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Filosofia & Linguaggio in Italia 2002 — sez. 5 117 Emanuele Fadda La semiotica tra Peirce e Saussure Abstract. Semiotics is maybe the only human science that has two (not only one, neither many) births, with Peirce and Saussure. The dialogue between the two traditions often consists of the attempts to incorporate new concepts in our own paradigm. That’s why the problem of terminology is so important in semiotics: the technical terms, originally conceived with great carefulness, ‘travel’ from one to the other paradigm, and in so doing they often become misrepresented or somewhat empty, but sometimes they find new applications in ‘applied’ semiotics. To take ‘applied’ semiotics as a starting point has been regarded as a strategy to overcome the dichotomy Peirce-Saussure. My proposal, instead, is to search (following some suggestions by U. Eco) some problems in general semiotics, and to analyse the answers to those problems by Peirce and Prieto, a saussurean semiotician that is close to Peirce in many respects. This comparison highlights the connection that links interpretation, knowledge and action seen in a semiotic perspective. 1. La doppia nascita della semiotica Già dalla fine degli anni ‘60 siamo abituati a considerare che la semiotica (moderna) abbia avuto un doppio atto di nascita, tanto che nel § 0.5 del suo Trattato di semiotica generale del 1975 ECO può affiancare Peirce e Saussure come i due ‘classici’ della disciplina. Il problema è che in seguito ha avuto anche una doppia vita. Ciò accade perché gli esponenti delle due tradizioni hanno spesso difficoltà a parlarsi (e soprattutto a capirsi) 1 . La grande differenza tra le due tradizioni è che nel caso di Peirce abbiamo una semiotica (e una filosofia) compiuta, nel caso di Saussure un auspicio di semiotica e diversi tentativi per rispondere a questa chiamata, realizzati da personaggi che si sono richiamati a vario titolo al ‘mandato’ del linguista ginevrino. Ciò implica che gli studiosi che si richiamano all’una o all’altra eredità ‘tradiscano’ i loro ‘maestri’ in maniere diverse. Ogni sforzo teorico dei semiologi strutturali è una sviluppo di ciò che Saussure aveva detto: essi si chiedono dunque: ‘ma Saussure avrebbe accettato questo passo ulteriore?’. Diversa è la situazione del semiotico post-peirceano: le novità possono consistere solo nella parte ‘applicativa’, dato che le opere di Peirce delineano (talvolta in diverse versioni anche difficilmente conciliabili tra loro) la struttura di una semiotica e di una filosofia complete e comprensive. La differenza (che si trova anche tra i saussuriani, ma in misura minore) sta nell’appoggiarsi di più a questa o a quella parte dello sterminato (e non sempre coerente) corpus degli scritti del ‘maestro’. Di questa situazione anomala risentono tutti i tentativi di confronto tra le due tradizioni. I più interessanti risultano forse quelli di coloro (un esempio per tutti: Jakobson) che sono stati a contatto con entrambe le tradizioni in un momento in cui una certa forma di dialogo era ancora possibile. 1 Per un giudizio recente su questa situazione cfr. VOLLI (2000), che parla di una «doppia anima della semiotica». D’altra parte, la prospettiva di Volli sembra voler ammettere come legittime solo la linea Saussure-Hjelmslev-Greimas da una parte e l’interpretazione echiana di Peirce dall’altra. Alla duplicità tra Peirce e Saussure si unisce l’altra, non meno importante, tra semiotica come scienza sociale (secondo l’idea dei post-saussuriani) e semiotica-filosofia (prospettiva più vicina a Peirce).

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Emanuele Fadda

La semiotica tra Peirce e Saussure Abstract. Semiotics is maybe the only human science that has two (not only one,

neither many) births, with Peirce and Saussure. The dialogue between the two traditions often consists of the attempts to incorporate new concepts in our own paradigm. That’s why the problem of terminology is so important in semiotics: the technical terms, originally conceived with great carefulness, ‘travel’ from one to the other paradigm, and in so doing they often become misrepresented or somewhat empty, but sometimes they find new applications in ‘applied’ semiotics.

To take ‘applied’ semiotics as a starting point has been regarded as a strategy to overcome the dichotomy Peirce-Saussure. My proposal, instead, is to search (following some suggestions by U. Eco) some problems in general semiotics, and to analyse the answers to those problems by Peirce and Prieto, a saussurean semiotician that is close to Peirce in many respects. This comparison highlights the connection that links interpretation, knowledge and action seen in a semiotic perspective.

1. La doppia nascita della semiotica Già dalla fine degli anni ‘60 siamo abituati a considerare che la semiotica

(moderna) abbia avuto un doppio atto di nascita, tanto che nel § 0.5 del suo Trattato di semiotica generale del 1975 ECO può affiancare Peirce e Saussure come i due ‘classici’ della disciplina. Il problema è che in seguito ha avuto anche una doppia vita. Ciò accade perché gli esponenti delle due tradizioni hanno spesso difficoltà a parlarsi (e soprattutto a capirsi)1. La grande differenza tra le due tradizioni è che nel caso di Peirce abbiamo una semiotica (e una filosofia) compiuta, nel caso di Saussure un auspicio di semiotica e diversi tentativi per rispondere a questa chiamata, realizzati da personaggi che si sono richiamati a vario titolo al ‘mandato’ del linguista ginevrino. Ciò implica che gli studiosi che si richiamano all’una o all’altra eredità ‘tradiscano’ i loro ‘maestri’ in maniere diverse. Ogni sforzo teorico dei semiologi strutturali è una sviluppo di ciò che Saussure aveva detto: essi si chiedono dunque: ‘ma Saussure avrebbe accettato questo passo ulteriore?’. Diversa è la situazione del semiotico post-peirceano: le novità possono consistere solo nella parte ‘applicativa’, dato che le opere di Peirce delineano (talvolta in diverse versioni anche difficilmente conciliabili tra loro) la struttura di una semiotica e di una filosofia complete e comprensive. La differenza (che si trova anche tra i saussuriani, ma in misura minore) sta nell’appoggiarsi di più a questa o a quella parte dello sterminato (e non sempre coerente) corpus degli scritti del ‘maestro’. Di questa situazione anomala risentono tutti i tentativi di confronto tra le due tradizioni. I più interessanti risultano forse quelli di coloro (un esempio per tutti: Jakobson) che sono stati a contatto con entrambe le tradizioni in un momento in cui una certa forma di dialogo era ancora possibile.

1 Per un giudizio recente su questa situazione cfr. VOLLI (2000), che parla di una «doppia anima della semiotica». D’altra parte, la prospettiva di Volli sembra voler ammettere come legittime solo la linea Saussure-Hjelmslev-Greimas da una parte e l’interpretazione echiana di Peirce dall’altra. Alla duplicità tra Peirce e Saussure si unisce l’altra, non meno importante, tra semiotica come scienza sociale (secondo l’idea dei post-saussuriani) e semiotica-filosofia (prospettiva più vicina a Peirce).

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2. Alcuni tentativi di dialogo esplicito Come abbiamo già accennato, al sincretismo apparentemente diffuso nella

semiotica (per cui vi sono alcuni termini e strumenti, legati alla riflessione di autori determinati, il cui uso — o quantomeno la conoscenza — è patrimonio comune) fa da controaltare una forte difficoltà a comunicare tra i continuatori delle due tradizioni. Questo accade perché, molto spesso, coloro che si cimentano nel confronto sono specialisti dell’una o dell’altra parte, e si limitano a porsi di fronte alla vulgata relativa all’altro termine del confronto. Così, per Saussure ci si limita talvolta all’arbitraire, alla coppia Significante-Significato e a quella Sincronia-Diacronia, per Peirce alla nozione di interpretante, alla tricotomia icona-indice-simbolo e alla semiosi illimitata, per Greimas al modello attanziale e al quadrato semiotico, e così via2.

Naturalmente, non tutti i tentativi di dialogo tra le due tradizioni sono da considerare così semplicisticamente: un esempio interessante è dato dal recente libro di CAPUTO (2000), il quale parte da Hjelmslev ma utilizza anche le nozioni di Peirce, senza snaturarle, per cercare di integrare un quadro teorico con l’altro, e magari correggere certe rigidità (p. es. la difficoltà di affrontare i problemi relativi alle lingue verbali come tali da una prospettiva peirceana, o quelle che derivano da un’asserzione troppo rigida del principio hjelmsleviano di onniformatività).

Meno felice sembra il tipo di sincretismo proposto da WOLDE (1996), che argomenta sull’affinità tra Peirce e Greimas, in cui l’autrice sacrifica alle esigenze del confronto gran parte dell’originalità di Peirce (e, forse, di quella di Greimas). Altri confronti si sono soffermati su temi specifici, come l’inventività (BONFANTINI-MARTONE 1995), o il rapporto tra struttura ed evento semiotico (DINES JOHANSEN 1996), o anche l’iconismo e il fonosimbolismo (ANTILA-EMBLETON 1994).

La prima cosa che salta all'occhio è la datazione di questi interventi (che sono tutti abbastanza recenti3) e il fatto che si trovino per lo più4 in raccolte dedicate all'uno o all’altro dei due autori. Ciò implica che il punto di partenza sia dato dalla prospettiva di una delle due ‘anime’, che fornisce l'ottica per leggere i testi più noti relativi all’altro paradigma (per esempio, i peirceani si limitano per lo più al Corso di Saussure e ai Fondamenti di Hjelmslev).

Insomma, molto spesso questi inviti al dialogo sono in realtà tentativi di appropriazione di qualche buon concetto degli ‘avversari’, inserendolo (sovente senza troppe cautele) nell’architettura che è più familiare agli autori.

3. Il problema di una terminologia unificata Questo ci riporta al problema (che affligge generalmente le scienze umane, ma

per quanto riguarda la semiotica è quasi paralizzante) della difficoltà a impiegare una terminologia almeno approssimativamente condivisa — e comunque a mettersi

2 Vi è anche, ovviamente, chi incorre nell’errore opposto (una sorta di decostruzionismo non

dichiarato), andando a scovare un passo particolare di un autore e decontestualizzandolo, per sostenere che in realtà l’immagine corrente è totalmente falsa.

3 Ma cfr. anche DELEDALLE 1976. 4 Un’eccezione è data da ANTILA-EMBLETON (1994), in cui è il tema specifico — l’iconismo — a

predominare sul riferimento agli autori specifici.

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d’accordo sul significato anche di un solo termine. Peirce e Saussure sono stati ben coscienti dell’importanza fondamentale di

questo problema. Il primo ha dedicato uno scritto all’Etica della terminologia (1903). Il termine ‘etica’ non è usato a caso, o come un’esagerazione, nel testo di Peirce: sappiamo infatti che egli considerava la ricerca come il più grande compito etico dell’umanità, e le questioni terminologiche un problema importante nell’ambito della ricerca5. Al termine scientifico — che è il simbolo per eccellenza — è affidato il compito di preservare in qualche modo l’essenza del concetto: non si tratta di un che di fissato una volta per tutte, ma di un qualcosa che possa garantire allo stesso tempo una certa stabilità e quel tanto di fluidità necessario a non bloccare la ricerca:

Il primo ideale a cui mirare è che ogni ramo della scienza abbia un vocabolario che fornisca una famiglia di parole affini per ogni concezione scientifica, e che ciascuna parola abbia un solo significato preciso […]. Giacché ogni simbolo è una cosa vivente, nel senso stretto del termine, non in un mero senso figurato. Il simbolo è come un corpo che cambia lentamente: il suo significato lentamente ma inesorabilmente si sviluppa, incorporando nuovi elementi ed eliminando i vecchi residui. Lo scopo di tutti i simboli, tuttavia, dovrebbe essere quello di mantenere immutata ed esatta l’essenza di ogni termine scientifico, sebbene l'esattezza assoluta non si possa mai realizzare. […] La Scienza acquisisce continuamente nuove concezioni; e ogni nuova concezione scientifica dovrebbe ricevere una nuova parola, o meglio, una nuova famiglia di parole affini. (PEIRCE 1980: 114, CP 2.222). Di Saussure conosciamo gli scrupoli e le oscillazioni terminologiche. Solo

recentemente6 si sta mettendo davvero in questione il mito di un Saussure monolitico, a fronte della ‘magmaticità’ del corpus peirceano. Ma basterebbe rileggere le ‘vecchie’ note Item, pubblicate ormai da molti anni, per avere un’idea della serie di tentativi e di riflessioni che hanno portato poi all’adozione (anch’essa non definitiva, ma resa tale dalla morte del linguista) della triade Segno — Significante — Significato. In queste note, infatti7, il linguista ginevrino passa in rassegna una famiglia di termini come sema, aposema, parasema, termine, espressione e così via. Le reticenze, spesso ricordate, di Saussure (e di Hjelmslev) riguardo all’uso del termine ‘simbolo’, non sono, dunque, che la punta dell’iceberg.

Allo stato attuale, non è forse più possibile (o quantomeno richiede uno sterminato lavoro preparatorio, e un’evoluzione della ricerca che abbia avuto luogo nel frattempo) tentare un’operazione come quella che Roland Barthes compie nelle prime pagine degli Elementi di semiologia, in cui i termini presi per sé vengono poi vagliati attraverso l’inserimento in una griglia in cui gli usi abituali di alcuni autori determinati sono incrociati con una serie di caratteristiche8. L’impossibilità, in

5 Una dimostrazione pratica dell’attenersi di Peirce a questa ‘etica della terminologia’ si può ravvisare nell’adozione del termine ‘pragmatiCIsmo’ — una parola «ugly enough to be safe from kidnappers» (PEIRCE 1998: 335) — per evitare confusioni tra il proprio pensiero e quello dei pragmatisti (ormai divenuti gli esponenti ‘ufficiali’ della corrente) James e Schiller.

6 È prevista per gennaio 2002, da Gallimard, la pubblicazione di tutti gli scritti di Saussure riguardanti la linguistica generale, compresi i mss. dell’Orangérie ritrovati nel 1996 e ancora inediti.

7 Cfr. spec. i testi numerati da ENGLER 3310.11-3312.1 e 3313.2-3315.1. 8 Anche l’operazione compiuta da Barthes, del resto, non era certo esente da pecche: come ho

cercato di mostrare in una comunicazione al VII Congresso SIFL, infatti, egli mette indebitamente sotto lo stesso titolo — tradito probabilmente dalla lingua francese — due entità semiotiche dalle

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questo caso, sarebbe causata non solo (e non tanto) dalla moltiplicazione esponenziale del corpus degli autori e delle opere che a qualche titolo si sono occupati di semiotica, ma soprattutto dall’arricchimento (non sempre coerente) della terminologia medesima (pensiamo solamente alle nozioni di ‘testo’ e ‘discorso’ e a tutte quelle che sono state concepite come strumenti per l’analisi del testo e del discorso).

Attraverso alcuni esempi, possiamo cercare di definire in qualche modo alcune delle ‘modalità di circolazione’ — per dir così — dei termini nell’ambiente dei semiologi.

Alcuni termini hanno un uso così vasto e indeterminato che praticamente tutti gli studiosi (per quanto differenti siano gli ambiti e i metodi di ricerca), interrogati sull’importanza del termine medesimo, risponderebbero che si tratta di un che di fondamentale. Questo mi sembra il caso della parola ‘interpretazione’ (e, forse, del termine ‘segno’): quasi tutti, credo, sono disposti a consentire sulla definizione della semiotica come teoria (o pratica) dell’interpretazione, ma alcuni considererebbero forse riduttiva una definizione della semiotica come teoria (o pratica) dei segni.

Una seconda eventualità può essere quella in cui un termine venga sottratto al contesto originario, e inserito magari in un’opposizione superficiale, che faccia perdere le finezze presenti nelle accezioni date originariamente ai termini dagli autori che li hanno ‘messi in circolo’. Questo mi sembra il caso di ‘iconismo’, spesso adoperato in passato come semplice contrario di ‘arbitrarietà’, in un’opposizione polare (del tipo ‘tutto o niente’) che ha fatto perdere di vista a molti le sfumature che il termine ‘icona’ ha in Peirce e quelle che il termine ‘arbitrarietà’ ha in Saussure.

Infine — ma il mio elenco non pretende di essere esaustivo — possiamo considerare il caso del ‘corto circuito’ cosciente, dichiarato e spesso positivo; il caso, cioè, in cui un autore ‘prenda in prestito’ un termine da un altro autore per vedere ‘come funziona’ in un altro ambito — o in un ambito più vasto o più ristretto. Per avere un esempio, basta pensare all’utilizzo, da parte di Derrida, del termine peirceano ‘simbolo’ per parlare di cinema, di cui si è occupato, in questo stesso convegno, F. Denunzio.

4. Il problema dell’oggetto della semiotica: le semiotiche speciali Ancora più difficile risulta il problema di una definizione unitaria dell’oggetto

della semiotica. La vecchia definizione di ‘teoria dei segni’ sposta semplicemente l’interrogativo un passo più in là: infatti non tutti i semiologi sarebbero d’accordo su una stessa definizione di segno. Del resto, sempre di più troviamo, come oggetti della semiotica, entità che non avevano un’importanza fondamentale (o, quantomeno, non erano inseriti in una terminologia tecnico-assiomatica) negli scritti di Saussure e Peirce. ‘Testo’ e ‘discorso’ sono solo gli esempi più

caratteristiche diverse: indice e indizio. D’altra parte, ritengo sia possibile costruire delle ‘griglie’ servendosi del criterio inverso, e cioè partendo dal concetto (e dal ruolo che esso svolge nell'architettura teorica di una semiotica generale) per arrivare ai termini che sono scelti dai vari autori per designare queste nozioni. Un esempio è dato dal confronto tra Peirce e Prieto cui si accenna qui infra al § 5.

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macroscopici, ma non gli unici9. Sembra superato, inoltre, il dualismo che contrappone la teoria semiotica (o anche solo una teoria semiotica) alle sue applicazioni. Le applicazioni stesse divengono nuovi domini indipendenti, nuove semiotiche. Un esempio evidente ne è la semiotica dello spazio, (sulla quale cfr. il contributo di Barcellona del presente convegno): da applicazione un po’ futuristica della linguistica, il cui ambito si sovrapponeva parzialmente con quelli dell’architettura e dell’urbanistica, è divenuta una disciplina autonoma, con problematiche proprie e irriducibili a problemi ‘più generali’, che si avvale degli strumenti forniti da Greimas (uno dei semiologi più attenti — soprattutto nell’ultima fase della sua produzione — ai problemi del corpo e della spazialità), ma anche di altri, tratti dalla semiotica (cosiddetta) generale, dalla filosofia, dalla letteratura o altrove. Lo stesso si può dire della semiotica della musica, e di molti altri campi10.

Si potrebbe dire anzi che, in mancanza (almeno nell’immediato) di una prospettiva unitaria in semiotica generale, il vero luogo del dialogo è costituito dalle semiotiche cosiddette ‘speciali’, in cui le peculiarità irriducibili dell’oggetto si pongono in qualche modo prima delle divisioni, e lanciano anzi una sfida che coinvolge (in competizione, ma anche in collaborazione) gli esponenti di tutte le tradizioni della semiotica.

5. Ancora sul problema dell’oggetto della semiotica: le basi possibili di una

semiotica generale D’altra parte, se una prospettiva unitaria sembra al momento mancare, non ne

mancano — così mi sembra — i presupposti. La mia ricerca attuale mira appunto ad enucleare una serie di problematiche che possano essere considerate fondamentali per la semiotica in quanto tale, a prescindere dall’orizzonte teorico di riferimento. Queste problematiche sono quasi sempre presenti (come desiderata) negli scritti di Eco11, ma risultano chiaramente attraverso il confronto tra Peirce e

9 Il caso del termine ‘testo’ è forse il più eclatante: infatti, nonostante esso sia un termine-chiave della semiotica dell'interpretazione post-peirceana, non se ne trova alcuna menzione nell'indice analitico dell’Essential Peirce.

10 Diverso il discorso per la semiotica del testo, la cui importanza e il cui sviluppo ha portato taluni (soprattutto greimasiani) all’identificazione con la semiotica tout court.

11 Fornisco qui di seguito alcune citazioni di Eco che mi sembrano esprimere le esigenze che mi hanno portato a costruire la griglia seguente: 1) Forma generale dell’interpretabilità semiotica (oggetto della semiosi). «Esiste un continuum semiosico che va dalla codifica più forte a quella più aperta e indeterminata . Compito di una semiotica generale è quello di individuare […] una struttura formale unica che soggiace a tutti questi fenomeni» (ECO 1984: 51) e ancora: «Un processo semiosico […] è sempre triadico. Non è necessario opporre un comportamento alto (umano) a uno basso (biologico). È sufficiente riferirsi a due diversi modelli astratti: (i) un modello triadico, in cui fra A e B c’è una serie impredicibile e potenzialmente infinita di C, e (ii) un modello diadico in cui A provoca B senza alcuna mediazione» (ECO 1990: 221-222). 2) Inferenza semiotica. «l’interpretazione — fondata sulla congettura o sull’abduzione — è il meccanismo semiosico che spiega non solo il nostro rapporto con messaggi elaborati intenzionalmente da altri esseri umani, ma ogni forma di interazione dell’uomo [...] con il mondo circostante» (ECO 1990: 12). 3) Semiosi illimitata. «Il criterio di interpretanza consente di partire da un segno per percorrere, tappa per tappa, l’intero circolo della seriosi» (ECO 1984: 51). 4) Pragmatismo. «L’idea di significato di Peirce è tale da implicare qualche riferimento ad uno scopo (CP 5.166). […] Forse, l’idea di uno scopo non ha nulla a che fare con un soggetto trascendentale, ma ha a che fare con l’idea di interpretare secondo un fine extra-semiosico» (ECO 1990: 334). 5) Soggettività. «Siamo forse, da qualche parte, la pulsione profonda che produce la

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l’unico esponente della tradizione saussuriana che abbia realizzato, a mio avviso, un progetto compiuto di semiotica dell'interpretazione: Luis Prieto. Ecco dunque la “griglia” che risulta dal confronto sistematico delle nozioni sviluppate dai due autori:

1. L’oggetto della semiosi Terzità Struttura semiotica 2. L’inferenza semiotica Abduzione Interpretazione di indizi 3. La catena semiotica Semiosi illimitata Connotazione (‘di Barthes’) 4. L’agire umano Habit Norma 5. I soggetti della semiosi a) (Quasi-)mente a) Soggetto b) Persona (uomo-segno) b) Identità simbolica I temi in oggetto in questo confronto, come vediamo, sono rispettivamente: a) la

struttura formale della semiosi; b) la caratterizzazione logico-formale della inferenza, o interpretazione; c) il principio di sviluppo che genera la dinamica delle interpretazioni; d) il necessario sbocco pragmatico di ogni catena semiotica; e) la caratterizzazione semiotica della soggettività come capacità di interpretare e di essere interpretato12.

Peirce e Prieto sembrano avere in comune la sensibilità per questi temi: per entrambi esiste infatti un soggetto-operatore inferenziale, una mente, che, attraverso un meccanismo particolare (abduzione o interpretazione di indizi), produce oggetti mentali, identificabili attraverso una struttura particolare (terzità o struttura semiotica; tali oggetti passano per una serie non chiusa di interpretazioni (semiosi illimitata o connotazione ‘di Barthes’) che li ridetermina ogni volta, fino a che non assumono la forma di un modo d’agire (habit o norma). Ogni soggetto, nella sua qualità di segno, può essere definito come un insieme (abbastanza coerente) di queste regole d’azione, e si pone dunque come significante in toto per ogni soggetto (compreso se stesso)13.

Le cinque tematiche in oggetto, dunque, si richiamano vicendevolmente, e sembrano costituire le basi per una semiotica dell’interpretazione. L’adozione di questa prospettiva, tra l’altro, porta a compiere una prima, importante distinzione tra le prime tre istanze (ampiamente riconosciute dai semiotici — specialmente da coloro che fanno capo a Peirce) e le ultime due, che non sembrano meno importanti, ma sono meno studiate. La caratterizzazione della semiotica peirceana come una forma di teoria della prassi e del soggetto, infatti, sebbene sia stata approfondita più che altro dagli studiosi d’oltreoceano (cfr. p. es. COLAPIETRO 1988), risulta essenziale nel quadro appena delineato, e meriterebbe forse studi più approfonditi anche da parte dei semiologi europei. Gli stessi studiosi che si richiamano all’eredità di Saussure, mi sembra, potrebbero leggere in questo senso l'idea, espressa nel Cours, che la semiologia sia una parte della psicologia sociale.

In conclusione, il confronto tra Peirce e Prieto sulle basi di una semiotica dell'interpretazione — che qui, per mancanza di spazio, ho potuto solo accennare — che costituisce l’oggetto della mia ricerca porta ad emergere una serie di problemi e di tematiche e la loro necessaria interconnessione, a prescindere

semiosi. Ma ci riconosciamo solo come semiosi in atto» (ECO 1984: 54).

12 Per quest’ultimo aspetto basti ricordare le pagine di PEIRCE (1980: 83 sgg.) sull’uomo-segno. 13 Per Peirce, infatti (come per Wittgenstein), l’attività semiotica rivolta al sé non differisce in

maniera essenziale da quella rivolta agli oggetti ‘esterni’: non esiste alcun potere reale di introspezione (PEIRCE 1980: 48).

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dall’appartenenza all’una o all’altra delle due tradizioni che sono presenti nell’ambito degli studi semiotici. Inoltre esso porta all’attenzione alcuni temi tradizionalmente lasciati da parte dall’indagine semiotica, ma che sono centrali in altre forme di filosofia del linguaggio: in particolare il legame tra interpretazione, conoscenza e azione.

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