina G, attival’adenilato ciclasi e quindi inizia a produrre cAMP. Il cAMP attiva le proteine cAMP-dipendenti le quali,tra le altre cose, fosforilano le acquaporine consentendo all’acqua di passare. ADH è anche dettovasopressina in quanto agisce sulla parete vascolare come vasocostrittore: questa attività sfrutta unmeccanismo diverso in quanto sfrutta un recettore diverso, il V1 a differenza del V2 del dotto collettore.Il recettore V1 non attiva una adenilato ciclasi ma sfrutta come secondo messaggero il fosfatidil inositoloche, per azione della fosfolipasi C, viene scisso in diacilglicerolo (DAG) e inositolo 3 fosfato (I3P). L’I3Papre i canali al calcio del reticolo endoplasmatico facendo aumentare la concentrazione intracellularedi calcio: questo ione viene catturato da proteine Ca-dipendenti oppure va a modificare la liberazionedi calcio sarcoplasmatico e quindi a modificare il calibro del vaso.In generale comunque c’è un rapporto inverso tra osmolarità delle urine e flusso urinario, come mostrail grafico sotto:

La sete è un utile indice della situazione in quanto azione che corregge l’uscita eccessiva di acqua.Lo stimolo della sete è soggettivo ma i criteri fisiologici che ci stanno dietro sono generali. A livellocentrale infatti esistono popolazioni neuronali che, se stimolate, inducono la ricerca di acqua: se perinverso queste popolazioni vengono inibite l’animale non cerca acqua anche se disidratato. La setepuò essere evocata dagli stessi rilevatori periferici che una volta attivati favoriscono il rilascio di ADHoppure dall’angiotensina II. Il sistema di stimolo della sete nell’uomo non è comunque molto raffinatoin quanto il desiderio si spegne prima che siano stati soddisfatti i reali bisogni dell’organismo: bastabere un bicchiere per non sentire più la sete anche se magari ne servirebbero dieci.

L’acqua non è però l’unica sostanza introdotta tutti i giorni: con la dieta si assumono costantementequantità varie di sodio. Se la dieta è ricca di sodio e quindi ne viene introdotto più di quanto ne vieneeliminato la ricaduta sull’organismo è l’aumento di peso.

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Come mai succede questo? Il sodio viene filtrato, e il carico filtrato è dato dalla concentrazione delplasma per la GFR:

180L · 145mEq/L = 26100mEq/L

145mEq = 9g

Nove grammi di sodio moltiplicati per la GFR danno 1620g al giorno in transito per il rene. A fronte diuna buona funzionalità renale e di una dieta corretta, al giorno viene escreto meno dell’1% di questaquota, quindi circa 16g giornalieri.Immagino ora che la quota escreta nelle urine sia tre volte maggiore: circa 780mEq o 48g al giorno;a conti fatti vengono eliminati dunque 500mEq extra che vengono accompagnati da almeno 3,5L diliquido in quanto ogni volta che viene eliminato sodio viene eliminata acqua. Come ottengo il dato deitre litri e mezzo?

500mEq

145mEq/L= 3, 45L

Da dove provengono i liquidi extra? Dal liquido extracellulare. Quando dico che la quota escretavaria a fronte di una variazione della quantità di sodio, la variazione è a carico del liquido extracellulare:l’acqua non si prende dal liquido intracellulare, se non in situazioni estreme e pericolose.

Come mai dunque una variazione nel sodio induce una variazione nel peso? Non si tratta di vari-azioni nella massa magra o grassa, ma nel deposito idrico: l’aumento di peso nella dieta ipersodica èespressione dell’aumento dell’acqua trattenuta dal sodio.

La regolazione del liquido extracellulare passa dunque tramite la funzionalità renale e quindi tramitela modulazione del riassorbimento di sodio. Quando si parla di liquido extracellulare si parla di liquidoche bagna l’interstizio, cioè il sangue (plasma). Non è possibile avere informazioni dirette riguardo alliquido interstiziale, ma riguardo al solo sangue si: dal plasma dunque si possono ottenere moltissimeinformazioni e infatti rappresenta l’aspetto tangibile dell’omeostasi operata dal rene.

Se l’attenzione si sposta sul sangue si deve ora parlare di euvolemia, cioè il volume plasmaticonormale. Il volume del liquido extracellulare è espressione id una condizione euvolemica. I meccanismiche mantengono una simile condizione sono:

• Aldosterone

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• Autoregolazione del rene (costanza della GFR)

• Bilancio glomerulo-tubulare

Questi meccanismi si attivano nell’ambito fisiologico: tutte le variazioni modeste fisiologiche vengonoriequilibrate con queste vie. Esistono però variazioni non fisiologiche in cui il rene da un contributomolto diverso all’euvolemia.

La figura sopra parla di VCE, cioè volume circolante efficace: si tratta della frazione di volume in circoloche perfonde i tessuti con una pressione di ambito fisiologico. Il VCE varia con le variazioni del liquidoextracellulare quindi si possono usare come concetti simili.In condizioni normali l’escrezione di sodio è pari a circa l’1% (SX) mentre in condizioni non fisiologichesi può arrivare anche al 6%: questo si ottiene grazie ad una riduzione della quantità di sodio assorbitalungo il nefrone. Si nota ad esempio che nella porzione prossimale si passa dai due terzi del sodio al50% e così via negli altri distretti. Che cosa può rendere ragione a questo? Se il liquido extracellulareaumenta si ha un aumento di volemia, quindi un aumento di pressione sistemica e quindi un aumentodi GFR; se la GFR aumenta il bilancio glomerulo tubulare si riduce. In particolare l’aumento di GFRprovoca un aumento del carico filtrato (cioè aumenta il risultato di GFR · [Na+]plasmatica). Il bilancioglomerulo tubulare regola il riassorbimento di sodio sulla base delle condizioni emodinamiche dettatedalle forze di Starling; se aumenta il carico filtrato si ha un aumento della pressione idrostatica nelcapillare in quanto c’è più fluido mentre la pressione oncotica non è cambiata in quanto le proteinesono sempre quelle: la quantità di sodio riassorbita diminuisce perchè la forza che lo spingeva fuori daltubulo è diminuita.Il dotto collettore non recupera sodio in base alle forze di Starling, ma ha un meccanismo aldos-terone dipendente. L’aldosterone viene prodotto dal surrene: meno ce n’è in circolo e meno sodio verràriassorbito.

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31 Lezione 8 [R]

Definizione da Internet di VCE (al solito non si capiva un cazzo): Il volume circolante efficace (VCE)rappresenta la porzione del liquido extracellulare (LEC) che si trova nel distretto arterioso (circa 700ml nell’uomo tipo di 70 kg). Dal punto di vista fisiologico esso determina la pressione di perfusione deibarocettori del seno carotideo e dell’arteriola afferente al glomerulo.

Il VCE ha dei rilevatori soprattutto di tipo vascolare che lavorano con grandezze volumetriche. Questirecettori sono suddivisibili in due classi:

• Recettori a bassa pressione: posti a livello atriale e polmonare

• Recettori ad alta pressione: posti a livello del seno carotideo e dell’arco aortico

Che succede quando queste strutture rilevano un aumento del VCE? Il rene adatta il riassorbimento delsodio ma necessario un lavoro di tipo integrato, cioè è necessario l’aiuto di altri apparati. Un esempiodi integrazione è dato dalla risposta del cuore: quando l’atrio si dilata per un aumento del volumeematico le cellule atriali producono il fattore natriuretico atriale, un polipeptide con effetti diureticie natriuretici. Questa molecola, unpeptide, raggiunge il cervello attraverso il circolo e raggiunge lecellule dell’ipotalamo inibendo il rilascio di ADH: si tratta di un diuretico perchè inibisce il rilascio divasopressina. La funzione natriuretica è più complessa in quanto ci sono diverse strade. La primastrada è il favorire la sintesi e la secrezione dell’urodilatina da parte delle cellule del mesangio e daquelle tubulari più vicine alla papilla: questa sostanza non si trova mai in circolo ma solo nelle urine efavorisce l’eliminazione di sodio in quanto aumenta la permeabilità dell’epitelio. Ricapitolando, il fattorenatriuretico atriale:

1. Inibisce il rilascio di ADH

2. Favorisce la sintesi dell’urodilatina

3. Inibisce l’attività dell’ACE e quindi inibisce la conversione dell’angiotensina II

4. Antagonizza il sistema renina-angiotensina

5. Antagonizza l’aldosterone

6. Aumenta la permeabilità di tessuti e vasi a livello del glomerulo

7. Vasodilata per effetto sulla muscolatura liscia

Grazie all’urodilatina dunque la GFR risulta molto aumentata. L’aumento di GFR modifica il bilancioglomerulo-tubulare e, come visto nella lezione scorsa, la quota di sodio riassorbita diminuisce. Du-rante l’aumento del volume circolante il sistema simpatico è depresso in quanto questo risponde allediminuzioni volemiche: esiste dunque un’inibizione dell’attività simpatica che, affiancata dall’azionedel fattore natriuretico atriale, porta ad un aumento della GFR.

Cosa succede invece se il sodio eliminato diminuisce? Tutte le sollecitazioni vengono invertite e laGFR diminuisce:

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Il sodio subisce un risparmio assoluto e non viene più escreto con le urine. In generale posso dire chea fronte di una diminuzione volemica si ha una forte attivazione simpatica. L’attivazione s impatica haazione vasoattiva a livello glmerulare e la GFR diminuisce un po’ per mantenere la frazione di filtrazione.Il sistema inoltre sollecita la via renina-angiotensina perchè a livello dell’apparato juxtaglomerulareviene rilevata la variazione e si arriva a produrre angiotensina II che vasocostringe il versante efferente.Se diminuisce il VCE gli atri non hanno sollecitazione quindi non si ha rilascio del fattore natriureticoatriale e quindi l’aldosterone e il fattore ACE sono normalmente attivi. In queste condizioni dunque laGFR cala moltissimo e l’aldosterone stimola il riassorbimento di sodio: il risultato finale è l’assenza disodio nelle urine.Riassunto delle varie sostanze per azione biologica

La curva di diuresi/natriuresi da pressione vista qualche lezione fa ora ritorna di interesse:

Se aumenta la concentrazione di angiotensina II la curva si sposta? Questa sostanza è vasocostrittrice,

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fa aumentare la pressione e quindi deve far spostare questa curva. Lo spostamento sarà verso destra:il valore di riferimento 1ml/100mmHg in presenza di angiotensina II diventerà 1ml/120− 140mmHg.

La linea retta rappresenta il valore di assunzione di acqua o di sodio: quando questa intercetta unadelle curve si ha il punto di equilibrio. Il punto di equilibrio corrisponde alla situazione in cui peruna certa quantità di sodio escreta ho una certa pressione. Entro ambiti fisiologici la curva normale èquella rossa che è praticamente verticale in corrispondenza dei 100mmHg: questo significa che ancheper grande variazioni nella quantità di angiotensina II la pressione sistemica è più o meno costante. Inassenza di angiotensina II si ha diuresi a 80mmHg e in sua presenza 2,5 volte maggiore a 140mmHg.Quando questo sistema di regolazione n on funziona vengono somministrati anti ipertensivi detti ACEinibitori che inibiscono la formazione di angiotensina II e quindi eliminano la vasocostrizione.

L’attenzione è da spostarsi ora sul potassio, la cui situazione fisiologica è opposta a quella delsodio: molto concentrato dentro (150mEqL) la cellula e raro fuori (5mEqL). La distribuzione di questoione è data da un contributo ormonale da parte di tre molecole: aldosterone, epinefrina ed insulina.L’aldosterone è nella lista perchè governa la pompa sodio-potassio ATPasica. Queste tre sostanzemantengono l’equilibrio, ma questo viene perturbato ad altre condizioni: lisi cellulare, esercizio fisico,equilibri acido base e osmolarità plasmatica. La variazione dell’osmolarità plasmatica si ha quando sisviluppa sudorazione profusa con cui si perdono liquidi (aumentando l’osmolarità): a fronte di una fortesudorazione se non viene integrata acqua la pressione si riduce al punto da generare shocl ipovolemicoipotensivo. L’organismo in questa condizione ruba acqua al compartimento intracellulare e le cellule siraggrinziscono: la rimozione d’acqua fa concentrare il potassio all’interno della cellula con il risultatoche questo viene spinto ad uscire e la potassiemia aumenta.

Cosa comporta la variazione potassiemica? Se c’è troppo potassio in circolo questo esce con difficoltàdal cuore e quindi si ha una difficoltà nella propagazione dell’impulso cardiaco: il tracciato ECG variamolto con la potassiemia e si può arrivare a fibrillazione ventricolare.

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Il potassio viene ultratiltrato e trattato nel nefrone. Nel tubulo prossimale viene riassorbito, comegli altri soluti, per il 70% ma non sfrutta il sodio: il trasferimento di potassio è legato alla via paracel-lulare. Una seconda sede di lavoro su questo ione è la porzione ascendente spessa dove si combinacon cloro e sodio per dare origine al cotrasporto elettricamente neutro: qui il potassio passa nell’inter-stizio o nel versante luminale per bilanciare la situazione elettrica. Nella porzione distale il potassiova incontro al meccanismo della secrezione: le cellule principali ne favoriscono la secrezione verso lapreurina. Il meccanismo di secrezione delle cellule principali è legato all’azione dell’aldosterone sullapompa Na-K ATPasica. La pompa da un lato porta fuori Na ma dall’altro accumula potassio che puòessere facilmente secreto in quanto maggiore è la concentrazione intracellulare maggiore sarà la facil-ità di secrezione. Esiste un antagonista a questo sistema ed è la concentrazione degli idrogenioni, iquali inibiscono la pompa e in generale la secrezione verso il versante luminale: tutte le volte che gliidrogenioni luminali aumentano la secrezione del potassio diminuisce.Il potassio nel tubulo distale non viene solo secreto ma anche riassorbito, e le cellule preposte a questoriassorbimento sono le cellule intercalate. Queste cellule da un lato riassorbono potassio e dall’altrosecernono idrogenioni. Dato che il potassio viene introdotto con la dieta questo deve essere riassorbitoed è il compito delle cellule intercalate: la loro attività è legata all’intake di potassio dietario. Le celluleintercalate sono di due tipi: infossate e sporgenti. La differenza sta nella disponibilità dei canali: leinfossate hanno canali che favoriscono la secrezione di potassio emntre le sporgenti hanno canali chefavoriscono il riassorbimento di potassio e la secrezione di idrogenioni. Il fatto che ci sia un movimentodi idrogenioni implica che il riassorbimento del potassio sia legato al pH: il riassorbimento del potassiodipende da quanti idrogenioni devono essere allontanati.

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L’idrogenione è un elemento turbante per la cellula, il potassio invece no. Nelle cellule dove esiste siasecrezione di potassio che di idrogenioni vincono questi ultimi: ogni volta che aumentano la secrezionedi potassio viene messa in secondo piano. Il pH può variare in due modi: produrre un’acidosi oprodurre un’alcalosi. In acidosi viene privilegiato l’allontanamento degli idrogenioni e quindi aumentail riassorbimento del potassio, in alcalosi succede il contrario. In generale in condizioni fisiologiche cisi aspetta che il potassio eliminato con le urine sia circa 3, 5g o 100mMol/L.

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32 Lezione 9 [R]

Il pH ematico è la concentrazione di idrogenioni nel plasma; valori inferiori a 6,8 o superiori a 7,8 sonoincompatibili con la vita. L’intervallo ottimale di pH del plasma è 7,35-7,45 che corrisponde a 45nanoe-quivalenti/litro: gli idrogenioni devono essere presenti in quantità molto piccole. Il pH viene mantenutocostante attraverso i sistemi tampone che mitigano gli eventuali insulti acidi o basici: questi sistemisibasano sul carbonato, sul fosfato e su varie proteine. L’ambito principale per i sistemi tampone èlo spazio extracellulare in quanto l’azione è più rapida rispetto a quella intracellulare. Collettivamentequesti sistemi tamponano circa la metà degli acidi prodotti e il 60-80% delle basi: il resto è gestitointernamente dalla cellula.

Il tampone carbonato è il più importante perchè è il più presente. L’efficacia del tampone dipendedalla quantità e dal suo pK; il carbonato è presente in grandi quantità e il suo pK è la costante didissociazione a pH fisiologico. Il tampone carbonato è legato alla reazione di idratazione dell’anidridecarbonica che forma acido carbonico il quale poi si dissocia a ione carbonato e idrogenione:

CO2 +H2O H2CO3 H+ +HCO−3

Questa reazione ha una rapidità che dipende dalla presenza dell’enzima anidrasi carbonica: in suapresenza è molto rapida, in assenza no. La reazione avrà una costante di equilibrio data da

K =[H+][HCO−

3 ]

[H2CO3]

Facendo il logaritmo del valore di K si ottiene

logK = log[H2CO3]

[H+][HCO−3 ]

Quel che interessa è la concentrazione degli idrogenioni, quindi

log[H+] = logK + log[H2CO

−3 ]

[HCO−3 ]

da qui, poichè pH = −log[X] si ottiene

pH = pK + log[HCO3]

[CO2]

Sostituire HCO3 con l’anidride carbonica è corretto perchè la quantità di quest’ultima è direttamentelegata a quella del primo, inoltre l’acido carbonico non è stabile e dissocia subito. L’anidride carbonicaè però un gas e questa quantità sarà espressa come pressione parziale. L’anidride carbonica ha unfattore di solubilità α = 0.03, quindi l’equazione va riscritta come

pH = pK + log[HCO−

3 ]

αPCO2

In questa equazione il pK vale 6.1, la concentrazione del bicarbonato è pari a 24 mEq/L e la PCO2è 40:

pH = 6.1 + log24

40 · 0.03= 7.401

Questa equazione prende il nome di equazione di Henderson-Hasselback e dice che il pH è vincolato a7.4 da due f attori: la concentrazione di bicarbonato e la pressione parziale dell’anidride carbonica.

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La condizione fisiologica è rappresentata dunque dalla terna 7.4 (pH), 40 (pressione parziale anidridecarbonica) e 24 (concentrazione bicarbonato)

Nel nostro organismo in rapporto all’alimentazione si ha sempre turbamento del rapporto acido basein quanto gli alimenti originano sia acidi che basi. La degradazione degli acidi grassi e dei carboidratiproduce CO2 in quantità 15-20mMoli al giorno, mentre dalle proteine ne arriva una quantità maggiore,fino a 100mMoli al giorno. I fosfati ingeriti contribuiscono con 30 millimoli e gli anioni organici con60. Complessivamente il risultato è che ogni giorno vengono introdotte 100 + 30− 60 = 70mMol di acidi.L’organismo deve allontanare questa quota acida grazie alla formazione di sali di sodio di acidi forti ealla rimozione di carbonato: tutto questo è dato dal contributo renale.

Come si comporta il rene in questo ambito? La prima operazione è recuperare il carbonato cercandodi portarlo a una concentrazione di 24mEq/L che è detta riserva alcalina. Esistono due sedi di recuperoper il carbonato:

1. A livello del tubulo prossimale dove il carbonato si combina all’anidrasi carbonica a livello lumi-nale, lega idrogenioni, si formano CO2 e acqua che entrano liberamente nella cellula. Acqua eanidride si ricombinano nella cellula dove è ancora presente l’anidrasi: si forma acido carbonicoche dissocia in carbonato ed idrogenioni. La quantità assorbita in questo modo è circa l’80% deltotale ed è vincolata al bilancio glomerulo tubulare ma anche all’antiporto sodio-idrogenione chefornisce l’H+necessario alla reazione.

2. A livello del tubulo distale. A questo livello non c’è quasi più sodio e la secrezioni di idrogenioninon può più sfruttarlo: si ha ora lo sfruttamento delle cellule intercalate infossate che hanno untrasportatore attivo secondario che agisce come antiporto per carbonato e idrogenione.

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Cosa succederebbe se questa operazione non avvenisse? Il secondo intervento importante è quello deitamponi a livello renale. Il fosfato è un prodotto plasmatico filtrato che si trova sia in forma monobasicache bibasicainrapporto 1:4. La forma bibasica lega facilmente idrogenioni e la pK è 6.8 a pH fisiologico.Qual è la quantità del fosfato? Il fosfato viene filtrato e riassorbito: il riassorbimento avviene a Tm,cioè viene recuperata una quantità fissa di fosfato. Il fosfato plasmatico è in parte legato alle proteinee quindi non filtrabile e il rimanente viene riassorbito a Tm: questa parte non può tamponare gli idro-genioni. Sostanzialmente il fosfato in forma bibasica è capace di catturare una quantità di idrogenionipari a 20-40mEq al giorno. L’allontanameno di acidi attraverso il tampone fosfato va sotto il nome diformazione di acidi titolabili; titolazione di un acido significa misurare la quantità di base necessariaad ottenere un tamponamento. Nel tubulo distale gli idrogenioni secreti nel lume vengono catturati dalfosfato con formazione di acido titolabile; questo processo porta ad un’acidificazione dell’urina in quan-to la preurina subisce una riduzione del pH. Si parla di acido titolabile in quanto usando un pHmetroche misura l’acidità delle urine è possibile poi aggiungere una quantità di NaOH per riportare il pH avalore 7.4: la quantità necessaria sarà legata alla quantità di idrogenioni legati al tampone fosfato.

Nell’allontanare gli acidi normalmente prodotti dall’organismo esiste il contributo di un altro tam-pone renale: il tampone ammoniaca-ione ammonio. Questo tampone lavora nel tubulo prossimaleperchè è qui che la degradazione della glutammina porta alla formazione di ammoniaca e carbonato.L’ammoniaca diffonde liberamente nel lume ed è in grado di accettare idrogenioni con un pK che a pHfisiologico è pari circa a 9. Il quantitativo di ammoniaca è elevato e questa molecola viene prodotta di-rettamente a livello renale; quando accetta l’idrogenione la molecola diventa ione ammonio che non puòtransitare liberamente nell’interstizio se non nel ramo ascendente spesso. Nel ramo ascendente spessoun canale simile a quello che consente il cotrasporto elettricamente neutro è in grado di far muoverelo ione ammonio. Nell’interstizio lo ione si dissocia formando ammoniaca e idrogenione: questi dueprodotti finiscono poi nel dotto collettore dove l’ammoniaca in particolare va in soccorso del tamponefosfato catturando gli idrogenioni rimasti. L’ammoniaca nel dotto collettore cattura idrogenioni e quinditorna a diventare ione ammonio che va incontro a salificazione (acido+base=sale+acqua) e questi salivengono eliminati con le urine.

Fisiologicamente le urine hanno un pH acido in quanto hanno la funzione di allontanare gli idro-genioni. L’intervento dei sali di ammonio cattura gli idrogenioni in eccesso e questo tampone è quan-titativamente molto presente in modo da mitigare variazioni di pH molto importanti. A fronte di unterzo degli acidi che viene tamponato dal fosfato, i rimanenti due terzi vengono tamponati dal sistemaammoniaca-ione ammonio.

L’equilibrio fisiologico può essere turbato da vari eventi. Le azioni di disturbo possono avere dueobiettivi: il carbonato e la CO2. Le variazioni di carbonato sono quelle del pH, quindi di natura metabol-ica, mentre le variazioni di CO2 sono di natura respiratoria. Tutte le volte che aumenta il carbonato odiminuisce la CO2 si parla di alcalosi, tutte le volte che diminuisce il carbonato o aumenta la CO2 siparla di acidosi.A fronte di un’alterazione respiratoria, ad esempio un enfisema, la ventilazione sarà ridotta e quindila PCO2

aumenterà creando una condizione di acidosi, cioè una diminuzione del pH delle urine; comereagisce il rene? A livello del capillare peritubulare viene portato sangue più ricco in CO2 che vieneidratata formando acido carbonico che dissocia in carbonato e idrogenione: il carbonato ritorna nelcapillare a formare la riserva alcalina mentre gli idrogenioni vengono catturati dai tamponi.

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