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Accademia Editoriale Filottete sulla scena antica e moderna. A proposito d'una recente raccolta Author(s): Guido Avezzù Source: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 19 (1987), pp. 131-142 Published by: Fabrizio Serra editore Stable URL: http://www.jstor.org/stable/40235897 . Accessed: 10/01/2014 09:11 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp . JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. . Fabrizio Serra editore and Accademia Editoriale are collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici. http://www.jstor.org This content downloaded from 194.95.59.195 on Fri, 10 Jan 2014 09:12:00 AM All use subject to JSTOR Terms and Conditions

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Accademia Editoriale

Filottete sulla scena antica e moderna. A proposito d'una recente raccoltaAuthor(s): Guido AvezzùSource: Materiali e discussioni per l'analisi dei testi classici, No. 19 (1987), pp. 131-142Published by: Fabrizio Serra editoreStable URL: http://www.jstor.org/stable/40235897 .

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Guido Avezzù

Filottete sulla scena antica e moderna. A proposito d'una recente raccolta

Occasione di questi appunti è Philoctetes and thè Fall ofTroy di Oscar Mandel (M.), professore di 'humanities' al California In- stitute of Technology1. Il volume promette: (1) una collezione di pressoché tutte le allusioni a Filottete (F.), da Omero al IX sec. d. C, commentate; (2) un ragguaglio sulla fortuna della leggenda di F. dal Rinascimento fino al nostro secolo; (3) l'av- vìo d'un'indagine sull'iconografia di F. per lo stesso periodo; (4) tre moderni Filottete: Philoctète oh le traité des trois morales di Gide (1898), The Summoning of Philoctetes dello stesso M. (1961) e Philoktet di Heiner Müller (1965). Presentato con l'ambizione di costituire una novità assoluta, «for thè first time in any language» (p. XI), il volume compone una costellazione di testi, commenti, interpretazioni e sintesi mitografiche, tut- t'intorno al Filottete sofocleo, all'interno della quale non è facile orientarsi. La prima parte (Philoctetes in Antiquity) comprende: un riepilogo delle testimonianze mitografiche; un elenco delle fonti; la traduzione del dramma sofocleo approntata da Robert Torrance per la scena (1961) e riveduta per questa seconda edizione2; alcune osservazioni ai Filottete di Eschilo, Euripide e Sofocle - se non erro, fino ad oggi la più ampia trattazione comparativa3. La seconda parte contiene una rassegna prelimi-

1. O. Mandel, Philoctetes and thè Fall of Troy. Plays, Documents, Iconograpby, Interprétations. Including Versions by Sophocles, A. Gide, . Mandel and . Mül- ler, Lincoln - London, 1981, pp. 256. Questi appunti non intendono però costituire una vera e propria recensione; selettivi e forse tendenziosi, vogliono essere una

specie di bilancio critico, stimolato dal libro di M. e nato in parallelo a una raccolta dei Filottete frammentali del teatro ateniese, in corso di stampa presso la casa ed. Adriatica.

2. I ed.: con The Women of Trachis, Boston, 1966. Messo in scena nel 1961 a Harvard e nel 1964 a New York.

3. Si sofferma con una certa ampiezza, tra contributi recenti, B. Vickers, To- wards Greek Tragedy, London - New York 19792 (19731), 300-303. Cfr. anche W. M. Calder, Die Technik der Sophokleischen Komposition im Philoktetes, in Helleni- sche Poleis, hrsg. v. E. C. Welskopf, Berlin 1974, vol. III, 1382-88.

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nare della fortuna di F. nella letteratura (pp. 123-34) e nelle arti figurative (134-49), dal 1502 (anno dell'editto princep s di Sofo- cle) al 1896 (data della messinscena del dramma sofocleo all'O- deon di Parigi, nella traduzione di Pierre Quillard). Nella terza sono presentati i tre Filottete moderni. Il volume è corredato da una succinta iconografia, per la maggior parte utilmente riserva- ta alle opere moderne.

1. M. non conosce, tra altri, lo studio di Lidia Martini4. Dalla rassegna alle pp. 123-34 restano esclusi, p. es., gli àmbiti italiano (la traduzione del gesuita Scamacca, 1641; quella dell'Alfieri, 1804; la parte del Metastasio nella discussione sugli 'ululati' di F.), greco (le traduzioni del Koroneos, 1880, e Vithulkas, 1884; le riprese teatrali legate ad avvenimenti d'interesse polisco e civile eloquenti d'un entusiastico sincretismo)5, slava (p. es.: la musica di scena composta per il dramma sofocleo da Alek- sander Il'jinsij6 presuppone una presenza e una fortuna teatrale delle quali non troviamo traccia in M.). Quanto alla fortuna in ambiente tedesco, tra le molte traduzioni apparse nei decenni a cavallo del XVIII e XIX secolo era forse da segnalare quella di Ernst Chr. von Gersdorff (1781-1852), per la quale si veda la lettera del Goethe allo stesso v. Gersdorff del 20 aprile 18227.

2. L'autore di questa raccolta non è un filologo. Interessato alla drammaturgia (la maggior parte della sua produzione saggistica è dedicata al teatro, dai Don Giovanni a Marivaux, dalla com- media medievale francese a Corneille e a Tieck), autore dram- matico in proprio, M. non si propone di definire il senso del

4. Fortuna neogreca del Filottete, Padova 1974. V. anche M. G. Ciani, Filottete delle Galassie ', «Sigma» N. S. 14, 1981, 15-25, sulla rielaborazione della storia di F. in R. Silverberg, The Man in thè Maze, romanzo di fantascienza pubblicato nel 1969 (ed. it. Torino 1976); anche M. esce talvolta dai limiti cronologici che s'è imposto (v. p. es. a proposito di Neutral Grounds, realizzato da Tom Stoppard per la BBC nel 1968, a p. 154). 5. Martini, cit., 17-21 (Koroneos), 21-27 (Vithulkas), 75-77 (le rappresentazioni: notevole quella diretta dalPAndoniadis nel 1887, con musiche di Haendel, le beet- hoveniane Rovine d'Atene e brani del Flauto Magico\). 6. I dati nel Grove's Dictionary of Music, 5a ed. e ora DEUMM, Biografie, III. L'I., che muore nel 1919, produce anche un Oedipus Rex.

7. J. W. Goethe, Briefe des Jahre 1814-1832, vol. XXI della Gedenkausgabe, Zü- rich - Stuttgart 1951, 496 sg.

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Filottete antico nell'età e per il pubblico che lo videro mettere in scena. La sua lettura si fonda programmaticamente sulla fiducia che le opere letterarie siano in grado di comunicare «tematiche di grande rilievo riguardo alla nostra realtà umana»; di più, egli ammette, tra le righe, la propria determinazione a strappare queste tematiche alle opere, per giungere a chiarirne «il signifi- cato, per noi, oggi», Nel caso di Filottete, non esita ad anticipa- re che «it also speaks to us of issues far denser with meaning for us today than those of Oedipus» (p. XII). Conseguente alla sua decisa opzione per la scrittura 'creativa', nel tracciare la fortuna moderna di F. è attento solo alle riprese da parte di poeti, dram- maturghi, romanzieri; M. fa notare, p. es., che tra il 1750 e il 1832 il Filottete viene tradotto in tedesco non meno di sette volte, più un numero imprecisato di versioni dell'integrale sofo- clea, e osserva: «non c'è da stupirsi che siano tedeschi gli inizi e la prima maturità dello studio critico su F.» ma, «come abbiamo visto, non c'è una corrispondente effervescenza in àmbito teatrale»8. Eppure, per forte che sia la suggestione esercitata dal nudo racconto delle vicende di F., nessuno potrebbe sostenere che un drammaturgo moderno si misuri direttamente col mito piuttosto che con Sofocle - a prescindere dalla constatazione che anche il 'nudo' racconto è per la maggior parte frutto della sintesi, della giustapposizione ë dell'interazione di tre successi- ve versioni drammatiche attiche. La fortuna di F., negli adatta- menti, nelle nuove versioni nelle messe in scena, coincide con la vitalità del Filottete, e questa è contrappuntata e continua- mente rinnovata dall'interpretazione; la vitalità del Filottete coincide a sua volta con le letture, stratificate e giustapposte, del dramma stesso e della figura di F. nel racconto che è, essenzial- mente, tragöidoümenon, materia per la scena e prodotto della scena. È singolare, anche se tutt'altro che insolito inatteso, che dalla rassegna restino escluse le interpretazioni del dramma sofocleo, le letture che via via ne sono state offerte, non poche né di poco conto, pur nella congerie di lavori accademici pura- mente linguistici ripetitivamente scolastici. Eppure a M. non si può rimproverare di ignorare la bibliografia degli studi su Sofocle e sul dramma attico; ma questa, utilizzata secondo le regole del gioco nelle sue osservazioni ai Filottete del V secolo

8. M., 147; cfr. 133 sg.

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(pp. 95-120), si direbbe esclusa preliminarmente dalla 'fortuna', come irrilevante al costituirsi della figura di F. nell'immaginario della letteratura 'creativa' posteriore. Sarebbe tuttavia ingiusto imputare quest'esclusione all'autore, il quale non fa che prende- re atto della specializzazione raggiunta dalla scrittura accademi- ca e dell'incomunicabilità instauratasi, a quanto pare, tra gli ac- cademici e i 'militanti' e 'creativi'. Non è il caso di soffermarsi a misurare il solco che si è approfondito tutt'intorno alla cittadel- la filologica dacché il Goethe settantasettenne riceveva stimolo febbrile dalla De Aeschyli Philocteta Dissertano «del nostro chiarissimo Hermann»9; ma è chiaro che un'opera come questa del M., frutto di personale coinvolgimento nella problematica creativa, inasprisce una contraddizione per lo più smussata dal- l'acquiescenza a consuetudini corporative10. Da lettore interes- sato alla ricostruzione d'una sequenza di processi non necessa- riamente omogenei, eppure unificati dalla presenza feconda d'un testo, come definirei preliminarmente la storia d'una 'for- tuna', non credo si possano, accettare né il dialogo privo di coordinate temporali e spaziali tra le voci che compongono lo status quaestionisy né una storia della fortuna di qualsiasi testo, che prescinda dall'ermeneutica e dall'interazione tra questa e l'ambito della produzione artistica.

3. Il fatto che, in Eschilo e in Euripide, l'isola di Lemno sia abitata, non comporta una radicale differenza rispetto al dram- ma di Sofocle. Valutata sul piano della drammaturgia, l'innova- zione sofoclea concerne piuttosto la scelta dei comprimari e la costituzione del Coro. Anche nella rassegna mitografica e nelle osservazioni di M. si sconta una problematica costruita su pre- supposti antiquari, estranei al meccanismo drammatico.

Dione Crisostomo ci informa che i Cori di Eschilo e di Euri- pide sono composti di isolani e che Euripide estrae dalla massa

9. Goethe, Schriften zur Literatur, vol. XIV della Gedenkausgabe, 1950, 702-705 (appunti del 1826 sui quattro Filottete: i tre attici e Accio). Cfr. la lettera del 20

maggio 1826 a Karl Friedrich Zelter, vol. XXI delPed. cit., 687-689. Per la collabo- razione con lo stesso Hermann, con Göttling e Riemer nella rielaborazione del Fetonte euripideo, v. il colloquio del 3 dicembre 1822 registrato da Soret. 10. Con qualche eccezione: v. F. Turato, Per la storia della fortuna del «Prome- teo* eschileo nella cultura tedesca (1771-1871), «Atti e Memorie delPAcc. Pat.» 96, 1983-84, 205-17. Una trattazione più ampia in Prometeo in Germania, dello stesso Autore, Firenze 1988.

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dei Lemni Attore, facendone un personaggio in qualche modo familiare a F.11; quanto a Sofocle, ci ricorda che il Coro è fatto di soldati giunti a Lemno al séguito di Odisseo e Neottolemo12. Dobbiamo forse al Goethe e, indirettamente, al Hermann la sottolineatura di questa differenza tra le prime due e la terza versione drammatica del mito: nel colloquio registrato dall'Ec- kermann il 31 gennaio 1827, Goethe elencava le possibilità che si offrivano al drammaturgo, ricalcando lo schema tracciato in un'annotazione dell'anno precedente sulla falsariga della Dissertano13 . Tra le alternative, «l'isola dev'essere abitata oppu- re no, e se è abitata, deve un'anima buona essersi presa cura di F., oppure no?» Dopo Goethe tutta l'esegesi moderna è indaf- farata con questa Lemno antistoricamente deserta; di qui i ten- tativi per spiegare l'innovazione sofoclea come travisamento di un epiteto omerico (Wecklein14) o per limitarne la portata, sulla scia dello scolio «F. era stato abbandonato in una parte deserta dell'isola»15, cfr. la traduzione di Paul Mazon: «Voici donc, sur le sol de Lemnos ... voici le cap désert»16. Di qui, in linea con una lettura antropologica della tragedia, l'insistenza recente sul- l'isolamento di F. come novità del trattamento sofocleo e come metafora d'un isolamento 'culturale' (esemplare fra tutti Segai); l'esclamazione al v. 1018: «solo, privo di philoiy fuori della pò- lis» assume la portata d'un'indicazione semiologica17. Ma è dav- vero rilevante, per lo svolgimento del dramma, che l'isola sia deserta come in Sofocle (posto che in Sofocle sia tutta deserta),

11. Dio Chr. Or. LU 8.

12. Dio Chr. Or. LII 15, con una piccola inesattezza, poiché si tratta piuttosto di sudditi di Neottolemo, come apprendiamo dalla Parodo.

13. Citata alla nota 7: la Dissertano è del 1825.

14. V. il commento di T. B. L. Webster ai w. 1 sg. (ed. commentata del Filottete, Cambridge 1970). 15. Scbolia in Sophoclis tragoedias vetera éd. P. N. Papageorgius, Lipsiae 1888, 350 (al v. 2). 16. Nel III vol. delPed. curata da A. Dain e P. M. per Les Belles Lettres, Paris 1960. Cfr., per tutti, i commenti ai w. 1 sg. di Jebb, Kamerbeek e Paduano.

17. Ch. Segai, Tragedy and Civilization. An Interpretation of Sophocles, Cam-

bridge, Mass. - London, Univ. Press 1981, 295-300, in part. 296. La gradazione espressa al . 1018 è anticipata al . 228 (quasi letterale: éremos ... dpbilos; apolli è

suggerito dal contesto) e cfr. monos ... éremos al v. 471 e il solo éremos ai w. 265, 269, 487, 1070. Ma dporos kaì éremos philòn è già nel Prologo del Filottete euripi- deo, cfr. Dio Chr. Or. LIX 11.

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piuttosto abitata come in Eschilo e in Euripide? E se è rilevan- te, in che modo lo è? forse perché sottolinea la mostruosità del crimine compiuto dai Greci abbandonandovi F. (M., 22)? Que- sta è una considerazione assolutamente estranea alla teatralità del Filottete: non una sola battuta del protagonista lascia inten- dere che l'enormità dell'atto compiuto dai commilitoni consista nell'averlo lasciato su un'isola deserta - e inoltre: le parole sue e dei comprimari esprimono chiaramente che nessuno (nessun uomo civile, che pratichi riti collettivi) potrebbe mai tollerarne la vicinanza. Se torniamo ai Filottete di Eschilo e di Euripide (o, per meglio dire, alle note di lettura stese da Dione), vediamo che nel primo si presume che nessuno abbia soccorso F. mentre nell'altro si ha il comportamento eccezionale, forse trasgressi- vo, del solo Attore, un giovane, perciò un'entità dallo statuto sociale ancora non definito. I tre massimi tragici concordemen- te raffigurano F. isolato dalla comunità, solo contro la malattia, privo di affetti; così, in pieno IV secolo, anche Teodette18. Tra le cause che, secondo Dione, rendono verosimile il mancato riconoscimento di Odisseo in Eschilo, una ha valore di testimo- nianza sull'ambientazione del dramma, ed è appunto la lunga solitudine di F.19; quanto a Euripide si veda, p. es., il sommario tramandato da POxy. 2455 fr. 17. Insomma, F. non è solo espulso dalla comunità di guerrieri della quale fa parte inizial- mente, ma è per di più relegato in una solitudine che già a Eschilo preme sottolineare, nonostante la difficoltà di renderla verosimile al pubblico; quasi che la qualità del patto di symma- chia che lo aveva inquadrato nella spedizione e, più ancora, il carattere della comunità, della quale era entrato a far parte in forza del patto, non fossero trasparenti né peculiari già ai suoi occhi, l'espulsione era fatta coincidere, fin da Eschilo, con l'iso- lamento in una 'terra di nessuno'. Ventidue anni dopo Euripide, Sofocle deve a sua volta rendere accettabile una condizione che il predecessore ha ritenuto di poter motivare, a prezzo d'una caduta della tensione drammatica, mediante le giustificazioni

18. Theodectas, fr. 5b Snell (72F5b TrGF. /): F. si nasconde all'approssimarsi della crisi, segno che nessuno, in precedenza, vi ha mai assistito. Analoghe conclu- sioni sull'isolalmento di F. raggiunge, da un punto di vista storico-religioso, J. Bremmer, Heroes, Rituals and thè Trojan War, «Studi Storico-Religiosi», 2, 1978, 5-38: 14.

19. Dio Chr. Or. Z,// 6.

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addotte dal Coro nella Parodo20. La soluzione scelta da Sofocle consiste invece nell'evitare la spiegazione razionalizzante ma in definitiva banale, per creare uno scenario di fantasia, un dram- ma lemnio privo di Lemni, che sollecita il parallelo con la vicen- da dell'isola due volte teatro di stragi efferate, quella delle don- ne guidate da Ipsipile e quella dei Pelasgi (v. Erodoto VI 138- 139), e due volte negazione della vita civile, parallelo comunque presente sullo sfondo d'ogni Filottete.

Quanto a F., si deve sottoscrivere quanto osserva lo stesso M. a p. 36: l'interesse per la sua figura non è prodotto dall'arco né dal vaticinio che predestina vincitore dei Troiani, non da

quanto è costretto a compiere, bensì da ciò che è costretto a subire. In questo, la sua solitudine è altrettanto essenziale quan- to la profezia che avvia il meccanismo drammatico, è per così dire indifferenziata ed è, tutta, sulla scena, negli accenti di di-

sperazione e nella caratterizzazione consentita dalla prassi tea- trale dell'epoca.

Per il confronto fra soluzioni drammaturgiche diverse: appassionato am- miratore di Eschilo, Dione Crisostomo difende la verosimiglianza del mancato riconoscimento di Odisseo, in base a un ragionamento costruito

sull'«esperienza comune»21. È un'estrapolazione antidrammatica, questa di Dione, ma forse necessaria; Sofocle mira invece alla resa scenica: ciò che dev'essere spiegato sulla scala dell'esperienza individuale esorbita dalla scena; il rappresentabile si commisura all'esperienza immediata dei rap- porti attivati tra i personaggi sulla scena. La scelta di Euripide (il travesti-

mento) configura una scenicità di livello inferiore. Dione come testimonianza: l'utilità dell'Orazione LII può andare oltre

il livello di informazione al quale ordinariamente viene sfruttata. P. es.: Dione scrive, a proposito del dramma di Eschilo: «non c'era bisogno d'un

inganno sottile e sofisticato, alle prese con un uomo malato e per di più un arciere, del quale si neutralizzava la difesa (alké) se solo gli si andava vicino»22. Nel primo dei tre Filottete maggiori Odisseo si accosta a F.

quanto basta a impedirgli di usare l'arco? Immaginiamo una sequenza possibile: F. prologizei (com'è più che probabile), quindi la Parodo, e finalmente (I Episodio) entra Odisseo che si prosterna ai piedi di F. e lo

20. Dio Chr., op. cit. 7. È lo stesso Dione ad annotare poco più avanti: «Eschilo invece porta il Coro in scena direttamente (e cioè: senza ricorrere a giustificazioni), e ciò è da ogni punto di vista più tragico e più naturale, mentre la scelta di Euripide è più attenta ai dettagli e rispettosa delle convenienze».

21. Cfr. nota 19; Dione osserva: ... .

22. Dio Chr. Or. LU 10.

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convince d'essergli amico con una storia inventata23. Certamente diverso, anche gestualmente, il rapporto tra i due in Euripide: Odisseo prologhizei (teste Dione), entra F., al quale Odisseo si dichiara Greco, F. lo minaccia di morte, Odisseo lo implora di non scoccare il dardo: perciò, dovremmo concludere, da una certa distanza1*. È possibile che il movimento sulla scena traspaia, di sotto al velame della trascrizione in prosa delle note di lettura, a consentirci di recuperare la dimensione drammaturgica spentasi con Dione.

La scelta dei comprimari e quindi la struttura relazionale tra le

figure attive sulla scena; questo è il tratto che, per unanime giu- dizio, più profondamente caratterizza ognuno dei tre grandi Filottete. Riesaminiamo in sequenza cronologica i tre drammi. In Eschilo il nemico non è presente sulla scena; come ombra, minaccia, catastrofe annunciata ed evitabile unicamente a certe condizioni, doveva ovviamente occupare ogni argomento teso a convincere F., ma non si materializzava sulla scena. In Euripide è invece un polo del dibattito: coi Greci coi Troiani è l'alter- nativa espressa nel dissòs lògos offerto al giudizio di F. e incar- nato in Odisseo e probabilmente in Paride, impegnati davanti a lui in un duello oratorio25; nel sistema di relazioni tra i perso- naggi anche qui un triangolo, come poi in Sofocle26 - sullo

23. Ivi.

24. Dio Chr. Or. LIX 1-7.

25. Sono comunemente intesi come trascrizioni iconiche del dramma euripideo rilievi delle urne Museo di Volterra nrr. 426 e 332, Museo di Firenze inv. 5764 (già 440), cfr. L. A. Milani, // mito di F. nella letteratura classica e nell'arte figurata, Firenze 1879, 96-99 e figg. 41-43; su quest'Episodio, centrale in Euripide, . W. M. Calder, A Reconstruction of Euripides, Philoctetes, in Greek Numismatics and Ar-

cbeology. Essays in Honor of M. Thompson, Wetteren 1979, 53-62. Nelle tre urne, repliche d'un più antico originale, F. è all'imboccatura della grotta, in atteggiamen- to di risposta animata verso la delegazione troiana alla sua sinistra (due figure, la più centrale porta il berretto frigio); a destra di F. la delegazione achea, pure di due

persone: la più centrale è Odisseo, riconoscibile per il pilos. 26. L'osservazione a proposito di Sofocle è in A. Lesky, Die tragische Dichtung der Hellenen, Göttingen, 19723, 246.

Sulla triade F./Odisseo/Neottolemo, M. fa opportunamente notare: «if two men are quarreling about thè best way to move a notable monument, our philosophical concern will attach itself to the rightness and wrongness of their stratégies, but the notable monument, to which the argument is directed, and whose splendor is evi- dent to our eyes, dominâtes the contention 'ceremonially' (104, corsivo nostro.); l'osservazione si può applicare perfettamente anche alla scena dell'agone oratorio tra Odisseo e il Troiano in Euripide.

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sfondo, il Coro assiste estraneo alla lotta. La principale novità di Euripide è la presenza del nemico, come si conviene quando il dilemma concerne la scelta di campo; questa presenza fisica sulla scena offre il corrispettivo drammaturgico, oltre che dia- lettico e politico, alle considerazioni svolte da Odisseo all'inizio del Prologo: l'eccezionaiità della situazione rende accettabile il politico perittós, la sua ambizione votata a una perpetua rincor- sa del prestigio acquisito e al rilancio, in vista di un rafforza- mento della propria preminenza.

Con Sofocle il nemico torna sullo sfondo, come già in Eschi- lo; le allusioni al campo dei Greci assedianti Troia sono fre-

quenti, la vittoria è sperata e attesa, ma è lo stesso esercito greco a diventare, nelle parole di Odisseo, una minaccia contro altri due Greci (vv. 1243 sgg.); il diverbio tra Neottolemo e Odisseo mette a nudo un disaccordo sugli ideali e sui metodi dell'azione

politica che era stato anticipato fin dal Prologo, seppure nei toni

più sfumati della lezione impartita dal più anziano ed esperto al

giovane subordinato. Come per i Troiani, in Sofocle non c'è

posto per i Lemni, estranei anch'essi alla contrapposizione, tut- t'interna al campo greco; il Coro di Greci chiarisce fin dall'ini- zio il senso della sua presenza, dichiarando la propria sudditan- za a Neottolemo e professandosi fedele nel fondamento divino della regalità. È difficile esimersi dal cercare paralleli e contatti con le diverse situazioni storiche. Il nemico, l'eterno Asiatico del plurisecolare conflitto, non era necessario si materializzasse sulla scena eschilea per commuovere un pubblico di maratono- machi, sensibili in ugual misura alla grandezza patetica di F. e

all'appello della necessità; ma già con Euripide il Troiano è fi-

gura per un altro nemico e un'altra guerra alle porte: siamo nella primavera del 431, e gli appelli patriottici di Odisseo trag- gono forza dall'opporsi alle seduzioni dell'ambasciatore nemi- co, la sua stessa figura diviene accettabile nella conclamata

emergenza che lo vuole protagonista indiscusso. Quanto a So- focle, la decifrazione in chiave storico-politica del suo Filottete ha prodotto una gran quantità di contributi; esaminarli sarebbe

troppo lungo ed esorbita dallo scopo di queste note. Tuttavia, se considerato dalla stessa angolazione dalla quale sono stati visti gli altri due, il terzo Filottete presenta una radicale novità:

scomparso dalla scena il nemico, allontanati i Lemni commen- tatori dell'azione, questa si svolge tra compatrioti ed è com- mentata da sudditi; la sôtëria, un richiamo che attraversa tutto il

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dramma, pare condizionata dalle alternative etiche e politiche enunciate nel Prologo piuttosto che dalla conduzione strategica e militare; di volta in volta salvezza individuale collettiva, è prospettata e perseguita attraverso accorpamenti instabili, tem- poranei e dilaceranti: all'iniziale collaborazione tra Odisseo e Neottolemo succede la contrapposizione tra i due, divisi sulla via da praticare ma anche sull'aspetto per così dire istituzionale del rapporto che li lega (il più anziano insiste su obbedienza e subordinazione, il giovane oppone collaborazione) - quindi nuovamente collaborazione contro la preda comune F., azione di controllo sul confronto diretto tra F. e Neottolemo esercitata da Odisseo attraverso il Falso Mercante, avvicinamento tra il giovane e F., ecc. È riconoscibile il clima degli anni successivi alla disfatta siciliana; la guerra che si svolge di là del braccio di mare che divide Lemno e l'Asia è occasione per una rimedita- zione sui fondamenti dell'azione politica; e ciò da luogo alla riplasmazione dei ruoli drammatici tradizionali secondo uno schema che rende ragione del trasferirsi del punto focale dall'e- sterno all'interno del corpo sociale.

4. La silloge delle testimonianze antiche su F. (The Tradition, pp. 3-45) si apre con le notizie sul Filottete sofocleo, l'appiglio più corposo, e si chiude con la constatazione che «se F. e nume- rosi altri personaggi delle saghe hanno davvero incominciato la loro carriera come minori divinità locali, possiamo solo provare ammirazione per quanto a fondo furono nascoste le loro origini e perfezionata la loro umanità» (44sg.). Perché ciò che si fa stra- da, nelle trenta e più pagine, è la nozione di una produttività policentrica della leggenda di F.; F. prima dell'infortunio (F. ed Eracle, ecc), F. e il serpente (dove, come, quando, quale ser- pente e, soprattutto, perché?), F. malato (dove, come, per quan- to tempo, con chi?), F. nuovamente nell'esercito acheo (per ini- ziativa di chi, a che scopo, come?), F. a Troia (malato risana- to, e da chi?), F. dopo la vittoria (torna in patria, fonda città in Italia?); è come se dalla sua figura, da qualche dato essenziale che la costituisce, si irradiasse una molteplicità di storie, tra loro tanto diverse che il tentativo di redigerne un sommario, ordina- to secondo la sequenza cronologica degli eventi che compongo- no la sua 'storia', assume l'aspetto d'una mitocritica alessandri- na, volonterosa ma inattendibile. La «legendary biography» (p. 4), così costruita, non suggerisce nemmeno il «fictive landsca-

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pe» (ivi) contro il quale un pubblico greco avrebbe collocato

ogni nuovo dramma su F. E non è del tutto corretto nemmeno affermare che si tratta di «testimonianze da Omero al IX secolo d.C.»: alcune delle più antiche, quelle immediatamente succes- sive a Omero, coincidono in realtà con le più tarde (conosciamo il Ciclo epico nella doppia mediazione di Proclo e di Fozio, non il Ciclo, Proclo e Fozio); con altre inesattezze, perché M. con- fonde Y Epitome foziana della Crestomazia (ed. Allen, t. V, 95- 97) con le Ecloghe della stessa tramandate nei mss. omerici (Al- len, t. V, 99sgg.)27. Ma torniamo alla storia (o alle storie) di F.; un sommario è comunque utile, a patto però che se ne determi- ni la finalità e, in base a questa, il procedimento di costruzione.

Leggendo queste pagine, invece, non ci si può sottrarre a un'im-

pressione di disagio che, forse, è dovuta al movimento altale- nante tra il testo drammatico e le notizie dei mitografi (o i dati assunti come indizi di tradizioni mitografiche): il testo dram- matico di Sofocle pone la maggior parte dei quesiti (sul prima, sul come, sul perché, sul dopo), ai quali si vuoi rispondere con testi eterogenei; abbiamo innanzi agli occhi il dramma, anzi i drammi dei tre grandi tragici, e insieme la saga, anzi una somma di tradizioni spesso circoscritte, col rischio di confondere i due

piani e con la certezza che il piano della saga, a prescindere dalla bontà e legittimità della ricostruzione, non costituiva affatto lo sfondo sul quale si stagliava ogni nuovo Filottete. Tra i presunti motivi fiabeschi, attenuati oscurati da Sofocle, che pure circo- lerebbero nel dramma irrimediabilmente e prepotentemente riemergendo qua e là, sarebbe la causa stessa del ferimento di F., il sacrilegio del venerando recinto di Crise (M., 22-25, 43); è la lettura della storia di F. proposta dal Radermacher seguendo suggestioni di Ernst Maass28: la colpa dell'ammorbante ferita ricade sullo stesso F. per aver violato il santuario della dea -

Y Aurea - per appropriarsene le ricchezze (giusta l'interpreta- zione del nome come 'Freund des Erwerbs', 'Freund des Ge-

27. Non ha niente a che vedere con l'Epitome foziana il riassunto della Piccola Iliade (M., 9sg. = Allen, t. V; 106.23-30). Mancano alcune attestazioni effettiva- mente tarde, come quella di Imerio e ì'ékpbrasis di Maiala. Sono sottoutilizzati anche i frammenti della Commedia; e al posto di Epifane (?; 35) si deve leggere ovviamente Antifane.

28. L. Radermacher, Zur Philoktetsage, «Annuaire de l'Institut de Philologie et d'Histoire Orientales» 10, 1949 (Mélanges H. Grégoire), 503-509. M. peraltro non dichiara .di conoscere l'articolo del Radermacher.

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winns'). La congerie di testimonianze su isolette denominate Aurea Argentea29 non basta a confortare questa lettura, che essenzialmente si fonda su un'interpretazione tendenziosa dei w. 1316-1320 del dramma sofocleo, doppiamente fraintesi: «F. è egli stesso responsabile della propria disgrazia e non merita indulgenza»30, ma (1) questa è parte integrante dell'argomenta- zione di Neottolemo, come sottolinea il Kamerbeek31, e soprat- tutto (2) è divenuto colpevole ora, dal momento che non accetta consiglieri (w. 1321-1323); i versi, che secondo il Radermacher sarebbero una spia e un residuo della forma antica della saga, accantonata da Sofocle per fare di F. un eroe positivo, debbono invece essere interpretati con riferimento alle scene precedenti e hanno una puntuale corrispondenza coi w. 1095-1100:

(Coro) Perché tu, tu l'hai voluto, sventurato; questa sorte non ti viene da un altro da una potenza superiore: potevi essere ragionevole, ma delle possibilità ha scelto la peg- giore.

Il F. drammatico non ha, almeno in questo, alcun rapporto col F. della saga; il Coro critica le sue scelte realizzate sulla scena, i rapporti che ha instaurato coi comprimari. Il F. della saga, se fu sacrilego violatore del santuario di Crise o vittima propiziatoria alla dea custode degli Stretti32, resta comunque estraneo tanto ai drammi antichi quanto alle versioni moderne.

29. Art. cit. 505 nota 1.

30. Art. cit. 504. 31. The Plays of Sophocles by J. C. Kamerbeek, voi. VI, Leiden 1980, 176.

32. È l'interpretazione di C. Robert, Die griechische Heldensage, III 2, Berlin 1923, 109395.

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