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2012 NUTRIRSI OGGI: UNA SFIDA PER L’UOMO E PER IL PIANETA BARILLA CENTER FOR FOOD & NUTRITION IN COLLABORAZIONE CON WORLDWATCH INSTITUTE EATING PLANET

Eating Planet 2012

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2012NUTRIRSI OGGI: UNA SFIDA PER L’UOMO E PER IL PIANETA

BARILLA CENTER FOR FOOD & NUTRITIONIN COLLABORAZIONE CON WORLDWATCH INSTITUTE

EATING PLANET

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Barilla Center for Food & Nutrition

eating planetnutrirsi oggi: una sfida per l’uomo e per il pianeta

barilla center for food & [email protected]

advisory boardBarbara Buchner, Claude Fischler, John Reilly, Gabriele Riccardi, Camillo Ricordi, Umberto Veronesi

in collaborazione conWorldwatch Institute, Washington D.C.Nourishing the PlanetCuratrice: Danielle NierenbergThe European House – Ambrosetti

Editor: Luigi Rubinelli

realizzazione editorialeEdizioni Ambiente srlwww.edizioniambiente.it

Coordinamento redazionale: Anna SatolliProgetto grafico: GrafCo3 MilanoInfografica: Tati Cervetto

Schemi, grafici e tabelle che non esplicitano la propria fonte sono da intendersi come elaborazioni dell’autore.

© 2012, Barilla Center for Food & Nutritionvia Mantova 166, 43122 Parma, Italy

© 2012, Edizioni Ambientevia Natale Battaglia 10, 20127 Milano, Italy tel. 02.45487277, fax 02.45487333

ISBN 978-88-6627-024-9

Finito di stampare nel mese di marzo 2012 presso Genesi Gruppo Editoriale – Città di Castello (PG)

Stampato in Italia – Printed in ItalyQuesto libro è stampato su carta Munken Print White certificata FSC

i siti di edizioni ambientewww.edizioniambiente.itwww.nextville.itwww.reteambiente.itwww.verdenero.itSeguici anche su Facebook.com/EdizioniAmbiente

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2012NUTRIRSI OGGI: UNA SFIDA PER L’UOMO E PER IL PIANETA

BARILLA CENTER FOR FOOD & NUTRITIONIN COLLABORAZIONE CON WORLDWATCH INSTITUTE

EATING PLANET

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Barilla Center for Food & Nutrition

eating planetnutrirsi oggi: una sfida per l’uomo e per il pianeta

introduzioneGuido Barilla, BCFN: le risposte a tre paradossi XI

prefazioneMario Monti, La sfida politica del cibo XV

guida alla lettura 3

1. le sfide del cibointroduzione

Worldwatch Institute: si può intervenire nel grande e nel piccolo 10

food for all: cibo per tutti 141.1 Lo sperpero dei paesi ricchi 161.2 Nuove tecniche di trasformazione degli alimenti 171.3 Migliorare l’alimentazione 181.4 La refezione scolastica 191.5 Comprare locale 20

food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile 221.6 Ripensare la Rivoluzione verde 221.7 Rese e sostenibilità ambientale 231.8 Cambiamento climatico e sostenibilità alimentare 241.9 Zootecnia integrata per la sostenibilità 28

food for health: cibo e salute 301.10 Non solo calorie 311.11 Il ruolo delle verdure 321.12 Portare il cibo sano ovunque 341.13 L’importanza dell’informazione 351.14 Il ruolo delle strutture sanitarie 36

food for culture: cibo e cultura 371.15 Rilanciare i sistemi agricoli 381.16 Nuove tecnologie informatiche e di comunicazione 40

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VI eating planet

1.17 La divulgazione “sul campo” 411.18 Incentivare l’occupazione dei giovani 42

i tre obiettivi del cibo 441.19 Accrescere la consapevolezza del ruolo dell’agricoltura 46

2. cibo per tuttiintroduzione

Raj Patel, Come rispondere agli eccessi del mercato 50

dati e fatti chiave 54

l’accesso al cibo: le sfide di oggi e quelle di domani 562.1 La food security e i problemi di accesso al cibo 572.2 Il “paradosso alimentare” e le sue cause 602.3 Le possibili aree di azione 66

una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo 722.4 Il modello interpretativo del BCFN 722.5 Le variabili del modello BCFN 742.6 Strategie per contrastare la volatilità 81

approcci e strumenti per il “benessere sostenibile” 882.7 Prodotto interno lordo contro indicatori di benessere 882.8 Approccio soggettivo contro approccio oggettivo:

le diverse prospettive di misurazione del benessere 902.9 Il BCFN Index di benessere e di sostenibilità del benessere:

caratteristiche e specificità 942.10Il BCFN Index 2011 e i principali risultati 962.11 Le diverse dimensioni della sostenibilità 99

intervistePaul Roberts, Nell’accesso il fattore chiave è la diversità 102Ellen Gustafson, Le politiche agricole devono pensare alla salute e al benessere dell’uomo 106

proposte e azioni 110

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VIIsommario

3. cibo per una crescita sostenibileintroduzione

Carlo Petrini, Pagare il giusto 114

dati e fatti chiave 118

la doppia piramide: un’alimentazione sana per tutti e sostenibile per l’ambiente 120

3.1 La piramide alimentare come strumento di educazione 1223.2 Alcuni studi sull’alimentazione mediterranea 1243.3 La piramide ambientale 1283.4 La doppia piramide per chi cresce 1313.5 La doppia piramide nel lungo periodo 135

il futuro dell’agricoltura: verso paradigmi agricoli sostenibili 138

3.6 L’agricoltura oggi: i principali paradigmi agricoli 1423.7 La sostenibilità dei sistemi colturali del grano duro: il caso Barilla 145

water economy: l’emergenza acqua tra disponibilità e interessi economici 158

3.8 La disponibilità dell’acqua: dall’abbondanza alla scarsità 1603.9 La realtà e le prospettive del diritto di accesso all’acqua 1643.10Le scelte e i comportamenti per un consumo sostenibile dell’acqua 1653.11 L’impronta idrica di una nazione e il commercio di acqua virtuale 1703.12 La privatizzazione dell’acqua: implicazioni tra pubblico e privato 173

intervisteHans R. Herren, La difficile transizione verso l’agricoltura sostenibile 177Tony Allan, Acqua virtuale fra sovraconsumo e cattiva gestione 180

proposte e azioni 183

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VIII eating planet

4. cibo e saluteintroduzione

Ricardo Uauy, La salute dipende dall’alimentazione e dall’agricoltura 186

dati e fatti chiave 190

cibo per una vita sana 192

4.1 La diffusione e le tendenze delle malattie croniche e i loro impatti economico-sociali 193

4.2 Le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto 196

4.3 Le linee guida e i modelli di dieta più diffusi 1984.4 Raccomandazioni per scegliere 203

cibo e bambini: la buona educazione 203

4.5 La diffusione dell’obesità e del sovrappeso nei bambini e negli adolescenti e il loro impatto economico-sociale 204

4.6 I nutrienti nelle differenti fasi della crescita 2064.7 Le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione

e uno stile di vita corretto nei bambini e negli adolescenti 2174.8 Raccomandazioni per scegliere 218

longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione 221

4.9 Impatti economici e sociali delle principali patologie su demografia e longevità 225

4.10La relazione tra longevità, patologie e ruolo dell’alimentazione e degli stili di vita 230

4.11 Stati infiammatori e restrizione calorica: possibili interventi per rallentare i processi di invecchiamento 236

4.12 Raccomandazioni per scegliere 239

intervisteMarion Nestle, Le aziende devono adottare comportamenti responsabili 241Aviva Must, Condividere la responsabilità sui bambini 245Alex Kalache, L’ impatto degli stili di vita sull’ invecchiamento 248

proposte e azioni 252

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IXsommario

5. cibo e culturaintroduzione

Shimon Peres, Food for Peace: un appello per la mobilitazione 256della buona volontà

dati e fatti chiave 258

la dimensione culturale del cibo 260

5.1 Il rapporto cibo-cultura: le origini 2615.2 Il cibo diventa comunicazione e convivialità 2625.3 Delizia e disgusto: la classificazione culturale del mangiabile 2635.4 Cibo: ruoli sociali, di genere e di potere 2665.5 Il valore simbolico degli alimenti nelle grandi fedi religiose 2675.6 Le proibizioni alimentari: cibo e purezza 2695.7 Cibo e cultura: un legame indissolubile 269

le grandi tradizioni culinarie e la realtà del cibo oggi 270

5.8 Le grandi tradizioni culinarie 2705.9 Il cibo oggi: sfide e prospettive 2755.10Verso una nuova visione dell’alimentazione 2785.11 Linee guida per ridefinire la relazione uomo-cibo 279

la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare 281

5.12 Le caratteristiche salienti della dieta mediterranea 2825.13 La dieta mediterranea e gli aspetti sociali:

l’importanza della commensalità 2865.14 La mediterraneità oggi: il declino di un modello 2875.15 Come recuperare il significato della mediterraneità 294

intervisteJoaquín Navarro-Valls, Costruire la cultura della responsabilità 296Vandana Shiva, Chi controlla il cibo controlla la democrazia 298Michael Heasman, La guerra della consumer culture e il sistema alimentare: quali implicazioni per il modello mediterraneo? 301

proposte e azioni 304

note 306

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XI

Viviamo in un’epoca che si caratterizza per alcuni paradossi globali. Tre, in parti-colare, hanno da tempo colpito l’attenzione e rafforzato la nostra convinzione di dare vita a un centro di studi dalle caratteristiche innovative e del tutto originali.Il primo paradosso riguarda la coesistenza nel mondo di più di un miliardo di persone che soffrono la fame a fronte di un numero equivalente che soffre le conseguenze di un eccesso di nutrizione, nella forma di gravi malattie metabo-liche come, per esempio, il diabete. Eppure, già oggi, il sistema alimentare glo-bale è in grado di garantire un adeguato apporto nutrizionale a tutti gli esseri umani presenti sul pianeta. Le cause di questa situazione non sono facili da individuare e rimuovere. Questo, però, non deve scoraggiare ma, al contrario, deve fungere da sprone a individuare e proporre soluzioni nuove ed efficaci.Il secondo paradosso è relativo alla presenza sul pianeta di circa tre miliardi di animali da allevamento. Un terzo dell’intera produzione alimentare globale è destinato alla loro nutrizione. Peraltro, le attività di allevamento contribuiscono significativamente ai fenomeni di cambiamento climatico. Infatti si stima che siano responsabili di almeno il 50% delle emissioni agricole di gas serra. Ancora una volta si tratta di modelli da ripensare.Il terzo paradosso è legato a un’ulteriore forma di uso improprio delle risorse della Terra: la concorrenza tra biocarburanti e cibo. Una quota crescente di ter-reni agricoli è destinata alla produzione di carburante. Così facendo, scegliamo di dare da bere alle nostre automobili anziché da mangiare a esseri umani bisognosi.La crescente consapevolezza di questi squilibri ci ha spinto a riflettere sulle modalità più efficaci per comunicare e coinvolgere chiunque fosse interessato ad approfondire questi argomenti in modo indipendente, serio, scientificamente accurato. Da questa esigenza di informare, coinvolgere, comunicare e dibat-tere al fine di risolvere è nato nel 2009 il Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN), un centro di analisi e proposte dall’approccio multidisciplinare che ha l’obiettivo di approfondire i grandi temi legati all’alimentazione e alla nutri-zione su scala globale. Il BCFN si propone di dare ascolto alle esigenze emer-genti dalla società, raccogliendo esperienze e competenze qualificate a livello mondiale, favorendo un dialogo continuo e aperto.

introduzione diGuido Barilla *

BCFN: le risposte a tre paradossi

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XII eating planet

La complessità dei fenomeni oggetto di indagine ha reso necessario adottare una metodologia che va oltre i confini delle diverse discipline; da qui nasce la suddivisione delle tematiche oggetto di studio in quattro macro aree: Food for All, Food for Sustainable Growth, Food for Health, Food for Culture.L’area Food for All affronta il tema dell’accesso al cibo e della malnutrizione, con l’obiettivo di riflettere su come favorire un miglior governo del sistema agro-alimentare su scala globale, al fine di rendere possibile una più equa distribu-zione del cibo e favorire un migliore impatto sul benessere sociale, sulla salute e sull’ambiente. L’area Food for Sustainable Growth approfondisce il tema della sostenibilità della filiera agroalimentare, attraverso un impiego equilibrato delle risorse naturali e una costante riduzione degli impatti negativi sull’ambiente. L’area Food for Health ha avviato un percorso di studio del rapporto esistente fra l’alimentazione e la salute. L’area Food for Culture, infine, cerca di comprendere, descrivere e rendere più significativo il rapporto dell’uomo con il cibo.Nei suoi primi tre anni di attività il centro ha realizzato e divulgato numerose pubblicazioni scientifiche. Guidato dalle scadenze istituzionali e dalle prio-rità presenti nelle agende economiche e politiche internazionali ha rafforzato, credo, il proprio ruolo di collettore e connettore tra scienza e ricerca da un lato, e decisioni politiche e azioni governative dall’altro. Ha inoltre organiz-zato eventi aperti alla società civile, tra i quali l’International Forum on Food & Nutrition, un importante momento di confronto internazionale con i più grandi esperti del settore giunto alla sua terza edizione.In linea con questa impostazione, le attività del BCFN sono guidate da un Advisory Board multidisciplinare, un organismo composto da esperti appar-tenenti a settori diversi ma complementari, che propone, analizza e sviluppa i temi e successivamente formula su di essi raccomandazioni concrete. Per ogni area sono stati individuati uno o più advisor specifici: Barbara Buch-ner (esperta di energia, climate change e ambiente) e John Reilly (economi-sta esperto di tematiche ambientali) per l’area Food for Sustainable Growth; Mario Monti (economista e policy maker) per l’area Food For All; Umberto Veronesi (oncologo), Gabriele Riccardi (nutrizionista) e Camillo Ricordi (immunologo) per l’area Food for Health; Claude Fischler (sociologo) per l’area Food for Culture.Dal lavoro di questo gruppo di esperti sono nate in questi anni idee di valore: al fine di comprendere in quale modo l’alimentazione incida sulla nostra condi-zione di salute, si è proceduto con la costruzione della doppia piramide ambien-tale e nutrizionale, con l’elaborazione dell’indice di benessere BCFN, con l’ana-lisi della Water Economy e delle linee guida nutrizionali dei principali organi-smi medico-scientifici internazionali. Sono stati, inoltre, svolti approfondimenti relativi alla corretta alimentazione nelle diverse età della vita, con particolare attenzione ai bambini.

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XIIIintroduzione

Così è nato Eating Planet, alla cui realizzazione hanno preso parte scienziati, leader politici, premi Nobel ed esperti di fama mondiale, che qui desideriamo ringraziare: Tony Allan, Ellen Gustafson, Michael Haesman, Hans Her-ren, Alex Kalache, Mario Monti, Aviva Must, Joaquín Navarro-Valls, Marion Nestle, Raj Patel, Shimon Peres, Carlo Petrini, Paul Roberts, Vandana Shiva, Ricardo Uauy.A tre anni dalla creazione del BCFN, abbiamo creduto utile proporre una sin-tesi di quanto fin qui elaborato, per segnare un punto del percorso e iniziare a ragionare su nuovi sviluppi.Il libro che abbiamo realizzato ci è sembrato il modo migliore per documentare una passione: per l’uomo e per la sua vita quotidiana, ma anche per il mestiere che facciamo, che ci chiede di non guardare solo al profitto dell’impresa. Ci chiede, crediamo, di concorrere a costruire un mondo migliore.

* Presidente Barilla Center for Food & Nutrition.

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XV

Perché ho provato un’attrattiva intellettuale molto forte per il lavoro che il Barilla Center for Food & Nutrition svolge da alcuni anni? Perché penso che l’enorme problema dell’accesso al cibo rappresenti una sintesi delle difficoltà che chi si occupa di concorrenza sui mercati e di governance globale si trova oggi ad affrontare.Viviamo in un contesto in cui, più o meno ovunque, le decisioni vengono prese in situazioni di emergenza. È accaduto con la crisi finanziaria, che è stata seguita da un’azione immediata, o quasi immediata, e da sforzi notevoli in direzione di un coordinamento, perché è palese che nessun paese, da solo, e nessuna regione del mondo, da sola, possono risolvere i problemi del sistema finanziario.La consapevolezza dell’emergenza riguarda oggi anche l’accesso al cibo. Almeno nel caso delle questioni finanziarie e di altre criticità di carattere macroeconomico, abbiamo osservato una tendenza pericolosa: quando un pro-blema diventa una reale emergenza, ci spaventiamo e, di conseguenza, siamo disposti a rinunciare a parte della nostra sovranità nazionale, perché pensiamo che la cooperazione sia l’unica soluzione. Non appena il problema sembra essere un po’ meno urgente e sensibile, in una prospettiva di breve termine tendiamo a tornare alle vecchie pratiche.A partire da questa osservazione di carattere generale, due aspetti vanno a mio giudizio sottolineati. Il primo riguarda la natura stessa della sfida che dob-biamo affrontare: l’agricoltura e il cibo, e la sicurezza del cibo nei suoi risvolti finanziari, sono problemi infinitamente più complicati e più radicati nel nostro sistema economico e nella nostra società, con conseguenze molto più ampie e durature, degli squilibri finanziari degli ultimi anni. Questo signi-fica che risolvere questi problemi è una questione a termine infinitamente più lungo, uno sforzo prolungato, perché si inserisce più in profondità nelle strut-ture socioeconomiche. Pertanto dobbiamo guardarci dal rischio di reversibilità non appena si intravede la soluzione del problema.A tal riguardo, sono ottimista in merito all’Unione Europea. Siamo in 27, abbiamo organismi decisionali, istituzioni e leggi, così come strutture per attuare queste leggi. Quindi, il rischio di reversibilità, una volta che un pro-

prefazione diMario Monti *

la sFida politiCa del CiBo * *

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XVI eating planet

blema esce dallo stato di emergenza acuta, è minore nell’Unione Europea rispetto ad altre aree del mondo.È poi chiaro, ed è questo il secondo aspetto, che un rafforzamento della gover-nance globale è fondamentale. Governance non significa limitare le iniziative imprenditoriali: governance significa governo dei mercati in termini generali, e gli imprenditori, come gli utenti e i consumatori sono i protagonisti del mer-cato. Quello che occorre non è un modello di pianificazione troppo ambizioso da attuare nel mondo, in un paese o in un gruppo di paesi; al contrario, l’am-bito nel quale è oggi possibile conseguire un maggiore ritorno in termini di efficacia è la capacità d’instaurare rapporti sempre migliori tra gli strumenti politici e le reazioni dei mercati.Ci sono alcune proposte in merito che ritengo efficaci, a partire ovviamente dall’idea di tornare ad attribuire al cibo un ruolo centrale nel programma poli-tico ed economico internazionale. Occorre poi promuovere misure per favorire uno sviluppo economico equilibrato e l’aumento della produttività agricola.Un terzo aspetto cruciale è la modifica della filiera di produzione e distribu-zione alimentare al fine di gestire la crescente volatilità dei prezzi e garantire l’esistenza di reti di sicurezza. È qui che, se vogliamo, il settore alimentare con-verge maggiormente con il settore finanziario.Anche il punto conclusivo della catena, che riguarda le abitudini alimentari dei consumatori, è fondamentale. Per vari motivi legati alla sostenibilità, ma anche per considerazioni di salute individuale e familiare, questo è un aspetto su cui bisogna investire molto di più.Facendo un’osservazione macropolitica un po’ più generale, si può dire che uno dei punti deboli dei modelli economici e politici nel mondo negli ultimi vent’anni sia stato un calo di attenzione per la distribuzione, qui intesa come possibilità di accesso al cibo. Ora, gli aspetti relativi a uguaglianza, disugua-glianza e distribuzione stanno tornando prepotentemente nell’arena politica interna e globale e questa è certamente una buona notizia.

* Mario Monti (Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Economia e delle Finanze, Repubblica Italiana; Presidente dell’Università Bocconi; Membro dell’Advisory Board del Barilla Center for Food & Nutrition dal febbraio 2009 al novembre 2011).** Le riflessioni contenute in questo scritto sono state sviluppate in occasione del workshop “L’Unione Europea può affrontare le nuove sfide geopolitiche ed econo-miche dell’accesso al cibo?” organizzato dal Barilla Center for Food & Nutrition presso il Parlamento Europeo lo scorso 15 giugno 2011.

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eating planetnutrirsi oggi: una sfida per l’uomo e per il pianeta

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In questa sezione è proposta una selezione delle azioni più rilevanti nel campo dell’alimentazione intesa a sottolineare l’orientamento all’azione condivisa che vuole caratterizzare l’approccio adottato in questo volume.

food for allfavorire lo sviluppo economico nei paesi più poveri

La fame è diretta conseguenza della povertà. Occorre perciò individuare, rea-lizzare e supportare concreti percorsi di sviluppo sostenibile per definire e dif-fondere soluzioni e strumenti per i paesi in via di sviluppo, nei settori chiave per la crescita economica. L’agricoltura, che costituisce il comparto che più contribuisce alla crescita del reddito delle fasce più deboli della popolazione nei paesi in via di sviluppo, è spesso il settore più importante verso il quale convogliare investimenti e favorire la creazione di adeguati quadri normativi e buoni sistemi di incentivi.

rafforzare i meccanismi di governance globaleLa particolare natura dei beni alimentari – non riducibili a commodity, come è avvenuto negli ultimi decenni sotto la spinta di una loro maggiore dispo-nibilità – e il fallimento del funzionamento dei meccanismi di distribuzione, rendono necessario il superamento del paradigma del mercato come sistema capace di autoregolarsi, così come il coordinamento delle politiche globali e la riduzione nel tempo di politiche protezionistiche di natura unilaterale. Si tratta, in particolare di:• costruire un sistema di scambi commerciali trasparente, “responsabile” e basato su regole multilaterali capaci di garantire un maggiore accesso al cibo a livello globale. Si auspica in generale una riduzione del ricorso a barriere alle importazioni, sussidi alle esportazioni e altre restrizioni commerciali;

guida alla lettura

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4 eating planet

• evitare che la coltivazione di varietà agricole per la produzione di biocarbu-ranti entri in contrasto con la coltivazione di varietà destinate all’alimentazione;• individuare le anomalie nei conti finanziari e prevenire gli eccessi di compor-tamenti speculativi;• creare un sistema multilaterale di riserve alimentari e migliorare la traspa-renza su flussi e stock. Esiste un forte legame tra la variazione delle scorte e l’andamento dei prezzi delle commodity alimentari. In particolare, su un oriz-zonte temporale sufficientemente ampio, si è osservato che a una riduzione del rapporto stock to use di cereali corrisponde tendenzialmente un aumento nel livello dei prezzi, mentre, al contrario, a un aumento del rapporto stock to use il prezzo tende a ridursi.

favorire l’impiego di nuovi approcci e strumenti per misurare e promuovere il benessere diffuso

Nel definire le grandi linee di politica generale ed economica vi è l’esigenza di liberarsi da una visione eccessivamente angusta del benessere, ridotto alle sue caratterizzanti economiche, per includere la vasta gamma di fattori reali che concorrono a determinare complessivamente le condizioni sociali, politiche, economiche e ambientali in cui le persone vivono.Inoltre, attraverso l’esplicitazione di un orizzonte temporale futuro (sostenibi-lità del benessere contro benessere attuale), vi è l’occasione di poter finalmente introdurre in forma più trasparente nel dibattito pubblico sulle decisioni di policy il tema delle conseguenze delle scelte di oggi per il benessere futuro. Non si tratta, in ultima istanza, solo di definire indicatori migliori, ma di incremen-tare sensibilmente la qualità dei processi decisionali di natura pubblica.

indirizzare gli stili alimentariL’azione di governo e indirizzo dei modelli alimentari che voglia tener conto di un profilo di sostenibilità è destinata a diventare una variabile decisiva di poli-tica economica. Ciò sta assumendo contorni concreti nei paesi sviluppati, per far fronte a uno stato di emergenza sanitaria legata al dilagare di malattie meta-boliche, cardiocircolatorie e tumorali derivanti da stili alimentari errati. Diven-terà cruciale anche per i paesi in via di sviluppo, per l’impatto che questo avrà sugli equilibri produttivi globali in agricoltura.

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5guida alla lettura

food for sustainable growthfavorire comportamenti e scelte alimentari coerenti con il modello della doppia piramide

Seguire il modello della “doppia piramide” significa adottare un’alimenta-zione equilibrata sia dal punto di vista nutrizionale sia in termini di impatto ambientale. Il modello della doppia piramide (alimentare e ambientale) dimo-stra infatti che nelle diete sostenibili i due obiettivi possono essere facilmente perseguiti, considerato che i cibi più salutari sono anche quelli che implicano minori impatti in termini di consumo di risorse naturali (terra, acqua ecc.) e minori emissioni. Con particolare riferimento alle future generazioni, si rende quindi necessario un processo di educazione collettiva che, senza escludere gli stessi bambini, faccia leva sui genitori e sul sistema scolastico per promuovere stili di consumo più responsabili.

garantire l’accesso all’acqua, gestendola in modo sostenibile a livello globale

Occorre rafforzare l’impegno e la responsabilità delle istituzioni per garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile e alle infrastrutture igienico-sanitarie. In quest’ottica, occorre promuovere gli investimenti che consentono di rimuovere i vincoli di natura tecnica e politica. Più in generale, le problematiche legate alle risorse idriche devono essere affrontate con modelli e strumenti di gestione integrati che tengano conto del valore dell’acqua virtuale (compresa all’interno di tutti i prodotti in commercio) e della produttività delle risorse idriche in agricoltura (i prodotti more crop per drop), anche al fine di ridurne gli sprechi.

promuovere un’agricoltura sostenibile attenta alle competenze e alle diverse esigenze locali

Il sistema agricolo globale mostra diversi elementi di fragilità, anche per gli effetti attuali e futuri del climate change. Nella consapevolezza che non può esi-stere un unico modello produttivo capace di garantire la sostenibilità nei diversi contesti colturali, l’unica soluzione possibile è un approccio differenziato, che tenga conto dell’effettiva disponibilità di risorse e dei diversi contesti geografici e socio-economici. In quest’ottica, oltre ai classici fattori in gioco (qualità del suolo, disponibilità di acqua, adattamento ai fenomeni atmosferici ecc.), vanno considerate anche altre variabili rilevanti come la disponibilità locale di energia e di competenze umane.

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6 eating planet

food for healthadottare la dieta mediterranea e uno stile di vita attivo per la prevenzione delle malattie croniche

Esiste un nesso evidente, diretto e intenso tra stili di vita e salute. Nell’ambito delle scelte individuali, l’alimentazione gioca quindi un ruolo decisivo.In tal senso l’adozione di una dieta equilibrata, come per esempio quella medi-terranea, presenta elementi convergenti in tema di salute. Una dieta equilibrata e a basso contenuto di zuccheri, grassi, sale, e alto contenuto di frutta, verdura e cereali, riduce in modo significativo i fattori negativi che causano stati di malattie, infermità negli individui e, in alcuni casi, morte prematura.In sintesi, l’adozione di una dieta equilibrata e uno stile di vita attivo, fin dalle prime fasi della vita, sono fattori capaci di minimizzare allo stesso tempo e in parallelo i rischi di insorgenza di sovrappeso, obesità, tumori, malattie cardio-circolatorie, diabete e sindrome metabolica, migliorando la vita degli individui.

prevenire comportamenti e stili di vita scorretti fin dall’infanzia

Le evidenze a favore dell’eccezionale rilevanza di una corretta impostazione dello stile alimentare fin dalla più tenera età appaiono innegabili, in quanto esi-ste una elevata correlazione tra comportamenti e alimentazione nei primi anni di vita e insorgenza di malattie in età adulta.Dagli studi effettuati è emerso come sia imprescindibile promuovere l’ulteriore approfondimento delle conoscenze scientifiche relative al periodo dell’infanzia, meno studiato rispetto a quello in età adulta, e favorire la cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti (anche l’industria alimentare) nell’alimentazione dei giovani, al fine di veicolare una corretta informazione alimentare e la promo-zione di una cultura della prevenzione.La garanzia di uno stile alimentare corretto per bambini e adolescenti sembra passare necessariamente dalla messa in atto di uno sforzo corale, esito del con-tributo dei molteplici soggetti (scuola, famiglia, medici pediatri e industria ali-mentare) che nei diversi momenti della giornata si prendono cura del bambino.

mantenere un regime alimentare adeguato nel percorso di vitaNegli ultimi 100 anni l’aspettativa di vita alla nascita è quasi raddoppiata, pas-sando da 45 anni alla fine del 1800 a circa 80 anni nel 2010. Tali risultati sono frutto del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, delle scoperte medico-scientifiche e dell’aggiornamento continuo delle tecniche medico-sanitarie.Nonostante l’allungamento della vita media, la salute non sembra migliorare di pari passo: circa l’80% delle persone anziane (età maggiore di 65 anni) è

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7guida alla lettura

affetto, infatti, da almeno una malattia cronica e circa il 50% è affetto da due o più patologie croniche.A fronte di una durata della vita attesa in aumento e del drammatico incre-mento della diffusione delle principali patologie croniche è probabile che – nel futuro prossimo – l’umanità sperimenti per la prima volta nella storia moderna una vecchiaia caratterizzata da una qualità della vita media non ottimale, per un tempo significativamente più lungo.Servono, dunque, azioni non tanto per vivere più a lungo, ma piuttosto vivere meglio, più a lungo, anche indagando ulteriormente campi particolarmente innovativi quali il nesso tra stati infiammatori e insorgenza delle malattie cro-niche, e i benefici ottenibili attraverso regimi di restrizione calorica con nutri-zione ottimale.

food for culturerecuperare e diffondere gli elementi di cultura, gusto e gioia di vivere legati all’alimentazione

Occorre far rivivere alcune dinamiche fondamentali proprie delle culture gastronomiche più attente al legame tra cibo e persona, quali quella mediter-ranea. Si tratta di valorizzare gli aspetti di convivialità, di proteggere la varietà territoriale locale conservando la ricchezza delle identità, di trasferire la cono-scenza e il saper fare legati alla preparazione dei cibi, di tornare a un sano rap-porto con il territorio e con il contesto della materia prima mirando all’eccel-lenza degli ingredienti, di recuperare i sapori antichi capaci di essere rinnovati nel gusto contemporaneo, attraverso un’operazione critica che consenta di trat-tenere il meglio della tradizione gastronomica.

educare a una nuova ecologia dell’alimentazioneOccorre dare vita a un grande patto tra tutti gli attori del mondo dell’alimen-tazione – incluse le istituzioni pubbliche – oggi sempre più preoccupati per le conseguenze devastanti delle scelte alimentari scorrette effettuate dai propri cit-tadini e per ri-orientare gli stili di vita e alimentari verso modalità di consumo maggiormente sostenibili per la salute, l’ambiente, l’integrità sociale.La scala della sfida è tale da richiedere capacità di intervento che prescindono dalle forze dei singoli operatori. Serve uno sforzo condiviso, un’alleanza tra sog-getti diversi, che mentre conserva il tipico carattere di competizione nella rela-zione tra player di uno stesso settore, si rende capace di attuare giochi coopera-tivi finalizzati alla promozione di un nuovo paradigma alimentare.

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sommario

introduzione Worldwatch Institute: si può intervenire nel grande e nel piccolo

food for all: cibo per tutti1.1 Lo sperpero dei paesi ricchi1.2 Nuove tecniche di trasformazione degli alimenti1.3 Migliorare l’alimentazione1.4 La refezione scolastica1.5 Comprare locale

food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile

1.6 Ripensare la Rivoluzione verde1.7 Rese e sostenibilità ambientale1.8 Cambiamento climatico e sostenibilità alimentare1.9 Zootecnia integrata per la sostenibilità

food for health: cibo e salute1.10 Non solo calorie1.11 Il ruolo delle verdure1.12 Portare il cibo sano ovunque1.13 L’importanza dell’informazione1.14 Il ruolo delle strutture sanitarie

food for culture: cibo e cultura1.15 Rilanciare i sistemi agricoli1.16 Nuove tecnologie informatiche e di comunicazione1.17 La divulgazione “sul campo”1.18 Incentivare l’occupazione dei giovani

i tre obiettivi del cibo1.19 Accrescere la consapevolezza del ruolo dell’agricoltura

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1.le sFidedel ciboNell’evidente inadeguatezza dell’attuale sistema alimentare, il Worldwatch Institute sostiene con forza la necessità di elaborare e promuovere nuove strategie per soddisfare la domanda mondiale di beni alimentari in modo equo e sostenibile. Nel capitolo vengono analizzate le cause della distorsione del sistema, con raccomandazioni per sostenere la produzione agricola, valorizzarne il ruolo all’interno delle comunità di riferimento e promuovere l’integrazione biologica delle risorse naturali.

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10 eating planet

1. le sFidedel ciboWorldwatch Institute: si può intervenire nel grande e nel piccolo

Ad Ahmedabad, in India, un gruppo di donne agricoltrici e lavoratrici nel settore della trasformazione alimentare sta cambiando le abitudini alimen-tari degli indiani. Queste donne sono parte della Self Employed Women’s Association (SEWA), il sindacato che raccoglie oltre un milione di lavoratrici in condizioni di povertà. In India, il 93% della forza lavoro femminile non è iscritta a un’organizzazione sindacale, il che rende le donne quasi invisi-bili, impedendo loro sia l’accesso al credito sia all’acquisto di terreni e servizi finanziari, inclusa l’apertura di conti correnti bancari. Coinvolgendole nella produzione di alimenti, il SEWA sta aiutando le donne a migliorare i propri mezzi di sostentamento attraverso la conquista di una maggiore autonomia. Il 45% delle aderenti al SEWA è costituito da piccole agricoltrici dedite ad attività cosiddette marginali.1

Le iscritte al SEWA scelgono e confezionano il riso, che commercializzano con il proprio marchio. Presso una fattoria in campagna gestita dal SEWA le donne coltivano riso e ortaggi biologici e producono compost organico su terreni precedentemente considerati improduttivi e marginali. “Ora gua-dagniamo oltre 15.000 rupie (350 dollari) a stagione, una cifra che non avremmo sognato di riuscire a guadagnare neppure in tutta la vita”, sostiene Surajben Shankasbhai Rathwa, membro dell’associazione dal 2003. Queste donne guadagnano di più e mangiano meglio di quanto non abbiano mai fatto e svolgono un importante servizio per la comunità producendo alimenti salutari, convenienti e coltivati secondo principi di sostenibilità per i consu-matori locali. Le famiglie più povere non si possono infatti permettere cibo di buona qualità e il riso e gli altri alimenti base che acquistano sono pro-dotti scadenti: di frequente, i chicchi di riso sono frantumati o mescolati a sporcizia e sassolini e la maggior parte degli alimenti è prodotta con l’im-piego di pesticidi e fertilizzanti artificiali.2

Ma le donne del SEWA non si interessano solo di quanto accade all’in-

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agricoltore della cloud kpalimé forest, togoL’ONG Les Compagnons Ruraux del Togo insegna pratiche di agricoltura sostenibile agli agricoltori che vivono nella Cloud Kpalimé Forest. L’organizzazione migliora la sicurezza alimentare locale con attività di formazione rivolte a gruppi di donne sulla coltura e la vendita di ortaggi biologici, piante officinali e olio di palma lavorato localmente. Grazie alla collaborazione con i residenti locali, l’organizzazione punta a evitare la fuga dei giovani adulti verso le città.

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12 eating planet

terno della loro comunità. Vogliono sapere anche cosa fanno gli agricoltori dell’Africa subsahariana, lontana da loro migliaia di chilometri, per combat-tere il cambiamento climatico, conservare l’acqua e sviluppare i terreni. Nel corso di un incontro tenutosi all’inizio del 2011 hanno cercato di capire ciò che potrebbero apprendere dalle loro controparti che vivono in un’area del mondo costretta ad affrontare le stesse sfide con le quali anch’esse si confron-tano quotidianamente: eventi atmosferici imprevedibili, degrado del suolo, prezzi elevati dei prodotti alimentari, povertà e malnutrizione. Questi pro-blemi sono presenti tanto in India quanto in Africa, così come in altre parti del mondo in via di sviluppo. E anche se le attività di formazione in fattoria e i servizi di credito agricolo offerti dal SEWA da soli non saranno sufficienti a trasformare il sistema alimentare globale, rappresentano comunque un passo avanti per fare sì che l’agricoltura non costituisca solo un mezzo per sfamare il mondo, ma vada anche ad alimentare le fonti di sostentamento, garantendo la sostenibilità ambientale e la vitalità delle economie rurali e urbane.3

siamo a una svolta. Non vi sono dubbi sul fatto che l’attuale sistema ali-mentare non funzioni più: sia nei paesi ricchi sia in quelli poveri vengono sprecate enormi quantità di cibo, l’agricoltura è responsabile di un terzo delle emissioni globali di gas serra, le patologie di origine alimentare sono in cre-scita e gli impatti ambientali dell’agricoltura (tra cui la deforestazione, la scarsità di acqua e l’aumento delle emissioni di gas serra) si stanno facendo sentire in maniera sempre più tangibile.4

Nel corso degli ultimi trent’anni il sistema alimentare occidentale è stato organizzato in modo da promuovere il consumo eccessivo di alcune commo-dity consolidate – tra cui riso, frumento e mais – e ha lasciato da parte pro-dotti alimentari autoctoni che, oltre a fornire un apporto calorico, sono ric-chi di vitamine e micronutrienti essenziali e generalmente sono resistenti alle temperature elevate, alla siccità e alle malattie. Una delle conseguenze è che nel mondo vi è un miliardo e mezzo di persone obese o sovrappeso e pertanto maggiormente a rischio di diabete, malattie cardiovascolari e altre patologie.5

Oggi quasi un miliardo di persone nel mondo va a dormire ogni notte affa-mata mentre svariati miliardi soffrono di carenze di micronutrienti (figura 1.1).Se iniziamo ora, tuttavia, possiamo mettere a punto una strategia, una visione del futuro e una road map migliori per il sistema alimentare globale, un sistema che nutra tanto le persone quanto il pianeta individuando dei modi per rendere la produzione e il consumo di alimenti più equi e sosteni-bili in termini economici, ambientali e sociali.Le soluzioni esistono già – nei progetti di market garden (orticoltura e ven-dita dei prodotti nei mercati locali) nel Niger rurale, sulle tavole da pranzo in Italia, negli orti pensili del Vietnam, presso gli istituti di ricerca di Taiwan,

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13introduzione | le sfide del cibo

negli edible school yard (orti realizzati nei cortili delle scuole) degli Stati Uniti e nelle comunità di tutto il mondo – ma non ricevono l’attenzione e gli inve-stimenti di cui necessitano. Tutto questo deve cambiare.

figura 1.1

La fame nel mondo (1969‑2011)Fonte: rielaborazione Worldwatch Institute su dati FAO, “Hunger Statistics”, www.fao.org.

1.350

1.200

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01969‑71 1979‑81 1990‑92 1995‑97 2000‑02 2004‑06 2008 2009 2010 2011

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stima

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14 eating planet

food for all: cibo per tutti

Nel 2011 le carestie hanno fatto la loro ricomparsa nel Corno d’Africa, ricor-dando al mondo che la fame e la malnutrizione continuano a rappresentare una crudele realtà per molti poveri del mondo. Sebbene questa regione stia attra-versando la peggiore siccità degli ultimi sessant’anni, le carestie non sono il risultato di un’unica grave siccità o di un’unica politica fallimentare, bensì di decenni in cui si sono ignorati i piccoli proprietari terrieri e allevatori e si sono minimizzati gli impatti del cambiamento climatico e del degrado ambientale sulla regione, così come dei conflitti, della violenza e della corruzione onni-presenti. Circa 11 milioni di persone rischiano di morire di fame in Etiopia, Kenya, Somalia, Gibuti, Sudan del Sud e Uganda.6

Quasi 4 milioni di somali, più di metà della popolazione, necessitano di aiuti urgenti e immediati. Oltre 265 milioni di abitanti dell’Africa subsahariana sono considerati malnutriti, il che equivale a circa un africano su quattro e a un afri-cano subsahariano su tre.7

Il problema della fame non è tuttavia limitato all’Africa. Nel mondo, oltre un miliardo di persone si trova in stato di denutrizione e questa cifra, che negli anni Ottanta e Novanta aveva conosciuto un decremento costante, ha len-tamente ripreso a crescere. L’Asia conta il numero maggiore di affamati: 225 milioni di persone in India, 41 milioni in Bangladesh. In America Latina e nei Caraibi, dove il numero di persone che soffrono la fame aveva subito un dra-stico calo nel corso degli anni Novanta, si è arrivati a quota 53 milioni.8

Anche i prezzi dei prodotti alimentari continuano a crescere (figura 1.2). Dal 2007 a oggi, l’indice dei prezzi alimentari dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) ha registrato un balzo del 70%. I dati forniti dalla Banca Mondiale mostrano che tra ottobre 2010 e gen-naio 2011 in molti paesi in via di sviluppo i prezzi alimentari hanno subito un aumento del 15%. Secondo la Banca, questa impennata dei prezzi ha ridotto in povertà un numero di persone che si stima pari a 44 milioni. Nell’Africa sub-sahariana e nell’Asia meridionale, molti agricoltori e consumatori guadagnano appena 1 o 2 dollari al giorno, il che rende particolarmente penalizzante qual-siasi aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Invece di riuscire ad acquistare fagioli, uova, carne o ortaggi ricchi di nutrimento, numerose famiglie possono permettersi solo prodotti agricoli di base, come il riso o la manioca, che saziano ma forniscono un apporto di nutrienti molto scarso.9

Dichiara Olivier De Schutter, Special Rapporteur sul Diritto al cibo delle Nazioni Unite: “Gli approcci tradizionali al problema della fame non sono di aiuto, poiché si concentrano sulle cifre complessive e sull’aumento della pro-duzione”. I governi, le agenzie per lo sviluppo, le ONG e i finanziatori hanno

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15food for all: cibo per tutti | le sfide del cibo

investito puntando sull’incremento della produzione e delle rese e non sugli ele-menti più trascurati del sistema alimentare, che possiedono il potenziale neces-sario per migliorare i mezzi di sostentamento, ridurre la malnutrizione e salva-guardare l’ambiente. Occorrono maggiori investimenti per impedire gli sprechi dal campo alla tavola e un’attenzione più puntuale sui programmi di aiuto e di educazione alimentare scolastica a livello locale.10

Per esempio, fare in modo che milioni e milioni di tonnellate di derrate alimen-tari non vadano sprecate, come avviene invece ogni anno, potrebbe rappresen-tare una strada per riempire le pance vuote e i portafogli tanto nei paesi svilup-pati come in quelli in via di sviluppo. Il totale dei prodotti alimentari che vanno sprecati può arrivare a costituire uno sconcertante 30% dei raccolti. È un feno-meno subdolo, che si produce lungo tutta la filiera alimentare: una piccola per-centuale va persa già nella fattoria, un’altra durante lo stoccaggio, un’altra ancora durante il trasporto e un’ultima piccola percentuale nei mercati e nelle case.11 Nei paesi più poveri, soprattutto in quelli dell’Africa subsahariana e dell’Asia meri-dionale, lo stoccaggio dei raccolti rimane tristemente inadeguato, causando lo spreco delle produzioni agricole proprio nei luoghi in cui ce n’è più bisogno. La maggior parte degli agricoltori non ha accesso a idonei magazzini per i cereali, ad apparecchiature per l’essiccazione, a cassette da frutta, a sistemi di refrigera-zione o ad altre tecnologie di stoccaggio e trasformazione dei raccolti.12

figura 1.2

La volatilità dei prezzi dei prodotti alimentari (1990‑2011)Nota: i dati 2011 sono il risultato della media dei singoli mesi.Fonte: FAO, Food Price Index, www.fao.org.

1990 1993 1996 1999 2002 2005 2008 2011

350

300

250

200

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100

50

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i zucchero

cereali

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carne

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16 eating planet

1.1 lo sperpero dei paesi ricchi

Anche paesi come gli Stati Uniti, l’Italia, la Francia, il Regno Unito e altre nazioni ricche, che dispongono di tutte le tecniche per prevenire le perdite di derrate alimentari grazie a unità di stoccaggio e sistemi di refrigerazione a temperatura controllata, apparecchiature per l’essiccazione, prodotti chimici antifungini e antimuffa e varietà vegetali messe a punto per prolungarne la shelf life (la vita sullo scaffale, ndR), sperperano grandi quantità di prodotti alimentari. Scartiamo prodotti che presentano imperfezioni estetiche, riget-tiamo in mare pesci commestibili, ordiniamo provviste in quantità esage-rate nei negozi di alimentari e nei grandi magazzini e acquistiamo cibarie in eccesso per il consumo domestico. Gran parte di quanto viene acquistato finisce nelle discariche anziché nel nostro stomaco.Già nel 1974, la prima Conferenza mondiale sull’alimentazione tenutasi a Roma auspicava una riduzione del 50% delle perdite post-raccolto da attuarsi nel decennio successivo. Questo obiettivo non è ancora stato raggiunto e la prevenzione degli sprechi rimane un aspetto del processo di sviluppo agri-colo i cui finanziamenti sono ampiamente sottodimensionati. Purtroppo sono pochissimi i donatori che investono per aiutare gli agricoltori e le aziende di trasformazione alimentare a individuare strategie migliori per stoccare e gestire le produzioni post-raccolto e i consumatori ricchi sono ancora poco informati sull’impatto che le loro abitudini di (eccessivo) acquisto hanno sull’ambiente.13

Anche nei paesi più poveri, per ragioni diverse, la perdita di produzione ali-mentare costituisce un serio problema. Tuttavia, ridurre questo spreco può essere semplice, economico ed efficace, oltre a migliorare lo stato di salute e la nutrizione. Si consideri, per esempio, il problema della contaminazione degli alimenti da aflatossine, funghi tossici che possono causare cancro del fegato, ritardo della crescita e altri problemi di salute. La contaminazione da aflatossine è causata quasi esclusivamente dal consumo di alimenti ammuffiti a causa di una conservazione inadeguata.L’International Institute of Tropical Agriculture (IITA) lavora insieme agli agricoltori per introdurre un ceppo nativo non tossico di questo fungo prima del raccolto. Il ceppo sviluppato dall’IITA, commercializzato con il marchio Aflasafe, prevale sul ceppo tossico praticamente fino a eliminarlo senza alcun rischio e costituisce un mezzo di bio-controllo efficace che potenzialmente permette agli agricoltori di risparmiare milioni di dollari all’anno e di tutelare la salute degli esseri umani.14

Un’altra semplice tecnologia dotata di grande potenziale per ridurre la per-dita dei raccolti e gli sprechi consiste nella sigillatura ermetica, vale a dire nel conservare i prodotti raccolti in sacchi risigillabili, impedendone l’esposizione all’ossigeno e all’umidità e inibendo la proliferazione di funghi nocivi. Inol-

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17food for all: cibo per tutti | le sfide del cibo

tre, i sacchi proteggono i prodotti dagli insetti e soffocano le larve presenti al proprio interno, rendendo più sicuro il trasporto dei raccolti dalla fattoria ai mercati.15

Nell’Africa orientale, i cowpea (fagioli dall’occhio) rappresentano un impor-tante prodotto agricolo di base; migliorare lo stoccaggio della metà della pro-duzione di cowpea di questa regione significherebbe produrre un valore di 225 milioni di dollari all’anno per alcune delle popolazioni più povere del mondo. I ricercatori della Purdue University hanno insegnato agli agricoltori a uti-lizzare sacchi di tipo economico ermeticamente sigillati – Progetto Purdue Improved Cowpea Storage (PICS) – per difendere i raccolti dall’attacco di insetti nocivi e muffa.16

“Quando apriamo il sacco, il contenuto ha lo stesso aspetto del giorno in cui l’abbiamo insaccato”, spiega Balarabe Kausani, un piccolo proprietario ter-riero che vive nel nord della Nigeria. “Grazie alla qualità dei cowpea si può aumentare il prezzo del 20%”. Oltre a conservare per tutto l’anno un impor-tante prodotto agricolo stagionale, i sacchi PICS permettono agli agricoltori di risparmiare il denaro che avrebbero speso per l’acquisto di pesticidi costosi e tossici. Con il supporto della Bill & Melinda Gates Foundation, si auspica che il progetto PICS riesca a raggiungere 28.000 villaggi in Benin, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Ghana, Mali, Niger, Nigeria, Senegal e Togo entro la fine del 2011.17

1.2 nuove tecniche di trasformazione degli alimenti

Anche l’individuazione di tecniche di trasformazione migliori può contribuire a impedire gli sprechi di prodotti alimentari. In Mauritania, la produzione casearia è importante sia per l’alimentazione sia come fonte di reddito, soprat-tutto per le donne agricoltrici. Durante la stagione delle piogge accade sovente che gli allevatori buttino circa 500 litri di latte al giorno perché le quantità di latte prodotte sono eccessive rispetto al quantitativo che sono in grado di vendere o consumare direttamente. Questi stessi allevatori soffrono di gravis-sime carenze nutrizionali durante la stagione asciutta, quando dispongono di pochissimo cibo, incluso il latte.18

Nel 2010 Counterpart International, un’organizzazione per lo sviluppo che si occupa a livello mondiale principalmente di sicurezza e governance alimentare, ha lanciato un programma pluriennale di aiuto nell’ambito del quale viene insegnato alle donne e agli agricoltori di sussistenza della Mauritania a trasfor-mare il latte in formaggio stagionato. Questo prodotto a valore aggiunto potrà essere consumato durante i difficili mesi asciutti, la cosiddetta stagione della fame, quando per gli abitanti dei villaggi la possibilità di avere cibo a suffi-cienza è quanto mai precaria. Il formaggio stagionato possiede un contenuto di

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18 eating planet

proteine e grassi più elevato rispetto ad altri derivati del latte essiccati e questo lo rende un importante prodotto di base quando altri alimenti scarseggiano.19

Esistono molti modi innovativi e redditizi per trasformare i prodotti alimentari per evitarne lo spreco. In Bolivia, Cina, India e altri paesi vengono utilizzati degli essiccatoi e disidratatori a energia solare per conservare raccolti abbon-danti di mango, papaia e altri frutti che per tutto l’anno garantiscono alle popolazioni un notevole apporto di vitamine e nutrienti. L’ulog (un essiccatoio su telaio chiudibile) in uso in Bolivia e l’essiccatoio per legname artigianale a energia solare dei Caraibi permettono agli agricoltori di essiccare una grande quantità e varietà di prodotti agricoli, come pomodori e patate, durante l’intero anno. Nella Cina nord-orientale, gli agricoltori sbucciano le pannocchie di mais quando sono ancora acerbe affinché possano asciugare mentre completano la loro maturazione ancora sul fusto. Oltre a eliminare l’umidità, questo metodo favorisce la maturazione, contribuendo ad aumentare la resa dei raccolti.20

Anche i consumatori stanno modificando le proprie abitudini alimentari e di acquisto allo scopo di ridurre gli sprechi. Nel Regno Unito, l’organizzazione Love Food, Hate Waste svolge un’azione educativa presso i cittadini sui temi relativi agli sprechi alimentari e offre semplici suggerimenti per limitare gli scarti personali. Love Food, Hate Waste è un progetto promosso dall’organiz-zazione non profit Waste and Resources Actions Programme che dal 2000, anno della sua costituzione, collabora con imprese e privati per diffondere la conoscenza e l’adozione di programmi efficienti in termini di risorse e costi che consentono di riciclare oltre un miliardo di bottiglie di plastica all’anno. I loro sforzi hanno contribuito a evitare che negli ultimi dieci anni 670.000 tonnellate di alimenti finissero nelle discariche, facendo risparmiare ai consumatori oltre 970 milioni di dollari l’anno.21

1.3 migliorare l’alimentazione

Un altro modo per fare sì che i cibi prodotti apportino quanti più benefici pos-sibili, oltre a ridurne gli sprechi, consiste nel migliorare l’alimentazione, e nel mondo esistono numerosi esempi di programmi che sono riusciti in questo intento. Per esempio, grazie ai programmi di refezione scolastica avviati in Asia e in Africa, che si servono di fonti di approvvigionamento locali e regionali, si sta assistendo a una riduzione della malnutrizione infantile e all’incremento del tasso di frequenza scolastica, dando contemporaneamente nuovo slancio alle entrate degli agricoltori. Il Programma alimentare mondiale (World Food Programme, WFP) delle Nazioni Unite sta promuovendo attivamente queste iniziative nate “nell’orto di casa”, che creano un collegamento tra l’agricoltura locale e i programmi scolastici attuati in loco. Grazie a queste collaborazioni, i piccoli proprietari terrieri possono contare su entrate fisse e garantite e i bam-bini ricevono un’alimentazione a base di prodotti freschi e nutrienti.22

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1.4 la refezione scolastica

Nel 2005, il Ghana ha lanciato l’Home Grown School Feeding (un programma di refezione scolastica con prodotti locali). Alla fine del 2006, gli scolari coin-volti nell’iniziativa erano 69.000, disseminati in 200 scuole di tutti i distretti del paese. Secondo le stime, nel 2010 questo programma è venuto in aiuto di oltre un milione di bambini. Nelle scuole in cui venivano serviti i pasti, le iscrizioni sono aumentate del 20,3%, mentre l’aumento registrato nelle scuole che non offrivano questo servizio è stato solamente del 2,8%. Il tasso di ritenzione sco-lastica è aumentato del 10% circa nelle scuole che hanno attuato i programmi.23

In Thailandia, dove il governo finanzia un programma di refezione scolastica su scala nazionale, i pasti vengono distribuiti a 1,8 milioni di bambini che fre-quentano la scuola primaria e a 700.000 bambini della scuola dell’infanzia, vale a dire al 30% circa di tutti i bambini in età scolare del paese. Il programma di refezione scolastica della Thailandia non stabilisce dove le singole scuole deb-bano approvvigionarsi, ma, secondo le stime del WFP, circa il 90% delle scuole aderenti acquista la verdura e la carne da produttori locali.24

I programmi di refezione scolastica possono rivelarsi particolarmente impor-tanti in zone dove sono in corso conflitti, sia che si tratti di scontri violenti tra gang a Los Angeles sia di atti di violenza politica in Costa d’Avorio. Food from the Hood è il nome di un gruppo di studenti giardinieri che si è costituito a Los Angeles dopo i disordini del 1992. Gli studenti coltivano varietà partico-lari di cavoli, melanzane e ben 16 varietà di pomodori costoluti. Il 25% del raccolto viene distribuito a persone indigenti e il resto venduto per ricavarne un profitto, di cui la metà è convertita in borse di studio per studenti.25

In Costa d’Avorio, il conflitto deflagrato a seguito del colpo di stato del 2002 ha prodotto un enorme impatto sull’agricoltura e sull’istruzione nella parte settentrionale del paese. Non solo le entrate e i raccolti sono diminuiti, ma molti bambini hanno smesso di andare a scuola a causa delle violenze.26 Data la mancanza di fondi adeguati, quelli che hanno continuato a frequentare la scuola hanno ricevuto pasti di qualità spesso scadente dal punto di vista nutri-zionale. A fronte di questa situazione, Mariam Ouattara, presidente dell’orga-nizzazione non governativa Chigata Fetteset Development (Donne e sviluppo) del villaggio di N’Ganon, ha organizzato un gruppo di donne che hanno avviato la coltivazione di prodotti alimentari biologici e hanno cominciato a cucinare i pasti per i bambini.27

Il progetto è partito con 300 studenti che hanno lavorato insieme a oltre 300 donne appartenenti alla comunità per coltivare riso, fagioli bianchi, cipolle, pomodori, melanzane, cavolfiori, rapanelli e altri ortaggi. La maggior parte di questi alimenti è destinato al consumo da parte dei bambini nelle mense scola-stiche, mentre l’eccedenza viene venduta per contribuire a finanziare l’orto e la mensa. Gli studenti e gli insegnanti sanno come prendersi cura dell’orto e della

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20 eating planet

mensa, in modo tale che “anche se non ci siamo noi”, afferma Ouattara, “il programma prosegue comunque”. La loro speranza è che istruendo i bambini si possa modificare anche il modo in cui i genitori cucinano e consumano gli ortaggi attraverso “un’educazione dal basso verso l’alto”. “E quando i bambini hanno da mangiare”, prosegue Ouattara, “anche il loro rendimento scolastico migliora”.28

1.5 comprare locale

Gli aiuti alimentari nell’Africa subsahariana adesso vengono acquistati presso gli agricoltori locali anziché arrivare da luoghi distanti migliaia di chilometri. Una gran parte del mais, del riso, della soia e di altri alimenti consumati localmente proveniva dagli Stati Uniti e, sebbene questi prodotti fornissero calorie estrema-mente necessarie, rischiavano tuttavia di distruggere i mercati nazionali e locali costringendoli ad abbassare i prezzi dei prodotti alimentari coltivati in loco.Oggi, un quantitativo sempre maggiore dei prodotti agricoli forniti sotto forma di aiuti alimentari proviene da agricoltori africani che vendono direttamente al WFP attraverso accordi di approvvigionamento stipulati a livello locale. In Liberia, Sierra Leone, Zambia e in numerose altre nazioni dell’Africa subsaha-riana (come pure in Asia e America Latina) non solo il WFP acquista local-mente, ma aiuta anche i piccoli agricoltori ad acquisire le competenze necessa-rie per entrare a far parte del mercato globale.29

“In Zambia, il WFP acquista i prodotti alimentari direttamente attraverso la Borsa merci zambiana dei prodotti agricoli pur restando in sordina”, spiega Felix Edwards, coordinatore del P4P Programme dello Zambia. Così facendo, il WFP dello Zambia evita di distorcere i prezzi e contribuisce a creare mezzi alternativi per l’accesso ai mercati da parte degli agricoltori attraverso una rete di magazzini certificati dalla Borsa a livello distrettuale. Inoltre, il WFP si serve dei propri partner, tra cui il programma Profit dell’United States Agency for International Development (USAID), per aiutare gli agricoltori e le asso-ciazioni di agricoltori a raggiungere gli standard qualitativi richiesti dalla Borsa. Tramite queste azioni prepara gli agricoltori dello Zambia a fornire aiuti alimentari di alta qualità che non siano destinati soltanto ai programmi e ai consumatori del loro paese, ma potenzialmente anche ai mercati regionali e internazionali in espansione.30

Collaborando con le risorse locali e attuando innovazioni a livello locale, in America Latina, Africa e Asia, gli agricoltori stanno mettendo a punto strate-gie che assicurino mezzi di sostentamento a loro stessi e alle loro comunità e che permettano addirittura di offrire un aiuto agli indigenti. Ed è proprio per promuovere innovazioni di questo tipo che occorrono più ricerca, più supporto e maggiori investimenti.

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i prodotti sewa a vadodara di gujarat, indiaIl sindacato SEWA ha più di un milione di membri e insegna alle donne agricoltrici e alle piccole industrie alimentari come coltivare, confezionare e vendere il riso biologico, le spezie e altri alimenti. Questi prodotti risultano di qualità superiore rispetto a quelli di cui di solito dispongono i consumatori poveri, e sono venduti dalle donne con l’etichetta della SEWA.

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22 eating planet

food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile

Nel giugno del 2012, policy maker, dirigenti d’azienda, attivisti, scienziati e giornalisti si riuniranno in Brasile, a Rio de Janeiro, per il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Vent’anni fa, il Summit della Terra di Rio rappresentò un appello all’azione che mobilitò ovunque privati e imprese per affrontare i problemi ambientali più pressanti con cui il mondo si stava confrontando. La colpa di gran parte di questi problemi, tra cui la defo-restazione, la scarsità dell’acqua, la perdita della biodiversità e il degrado del suolo, fu attribuita all’agricoltura. Vent’anni fa, l’agricoltura biologica, l’agricol-tura conservativa e altre pratiche agro-ecologiche erano considerate modi arre-trati e inadeguati per sfamare il mondo.Oggi, l’agricoltura si sta facendo avanti come soluzione agli incalzanti problemi ambientali del pianeta, e gli approcci agro-ecologici non sono più ritenuti naïf, bensì la strada da seguire in un mondo in cui le risorse di combustibili fossili si stanno esaurendo e la fame e la povertà sono in aumento.Questa transizione si sta verificando tanto nei campi coltivati come nei par-lamenti, nei consigli di amministrazione e negli istituti di ricerca di tutto il mondo. I risultati di numerose ricerche qualificate condotte nel corso di tutti gli anni 2000 hanno tracciato un quadro dell’agricoltura in evoluzione, che mostra come la produzione di alimenti possa aiutarci ad affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico, dalla disoccupazione, dall’urbanizzazione, dalla deser-tificazione, dall’inquinamento idrico e da altri problemi di natura ambientale.

1.6 ripensare la rivoluzione verde

Nel 2008 è stato pubblicato il rapporto IAASTD (Valutazione internazionale delle scienze e delle tecnologie agricole per lo sviluppo). La redazione di que-sto imponente rapporto ha richiesto oltre quattro anni di lavoro, che ha visto riuniti 400 tra i più autorevoli scienziati, ricercatori, agenzie per lo sviluppo e ONG del mondo per tracciare il profilo dello stato attuale delle conoscenze nel campo dell’agricoltura. La loro conclusione più significativa è stata che gli approcci tradizionali per sfamare il mondo non funzionano. In altri termini, le tecnologie della Rivoluzione verde del passato, sebbene nel breve termine siano state efficaci per incrementare le rese agricole, non hanno dimostrato la stessa efficacia nel risolvere il vero problema della malnutrizione. Secondo Hans Herren, insignito del Premio mondiale per l’alimentazione e co-presidente dell’IAASTD, “La Rivoluzione verde si è esaurita molto tempo fa… Dob-biamo reinventare l’agricoltura… Sebbene la Rivoluzione verde abbia promosso

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23food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile | le sfide del cibo

la produzione di una maggiore quantità di alimenti, vi erano numerosi fattori coinvolti, non si trattava semplicemente di piantare colture ad alta resa. Dove ha funzionato esisteva un ambiente, c’erano strade, l’accesso a fertilizzanti, strumenti, pesticidi ecc., che hanno contribuito al suo successo. Quella che in realtà vogliamo è un’agricoltura che non dipenda da questi input; desideriamo un’agricoltura autosostenibile. Ed è per questo motivo che ritengo la si debba reinventare [la Rivoluzione verde]”.31

1.7 rese e sostenibilità ambientale

Secondo l’IASSTD, “in alcuni casi l’enfasi posta sull’aumento delle rese e della produttività ha arrecato conseguenze negative alla sostenibilità ambien-tale”. Quasi due miliardi di ettari e 2,6 miliardi di persone hanno subito gli effetti del significativo degrado del suolo causato dalle pratiche agricole su vasta scala associate alla Rivoluzione verde. Attualmente, il 70% dei prelievi di acqua dolce è destinato all’irrigazione agricola, con la conseguente salinizzazione delle risorse idriche tanto nei paesi sviluppati quanto in quelli in via di sviluppo. L’abuso e l’uso improprio di fertilizzanti artificiali e pesticidi hanno prodotto fuoriuscite di sostanze tossiche che provocano la morte di aree costiere e la per-dita della biodiversità.32

Nonostante la Rivoluzione verde sia considerata un “successo”, i suoi benefici sono distribuiti in modo disomogeneo. I risultati più significativi ottenuti nella lotta contro la povertà e nell’aumento delle rese agricole si sono osservati in Asia meridionale, mentre le popolazioni dell’Africa subsahariana sono rimaste povere e denutrite. Secondo il rapporto, molti dei più poveri tra i poveri “hanno avuto poco o nulla da guadagnare” e almeno uno su sette componenti della famiglia umana va ancora a letto affamato ogni sera. Robert Watson, Chief Scientist presso la Banca Mondiale e direttore dell’IAASTD, ha affermato che “stiamo portando in tavola alimenti che sembrano a buon mercato, ma si tratta di prodotti non sempre salutari e che ci costano un prezzo salato in termini di acqua, suolo e diversità biologica, dai quali dipende il futuro di noi tutti”.33

“L’agricoltura opera all’interno di sistemi complessi ed è multifunzionale per natura”, riporta l’IAASTD. La multifunzionalità, asserisce il rapporto, è “l’im-prescindibile interconnessione tra i diversi ruoli e le varie funzioni dell’agricol-tura. Il concetto di multifunzionalità riconosce all’agricoltura il ruolo di attività ramificata che non solo produce commodity (alimenti, mangimi, fibre, agro-combustibili, prodotti medicinali e ornamentali), ma ha anche altri sbocchi, quali servizi ambientali, luoghi di interesse paesaggistico e patrimoni culturali”. La Rivoluzione verde, per contro, tendeva a restringere il focus sulle rese e a dedicare scarsissima attenzione all’interazione biologica. “Occorre un approccio più integrato che colleghi l’agricoltura alla salute, alla sicurezza idrica, ai servizi energetici, nonché all’istruzione. Abbiamo bisogno di un approccio globale per

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garantire la sicurezza alimentare in Africa”, afferma Judi Wakhungu, co-presi-dente della commissione IAASTD.34

1.8 cambiamento climatico e sostenibilità alimentare

Il rapporto IAASTD non è l’unico a essere giunto a queste conclusioni. Secondo il rapporto Foresight, Global Food and Farming Futures: “Affrontare il problema del cambiamento climatico e raggiungere la sostenibilità nel sistema alimentare globale devono essere riconosciuti come due imperativi irrinuncia-bili. Per portare la sostenibilità in primo piano saranno necessarie misure che prevedano una riprogettazione dell’intero sistema alimentare”. E nel 2008, anche il Rapporto sullo sviluppo mondiale della Banca Mondiale ha ricono-sciuto la necessità che l’agricoltura divenga più sostenibile dal punto di vista ambientale sia nel breve sia nel lungo termine. Anche numerosi altri rapporti autorevoli segnalano soluzioni più sostenibili dal punto di vista ambientale per alleviare il problema della fame e della povertà (tabella 1.1).35

tabella 1.1 – la strada verso l’agro-ecologia 36

Banca Mondiale:World Development Report 2008 – Agriculture for Development (Rapporto sullo sviluppo mondiale 2008 – Agricoltura per lo sviluppo)

(2008)

Il Rapporto sullo sviluppo mondiale 2008 (World Development Report, WDR) evidenzia il contributo fornito dall’agricoltura alla crescita economica, sociale e politica dell’Asia e dell’Africa subsahariana.

Secondo tale rapporto, l’agricoltura può promuovere lo sviluppo rurale e stimolare le economie dei paesi in via di sviluppo. Il WDR osserva che la crescita del PIL derivante dal settore agricolo ha un’efficacia doppia nella riduzione della povertà rispetto alla crescita del PIL registrata in altri settori economici. Lo sviluppo agricolo può diventare una stra‑tegia perseguibile solo conferendo ai piccoli proprietari terrieri, in particolare alle donne, un migliore accesso al capitale, alle nuove tecnologie e al terreno. Secondo la Banca, af‑finché ciò possa diventare realtà, i governi internazionali devono fare investimenti più intelligenti e mirati allo sviluppo rurale, e i policy maker devono incoraggiare i governi locali ad attuare misure agricole e ambientali in maniera più efficace.

International Assessment of Agricultural Knowledge, Science, and Technology for Development (IAASTD):Agriculture at a Crossroads (Agricoltura al bivio)

(2009)

Il rapporto IAASTD sottolinea lo sviluppo agricolo passato, presente e futuro. La redazio‑ne di questo documento ha richiesto più di quattro anni e il lavoro di 400 tra i più autore‑voli scienziati e ricercatori e le principali agenzie di sviluppo e ONG mondiali. Lo IAASTD si è focalizzato sulla ricerca di modalità per ridurre la povertà e la fame, migliorare i mezzi di sostentamento rurali e la salute dell’uomo, e promuovere uno sviluppo sostenibile ed equo mediante una migliore comprensione delle conoscenze, scienze e tecnologie agri‑cole (Agricultural Knowledge, Science, and Technology, AKST).

Da tale rapporto è emerso soprattutto che l’approccio generalizzato applicato allo svi‑luppo agricolo non ha funzionato. L’agricoltura convenzionale non ha riconosciuto che l’agricoltura e gli ecosistemi locali sono legati da un rapporto di dipendenza reciproca. Lo IAASTD raccomanda di puntare di più sulle tecniche di coltivazione agro‑ecologiche, sullo sviluppo dei piccoli proprietari terrieri e su una maggiore implementazione delle cono‑scenze, scienze e tecnologie agricole a livello locale.

International Food Policy Research Institute (IFPRI):Millions Fed – Proven Successes in Agricultural Development (Milioni di persone sfamate – I successi dimostrati dello sviluppo agricolo)

(2009)

Ponendo al centro lo sviluppo agricolo si possono compiere importanti passi avanti per sconfiggere la fame e la malnutrizione, promuovere la crescita economica e ridurre la po‑vertà in alcuni dei paesi più poveri del mondo. Questo rapporto evidenzia una ventina di politiche, programmi e investimenti di successo relativi allo sviluppo agricolo a favore dei poveri in Africa, Asia e America Latina, e illustra come tali conquiste possano rappre‑sentare una lezione e una fonte d’ispirazione per l’attuazione di sforzi costanti in futuro.

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Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente:The Environmental Food Crisis (La crisi alimentare ambientale)

(2009)

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), a causa dei drammatici aumenti dei prezzi degli alimenti del 2008, 110 milioni di persone sono state ridotte in povertà e 44 milioni hanno cominciato a soffrire la fame. Il rapporto analizza le cause di questi bruschi aumenti dei prezzi e fornisce alcune raccomandazioni per ridurre la possi‑bilità che una simile crisi dei prezzi alimentari si verifichi in futuro.

Per limitare la volatilità dei prezzi alimentari nel breve termine, i leader internazionali possono creare delle riserve cerealicole che fungano da tampone in periodi di emergenza ed eliminare i sussidi per i biocarburanti che prevedono l’uso delle colture commestibili per la produzione di carburante. Nel medio termine, i leader devono incoraggiare i piccoli proprietari a sviluppare aziende agricole diversificate in grado di resistere agli agenti infe‑stanti, alle malattie e ai cambiamenti climatici, grazie all’introduzione di colture agro‑fore‑stali, bestiame e colture di copertura. Per combattere la volatilità dei prezzi nel lungo ter‑mine, i policy maker devono limitare gli effetti dei cambiamenti climatici mondiali incenti‑vando stili di vita contraddistinti da una maggiore efficienza energetica e promuovendo il potenziale dell’agricoltura come strumento di lotta contro le emissioni di gas serra.

Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite:Climate Change and Hunger (Cambiamenti climatici e fame)

(2009)

Il Programma alimentare mondiale considera i cambiamenti climatici come la sfida più significativa della nostra epoca e sottolinea come questi rappresentino una minaccia di fame, malnutrizione e insicurezza alimentare per milioni di persone, in particolare in Africa, nelle aree più povere del Sud e Sudest asiatico, e in alcune regioni dell’America Centrale.

Per affrontare tale problematica, il rapporto afferma che esiste un crescente consenso all’interno della comunità umanitaria internazionale sulla necessità di adattare i sistemi alimentari globali e locali mediante investimenti, trasferimenti di conoscenze e innova‑zioni, concentrandosi sul miglioramento sia dell’accesso al cibo sia della produzione ali‑mentare. Il Programma alimentare mondiale sottolinea che per tali processi è fondamen‑tale l’appoggio delle istituzioni locali, nazionali e internazionali, ed evidenzia il proprio ruolo in tali sforzi.

Bread for the World Institute:2011 Hunger Report – Our Common Interest: Ending Hunger and Malnutrition (Rapporto sulla fame 2011 – Il nostro interesse comune: porre fine alla fame e alla malnutrizione)

(2010)

Questo rapporto analizza il ruolo degli Stati Uniti nella battaglia globale contro la fame e le relative politiche estere di assistenza alimentare, e contiene raccomandazioni per il futuro.

La comunità globale si sta sempre più mobilitando per la riduzione della fame e della malnutrizione; Bread for the World afferma che la leadership statunitense può promuo‑vere l’azione internazionale e indica numerosi aspetti delle sue politiche che possono es‑sere rafforzati. In particolare, il rapporto mette in luce la nuova iniziativa Feed the Future (Nutrire il futuro) che, secondo Bread of the World, apre la strada per una politica di svi‑luppo efficace e sostenibile focalizzandosi su approcci locali bottom‑up. Tuttavia, Feed the Future presenta le stesse debolezze di altre organizzazioni statunitensi di sostegno allo sviluppo: la mancanza di capacità tecnica, finanziamenti e sostegno da parte del go‑verno. Secondo il rapporto è possibile affrontare tale problema mediante la riscrittura del Foreign Assistance Act (Legge sull’assistenza estera) del 1961 e fissando l’importanza della riduzione della povertà e dello sviluppo nella politica estera statunitense.

International Food Policy Research Institute (IFPRI):Food Security, Farming, and Climate Change to 2050 (Sicurezza alimentare, agricoltura e cambiamenti climatici entro il 2050)

(2010)

Negli ultimi decenni, la volatilità dei prezzi alimentari, la popolazione mondiale in cre‑scita e i problemi relativi alla produzione alimentare hanno reso sempre più difficile sfa‑mare i poveri del mondo, il che è ulteriormente aggravato dagli impatti dei cambiamenti climatici.

Questo rapporto esamina le sfide dei cambiamenti climatici e ne analizza gli effetti sulla sicurezza alimentare, individuando, tra l’altro, chi ne sarà principalmente interessato e quello che i policy maker possono fare per facilitare un adattamento di successo per il futuro.Gli esiti dello studio sono riassunti nei quattro messaggi principali che seguono: lo svi‑luppo economico diffuso è fondamentale per il miglioramento delle condizioni di vita; i cambiamenti climatici riducono alcuni benefici dell’aumento dei redditi; il commercio in‑ternazionale svolge un ruolo essenziale nella mitigazione di alcuni effetti dei cambiamen‑ti climatici, e grazie a opportuni investimenti in miglioramenti della produttività agricola si può aumentare la sicurezza alimentare e limitare gli impatti dei cambiamenti climatici.

Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura:The State of Food and Agriculture 2010‑2011 (Le condizioni alimentari e agricole 2010‑2011)

(2011)

Nei paesi in via di sviluppo, l’attività agricola è principalmente svolta dalle donne, le quali non hanno solitamente accesso ai diritti terrieri, all’istruzione o ai servizi finanziari. Que‑sto gap di genere si manifesta come un gap di produttività all’interno dell’azienda agri‑cola. Le agricoltrici sono capaci quanto gli uomini, ma a causa della mancanza di suppor‑to e risorse vedono ridurre i loro raccolti di circa il 20‑30%.

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La chiusura di questo gap di genere non solo favorirebbe il miglioramento delle condizioni delle donne e il rafforzamento delle comunità, ma potrebbe anche incrementare la produ‑zione agricola e sottrarre 150 milioni di persone da condizioni di fame. Il rapporto inoltre sostiene che se le donne assumono un ruolo paritario all’interno del proprio nucleo familia‑re aumentano la sicurezza alimentare, la nutrizione, l’istruzione e la salute dei loro figli che avranno poi una migliore possibilità di diventare cittadini produttivi e impegnati.

Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura:Save and Grow (Risparmiare e crescere)

(2011)

La FAO incoraggia gli agricoltori e i policy maker dei paesi in via di sviluppo a ripensa‑re i metodi omogenei di agricoltura intensiva della Rivoluzione verde. Un modo per tro‑vare un equilibrio tra l’aumento della produzione alimentare e l’ambiente è focalizzarsi sull’“intensificazione della produzione sostenibile di colture”, o SCPI (Sustainable Crop Production Intensification). Questo approccio all’agricoltura che si fonda sul motto “ri‑sparmiare e crescere” imita gli ecosistemi naturali, i flussi d’acqua e i cicli d’impollinazio‑ne, ma aggiunge degli input, come i fertilizzanti e i pesticidi nelle quantità previste, dove necessario. Queste tecniche si sono dimostrate efficaci, e si sono registrati aumenti della produzione media dell’80% in 57 paesi a basso reddito.

Fondazione Howard G. Buffett:The Hungry Continent: African Agriculture and Food Insecurity (Il continente affamato: l’agricoltura e l’insicurezza alimentare africana)

(2011)

Questo testo di 350 pagine analizza i fattori politici, economici e agronomici che hanno causato la povertà strutturale e la fame nel continente africano. Il rapporto suggerisce che la ripresa africana non avverrà mettendo in atto le stesse strategie utilizzate durante la Rivoluzione verde esplosa a metà del XX secolo in America Latina e in Asia meridionale, bensì mediante una Rivoluzione marrone che parta dal basso.

Questa Rivoluzione marrone si concentra sulle tecniche di produzione alimentare agro‑ecologiche, quali la conservazione del suolo, le colture di copertura, la semina di legumi, la lavorazione ridotta del terreno, e la semina su bacini. Questi metodi agricoli sono con‑traddistinti da una visione di sostenibilità a lungo termine che consentirà alle aziende agricole a gestione familiare di prosperare. Per favorire questo tipo di rinascita agricola, i promotori e i leader internazionali devono promuovere sistemi diversi e rigenerativi di natura inclusiva, non esclusiva, ossia sviluppare un’agricoltura specifica per il rispettivo clima, ecosistema e contesto geografico. Devono anche concentrarsi sull’agricoltura con‑servativa, utilizzando fertilizzanti organici e attuando una gestione del suolo che preve‑da la non lavorazione del terreno. I leader possono anche dare la priorità alle esigenze dei piccoli proprietari; in Africa, più del 73% degli agricoltori sono considerati piccoli pro‑prietari, quindi è essenziale che riescano a fare sentire la propria voce e a manifestare le proprie preoccupazioni sul tavolo delle trattative. Infine, i sostenitori devono impegnarsi attivamente per promuovere i benefici dell’agricoltura agro‑ecologica e soluzioni speci‑fiche adeguate al contesto e su scala ridotta per il problema della fame e della povertà.

The United Kingdom Government Office for Science/Foresight:The Future of Food and Farming: Challenges and Choices for Global Sustainability (Il futuro del cibo e dell’agricoltura: sfide e scelte per la sostenibilità globale)

(2011)

Il rapporto Foresight è frutto di un progetto di due anni che ha coinvolto più di 400 tra i principali esperti e stakeholder provenienti da 35 paesi, quali gli Stati Uniti, l’Unione Eu‑ropea, nonché dalla Banca Mondiale, dall’industria e dalla società civile e dal mondo ac‑cademico. Questo studio identifica le questioni alimentari e agricole critiche e individua possibili politiche e interventi per fronteggiare tali sfide.

Secondo il rapporto Foresight, il bilanciamento tra domanda e offerta futura, la volatilità dei prezzi degli alimenti, la riduzione delle emissioni di carbonio provenienti dall’agricoltura e la protezione della biodiversità rappresenteranno importanti ostacoli. Comunque, i lea‑der internazionali possono lavorare per bilanciare la domanda e l’offerta alimentare miglio‑rando la produzione sostenibile, implementando nuove scienze e tecnologie e riducendo gli sprechi di prodotti alimentari. Per combattere la fame e i cambiamenti climatici, i policy maker devono dare la priorità allo sviluppo rurale e alla eradicazione della povertà, incenti‑vare tecniche di produzione alimentare e stili di vita ad alta efficienza energetica e aiutare le popolazioni vulnerabili ad adattare i loro sistemi alimentari ai cambiamenti climatici.

Climate Change, Agriculture and Food Security (CCAFS), Commission on Sustainable Agriculture and Climate Change: Achieving Food Security in the Face of Climate Change(Raggiungere la sicurezza alimentare di fronte ai cambiamenti climatici)

(2011)

La Commission on Sustainable Agriculture and Climate Change è stata ideata nell’ambi‑to del programma di ricerca del CGIAR (Consultative Group on International Agricultural Research), il Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale in materia di cam‑biamenti climatici, agricoltura e sicurezza alimentare (CCAFS). La Commissione opera per individuare le azioni e i cambiamenti politici necessari per aiutare il mondo a raggiunge‑re la sicurezza alimentare di fronte ai cambiamenti climatici.

La Commissione si è focalizzata sulla raccolta delle evidenze esistenti che dimostrano che l’agricoltura sostenibile contribuisce alla sicurezza alimentare e alla riduzione della povertà e aiuta ad affrontare la problematica dell’adattamento ai cambiamenti clima‑tici e della relativa mitigazione. La Commissione ha cominciato i lavori all’inizio del 2011 e ha redatto la Sintesi per decisori politici, cui seguirà un rapporto completo nel 2012. Il documento contiene raccomandazioni di policy, quali: innalzare il livello di investimenti globali nell’agricoltura sostenibile, concentrarsi sulle popolazioni più vulnerabili e ridurre le perdite all’interno del sistema di produzione alimentare.

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27food for sustainable growth: cibo per una crescita sostenibile | le sfide del cibo

Agro-ecologia non significa un ritorno a pratiche antiche e superate. Al con-trario, si tratta di processi notevolmente complessi che si fondano su un’ap-profondita conoscenza delle realtà degli agricoltori e una chiara compren-sione degli ecosistemi locali. L’agro-ecologia imita la natura; invece di allon-tanare le coltivazioni e il bestiame dalla natura, i sistemi agro-ecologici pun-tano a integrare l’agricoltura e l’allevamento con l’ambiente.L’agro-silvicoltura, per esempio, è una valida dimostrazione di come l’agri-coltura e gli ecosistemi possono collaborare. In Indonesia, Kenya, Tanzania, Zambia e Malawi e in vari altri paesi prodotti come il mais, il frumento, il sorgo, il miglio e gli ortaggi vengono coltivati a fianco di piante di acacia, sesbania, gliricidia, tephrosia e faidherbia. Questi alberi fertilizzanti fanno ombra, offrono una maggiore disponibilità di acqua, prevengono l’erosione del suolo e arricchiscono il terreno di azoto, un fertilizzante naturale. Den-nis Garrity, ex direttore generale del World Agroforestry Centre (Centro mondiale per l’agro-silvicoltura), l’ha definita un’“agricoltura sempreverde”; integrando alberi con colture annuali e perenni si mantiene una copertura verde del suolo per tutto l’anno. Si possono utilizzare colture sia perenni sia annuali. Secondo Garrity, “guardiamo all’agricoltura sempreverde come a un modo che ci può effettivamente aiutare a reinventare l’agricoltura per realiz-zare in futuro coltivazioni climaticamente più intelligenti”.37

Questa “reinvenzione” non è in realtà stata concepita da ricercatori o scien-ziati, ma si tratta di una pratica in uso da generazioni presso gli agricoltori di aree come l’Africa subsahariana. “In Africa si è sempre fatto. E gli alberi che rendono attuabile questo sistema appartengono a varietà che in futuro milioni di altri agricoltori avranno a disposizione senza alcuna difficoltà”, afferma Garrity.38

L’integrazione degli alberi e delle colture può raddoppiare o persino tripli-care le rese rispetto a quelle ottenute da colture sprovviste di un simile riparo. Dato che le piante fissano l’azoto atmosferico e depositano la propria bio-massa e le foglie sulla superficie del terreno, questo diviene sempre più fer-tile, stimolando rese agricole più consistenti, soprattutto di cereali. Le piante provvedono inoltre a tutta una serie di servizi a favore dell’ecosistema, tra cui il sequestro del carbonio, la salvaguardia della biodiversità e la prote-zione delle coltivazioni dalla luce solare troppo intensa. Liberare terreni da destinare all’agricoltura, che ciò avvenga nella foresta amazzonica brasiliana o nella foresta pluviale del Congo, distrugge l’habitat di uccelli, vegetali e altre specie. E mentre le foreste e i pascoli si stanno ancora riducendo a ritmo sostenuto, il numero degli alberi presenti nelle fattorie, secondo il World Agroforestry Centre, sta in effetti aumentando. In alcune regioni del mondo, compresa l’America Centrale, oltre il 30% delle terre coltivate gode di una copertura arborea.39

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1.9 zootecnia integrata per la sostenibilità

Anche in Giappone e in altre regioni dell’Asia, gli agricoltori stanno cer-cando soluzioni per somministrare nutrienti alle colture senza dipendere da costosi fertilizzanti artificiali o pesticidi tossici, salvaguardando allo stesso tempo l’ambiente. Introducendo anatre e pesci al posto dei pesticidi per il controllo degli infestanti nelle risaie, questi agricoltori offrono alle proprie famiglie un’integrazione di proteine, oltre ad aumentare i propri redditi. Le anatre mangiano le erbacce e i semi, gli insetti e altri infestanti, contribuendo a ridurre la manodopera necessaria per il diserbo, e i loro escrementi appor-tano nutrienti alle piante di riso. In Bangladesh, l’International Rice Research Institute riferisce che grazie a questi sistemi le rese agricole hanno registrato un incremento del 20%. Gli agricoltori che li hanno messi in pratica hanno assistito a un aumento delle entrate nette dell’80%.40

Questi sistemi possono funzionare anche con altri animali. I sistemi agro-zootecnici misti in uso nelle comunità della Cina, delle Filippine e di Taiwan permettono agli agricoltori di allevare maiali, galline e pesci tilapia e coltivare riso nella stessa fattoria. Il letame ottenuto dai maiali serve per fertilizzare gli stagni in cui nuotano le tilapie, come pure le risaie. Questa tipologia di sistema genera pochi scarti e procura agli agricoltori fonti di alimentazione e reddito diversificate e sicure.41

L’adozione di pratiche agro-ecologiche aiuta inoltre gli agricoltori ad affron-tare meglio i disastri naturali. In uno studio condotto nel 2001, l’agro-eco-logista Eric Holt-Giménez ha messo a confronto fattorie “tradizionali” e “sostenibili” costruite su 880 appezzamenti di terreno con topografia simile in Honduras dopo il passaggio dell’uragano Mitch del 1999, che causò al paese danni per milioni di dollari. Lo studio ha evidenziato che le fattorie “sosteni-bili”, o quelle che avevano attuato pratiche di gestione della terra agro-ecolo-giche o sostenibili, nel periodo immediatamente successivo alla tempesta ave-vano mostrato una capacità di resistenza più elevata e una maggiore sostenibi-lità rispetto alle fattorie tradizionali.42

Il tifone Nesat che si è abbattuto sulle Filippine nell’ottobre 2011 ha mietuto almeno 90 vittime, causando al settore agricolo del paese danni stimati in 250 milioni di dollari. Ma gli agricoltori della regione di Luzon, nella parte settentrionale del paese, sostengono che il riso coltivato con il sistema di intensificazione del riso (detto SRI) ha mostrato una notevole resistenza ai forti venti e alle piogge copiose. Le pratiche SRI prevedono che le pianticelle vengano trapiantate quando sono ancora molto giovani e fatte crescere ampia-mente distanziate tra loro, aggiungendo al terreno del compost ottenuto da materiale organico, eliminando regolarmente le erbacce e utilizzando una quantità minima d’acqua invece di allagare i campi. Questo sistema favori-sce lo sviluppo di sistemi di radici più resistenti alla siccità e al contempo fa

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donna che sbuccia una manioca a ibadan, nigeriaIn molte regioni dell’Africa, la manioca è un alimento base fondamentale. L’International Institute of Tropical Agriculture (IITA) sta lavorando in Nigeria con gli agricoltori di manioca per svilupparne una varietà che sia resistente a malattie e parassiti e sia ad alta resa. L’introduzione di queste varietà migliorate ha già fornito cibo a circa 50 milioni di persone in Nigeria.

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30 eating planet

aumentare le rese e rinforza le piante esaltandone il gusto. Riducendo il fab-bisogno di acqua e l’impiego di fertilizzanti sintetici, pesticidi ed erbicidi, il sistema di intensificazione del riso aumenta la produttività delle risorse impie-gate nella coltivazione.43

Una ragione che spiega la resistenza alle tempeste è che in genere le piante di riso coltivate seguendo le pratiche SRI sono più forti. “Le piante coltivate secondo il SRI, oltre a presentare spighe più grosse e chicchi più numerosi e pesanti, sono provviste di sistemi di radici più estesi e spessi e di steli più robusti. Riescono a resistere alla forza di taglio meccanica del vento e della pioggia”, spiega Norman Uphoff, docente di government e agricoltura interna-zionale presso la Cornell University.44

Secondo Erika Styger, direttrice dei programmi promossi dal SRI Internatio-nal Network and Resources Center, il fatto che le pratiche SRI richiedano una maggiore distanza tra le piante ha anche contribuito a renderle più resi-stenti alle tempeste: “Con una minore densità, l’effetto domino delle piante che cadono l’una sull’altra per effetto di un forte vento ha minori probabilità di prodursi, diversamente da quanto accade con la popolazione tradizionale di piante ad alta densità caratterizzata inoltre da steli più deboli”.45

Che si tratti del sistema di intensificazione del riso nelle Filippine o dell’agro-silvicoltura nell’Africa subsahariana, una qualità che le pratiche agro-ecolo-giche sviluppano è la resistenza: alle forti variazioni dei prezzi, alle siccità, alle inondazioni e a eventi meteorologici estremi. Gli agricoltori non sono gli unici a beneficiare di questa resistenza, che va a vantaggio anche dei consu-matori, della natura, dell’economia e della salute pubblica.

food for health: cibo e salute

Ellen Gustafson, direttore esecutivo di 30 Project, vuole uscire a cena con voi. Nei luoghi più disparati, da San Francisco a Sioux City, raduna le per-sone attorno a una tavola imbandita con cibi nutrienti e prodotti localmente per parlare insieme delle prospettive di un sistema alimentare più salutare. Gustafson ha fondato 30 Project perché ritiene che fame e obesità abbiano le stesse radici: un’alimentazione inadeguata e un’infrastruttura agricola carente. Gustafson vuole essere certa che nel corso dei prossimi trent’anni creeremo un sistema agricolo salutare, sostenibile e praticabile. Le cene che organizza in tutti gli Stati Uniti invitando dirigenti d’azienda, agricoltori, giornalisti, genitori e difensori della salute pubblica contribuiscono ad aprire il dibattito. “Non importa dove vivete o chi siete”, afferma. “Potete organizzare una cena

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31food for health: cibo e salute | le sfide del cibo

incredibile in uno spazio improbabile e, seduti a tavola, avviare una conversa-zione veramente importante e significativa su quanto occorre fare per garan-tire che il cibo rappresenti uno strumento di cambiamento”.46

Questa conversazione è necessaria perché i collegamenti tra alimentazione, agricoltura e il modo in cui produciamo gli alimenti non sono sempre chiari. Secondo Meera Shekar, specialista-capo in salute e alimentazione per lo Human Development Network presso la Banca Mondiale, dobbiamo ricon-centrare il nostro impegno sull’alimentazione. In molti casi, gli investimenti compiuti a favore dell’agricoltura e della lotta contro la fame non hanno pro-dotto risultati concreti in termini di alimentazione, “che per molto tempo ha rappresentato un concetto estraneo all’agricoltura e anche alla comunità di coloro che soffrono la fame”, sostiene Shekar. Porre l’attenzione solo sulle rese agricole o sull’apporto calorico nel tentativo di sfamare la gente ha spesso interferito con la fornitura di nutrienti di importanza davvero vitale, soprat-tutto per i bambini ancora in grembo e di età inferiore ai tre anni.47

1.10 non solo calorie

Gli enti finanziatori, i donatori e i governi tendono ancora a focalizzarsi sulle calorie piuttosto che sui nutrienti. Nel corso degli ultimi vent’anni, la pro-duzione di alimenti dell’Africa subsahariana e dell’Asia si è concentrata più sulle commodity di base, quali il mais, il frumento e il riso, e meno su pro-dotti alimentari autoctoni, come il miglio, il sorgo e gli ortaggi. E sebbene per le popolazioni africane, in particolare, la maggior parte dell’apporto calorico derivi da colture amidacee, i finanziamenti per condurre ricerche su come rendere appetibili e nutrienti questi alimenti di base ricchi di amido sono stati esigui. Nel 2002, il Gruppo consultivo per la ricerca agricola internazionale ha investito 118 milioni di dollari in ricerche sui cereali, ma soltanto 15,7 milioni di dollari in ricerche su frutta e verdura.48

Per la gran parte dei poveri del mondo, sfortunatamente, le verdure sono un bene di lusso. Numerosi agricoltori che un tempo coltivavano ortaggi hanno dovuto orientarsi verso la coltivazione di prodotti di base. Ma ignorare la frutta e la verdura può comportare conseguenze disastrose. La produzione di ortaggi è il modo più sostenibile ed economico per cercare di rimediare alle carenze di micronutrienti diffuse tra gli indigenti. Sovente denominata fame nascosta, la carenza di micronutrienti, tra cui la mancanza di vitamina A, ferro e iodio, colpisce circa un miliardo di persone in tutto il mondo. Que-ste carenze causano un inadeguato sviluppo mentale e fisico, cecità e anemia, soprattutto nei bambini, e inducono un deterioramento delle prestazioni lavo-rative e scolastiche, indebolendo ulteriormente comunità già provate dalla povertà e da altri problemi sanitari.49

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32 eating planet

1.11 il ruolo delle verdure

Dyno Keatinge, direttore generale di AVRDC – The World Vegetable Center, un istituto di ricerca che opera in Asia e Africa, descrive con estrema chiarezza l’importanza della verdura nella dieta dei bambini. In Mali, Niger, nelle Filip-pine, in Tanzania e in altri paesi, ridotti consumi di verdure sono correlabili a tassi di mortalità più elevati nei bambini sotto ai cinque anni. Al contrario, aumentando il consumo di verdura si assiste a una riduzione nel tasso di morta-lità e a un aumento nel peso medio dei bambini (figura 1.3).In Niger, per esempio, ogni persona può disporre giornalmente di circa 100 grammi di verdura, che rappresenta il valore all’estremità inferiore di una scala che arriva fino a 800 grammi. Non c’è da stupirsi che il Niger abbia tra le più alte percentuali di malnutrizione e mortalità infantili del mondo.50

Non è tuttavia la mancanza di verdure e di altri cibi nutrienti nella nostra dieta l’unica causa di varie affezioni e patologie. I paesi caratterizzati da redditi medi e bassi sono frequentemente caricati del duplice fardello della denutrizione e della sovralimentazione. L’obesità e la malnutrizione sono i sintomi più ovvi e penosi di un sistema alimentare che si è guastato. Oltre due miliardi di persone in tutto il mondo soffrono di una di queste patologie. Mentre viene riservata una considerevole attenzione ai tassi di malnutrizione che affliggono le nazioni

figura 1.3

Disponibilità di verdura e mortalità infantileNota: disponibilità nazionale di verdura associata a: (a) decessi in età prescolare e (b) malnutrizione nell’infanzia (<5 anni).Fonte: FAOSTAT 2010 e WHO 2011.

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disponibilità di verdura (g/persona/giorno)

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uva spina biologica di vadodara di gujarat, indiaLa Self‑Employed Women’s Association (SEWA) insegna alle donne contadine pratiche di agricoltura biologica per coltivare il riso, la frutta e la verdura. La SEWA è una rete di cooperative, gruppi di auto‑aiuto, banche e centri di formazione che promuovono l’empowerment sociale, economico e politico delle donne.

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povere, i ricercatori e i policy maker si sono mostrati più disattenti nei confronti della diffusione delle malattie non trasmissibili (MNT), come le malattie car-diovascolari e respiratorie e il diabete di tipo 2, che affondano le loro radici in diete poco salutari e inadeguate. Il 63% delle cause di morte a livello globale è da attribuirsi a malattie non trasmissibili e si ritiene che questa percentuale sia destinata a salire.51

Secondo quanto afferma Olivier De Schutter, “i nostri sistemi alimentari gene-rano persone malate e la mancanza di un intervento deciso su questo problema uccide ogni anno quasi 3 milioni di adulti”. Secondo le ricerche condotte dal Chicago Council on Global Affairs, tra ora e il 2030, le malattie non trasmis-sibili genereranno costi pari a 30 mila miliardi di dollari a livello mondiale. Rachel Nugent, vicedirettrice del Dipartimento di Sanità globale presso il Con-siglio, spiega: “I costi derivanti dalla gestione delle MNT stanno lievitando tanto nei paesi ricchi come in quelli poveri. È evidente che da solo il settore sanitario non è in grado di prevenire tutte queste morti premature e patologie croniche, e i poveri del mondo sono i soggetti più vulnerabili”.52

L’Istituto internazionale di ricerca sulle politiche alimentari (IFPRI) ha inol-tre riconosciuto che i settori della sanità e dell’agricoltura devono unire le forze per affrontare i problemi della malnutrizione, dell’obesità e altre problematiche sanitarie legate all’alimentazione. La conferenza dell’IFPRI che si è tenuta nel febbraio 2011 a Nuova Delhi, “Leveraging Agriculture for Improving Nutrition and Health”, ha richiamato scienziati, ricercatori, ONG e policy maker di tutto il mondo per discutere su questi temi.53

Durante la conferenza, il direttore generale dell’IFPRI, Shenggen Fan, ha dichiarato: “Ci troviamo di fronte ad alcune importanti sfide: la fame, la mal-nutrizione e la salute precaria negano a miliardi di persone l’opportunità di condurre una vita sana, produttiva e in condizioni di alimentazione adeguate. Tutti i nostri sforzi, che siano nel campo dell’agricoltura, dell’alimentazione o della salute, sono collegati tra loro in modo inestricabile. Avremo maggiori pro-babilità di vincere queste sfide se comprenderemo questi collegamenti e li atti-veremo a beneficio della gente”.54

1.12 portare il cibo sano ovunque

La creazione di questi legami per rendere l’agricoltura più sana si sta realiz-zando, e non solo nei laboratori o durante i convegni, ma anche alla base, nelle cucine e nei cortili di tutto il mondo. Un modello di successo è rappresentato dal Food Trust, con sede negli Stati Uniti, nella zona nord di Filadelfia. Il Trust svolge programmi relativi ai sistemi alimentari e all’alimentazione in contesti comunitari che hanno contribuito a dimezzare il numero di bambini obesi di quell’area. Un altro programma americano di portata più ampia è Food Corps, una delle iniziative più recenti nell’ambito del programma AmeriCorps. Food

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35food for health: cibo e salute | le sfide del cibo

Corps lavora per combattere l’epidemia di obesità infantile che affligge il paese attraverso l’educazione alimentare, l’allestimento di orti scolastici e programmi di refezione scolastica e attività educative svolti dalle fattorie in collaborazione con le scuole. I membri del servizio Food Corps collaborano con organizzazioni locali in tutto il paese contribuendo a sostenere iniziative nate nelle comunità in linea con le esigenze locali, apportando anche nuovi stimoli e nuove idee.55

Sebbene il programma sia relativamente recente (è stato creato nel 2009 ed è divenuto operativo nel 2010), ha già ottenuto considerevoli risultati. In media ai bambini americani vengono impartite solo poche ore di educazione alimen-tare all’anno, che diventano almeno dieci nelle scuole che collaborano con Food Corps. L’ente ha ottenuto il supporto di attivisti nel campo delle politiche ali-mentari, fondazioni e media nazionali, e il loro contributo potrebbe aiutare l’ente a raggiungere il suo ambizioso obiettivo di ridurre il tasso di obesità infantile fino a condurlo al di sotto del 5% entro il 2030.56

Nel 2010 ha avuto inoltre inizio il programma Let’s Move voluto dalla Casa Bianca e patrocinato dalla First Lady Michelle Obama.

1.13 l’importanza dell’informazione

Molti consumatori semplicemente non sanno quali cibi siano nutrienti. Ma i ricercatori come Chuck Benbrook dell’Organic Center, con sede negli Stati Uniti, aiutano i consumatori a prendere decisioni più consapevoli in campo alimentare. Recentemente, il Centro ha pubblicato il proprio indice di qualità nutrizionale, un nuovo strumento che assiste i consumatori nell’identificare opzioni alimentari intelligenti e ricche di sostanze nutrienti. L’indice di qualità nutrizionale fornisce una misurazione completa e supportata da dati dei bene-fici offerti da singoli alimenti, pasti e diete giornaliere ed è l’unico sistema di profilazione che esegue una stima della qualità nutrizionale complessiva sulla base di 27 nutrienti, comprese le vitamine e i minerali. Permette ai consuma-tori, agli agricoltori e ai ricercatori di scoprire quali alimenti rappresentano “l’affare migliore” da un punto di vista nutrizionale.57 Peraltro, da tempo l’Uni-ted States Department of Agriculture (USDA) ha costituito e gestisce un data base dove si trovano classificati tutti i prodotti alimentari, dei quali fornisce la composizione.Istruire gli agricoltori su come coltivare e i consumatori su come acquistare prodotti agricoli più nutrienti è importante, ma dobbiamo anche imparare a preparare e cucinare gli ortaggi in modi che ne preservino le proprietà nutri-tive. Spesso le verdure vengono cotte così a lungo da perdere la maggior parte dei nutrienti. Per risolvere questo problema, il World Vegetable Center lavora insieme alle agricoltrici dell’Africa subsahariana per migliorare il valore nutri-zionale dei cibi cotti abbreviandone i tempi di cottura. Le donne scoprono così

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che il gusto del cibo è migliore, risparmiando una notevole quantità di tempo e combustibile per cucinare.58

1.14 il ruolo delle strutture sanitarie

Per quanto possa sorprendere, la carenza di cibi nutrienti è riscontrabile anche in numerosi ospedali. Anche gli ospedali dei paesi ricchi possono cadere su questo punto: il Texas Children’s Hospital di Houston, per esempio, ospita un ristorante McDonald’s. Anche presso gli ospedali della California, dell’Ohio, del Minnesota e di vari altri stati si possono trovare dei fast food.59

Health Care Without Harm (HCWH), un raggruppamento internazionale di ospedali e strutture sanitarie, medici, infermieri, difensori della salute pubblica, sindacati, organizzazioni ambientaliste e gruppi religiosi, sta facendo leva sul potere di acquisto degli ospedali e delle strutture sanitarie per sostenere pro-dotti alimentari più nutrienti ed ecocompatibili. Il Catholic Healthcare West, un circuito di 41 ospedali presente in Arizona, Nevada e California e membro dell’HCWH, ha annunciato quest’estate la creazione di una partnership con il produttore newyorkese Murray’s Chicken per la fornitura agli ospedali del gruppo di polli allevati senza additivi e mangimi contenenti antibiotici o arse-nico. “Per allevare i polli non servono né arsenico né antibiotici” afferma David Wallinga, un medico dell’Istituto per le Politiche Agricole e Commerciali, il cui staff ha co-fondato l’HCWH e promosso questa iniziativa alimentare. “Ma ciò non ha impedito all’industria del pollame di perseverare in questa pratica durante tutti gli ultimi 60 anni. Fare in modo che i gruppi ospedalieri comin-cino ad avanzare queste richieste ai propri fornitori di carne ha iniettato una dose di salutare buonsenso in un sistema alimentare altamente industrializzato nel quale spesso la salute è l’ultima delle preoccupazioni”.60

In Sudafrica, i pazienti sieropositivi e malati di AIDS presso il Chris Hani Baragwanath Hospital di Soweto, una delle township di Johannesburg, oltre a consumare cibi più nutrienti, provvedono loro stessi a coltivarli. Nel 2006 Gar-denAfrica, un’ONG con sede nel Regno Unito, ha collaborato con l’organiz-zazione HIV South Africa per realizzare un “orto-scuola” di un ettaro presso il Baragwanath Hospital, l’ospedale più grande di tutto l’emisfero meridionale. I pazienti ricoverati nei reparti ospedalieri imparano tecniche di permacultura, irrigazione e conservazione dell’acqua, frequentano lezioni sul cibo, sull’alimen-tazione e sulle piante medicinali autoctone. Sono poi i pazienti stessi a coltivare e raccogliere i prodotti dell’orto, portando a casa ortaggi, frutta ed erbe aroma-tiche ricchi di sostanze nutritive.61

“Spesso non viene fatto il collegamento tra assistenza sanitaria e alimentazione, nemmeno da parte dei professionisti sanitari”, afferma Georgina McAllister, co-fondatrice di GardenAfrica. “Gli ospedali e le cliniche comunitarie hanno le

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37food for culture: cibo e cultura | le sfide del cibo

caratteristiche giuste per realizzare dei progetti di orticoltura significativi. Sono provvisti di alte mura e di guardie a protezione delle piante; inoltre, centinaia di persone vanno e vengono ogni giorno. Si tratta anche di un’opportunità unica per stimolare le persone a stabilire un collegamento tra ciò che mangiano e la propria salute, creando approcci sostenibili alla salute e al benessere”.62

E presso l’Angkor Hospital for Children di Siem Reap (AHC), in Cambogia, le famiglie dei bambini ricoverati ricevono del cibo che possono preparare nella cucina comune allestita all’esterno, dove un cuoco insegna loro a cucinare e nozioni di alimentazione. L’ospedale dispone anche di un orto, che offre alle famiglie l’occasione di imparare quali prodotti agricoli nutrienti sono coltivabili localmente. I corsi di cucina giornalieri e la distribuzione gratuita di sementi da portare a casa incoraggiano i pazienti ad allestire il proprio orto dome-stico. L’azione dell’AHC prevede anche la programmazione di un follow up dei pazienti per controllare gli orti, insegnare loro tecniche base di igiene e preven-zione delle malattie e scavare pozzi per assicurare alle comunità l’accesso all’ac-qua pulita.63

Con cibo, alimentazione, e politiche agricole migliori e più efficaci – e miglio-rando la comunicazione tra gli operatori e i difensori della salute pubblica e la comunità agricola – si può andare oltre l’esclusivo obiettivo di aumentare le rese agricole e l’apporto calorico e realizzare così un sistema alimentare migliore.

food for culture: cibo e cultura

Nei villaggi fuori Kampala, in Uganda, sta accadendo qualcosa di insolito tra i giovani dell’ambiente rurale. Per la prima volta, molti di loro sono entusiasti di occuparsi di agricoltura e invece di trasferirsi in città subito dopo avere termi-nato la scuola primaria, sono in tanti a scegliere di rimanere presso le proprie comunità di origine per occuparsi del sistema alimentare.64 Betty Nabukalu, una studentessa di 16 anni che frequenta la scuola secondaria di Kisoga, gesti-sce l’orto della scuola. Ha spiegato come il progetto abbia insegnato ai nuovi studenti metodi per piantare gli ortaggi. “Prima – racconta – ci limitavamo a piantare i semi”. Ma ora sia lei sia gli altri studenti sono capaci di concimare il terreno con il letame e il compost e di mettere da parte i semi dopo il raccolto. Betty aggiunge che, oltre a essere in grado di produrre loro stessi il cibo, hanno scoperto che possono anche ricavare un guadagno vendendolo.65

La scuola di Kisoga ha portato avanti questo programma con l’aiuto del pro-getto Developing Innovations in School Cultivation (DISC, Sviluppo di inno-vazioni nella coltivazione a scuola), che aiuta anche a sviluppare le capacità di leadership. Betty rappresenta gli studenti della scuola presso lo Slow Food

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Convivium (i convivi sono gruppi di membri di Slow Food International che si dedicano alla salvaguardia delle culture alimentari locali). Il progetto DISC fa ora parte dell’iniziativa “Mille orti in Africa” di Slow Food International, che intende realizzare orti comunitari in tutto il continente. Grazie al DISC, gli studenti non vedono più l’agricoltura come l’ultima spiaggia, bensì come un’at-tività piacevole, intellettualmente stimolante e che procura un buon reddito.66

1.15 rilanciare i sistemi agricoli

Malauguratamente, tanto i giovani dei paesi ricchi quanto quelli dei paesi poveri che desiderano intraprendere carriere produttive nell’agricoltura, si trovano ad affrontare seri ostacoli. L’Organizzazione internazionale del lavoro delle Nazioni Unite riporta che tra il 2008 e il 2009, la disoccupazione giovanile mondiale ha subito il maggiore incremento annuo mai registrato, passando dall’11,8% al 12,7%, vale a dire un aumento di 4,5 milioni di giovani disoccupati in tutto il mondo. Questo dato induce un’ovvia insicurezza economica e, in alcuni casi, contribuisce a causare delle rivoluzioni. Le sollevazioni che hanno recentemente avuto luogo in Egitto, Tunisia, Yemen e altrove sono in larga misura guidate da giovani arrabbiati che protestano contro i prezzi elevati degli alimenti e dei com-bustibili, la mancanza di posti di lavoro e altre ingiustizie sociali.67

La frattura tra i giovani e il sistema alimentare globale continua a crescere. I giovani che vivono in Italia, negli Stati Uniti, in Thailandia o in Togo, non crescono sognando di divenire agricoltori e i consumatori di tutto il mondo hanno perso le abilità culinarie di base perché si affidano spesso ai cibi pronti. La diversità agricola sta venendo meno: la parte più consistente dei regimi ali-mentari dei paesi ricchi è composta da sei alimenti, tra cui mais, frumento, riso e patate. L’agricoltura come sbocco lavorativo viene snobbata e spesso conside-rata appannaggio dei poveri o di chi non ha altre scelte. E poiché gli agricoltori non hanno accesso ai mercati, per loro è difficile riuscire a ricavare un reddito dal proprio lavoro.L’impegno a individuare modi per migliorare le prospettive dei giovani attra-verso l’agricoltura è stato al centro di un evento tenutosi nell’ottobre 2011 presso il Field Museum di Chicago. I partecipanti hanno ascoltato Bill Guyton, presidente della Fondazione Mondiale del Cacao, Yaa Peprah Agyeman Amekudzi della Kraft Foods e Laté Lawson-Lartego di Care Usa che hanno parlato di come rendere l’industria del cacao più redditizia ed ecocompatibile coinvolgendo i giovani. Hanno sottolineato non solo l’importanza di migliorare il controllo delle malattie, produrre cioccolato organico o impedire l’adozione di pratiche inique di lavoro infantile – sebbene tutto questo sia già in corso – ma anche la necessità di assicurare che le zone rurali del Ghana, dell’Indonesia, del Togo e di altre regioni dedite alla coltivazione del cacao siano realtà attive,

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frutto del cacao, togoQuasi il 70% della fornitura mondiale di cacao, l’ingrediente principale di ogni barretta di cioccolato, viene dall’Africa occidentale, dove circa 16 milioni di persone dipendono da questa coltura come prima fonte di reddito. Purtroppo, molte piante di cacao della regione sono esposte a malattie. Per aiutare queste comunità, gruppi come il World Cocoa Foundation stanno sostenendo programmi che incoraggiano la produzione sostenibile di cacao.

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in cui i giovani desiderino vivere e lavorare. Amekudzi, per esempio, ha spie-gato come Kraft, in collaborazione con l’azione Empowering Cocoa House-holds with Opportunities and Education Solutions (Echoes) della Fondazione Mondiale del Cacao, abbia raggiunto oltre 5.000 studenti in Ghana e in Costa d’Avorio. Il programma Earthshare promosso da Cadbury, una controllata di Kraft Foods, sta lavorando insieme ad agricoltori e studenti delle università locali per analizzare l’ecosistema locale e le tecniche di produzione del cacao ad Ajeikrom, in Ghana. Questo ha permesso di attuare un utilizzo più intelligente del suolo e di ottenere un aumento della produzione e un interesse più marcato verso l’agricoltura da parte dei giovani.68

1.16 nuove tecnologie informatiche e di comunicazione

Un altro strumento per aiutare i giovani ad appassionarsi maggiormente all’agricoltura è l’introduzione di tecnologie informatiche e comunicative. Un abitante dell’Africa su quattro e uno dell’Asia su tre ha già accesso a un tele-fono cellulare. Basta visitare le regioni più remote dell’Etiopia e dell’India per rendersi conto che gli agricoltori si servono dei telefoni cellulari non solo per comunicare tra loro, ma anche per avere informazioni sul tempo o sui mercati oppure per eseguire operazioni finanziarie e bancarie.Migliorare l’accesso degli agricoltori alle informazioni costituisce infatti un modo per assicurarsi che essi abbiano a disposizione le informazioni relative ai mercati. Le tecnologie informatiche e delle comunicazioni, per esempio i tele-foni cellulari, permettono agli agricoltori di ricevere le informazioni in tempo reale sui prezzi, aiutandoli a prendere decisioni più informate sulle produzioni agricole. Servizi come FrontlineSMS non solo procurano informazioni in tempo reale sui prezzi degli alimenti, ma consentono anche agli agricoltori di rimanere in contatto tra loro e con potenziali clienti, ampliando le dimensioni dei loro mercati.69

Le tecnologie dei telefoni cellulari e informatiche sono particolarmente impor-tanti per le agricoltrici perché contribuiscono ad abbattere le barriere di genere: le donne possono accedere alle stesse informazioni dei loro colleghi agricoltori tramite un messaggio o Internet, il che non sempre accade quando le informa-zioni vengono trasmesse mediante passaparola da un agricoltore all’altro o dai divulgatori agricoli agli agricoltori.70

Anche le università e i college stanno intensificando i propri sforzi per educare la prossima generazione di agricoltori e imprenditori. I programmi di sviluppo agricolo si sono per lo più concentrati sul miglioramento delle tecniche di pro-duzione trascurando lo sviluppo delle competenze manageriali necessarie per gestire con successo le imprese agricole. Earth University del Costa Rica, per esempio, ora insegna agli agricoltori ad adottare approcci più imprenditoriali

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41food for culture: cibo e cultura | le sfide del cibo

e agli studenti a migliorare le rese agricole attraverso pratiche agricole e di col-tivazione integrata sostenibili. Earth ritiene che lo sviluppo di imprese sosteni-bili, comprese le aziende agricole familiari e di piccole dimensioni, sia un modo decisivo per sradicare la povertà.71

Earth University si assicura inoltre che i suoi studenti interagiscano con gli agricoltori locali, contribuendo a gettare un ponte tra mondo accademico e comunità rurali. Gli studenti della Earth University entrano in contatto con le sfide che queste comunità devono affrontare, tra cui la mancanza di input, di istruzione e di accesso ai mercati. Il contributo degli studenti consiste nell’inse-gnare agli agricoltori a impiegare tecniche agricole di precisione, a ridurre l’uso dei pesticidi e a commercializzare meglio i loro prodotti. Nel 2005, Earth ha lanciato la Scuola Aperta per Agricoltori, presso la quale i piccoli proprietari terrieri possono seguire lezioni su tecniche di coltivazione avanzate e pratiche commerciali.72

Oltre ai programmi formativi attuati in America Latina, Earth University ha messo a punto un kit di strumenti innovativi per ampliare l’offerta dei corsi universitari di istituzioni accademiche africane partner attraverso lo sviluppo di competenze imprenditoriali. Secondo Wendy Judy, direttrice del settore che si occupa delle fondazioni, della redazione delle richieste di finanziamento e del collegamento con le università di Earth, “il kit di strumenti amplierà la possibi-lità delle università di fornire la leadership imprenditoriale indispensabile per ren-dere l’agricoltura dell’Africa economicamente competitiva, socialmente responsa-bile ed ecosostenibile in un’economia mondiale sempre più globalizzata”.73

1.17 la divulgazione “sul campo”Un ostacolo che tutti gli agricoltori del mondo si trovano ad affrontare è la mancanza di servizi di divulgazione agricola. Negli Stati Uniti, la flessione nel numero di fattorie a gestione familiare o di piccole dimensioni ha condotto alla scomparsa degli uffici di divulgazione agricola in numerose comunità rurali. Nell’Africa subsahariana, i divulgatori agricoli che tradizionalmente fornivano informazioni agli agricoltori sulle condizioni atmosferiche, sulle nuove varietà di sementi o sulle tecnologie di irrigazione, sono stati sostituiti da commercianti di prodotti per l’agricoltura che vendono fertilizzanti artificiali o pesticidi, spesso con scarsissime conoscenze o formazione su come utilizzare questi strumenti.Esistono, però, dei casi in cui questa tradizione ancora resiste. In Ghana tanto i giovani quanto i vecchi agricoltori beneficiano ancora di divulgatori agri-coli assai preparati. Presso il Dipartimento dell’Economia e della divulgazione agricola della Cape Coast University, nel Ghana meridionale, le lezioni non si svolgono solo in classe ma letteralmente nei campi e nelle fattorie di tutto il paese. Nell’ambito di un programma teso a migliorare i servizi di divulgazione

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agricola, i divulgatori lavorano insieme ai docenti per individuare metodi per migliorare la produzione di alimenti nelle rispettive comunità. I divulgatori sono selezionati in tutto il paese dal Ministero dell’Agricoltura e dall’università, dove vengono formati per imparare a condividere meglio le proprie competenze e conoscenze con gli agricoltori. Dopo avere frequentato per un anno i corsi presso la sede universitaria, gli studenti tornano alle proprie comunità per appli-care quanto hanno appreso nell’ambito dei SEP, i progetti d’impresa supervisio-nati. “I SEP offrono agli studenti-lavoratori l’opportunità di scoprire che alcune tecnologie speciali, indipendentemente da quanto possano sembrare innovative in classe, non sempre rispondono efficacemente alle esigenze delle comunità”, afferma Ernest Okorley, direttore del dipartimento. I SEP li aiutano anche a mettere in pratica alcune delle abilità comunicative che hanno appreso durante i corsi e che permettono loro di inserirsi in modo più efficace nelle comunità in cui operano. Anziché dire semplicemente agli agricoltori di usare un particolare tipo di semente o una certa marca di pesticidi o fertilizzanti, ora i divulgatori stanno imparando ad ascoltare gli agricoltori e ad aiutarli a individuare le inno-vazioni che meglio si adattano alle loro specifiche esigenze. “Uno degli aspetti più belli del programma”, sostiene il dottor Okorley, “consiste nella ricerca e nella sperimentazione sul campo”. Aggiunge: “Questo lascia all’ambiente il compito di insegnarci ciò che va fatto”.74

1.18 incentivare l’occupazione dei giovani

Le cooperative sono in grado di offrire vantaggi soprattutto ai gruppi più emar-ginati, tra cui le donne e i giovani, ai quali diversamente sarebbe negato l’ac-cesso ai mercati o ai servizi finanziari. I piccoli proprietari terrieri traggono molteplici benefici dall’inserimento in cooperative agricole, come un aumento del loro potere contrattuale e la condivisione di utensili, macchinari, mezzi di trasporto e altre risorse. E le cooperative creano posti di lavoro: nel mondo, le cooperative contano oltre 800 milioni di soci e forniscono 100 milioni di posti di lavoro, il 20% in più rispetto alle società multinazionali.75

Anche nei paesi ricchi si stanno mettendo in collegamento agricoltura e istru-zione per aiutare i giovani a trovare modi concreti per inserirsi nel sistema ali-mentare. In Italia, l’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Torino) sta mettendo a punto alcune strategie per combinare la passione degli esperti di gastronomia con la scienza dell’agricoltura. Questa università è stata fondata nel 2004 da Slow Food International con lo scopo di incoraggiare gli studenti ad apprendere approcci e strumenti per rinnovare i metodi di coltivazione tradizio-nale e proteggere la biodiversità, imparando allo stesso tempo l’importanza dei cibi tradizionali e il collegamento tra la fattoria e il piatto. L’università svolge corsi di antropologia degli alimenti, culture del cibo e politica e sostenibilità

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il mercato del pesce di port de pêche a nouakchott, mauritaniaIl pesce è una fonte importante di proteine per le comunità costiere. Ma la pesca eccessiva rappresenta una grave minaccia per questa risorsa preziosa: la FAO stima che il 53% delle risorse ittiche sia esaurito. Per questo i pescatori sono costretti a spingersi sempre più lontano prima di tornare a casa con il pesce destinato al consumo e alla vendita.

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alimentari e gli studenti partecipano a viaggi di studio per analizzare i sistemi alimentari regionali. Di conseguenza, questi studenti sviluppano un rapporto più stretto con il cibo che mangiano e le persone che lo coltivano, indipenden-temente da quelle che saranno le loro future carriere.76

i tre obiettivi del cibo

È chiaro che ci occorre una ricetta migliore per fare sì che l’agricoltura contri-buisca alla salute, alla sostenibilità ambientale, alla generazione di reddito e alla sicurezza alimentare. Gli ingredienti varieranno da paese a paese e da regione a regione, ma esistono alcune componenti chiave che permetteranno di realizzare ovunque sistemi alimentari più salutari.1. Investire in sistemi alimentari agro-ecologici. Sebbene numerosi rapporti auto-revoli evidenzino la necessità di investire più copiosamente in soluzioni agro-ecologiche per alleviare la fame e la povertà, molto poco viene fatto per assi-curare che gli agricoltori vengano a conoscenza di queste soluzioni. Nell’otto-bre 2011, il filantropo-agricoltore Howard Buffett ha lanciato un appello alla comunità dello sviluppo agricolo affinché “si faccia sentire e si dia da fare” per garantire che la produzione agricola sostenibile sia “rimessa sul tavolo” in occasione degli incontri annuali sul cambiamento climatico, della Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si terrà nel 2012 a Rio e con ognuno dei grandi finanziatori dell’agricoltura e governi del mondo.77

Nel marzo 2012, l’iniziativa Landscapes for People, Food and Nature (LPFN) riunirà agricoltori, policy maker, aziende alimentari, enti di conservazione della natura e organizzazioni di comuni cittadini durante una conferenza che avrà luogo in Kenya, a Nairobi, in uno dei numerosi incontri organizzati con il fine di sviluppare una strategia a lungo termine per potenziare e sostenere le solu-zioni agro-ecologiche. Secondo Erik Nielsen di EcoAgriculture Partners, l’orga-nizzazione che promuove l’iniziativa LPFN, “considerato che oltre due terzi del suolo terrestre sono contrassegnati da terreni coltivati, pascoli seminati o terreni utilizzati per altre pratiche agricole, è fondamentale potenziare questi sistemi integrati per combattere sia la fame sia il degrado ambientale”.78

L’iniziativa LPFN sta documentando in tutto il mondo i progetti di agricol-tura integrata allo scopo di potenziare le politiche, gli investimenti, lo sviluppo delle competenze e la ricerca a sostegno della gestione sostenibile della terra. Questo tipo di ricerca può incoraggiare i policy maker a ricominciare a inve-stire nell’agricoltura, dopo il drastico calo dei fondi registrato negli ultimi tre decenni. Eppure, iniziative come Feed the Future, il programma di sicurezza alimentare degli Stati Uniti, e il Programma globale per l’agricoltura e la sicu-

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rezza alimentare (Global Agriculture and Food Security Program, GAFSP) potrebbero avere un impatto enorme sulla malnutrizione, sull’accesso ai mercati e sui redditi degli agricoltori, se solo fossero interamente finanziati. Purtroppo, a queste due iniziative è arrivato ben poco dei miliardi di dollari promessi in donazione da paesi, aziende private e ONG.79

2. Riconoscere i molteplici benefici offerti dall’agricoltura. Gli agricoltori sono uomini e donne d’affari, educatori e custodi della terra. A mano a mano che aumenteranno le sfide nel mondo dell’agricoltura, diverrà sempre più importante individuare modalità per ricompensare gli agricoltori per i molteplici ruoli che svolgono. Le donne, per esempio, in alcuni paesi costituiscono ben l’80% della forza lavoro agricola, ma sono loro preclusi i servizi di base, tra cui il possesso della terra, l’istruzione e l’accesso alle banche. Il Food, Agriculture and Natural Resources Policy Analysis Network sta aiutando le comunità e i policy maker a comprendere i diritti delle donne e a coinvolgerle nei processi decisionali e lo sta facendo attraverso metodi innovativi, come il teatro comunitario, che offre uno strumento gradevole per discutere di queste sfide in un’atmosfera di apertura.80

Un altro strumento innovativo consiste nel ricompensare gli agricoltori per i servizi che le loro terre forniscono a favore dell’ecosistema. Rainforest Alliance, per esempio, collabora con oltre 200 milioni di agricoltori dell’America Latina, dell’Asia e dell’Africa per far sì che al cacao, al caffè, alle banane e agli altri pro-dotti coltivati secondo principi di sostenibilità venga applicato un prezzo supe-riore per i consumatori delle nazioni ricche. Questi agricoltori producono le materie prime per innumerevoli prodotti e al contempo proteggono uccelli, ani-mali selvatici e specie vegetali in alcuni degli ecosistemi più fragili del pianeta. Grazie ad altri progetti, gli agricoltori cominceranno a ricevere un compenso per il sequestro del carbonio nei loro terreni. Nei prossimi cinquant’anni, gli agricoltori africani potrebbero sequestrare 50 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (corrispondenti a circa un intero anno di emissioni globali) dall’at-mosfera, principalmente piantando alberi in mezzo alle coltivazioni, occupan-dosi della gestione delle foreste circostanti e tenendo coltivati i propri terreni per la maggior parte dell’anno. Sono in corso circa 75 di questi progetti in 22 paesi africani, compresa la proposta di creare un African Agricultural Carbon Facility (un centro agricolo africano per il carbonio) che potrebbe fungere da incubatore per i progetti e aiutare a metterli in contatto con i compratori.81

3. Lavorare per migliorare i mezzi di sostentamento. Sviluppare un sistema ali-mentare migliore non significa produrre maggiori quantità di cibo; il mondo è già in grado di sfamare tra 9 e 11 miliardi di persone. Il vero responsabile è la povertà. Oltre due miliardi di persone vivono con meno di due dollari al giorno e il tasso mondiale di disoccupazione ha raggiunto livelli record. Le famiglie povere del mondo in via di sviluppo spendono il 70% delle loro entrate in cibo. La Banca Mondiale stima che i prezzi elevati dei prodotti alimentari registrati,

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nell’ultimo anno hanno ridotto in povertà e alla fame altri 44 milioni di per-sone.82 La speculazione finanziaria sui prezzi degli alimenti ha svolto un ruolo determinante rispetto a questo problema. Recentemente si è assistito a enormi fluttuazioni nei prezzi dei prodotti alimentari (i prezzi del 2011 sono superiori di quasi il 20% rispetto a quelli del 2010) dovuti agli investitori e ai trader che considerano il cibo come un semplice oggetto di azioni di indicizzazione, leve-raggio e speculazione per ottenere profitti.83

Il future è uno strumento finanziario che permette ai trader di tutto il mondo di acquistare una merce per un prezzo fisso. Di primo acchito, sembra uno sce-nario ideale: agli agricoltori è garantito il pagamento dei propri prodotti agri-coli e i prezzi degli alimenti possono venire stabiliti in anticipo, creando sta-bilità sia per gli agricoltori sia per i consumatori. Dopo avere investito in futu-res, tuttavia, gli speculatori li vendono sul mercato, consentendo ai trader di mettersi al riparo dai rischi, ma causando anche fluttuazioni incontrollate nei prezzi effettivi della merce. Questa ondata di investimenti speculativi ha contri-buito alla volatilità dei mercati agricoli, con gravi impatti sui mezzi di sostenta-mento dei piccoli agricoltori che non hanno accesso agli aspetti più basilari del sostegno interno, tra cui terra, credito, assicurazione e potere contrattuale nella catena del valore. La volatilità sotto forma di prezzi troppo bassi o elevati dan-neggia gli agricoltori che necessitano di mercati stabili e di un prezzo equo per i loro raccolti. Porre un freno alla speculazione sui prezzi dei prodotti alimentari – in particolare sui prezzi del mais, del frumento e del riso, che rappresentano le tre commodity alimentari più scambiate e inoltre forniscono la maggior parte dell’apporto calorico nelle diete di 2 miliardi di persone indigenti – sarebbe un passo in avanti importante sia per gli agricoltori sia per coloro che soffrono la fame. Alcuni progressi in questo campo sono già stati compiuti: gli Stati Uniti hanno già approvato delle leggi per limitare la speculazione e Olivier De Schut-ter ha sostenuto pubblicamente l’esigenza di porre un freno alla speculazione e la necessità di una maggiore trasparenza nei mercati agricoli.84

Inoltre, gli agricoltori devono potere accedere a mercati nei quali ottenere un prezzo equo. Le istituzioni come le cooperative agricole possono aiutare gli agricoltori a operare con maggiore efficienza e a guadagnare somme di denaro superiori a quelle che otterrebbero come singoli. Incoraggiando gli agricoltori a mettersi insieme per coltivare, distribuire e/o vendere prodotti alimentari, le cooperative fungono da gruppi commerciali e insieme sociali, rafforzando il potere economico delle comunità e le loro reti di servizi sociali.85

1.19 accrescere la consapevolezza del ruolo dell’agricoltura

Le nazioni devono riconoscere il diritto innato di ogni essere umano a disporre di cibo sicuro, salutare e a un prezzo accettabile, e sostenere tale diritto con adeguate politiche. Recentemente l’India ha approvato una bozza del Natio-

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47i tre obiettivi del cibo | le sfide del cibo

nal Food Security Act (legge sulla sicurezza alimentare nazionale) che punta a migliorare l’accesso al cibo delle comunità più povere del paese. Paesi come il Ghana e il Brasile hanno già ridotto il numero di persone che soffrono la fame attraverso efficaci azioni di governo, come i programmi nazionali di refezione scolastica e un maggiore supporto ai servizi di divulgazione agricola.86

I progetti presentati dal Barilla Center for Food & Nutrition in questa pubbli-cazione sono entusiasmanti, poiché costituiscono il perfetto esempio di come l’agricoltura e l’alimentazione si stiano imponendo in termini di soluzione a problemi globali, abbassando, tra l’altro, i costi della sanità pubblica, ren-dendo più vivibili le comunità rurali e urbane, riducendo la povertà, creando posti di lavoro per i giovani e persino limitando il cambiamento climatico. Esi-stono numerose innovazioni praticabili per assicurare che ogni persona abbia accesso a cibo nutriente, salutare e coltivato secondo principi di sostenibilità ed equità. Dal SEWA in India al DISC nell’Africa subsahariana, fino agli isti-tuti di ricerca e ai governi di tutto il mondo, sta crescendo la consapevolezza dell’impatto positivo che l’agricoltura può avere sui mezzi di sostentamento, sulla nutrizione e sull’ambiente.Ed è esattamente questo tipo di innovazioni che dovrebbe ricevere il sostegno dei governi, del settore privato e delle comunità di finanziatori e donatori inter-nazionali.

Il progetto Nourishing the Planet ringrazia in particolare per la collaborazione al capitolo 1: Bernard Pollack, direttore della comunicazione del World watch Insti-tute; Supriya Kumar, Research Fellow di Nourishing the Planet, e il nostro team di ricercatori, con Jenna Banning, Emily Gilbert e Joe Zaleski, che hanno rintrac-ciato le informazioni e i dati indispensabili alla stesura di questo testo.

Page 66: Eating Planet 2012

sommario

introduzione Come rispondere agli eccessi del mercato di Raj Patel

dati e fatti chiavel’accesso al cibo: le sfide di oggi e quelle di domani

2.1 La food security e i problemi di accesso al cibo2.2 Il “paradosso alimentare” e le sue cause2.3 Le possibili aree di azione

una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo2.4 Il modello interpretativo del BCFN2.5 Le variabili del modello BCFN2.6 Strategie per contrastare la volatilità

approcci e strumenti per il “benessere sostenibile”2.7 Prodotto interno lordo contro indicatori di benessere2.8 Approccio soggettivo contro approccio oggettivo:

le diverse prospettive di misurazione del benessere2.9 Il BCFN Index di benessere e di sostenibilità del benessere:

caratteristiche e specificità2.10 Il BCFN Index 2011 e i principali risultati2.11 Le diverse dimensioni della sostenibilità

interviste Nell’accesso il fattore chiave è la diversità di Paul Roberts

Le politiche agricole devono pensare alla salute e al benessere dell’uomo di Ellen Gustafson

proposte e azioni

Page 67: Eating Planet 2012

2.CiBo per tuttiFood for All affronta il paradosso dell’eccesso di cibo nei paesi occidentali e le difficoltà di accesso al cibo nei paesi in via di sviluppo. È necessario riflettere su come garantire un miglior governo del sistema agroalimentare su scala globale e rendere possibile una più equa distribuzione delle risorse e del cibo, per raggiungere gli obiettivi internazionali di sicurezza alimentare e favorire un migliore impatto sul benessere sociale, sulla salute e sull’ambiente.

Page 68: Eating Planet 2012

50 eating planet

2.CiBoper tuttiCome rispondere agli eccessi del mercatoRaj Patel

Greg Page, presidente e amministratore delegato di Car-gill, colosso americano nel settore agroalimentare e dei ser-vizi finanziari, ha di recente sottolineato il paradosso prin-cipale del sistema alimentare globale: “Oggi viviamo in un mondo che non è mai stato così lontano dalla carestia ‘calorica’, perché il numero di calorie prodotto dagli agri-coltori per abitante mondiale ha raggiunto livelli record, ma il problema sono i livelli di carestia ‘economica’, che sono più difficili da affrontare”.1

In fondo ha ragione, anche se non è del tutto obiettivo. Prima che il secondo affondo della recessione raggiungesse anche loro, Cargill e una serie di altre imprese agricole e ali-mentari cavalcavano con stile le onde della burrasca finan-ziaria internazionale, registrando profitti record mentre un miliardo di persone soffriva la fame. Page ha omesso di dire che la carestia economica è distribuita in modo disomo-geneo. L’abisso tra le calorie prodotte, l’obesità sempre più dilagante – oggi oltre 1,5 miliardi di persone sono in sovrap-peso – e una fame diffusa sono segno del fatto che il nostro sistema alimentare moderno si è dato da fare per produrre calorie e profitti, ma non è riuscito a sfamare il mondo.Questo scollamento è dovuto a cinque motivi contingenti.Il tempo è stato imprevedibile: tempeste, alluvioni e siccità si sono verificate con maggiore frequenza e intensità rispetto al passato. Sebbene nessun evento in particolare possa

essere imputato al riscaldamento globale, la tendenza rispecchia pienamente un’epoca di cambiamenti climatici che hanno ridotto i raccolti globali di grano del 5% negli ultimi trent’anni.2 In secondo luogo, gli investimenti nei biocarbu-

raj patel è uno scrittore pluripremiato, attivista e accademico.È Visiting Scholar presso il Centro di studi africani di Berkeley, è Honorary Research Fellow presso la School of Development Studies dell’Università di KwaZulu-Natal in Suda-frica e Fellow presso l’Isti-tuto per le politiche nutri-zionali e di sviluppo, noto anche come Food First.Raj è consulente dello Special Rapporteur delle Nazioni Unite sul Diritto al cibo.Scrive regolarmente per importanti testate gior-nalistiche come The Guar-dian e contribuisce a LA Times, NYTimes.com, The San Francisco Chronicle, The Mail on Sunday e The Observer.

Page 69: Eating Planet 2012

51introduzione | cibo per tutti

ranti hanno modificato i programmi degli agricoltori di tutto il mondo verso colture da utilizzare per la combustione anziché per l’alimentazione (secondo stime, tra il 15 e il 70% degli aumenti di prezzo globali nel 2008 può essere attribuito a questo fattore).3 In terzo luogo, la composizione della dieta occiden-tale, con la predominanza della carne e delle calorie “vuote”, comporta l’alloca-zione di una grande porzione di terra alla produzione di foraggio, con una poli-tica di prezzo che esclude i più poveri dal mercato cerealicolo. In quarto luogo, l’aumento della speculazione finanziaria ha vincolato il prezzo del cibo ad altre commodity. Bisogna riconoscere che è una questione controversa e gli economi-sti sono impegnati in un acceso dibattito per stabilire se la causa dei problemi sia da ricercare negli speculatori. Alcuni modelli indicano che mentre l’entità del capitale speculativo è aumentata dal 12% del mercato dei futures cereali-coli di Chicago nel 1996 al 61% all’inizio di quest’anno,4 i maggiori livelli di liquidità non sono responsabili del rialzo nelle oscillazioni di prezzo nei mer-cati alimentari (figura 2.1). D’altro canto gli stessi operatori hanno confessato di gestire il mercato delle commodity a scapito dei consumatori,5 e questa non sarebbe la prima volta che la realtà non rispecchia i modelli degli economisti. In ultima istanza, il rialzo delle quotazioni del petrolio ha provocato un aumento dei costi di produzione e trasporto del cibo.Questi fenomeni contingenti interessano un sistema alimentare in cui gli scon-volgimenti si diffondono velocemente al suo interno. Considerando i sistemi scadenti di stoccaggio dei cereali, le ridotte reti di sicurezza sociale, la povertà crescente, gli investimenti insufficienti nella ricerca agricola sostenibile, i servizi di credito e divulgazione, nonché la forte integrazione dei mercati cerealicoli internazionali, era inevitabile che alcuni sconvolgimenti nei distretti cereali-coli mondiali più importanti si ripercuotessero nell’intero globo, spingendo nel 2008 altri milioni di persone nella morsa della fame. Il meccanismo di fondo, nonché molti dei problemi citati, sussistono ancora oggi.Purtroppo gli interventi diretti dei governi per affrontare i problemi sostanziali sono esigui. In risposta agli incendi e alle scarse forniture di cereali, la Russia ha annunciato una moratoria nell’esportazione del grano, che è stata efficace per gli agricoltori locali,6 ma ha generato un’ondata di panico nei mercati mon-diali dei cereali nel 2010, provocando reazioni e proteste in tutto il pianeta.7 Cina e India si sono unite ad altri governi in una ricerca affannosa di fonti estere di cibo per le loro popolazioni, in particolare in Africa.8 Si tratta comun-que di provvedimenti puntuali che non intaccano minimamente i cardini del sistema alimentare globale. Molte delle risposte politiche più interessanti alle carenze del sistema alimentare si riscontrano a livello locale, comunale e sub-nazionale, dove i Consigli per le politiche alimentari – molto diffusi in Nord America, dove se ne contano oltre 200 – vagliano diverse proposte per garantire ai cittadini il diritto al cibo.9

Page 70: Eating Planet 2012

52 eating planet

tassare lo zucchero? Alcune città hanno cercato di affrontare qualcuno dei problemi connessi al sistema alimentare, ampiamente responsabile del fatto che oltre 1,5 miliardi di persone sono in sovrappeso. Un esperimento controverso riguarda una “tassa sullo zucchero”, che fa aumentare i prezzi degli alimenti ric-chi di “calorie vuote”, come le bevande gassate. Si tratta di un tipo di tassazione regressiva, in quanto le tasse sul cibo colpiscono sempre in modo sproporzio-nato i poveri, che rispetto ai ricchi spendono nel cibo una parte più ingente del proprio bilancio familiare.I sostenitori di questa tassa vengono dunque accusati di fomentare le guerre di classe. Come sostiene un ricercatore, l’“obesità è la conseguenza tossica dell’in-sicurezza finanziaria e di una situazione economica critica”.10 Se questo è vero, una tassa sulle bibite punisce i poveri e il loro essere vittime delle circostanze. E, naturalmente, se la tassazione delle bibite fosse fine a se stessa, non la riterrei assolutamente una misura opportuna. Esiste una lunga storia di guerre cultu-rali in merito al cibo, dove ogni genere alimentare – dal pane alla Coca-Cola – diventa oggetto di un’accesa battaglia di classe e di identità.Ciò premesso, se una tassa sulle bibite rientra in un programma più vasto per tenere sotto controllo le industrie alimentari e offrire a chiunque scelte concrete

figura 2.1

Oscillazioni di prezzo nei mercati alimentariFonte: Worthy, 2011.

1997 1999 2001 2003 2005 2007 2009 2011

offerta di beni alimentari domanda prezzo

indi

ce −

1997

= 10

0

250

200

150

100

50

0

Page 71: Eating Planet 2012

53introduzione | cibo per tutti

all’interno del sistema alimentare, allora può avere un senso. Naturalmente, però, il fatto che una tassa incida in modo sproporzionato sulle classi più povere è motivo di preoccupazione. Ma la stessa cosa vale per le tasse sul tabacco. Diverso è se la tassa rientra in un progetto più ampio per addossare all’industria alimentare le spese sanitarie che colpiscono in modo eccessivo i poveri. In fin dei conti, l’obiettivo non è combattere le bibite, ma la povertà. Si tratta di una questione dibattuta da tempo.Nel frattempo, gli esperimenti e le proposte di cambiamento vengono portati avanti non a livello nazionale o internazionale, bensì locale e regionale. Inoltre l’interesse non è rivolto tanto allo “Stato balia”, quanto a trovare delle risposte agli eccessi sfrenati del mercato. Infatti, finché il cibo viene distribuito in base alla capacità di acquisto, i più poveri saranno sempre afflitti dalla fame e chi semplicemente non è in grado di nutrirsi con cibo sano sarà sempre una fonte di profitto per l’industria alimentare. Oggi assistiamo a una reazione, a livello mondiale, contro lo status quo, che predica e pratica il controllo democratico del sistema alimentare, in molti casi per la prima volta.

Page 72: Eating Planet 2012

2.  cibo per tutti

crescita sui mercati della volatilità dei beni alimentari

+ 71%

+ 44 milionidi nuovi poveri

Il sistema alimentare mondiale è in grado di produrre oggi poco meno di 2.800 calorie a persona ogni giorno, a fronte di un reale fabbisogno calorico medio pro capite per un individuo adulto di 2.550 calorie.

Tra il giugno 2010 e il giugno 2011 il Cereals Price Index della FAO è aumentato del 71%. In questo stesso periodo, tale aumento ha contribuito a generare una condizione di nuova povertà per 44 milioni di persone.

di persone ogni anno muoiono per malnutrizione

e sottonutrizione

36 milioni

di persone sottonutrite

1,1 miliardi

950 milioni

1,3 miliardi di obesi o in sovrappeso

29 milioni di morti all’anno

Nel mondo si stimano 1,3 miliardi di persone obese o in significativo sovrappeso

Circa 29 milioni di persone ogni anno muoiono per malattie legate all’eccesso di cibo

2.550 calorieFabbisogno calorico medio giornaliero reale

Fabbisogno calorico medio giornaliero prodotto

2.800 calorie

sistema alimentare mondiale

di uomini e donne sono colpiti dalla denutrizione

Nei paesi in via di sviluppo il 53% della mortalità infantile è causata da malnutrizione e sottonutrizione

53%

Un terzo della produzione globale di cibo è perduta, distrutta o sprecata nei processi di conservazione, trasformazione, distribuzione e consumo

popolazione mondiale: 7 miliardi di persone

1/3spreco di cibo

indice Fao dei prezzi dei cereali

mondo

54 eating planet

Page 73: Eating Planet 2012

2.  cibo per tutti

crescita sui mercati della volatilità dei beni alimentari

+ 71%

+ 44 milionidi nuovi poveri

Il sistema alimentare mondiale è in grado di produrre oggi poco meno di 2.800 calorie a persona ogni giorno, a fronte di un reale fabbisogno calorico medio pro capite per un individuo adulto di 2.550 calorie.

Tra il giugno 2010 e il giugno 2011 il Cereals Price Index della FAO è aumentato del 71%. In questo stesso periodo, tale aumento ha contribuito a generare una condizione di nuova povertà per 44 milioni di persone.

di persone ogni anno muoiono per malnutrizione

e sottonutrizione

36 milioni

di persone sottonutrite

1,1 miliardi

950 milioni

1,3 miliardi di obesi o in sovrappeso

29 milioni di morti all’anno

Nel mondo si stimano 1,3 miliardi di persone obese o in significativo sovrappeso

Circa 29 milioni di persone ogni anno muoiono per malattie legate all’eccesso di cibo

2.550 calorieFabbisogno calorico medio giornaliero reale

Fabbisogno calorico medio giornaliero prodotto

2.800 calorie

sistema alimentare mondiale

di uomini e donne sono colpiti dalla denutrizione

Nei paesi in via di sviluppo il 53% della mortalità infantile è causata da malnutrizione e sottonutrizione

53%

Un terzo della produzione globale di cibo è perduta, distrutta o sprecata nei processi di conservazione, trasformazione, distribuzione e consumo

popolazione mondiale: 7 miliardi di persone

1/3spreco di cibo

indice Fao dei prezzi dei cereali

mondo

55dati e fatti chiave | cibo per tutti

Page 74: Eating Planet 2012

56 eating planet

l’accesso al cibo: le sfide di oggi e quelle di domani

L’accesso al cibo costituisce uno dei primi e fondamentali diritti della persona. Dove non c’è cibo a sufficienza non esiste la possibilità di una vita dignitosa e viene meno il diritto alla salute e alla convivenza pacifica.La tragedia silenziosa che oggi attanaglia il mondo a causa dell’incapacità di produrre e distribuire adeguatamente il cibo ha diverse declinazioni. La morte per fame è il suo aspetto più drammatico, ma anche gli impatti sulla salute, a causa delle condizioni croniche o acute di sottonutrizione e malnutrizione riscontrabili in molti paesi poveri o in via di sviluppo, sono devastanti. La sot-tonutrizione e la malnutrizione, infatti, hanno effetti sul sistema immunitario degli individui, sulla loro predisposizione a essere esposti alle malattie e sulla gravità e durata di quest’ultime. Questa relazione è rafforzata da un insieme di altre condizioni che tipicamente si associano alle situazioni di denutrizione, quali la precarietà igienico-sanitaria e la difficoltà di accesso all’acqua potabile e ai farmaci di base.Le cattive condizioni economico-sociali accentuano inoltre il rapporto fra malattia e malnutrizione, inducendo situazioni di inidoneità al lavoro che pos-sono infine portare all’emarginazione socio-economica del malato stesso.Spesso le inadeguate conoscenze in materia di nutrizione generano una ridotta capacità delle madri ad assistere i propri figli.Ma la carenza di cibo è anche all’origine di alcuni gravi conflitti che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza globale:• tensioni sociali legate all’accesso e al controllo delle risorse agricole;• fenomeni migratori legati alle condizioni di vita insostenibili (malnutrizione e carenza d’acqua), in alcuni casi aggravate dagli effetti del climate change;• situazioni di instabilità politico-sociale e di misgovernment in relazione alle risposte ai crescenti bisogni delle popolazioni;• pressioni sulla governance internazionale legate ai sempre maggiori squilibri fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.

A questo riguardo, è importante considerare come i conflitti sociali – specie se collegati al controllo delle risorse naturali e agricole – molto spesso minino alla base le possibilità di crescita futura e di sviluppo economico-sociale dei paesi in cui avvengono.Il peggioramento della disponibilità e della sicurezza delle produzioni agricole e alimentari (aggravato dal cambiamento climatico in atto) può condurre a un sensibile incremento dei tassi di conflittualità sociale, soprattutto nelle aree in via di sviluppo, nelle quali cibo e acqua rappresentano un fattore moltiplicatore di tensioni (etniche, religiose ed economiche) latenti e irrisolte.

Page 75: Eating Planet 2012

57l’accesso al cibo: le sfide di oggi e quelle di domani | cibo per tutti

2.1 la food security e i problemi di accesso al cibo

La gravità del problema della food security nel mondo – intesa come livello di disponibilità e di accesso al cibo per le persone e per le popolazioni – appare evidente dall’analisi dei dati disponibili. Nel 2010 il numero complessivo di persone denutrite è arrivato a circa 925 milioni (figura 2.2).Nel 2010, fatto di per sé positivo, si è registrata una lieve inversione di tendenza rispetto agli ultimi anni, con una diminuzione di 98 milioni nel numero di persone denutrite, pari al 9,6% del totale. Questo è stato reso possibile da una più favorevole situazione economica globale e dalla riduzione dei prezzi dei beni alimentari rispetto ai picchi del 2008.Malgrado il dato positivo, nel valutare la situazione complessiva non si può pre-scindere dal forte peggioramento registrato negli ultimi quindici anni a livello globale. Il dato tendenziale evidenzia, infatti, una situazione di emergenza, che riguarda circa un settimo della popolazione mondiale. Su una popolazione di circa 7 miliardi di persone,11 il problema della denutrizione nel mondo riguarda il 13,4% 12 del totale.Inoltre, tra la fine del 2010 e i primi mesi del 2011 i prezzi di alcune delle principali commodity alimentari sono tornati a salire, raggiungendo e supe-rando i livelli registrati nel 2008. Ciò lascia presagire la possibilità concreta di un nuovo incremento del numero di persone che soffriranno la fame nei paesi

figura 2.2

Persone denutrite nel mondo (milioni di persone)Fonte: FAO, 2011 (i dati riportati per 2009 e 2010 sono valori stimati).

1.050

1969‑71

1979‑81

1990‑92

1995‑97

2000‑02

2005‑072008

20092010

1.000

950

900

850

800

750

878

853 843

787

833

847

915925

1.023

Page 76: Eating Planet 2012

58 eating planet

in via di sviluppo. Se questa situazione non sarà risolta molto rapidamente potrebbe causare un ulteriore aumento (stimato in 64 milioni) del numero di persone complessivamente denutrite.13

In una prospettiva di medio-lungo termine, dunque, la realtà di riferimento si caratterizza per l’aggravarsi della situazione, con un’accelerazione deri-vante dalla crisi economica e alimentare del 2008-2009. La distanza dal dato espresso nel 1996, anno in cui i leader mondiali dichiararono il loro impe-gno a ridurre, fino ad azzerare, il fenomeno della fame nel mondo, è infatti rilevante. L’ottimismo della prima metà degli anni Novanta trovava giustifica-zione nei risultati positivi conseguiti dai programmi di aiuto gestiti dal FAO World Food Summit.È nei paesi in via di sviluppo (PVS) che si trova ancora il maggior numero di persone denutrite. Secondo i dati relativi al 2005-2007,14 le persone che nei paesi in via di sviluppo versavano in condizioni di denutrizione erano circa 835 milioni; ciò significa che, nel 2007, il 98% delle persone denutrite viveva in queste aree del mondo. Nel 2010, in questi paesi, il 16% delle persone sof-friva la fame: quasi una persona su cinque.

la concentrazione in asia. Uno sguardo più attento ai paesi in via di svi-luppo mostra come la regione con il più alto numero di persone denutrite sia l’Asia. Nel continente asiatico la denutrizione ha infatti colpito ben 554,5 milioni di persone 15 nel periodo 2005-2007, più del doppio di quelle dell’Africa subsahariana (201,2 milioni di persone). In America Latina, invece, se ne con-tavano circa 47 milioni, mentre nelle regioni del Vicino Oriente e del Nord Africa erano circa 32,4 milioni. Può essere interessante considerare, inoltre, come i due terzi delle persone denutrite del mondo siano concentrate in sette paesi: Bangladesh, Cina, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, India, Indonesia e Pakistan. Più del 40% di queste vive in Cina e India.Come si può osservare nelle figure 2.3 e 2.4, le dinamiche registrate negli ultimi quindici anni sono molto difformi. Si calcola che il numero delle per-sone denutrite in Asia si sia ridotto del 5,7% (circa 33 milioni di persone) nel periodo 1990-2007. Lo stesso è avvenuto in America Latina (−7,2 milioni di persone, pari a −13,3%). Si è verificato invece il contrario nell’Africa subsaha-riana e nelle regioni del Nord Africa e Vicino Oriente, dove si sono registrati incrementi rispettivamente di 36,3 milioni (+22%) e di 12,8 milioni (+65,3%) nel numero delle persone denutrite.Nei paesi sviluppati, al contrario di quelli in via di sviluppo, la denutrizione ha colpito nel periodo 2005-2007 12,3 milioni di persone.16 Il trend, inoltre, ha segnato un miglioramento negli anni 1990-2007, grazie a una serie di interventi mirati condotti dai singoli governi – si tratta perlopiù di iniziative e misure di assistenza sociale ed economica previste dai diversi sistemi di welfare nazionali.

Page 77: Eating Planet 2012

59l’accesso al cibo: le sfide di oggi e quelle di domani | cibo per tutti

figura 2.3

Persone denutrite in alcune regioni del mondo (milioni di persone e %)Nota: la regione dell’America Latina comprende anche i paesi caraibici.Fonte: FAO, 2011 (i dati riportati per il 2010 sono valori stimati).

Asia 62,5%

Vicino Oriente e Nord Africa 4,0%America Latina 5,7%

Africa subsahariana 25,8%Paesi sviluppati 2,1%

Asia Africa subsahariana America Latina Vicino Oriente e Nord Africa

600

500

400

300

200

100

0

20

54

165

588

3053

187

498

3251

202

532

3247

201

555

3753

239

578

1990‑92 1995‑97 2000‑02 2005‑07 2010

2010

Page 78: Eating Planet 2012

60 eating planet

È importante sottolineare, però, come il numero di persone denutrite nei paesi sviluppati sia aumentato del 54% nel periodo 2007-2010, salendo da poco più di 12 a 19 milioni di persone.Per comprendere come potrà modificarsi nei prossimi decenni il quadro descritto, è necessario analizzare l’evoluzione delle variabili sottostanti e l’effetto degli interventi finalizzati a rimuovere le cause delle criticità attuali.

2.2 il “paradosso alimentare” e le sue cause

Sebbene l’attuale capacità produttiva di beni alimentari sia teoricamente suf-ficiente a sfamare l’intera popolazione mondiale, questo non impedisce il per-manere e l’amplificarsi di enormi sperequazioni nell’accesso al cibo. Prova ne è, nel corso dell’ultimo biennio, la coesistenza nel mondo di circa un miliardo di persone denutrite, a fronte di più di un miliardo di obesi. La forbice del “para-dosso” è andata ulteriormente ampliandosi. Più denutriti, più obesi.

i fattori strutturali. Alla base della sperequazione nell’accesso al cibo ci sono alcune grandi ragioni di carattere strutturale.La prima causa di denutrizione è la povertà. I punti nevralgici della lotta alla denutrizione sono perciò rappresentati dall’aumento della ricchezza e da una sua più equa distribuzione. È importante considerare come la crescita econo-

figura 2.4

Persone denutrite nei paesi sviluppati (milioni di persone)Fonte: FAO, 2011 (i dati riportati per il 2010 sono valori stimati).

21

18

15

12

1990‑92 1995‑97 2000‑02 2005‑07 2010

16,7

19,419,0

17,0

12,3

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mica, attraverso l’agricoltura, rappresenti una delle migliori leve economiche con cui fronteggiare il problema, dal momento che la maggior parte delle per-sone che non hanno sufficienti risorse per un adeguato accesso al cibo sono pic-coli agricoltori insediati in zone rurali.Vale la pena di ricordare, a questo proposito, che uno studio condotto dalla Banca Mondiale ha dimostrato come un incremento di un solo punto del pro-dotto interno lordo generato dal settore agricolo abbia un’efficacia doppia nella riduzione della povertà, rispetto a un crescita economica generata dagli altri set-tori.17 Questo significa che il settore agricolo rappresenta un punto chiave per lo sviluppo di strategie finalizzate a migliorare la condizione di vita delle popola-zioni rurali.Non basta però investire nell’aumento della produzione e in produttività (innanzitutto attraverso un miglior trasferimento tecnologico e a una migliore gestione dell’accesso all’acqua). Occorre anche una più equa distribuzione della ricchezza attraverso la creazione di income opportunities per le fasce più povere della popolazione. Senza un processo di più ampia distribuzione della ricchezza, l’agricoltura di molti paesi poveri e in via di sviluppo è infatti destinata a restare di pura sussistenza.Allo stesso modo, è di cruciale importanza la dotazione di infrastrutture di base e la creazione di mercati locali che permettano di porre le condizioni per un’agricoltura che sia almeno in parte “di mercato”.Vi è poi il tema delle scelte politiche. Su argomenti di questa complessità, che vedono interagire un numero di attori molto ampio, sono infatti determinanti le decisioni politiche sia interne a ciascuno Stato (in termini di indirizzi di politica economica) sia nei rapporti tra Stati (soprattutto su temi di natura commerciale).Occorre oggi riconoscere che le politiche commerciali adottate nell’ultimo decennio – che fanno seguito a un periodo, quello della seconda metà degli anni Novanta, di progressi modesti ma continui nel tempo – sembrano, nel loro complesso, avere fallito l’obiettivo di migliorare la realtà dell’accesso al cibo. È mancato, come già in passato, un sufficiente grado di coordinamento nell’azione dei diversi paesi.A questo proposito è importante sottolineare come nell’attuale contesto di instabilità politica ed economica internazionale la food security rischi di essere declassata a questione di secondaria importanza. È di fondamentale impor-tanza che le agende dei paesi più sviluppati riconoscano come i 925 milioni di persone denutrite nel mondo abbiano urgente necessità di aiuto e come questo aiuto possa essere fornito solo attraverso linee di policy efficaci in un’ottica di sostenibilità futura. Spesso il dibattito si sposta infatti sul food aid che, seppur fondamentale per far fronte alle emergenze, non rappresenta una risposta suffi-ciente né sostenibile.Negli ultimi anni sono poi emersi alcuni fattori che hanno complicato ulte-

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riormente la situazione: la rivendicazione da parte di alcune potenze emergenti di un ruolo geostrategico più ampio e il conseguente fenomeno del land grab (accaparramento di terre); l’innalzamento di dazi e barriere non-tariffarie alle importazioni, così come di sussidi ai settori agricoli nazionali, in risposta all’in-stabilità dei mercati globali; l’andamento altalenante del prezzo del petrolio e, più in generale, le grandi sfide energetiche globali; lo sviluppo del mercato dei biocarburanti, che favorisce lo sviluppo di colture alternative a quelle destinate all’alimentazione delle persone.In sintesi, il contesto economico e geopolitico globale è diventato più incerto, e ciò ha reso ancora più difficile l’adozione di politiche aperte, maggiormente attente ai bisogni dei paesi più poveri.In merito alla debolezza e all’insufficienza dei meccanismi di governo della food security, negli ultimi vertici internazionali si è comunque delineata un’ipotesi di risposta articolata attorno a tre pilastri principali:• l’investimento in assistenza alimentare e nelle reti di sicurezza alimentare a beneficio di coloro che sono maggiormente bisognosi;• l’incremento degli investimenti in agricoltura e in politiche di sviluppo;• l’attivazione di politiche commerciali più equilibrate tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo.

i fattori congiunturali. A questi fattori strutturali si sono sommati negli ultimi anni altri elementi – di carattere congiunturale, ma destinati a perma-nere se non se ne gestiranno le cause – altrettanto rilevanti. In primis, la cre-scente volatilità dei mercati agricoli e alimentari causata da ampi fenomeni glo-bali (quali la volatilità dei mercati energetici, gli effetti dei cambiamenti clima-tici e la crescita economica e demografica).L’argomento verrà trattato in modo più esteso nel capitolo. Ci si limita qui a evi-denziare alcuni elementi sintetici utili alla trattazione del tema dell’accesso al cibo.Come evidenziato da varie fonti statistiche (tra le altre il Food Price Index della FAO), i prezzi dei beni alimentari non solo sono significativamente aumen-tati negli ultimi anni, ma sono stati soggetti, in misura crescente, a un forte aumento della volatilità.18

Le contromisure pubbliche poste in essere per fronteggiare la crisi hanno evi-denziato i limiti insiti nell’attuale sistema basato su mercati regolamentati. Limiti tanto di trasparenza quanto di efficienza. Anche per questo, la rapidità nel rialzo dei prezzi dei beni agricoli ha reso particolarmente difficile la gestione della crisi, con conseguenze drammatiche per le fasce più deboli della popola-zione dei paesi più poveri.Non si tratta solo di un fatto connesso al funzionamento dei mercati. È impor-tante considerare, infatti, come i fattori alla base delle quotazioni agricole siano molteplici, complessi e tra loro strettamente interrelati. Le ragioni degli squili-

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carestie cronicheIl Niger soffre di una situazione cronica di crisi alimentare, che ogni anno raggiunge un picco di gravità tra i mesi di maggio e settembre. A questo punto entrano in scena ONG come “Medici senza frontiere” che effettuano anche la distribuzione di alimenti innovativi a forte potere nutritivo. Qui, come in molti altri contesti, l’accesso al cibo dipende ancora dalla presenza di iniziative di cooperazione e aiuto internazionale.

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bri che si sono verificati sono da ricercare sul fronte della domanda e su quello dell’offerta di prodotti agricoli. Tra questi, vi sono aspetti legati allo scenario macroeconomico e demografico mondiale – come l’aumento della popola-zione, l’impetuosa crescita economica di paesi come Cina e India e della loro domanda di cibo, l’affacciarsi sul mercato dei consumi di popolazioni prima escluse, le dinamiche nel prezzo del petrolio – ma anche fattori legati al pro-gressivo cambiamento delle condizioni climatiche.A questi si aggiungono altri elementi di distorsione dei mercati: il fenomeno della finanziarizzazione delle commodity agricole, il forte aumento della domanda dei prodotti agricoli coinvolti nella produzione di carburanti di ori-gine vegetale (biofuel) – anche se quest’ultimo è destinato a diventare un fattore di carattere strutturale e permanente – e il persistere di politiche protezionisti-che attivate da molti governi.Questa situazione testimonia non solo la già evidenziata mancanza di adeguati interventi congiunti e multilaterali di politica economica, sociale, ambientale e commerciale finalizzati a governare l’accesso al cibo, modificando, anche con misure strutturali, le diseguaglianze oggi riscontrate, ma soprattutto il fallimento del funzionamento dei meccanismi di puro mercato in ambito alimentare.La caduta degli investimenti pubblici e privati in agricoltura negli ultimi venti anni e la parallela mancanza di attenzione politica (salvo, come detto, l’ado-zione di politiche agricole e commerciali spesso protezionistiche e distorsive) trovano una possibile spiegazione nei guadagni di produttività consentiti negli ultimi trenta anni dagli sviluppi tecnici e dalla diffusione di conoscenze in ambito agricolo (la cosiddetta green revolution); guadagni tali da consentire un progressivo e costante aumento della produzione e una diminuzione dei prezzi in termini reali. Ciò ha reso meno interessante investire in agricoltura (con l’ec-cezione del settore dei biocarburanti) e ha prodotto l’illusione che si potesse allentare l’attenzione verso un’adeguata azione di indirizzo del settore.

una visione fuorviante. Oggi che la produttività stenta a tenere il passo, si inizia a comprendere quanto fosse errata e fuorviante questa visione.Alcuni osservatori hanno evidenziato come le pressioni sulla domanda alimen-tare oggi in atto porrebbero le condizioni – grazie all’aumento dei prezzi medi delle commodity agricole – per una maggiore attrattività di investimenti da parte del settore, investimenti in grado di supportare l’avvio di una nuova green revolution. L’elevata volatilità attesa dei mercati agricoli, tuttavia, implica un alto livello di rischio che costituisce ancora una forte barriera agli investimenti nel settore.Alle dinamiche che già oggi caratterizzano il problema della food security si vanno sommando nuove pressioni globali, che giocheranno in futuro uno stra-ordinario ruolo di moltiplicazione delle criticità: innanzitutto la graduale tran-

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sizione dal petrolio alle fonti energetiche rinnovabili e ai biocarburanti, ma anche i cambiamenti climatici che tanto peso potranno avere nel condizionare l’attività agroalimentare nei prossimi quarant’anni; e, infine, la già citata cre-scita demografica ed economica di alcuni paesi emergenti, destinata a modifi-care gli equilibri consolidati.Rispetto al climate change, occorre ricordare che le strategie di risposta riguar-dano due fronti: le strategie di mitigazione e quelle di adattamento. Quanto più saranno efficaci i risultati dell’azione di contrasto ai fenomeni di cambiamento climatico, attraverso un processo di concertazione ampio e condiviso, tanto più le strategie in ambito agricolo potranno collocarsi nell’area della mitigazione, con aggiustamenti di carattere prevalentemente adattivo.Le profonde modificazioni oggi in atto impongono una maggiore attenzione nei confronti di una gestione sistematica del patrimonio naturale. Infatti, la pressione esercitata sulle risorse naturali in varie regioni del mondo è crescente, così come le preoccupazioni legate a un loro uso più efficiente, alla loro conser-vazione e al contenimento degli effetti negativi del processo di sviluppo eco-nomico. Dinamiche competitive di sfruttamento e accaparramento di risorse naturali scarse e inegualmente disponibili sul territorio spesso degenerano in conflitti, violenze e depauperamento del capitale naturale comune. Tali dinami-che potranno essere inasprite dalle mutate condizioni di coltivazione indotte dai cambiamenti climatici, da eventi meteorologici estremi e dalla scarsità d’acqua.

nuovi cambiamenti. È importante considerare come nella prima metà di questo secolo la domanda globale di cibo, foraggio e fibre arriverà quasi a rad-doppiare, mentre i prodotti agricoli potranno essere usati in misura crescente anche per scopi non alimentari (per esempio per la produzione di biofuel). L’agri-coltura, costretta ad adattarsi ai cambiamenti del clima e a rispettare gli habi-tat naturali, dovrà dunque contendere terra e risorse idriche agli insediamenti urbani. Oltre a ciò, l’inaridimento e il degrado delle superfici coltivabili rappre-sentano un’ulteriore sfida per il settore agricolo che sarà perciò chiamato a pro-durre una maggiore quantità di derrate alimentari su spazi disponibili ridotti.La diminuzione della produttività agricola, manifestatasi in alcune aree del pia-neta, e le sempre più difficili condizioni ambientali – inaridimento dei suoli, scarsità delle risorse idriche ecc. – hanno inoltre portato diversi governi a cer-care strade alternative a quelle tradizionali per assicurarsi i livelli produttivi necessari a soddisfare i loro fabbisogni alimentari. Il fenomeno che ne deriva e al quale si fa riferimento è il cosiddetto land grabbing, definito dal direttore generale della FAO, Jacques Diouf “una forma di neo-colonialismo”.Anche le pressioni economico-demografiche producono sfide da non sottova-lutare. Le proiezioni di incremento della popolazione a quarant’anni riportano al problema dell’individuazione di nuovi percorsi di crescita della produttività

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agricola. Il dibattito relativo all’esigenza di un salto di paradigma tecnologico nella direzione dell’impiego delle biotecnologie è aperto da tempo.Appare inoltre necessario ricordare come siano in atto (e siano ancora attesi per il futuro) significativi fenomeni di urbanizzazione, con un progressivo svuota-mento abitativo delle aree rurali e l’esplosione demografica dei centri abitati, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ciò determina il venir meno di capacità produttiva in agricoltura e complica la gestione degli aspetti distributivi e di sostenibilità complessiva nelle città.Mentre la discussione sulle fonti energetiche è oggetto di ampie discussioni, sembra invece sottovalutato un aspetto di una certa rilevanza: quello relativo allo stile alimentare globale e dei paesi emergenti. Questa è la variabile ancora da approfondire, anche perché è in grado di spostare – a parità di condizioni di crescita demografica – l’asticella dei guadagni di produttività necessari a soste-nere la maggiore domanda di beni alimentari.Ciò che rileva non è dunque solo la dinamica demografica in quanto tale – associata alla crescita di benessere economico – ma l’incrocio di queste dimen-sioni con gli stili di consumo adottati dalle popolazioni, al fine di individuare per tempo, e possibilmente orientare, la composizione della domanda di beni alimentari che andrà a definirsi nel prossimo futuro. Si tratta dell’incognita nell’equazione in grado di indicare le possibili linee strategiche alternative di medio-lungo termine.

2.3 le possibili aree di azione

Per inquadrare le possibili risposte ai problemi evidenziati occorre comprendere, anche in forma estremamente semplificata, il flusso di attività del settore agroa-limentare. Si possono evidenziare sei aree principali, poste in ordine sequenziale (figura 2.5):• la ricerca e sviluppo, in relazione a tutte le possibili aree di intervento (fertilità dei suoli, ottimizzazione dell’uso degli input produttivi, meccanismi di trasferi-mento delle conoscenze ecc.);• la produzione dei fattori di input (per esempio semi e fertilizzanti) e l’accesso alle risorse naturali necessarie alla produzione agricola (per esempio l’acqua);• l’attività agricola, in senso stretto, vale a dire le fasi di coltivazione, raccolta e stoccaggio dei prodotti agricoli ottenuti. Tale attività può avere caratteristi-che molto diverse a seconda delle localizzazioni geografiche, delle strutture dei terreni, del grado e della tipologia di meccanizzazione, dell’impiego di agenti chimici, dell’ampiezza degli appezzamenti ecc.;• il commercio di prodotti agricoli, sia verso i consumatori finali sia verso l’even-tuale successiva fase di trasformazione industriale;• la trasformazione industriale e la successiva distribuzione del prodotto finito;• i processi di consumo.

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Esula dallo scopo di questo capitolo rendere ragione in forma dettagliata delle condizioni necessarie all’ordinato funzionamento di questo sistema complesso e articolato di attività. Ci si limita perciò a evidenziare le cinque macro-aree sulle quali occorre concentrare l’attenzione, che sono:• il governo dell’ intera filiera, che non può essere abbandonato, anche per la natura particolare delle produzioni agroalimentari, a logiche di puro mercato;• la ricerca di guadagni di produttività, da conseguire agendo lungo diversi stadi della filiera complessiva;• la stabilizzazione dei mercati dei beni alimentari, e l’accesso a essi, per favo-rire l’affermarsi di condizioni di equità capaci di incentivare gli investimenti, remunerare i fattori della produzione e incrementare le opportunità di accesso al cibo;• la riduzione degli sprechi, lungo l’intera filiera agroalimentare;• l’ indirizzo degli stili alimentari attraverso una strategia di comunicazione tesa a sensibilizzare le persone non solo dal punto di vista nutrizionale, ma anche culturale. L’obiettivo è quello di creare consapevolezza individuale e sociale delle scelte alimentari, non solo prescrizioni in chiave dietetica.

Partendo da queste premesse e considerate l’ampiezza e la complessità del tema, quali possono essere le possibili soluzioni ai problemi evidenziati? Le indica-zioni che emergono, relativamente alle cinque aree indicate, sono sostanzial-mente le seguenti.

rafforzare i meccanismi di governance globale. Esiste un evidente defi-cit di governo del sistema alimentare complessivo, che richiede interventi rapidi e puntuali a diversi livelli.La particolare natura dei beni alimentari, non riducibili in modo troppo sem-plicistico a commodity (com’è in effetti avvenuto negli ultimi decenni sotto la spinta di una loro maggiore disponibilità), e il fallimento del funzionamento dei meccanismi di distribuzione, rendono necessario il superamento del para-digma che vede nel mercato un sistema capace di autoregolarsi, così come il coordinamento delle politiche globali e la riduzione nel tempo di politiche pro-tezionistiche di natura unilaterale.È perciò essenziale:• tornare a dare al cibo un ruolo centrale e di primaria importanza all’interno dell’agenda politica ed economica internazionale. Ciò significa che l’intera filiera alimentare dovrà strutturarsi e venire governata in forma più chiara verso obiet-tivi di accessibilità, sostenibilità e qualità nutrizionale. Appare fondamentale, infatti, garantire e assicurare quantità e qualità del cibo prodotto e distribuito;• a tal fine, occorre creare comuni spazi di dialogo e di analisi delle tematiche legate alla food security: nessun paese, istituzione o attore economico della filiera

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agroalimentare è in grado di rispondere da solo alle sfide ambientali, politiche, sociali ed economiche poste dal contesto di riferimento. È invece necessario un approccio multilaterale e trasversale, che coinvolga tutti gli attori pubblici e privati direttamente e indirettamente collegati con il settore agroalimentare, al fine di incrementare ulteriormente gli standard medi di settore;• le azioni di politica economica si collocano a un livello più alto e sono volte a supportare i processi di crescita e sviluppo dei paesi più poveri. Queste azioni richiedono l’intervento attivo della comunità internazionale.

Le scelte relative a questo aspetto, di enorme importanza e significativa diffi-coltà di realizzazione, costituiscono la premessa necessaria ma non sufficiente per un ordinato funzionamento del comparto.

favorire lo sviluppo e gli incrementi di produttività agricola. Occorre individuare, realizzare e supportare reali percorsi di sviluppo sostenibile per defi-nire e diffondere soluzioni e strumenti concreti e applicabili nei paesi in via di sviluppo e in quei settori che sono fondamentali per la crescita economica.In termini di produttività, la misura degli incrementi necessari nei prossimi quarant’anni per sostenere la crescita dei consumi alimentari su scala mondiale costituisce un fattore che dipende da un articolato intreccio di variabili: dalla

figura 2.5

Il governo della filieraFonte: BCFN, 2011.

Ricerca e sviluppo

Fattori di input

Attività agricola

Commercio di prodotti

agricoli

Trasformazione industriale Consumo

A

Governo della filiera

B

Guadagni di produttività

C

Stabilizzazione dei mercati

D

Riduzione degli sprechi

E

Stili di consumo

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volatilità dei prezziA luglio del 2011, nella regione autonoma del Ningxia Hui, in Cina, si è registrato un calo dei prezzi medi all’ingrosso del 7,58% rispetto al mese precedente. Con grandi quantità di prodotti freschi lasciati a marcire nei mercati si sono create le premesse per ulteriori crolli dei prezzi, con prevedibili conseguenze negative sulla filiera agroalimentare. Il governo locale ha quindi dovuto adottare misure di stabilizzazione dei prezzi.

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crescita della popolazione mondiale, agli impatti del cambiamento climatico sulle rese agricole, alla composizione del futuro paniere alimentare globale. Quest’ultimo aspetto, se gestito correttamente, consentirà di contenere il grado di incremento di produttività necessario a sostenere i consumi mondiali.La sfida è quella di innovare continuamente (rendendo nel contempo accessi-bili le innovazioni), orientandosi verso la messa a punto di modelli agricoli e produttivi a elevata produttività, maggiore qualità e minor impatto ambientale. La ricerca scientifica e tecnologica su questi temi, promossa anche mediante ingenti flussi di investimenti pubblici, è perciò decisiva.Alcuni percorsi sono stati già tracciati:• vanno promossi interventi di sostegno ai paesi in via di sviluppo – finaliz-zati al raggiungimento di una condizione di autonomia alimentare – attraverso il trasferimento di conoscenze scientifiche e di pratiche agricole ottimali verso questi paesi, con programmi ad hoc volti a colmare il gap di know how oggi esi-stente tra paesi avanzati e paesi arretrati;• occorre inoltre favorire, attraverso adeguate policy e misure di incen-tivo/disincentivo, il mantenimento e lo sviluppo dei sistemi locali della filiera produzione-distribuzione-consumo dei beni agroalimentari, preservando le pro-duzioni di qualità e attente alla bio-sostenibilità. Ma vanno anche contrastate le politiche fiscali e commerciali distorsive dei mercati agroalimentari mondiali, soprattutto a danno dei paesi in via di sviluppo.

Queste misure, associate a uno sfruttamento più razionale del territorio, con-sentono da sole di ottenere risultati significativi. Altre vie, legate a salti di para-digma tecnologico – come le biotecnologie – vanno certamente esplorate in parallelo, nella consapevolezza che numerosi profili relativi al loro impiego deb-bano ancora essere approfonditi e valutati attentamente.

adeguare la filiera e gestire la volatilità dei prezzi. Il settore agro-alimentare, destinato nel prossimo futuro a convivere con una significativa e crescente volatilità dei prezzi, deve predisporre soluzioni tecniche per gestire al meglio questa nuova realtà.Al fine di contrastare e prevenire future food crisis, appare opportuno:• effettuare un processo di valutazione e selezione delle migliori best practices a livello internazionale, nazionale e locale per la creazione di scorte di alimenti e di materie prime, definendo costi, tempi e ruoli di un simile processo di “assi-curazione” globale;• definire un nuovo sistema di regole per i mercati delle food commodities, in grado di valorizzare il ruolo non esclusivamente economico dei prodotti in essi scambiati, prevedendo – per esempio – forme di vigilanza attiva da parte di un’authority indipendente o imponendo dei position limits per garantire che le

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somme investite non configurino operazioni di natura eccessivamente spe-culativa rendendo obbligatoria la completa trasparenza di tutte le operazioni finanziarie (volumi e prezzi scambiati);• coordinare le politiche commerciali a livello internazionale, favorendo l’ac-cesso sui mercati e la crescita qualitativa delle produzioni provenienti dai paesi in via di sviluppo.

Su questo aspetto si avrà modo di presentare un quadro più dettagliato di leve di intervento all’interno del paragrafo dedicato al tema della volatilità dei prezzi dei beni agroalimentari.

gestire gli stili alimentari. I modelli oggi impiegati in chiave predittiva soffrono di due gravi limiti: da un lato, scontano la difficoltà a incorporare dati previsionali relativi all’evoluzione del fenomeno del cambiamento clima-tico, a causa dell’oggettiva incertezza che ne caratterizza i possibili impatti; dall’altro, pesa la difficoltà insita nella stima dell’evoluzione dei modelli di consumo alimentare. È risaputo, infatti, che l’impatto ambientale e il grado di efficienza nel consumo delle risorse naturali (terra, acqua, mangime ecc.) associate alle diverse scelte dietetiche può essere estremamente diverso. Western diet e dieta mediterranea, infatti, differiscono soprattutto nei quan-titativi di carne consumata. È facilmente dimostrabile come modelli di con-sumo eccessivamente sbilanciati nella direzione del consumo di carne e di prodotti alimentari di origine animale possano pregiudicare nel tempo la food security globale.Sul lato dell’offerta di cibo, il tema centrale a ogni riflessione non può dunque che essere costituito dalla futura composizione della domanda di beni alimen-tari, alla luce degli straordinari cambiamenti che è già oggi possibile preve-dere. L’incremento demografico si associa a una crescita economica sostenuta in ampie zone del pianeta, con l’accesso a più sofisticati modelli di consumo da parte di vasti strati della popolazione dei paesi emergenti.Per la prima volta nella storia, l’azione di governo e l’indirizzo dei modelli ali-mentari in direzione di un profilo di sostenibilità sta diventando una variabile decisiva di politica economica. Ciò sta assumendo contorni concreti nei paesi sviluppati, per far fronte a uno stato di emergenza sanitaria legata al dilagare di malattie metaboliche, cardiocircolatorie e tumorali derivanti da errati stili alimentari. Nel tempo diventerà cruciale anche per i paesi in via di sviluppo, soprattutto per l’impatto che questo avrà sugli equilibri produttivi globali in agricoltura.La scelta di modelli alimentari sostenibili per il futuro consente di diminuire l’accento posto sui guadagni di produttività, che generano a loro volta pres-sioni sulle risorse naturali e sulla sostenibilità ambientale.

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una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo

Il livello di attenzione alle dinamiche dei prezzi dei beni alimentari è oggi più alto che mai. A partire dalla seconda metà del 2010, infatti, i prezzi sui mercati delle materie prime agricole hanno iniziato a crescere molto rapidamente: nel periodo compreso tra luglio 2010 e febbraio 2011 il FAO Food Price Index è cresciuto del 38%, raggiungendo un picco superiore a quello registrato durante la crisi alimentare del 2008. In 12 mesi, da giugno 2010 a giugno 2011, il solo prezzo dei cereali è aumentato del 71%.Inoltre, si osserva un preoccupante incremento della volatilità dei prezzi, con oscillazioni rapide e marcate, verso l’alto e verso il basso, anche all’interno della stessa seduta giornaliera. Ciò genera incertezza e instabilità sui mercati. Negli ultimi cinque anni la deviazione standard, misura della volatilità,19 è stata più che doppia rispetto ai precedenti quindici anni (29,3 rispetto a 13,5).Unite alla difficile congiuntura economica globale, le conseguenze di tali feno-meni rischiano di portare a una situazione di forte criticità per la sicurezza ali-mentare delle famiglie (in particolare di quelle a basso reddito) e lo sviluppo della filiera agroalimentare e dell’economia nel suo complesso (soprattutto nei paesi in via di sviluppo, ma non solo).

2.4 il modello interpretativo del bcfn

A fronte di questa situazione, il Barilla Center for Food & Nutrition ha ela-borato uno studio volto a individuare, studiare e chiarire le cause dell’elevato e per certi versi straordinario aumento dei prezzi delle commodity alimentari, e a valutare gli effetti di tale incremento sulla sicurezza alimentare delle fami-glie (soprattutto quelle a basso reddito) e sulla stabilità economica e politica dei paesi (in particolare quelli in via di sviluppo).Questo modello, che intende offrire una visione sistemica dei molteplici ele-menti che concorrono a definire l’andamento dei prezzi delle commodity ali-mentari, evidenzia anzitutto i fattori riconducibili al lato della domanda (livello delle scorte di prodotto, fattori demografici, crescita economica dei paesi emer-genti, scelte alimentari) e dell’offerta (produzione agricola, scarsità delle risorse naturali, produzione di biocarburanti, effetti riconducibili al cambiamento cli-matico). Si tratta di fattori cosiddetti endogeni. A questi è possibile associare alcuni fattori trasversali esogeni, esterni cioè all’ambito di formazione dei prezzi, che incidono direttamente o indirettamente sul livello dei prezzi. Tra questi il modello interpretativo proposto prende in considerazione i mercati finanziari e quello dei cambi, il prezzo del petrolio e dell’energia, le politiche commerciali internazionali e le dinamiche geopolitiche.

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L’esigenza di disporre di una rappresentazione grafica di immediata compren-sione ha imposto la collocazione dei diversi fattori considerati o nel lato della domanda, o in quello dell’offerta, o tra i fattori trasversali. Nella realtà, tuttavia, molti di questi fattori esercitano interazioni complesse nella relazione domanda-offerta. Inoltre esistono numerose interconnessioni tra i fattori stessi, che sono state evidenziate tracciando le linee tratteggiate presenti nella figura 2.6.Tutti gli elementi individuati e rappresentati nel modello interpretativo sopra descritto possono anche essere suddivisi a seconda della tipologia dell’effetto generato sui prezzi e del relativo orizzonte temporale di riferimento.In altre parole, si considerano l’incremento della volatilità dei prezzi nel breve termine, o l’aumento del livello dei prezzi nel medio-lungo termine. Tale distin-zione è cruciale, poiché le conseguenze e gli impatti dei due fenomeni sono molto diversi (volatilità e livello assoluto dei prezzi).Da queste valutazioni deriva anche che gli effetti di alcuni fattori sono modi-ficabili solo nel medio-lungo termine e possono trovare risposta in processi di adattamento del sistema a mutate condizioni strutturali della domanda e dell’offerta. È il caso, per esempio, della crescita demografica ed economica dei paesi emergenti, che induce un significativo aumento della domanda di beni alimentari, del fenomeno dell’urbanizzazione, dell’innalzamento della tempera-

figura 2.6

Il modello interpretativo della volatilità dei prezzi alimentariFonte: BCFN, 2011.

prezzi OFFERTA

politichecommerciali

mercato dei cambi

mercati finanziari

(speculazione)

dinamiche geopolitiche

produzione agricola

Produttività Tecnologia/innovazione Sprechi e perdite

demografia Crescita della

popolazione Urbanizzazione

biocarburantistili alimentari Aumento delle calorie

consumate “Occidentalizzazione”

della dieta

limitatezza delle risorse naturali

Suolo coltivabile Acquacrescita

economica dei paesi emergenti

cambiamento climatico

Incremento delle temperature

Variazione delle precipitazioni

Eventi climatici avversi

livello delle scorte

prezzo del petrolio e

dell’energia

DOMANDA

Fattori di contesto Fattori strutturali Fattori contingenti

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tura causato dal cambiamento climatico, del progressivo accentuarsi della scar-sità delle risorse naturali.Gli squilibri tra domanda e offerta sono all’origine delle variazioni nei livelli dei prezzi; nel caso di equilibrio, i prezzi non avranno una tendenza a crescere e sarà più difficile che si verifichino picchi di volatilità.A titolo esemplificativo: se in una situazione nella quale a fattori come la cre-scita demografica su scala globale, tenuto conto anche delle aspettative future di tumultuoso sviluppo economico dei paesi emergenti e di investimenti signi-ficativi nella produzione di biocarburanti, si associano shock climatici (siccità, incendi e inondazioni in alcune delle aree chiave per l’agricoltura mondiale) – il tutto in un contesto di basse scorte di prodotto – l’esito non può che essere quello di una forte turbativa dei mercati. Se la risposta, in termini di politiche, è orientata a logiche protezionistiche, il risultato – osservato su scala globale – sarà quello di una improvvisa crescita dei prezzi e di una accresciuta incertezza. È un terreno sul quale la finanza internazionale, in un contesto di mercati dei capitali estremamente difficili, volentieri si avventura, come in effetti è successo in questa fase così concitata per l’economia mondiale.

2.5 le variabili del modello bcfn

Per comprendere a fondo le ragioni degli aumenti di prezzo citati e della loro estrema volatilità occorre analizzare le diverse variabili in gioco, nei loro movi-menti e nei loro punti di interazione.Vi sono innanzitutto fattori di carattere strutturale, che influenzeranno il livello futuro dei prezzi nei prossimi decenni: crescita demografica e sviluppo economico, da un lato, rischi di insufficiente livello dell’offerta globale e alti livelli di sprechi e perdite, dall’altro.

la crescita demografica, lo sviluppo economico e le variazioni nelle abitudini alimentari. A seguito della crescita della popolazione e del reddito pro capite nei paesi in via di sviluppo, il consumo di beni agricoli è in costante crescita. L’aumento del tasso di urbanizzazione e il cambiamento nelle abitudini alimentari comportano un cambiamento radicale nella composizione merceo-logica della domanda alimentare dei paesi emergenti. Ciò implica un utilizzo intensivo di risorse. La maggiore domanda di beni alimentari come la carne, infatti, incide anche direttamente sul consumo di prodotti agricoli. Per cercare di limitare questo fenomeno, tenuto conto dell’elevato impatto delle attività di allevamento sul consumo di risorse di base, gli scienziati stanno studiando metodi alternativi per favorire il consumo di vegetali ad alto contenuto proteico e stimolare un effetto di sostituzione nei confronti del consumo di carne. La figura 2.7 mostra il forte aumento registrato nell’apporto calorico giornaliero pro capite nei paesi in via di sviluppo.

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75una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo | cibo per tutti

i rischi d’insufficiente livello dell’offerta globale. La crescita della pro-duttività agricola è seriamente minacciata dalla scarsità delle risorse naturali dovuta principalmente all’aumento dell’urbanizzazione, al degrado dei suoli e al cambiamento della destinazione d’uso delle colture (specialmente per la produ-zione di biocarburanti). Anche l’acqua sta diventando sempre di più una risorsa scarsa a causa dell’aumento del consumo pro capite globale. Le falde acquifere sono minacciate dal crescente tasso di urbanizzazione e dall’impiego intensivo negli allevamenti; la quantità d’acqua necessaria alla produzione di carne supera di 8-10 volte quella utilizzata nella produzione di cereali. Inoltre una delle mag-giori criticità attuali riguarda il livello di sprechi e le perdite lungo le filiere (perdite nelle fasi a monte nei paesi in via di sviluppo, sprechi nelle fasi a valle nei paesi sviluppati).La figura 2.8 mostra come il tasso di crescita della produttività nel periodo 1991-2010 sia stato inferiore dello 0,62% rispetto al periodo 1961-1990.Accanto a questi fattori, di natura strutturale, ve ne sono altri, di breve periodo, che potrebbero inasprire o mitigare l’effetto dei primi agendo sulla volatilità e sull’instabilità dei prezzi.

i fenomeni meteorologici causati dal cambiamento climatico. Gli scarsi raccolti dovuti a eventi climatici estremi, come la siccità del 2010 in Rus-sia e successivamente in Argentina e le forti piogge in Canada e in Australia all’inizio del 2011, hanno parzialmente contribuito all’attuale picco nel livello dei prezzi alimentari. Ci sono poi fenomeni ricorrenti come “La Niña”,20 che ha imperversato durante i primi mesi del 2011, causando inverni più freddi

figura 2.7

Il consumo pro capite di kcal giornaliere (1964 – stime al 2030)Fonte: BCFN su dati FAO, 2010.

2.05

4

2.15

2 2.45

0

2.68

1

2.85

0

2.98

0

2.94

7

3.06

5

3.20

6

3.38

0

3.44

0

3.50

0

Paesi in via di sviluppo Paesi industrializzati

1964‑1966 1974‑1976 1984‑1986 1997‑1999 2015 2030

Page 94: Eating Planet 2012

76 eating planet

nell’emisfero Nord, siccità nel sud degli Stati Uniti e un aumento delle piogge in Indonesia, Malesia e Australia. La comunità scientifica internazionale con-corda nel sostenere che il cambiamento climatico in atto, a livello globale, è responsabile dell’intensificarsi di fenomeni climatici “estremi”, i quali hanno il ruolo di driver nell’innalzamento dei prezzi del cibo nel medio-lungo termine (figura 2.9).

le politiche commerciali. Le decisioni di politica economica internazionale adottate dai singoli Stati hanno sempre giocato un ruolo fondamentale nella determinazione del livello dei prezzi su scala globale. Durante la crisi del 2008 almeno trenta paesi hanno implementato politiche restrittive nelle esportazioni causando distorsioni nel mercato internazionale, al fine di salvaguardare la food security interna. Sebbene dazi, tariffe o tasse sulle esportazioni possono dare stabilità di breve periodo al livello dei prezzi interni, in generale l’effetto (sia interno sia esterno) non sarà positivo. A livello globale, le restrizioni alle espor-tazioni sono in grado di aggravare l’instabilità dei prezzi e contribuire alla loro

figura 2.8

La resa globale dei cereali 21 (1961‑2010)Nota: CAGR, Compound Annual Growth Rate (tasso di crescita medio annuo).Fonte: BCFN su dati The World Bank, luglio 2011.

3.400

2.900

2.400

1.900

1.400

1961

1963

1965

1967

1969

1971

1973

1975

1977

1979

1981

1983

1985

1987

1989

1991

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

chil

ogra

mm

i per

ett

aro

CAGR 1961‑1990:+ 1,84%

CAGR 1991‑2010:+ 1,22%

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cibo e instabilità socialiIn alcune parti dell’Asia, come in India, si sono registrate nel 2011 forti crescite dei prezzi dei generi alimentari. In questo caso la dinamica è originata dalle conseguenze di fenomeni atmosferici anomali, come le piogge monsoniche “fuori stagione” che hanno colpito l’Asia Meridionale. Ciò ha fatto temere il ripetersi di una crisi alimentare come quella che nel 2008 ha provocato tumulti in tutta la regione.

Page 96: Eating Planet 2012

78 eating planet

figura 2.9

L’andamento dei prezzi dei cereali e i principali eventi climatici (giugno 2010 – aprile 2011)Fonte: BCFN su dati USDA e FAO, 2011.

figura 2.10

Le politiche commerciali internazionali e il prezzo del grano (gennaio 2010 – agosto 2011)Fonte: BCFN su dati CBT e agenzie stampa 2010, 2011.

Forte siccità e grandi incendi hanno ridotto

le aspettative di produzione di grano

in Russia

Le coltivazioni di grano rosso sono colpite da

siccità negli Stati Uniti

Forti piogge danneggiano

i raccolti di grano in Australia

Buona parte della zona del grano rosso

(Hard Red Winter) negli Stati Uniti risente di scarse

precipitazioni

Ribasso sulle stime di produzione di semi di soia indonesiani a causa delle

piogge eccessive

Forti piogge e inondazioni

distruggono le piantagioni di mais nella US

Corn Belt

Scarsi raccolti nelle regioni

agricole cinesi; in India il freddo

danneggia le coltivazioni di

cereali

100

150

200

250

giu2010

lug2010

ago2010

sett2010

ott2010

nov2010

dic2010

gen2011

feb2011

mar2011

apr2011

mag2011

giu2011

indi

ce fa

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li, 1

00 =

ott

200

5

150

200

250

300

350

400

1/20

10

2/20

10

3/20

10

4/20

10

5/20

10

6/20

10

7/20

10

8/20

10

9/20

10

10/2

010

11/2

010

12/2

010

1/20

11

2/20

11

3/20

11

4/20

11

5/20

11

6/20

11

7/20

11

8/20

11Il governo ucraino impone un dazio alle esportazioni

Giordania, Libia e Marocco

aumentano le importazioni per rifornire le riserve

Prezzo mensile del grano (Hard Red Winter)

− Imposizione di misure restrittive al commercio internazionale

+ Revoca di misure restrittive al commercio internazionale

L’Europa riattiva i dazi alle

importazioni

L’Europa sospende i dazi

alle importazioni di grano foraggero

L’Algeria acquista 800kt

sovrapprezzo

La Turchia riduce il dazio alle

importazioni per il settore pubblico

dal 130% a 0%

La Russia annuncia la revoca

del divieto di esportazione

Il governo ucraino revoca il dazio alle

esportazioni

Iraq e Tunisia acquistano

350kt e 100kt, di grano, volumi molto maggiori

degli acquisti abituali

A causa della siccità

la Russia vieta le esportazioni

− −+

+

+

+

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79una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo | cibo per tutti

crescita. Queste misure impediscono la creazione di un equilibrio tra domanda e offerta e lanciano segnali di incertezza ai mercati, che potrebbero tradursi in politiche d’acquisto aggressive per tutelarsi rispetto agli andamenti e alle dispo-nibilità future. Nella figura 2.10 sono elencati i maggiori interventi di politica commerciale internazionale tra giugno 2010 e aprile 2011.

il prezzo del petrolio. Il legame tra settore energetico e settore alimentare è molto stretto. Quest’ultimo utilizza complessivamente, infatti, tra il 10 e il 15% dell’energia prodotta nei paesi industrializzati nella produzione di fertilizzanti inorganici, nel consumo di carburante per il trasporto, nelle attività produttive (irrigazione, mietitura e gestione delle stalle) e nelle ultime fasi della catena del valore (lavorazione del raccolto, ciclo del freddo e conservazione). Inoltre le col-ture sono sempre più spesso destinate alla produzione di carburante (biofuel) che contribuisce a ridurre l’offerta per scopi alimentari. Il doppio legame tra cibo ed energia rende il prezzo del petrolio un fattore determinate nella pro-duzione e distribuzione alimentare. Prezzi elevati del petrolio contribuiranno a innalzare i prezzi degli alimenti aumentando i costi di produzione da un lato e la domanda di biofuel dall’altro (figura 2.11).

figura 2.11

Le correlazione tra il prezzo del petrolio e i prezzi alimentari (gennaio 2004 – aprile 2011)Fonte: BCFN su dati FAO e IMF, 2011.

$ 0

$ 20

$ 40

$ 60

$ 100

$ 80

$ 120

$ 140

FAO Food Price Index Prezzo del greggio ($ al barile)

0

50

100

150

200

250

4/20

041/

2004

7/20

0410

/200

41/

2005

4/20

057/

2005

10/2

005

1/20

064/

2006

7/20

0610

/200

61/

2007

4/20

077/

2007

10/2

007

1/20

084/

2008

7/20

0810

/200

81/

2009

4/20

097/

2009

10/2

009

1/20

104/

2010

7/20

1010

/201

01/

2011

4/20

11

Page 98: Eating Planet 2012

80 eating planet

figura 2.12

Il tasso di cambio $/€ e il Cereals/Food Price Index (marzo 2006 – giugno 2011)Fonte: BCFN su dati USDA, OECD e FAO, 2011.

0,6

0,50

50

100

150

200

250

0,65

0,55

0,7

0,75

0,8

0,85

Food Price Index Cereal Price Index $/e

Tra marzo 2006 e novembre 2007, le esportazioni di cereali americane

aumentano del 46%

A seguito del deprezzamento del dollaro le esportazioni americane

crescono del 56%

Tra luglio 2008 e luglio 2009, le esportazioni di cereali

americane calano del 29%

3/20

065/

2006

7/20

069/

2006

11/2

006

1/20

073/

2007

5/20

077/

2007

9/20

0711

/200

71/

2008

3/20

085/

2008

7/20

089/

2008

11/2

008

1/20

093/

2009

5/20

097/

2009

9/20

0911

/200

91/

2010

3/20

105/

2010

7/20

109/

2010

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010

1/20

113/

2011

5/20

11

i fattori macroeconomici. Il tasso di inflazione, i tassi di cambio e di inte-resse sono altre variabili ritenute di grande importanza nella determinazione delle politiche agricole. La crescita nel livello dei prezzi alimentari a causa del deprezzamento del dollaro è un fenomeno unanimemente riconosciuto. Sic-come gli Stati Uniti sono i principali esportatori di commodity agricole del mondo e molti prezzi sono denominati in dollari, il deprezzamento della valuta statunitense comporta un aumento del potere d’acquisto dei paesi importatori, che si tradurrà in una significativa crescita nella domanda di importazioni, con-tribuendo allo squilibrio tra domanda e offerta internazionale. La figura 2.12 mostra il rapporto tra il Cereals Price Index, il tasso di cambio euro/dollaro e gli eventi di politica commerciale americana.

la speculazione sui mercati finanziari. Oggi, i mercati finanziari dei derivati su prodotti agricoli offrono strumenti come future, opzioni e swap con cui limitare il rischio. Queste attività permettono il fluire di liquidità sui mer-cati e forniscono forti segnali sul livello dei prezzi, ai quali l’offerta reagirà nel medio termine. A fronte della crisi del 2008 ci si interroga sul ruolo dei deri-vati sui mercati agricoli e come essi possano influenzare la volatilità dei prezzi e minacciare l’accesso al cibo. Il fluire di ingenti volumi di denaro estranei a logiche economiche di natura reale (copertura dei rischi operativi) sui mercati

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81una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo | cibo per tutti

dei beni agricoli, ha infatti concorso ad aggravare – secondo molti osservatori – il quadro di instabilità complessivo.

il livello delle scorte. Quando il livello delle scorte è basso, in assenza di un meccanismo a “cuscinetto”, la risposta a uno shock di offerta si traduce diretta-mente in un incremento nel livello dei prezzi. Per esempio tra il 1972 e il 1973, in un periodo durante il quale le scorte internazionali erano basse, una ridu-zione di meno del 2% nella produzione di grano ha fatto raddoppiare il prezzo. Il livello delle scorte mondiali è un dato complesso da stimare: esse sono regi-strate come aggregati annuali di ogni singolo mercato e possono quindi essere valutate solo in modo piuttosto impreciso e mediante stime. La figura 2.13 mostra come tra il 2000 e il 2011 il livello delle scorte di riso, grano e mais sia decresciuto nel mondo, anche a causa dello squilibrio tra produzione e consumo.

2.6 strategie per contrastare la volatilità

Il quadro che emerge dall’analisi è estremamente complesso e va necessaria-mente interpretato in chiave sistemica, in considerazione dei molteplici elementi che concorrono a generare l’attuale situazione di squilibrio che si traduce in una

figura 2.13

Il tasso di variazione medio annuo di produzione, consumo e il livello delle scorte di riso, grano e mais (mondo, 2000‑2011)Nota: CAGR, Compound Annual Growth Rate (tasso di crescita medio annuo).Fonte: BCFN su dati Food and Agricultural Policy Research Institute (FAPRI), 2011.

0,75%0,95%

2,36%

0,93% 1,03%

2,44%

− 3,4%

− 0,7%

− 3,5%

Riso Grano Mais

CAGR produzione CAGR consumo CAGR stock

Page 100: Eating Planet 2012

82 eating planet

forte volatilità dei prezzi nel breve periodo e nel rischio di una crescita costante degli stessi nel medio-lungo termine.Com’è possibile intervenire su un sistema così complesso, al fine di orientarne gli sviluppi lungo un percorso di sostenibilità?In termini di possibili leve di intervento, è fondamentale suddividere i fattori analizzati in base alla possibilità concreta di intervenire sugli stessi, sia per ridurre la volatilità sia per evitare eccessivi aumenti di prezzi, incompatibili con gli obiettivi di sicurezza alimentare globale e di sviluppo del settore agroali-mentare. È decisiva la considerazione dell’orizzonte temporale di realizzazione di tali interventi.Le aree di intervento sono sette. Relativamente a ciascuna di esse si cercherà di presentare sinteticamente le principali linee di azione.

definire i modelli di crescita e produttivi ottimali nei diversi contesti geografici. La sfida è quella di promuovere ulteriori processi di innovazione, orientando il settore verso la messa a punto di modelli agricoli e produttivi soste-nibili e a elevata produttività, maggior qualità del prodotto e minor impatto ambientale.A tal fine risulta necessario sostenere le iniziative di trasferimento di conoscenze e competenze a supporto dei paesi in via di sviluppo e l’approfondimento delle nuove tematiche derivanti dall’evoluzione del paradigma tecnologico.La ricerca scientifica e tecnologica su questi temi, promossa anche mediante significativi flussi di investimento pubblico, è infatti decisiva.Vanno inoltre elaborate adeguate misure di contrasto alle politiche commerciali potenzialmente distorsive e promossa la tutela dei sistemi produttivi locali. In generale, è necessario lavorare a fondo per limitare l’instabilità dei mercati glo-bali delle materie prime alimentari.Per una descrizione più puntuale del nostro approccio a un sistema agroalimen-tare più adeguato alle sfide future si rimanda al paragrafo “Favorire lo sviluppo e gli incrementi di produttività agricola”, e – più in generale – al capitolo 3, dove vengono analizzate in dettaglio le esigenze di sostenibilità del sistema agroindustriale.

fare i conti con la scarsità delle risorse naturali per la produzione agricola. I limiti nella disponibilità delle risorse naturali, con particolare rife-rimento a input come l’acqua e i terreni coltivabili, rappresentano un vincolo molto importante alla crescita della capacità produttiva dell’agricoltura mondiale.Con riferimento all’acqua, per esempio, è necessario realizzare interventi volti a ridurne l’impiego all’interno dei processi produttivi e di coltivazione. In questo ambito, esistono ampi margini di manovra sia sul fronte della riduzione degli sprechi sia su quello dell’impiego di tecnologie in grado di rendere la risorsa

Page 101: Eating Planet 2012

sicurezza alimentareL’epidemia causata nel 2011 dal batterio E-coli, che ha colpito in particolare il nord della Germania, ha avuto una forte ripercussione sul commercio dei prodotti che di volta in volta sono stati identificati come vettori dell’infezione e quindi sui settori agricoli dei paesi di origine. L’allarme sviluppatosi tra i consumatori ha comportato la distruzione di tonnellate di derrate alimentari, anche se risultate negative alle analisi per l’individuazione del batterio.

Page 102: Eating Planet 2012

84 eating planet

acqua maggiormente produttiva (ottenendo, in questo modo, output quantita-tivamente più significativi a parità di input: il cosiddetto more crop per drop).• È necessario introdurre forme di incentivo all’investimento nelle tecnologie già disponibili per ottenere risparmi nei volumi d’acqua impiegata nei processi produttivi.• Per quanto riguarda gli impieghi in agricoltura – che riguardano il 70% dei consumi idrici globali – occorre favorire l’adozione di tecniche avanzate di raccolta dell’acqua piovana da utilizzare per l’irrigazione. Peraltro, la dif-fusione di tecnologie e strumenti di gestione dell’irrigazione agricola volte a massimizzarne l’efficienza non sempre si traduce in ingenti investimenti in tecnologie, ma spesso, più semplicemente, nella diffusione di conoscenza e know how.

contrastare con determinazione gli effetti del cambiamento climatico. Gli studi più accreditati sul tema del cambiamento climatico mostrano come lo scenario al quale viene oggi assegnata maggiore probabi-lità di verificarsi prevede una futura diminuzione della produttività agricola globale, in assenza di interventi radicali, a parità di superficie agricola lavo-rata. Inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici potrebbero incidere negati-vamente su alcune aree geografiche e sulla loro capacità di garantire adeguati livelli di produzione rispetto ai volumi attuali, soprattutto a causa dell’innal-zamento della temperatura e di più severe condizioni di accesso alle risorse idriche (gli impatti più rilevanti si dovrebbero registrare nella fascia equato-riale, nell’area del Mediterraneo, in Australia ecc.). Infine, il cambiamento cli-matico è causa dell’intensificarsi di eventi climatici estremi (siccità, inonda-zioni ecc.) che possono provocare ingenti perdite dei raccolti.• Occorre incentivare la realizzazione di azioni volte alla mitigazione degli impatti del cambiamento climatico, per esempio attraverso una migliore gestione delle coltivazioni e dei pascoli per aumentare la riserva di carbo-nio nel suolo; il ripristino di suoli di torbiera coltivati e di terre degradate; il miglioramento delle tecniche di produzione del riso e di allevamento del bestiame e della gestione del concime per ridurre le emissioni di CH4; il miglioramento delle tecniche di applicazione di fertilizzanti a base di nitrati per ridurre le emissioni di N2O, miglioramento dell’efficienza energetica ecc.• Sostenere azioni di adattamento al cambiamento climatico, finalizzate a sostenere la produttività agricola, tra cui la differenziazione delle colture.

ridurre le barriere alle importazioni, i sussidi alle esportazioni e le diverse forme di restrizione commerciale. L’imposizione di barriere o sussidi commerciali rappresenta un fattore di distorsione delle dinamiche tra domanda e offerta sul mercato internazionale delle commodity alimentari.

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85una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo | cibo per tutti

Nel periodo 2008-2010, a seguito di aspettative ribassiste sui futuri raccolti e rialziste sul livello internazionale dei prezzi, alcuni importanti paesi esporta-tori di beni agricoli hanno introdotto tasse sull’export per aumentare l’offerta domestica e limitare l’effetto interno dell’aumento globale dei prezzi alimen-tari. Tali dinamiche si sono riproposte negli ultimi mesi e sono responsabili del nuovo, rapido incremento dei prezzi.Una delle maggiori sfide che la comunità internazionale si trova oggi ad affrontare riguarda la necessità di costruire un sistema di scambi commerciali trasparente, “responsabile” e basato su regole multilaterali capaci di garantire un maggiore accesso al cibo a livello globale. Si auspica in generale una ridu-zione del ricorso a barriere alle importazioni, sussidi alle esportazioni e altre restrizioni commerciali. In particolare, appare necessario:• eliminare le restrizioni alle esportazioni e ridurne i sussidi nell’ottica di cre-are condizioni di parità nel mercato internazionale, aumentando così l’effi-cienza dello stesso;• ridurre gli strumenti di sostegno della domanda interna che producono distorsioni, soprattutto quando messi in atto dai paesi maggiormente sviluppati;• migliorare in modo significativo l’accesso al mercato, mantenendo appro-priati sistemi di salvaguardia per i paesi in via di sviluppo, ai fini di un miglioramento della loro efficienza e competitività e del rafforzamento della loro integrazione sui mercati internazionali.

creare un sistema multilaterale di riserve alimentari e migliorare la trasparenza su flussi e stock. Diversi fattori negli ultimi anni hanno reso necessario attingere alle scorte accumulate negli anni per sopperire alla crescente domanda di beni alimentari (cresciuta più rapidamente dell’offerta) e stabilizzare i prezzi interni. Le analisi condotte hanno evidenziato un forte legame tra la variazione delle scorte e l’andamento dei prezzi delle commodity alimentari. In particolare, su un orizzonte temporale sufficientemente ampio, si è osservato che a una riduzione del rapporto stock to use di cereali corri-sponde tendenzialmente un aumento nel livello dei prezzi, mentre, al contra-rio, a un aumento del rapporto stock to use il prezzo tende a ridursi. Al fine di moderare questo effetto è possibile adottare varie misure:• costituire un sistema multilaterale di riserve di cibo, regionali e cross border, per accrescere i margini di elasticità del sistema alimentare mondiale. È neces-sario quindi favorire il coordinamento delle politiche di stoccaggio a livello internazionale;• migliorare la trasparenza dei mercati in termini di condivisione di infor-mazioni relative all’offerta, alla domanda, agli stock e alle dinamiche import-export. La strutturazione di basi statistiche più precise contribuirebbe a dimi-nuire la speculazione e attenuare il fenomeno dell’estesa volatilità dei prezzi.

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86 eating planet

Di particolare importanza è la raccolta di dati relativi al livello delle riserve e la diffusione di stime sull’entità di domanda e offerta attraverso meccani-smi di previsione sull’entità dei raccolti per supportare le decisioni dei governi nazionali.

evitare che la coltivazione per i biocarburanti entri in contrasto con la coltivazione di varietà destinate all’alimentazione. A livello internazionale il prezzo delle commodity alimentari risulta fortemente corre-lato a quello del petrolio. Aumenti del prezzo del petrolio determinano una maggiore convenienza dei biocarburanti e ne rafforzano la domanda a livello internazionale. Poiché la maggior parte dei biocarburanti (prima generazione) viene prodotta con i medesimi input destinati all’alimentazione o all’alleva-mento (cereali, canna da zucchero, oli vegetali ecc.), si genera una competi-zione tra settore energetico e alimentare nell’utilizzo delle materie prime agri-cole. Variazioni del prezzo del petrolio e politiche di supporto della produ-zione di biocarburanti sono così responsabili di episodi di forte volatilità e aumento dei prezzi sui mercati alimentari.• Si auspica che i governi (in particolare in Europa e negli Stati Uniti) ridu-cano significativamente le politiche di supporto alla produzione e al consumo di biocarburanti di prima generazione prodotti attraverso la trasformazione di materie prime alimentari.• In assenza della rimozione di tali incentivi, i governi dovrebbero svilup-pare piani di emergenza per regolare (almeno nel breve termine) le politiche che stimolano la produzione e il consumo di biocarburanti quando i mercati mondiali sono sotto pressione e le forniture alimentari si riducono.• Appare opportuno sostenere, in parallelo, i biofuel di seconda generazione, prodotti a partire da colture che non concorrono nell’utilizzo della terra con quelle a uso alimentare e incentivare l’attività di ricerca su nuove tecno-logie per la produzione di biocarburanti, al fine di rispondere alla crescente domanda di energia a livello globale e di ridurre gli effetti sul mercato delle materie prime agricole.• Oltre alla limitazione dei sussidi, è importante anche favorire l’apertura dei mercati internazionali, affinché i biocarburanti siano prodotti dove si verifi-cano le condizioni di convenienza economica e di sostenibilità della coltura.

regolamentare l’eccessiva speculazione finanziaria sulle commodity alimentari. I mercati dei futures rappresentano una parte integrante del mer-cato delle commodity alimentari ed esercitano due importanti funzioni: facili-tano il trasferimento del rischio di prezzo e contribuiscono alla formazione del prezzo stesso. Tuttavia, la crisi finanziaria globale degli ultimi anni ha indotto gli investitori “non-commerciali” (index funds che detengono posizioni nel

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87una nuova emergenza: l’instabilità dei prezzi del cibo | cibo per tutti

lungo periodo ed hedge funds che operano aggressivamente sul breve) a incre-mentare gli investimenti nei derivati delle commodity agricole, al fine di diver-sificare il proprio portafoglio. L’aumento della quota di contratti in mano a investitori non commerciali può avere indotto fenomeni speculativi, tipici dei mercati azionari. Per quanto l’effettivo ruolo di tale fenomeno nell’influenzare l’aumento del livello dei prezzi dei beni agricoli sia ancora ampiamente dibat-tuto, ciò che si può affermare con relativa certezza è che la speculazione finan-ziaria nel mercato delle commodity agricole può avere amplificato la volatilità di breve periodo.Pur non volendo demonizzare l’attività degli intermediari finanziari, si pos-sono ipotizzare alcune azioni in grado di favorire maggiore trasparenza, ordine ed equilibrio nei mercati senza ostacolare la legittima azione degli ope-ratori.• Da un lato, al fine di consentire alle autorità di regolazione di individuare eventuali anomalie nei corsi finanziari e prevenire possibili eccessi di com-portamenti speculativi si dovrebbe migliorare il flusso di informazioni e la trasparenza delle operazioni over the counter (OTC), attraverso il monito-raggio dell’attività di tutti gli operatori (mediante un sistema di reporting di transazioni/posizioni e di obblighi di registrazione per gli operatori) e l’even-tuale imposizione di tetti massimi alle loro attività. Si potrebbero, per esem-pio, introdurre meccanismi di diversificazione tra operatori commerciali e operatori non commerciali, in modo tale da imporre dei limiti agli operatori con finalità speculative per prevenire scommesse eccessive sui movimenti di prezzo, lasciando invece il mercato reale libero di agire.• Dall’altro lato, appare auspicabile incoraggiare l’introduzione di regole 22 per definire il perimetro d’azione degli intermediari finanziari sul mercato delle commodity agricole, nella direzione di una progressiva armonizzazione negli scambi su questi mercati. Come ha recentemente sottolineato anche il relatore delle Nazioni Unite per il Diritto al cibo, Olivier De Schutter, in occasione del Summit dei ministri dell’Agricoltura del G-20 a Parigi nel giugno 2011, gli Stati Uniti d’America hanno legiferato in materia di derivati finanziari da circa un anno e il G-20 potrebbe incoraggiare le altre potenze economiche a muoversi nella stessa direzione.

Si è cercato di proporre un quadro ampio di possibilità perché si ritiene che, nella ricerca di una soluzione ai problemi oggi sul tavolo, non esistano né scorciatoie né correzioni di modesta entità capaci di offrire risposte efficaci. Non vi è, in altre parole, la possibilità di ottenere risultati significativi se non promuovendo interventi di sistema, cioè interventi equilibrati che tocchino tutti, o larga parte, dei punti critici, rimuovendo le cause dell’attuale situa-zione complessiva di fragilità.

Page 106: Eating Planet 2012

88 eating planet

approcci e strumenti per il “benessere sostenibile”

Negli ultimi decenni, sia nel mondo occidentale sia nei paesi emergenti, il grado di complessità dei contesti sociali è aumentato esponenzialmente. Si è inoltre fatta strada, in modo sempre più marcato, la sensazione che ci possa essere una significativa divergenza tra l’andamento delle variabili macroeco-nomiche e il benessere percepito dai cittadini: in altre parole, la crescita eco-nomica non sembra sempre capace di garantire, essa sola, migliori livelli di benessere complessivo per le persone e per i gruppi sociali.Mentre la drammatica crisi economica degli ultimi anni pone in molti paesi il problema di riuscire a ridare slancio ai percorsi di crescita che si sono inter-rotti, diventa sempre più importante definire le condizioni di sostenibilità di queste traiettorie. A posteriori, è facile osservare come lo sviluppo prodotto nel mondo occidentale nel primo decennio di questo nuovo millennio sia stato viziato da gravi elementi di instabilità.Come è possibile che si registri una così forte divergenza tra crescita econo-mica e benessere? Ciò accade non solo perché vi sono costi associati alla cre-scita che, seppur di difficile quantificazione, hanno però forte impatto sulla vita delle persone, quali l’eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali o l’ampia gamma di esternalità negative associate all’attività economica, ma anche perché gli indicatori di carattere economico che misurano la crescita tra-scurano, per la loro stessa natura, aspetti di carattere sociale e ambientale di fondamentale importanza per il benessere.L’emergere di una più forte consapevolezza su questo fronte ha concorso negli ultimi anni ad alimentare un vivace dibattito in merito all’efficacia degli indi-catori fin qui maggiormente utilizzati per effettuare le grandi scelte economi-che e politiche degli Stati. Il prodotto interno lordo (PIL) è il principale prota-gonista di questo dibattito.

2.7 prodotto interno lordo contro indicatori di benessere

Il PIL è la principale misura dell’attività economica di un paese.23 Si ritiene che la sua crescita nel tempo rappresenti per approssimazione la capacità di gene-razione di ricchezza di un sistema economico e dunque il livello di benessere economico dei suoi cittadini.L’indicatore ha però assunto il ruolo di segnalatore chiave dell’intero sviluppo socio-economico, assumendo nei fatti un ruolo che non gli compete. Al con-trario, richiede di essere integrato con altre misurazioni di un’ampia gamma di fenomeni che influenzano la condizione di vita dei cittadini, quali l’inclusione sociale, la disuguaglianza, lo stato dell’ambiente.Si tratta di una riflessione già avanzata nel 1968 da Robert Kennedy, il quale

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– in un celebre discorso tenuto presso l’Università del Kansas – affermò: “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto interno lordo. Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine setti-mana. Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende programmi televi-sivi che enfatizzano la violenza per vendere prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popo-lari. Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi. Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta. Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgo-gliosi di essere americani”.Tra l’altro, già nel 1934, l’ideatore del PIL, l’economista Simon Kuznets,24 chiarì al Congresso degli Stati Uniti che benessere e PIL sono due cose distinte: “Il benessere di una nazione (…) non può essere facilmente desunto da un indice del reddito nazionale”.

come misurare il benessere. Non si tratta di avanzare critiche a uno stru-mento che ha dimostrato nel tempo la sua solidità, pur con tutti i limiti evi-denziati. Il punto che emerge con maggior chiarezza dal dibattito in corso, ai diversi livelli (scientifico e politico), è che non è possibile caratterizzare il benessere secondo un’unica dimensione. Si tratta infatti di un aspetto, quello del benessere, che tocca fattori economici e sociali, ambientali e politici, ele-menti personali e legati alla salute, al modo di vivere delle società e delle per-sone. Per quanto articolato possa essere, un elenco dettagliato dei possibili fat-tori in grado di incidere su una dimensione di benessere individuale è perciò destinato a essere necessariamente incompleto. Vale però la pena di ampliare il più possibile il numero di fattori utilizzati per la costruzione di indicatori di sintesi caratterizzati da elevato rigore statistico e metodologico.

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Sulla scorta di questa considerazione, sono stati elaborati nel tempo numerosi indicatori multidimensionali descrittivi,25 costruiti con l’intento di misurare il benessere e la qualità della vita relativa a una certa nazione, regione, città, territorio. Tale misurazione viene effettuata combinando più indicatori che si focalizzano su aspetti cruciali che, direttamente o indirettamente, influenzano e determinano la qualità della vita degli individui e delle comunità. Si tratta, per esempio, di indicatori di scolarizzazione e formazione, di occupazione, di indicatori ambientali, relativi all’energia, alla sanità, ai diritti umani, ai redditi disponibili, alla dotazione infrastrutturale, alla sicurezza pubblica e privata, alle attività ricreative e culturali ecc.È stato solo con l’istituzione nel 2008 di una Commissione composta da circa trenta economisti di rilevanza mondiale,26 presieduta dai premi Nobel Joseph Stiglitz e Amartya Sen e coordinata dall’economista francese Jean-Paul Fitoussi 27 – incaricata dal Presidente francese Nicolas Sarkozy di studiare e proporre misure alternative al PIL – che al dibattito è stata impressa una forte accelerazione. I lavori della “Commissione per la misurazione dei risultati eco-nomici e del progresso sociale” sono stati pubblicati nel settembre del 2009 e costituiscono un passaggio obbligato per il lavoro di quanti hanno in seguito cercato di sviluppare nuovi indicatori di benessere.28

Il processo avviato dalla Francia ha trovato seguito in diversi altri paesi del mondo (i primi sono stati Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Australia, Irlanda, Messico, Svizzera, Olanda). In Gran Bretagna, per esempio, il premier David Cameron ha incaricato l’Istituto di statistica britannico di individuare nuove misure per sostenere i processi di valutazione delle politiche economiche.In Italia, le due istituzioni tradizionalmente incaricate di misurare i dati econo-mici del paese, l’ISTAT (Istituto nazionale di statistica), e il CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), organo di consulenza del Parlamento sui temi di carattere economico, hanno recentemente avviato la costituzione di un “Gruppo di indirizzo sulla misura del progresso della società italiana”, compo-sto da rappresentanze delle parti sociali e della società civile.In una fase preliminare di tale lavoro, i presidenti di CNEL e ISTAT hanno incontrato i rappresentanti del Barilla Center for Food & Nutrition per cono-scere la loro esperienza e i risultati da essi raggiunti nel percorso di realizzazione di un indicatore multidimensionale focalizzato sugli aspetti nutrizionali e di stile di vita.

2.8 approccio soggettivo contro approccio oggettivo: le diverse prospettive di misurazione del benessere

Per inquadrare il fenomeno del benessere – nei termini di un approccio meto-dologico per la sua misurazione – occorre innanzitutto qualificare la prospettiva d’indagine. Scegliere, infatti, di adottare l’individuo – secondo quella che è una

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lo spreco alimentareIl fenomeno identificato sotto il nome di “spreco alimentare” ha assunto nelle economie avanzate proporzioni gigantesche, e riguarda tanto la produzione quanto la commercializzazione e vendita. Le iniziative di sensibilizzazione si moltiplicano. In Gran Bretagna, dove si gettano nei rifiuti 6,7 milioni di tonnellate di cibo all’anno, Londra ha fatto scuola con Feeding the 5.000, un pranzo collettivo e gratuito realizzato con alimenti che altrimenti sarebbero finiti in pattumiera.

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92 eating planet

convenzione unanimemente condivisa – quale punto focale di studio pone un problema fondamentale, legato alla logica di scelta, misurazione e ponderazione dei diversi fattori che concorrono a definire il benessere individuale. Esistono, infatti, quando la prospettiva è quella della persona, tanto fattori oggettivi quanto fattori soggettivi di benessere.Da una parte l’approccio è quello della misurazione degli elementi fattuali dell’esistenza delle persone, raccolti e valutati in modo oggettivo perché slegati da una valutazione parziale e personale. Dall’altra, la logica è quella della valu-tazione che gli individui danno della propria vita, dell’interpretazione dei feno-meni oggettivi che è formulata soggettivamente da ogni persona.Con la prima opzione (misurazione oggettiva) si rinuncia a censire direttamente la percezione delle persone, attraverso forme di sondaggio d’opinione, limitando l’indagine a un certo numero di indici misurati oggettivamente. Per esempio, si può ritenere che l’aspettativa di vita in buona salute di un paese costituisca, in media, un fattore capace di incidere positivamente sulla vita di tutte le persone che vivono in quel paese, senza eccezioni.Mediante il secondo approccio (misurazione soggettiva), il livello di benessere diventa oggetto di una valutazione espressa da ciascun individuo interpellato, con tutte le difficoltà che ne conseguono quando si devono poi effettuare con-fronti nel tempo e nello spazio, dipendendo la valutazione di benessere da fat-tori percettivi ed emozionali.Esistono diversi modi per colmare il gap fra misurazioni oggettive e percezioni soggettive. Una possibilità è quella di richiedere ai singoli una valutazione di queste ultime. Si tratta, in altre parole, di costruire indicatori che comprendano sia parametri oggettivi sia valutazioni personali. Ciò rende la misurazione del benessere individuale più completa e aderente alla reale valutazione della qualità della vita delle persone. Un approccio di questo tipo è stato utilizzato recen-temente dall’OECD 29 che ha rilasciato tre indicatori per la misurazione del benessere soggettivo relativi al numero di esperienze/sensazioni positive vissute nel corso dell’ultimo anno, al numero di esperienze/sensazioni negative vissute nel corso dell’ultimo anno e al numero di persone che dichiarato di vivere un livello di benessere elevato nella loro vita. È evidente come l’impiego di queste variabili introduca elementi di soggettività nella misurazione del benessere, ren-dendo maggiormente complessi i confronti fra individui e paesi diversi.L’alternativa è quella di rimanere nell’ambito delle misurazioni oggettive, allar-gando lo spettro dei fenomeni considerati co-determinanti del benessere, al fine di tentare di avvicinarsi asintoticamente a una misurazione di benessere il più possibile vicina a quella “reale”.Anche questo secondo approccio non risulta del tutto privo di criticità. In primo luogo, le tecniche di misurazione statistica – per quanto ampio sia l’im-pianto di indicatori utilizzato – sono legate, da un punto di vista metodologico,

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93approcci e strumenti per il “benessere sostenibile” | cibo per tutti

La Commissione Sen, Stiglitz, Fitoussi non ha individuato un nuovo indicatore sintetico, ma ha elaborato una serie di raccomandazioni,* riassunte di seguito, utili per cogliere il benessere sociale nelle sue molteplici dimensioni:• il benessere materiale dovrebbe essere valutato a livello di nucleo familiare, tenendo in considerazione il reddito e il consumo, piuttosto che la produzione. Dovrebbe essere posta una maggiore enfasi sulla distribuzione del reddito, del consumo e della ricchezza: un aumento medio del reddito infatti non corri-sponde necessariamente a un aumento per tutti;• occorre sviluppare rilevazioni e statistiche per attività non di mercato, in quanto il benessere dipende anche da attività che non danno luogo a scambi di mercato, come le prestazioni dirette tra soggetti (per esempio le attività e i servizi prestati in famiglia, la cura degli ammalati e degli anziani ecc.);• occorre prendere in considerazione la multidimensionalità della misura del benessere, che tocca non solo le condizioni economiche, ma anche l’educazione, la salute, la qualità della democrazia, le reti sociali, l’ambiente, la sicurezza;• dovrebbe essere posta attenzione alla sostenibilità ambientale, in modo da misurare la crescita al netto della distruzione di risorse e dei rischi del cambia-mento climatico;• i servizi offerti dallo Stato dovrebbero essere misurati in base non ai loro costi, come avviene con il PIL, ma al loro impatto sul benessere dei cittadini.

Inoltre, riguardo alla dimensione non materiale del benessere, si ricorda l’im-portanza del tempo libero e la necessità di misurare le relazioni sociali, la voce politica e la sicurezza o vulnerabilità dei singoli.Infine, più in generale, si afferma che andrebbero considerate misure oggettive e soggettive e si sottolinea l’esigenza di disporre di indici di sostenibilità del benes-sere nel tempo, in cui si manifestino soprattutto i problemi connessi all’ambiente.

* Tratto dal “Report by the Commission on the Measurement of Economic Performance and Social Progress”, elaborato da Joseph Stiglitz (presidente della suddetta Commissione e profes-sore presso la Columbia University), Amartya Sen (Adviser del presidente della Commissione e professore all’Harvard University) e da Jean-Paul Fitoussi (coordinatore della Commissione e professore presso l’Istituto di studi politici di Parigi).

il benessere sociale secondo la commissione sen-stiglitz-fitoussi

a forti semplificazioni e a un necessario insieme di convenzioni. In secondo luogo, esse si basano su un trade off. Un numero limitato di variabili osservate e stimate, infatti, ha in sé il valore della focalizzazione e della limitazione di pos-

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94 eating planet

sibili distorsioni legate al conteggio multiplo di un effetto finale sul fenomeno oggetto di indagine. D’altra parte, la scelta di un numero limitato di varia-bili sconta un elevato grado di approssimazione nella descrizione della realtà e genera il rischio – tanto più forte quanto più ci si accosta a fenomeni in cui l’in-dividuo sia il centro di interesse – di una mancata considerazione di un insieme di elementi che possono giocare invece un ruolo decisivo.Va tenuto conto, quando si discutono le diverse opzioni, che oggi i sistemi di statistica nazionale dei diversi paesi non sono ancora strutturati per raccogliere tutte le informazioni necessarie per effettuare misurazioni adeguate e che, allo stato dell’arte, ogni scelta trascina con sé un elevato livello di approssimazione.

2.9 il bcfn index di benessere e di sostenibilità del benessere: caratteristiche e specificità

Il contributo che il Barilla Center for Food & Nutrition ha cercato di portare sul tema del benessere è legato alla sua principale area di approfondimento e analisi: l’attenta considerazione degli aspetti legati all’alimentazione e ai loro impatti sulla qualità della vita.Se da un lato si è rinunciato a individuare definizioni che enfatizzino un ele-mento o un aspetto particolari a scapito di altri, per tenere conto del maggior numero di fattori che hanno un impatto sul benessere delle persone, dall’altro si è ritenuto fondamentale porre particolare attenzione all’impatto dell’alimenta-zione e degli stili di vita sul livello di benessere delle persone dei gruppi sociali.Le tematiche legate all’alimentazione e alla nutrizione incidono infatti, in modo diretto o indiretto, sulla condizione di benessere delle persone. Si pensi in primo luogo agli effetti che le scelte alimentari hanno sulla salute dei bambini e degli adulti, sia in senso negativo (causa diretta o fattore di rischio per l’in-sorgenza di alcune serie patologie), sia positivo (effetto protettivo verso alcune malattie). Sono però rilevanti anche agli effetti che stili di vita e alimenta-zione generano sull’ambiente che ci circonda, essendo essi responsabili dell’as-sorbimento e del deperimento delle risorse naturali (dall’emissione di gas serra allo sfruttamento del suolo fino al prelievo e all’inquinamento delle acque). E ancora, contano gli aspetti legati al cibo che riguardano invece più da vicino la sfera sociale e i rapporti interpersonali (convivialità, socializzazione, tempo dedicato alla preparazione dei cibi e al consumo dei pasti ecc.).

i due indici. L’esito del lavoro effettuato è stata la costruzione di due indici sintetici multidimensionali per la misurazione quantitativa del benessere nelle nazioni:• il BCFN Index di benessere attuale, che ha l’obiettivo di misurare il benessere presente delle persone (quello che le persone vivono e sentono oggi, che rappre-senta un indicatore di “stock di benessere”);

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• il BCFN Index di sostenibilità del benessere, che ha l’obiettivo di misurare le dinamiche/tendenze future del livello di benessere attuale (che rappresenta un indicatore di sostenibilità del benessere).

Se è importante misurare il benessere di oggi, occorre allo stesso tempo valu-tarne anche la traiettoria futura. È per esempio possibile conseguire livelli di benessere molto elevati nel breve periodo consumando un eccessivo quanti-tativo di risorse ambientali, compromettendo così il livello di benessere delle generazioni future. Solo la lettura integrata dei due indicatori consente una comprensione approfondita del fenomeno “benessere”.Al fine di garantire la massima coerenza e qualità scientifica all’impianto meto-dologico, il punto di partenza è stato il già ricordato lavoro di Stiglitz, Sen e Fitoussi, che suggerisce l’analisi di una gamma di variabili ampia e di natura diversa (come per esempio, il reddito, la salute, l’istruzione, la consistenza delle reti sociali, la qualità della democrazia ecc.) al fine di valutare contemporanea-mente molteplici aspetti e dimensioni del benessere.Per il confronto internazionale sono state selezionate dieci nazioni benchmark:• 3 paesi rappresentativi dell’Europa mediterranea: Italia, Spagna e Grecia;• 2 paesi rappresentativi dell’Europa continentale: Francia e Germania;• 2 paesi rappresentativi dell’area scandinava: Danimarca e Svezia;• il Regno Unito;• gli Stati Uniti;• il Giappone.

Le performance di ciascuna nazione in relazione alle sette dimensioni del benessere considerate (“Benessere psico-fisico e comportamentale”; “Benes-sere soggettivo”; “Benessere materiale”; “Benessere ambientale”; “Benessere educativo”; “Benessere sociale”; “Benessere politico”) sono state valutate, sia nel caso del BCFN Index di benessere attuale sia nel caso del BCFN Index di sostenibilità, attraverso specifici indicatori, denominati KPI (Key Perfor-mance Indicators).Ciascun KPI è stato selezionato con l’obiettivo specifico di misurare uno o più ambiti previsti dall’impianto metodologico utilizzato, per ciascuna delle nazioni di riferimento. In alcuni casi, non essendo possibile effettuare rile-vazioni puntuali di un fenomeno a causa della scarsa disponibilità di dati o a causa della natura del fenomeno stesso, sono state utilizzate variabili d’approssi-mazione (proxy) al fine di ottenere comunque una sua misura attendibile.Coerentemente con le premesse, è stato assegnato un peso relativo molto ele-vato alla dimensione degli stili di vita e delle relazioni personali, nella convin-zione che questi abbiano un’importanza almeno pari ai fattori economici nel definire lo stato di benessere delle persone.

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96 eating planet

Inoltre, l’attribuzione di un peso relativo a ciascun KPI, a ciascuna dimensione del benessere e a ciascuno dei tre sottoindici (figura 2.14) consente di calco-lare (attraverso una semplice media ponderata) gli indicatori di sintesi parziali relativi a ciascuna delle sette dimensioni del benessere, ai tre sottoindici consi-derati e agli indicatori di sintesi finali, denominati BCFN Index di benessere e BCFN Index di sostenibilità (che aggregano i risultati dei tre sottoindici).

2.10 il bcfn index 2011 e i principali risultati

Il BCFN Index di benessere attuale rappresenta una misura multidimensionale del benessere degli individui, secondo una prospettiva statica. Idealmente, per meglio inquadrare questo concetto, si potrebbe affermare che il BCFN Index di benessere attuale rappresenti una fotografia dello stato di benessere che caratte-rizza una popolazione (Sistema paese) in un determinato istante (oggi).

35% lifestyle sub-index

35% wealth and environmental

sub-index

bcfn index di benessere

30% social and interpersonal

sub-index

25%benessere

psico-fisico e comportamentale

(salute)

20%benessere materiale

(reddito, investimenti e patrimoni)

10%benessere educativo

(istruzione e cultura)

10%benessere sociale

(welfare, famiglia, società e istituzioni)

10%benessere politico

(democrazia e libertà individuale)

10%benessere

soggettivo(percezione degli

individui in relazione alla propria vita)

15%benessere

ambientale(qualità dell’ambiente)

figura 2.14

Il BCFN Index di benessere attuale e le sue componentiFonte: BCFN, 2011.

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97approcci e strumenti per il “benessere sostenibile” | cibo per tutti

Il BCFN Index di benessere attuale è un indice aggregato composto da 27 indi-catori di performance per la misurazione delle sette dimensioni di benessere individuate. L’aggregazione delle suddette dimensioni porta all’individuazione di tre sottoindici: il Lifestyle Sub-Index, il Wealth and Environmental Sub-Index e il Social and Interpersonal Sub-Index.Aggregando i punteggi calcolati per le dieci nazioni nei tre sottoindici si ottiene, attraverso una semplice media ponderata con i pesi riportati nella figura 2.14, la classifica relativa al BCFN Index di benessere attuale, rappresen-tato nella figura 2.15.La classifica del BCFN Index di benessere attuale, che restituisce il risultato finale del confronto tra le dieci nazioni selezionate in relazione al livello attuale delle sette dimensioni del benessere, è guidata dalla Danimarca, con 7,5 punti, seguita a poca distanza dall’altro paese dell’area scandinava, la Svezia, che tota-lizza 7,0 punti. Il Regno Unito ottiene la terza posizione con 6,3 punti.Segue un terzetto di paesi che ottiene un punteggio finale sostanzialmente simile, composto (in ordine) dal Giappone (5,7 punti), la Francia (5,7 punti) e la Germania (5,5 punti).L’Italia e gli Stati Uniti si posizionano, rispettivamente in sesta e settima posi-zione, con 5,0 e 4,9 punti su dieci.Spagna (4,5 punti) e Grecia (3,8 punti) occupano la penultima e l’ultima posi-zione della classifica.

3,8

4,54,9 5,0

5,55,7 5,7

6,3

7,07,5

grecia italiaspagna usa germania francia giappone regno unito svezia danimarca

punteggio da 1 a 10

figura 2.15

Ranking del BCFN Index di benessere attualeFonte: BCFN, 2011.

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98 eating planet

Viene riportato l’elenco dettagliato dei 27 indicatori di performance utilizzati, aggregati per area di appartenenza (tabella 2.1).30

Il BCFN Index che definiamo di “sostenibilità” rappresenta invece una misura multidimensionale della sostenibilità futura del benessere degli individui, quindi secondo una prospettiva dinamica.Anche il BCFN Index di sostenibilità è un indice aggregato, ed è composto da 25 indicatori di performance per la misurazione delle sette dimensioni di benes-sere, raggruppati in tre sottoindici: il Lifestyle Sub-Index, il Wealth and Envi-ronmental Sub-Index e il Social and Interpersonal Sub-Index.Aggregando i punteggi calcolati per le dieci nazioni nei tre sottoindici si ottiene, attraverso una media ponderata con i pesi già riportati, il BCFN Index di sostenibilità del benessere, rappresentato nella figura 2.16.La classifica del BCFN Index di sostenibilità, che restituisce il risultato finale del confronto tra le dieci nazioni selezionate in relazione alle sette dimensioni del “benessere”, è guidata dalla Svezia, con 7,66 punti, seguita a poca distanza dalla Danimarca, che totalizza 7,57 punti. Seguono la Francia e la Germania che ottengono un punteggio finale piuttosto simile, che si attesta di poco sopra a 6,10 punti.L’Italia si posiziona al penultimo posto con 5,09 punti, anche se a livello asso-luto la distanza con i paesi che occupano la terza e la quarta posizione è con-

grecia spagnaitalia usa giappone regno unito francia germania danimarca svezia

7,77,6

6,26,1

5,8

5,6

5,1

3,3

5,5 5,5

punteggio da 1 a 10

figura 2.16

Il ranking del BCFN Index di sostenibilità del benessereFonte: BCFN, 2011.

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99approcci e strumenti per il “benessere sostenibile” | cibo per tutti

tenuta in circa 1 punto. Ultima la Grecia con 3,29 punti che registra una distanza sostanziale con gli altri paesi utilizzati per il confronto.Anche per l’Indice di sostenibilità del benessere riportiamo l’elenco dettagliato dei 25 indicatori di performance utilizzati, aggregati per area di appartenenza (tabella 2.2). Si può osservare come, in questo caso, siano state privilegiate tra gli indicatori oggettivi misure espressive di cambiamenti già osservati nel tempo e caratterizzate da un significativo grado di capacità predittiva: le variazioni nei tassi di scolarità riscontrate oggi incidono sul valore complessivo del capitale umano di domani, così come la riduzione nell’incidenza delle diverse patologie incidono positivamente sulla speranza di vita in buona salute. Allo stesso modo, il livello degli investimenti economici attuali condiziona la competitività futura dell’economia.Tra gli indicatori soggettivi si è fatto ricorso a misure già esistenti orientate a raccogliere valutazioni relative a scenari futuri.

2.11 le diverse dimensioni della sostenibilità

Ciò che emerge dall’analisi non è l’individuazione del posizionamento relativo di ciascun paese nella classifica finale, che sconta anche fattori storici, sociali ed economici peculiari di ciascuna realtà, quanto l’esistenza di una situazione di maggiore o minore equilibrio tra le diverse dimensioni della sostenibilità del benessere individuate relativamente a ciascun paese e la possibilità, pertanto, di individuare specifiche aree di miglioramento nei diversi ambiti al fine di aumentare il benessere complessivo delle persone.Ciò è possibile liberandosi da una visione eccessivamente angusta del benes-sere, ridotto alle sue caratterizzanti economiche, per includere la vasta gamma di fattori reali che concorrono a definire complessivamente le condizioni sociali, politiche, economiche e ambientali in cui le persone vivono.Inoltre, attraverso l’esplicitazione di un orizzonte temporale futuro (sostenibilità del benessere versus benessere attuale) vi è l’occasione di poter finalmente intro-durre in forma più trasparente nel dibattito pubblico sulle decisioni di policy il tema delle conseguenze delle scelte di oggi per il benessere futuro.

Page 118: Eating Planet 2012

100 eating planet

tabella 2.1 – sintesi dei 27 indicatori per calcolare il bcfn index di benessere attuale nelle 10 nazioni considerate

benessere psicofisico e comportamentale peso relativo

1 aspettativa di vita in buona salute 30%

2 tempo mediamente dedicato ai pasti 10%

3 popolazione obesa e sovrappeso (adulti) 20%

4 tasso di mortalità per suicidi 30%

5 consumo di antidepressivi e stabilizzatori dell’umore 10%

benessere soggettivo

6 oecd positive experience index 25%

7 oecd negative experience index 25%

8 people reporting high evaluation of their life as a whole (present time) 50%

benessere materiale

9 reddito disponibile 70%

10 patrimonio delle famiglie 30%

benessere ambientale

11 livelli di pm10 40%

12 rifiuti urbani 20%

13 intensità del traffico merci e passeggeri su strada 40%

benessere educativo

14 punteggio pisa* 25%

15 numero medio annuo di laureati 35%

16 studenti stranieri iscritti nel sistema universitario 15%

17 numero di quotidiani venduti 10%

18 tasso di disoccupazione dei laureati 15%

benessere sociale

19 numero di ore dedicate alla cura dei figli 25%

20 tasso di inattività giovanile 25%

21 tasso di disoccupazione 10%

22 giorni annui di vacanza 15%

23 diffusione della connessione a internet a banda larga 15%

24 interpersonal trust index 5%

25 national institution index 5%

benessere politico

26 the economist intelligence unit’s index of democracy 50%

27 corruption perception index 50%

* Il Programma per la valutazione dell’allievo (Program for International Student Assessment) è un’indagine internazionale promossa dall’OECD nata con lo scopo di valutare con periodicità triennale il livello di istruzione degli adolescenti dei principali paesi industrializzati.

Fonte: BCFN, 2011.

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101approcci e strumenti per il “benessere sostenibile” | cibo per tutti

tabella 2.2 – sintesi dei 25 indicatori per calcolare il bcfn index di sostenibilità di benessere nelle 10 nazioni considerate

benessere psicofisico e comportamentale peso relativo

1 variazione della mortalità per patologie cardiovascolari 15%

2 variazione della mortalità per tumori 15%

3 variazione della mortalità per diabete 15%

4 popolazione 11-15 anni obesa e sovrappeso 10%

5 percentuale di fumatori 15%

6 consumo di alcolici 5%

7 attività fisica 10%

8 spesa consumo frutta e verdura 10%

9 consumo quotidiano medio individuale di calorie 5%

benessere soggettivo

10 people reporting high evaluation of their life as a whole (future time) 100%

benessere materiale

11 variazione del reddito disponibile 40%

12 livello degli investimenti lordi pro capite 60%

benessere ambientale

13 adjusted net saving 30%

14 contributo delle fonti rinnovabili alla fornitura di energia 25%

15 water footprint 25%

16 emissioni totali (co2/nox/sox) 20%

benessere educativo

17 variazione delle iscrizioni al sistema di istruzione terziaria 60%

18 tasso di parteciapzione ad attività di aggiornamento permanente 40%

benessere sociale

19 persone a rischio di povertà 25%

20 tasso di dipendenza anziani 25%

21 variazione del national institution index 10%

22 ineguaglianza nella distribuzione del reddito 20%

23 differenziale fra tasso di disoccupazione giovanile e tasso di disoccupazione complessivo 20%

benessere politico

24 variazione del the economist intelligence unit’s index of democracy 50%

25 variazione del corruption perceptions index 50%

Fonte: BCFN, 2011.

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102 eating planet

intervista nell’accesso il fattore chiave è la diversità

Paul Roberts

Quali sono le ragioni principali per cui il sistema alimentare globale non sta funzionando adeguatamente? Quali sono i motivi chiave alla base degli squilibri che osserviamo?

I fattori che contribuiscono a destabilizzare il sistema ali-mentare globale sono diversi. Quelli più ovvi sono i rischi correlati agli input agricoli chiave, come energia, ferti-lizzanti e acqua: si tratta di rischi che non potranno fare altro che crescere di pari passo con un sistema che punta a nutrire, entro metà secolo, una popolazione di 10 miliardi di persone.Nell’immediato i maggiori rischi sul lato degli input sono collegati alla componente energetica. Dobbiamo conside-rare che il nostro sistema alimentare globale è stato pla-

smato in un’epoca in cui il petrolio costava meno di 30 dollari al barile (circa un quarto del prezzo attuale) incentivando un modello produttivo all’in-terno del quale il fattore determinante era la produzione a basso costo, non la distanza. Ma attualmente, con il prezzo del petrolio a circa 110 dollari, questo sistema è sottoposto a pressioni enormi e i produttori, non riuscendo a ridurre facilmente il loro raggio di mercato, lottano, talvolta senza successo, per ridurre i costi senza compromettere aspetti come la qualità o la sicurezza. Natural-mente i ricercatori stanno concentrando i loro sforzi sulle alternative al petrolio. Purtroppo quella che attualmente sta riscuotendo maggior successo potrebbe in realtà fare aumentare la pressione sui prezzi. Inoltre, ovviamente, il trasporto non rappresenta l’unica componente ad alto contenuto energetico nella filiera alimentare. La coltivazione, la trasformazione e il confezionamento sono tutte fasi che impiegano molta energia.Il secondo rischio, dopo quello energetico, è quello idrico. In molte aree l’im-pennata della produttività agricola è stata possibile grazie a una rapida espan-sione dell’irrigazione, che ha gradualmente prosciugato alcune risorse idriche regionali fino a livelli preoccupanti sia nelle economie in via di sviluppo sia in quelle avanzate. Secondo un rapporto della National Academy of Sciences, all’incirca un sesto della popolazione cinese si alimenta grazie a un tipo di irri-gazione non sostenibile.Non possiamo inoltre tralasciare il fattore più importante: il clima. Gli effetti devastanti del riscaldamento globale sono già tangibili nell’Africa subsahariana, dove periodi ricorrenti di siccità hanno portato milioni di cittadini in una condi-

Paul Roberts�, giornalista e scrittore americano, è autore di due saggi: Dopo il petrolio del 2004 e La fine del cibo del 2008. Da tempo interessato alla politica e alle questioni energetiche, Paul Roberts partecipa regolarmente a trasmissioni televisive e radiofoniche nazionali e internazionali.Collabora con il Los Ange-les Times, il Washington Post, il Guardian e Rolling Stone.

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zione di insicurezza alimentare cronica. Ma l’Africa non è l’unica vittima mietuta dal clima. Si prevede che Stati Uniti, Europa e Asia dovranno affrontare cambia-menti drastici in termini di precipitazioni piovose, temperatura e frequenza di eventi meteorologici estremi, come siccità gravi e tempeste, che ridurranno note-volmente la produttività agricola. Se si considerano anche i rischi collegati alla migrazione di infestanti tropicali verso le zone temperate dell’Europa e del Nord America, il cambiamento climatico potrebbe ostacolare gravemente la produtti-vità alimentare globale, a fronte di una popolazione in costante aumento.

Ritiene che l’approccio moderno e industrializzato all’alimentazione possa effetti-vamente contribuire alla lotta contro la fame e la malnutrizione nei paesi meno sviluppati e in via di sviluppo? In caso negativo, perché?

Si tratta di una domanda molto importante. Nel secolo scorso l’industrializza-zione dell’agricoltura ha rivestito un ruolo fondamentale, consentendoci di incre-mentare drasticamente la produttività riducendo parallelamente i prezzi. Anche il mondo in via di sviluppo ha indubbiamente tratto vantaggio da questi pro-gressi, anche se troppo spesso come destinatario piuttosto che come parte attiva. Molti paesi in via di sviluppo non dispongono dei capitali, delle infrastrutture e della stabilità politica necessari per praticare una produzione agricola industriale su larga scala e non possono quindi essere competitivi a livello di prezzi con il mondo sviluppato. Di conseguenza questi paesi non sono riusciti a sviluppare gli indispensabili sistemi alimentari interni e sono costretti a importare un’ampia porzione del cibo che consumano, instaurando così un circolo vizioso nel quale vengono privati del capitale necessario per il proprio sviluppo economico.Se vogliamo che il modello industriale funzioni nei paesi meno sviluppati e in quelli in via di sviluppo è necessario ripensarlo in termini di requisiti tecnolo-gici e dimensionali, adattandolo alle situazioni reali. Personalmente sono con-vinto che tale riconfigurazione sia possibile, ma sono anche consapevole che ciò richiederà molte idee nuove e una forte volontà politica sia nel mondo in via di sviluppo sia altrove.

Quali modelli agricoli dovrebbero essere promossi e incentivati e quale ruolo dovrebbe rivestire la ricerca e sviluppo (R&S) nei sistemi agroalimentari per ren-dere questi ultimi più sostenibili?

Il fattore chiave è la diversità: come abbiamo visto nel mondo in via di svi-luppo, è necessario promuovere una varietà di modelli agricoli. Si pensi alla questione delle dimensioni. Sono fondamentalmente solo due le taglie nella produzione alimentare: il modello di larghissima scala, che può essere a basso costo ma comporta anche molti costi esterni, come l’inquinamento e un elevato

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consumo idrico ed energetico, e il modello di piccolissima scala, che si presta perfettamente per prodotti di alta qualità, per specialità o per prodotti genuini, ma che spesso è inefficiente e costoso. Ciò che manca, e in cui dovremmo inve-stire, è una via di mezzo, vale a dire un modello di dimensioni medie attraverso il quale produrre cibo in modo sostenibile e accessibile e che potrebbe essere quello più calzante per i paesi meno sviluppati.Ma l’esigenza di diversità va al di là delle questioni dimensionali. Abbiamo bisogno di modelli di “policoltura”, vale a dire di schemi nei quali non ven-gano coltivate solo uno o due colture, ma magari quattro o cinque o addirit-tura dieci, tutte gestite in modo tale da contribuire al ripristino della fertilità del suolo o al controllo degli infestanti in modo naturale, con un conseguente minor impiego di input di sintesi. Servono ovviamente modelli agricoli a basso capitale e a basso contenuto tecnologico, adatti all’Africa e ad altre parti del mondo in via di sviluppo. Ma ritengo che sia necessario anche un modello nuovo di produzione agricola per un’altra parte sottosviluppata del mondo, le aree urbane. Oggi l’orticoltura urbana è estremamente in voga nei media, ma di fatto è ancora un’attività speciale e di nicchia, se non una novità. Occor-rono modelli che portino questo tipo di orticoltura nella quotidianità dei centri urbani, nelle scuole, nelle case di riposo, ma anche sui tetti di ospedali, edifici municipali e supermercati, così come nei giardini privati e nei parchi; in altre parole abbiamo bisogno di un modello e di una produzione a misura d’uomo.È quindi chiaro che la R&S avrà un ruolo molto importante. Oltre a sviluppare questi nuovi modelli, occorre ripensarne gli elementi strutturali, tra cui le col-ture alimentari che richiedono quantità notevolmente inferiori di acqua o ferti-lizzanti, sistemi di irrigazione più efficienti e modelli di acquacoltura più soste-nibili (in parte perché l’allevamento convenzionale comporta elevati consumi di terreno coltivabile ed energia). Dobbiamo inoltre trovare delle modalità per pro-durre alimenti a costo ridotto, e in particolare prodotti freschi che siano meno vulnerabili rispetto ad agenti patogeni alimentari. Ritengo che la R&S sia il tassello più importante nel futuro scenario agricolo. Eppure, paradossalmente, è l’elemento più a rischio, in quanto gli investimenti nella R&S agricola sono calati, tendenza che del resto è trasversale a tutti i settori, ma che deve essere invertita se intendiamo vincere la sfida alimentare dei prossimi quarant’anni.

Da una prospettiva di mercato, considerando l’estrema volatilità degli ultimi anni, come vede l’accesso al cibo nel futuro?

La volatilità è un fenomeno preoccupante. Come abbiamo visto, i prezzi degli alimenti, così come il prezzo dell’energia necessaria per la produzione alimen-tare, sono altamente instabili, con pesanti ripercussioni per i produttori e per i consumatori. Nel mondo in via di sviluppo i picchi dei prezzi del cibo pos-

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sono essere fatali, ma anche tra i produttori benestanti la volatilità impedisce di prevedere con esattezza la domanda o di pianificare la produzione, causando quindi un’offerta eccessiva o carente. La volatilità fa inoltre sì che i finanziatori abbiano un atteggiamento cauto nell’investire capitale, un altro input chiave, in aziende agricole oppure – fattore ancor più importante – nella ricerca, e sul lungo periodo questa situazione avrà effetti devastanti.Naturalmente il dibattito su quali siano le cause della volatilità è ancora aperto: secondo alcuni analisti, l’alta domanda delle economie emergenti, in partico-lare l’Asia, associata alla produzione di biocarburanti, ha posto sotto pressione i mercati alimentari mondiali, rendendoli più soggetti alle oscillazioni dei prezzi e, di conseguenza, più attraenti per gli speculatori, che con le loro puntate pos-sono inasprire le tendenze dei prezzi. Vi sono indubbiamente altri fattori e non è corretto imputare l’intera responsabilità a uno solo. Ma proprio per questa complessità è difficile trovare una soluzione semplice, come potrebbe essere il divieto di vendita allo scoperto. Se da un lato non condivido, come alcuni sug-geriscono, che dovremmo semplicemente abituarci a una maggiore volatilità e a tutta la situazione di incertezza che questa comporta, dall’altro ritengo che la volatilità rappresenterà una delle sfide più importanti.

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intervista le politiche agricole devono pensare alla salute e al benessere dell’uomo

Ellen Gustafson

Sappiamo che nel mondo disponiamo di abbastanza cibo per sfamare tutti: è un tema che lei solleva spesso. Quali sono allora le cause del paradosso per cui un miliardo di persone soffre la fame mentre un altro miliardo soffre per le conse-guenze delle malattie associate all’eccesso di alimentazione?

Il problema fondamentale che continua a causare sia la fame sia l’obesità è la scarsa disponibilità di cibo nutriente, praticamente ovunque nel mondo. Nel mondo svilup-pato c’è abbondanza di cibo, ma gli alimenti più diffusi sono solitamente quelli meno nutrienti e con il maggiore apporto calorico. Nel mondo in via di sviluppo, dove l’agricoltura e i mercati sono deboli, è spesso facile reperire

bibite o alimenti trasformati confezionati, ma non si ha accesso alla varietà di cibo necessario per una nutrizione di qualità.Osservando in retrospettiva i mutamenti del sistema alimentare globale si nota che i cambiamenti più radicali si sono verificati intorno al 1980, in concomi-tanza con il consolidamento del settore alimentare e agroalimentare. Infatti, mentre le aziende agricole nel mondo sviluppato si sono consolidate concen-trando la propria attività su poche commodity molto incentivate, le aziende ali-mentari hanno spinto per trovare nuovi modi per produrre da quelle colture “cibo” a basso costo. Prodotti come bibite, snack confezionati e i fast food proli-feravano e la popolazione giunse a ritenere che il cibo economico e onnipresente rappresentasse un nuovo diritto e un simbolo del progresso.Dal 1980 questo sistema altamente consolidato ha prodotto mais, soia e grano in eccedenza, riversando queste colture nel flusso alimentare occidentale sotto forma di alimenti estremamente elaborati, come pure nel mondo in via di svi-luppo sotto forma di aiuti alimentari (che dal 1980 fino a metà degli anni 2000 sono drasticamente aumentati a scapito di quelli agricoli). Ora che si sta inve-stendo nuovamente nello sviluppo agricolo, buona parte di quest’ultimo è nelle mani delle aziende del settore agroalimentare che intendono aprire nuovi mer-cati per i propri fertilizzanti, pesticidi e per le sementi delle commodity.Purtroppo ciò di cui tutti abbiamo bisogno per un’alimentazione sana e cor-retta è una quantità maggiore di frutta e verdura, cereali integrali e proteine sane. Finché i sistemi agricoli di tutto il mondo non si concentreranno su questi prodotti, è probabile che le due facce della medaglia della malnutrizione – fame e obesità – continueranno a imperversare.

Ellen Gus�tafs�on è una giovane imprenditrice, di grande notorietà nel suo paese (gli Stati Uniti), che si batte per un sistema alimentare sostenibile. È fondatrice e direttore esecutivo di 30 Project e fondatrice del FEED Project, LLC, una società che crea “buoni” prodotti che hanno l’ambizione di aiutare a nutrire ( feed) il mondo.

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Lei invita a guardare al paradosso come a un problema relativo alla gestione di un unico sistema globale. Cosa significa affrontare il paradosso da questa prospettiva? Quali implicazioni operative comporta?

Con la nostra economia globalizzata abbiamo creato sistemi di domanda e offerta che abbracciano l’intero pianeta, anche per prodotti necessari per cola-zione, il pranzo e la cena. Gli Stati Uniti importano circa il 60% della frutta e verdura, mentre sono il maggior produttore ed esportatore di mais (la maggior parte del quale viene utilizzato per l’alimentazione animale o per realizzare ali-menti e bevande trasformati, nonché biocarburanti). Abbiamo creato economie alimentari e mercati delle commodity che intrecciano connessioni profonde tra i diversi elementi del sistema globale, dalla determinazione del prezzo agli input agricoli, fino ai nostri regimi alimentari.Oggi, grazie a un’incredibile rete logistica, i cibi occidentali come bibite, carboi-drati zuccherini confezionati e i piatti fritti dei fast food possono essere reperiti ormai ovunque (anche all’interno delle comunità più povere). Mentre è molto più difficile, praticamente in ogni parte del mondo, persino nell’opulento Occi-dente, trovare la frutta, la verdura e i cereali integrali che dovremmo mangiare.Il paradosso rappresentato dalla convivenza nel mondo di un miliardo di affa-mati con un miliardo di persone sovrappeso sta nel fatto che gli stessi problemi strutturali di questo sistema alimentare globale che hanno condotto all’obesità (sovrapproduzione di mais, soia e grano che ha comportato una preponderanza di alimenti a basso costo derivati sempre da questi tre ingredienti) sono stati anche la causa della persistenza della fame (sovrapproduzione di mais, soia e grano venduti sottoprezzo come aiuti alimentari, fluttuazioni dei prezzi sui mercati delle commodity a scapito dei consumatori che vivono nelle città e dei piccoli agricoltori e uno sviluppo agricolo finalizzato al mercato delle commo-dity anziché alla nutrizione).Le aziende agricole e alimentari spesso considerano il mondo come un mer-cato unico, ma le comunità politiche e di sviluppo hanno costantemente seg-mentato il proprio lavoro in compartimenti stagni di sviluppo agricolo, salute, nutrizione e sviluppo economico. Le conseguenze, per i consumatori di tutto il mondo, di un sistema alimentare non incentrato sulla salute e sulla nutrizione sono ovvie, ma dovremmo prendere in considerazione anche le conseguenze del nostro sistema di sviluppo economico, la tutela dell’ambiente e le tematiche legate all’acqua, sia nel mondo occidentale sia in quello in via di sviluppo.

Quali scelte di politica agricola ritiene che i paesi occidentali dovrebbero adottare e quali modelli agricoli dovrebbero venire promossi nei diversi contesti geografici?

Il primo passo verso una politica agricola intelligente è che i paesi occiden-

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tali valutino i danni causati dall’attuale sistema agricolo. Dobbiamo ponde-rare molto seriamente le ripercussioni delle esternalità negative dell’agricoltura sulla salute umana, su quella dell’ambiente (in particolare di acqua e suolo) e sull’economia. Il cibo a basso costo ha costretto i contadini ad abbandonare la terra, aggravando problematiche quali l’immigrazione e la disoccupazione, in quanto gli impieghi nel settore agricolo e della trasformazione alimentare sono spesso ricoperti da lavoratori immigrati, clandestini e sottopagati. Inoltre, la sovrapproduzione di poche commodity ha devastato la nostra alimentazione poiché ciò che coltiviamo è ciò che mangiamo.Considerando queste esternalità, le politiche agricole dovrebbero essere pri-mariamente concentrate sul miglioramento dei risultati in termini di salute e nutrizione e, parallelamente, sul mantenimento di condizioni ottimali del suolo e dell’acqua, promuovendo innovazione, posti di lavoro equamente retribuiti, così come il commercio equo e solidale. Anche se la maggior parte dei paesi richiederà o avrà bisogno di alimenti importati, vi sono alcuni fattori attuabili di politica dei prezzi che dovrebbero contribuire alla promozione di acquisti regionali e locali e, di conseguenza, dello sviluppo economico.Le politiche agricole dovrebbero essere indirizzate verso una maggior disponibi-lità degli alimenti più nutrienti, aiutando gli agricoltori a resistere e ad adattarsi ai cambiamenti naturali, nonché proteggendo le nostre risorse ambientali vitali, in quanto senza bravi agricoltori e senza acqua e suolo di buona qualità non cre-sce nulla. Le politiche basate su questi principi sono universali e saranno fonda-mentali tanto per il mondo sviluppato quanto per quello in via di sviluppo.

Lei ha dato vita ad alcuni importanti progetti per affrontare in parallelo i temi della fame e quelli dell’obesità. Quali sono le caratteristiche principali e gli esiti di questi progetti? Quale ritiene possa essere il contributo della società civile nel sup-portare e spingere i governi verso la risoluzione di questi gravissimi problemi? E quello dell’ industria agroalimentare?

Finora, l’obiettivo del mio lavoro nell’ambito di 30 Project è stato quello di riunire attivisti, agricoltori, politici, aziende alimentari e cuochi di una determi-nata città allo scopo di trattare i cambiamenti del sistema alimentare sul lungo termine. Grazie al mio lavoro sulla fame a livello mondiale ho potuto osservare che i principali stakeholder che lottano contro la fame spesso si trovano in con-flitto con i principali portatori di interesse che combattono l’obesità attraverso sistemi alimentari sostenibili. Occorre cambiare la dialettica per concentrarsi sui problemi di sistema alla base sia della fame sia dell’obesità e non occuparsi solamente degli esiti di tali problemi.Quando gli attori coinvolti nel sistema alimentare siedono attorno allo stesso tavolo per parlare dei rispettivi obiettivi in relazione al sistema alimentare per i

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prossimi trent’anni sono tutti concordi: occorrono maggiore disponibilità di ali-menti sani, politiche agricole più ragionevoli che tutelino gli agricoltori e i consu-matori e una rieducazione delle persone in materia di alimentazione e nutrizione.Vi sono ancora ampie opportunità di coinvolgimento del pubblico nel cambia-mento del sistema alimentare e 30 Project lancerà la campagna Change Din-ner proprio a questo scopo. Se, contestualmente alle politiche, lavoriamo per modificare anche i nostri sistemi alimentari attraverso il cambiamento dei com-portamenti dei consumatori, in particolar modo in Occidente, possiamo fare pressione per influenzare la scelta dei prodotti e delle relative modalità di col-tivazione. Se le persone riusciranno a capire l’importanza che può avere ciò che arriva sulla propria tavola, gli acquisti alimentari e il momento dei pasti diven-teranno fondamentali strumenti di cambiamento sociale.La richiesta di cibo migliore da parte dei consumatori offre alle aziende un’enorme opportunità per modificare i sistemi alimentari. Secondo lo schema My Plate del Dipartimento dell’agricoltura americano, metà dei nostri pasti dovrebbe essere composta da frutta e verdura, e il 70% dei consumatori afferma che le proprie decisioni di acquisto sono influenzate dal modo in cui il cibo è coltivato e prodotto (dato rilevato da un sondaggio US Farmers and Ranchers Alliance). Stanno emergendo imprese in grado di soddisfare le richieste di cibo più sano e prodotto secondo metodi migliori e, di conseguenza, le aziende già affermate, se non vogliono essere surclassate, dovrebbero impegnarsi per miglio-rare le proprie prassi e soddisfare le richieste dei consumatori.

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favorire lo sviluppo economico nei paesi più poveri

La fame è diretta conseguenza della povertà. Occorre perciò individuare, realiz-zare e supportare concreti percorsi di sviluppo sostenibile per definire e diffon-dere soluzioni e strumenti per i paesi in via di sviluppo, nei settori chiave per la crescita economica. L’agricoltura, che costituisce il comparto che maggiormente contribuisce alla crescita del reddito delle fasce più deboli della popolazione nei paesi in via di sviluppo, è spesso il settore più importante, verso il quale convo-gliare investimenti favorendo la creazione di adeguati quadri normativi e buoni sistemi di incentivi.

affrontare i grandi cambiamenti strutturali

Cambiamento climatico, crescita demografica, urbanizzazione, scarsità delle risorse: sono molteplici fronti sui quali siamo oggi tutti chiamati a intervenire per garantire un futuro al sistema agroindustriale globale. Si tratta di feno-meni nuovi, che eccedono la capacità di governo di ciascun attore del sistema, sia esso un paese, un’impresa, un’associazione di imprese o di persone. Si tratta di un terreno sul quale è perciò indispensabile dare vita a giochi di natura coo-perativa e soluzioni di governance condivise. È necessario mantenere elevato il livello di attenzione e di consapevolezza dei problemi, identificando soluzioni puntuali e investendo ulteriormente nei processi di comprensione di queste nuove sfide e di messa a punto di risposte orientate alla sostenibilità.

rafforzare i meccanismi di governance globale

La particolare natura dei beni alimentari – non riducibili a commodity, come è avvenuto negli ultimi decenni sotto la spinta di una loro maggiore disponibilità – e il fallimento del funzionamento dei meccanismi di distribuzione, rendono neces-sario il superamento del paradigma secondo cui il mercato è capace di autorego-larsi, così come il coordinamento delle politiche globali e la riduzione nel tempo di politiche protezionistiche di natura unilaterale. Si tratta, in particolare di:• costruire un sistema di scambi commerciali trasparente, “responsabile” e basato su regole multilaterali capaci di garantire un maggiore accesso al cibo a livello globale. Si auspica in generale una riduzione del ricorso a barriere alle importazioni, sussidi alle esportazioni e altre restrizioni commerciali;• evitare che la coltivazione di varietà agricole per la produzione di biocarbu-ranti entri in contrasto con la coltivazione di varietà destinate all’alimentazione;• regolamentare l’eccessiva speculazione finanziaria sulle commodity alimen-tari. Per quanto l’effettivo ruolo di tale fenomeno nell’influenzare l’aumento

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del livello dei prezzi dei beni agricoli sia ancora ampiamente dibattuto, ciò che si può affermare con relativa certezza è che la speculazione finanziaria nel mer-cato delle commodity agricole può amplificare la volatilità di breve periodo;• creare un sistema multilaterale di riserve alimentari e migliorare la traspa-renza su flussi e stock. Esiste un forte legame tra la variazione delle scorte e l’andamento dei prezzi delle commodity alimentari. In particolare, su un oriz-zonte temporale sufficientemente ampio, si è osservato che a una riduzione del rapporto stock to use di cereali corrisponde tendenzialmente un aumento nel livello dei prezzi, mentre, al contrario, a un aumento del rapporto stock to use il prezzo tende a ridursi.

favorire nuovi approcci per misurare il benessere diffuso

Nel definire le grandi linee di politica generale ed economica vi è l’esigenza di liberarsi da una visione eccessivamente angusta del benessere, ridotto alle sue caratterizzanti economiche, per includere la vasta gamma di fattori reali che concorrono a definire complessivamente le condizioni sociali, politiche, econo-miche e ambientali in cui le persone vivono.Inoltre, attraverso l’esplicitazione di un orizzonte temporale futuro (sostenibi-lità del benessere versus benessere attuale) vi è l’occasione di poter finalmente introdurre in forma più trasparente nel dibattito pubblico sulle decisioni di policy il tema delle conseguenze delle scelte di oggi per il benessere futuro. Non si tratta, in ultima istanza, solo di definire indicatori migliori, ma di incremen-tare sensibilmente la qualità dei processi decisionali di natura pubblica.

gestire gli stili alimentari

L’azione di governo e di indirizzo dei modelli alimentari per tener conto di un profilo di sostenibilità è destinata a diventare una variabile decisiva di politica economica. Ciò sta assumendo contorni concreti nei paesi sviluppati, per far fronte a uno stato di emergenza sanitaria legata al dilagare di malattie meta-boliche, cardiocircolatorie e tumorali derivanti da errati stili alimentari. Diven-terà cruciale anche per i paesi in via di sviluppo, per l’impatto che questo feno-meno avrà sugli equilibri produttivi globali in agricoltura.

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sommario

introduzione Pagare il giusto di Carlo Petrini

dati e fatti chiavela doppia piramide: un’alimentazione sana per tutti e sostenibile per l’ambiente

3.1 La piramide alimentare come strumento di educazione3.2 Alcuni studi sull’alimentazione mediterranea3.3 La piramide ambientale3.4 La doppia piramide per chi cresce3.5 La doppia piramide nel lungo periodo

il futuro dell’agricoltura: verso paradigmi agricoli sostenibili

3.6 L’agricoltura oggi: i principali paradigmi agricoli3.7 La sostenibilità dei sistemi colturali del grano duro: il caso Barilla

water economy: l’emergenza acqua tra disponibilità e interessi economici

3.8 La disponibilità dell’acqua: dall’abbondanza alla scarsità3.9 La realtà e le prospettive del diritto di accesso all’acqua3.10 Le scelte e i comportamenti per un consumo sostenibile dell’acqua3.11 L’impronta idrica di una nazione e il commercio di acqua virtuale3.12 La privatizzazione dell’acqua: implicazioni tra pubblico e privato

interviste La difficile transizione verso l’agricoltura sostenibile di Hans R. Herren

Acqua virtuale fra sovraconsumo e cattiva gestione di Tony Allan

proposte e azioni

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3.CiBo per una crescita sostenibileFood for Sustainable Growth approfondisce le sfide da affrontare per rendere sostenibile il settore agroalimentare, a partire dagli stili di vita personali e collettivi che devono essere coerenti con la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse. L’obiettivo finale è la sopravvivenza nostra e del nostro pianeta.

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3.CiBo peruna crescita sostenibilePagare il giustoCarlo Petrini

La sostenibilità è un concetto legato a un’idea molto antica: il tempo. È un concetto che ci parla di “quanto a lungo può reggere” qualcosa. È senz’altro una bella parola, sostenibilità, e ha una bella origine: nasce in riferimento a uno dei pedali del pianoforte, che in inglese si chiama sustain, quello che serve per allungare le note, per farle durare nel tempo. Non per niente i francesi traducono con durabilité, capacità di durata.La consapevolezza che quel che ci proponiamo di intra-prendere (a livello di comportamenti privati, pubblici o imprenditoriali) deve poter durare nel tempo e a tanti livelli (sociale, economico e ambientale), è uno degli elementi chiave per il futuro delle attività umane. Oggi sostenibilità è una parola molto utilizzata: al futuro ci si pensa un po’ di più, molti lo fanno continuamente, perché nell’idea di sostenibilità c’è anche un po’ più di consapevolezza che il futuro non è roba nostra, così come non lo sono le risorse naturali. Sono patrimoni condivisi, che tocca alle genera-zioni attuali preservare per quelle che verranno, verso le

quali abbiamo delle responsabilità. Ecco un altro elemento: l’idea di responsa-bilità per chi deve ancora venire, per chi arriverà su questa Terra con gli stessi nostri diritti a godere di gusti, climi, panorami, salute, qualità della vita.Ma c’è di più.C’è la certezza che per proteggere tutto quello di cui vogliamo godere e che vogliamo tramandare non c’è un solo e unico livello di azione: servono le grandi impostazioni dei governi, i trattati internazionali e le leggi. Ma servono, allo stesso modo, i gesti quotidiani, le scelte individuali, i no e i sì che ognuno di noi può dire riorganizzando la propria esistenza o attività con un diverso ordine delle priorità. Qualcosa che non dà la precedenza soltanto al guada-gnare tempo e risparmiare denaro, o viceversa, ma che per esempio consideri il tempo speso nella scelta del proprio cibo come tempo investito nella cura

carlo petrini è il presi-dente dell’associazione internazionale Slow Food. Negli anni Ottanta ha fondato Arcigola, divenu-ta nel 1989 l’associazione internazionale Slow Food.Dalle sue idee sono nate la prima Università di Scienze gastronomiche e Terra Madre, la rete di oltre 2.000 comunità del cibo che riunisce produt-tori agricoli da tutto il mondo.

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115introduzione | cibo per una crescita sostenibile

della propria salute e dell’ambiente, e i soldi utilizzati per acquistarlo come una partecipazione a un mestiere, quello dell’agricoltore, che va remunerato per i molti servizi che rende alla società e alla Terra, e non soltanto per i prodotti che immette sul mercato. Un denaro che paga dei valori, oltre che un prezzo.In tema di sostenibilità il cibo è un fattore centrale, determinante, che non si può omettere di considerare. Da questo punto di vista, forse il livello pri-vato, degli individui, oggi è certamente il più attivo e consapevole, mentre il livello della politica rimane quello più svagato, più assente e spesso genuina-mente ignorante. L’agricoltura è considerata frequentemente come un settore a sé stante, semplice produttore di merci, di commodities, che valgono soltanto per quel che costano, o per i prezzi che s’influenzano grazie alle correzioni imposte dall’alto (o peggio, tramite speculazioni finanziarie). Si pensa troppo spesso che sia un settore produttivo scevro degli altri valori di cui in realtà è portatore; valori che non a caso hanno tutti a che fare, profondamente, con l’idea di sostenibilità. C’è per esempio la cura dei suoli e dei terreni. Il saperli mantenere vivi attra-verso l’attività agricola, curando una biodiversità che si può vedere immediata-mente guardando le piante (coltivate e non) e gli animali (selvatici o allevati), ma che è anche celata in tanti microrganismi, la micro-vita che rende fertili e produttivi i terreni, che li conserva ricchi per il futuro, che li fa durare. Pur-troppo suoli e biodiversità si pregiudicano per sempre attraverso monocolture intensive coltivate per molti anni di seguito, senza rotazione, e con l’abuso di fertilizzanti o pesticidi. Spesso la motivazione che si adduce è che queste sono pratiche necessarie per produrre di più, ma produrre per produrre non è un’at-tività sostenibile e, come vedremo, neanche necessaria. Così come non lo è la cementificazione selvaggia, che non può essere compatibile con la conserva-zione dei sistemi naturali e agricoli, sempre più minacciati. Un terreno cemen-tificato non tornerà mai fertile: lo perderemo per sempre e lo negheremo alle future generazioni. Suoli e biodiversità, poi, sono il presupposto per cibi abbondanti, sani, diversi a seconda dei climi e delle culture, che anche per questo sono cibi sostenibili. L’accanimento eroico di alcuni nel difendere le piccole economie agricole locali, tanto più quelle a rischio di estinzione, non è un esercizio nostalgico o l’epicu-rea attività di chi ama mangiare rarità di grande qualità: è un atto sostenibile valido per tutti i tipi di produzioni, in difesa della biodiversità, di comunità perfettamente in armonia con l’ambiente, e di tutto ciò che ne consegue. Vale a dire diversità di gusti, e quindi di culture: altre garanzie di sostenibilità per il progresso della vicenda umana su questa Terra. Perché se non c’è diversità non c’è identità, se non c’è scambio non c’è arricchimento reciproco, se trionfa l’omologazione seriale diventiamo poveri e indifesi, incerti di fronte al futuro, alla nostra “durabilità”.

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Questi sono soltanto alcuni dei principali valori che si dovrebbero pagare – sia come singoli cittadini al momento della spesa, sia come collettività attraverso le imposte – alla buona agricoltura che rispetta il contesto naturale in cui è inserita. Lo si dovrebbe fare attraverso parametri seri e controllati, inserendo la multifunzionalità nella valutazione dell’operato delle aziende agricole, non soltanto a parole ma con veri e rigidi regolamenti. Certo: la multifunzionalità – tutti questi valori – si traduce quasi sempre in territori molto belli, in panorami che un’antropizzazione (la mano dell’uomo sull’ambiente) positiva ha reso ancor più piacevoli e suggestivi. Luoghi in cui è evidente che ci sia qualcuno che se ne sta prendendo cura. E la cura del territorio è un altro presupposto della soste-nibilità, che scaturisce dall’amore per le cose che si vivono, che si usano, che si trasformano con rispetto e che quindi si possono perpetuare. La cura e tutti gli altri valori si traducono quasi automaticamente nel bello ma anche nel buono, nella capacità di trarre il massimo possibile da un prodotto, nell’esaltarne le caratteristiche attraverso tecniche agricole e di trasformazione, nel far cono-scere il suo gusto unico e intenso. Bello e buono sono dunque parte integrante del concetto di sostenibilità: è tempo di finirla con l’idea che etica ed estetica siano due campi, due idee, due filosofie di vita separate tra di loro e incompati-bili. Etica ed estetica, in un’ottica di sostenibilità, sono così complementari da diventare una cosa sola, un unico faro guida. Faccio un elenco: non inquinare, non esagerare con la chimica, non fare azioni dannose nel nome del semplice profitto nei confronti delle risorse, della terra e di chi la coltiva. Non consumare il suolo fertile. Difendere la biodiversità. Stimolare le economie locali, le produzioni tradizionali, le aziende medio-pic-cole in zone difficili, isolate o affamate. Avvicinare i cittadini agli agricoltori e all’agricoltura. Promuovere un ritorno da parte dei più giovani alla terra. Sono, questi, un po’ di “comandamenti” da rispettare nel nome della sostenibilità, alcune azioni che si possono mettere in campo a tutti i livelli sopracitati. Azioni che, oltretutto, si coniugano perfettamente con il bello e il buono, in un mondo che produce troppo cibo (la quantità totale prodotta sulla Terra è già più che sufficiente per nutrire tutti gli abitanti di questo pianeta) e che ne spreca altret-tanto, dal momento che i dati ufficiali sullo spreco alimentare sono più che intollerabili e offensivi di fronte a quel miliardo di persone che è quotidiana-mente alle prese con la fame e la malnutrizione. Ecco altri “comandamenti”: produrre un po’ meno, produrre meglio, distribuire con senno, radicando pro-duzione e consumo il più possibile nei diversi territori, innanzi tutto agendo sul livello locale.Tornando ai singoli cittadini, il fatto che bello e buono siano al contempo conseguenze e presupposti della sostenibilità, non può far altro che incorag-giarci a mutare le nostre abitudini, a partire proprio dalle scelte alimentari, dalla nostra spesa quotidiana. Ben presto – se non l’abbiamo già fatto – sco-

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117introduzione | cibo per una crescita sostenibile

priremo che mangiare può essere un’attività che è tanto più piacevole e salutare quanto più è sostenibile e che possiamo fare la nostra parte ampiamente senza grandi sacrifici ma, anzi, aggiungendo piccole importanti porzioni di felicità alle nostre vite. Imparando a pagare il giusto: il prezzo insieme ai valori. “Mangiare è un atto agricolo” ha scritto il poeta contadino Wendell Berry. Pos-siamo aggiungere che è un atto ecologico, un atto paesaggistico, un atto di pro-fondo rispetto per le culture, un atto politico. E deve diventare un atto sosteni-bile, perché mangiare è la cosa più direttamente, intimamente collegata – tanto in maniera evidente quanto in maniera nascosta perché ancora insondabile per le nostre conoscenze scientifiche – con tutto ciò che ci circonda: ovvero quel grande sistema complesso che è il pianeta che ci ospita. La biosfera. In poche parole la nostra casa, di cui però non siamo semplici inquilini, ma parte inte-grante. Perché siamo dentro il sistema. Per troppo tempo abbiamo fatto finta di esserne un corpo estraneo, ospitato, che tutto può avere a sua disposizione, finché ce n’è a disposizione. Per questo motivo non agire in maniera sostenibile, “che fa durare”, fa male alla Terra, ma ne fa anche a noi umani. Ed è dun-que anche soltanto per l’egoismo che ha sempre caratterizzato la nostra specie che dovremmo rivedere molte nostre scelte, partendo proprio da quelle che per molti di noi, troppi, nel tempo sono diventate insignificanti, semplicemente perché quotidiane. Come la scelta di che cosa mangiare ogni giorno, che in realtà ha il potere di cambiare il mondo.

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2012 2030

3.  cibo per una crescita sostenibile

IMPATTO dell’ATTIvITà AgrIcOlA

L’attività agricola è responsabile per il 33% della produzione globale di gas serra e per l’80% dei consumi di acqua destinati alla produzione di cibo.

9 MIlIArdI

+3MIlIArdI di assetati nel mondoNel 2025 tre miliardi di persone non avranno abbastanza acqua potabile

33%produzione gas serra

80%Consumo di aCQua

+30%

Nel 2050 gli abitanti della Terra saranno 9 miliardi contro i 7 miliardi di oggi

2050

2012

Circa il 43% delle foreste tropicali e subtropicali e il 45% di quelle temperate sono state convertite in terreni per le coltivazioni

L’applicazione di corrette pratiche agronomiche permette la riduzione delle emissioni di CO2 generate dalle attività agricole in misura pari al 30% del totale

- 30% di emissioni di Co2 in agriColtura

cOnsuMO dI AcquA vIrTuAle

- 45% dI “POlMOnI” verdI

32% rIsOrse ITTIcheIn esAurIMenTO

AllevAMenTO dI besTIAMe

L’allevamento del bestiame è oggi la destinazione d’uso più ingente della terra dispo-nibile: circa il 26% della terra è sfruttata per i pascoli, mentre un terzo dei terreni agricoli è diretto alla produzione di mangimi animali.

26%uso terreni per il pasColo

1/3 produzione di mangimi

terreni per la

Il consumo giornaliero di acqua virtuale con una dieta ricca di carne si aggira attorno ai 5.400 litri, mentre con una dieta composta da cereali, frutta, ortaggi e pesce si scende a un consumo compreso tra 1.500 e 2.600 litri

Il 32% delle zone di pesca sono state sfruttate in eccesso, impoverite o esaurite

uTIlIzzO bIOcArburAnTIPer i biocarburanti si utilizza oggi l’1% dei terreni agricoli. Le proiezioni al 2030 indi-cano un valore tra il 2,5% e il 3,8% di terreni destinati alla loro produzione

1%3,8%

5.400 lITrI

2.600lITrI

1.500lITrI

Entro il 2050 i terreni coltivabili diminuiranno a causa del cambiamento climatico e la geografia della produzione agricola si modificherà radicalmente

- 8/20% TerrA cOlTIvAbIle

118 eating planet

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2012 2030

3.  cibo per una crescita sostenibile

IMPATTO dell’ATTIvITà AgrIcOlA

L’attività agricola è responsabile per il 33% della produzione globale di gas serra e per l’80% dei consumi di acqua destinati alla produzione di cibo.

9 MIlIArdI

+3MIlIArdI di assetati nel mondoNel 2025 tre miliardi di persone non avranno abbastanza acqua potabile

33%produzione gas serra

80%Consumo di aCQua

+30%

Nel 2050 gli abitanti della Terra saranno 9 miliardi contro i 7 miliardi di oggi

2050

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Circa il 43% delle foreste tropicali e subtropicali e il 45% di quelle temperate sono state convertite in terreni per le coltivazioni

L’applicazione di corrette pratiche agronomiche permette la riduzione delle emissioni di CO2 generate dalle attività agricole in misura pari al 30% del totale

- 30% di emissioni di Co2 in agriColtura

cOnsuMO dI AcquA vIrTuAle

- 45% dI “POlMOnI” verdI

32% rIsOrse ITTIcheIn esAurIMenTO

AllevAMenTO dI besTIAMe

L’allevamento del bestiame è oggi la destinazione d’uso più ingente della terra dispo-nibile: circa il 26% della terra è sfruttata per i pascoli, mentre un terzo dei terreni agricoli è diretto alla produzione di mangimi animali.

26%uso terreni per il pasColo

1/3 produzione di mangimi

terreni per la

Il consumo giornaliero di acqua virtuale con una dieta ricca di carne si aggira attorno ai 5.400 litri, mentre con una dieta composta da cereali, frutta, ortaggi e pesce si scende a un consumo compreso tra 1.500 e 2.600 litri

Il 32% delle zone di pesca sono state sfruttate in eccesso, impoverite o esaurite

uTIlIzzO bIOcArburAnTIPer i biocarburanti si utilizza oggi l’1% dei terreni agricoli. Le proiezioni al 2030 indi-cano un valore tra il 2,5% e il 3,8% di terreni destinati alla loro produzione

1%3,8%

5.400 lITrI

2.600lITrI

1.500lITrI

Entro il 2050 i terreni coltivabili diminuiranno a causa del cambiamento climatico e la geografia della produzione agricola si modificherà radicalmente

- 8/20% TerrA cOlTIvAbIle

119dati e fatti chiave | cibo per una crescita sostenibile

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120 eating planet

la doppia piramide: un’alimentazione sana per tutti e sostenibile per l’ambiente

Non si può pensare di affrontare il tema dello sviluppo senza mettere in primo piano tutte le variabili che compongono il sistema agroalimentare, per-ché è proprio da questo settore che, in modo più che significativo, nascono non solo i problemi ma anche le soluzioni della sostenibilità. Ed è altrettanto evidente che la sostenibilità della filiera agroalimentare non dipende unica-mente dall’impegno degli agricoltori, dei produttori e dei distributori, ma anche – e forse in misura ancora maggiore – dai comportamenti degli indi-vidui e delle famiglie, che con le loro scelte quotidiane condizionano forte-mente tutto il mercato.Ma a differenza di quanto avviene in altri ambiti socio-economici (per esem-pio i trasporti o le abitazioni), dove il vantaggio collettivo si pone spesso in contrapposizione con quello individuale, nel settore alimentare lo sforzo di una maggiore responsabilità richiesto alle persone non diminuisce il loro benessere. Anzi: si può affermare che la riduzione del proprio “impatto ambientale alimentare”, oltre a non determinare maggiori costi, va a diretto vantaggio della salute. Infatti, analizzando i dati disponibili sull’impronta ecologica dei cibi (Ecological Footprint), il BCFN ha scoperto inattese e interessanti qualità “ambientali” di quei prodotti che, secondo i nutrizioni-sti, si dovrebbe consumare di più. In altre parole, si è dimostrato che se si adotta come menu quello proposto dalla classica piramide alimentare (quella che pone al vertice i prodotti da consumare con minore frequenza e alla base quelli di cui è bene abbondare) non solo si rispetta la propria salute, ma anche quella del pianeta in cui viviamo.Il Barilla Center for Food & Nutrition ha concettualizzato e pubblicato per la prima volta nel 2010 la “doppia piramide alimentare-ambientale”, uno stru-mento di comunicazione in grado di mettere in relazione gli aspetti nutrizio-nali e gli impatti ambientali degli alimenti consumati. Nel 2011, sulla base di ulteriori analisi, la doppia piramide è stata aggiornata e ridisegnata nella versione proposta in figura 3.1.Il posizionamento delle categorie di alimenti nei diversi livelli della piramide varia in base alla frequenza di consumo suggerita: ferma restando la necessità di garantire sempre la massima varietà della dieta, i cibi collocati vicino al vertice sono quelli che andrebbero mangiati meno spesso, mentre quelli che sono alla base non dovrebbero mai mancare sulla tavola. La parte nutrizionale della doppia piramide è stata costruita assumendo come modello di riferi-mento la dieta mediterranea – ovvero l’approccio alimentare tradizionalmente adottato nei paesi dell’area del Mediterraneo come Italia, Spagna, Portogallo,

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121la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

Grecia e Francia meridionale. La dieta mediterranea è un modello alimentare che si contraddistingue per la completezza e per lo spiccato equilibrio nutri-zionale ed è riconosciuta da numerosi scienziati dell’alimentazione come una delle migliori diete in senso assoluto per ciò che concerne il benessere fisico e la prevenzione delle malattie croniche, in particolare di quelle cardiovascolari.L’inedita piramide ambientale è stata invece costruita riclassificando gli stessi cibi della piramide alimentare rispetto al loro impatto sull’ambiente (alla base quelli con un impatto maggiore e salendo verso il vertice quelli più ecososte-nibili). In questo modo si è scoperto che la sequenza degli alimenti era gros-somodo la stessa, sebbene invertita; questa correlazione appare infatti evidente se si capovolge la piramide ambientale.Accostando le due piramidi (una per il verso giusto e l’altra capovolta) si è ottenuta la “doppia piramide alimentare-ambientale”, dove si nota facilmente che gli alimenti dei quali è consigliato un consumo maggiore generalmente sono anche quelli che determinano gli impatti ambientali minori. Viceversa, gli alimenti per i quali viene raccomandato un consumo ridotto sono anche quelli che hanno un maggiore impatto sull’ambiente.In pratica, emerge la coincidenza in un unico modello alimentare di due obiet-tivi diversi ma altrettanto rilevanti: la salute delle persone e la tutela ambientale.

figura 3.1

Il modello di doppia piramide alimentare e ambientaleFonte: BCFN, 2011.

piramide ambientale

piramide alimentare

basso alto

alto basso

consu

mo

sugg

erito

impa

tto

ambi

enta

le

DolciCarne rossa

Carne rossa

FormaggioPesce

OlioCarne bianca

Legumi, DolciYogurt, Uova

Pane, PastaLatte, Riso,

Biscotti

FruttaPatate

OrtaggiFrutta

Ortaggi

Pane, Pasta,Riso, Patate,

Legumi

FormaggiUova

Carne biancaPesce

BiscottiLatte

Yogurt

Olio

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122 eating planet

3.1 la piramide alimentare come strumento di educazione

Negli ultimi anni è aumentato notevolmente il numero di coloro che possono scegliere cosa e quanto mangiare. Tuttavia, senza una cultura adeguata o delle linee guida nutrizionali diffuse, illustrate e applicabili, queste persone rischiano di assumere stili alimentari sbilanciati; prova ne è la recente e dilagante diffu-sione di patologie dovute all’alimentazione eccessiva e non corretta.È stato il fisiologo americano Ancel Keys a spiegare al mondo perché in alcune regioni la popolazione fosse più longeva. Il segreto della longevità consisteva nel consumo equilibrato di tutti gli alimenti naturali privilegiando, per frequenza e quantità, frutta, verdura e derivati dei cereali e contemporaneamente riducendo il consumo di alimenti ricchi di grassi saturi, delle carni e dei dolciumi. In par-ticolare, Keys scoprì che grazie a questa dieta (da lui battezzata “mediterranea”) la mortalità per cardiopatie nei paesi del Sud Europa e del Nord Africa era più bassa di quella che si riscontrava nei paesi anglosassoni e del Nord, dove l’ali-mentazione era ricca di grassi saturi. Peccato che da allora, anche in Italia, la dieta mediterranea sia entrata in competizione con i modelli alimentari globali (primo tra tutti il fast food, molto diffuso nella dieta nord-americana).Il valore della piramide alimentare è duplice: da un lato rappresenta un’eccel-lente sintesi delle principali conoscenze acquisite dalla medicina e dagli studi sull’alimentazione, mentre dall’altro è un potente strumento di educazione al consumo grazie alla sua grafica semplice e intuitiva.

la base della piramide. Alla base della piramide si trovano gli alimenti di origine vegetale, tipici delle abitudini alimentari mediterranee, ricchi in termini di nutrienti (vitamine, sali minerali, acqua) e di composti protettivi (fibre e composti bioattivi di origine vegetale). Salendo si trovano progressivamente gli alimenti a crescente densità energetica (molto presenti nella dieta nord-ameri-cana), che andrebbero consumati in minore quantità.Partendo dalla base verso il vertice, troviamo la frutta e gli ortaggi, in quanto alimenti dal ridotto contenuto calorico e che forniscono all’organismo acqua, carboidrati, vitamine, minerali e fibra. Il contenuto di proteine è molto basso, così come è molto ridotto il contenuto di grassi, mentre l’apporto di carboidrati della frutta e degli ortaggi consiste soprattutto di zuccheri semplici, facilmente utilizzabili dall’organismo, e di poco amido. Inoltre, gli alimenti di origine vegetale sono la fonte principale di fibra che, oltre a regolarizzare la funzione intestinale, contribuisce al raggiungimento del senso di sazietà e quindi aiuta a contenere il consumo di alimenti a elevata densità energetica.Proseguendo nel percorso incontriamo la pasta, il riso, le patate, il pane e i legumi. La pasta è un alimento ricco di amido, con un discreto contenuto di proteine e con una quota lipidica irrilevante. Il riso, come tutti i cereali, ha un elevato contenuto di amido, un basso contenuto di proteine e uno ancora più

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123la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

ridotto di grassi; contiene, inoltre, piccole quantità di vitamine del gruppo B e minerali. La patata ha un contenuto di grassi e proteine molto esiguo, mentre è ricca di amido e carboidrati; rappresenta, infine, una delle fonti più importanti di potassio, fosforo e calcio. Il pane è un alimento di prima necessità, in quanto apporta all’organismo la quota necessaria di carboidrati. I legumi, infine, sono gli alimenti vegetali a più alto contenuto proteico e presentano anche un elevato contenuto in fibra; inoltre, forniscono proteine di ottima qualità – in quanto ricche di aminoacidi essenziali e facilmente digeribili – e sono una buona fonte di vitamine del gruppo B (soprattutto B1, niacina e B12) e di minerali quali ferro e zinco, e rappresentano un’alternativa al consumo di carne.Successivamente, nella piramide troviamo l’olio extra vergine di oliva che è composto da trigliceridi (ricchi di acidi grassi monoinsaturi), acidi grassi essen-ziali, vitamina E, polifenoli e fitosteroli (che esplicano azioni protettive per l’or-ganismo umano).Risalendo ancora troviamo il latte e lo yogurt. Il latte è composto per quasi il 90% da acqua in cui sono disperse tracce di proteine di alto valore biologico, grassi in prevalenza saturi a catena corta e facilmente digeribili – molti di essi sono anche ricchi in grassi animali che favoriscono l’incremento dei livelli di colesterolo plasmatico e vanno, pertanto, consumati con moderazione – e zuc-cheri (rappresentati soprattutto dal lattosio, costituito da galattosio e glucosio). Le vitamine presenti nel latte in quantità consistenti sono la A, B1, B2, B12 e l’acido pantotenico. Il latte, inoltre, è la fonte principale di calcio per la nutri-zione umana. Lo yogurt, come il latte, è un alimento ad alto valore nutrizionale ma può essere più digeribile per chi è intollerante al lattosio per la presenza di lattasi batterica.

la seconda parte della piramide. Al livello superiore della piramide tro-viamo un vasto raggruppamento di prodotti fra loro diversi, come i formaggi, le carni bianche, il pesce, le uova e i biscotti. I formaggi contengono proteine e grassi, mentre è quasi nullo il contenuto di carboidrati. Di particolare inte-resse è il contenuto di calcio, presente in una forma altamente biodisponibile, che contribuisce in modo rilevante a soddisfare il fabbisogno dell’organismo umano. Le vitamine del gruppo B sono presenti in piccole quantità, mentre buona è la dose di vitamina A. Quindi il pesce e le uova: il pesce contiene proteine di elevato valore biologico e quantità variabili di grassi, che possono raggiungere anche il 10% del peso. Nei grassi dei pesci sono presenti gli acidi grassi polinsaturi, che appartengono alla categoria degli acidi grassi essenziali; la famiglia degli acidi grassi omega-3, in particolare, è ritenuta benefica nella prevenzione delle malattie cardiocircolatorie. Le uova contengono proteine a un valore biologico così elevato che per anni la composizione proteica dell’uovo è stata il riferimento per valutare la qualità delle proteine degli altri alimenti. I

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124 eating planet

biscotti sono costituiti da più ingredienti e hanno una composizione in termini di nutrienti e un valore energetico estremamente variabili; a livello generale, è importante il contenuto in zuccheri semplici, mentre è molto variabile il conte-nuto di grassi, mediamente tra circa il 9 e il 25%.Il consumo di carne, in particolare magra, è importante perché contribuisce all’apporto di proteine di elevata qualità, necessarie per la crescita dei bambini e la formazione dei muscoli. Circa la metà delle proteine della carne è costituita da aminoacidi essenziali per l’organismo umano; sono presenti le vitamine del gruppo B (in particolare la B12), il selenio, il rame e lo zinco. Il contenuto in grassi è variabile: può risultare quasi nullo o vicino al 30%, in base alla tipo-logia della carne, e sono prevalentemente saturi e monoinsaturi, mentre pochi sono quelli polinsaturi: è quindi da preferire il consumo delle carni bianche e moderare il consumo delle carni rosse, come mostrato nelle numerose versioni di piramidi alimentari dei diversi istituti nazionali e internazionali che le posi-zionano al vertice, così come per i dolci che, essendo ricchi di grassi e di zuc-cheri semplici, sono da consumare con moderazione.

3.2 alcuni studi sull’alimentazione mediterranea

Dall’analisi dei numerosi studi di riferimento, emerge che un fattore protettivo contro le più diffuse malattie croniche – soprattutto cardiovascolari e tumorali, ma anche verso il morbo di Parkinson e la malattia di Alzheimer – è l’adozione di uno stile alimentare ispirato al modello nutrizionale mediterraneo, ovvero quello adottato dal BCFN per la costruzione della piramide alimentare, caratte-rizzato da:• un elevato consumo di verdura, legumi, frutta e frutta secca, olio d’oliva e cereali (che nel passato erano prevalentemente integrali);• un moderato consumo di pesce e prodotti caseari (specialmente formaggio e yogurt) e vino;• un basso consumo di carne rossa, carne bianca e acidi grassi animali.

Le abitudini alimentari proprie della dieta mediterranea risultano infatti essere coerenti con le indicazioni nutrizionali espresse dalle linee guida prodotte dalle più autorevoli società scientifiche e istituzioni internazionali che si occupano delle più diffuse patologie della nostra epoca (in particolare malattie cardiova-scolari, cancro e diabete).Numerosi sono gli studi a prova di quanto sopra affermato. Il valore nutrizio-nale della dieta mediterranea venne dimostrato scientificamente dal noto “stu-dio dei sette paesi” diretto da Keys, in cui furono messe a confronto le diete adottate da diverse popolazioni per verificarne i benefici e i punti critici: da quello studio si capirono le associazioni tra tipologia di dieta e rischio d’in-

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paesaggi agrari: tokyo La produzione di colture alimentari in impianti industriali è una prospettiva sempre più concreta in Giappone, dove il processo di invecchiamento nella popolazione agricola sta assumendo aspetti critici: per una età media di 65 anni, solo il 5% è sotto i 40. La produzione in condizioni controllate permette inoltre di stabilizzare quantità e qualità del prodotto.

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126 eating planet

figura 3.2

La rappresentazione grafica dei consigli alimentari elaborati dall’USDAFonte: USDA, 2011.

sorgenza di malattie croniche, e si scoprì come il livello elevato di acidi grassi saturi nella dieta e del colesterolo nel sangue rappresenti un fattore in grado di spiegare sia le differenze nei tassi di mortalità, sia di prevedere quelli futuri di malattie coronariche nelle popolazioni analizzate.Dal primo “studio dei sette paesi” fino a oggi, molte altre ricerche hanno ana-lizzato le caratteristiche e le associazioni tra stile alimentare adottato e insor-genza di malattie croniche. Dalla metà degli anni Novanta si è anche sviluppato un filone di studio che ha dimostrato la forte correlazione tra diete e longevità.È interessante notare, per esempio, che una ricerca condotta sul database scien-tifico PubMed – in un arco di tempo limitato a tre mesi – evidenzia la presenza di circa 70 pubblicazioni scientifiche il cui tema principale è la dieta medi-terranea. Tali pubblicazioni presentano i risultati di ricerche cliniche o epide-miologiche nelle quali l’aderenza alla dieta mediterranea si traduce in benefici misurabili in numerosissime aree della salute dell’uomo che includono, a titolo di esempio, condizioni metaboliche, effetti preventivi delle patologie cardio-vascolari, delle patologie neurologiche o psichiatriche (per esempio la malattia di Alzheimer), delle malattie respiratorie o allergiche, dei disturbi della sessua-lità sia femminile sia maschile (per esempio la disfunzione erettile), nonché di alcune patologie oncologiche.A quest’ultimo proposito, destano interesse le recenti conclusioni dell’ampio

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127la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

studio europeo EPIC, che ha valutato 485.044 soggetti adulti nell’arco di circa nove anni; l’EPIC ha dimostrato che una maggiore aderenza alla dieta mediter-ranea si associa a una significativa riduzione (−33%) del rischio di sviluppare un carcinoma gastrico. Infine è interessante notare come la letteratura scientifica dimostri un impatto positivo della dieta mediterranea in tutte le fasce di età della vita, a partire dal periodo prenatale e poi all’infanzia, all’età adulta, fino all’età avanzata.

dalla piramide al piatto alimentare. Per rendere le argomentazioni della piramide alimentare – e dunque della dieta mediterranea – sempre più fruibili e adottabili dalle persone, è in corso un grande sforzo a livello internazionale. Un esempio è quanto il Dipartimento dell’Agricoltura negli Stati Uniti (USDA) sta facendo con il “piatto” alimentare, traduzione del contenuto della piramide alimentare (figura 3.2).Al di là delle modalità di rappresentazione grafica dei consigli alimentari, è comunque importante osservare come gran parte delle più autorevoli ricerche scientifiche sulla relazione tra alimentazione e malattie croniche evidenzino, oltre ogni ragionevole dubbio, che il modello alimentare mediterraneo deve essere considerato il punto di riferimento di una corretta alimentazione e che a esso dovrebbero essere associati stili di vita “salubri”. Nella figura 3.3 è pro-posto uno schema di sintesi delle linee guida per la prevenzione delle patologie cardiovascolari, diabetiche e tumorali.

figura 3.3

Lo schema di sintesi delle linee guida medicheFonte: BCFN, 2009.

sana alimentazione e corretto stile di vita

30 minuti di attività fisica al giorno

Evitare situazioni di sovrappeso e obesità

Evitare l’eccessivo consumo di alcolici Non fumare

Adottare una dieta equilibrata

Aumentare il consumo di frutta e verdura

Preferire i carboidrati complessi e aumentare il consumo di cereali integrali

Aumentare il consumo di legumi

Consumare 2‑3 porzioni di pesce alla settimana

Preferire condimenti di origine vegetale

Limitare il consumo di cibi a elevato contenuto di grassi

Limitare il consumo di cibo fritto

Limitare il consumo di carne e pollame a 3‑4 porzioni alla settimana

Limitare il consumo aggiuntivo di sale

Limitare il consumo di cibi/bevande ad alto contenuto di zuccheri

Evitare l’utilizzo quotidiano di integratori alimentari

1 2 3 4

5 6 7 8

9 10 11 12

13 14 15 16

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128 eating planet

3.3 la piramide ambientale

La stima degli impatti ambientali associati a ogni singolo alimento è stata condotta a partire da informazioni e dati pubblici calcolati secondo il metodo dell’analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA), ovvero una meto-dologia di valutazione oggettiva dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo (sia esso un’attività o un servizio) (figura 3.4).Tale valutazione include l’analisi dell’intera filiera, comprendendo la coltivazione o estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il confezio-namento, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale. L’approccio LCA offre da un lato il vantaggio di permettere una valuta-zione quanto più possibile oggettiva e completa del sistema, dall’altro lo svantag-gio di una difficile comunicazione dei risultati complessivi che si ottengono.

gli indicatori ambientali. Per rendere facilmente comprensibile il risultato di uno studio, normalmente si utilizzano alcuni indicatori di sintesi definiti in modo da preservare il più possibile la scientificità dell’analisi. Tali indicatori vengono in genere selezionati in base alla tipologia del sistema che viene ana-lizzato, e devono essere scelti in modo da rappresentare in maniera quanto più completa e semplice le interazioni con i principali comparti ambientali.Focalizzando l’attenzione sulle filiere di produzione degli alimenti, l’analisi dei processi porta a evidenziare come i principali carichi ambientali siano rappre-sentati dall’emissione di gas a effetto serra, dall’utilizzo della risorsa idrica e dalla capacità di rigenerare le risorse del territorio che vengono utilizzate. In quest’ottica, il BCFN ha selezionato i seguenti indicatori ambientali:• l’impronta di carbonio (Carbon Footprint), che rappresenta e identifica le emissioni di gas serra responsabili dei cambiamenti climatici ed è misurata in massa di CO2 equivalente (figura 3.5);• l’impronta idrica (Water Footprint o Virtual Water Content), che quantifica i consumi e le modalità di utilizzo delle risorse idriche ed è misurata in volume (litri) di acqua (figura 3.6);• l’impronta ecologica (Ecological Footprint), che misura la quantità di terra (o mare) biologicamente produttiva necessaria per fornire le risorse e assorbire le emissioni associate a un sistema produttivo. Si misura in metri quadrati o ettari globali (figura 3.7).

È comunque importante osservare come quelli considerati dal BCFN non siano gli unici impatti generati dalla filiera di produzione degli alimenti, ma si pos-sano ritenere i più significativi sia in termini di impatto reale, sia di comunicabi-lità. Nonostante si sia scelto di rappresentare la piramide ambientale utilizzando, per esigenza di sintesi, solo l’impronta ecologica, dalle figure 3.5 e 3.6 è possibile osservare gli impatti ambientali degli alimenti anche attraverso le impronte carbo-nica e idrica per evitare visioni dei fenomeni parziali e, in alcuni casi, fuorvianti.

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129la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

figura 3.4

Il metodo di analisi LCA è regolamentato dagli standard internazionali ISO 14040 e 14044Fonte: BCFN, 2011.

1. Coltivazione

2. Trasformazione

3. Imballaggio

4. Trasporto

5. Cottura

figura 3.5

L’impronta di carbonio degli alimenti (gCO2 eq per kg o litro di alimento)Fonte: BCFN, 2011.

legenda

20.000Carne bovina

FormaggioBurroUova

Carne suinaPesce

RisoCarne avicola

OlioFrutta secca

PastaCereali da colazione

DolciBiscottiLegumi

MargarinaLatte

YogurtPane

FruttaOrtaggi

Patate

8.000

4.000

2.000

1.000

0 2.000 4.000 6.000 8.000 / /25.000 45.000

26.0009.500

8.6004.640

4.2503.900

3.8503.600

3.200

cotturamin

max

valore medio + cottura

3.0002.300

2.2002.000

1.9001.600

1.4001.300

1.100900670

665600

Page 148: Eating Planet 2012

130 eating planet

15

13

figura 3.7

L’impronta ecologica degli alimenti (m2 globali per kg o litro di alimento)Fonte: BCFN, 2011.

figura 3.6

L’impronta idrica degli alimenti (litri di acqua per litro o kg di alimento)Fonte: BCFN, 2011.

10.000

100

50

25

15

5.0004.000

2.000

1.000

15.500

10993

8671

6640

2825

1918

1616

151513

1312

74

43

8.5605.555

5.0005.000

4.8003.900

3.4003.300

3.1603.140

1.7751.360

1.3001.0001.000

930920900

240

0

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 160

2.000 4.000 6.000 8.000 /

/

15.000

legenda

min max

valore medio

Carne bovina

Frutta secca

Olio

Formaggio

Burro

Carne suina

Carne avicola

Riso

Uova

Legumi

Dolci

Pasta

Biscotti

Pane

Latte

Yogurt

Frutta

Cereali da colazione

Patate

Ortaggi

legenda

cotturamin

max

valore medio + cottura

Carne bovina

Formaggio

Burro

Pesce

Margarina

Olio

Carne suina

Carne avicola

Legumi

Dolci

Yogurt

Uova

Pasta

Latte

Biscotti

Cereali da colazione

Riso

Pane

Frutta

Patate

Ortaggi

Page 149: Eating Planet 2012

131la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

l’influenza delle scelte alimentari. Per poter stimare in quale misura le scelte alimentari dei singoli incidono sull’impronta ecologica, sono stati analiz-zati due differenti menu giornalieri (figura 3.8): entrambi sono equilibrati da un punto di vista nutrizionale, sia in termini di apporto calorico sia di nutrienti (proteine, grassi e carboidrati), ma nel primo le proteine sono di origine vege-tale (“menu vegetariano”), mentre nel secondo sono prevalentemente di origine animale (“menu di carne”).Il menu di carne ha un impatto ambientale tre volte superiore rispetto a quello vegetariano. Sulla base di questi dati si può ipotizzare quale possa essere la riduzione degli impatti ambientali di un individuo semplicemente modificando le abitudini alimentari. Prendendo per esempio una settimana di alimenta-zione, si può ipotizzare di avere tre regimi alimentari differenti sulla base di quante volte si assume un menu vegetariano e di quante un menu di carne: limitando le proteine animali a sole due volte alla settimana, in linea con le rac-comandazioni dei nutrizionisti, si possono “risparmiare” anche 20 metri qua-drati globali al giorno.

3.4 la doppia piramide per chi cresce

Analogamente a quanto fatto per la doppia piramide generica (da indirizzare principalmente al mondo adulto), si è affrontato il concetto della doppia pira-mide per chi cresce, partendo dagli aspetti nutrizionali per poi mettere insieme queste considerazioni con quelle ambientali.In linea generale è importante sottolineare che per ottenere un risultato finale ottimale, accanto alle modalità di relazione e all’aderenza ai più moderni sugge-rimenti specifici per le singole fasi di crescita, sono molto importanti le abitudini nutrizionali, motorie e lo stile di vita acquisiti in famiglia. Tre sono i fattori cri-tici che, se non evitati nel periodo dell’adolescenza, possono incidere in maniera rilevante sul rischio di contrarre patologie croniche durante la vita adulta:• esporsi a fattori di rischio, come l’adozione di un regime alimentare non salu-tare, il consumo di alcol e tabacco o l’eccessivo aumento di peso;• acquisire uno stile di vita sedentario, come il sostituire le ore di attività fisica con l’intrattenimento della TV, dei videogiochi o del computer;• trascurare la prevenzione e il controllo dei fattori di rischio, come per esem-pio periodici controlli del peso sottoponendo l’adolescente a verifiche da parte di un pediatra.

La combinazione di questi tre fattori può produrre fenomeni a manifestazione più immediata (obesità, insulino-resistenza, dislipidemia, ipertensione arteriosa) e, al tempo stesso, generare effetti di lungo periodo, come l’accelerazione dei processi che conducono al diabete e alle malattie cardiovascolari nell’età adulta.

Page 150: Eating Planet 2012

132 eating planet

figura 3.8

Come varia l’impronta ecologica in funzione delle scelte alimentariFonte: BCFN, 2011.

menu vegetariano

kcal totali

g CO2 eq

2.0302.095

menu carne

kcal totali

g CO2 eq

2.1406.455

Colazione

1 Porzione di frutta (200 g)4 Fette biscottate

195 g CO2 eq

Colazione

1 Tazza di latte parz. scremato4 Biscotti

250 g CO2 eq

Spuntino

1 Vasetto di yogurt magro1 Pacchetto di cracker non salati

145 g CO2 eq

Spuntino

1 Vasetto di yogurt magro

140 g CO2 eq

Cena

1 Porzione di verdure: fagiolini (200 g) e patate (400 g) al vapore con scaglie di grana (40 g)

990 g CO2 eq

Cena

1 Porzione di minestra e piselli1 Bistecca di carne bovina alla griglia (150 g)1 Fetta di pane in cassetta

4.210 g CO2 eq

Pranzo

1 Porzione di “Caserecce Siciliane” con finocchietto1 Porzione di sformato di zucca e porri

555 g CO2 eq

Pranzo

1 Porzione di pizza MargheritaOrtaggi misti crudi

1.720 g CO2 eq

Spuntino

1 Vasetto di yogurt magro1 Frutto

210 g CO2 eq

Spuntino

1 Porzione di frutta (200 g)

135 g CO2 eq

Proteine

14%

Proteine

15%

Carboidrati

56%

Carboidrati

60%

Grassi

30%

Grassi

25%

Page 151: Eating Planet 2012

133la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

l’alimentazione scorretta e le malattie croniche. Prendendo in conside-razione invece la sola alimentazione, è stata chiaramente dimostrata l’esistenza di una forte relazione tra alimentazione scorretta, eccessivo peso corporeo e incremento del rischio di contrarre malattie croniche; mentre per l’adulto vi è maggiore coscienza di tale relazione, per il bambino e il giovane continuano a persistere nell’opinione pubblica difficoltà ad accettare l’importanza determi-nante dell’alimentazione nella prevenzione di molte malattie.Se si trasformano le principali connessioni esistenti fra macro e micro nutrienti assunti e corretto sviluppo nelle diverse fasi della crescita in un regime ali-mentare mediamente adeguato a soddisfare i requisiti individuati da pediatri e nutrizionisti, è possibile giungere alla definizione di una composizione setti-manale dell’alimentazione di bambini e adolescenti che sia – nel suo complesso – corretta ed equilibrata sia in termini di tipologia di alimenti ingeriti sia di ripartizione quotidiana di calorie.Un’alimentazione corretta è caratterizzata dal principio della varietà, ossia ali-mentazione mista che comprende alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, legumi, cereali, semi ecc.), animale (carne, formaggio, latticini, prosciutto ecc.) e alternanza di alimenti durante la settimana. Più nello specifico, la dieta dei bambini e degli adolescenti dovrebbe comporsi secondo quanto indicato nella figura 3.9 in termini di frequenze di consumo.Nonostante queste raccomandazioni, numerosi studi internazionali hanno messo in luce la grande diffusione tra i bambini di età compresa tra i 6 e i 10 anni di abitudini alimentari che non favoriscono una crescita armonica, pre-disponendoli all’aumento di peso. È stato infatti osservato come solo l’1% dei

figura 3.9

La ripartizione raccomandata dell’apporto calorico giornaliero per i bambini e gli adolescentiFonte: BCFN, 2011.

Pranzo 35%

Colazione 20%

Merenda a metà mattina 5%

Merenda pomeridiana 10%

Cena 30%

Page 152: Eating Planet 2012

134 eating planet

bambini possieda abitudini alimentari in linea con la composizione settimanale ottimale della dieta e quindi consumi porzioni e varietà di alimenti in accordo con quanto raccomandato da una corretta piramide nutrizionale. Gli stessi studi evidenziano inoltre come l’introito calorico giornaliero della maggioranza dei bambini osservati in età scolare sia non solo superiore alle loro esigenze, ma anche principalmente orientato al consumo di grassi e zuccheri (soprattutto nei bambini caratterizzati da una tendenza all’obesità), a scapito di frutta e verdura. La figura 3.10 mostra la composizione ottimale – su base settimanale – dell’ali-mentazione per chi cresce.Sulla base di quanto specificato in queste pagine e con riferimento all’infanzia (in particolare dai due anni in poi) e all’adolescenza, il BCFN ha costruito una piramide nutrizionale (figura 3.11) che viene utilizzata per la realizzazione di quella doppia (il periodo successivo, la giovinezza, è equiparabile per frequenza di consumo a quella degli adulti). Come nel caso degli adulti, anche l’alimentazione dei bambini e degli adolescenti dovrebbe essere basata prevalentemente sui vege-tali, in particolare i diversi cereali, soprattutto integrali, molto importanti per il contenuto di fibra e componenti protettivi, frutta e verdura. A salire progressiva-mente troviamo latte e derivati (preferibilmente nelle versioni magre) così come le carni e il pesce, fino poi ad arrivare a prodotti con più alto contenuto di grassi e zuccheri, per i quali si consiglia una frequenza relativa di consumo ridotto. La necessaria assunzione di grassi insaturi andrebbe coperta da pesce e frutta secca, utilizzando preferenzialmente oli di origine vegetale per i condimenti.Quale conclusione del suo lavoro di approfondimento sui temi della nutrizione e della crescita dei bambini, il BCFN ha poi realizzato una sintesi di macro-linee guida (tabella 3.1) che dovrebbero essere seguite per adottare un’alimen-tazione e uno stile di vita adatti a favorire uno sviluppo sano del bambino e dell’adolescente.

tabella 3.1 – sintesi delle macro-linee guida per la crescita sana

Adottare una dieta sana ed equilibrata che, alternando quotidianamente tutti i principali alimenti, fornisca tutti i nutrienti e mi‑cronutrienti (calcio, ferro, vitamine, ecc.) di cui l’adolescente ha bisogno.

Evitare l’eccessiva introduzione di calorie non consumando cibi altamente calorici o con elevate concentrazioni di grassi.

Ripartire i nutrienti nella giornata assicurando la presenza di un giusto equilibrio tra apporto di proteine animali e vegetali, che deve essere pari a uno, di zuccheri semplici e complessi (attraverso l’assunzione di meno dolci, più pane, patate, pasta o riso), di grassi animali e vegetali (utilizzando meno strutto, burro e più olio di oliva).

Ridurre al minimo l’apporto aggiuntivo di sale al fine di diminuire i fattori di rischio di sviluppo di ipertensione, soprattutto in età adulta.

Distribuire l’assunzione di cibo in cinque momenti della giornata: colazione, spuntino della mattina, pranzo, merenda e cena.

Evitare di consumare cibi al di fuori dei cinque momenti precedentemente individuati.

Svolgere attività fisica per almeno un’ora al giorno, comprensiva sia dell’attività sportiva sia del gioco.

Ridurre il più possibile la vita sedentaria, in particolare quella passata davanti al video (televisione e computer).

Fonte: BCFN, 2011.

Page 153: Eating Planet 2012

135la doppia piramide | cibo per una crescita sostenibile

3.5 la doppia piramide nel lungo periodo

Il valore simbolico della doppia piramide acquista maggiore rilevanza se inter-pretato in una prospettiva temporale di lungo periodo. Del resto, lo stesso concetto di “sostenibilità” contiene in sé il valore fondante della “durabilità”, intesa come capacità di un qualunque sistema (sia esso naturale o sociale) di mantenersi intatto e vitale nel lungo periodo. Ed è proprio in questa prospettiva che il modello della doppia piramide ci suggerisce di valutare tutte le scelte e i comportamenti alimentari, anche quelli che apparentemente, e nell’immediato,

figura 3.10

La composizione settimanale e ottimale dell’alimentazione per i bambini e gli adolescentiFonte: BCFN, 2011.

Consumo di cereali (pane, pasta e riso) soprattutto integrali

Consumo di carne

Consumo di uova

Consumo di frutta e verdura

Consumo di pesce

Consumo di legumi

Consumo di formaggi

1/2 VOLTE LA SETTIMANA ALMENO 2 VOLTE LA SETTIMANA

2/3 VOLTE LA SETTIMANA ALMENO 3 VOLTE LA SETTIMANA 2 VOLTE LA SETTIMANA

Consumo di latte e latticini

TUTTI I GIORNI TUTTI I GIORNI TUTTI I GIORNI

Page 154: Eating Planet 2012

136 eating planet

determinano impatti meno evidenti sull’individuo o sulla collettività, ma che possono diventare cospicui se misurati cumulativamente e nel corso del tempo.In quest’ottica la declinazione della doppia piramide alimentare-ambientale nei confronti delle future generazioni, a partire proprio dai bambini, porta ad alcune implicazioni che dovrebbero essere ulteriormente approfondite e divul-gate alle famiglie e agli educatori. Da un lato, gli stili alimentari sempre più diffusi tra ampie fasce della popolazione stanno portando a un graduale peggio-ramento dello stato di salute dei più giovani (in particolare per quanto riguarda la diffusione del sovrappeso e l’obesità) e a una conseguente riduzione della loro speranza di vita; questo fatto inverte una tendenza consolidata di progressivo miglioramento. Dall’altro lato, l’impiego eccessivo di alcuni alimenti – in gene-rale gli stessi che dovrebbero essere consumati con minore frequenza – deter-mina un importante impatto sull’ambiente e sulle risorse naturali che, in pro-spettiva, potrà ridurre ulteriormente la qualità di vita e il benessere complessivo delle nuove generazioni.L’adozione di un modello alimentare corretto, per i suoi effetti positivi in ter-mini nutrizionali e ambientali, incide in modo diretto e indiretto sul futuro dei nostri figli. Questo rende oggi indispensabile l’avvio di un processo di responsabilizzazione collettiva che, senza escludere gli stessi bambini, faccia leva

figura 3.11

La doppia piramide per chi cresceFonte: BCFN, 2011.

piramide ambientale

piramide alimentare

basso alto

alto basso

consu

mo

sugg

erito

impa

tto

ambi

enta

le

Grassi / OliDolci

Carne rossa

Frutta e verduraCereali

(50% integrali),Pane, Pasta,

Riso

Latte e latticiniYogurt

LegumiCarne bianca

PesceUova

Formaggio

Carne rossa

FormaggioPesce

Grassi/ OliCarne bianca

LegumiDolci

YogurtUova

PaneLatte e latticini

PastaRiso

Cereali (50% integrali)

Frutta e verdura

Page 155: Eating Planet 2012

nuovi luoghi della conoscenzaOrti e giardini comunitari stanno diventando, soprattutto nelle città, luoghi sempre più diffusi non solo di coltivazione a fini alimentari ma anche di educazione alla conoscenza del cibo e dei suoi modi di produzione. Frequentati dalle famiglie e utilizzati dalle scuole offrono la possibilità di esperienze “sul campo” a chi vive nelle grandi aree urbane.

Page 156: Eating Planet 2012

138 eating planet

sui genitori e sul sistema scolastico; questi dovranno impegnarsi in modo più intenso e sinergico nell’educazione alimentare delle future generazioni.

il futuro dell’agricoltura: verso paradigmi agricoli sostenibili

La complessità dell’agricoltura impone di considerare un numero significativo di fattori e di variabili che – direttamente e indirettamente – siano in grado di influenzare i sistemi agricoli e i loro risultati in termini di efficienza e sostenibilità.Accanto al sistema della produzione agroalimentare in senso stretto (la filiera produttiva), risultano di fondamentale rilevanza aspetti di carattere energetico (utilizzo e produzione di energia e in particolare dei combustibili fossili), di qualità del suolo (perdita e impoverimento) e di disponibilità e utilizzo delle risorse idriche (scarsità dell’acqua e suo utilizzo). Insieme alla variabile demo-grafica (anche in termini prospettici), acquistano sempre più rilevanza i feno-meni migratori (soprattutto nei contesti socio-economici maggiormente critici) e l’impatto che hanno i differenti modelli agricoli sulla food security e sulla salute umana (epidemie, sottonutrizione, malnutrizione). Nella valutazione dei sistemi agricoli mondiali due grandi temi di fondo sono rappresentati dalle abi-tudini alimentari (attuali e prospettiche, occidentali e non) e dalle conseguenze del cambiamento climatico (innalzamento delle temperature medie, cambia-menti nelle precipitazioni, fenomeni estremi ecc.).Queste variabili nella loro reciproca interazione e influenza (figura 3.12) con-corrono a descrivere una realtà – quella dell’agricoltura mondiale – articolata e complessa, che – in ragione di possibili shock che potrebbero intervenire a carico di uno o più dei suoi fattori costitutivi – dovrà trovare nuove forme di equilibrio per poter essere sostenibile nel lungo periodo.Alla luce di una simile complessità, l’agricoltura sostenibile può essere definita, in sintesi, come “la produzione di alimenti che fa il miglior uso dei beni e dei servizi offerti della natura, senza danneggiarli”.1 Come ci ricorda la FAO deve quindi “contribuire a preservare le risorse naturali, concorrere alla protezione dell’ambiente, essere adeguata al contesto di riferimento – dal punto di vista delle tecniche impiegate – e infine essere accettabile sotto il profilo economico e sociale”.2

I diversi modelli di agricoltura sostenibile sono caratterizzati da alcuni tratti comuni nel loro rapporto con l’ecosistema, in termini di protezione del suolo dall’erosione, ottimizzazione del consumo e dell’impiego di acqua, minimizza-zione dell’impiego di prodotti agrochimici, fertilizzanti sintetici ed energia di origine fossile e promozione della biodiversità (che rafforza la resilienza degli

Page 157: Eating Planet 2012

139il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

ecosistemi e la loro auto-regolazione), garantendo al contempo redditi adeguati per i produttori e un corretto presidio del territorio.Le ragioni del crescente interesse verso forme di agricoltura maggiormente sostenibili, rispetto ai modelli oggi prevalenti, risiedono innanzitutto nell’accre-sciuta consapevolezza dell’impatto ambientale dell’attività agricola.Inoltre, emerge una crescente preoccupazione in merito alla possibile scarsità delle risorse (non solo in prospettiva futura) che hanno sostenuto quella fase di forte sviluppo dell’agricoltura, nota come green revolution, a partire dal petrolio.Gli ultimi cinquant’anni si sono caratterizzati per la rapida evoluzione dell’at-tività agricola – pur se asimmetrica tra le diverse aree del mondo – verso l’ado-zione di tecnologie capaci di incrementare la produttività dei fattori impiegati e una generale modernizzazione delle tecniche di produzione. In taluni contesti geografici, a partire dagli anni Sessanta e Settanta, la contemporanea introdu-

figura 3.12

Il modello elaborato dallo IAASTD per rappresentare il sistema complesso dell’agricolturaFonte: IAASTD, 2011.

Produzione di piante

Domanda di fertilizzanti

Consumo di nutrienti del terreno

Produzione di nutrienti del terreno

Calorie vegetali Consumo

delle piante

Consumo di carne

Produzione di carne

Calorie vegetali per uso umano

Densità di popolazione

Alti standard di vita

Calorie pro capite

Divario di calorieHabitat

Conversion

Produzione di biofuel

Uso del petrolio per fertilizzanti

Accesso all’agricoltura

Fabbisogno di calorie pro capite

Produzione di metano

Domanda d’acqua

Temperatura globale

Variazione nei livelli delle precipitazioni

Calorie vegetali per la produzione di carne

Salinizzazione del terreno

Raggiungimento di varietà alimentare nel Primo Mondo

Morti umaneResiduo

tossico

Capacità del terreno

Nascite umane

Carestie

Calorie della carne

Migrazione

Perdita di terra

perdita di terra e inondazioni

settore energetico

produzione di cibo catastrofi legate alla salute

popolazione

migrazione

riscaldamento globale

acqua dolce ss

s

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s

s

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o o

oo

o

o

o

o

r

s

s

s

s

ss

s

ss

Siccità

Irrigazione

Popolazione umana

Page 158: Eating Planet 2012

140 eating planet

zione di varietà vegetali a elevato rendimento (le cosiddette HYV, High-Yiel-ding Varieties), la pratica della monocoltura, la meccanizzazione diffusa, il con-tributo dell’agrochimica (l’uso massiccio di pesticidi, erbicidi, fungicidi, fertiliz-zanti sintetici sviluppati attraverso l’impiego di azoto, fosforo e potassio), hanno concorso a uno straordinario aumento dei volumi di produzione – a parità di addetto – soprattutto con riferimento al grano, al mais e al riso.È un modello che nasce dalla combinazione di monocoltura intensiva, agro-chimica e meccanizzazione, le quali – associate – permettono all’agricoltore di sfruttare le possibili economie di scala lungo tutto la filiera delle attività svolte. Tale modello ha permesso di inaugurare una lunga stagione di elevata produtti-vità e bassi prezzi dei beni alimentari.Come ci ricorda però il rapporto IAASTD del 2009 – dal titolo Agriculture at a Crossroads, che ha coinvolto per più di quattro anni circa 400 esperti da tutto il mondo – l’incremento di produttività raggiunto attraverso questa strada è stato ottenuto a costo dello sfruttamento intensivo e spesso irreversibile delle

La spinta continua verso la resa e lo sfruttamento dei terreni, soprattutto a par-tire dalla metà del XX secolo, ha fatto sì che il settore agricolo e alimentare sia stato in gran parte responsabile di diversi fenomeni, come:• il grave degrado dei terreni arabili: 40% del territorio è degradato o povero;• la graduale riduzione dell’estensione delle grandi foreste: circa il 43% delle foreste tropicali e subtropicali e il 45% delle foreste temperate sono state con-vertite in coltivazioni, tra cui la conversione di circa 13 milioni di ettari di foreste torbiere nel Sudest asiatico per lo più per la produzione di olio di palma;• il cattivo sfruttamento di terreni agricoli e foreste: circa il 30% delle emissioni globali di gas serra;• l’intenso sfruttamento delle zone di pesca: il 32% sono state sfruttate in eccesso, impoverite o esaurite e il 52% sfruttate appieno;• l’utilizzo di circa il 70% delle risorse idriche disponibili;• l’uso dell’80% del fosforo disponibile, con giacimenti in rapida diminuzione nei tre principali paesi produttori;• la forte dipendenza da fonti combustibili fossili come input (per esempio per la produzione di fertilizzanti, irrigazione, meccanizzazione), con rischio di “picco nel prezzo del petrolio” e cambiamento climatico.

* FAO/OECD, Expert Meeting on Greening the Economy with Agriculture, Parigi, 5-7 Settem-bre 2011”.

cibo, agricoltura e scarsità delle risorse naturali *

Page 159: Eating Planet 2012

141il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

risorse naturali: erosione del suolo, contaminazione dell’acqua, inquinamento dei bacini idrogeologici, deforestazione, perdita di biodiversità.Oltretutto, nell’ultimo decennio, il trend di crescita della produttività agricola si è decisamente ridotto fino a raggiungere una fase di “stagnazione delle rese”. Ciò significa che lo sviluppo che aveva accompagnato i primi trent’anni dall’introdu-zione del paradigma monoculturale intensivo ha perso progressivamente slancio.La critica del modello di monocoltura intensiva ha nel frattempo condotto alla sperimentazione di approcci maggiormente attenti alla sostenibilità comples-siva. Per quanto possano essere stati brillanti i risultati conseguiti nel passato (green revolution) e alcune delle intuizioni emerse dai nuovi modelli emergenti, ancora non si è fatta strada una prospettiva chiara, capace di coniugare effica-cemente volumi di produzione, qualità del prodotto e sostenibilità ambientale, economica, sociale.

figura 3.13

Il trend della resa per ettaro del mais – Usa (tonnellate per ettaro, 1961‑2009)Nota: la resa per ettaro è calcolata come il rapporto fra il livello di produzione e l’area di raccolta, per ogni singolo anno considerato; il trend è stato identificato utilizzando una media mobile a cinque anni.Fonte: rielaborazione su dati United States Department of Agriculture Database, 2011.

1961

1963

1965

1967

1969 1971

1973

1975

1977

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1981

1983

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1991

1993

1995

1997

1999

2001

2003

2005

2007

2009

3

4

5

6

7

8

9

10

11

CAGR 64‑753,0%

CAGR 75‑862,0%

CAGR 86‑981,5%

CAGR 98‑091,6%

CAGR = tasso di crescita medio annuo composto

Resa annua per ettaro (tonnellata per ettaro) Trend (media mobile semplice a 5 anni)

Page 160: Eating Planet 2012

142 eating planet

Ecco perché il dibattito relativo al processo di ripensamento radicale dei modelli e delle logiche prevalenti è oggi più aperto che mai.In quest’ottica appare essenziale, in primo luogo, individuare quali debbano essere i requisiti di fondo dei possibili modelli agricoli, alla luce delle esigenze di sostenibilità.

una prospettiva da costruire. Da un lato, in futuro continuerà a essere cen-trale – per garantire adeguate rese, stabilità di produzione e sicurezza alimentare – il tema del controllo delle malattie e degli agenti infestanti delle coltivazioni; dall’altro lato, emergerà con forza la necessità di individuare tecniche e approcci che permettano di fronteggiare i cambiamenti in atto (e attesi in aumento) in relazione a due fattori chiave: la disponibilità di acqua e la qualità del suolo.Non di meno, resta aperto il tema della produttività agricola: se è vero che i problemi di accesso al cibo – come riconosciuto dai numerosi esperti intervi-stati dal BCFN – sono maggiormente legati alla distribuzione di quanto pro-dotto che non a una eventuale insufficienza, in volumi, della produzione agri-cola mondiale, è altrettanto evidente come in talune aree del pianeta (in via di sviluppo) le rese agricole costituiscano ancor oggi un serio problema, raggiun-gendo livelli inferiori a quelli sperimentati in un passato anche remoto nei paesi economicamente più avanzati. Inoltre, anche per alcune colture largamente dif-fuse nei contesti agricoli più evoluti si è assistito a un rallentamento della cre-scita delle rese negli ultimi decenni (figura 3.13).Continua a esistere in ampie aree del mondo, infatti, un paradigma agricolo di pura sussistenza, caratterizzato dalla povertà dei mezzi e delle conoscenze disponibili, dove l’obiettivo primario è quello di coltivare quello che basta per sfamare il proprio nucleo famigliare.Il tema della corretta applicazione delle tecniche agricole (anche di base) fina-lizzate al miglioramento delle rese resta a pieno titolo al centro del dibattito in agricoltura, soprattutto se si guarda a quella parte di mondo ancora in via di sviluppo che necessita di un significativo processo di miglioramento delle con-dizioni di vita medie.

3.6 l’agricoltura oggi: i principali paradigmi agricoli

È possibile rappresentare i diversi approcci alternativi all’agricoltura in modi tra loro diversi. Tutti, in qualche misura, fanno riferimento ad aspetti economico-commerciali, tecnologici e di sostenibilità.Tra le diverse classificazioni proposte in letteratura, è di grande interesse – in materia di sostenibilità – quella proposta dalla FAO secondo la quale i numerosi sistemi di produzione agricola possono venire ripartiti in tre categorie princi-pali:3 sistemi HEI (High External Input), sistemi IEI (Intermediate External

Page 161: Eating Planet 2012

convivenze possibiliInsegnare a far convivere colture agricole e forestali: questo è l’obiettivo del World Agroforestry Centre (ICRAF) che in Kenya opera per diffondere modelli di gestione dei terreni finalizzati a garantire condizioni di vita migliori agli agricoltori più poveri. Le pratiche agroforestali disegnano un nuovo paesaggio agrario sostenibile, accrescendo nel contempo la varietà dei prodotti e servizi forniti da ogni singolo appezzamento.

Page 162: Eating Planet 2012

144 eating planet

Input) e sistemi LEI (Low External Input). Ciò che è rilevante, in questa impo-stazione, è il riferimento all’intensità di risorse consumate.La figura 3.14 mostra la conformazione di differenti sistemi produttivi a seconda del grado di sostituzione tra processi basati principalmente su input costituiti da risorse naturali e processi essenzialmente basati su input sintetici o tecnologici.I primi – HEI (High External Input) – sono caratterizzati da un forte orien-tamento commerciale, dall’impiego di varietà vegetali a elevata resa produt-

figura 3.14

I tre grandi modelli agricoli secondo la FAONota: IPM (Integrated Pest Management), SRI (System of Rice Intensification), UPA (Urban and Peri‑urban Agriculture).Fonte: FAO/OECD, Food availability and natural resource use in a green economy context, 2011.

opzioni di gestione delle risorse naturali

maggiore resilienza ed efficenza

Minore impiego di energia, basse emissioni di gas serra

Alta diversità, connessione, coerenza

minore resilienza ed efficenza

Maggiore impiego di energia, alte emissioni di gas serra

Bassa diversità, connessione, coerenza

natu

ra

prod

otti

um

ani

intermediate external input

Acquacoltura e pesca di cattura

Agricoltura di conservazione, IPM, Sistemi di allevamento di precisione

Agricoltura organica

Sistemi di selvicoltura

Sistemi multi‑tropici marini

SRISistemi montani

Agricoltura biodinamica

Colture di pascoli e foraggio

Policolture tradizionali e perenni

Sistemi di agrosilvicolturaPermacultura UPA (Sistemi

Polydome)Sistemi di coltivazione

High External Input

Sistemi di allevamento High External Input

Sistemi basati sugli OGM

Sistemi misti di riso‑pesce

Sistemi misti di coltura‑allevamento

low external input high external input

perenni / integrati annuali

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145il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

tiva, dall’intensa meccanizzazione (che si accompagna a una bassa intensità di manodopera) e dalla dipendenza da fattori produttivi di natura sintetica (fer-tilizzanti e prodotti agrochimici). Si tratta di modelli di produzione finalizzati alla massimizzazione dell’output in condizioni di massima efficienza, grazie alle economie di scala conseguibili. Emblematici, di questo approccio, sono i sistemi che si basano sull’uso di organismi geneticamente modificati.All’altra estremità dello spettro si collocano i sistemi LEI (Low External Input). Qui il focus è sull’uso di varietà vegetali tradizionali, sull’impiego di tecniche a elevata intensità di lavoro e di conoscenza, sul modesto impiego di prodotti chimici.A un livello intermedio si collocano la maggior parte dei modelli agricoli, con diverse possibili gradazioni. Si tratta dei cosiddetti modelli IEI (Intermediate External Input), che prevedono l’uso di varietà vegetali modificate attraverso tecniche di incrocio e ibridazione tradizionali, la ricerca di un equilibrio soste-nibile tra meccanizzazione e manodopera, l’uso di tecniche a elevato contenuto di conoscenza, l’impiego di fertilizzanti e prodotti chimici.Il grado di sostenibilità dei diversi paradigmi è ovviamente diverso: i sistemi HEI, in particolare, sembrano capaci di garantire “migliori rese di coltivazione in termini di prodotto per superficie, ottenuti però grazie a un elevato consumo di risorse”. Ragione per la quale sono anche i più fragili, all’interno di uno sce-nario futuro di possibile scarsità. I sistemi LEI sono invece costretti a “pagare” il loro minor impatto sulle risorse in termini di rese di coltivazione, normal-mente inferiori.Si tratta, a tutta evidenza, di una rappresentazione estremamente semplificata della realtà, la cui adozione consente però di formulare alcune riflessioni di ampio respiro.Come si confrontano i diversi modelli (HEI, LEI, IEI) con le sfide del futuro? Come si evolveranno questi stessi paradigmi? In che misura saranno capaci di far fronte e sostenere una realtà di risorse sempre più scarse? Come sarà, in altre parole, il futuro dell’agricoltura?

3.7 la sostenibilità dei sistemi colturali del grano duro: il caso barilla

In linea di continuità con le tesi sostenute in questo capitolo, Barilla ha avviato alcune sperimentazioni volte a verificare la possibilità di intervenire in modo migliorativo sulla propria supply chain agricola.Vengono qui proposti i risultati più significativi ottenuti attraverso questo approccio.In vari studi è stato dimostrato come la fase agricola sia una delle più determinanti per l’impatto ambientale della catena produttiva della pasta.

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1. l’agricoltura sostenibile è basata su un numero elevato di pratiche agricole già ben conosciute. La conoscenza disponibile, fatta di nozioni scientifiche e prassi consolidate, si è cristallizzata all’interno di alcuni grandi principi pratici ispiratori di un’attività agricola realmente sostenibile. Vi è infatti una convergenza sempre più ampia in merito alle logiche cui le migliori pratiche agricole, declinate specificamente nelle diverse situazioni, dovreb-bero attenersi.Si tratta di:4 coltivare una più ampia gamma di specie vegetali partendo da un uso sistematico delle rotazioni colturali (come era prassi consolidata in pas-sato) sulle stesse superfici di terreno per arrivare a una corretta distribuzione sul territorio di alberi, arbusti, pascoli e colture, al fine di migliorare la resi-lienza del sistema; minimizzare gli interventi meccanici sul terreno, al fine di mantenere inalterati struttura e materia organica del suolo; migliorare e man-tenere una copertura protettiva organica sulla superficie del suolo, utilizzando specie a ciclo ridotto nei periodi intercolturali, colture di copertura o residui organici del raccolto, al fine di proteggere la superficie del terreno, conservare l’acqua e le sostanze nutritive, promuovere l’attività biologica del terreno e contribuire alla gestione integrata dei parassiti e delle erbe infestanti.Queste tecniche – associate all’uso di varietà vegetali a elevato rendimento (resistenti a stress biotici e abiotici e con buone qualità nutrizionali), all’im-piego ottimizzato di fertilizzanti organici e inorganici, alla gestione integrata di parassiti e malattie attraverso pratiche appropriate 5 (basate sulla biodiver-sità, la selezione e l’uso di pesticidi a basso impatto ambientale) e, quando necessario, all’efficiente gestione delle risorse idriche – consentono, a parità di macro modello di riferimento (HEI, LEI, IEI), di ottenere migliori prestazioni in termini di sostenibilità.All’interno del paragrafo 3.7 è proposto un breve resoconto della sperimenta-zione condotta da Barilla mediante il recupero di questi buoni principi guida presso alcune aziende agricole sue fornitrici di materie prime. I risultati sono, allo stato attuale, molto incoraggianti.

2. il “sapere” agronomico risulta poco diffuso. Grazie allo sviluppo della scienza, l’attività agricola è sempre più caratterizzata dall’articolazione e dalla vastità delle nozioni acquisite relativamente alle caratteristiche dell’ambiente naturale e alla fisiologia delle specie vegetali. Ciò si salda con l’esperienza pra-tica accumulata in secoli di attività.Vi è, in altre parole, un patrimonio di conoscenze disponibili di straordinario valore oggi solo parzialmente utilizzate. Ciò sembra accadere, in talune circo-

i sei punti strategici dell’agricoltura

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147il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

stanze, per assenza di efficaci processi di trasferimento del know how, in altre perché si ritiene che la tecnologia disponibile renda almeno in parte superflua una conoscenza approfondita delle dinamiche naturali.In sintesi, si potrebbe affermare che a prescindere dal modello adottato (HEI, LEI, IEI) il più grande problema con cui l’agricoltura si trova oggi a confron-tarsi a livello globale è l’esigenza di rafforzare la sua base di capitale umano, colmando il gap tra conoscenza disponibile e competenze individuali e di sistema. Su questo aspetto occorrerà programmare piani di investimento significativi, perché si tratta della premessa essenziale per ogni sviluppo nella direzione di una maggiore sostenibilità.

3. i modelli agricoli adatti agli specifici contesti: l’obiettivo è quello di ridurre gli input esterni. Poste queste premesse, a giudizio di chi scrive non vi sono, a priori, paradigmi agricoli buoni o cattivi. Esistono certamente modelli HEI che potranno rivelarsi insostenibili nei fatti e modelli LEI che non potranno essere implementati in tutti i contesti, ma accanto a questi si confi-gura un’ampia gamma di realtà, IEI adiacenti ai LEI, che possono venire gestite in modo adeguato, alla luce delle citate esigenze di sostenibilità.La scelta del modello dipende dalle condizioni di contesto. In contesti geo-grafici nei quali sono radicati sistemi HEI a elevato rendimento economico (si pensi al caso degli Stati Uniti, del Brasile e dell’Argentina), non ha senso pro-porre o ipotizzare scelte estreme di rottura e discontinuità, ma occorre inter-rogarsi sui limiti, in termini di sostenibilità, del modello, per portare le dovute correzioni, iniziando magari a ragionare in termini di portafoglio di modelli agricoli gestiti. Allo stesso modo, la via obbligata per l’Europa è quella di pra-ticare modelli IEI/LEI sempre più sofisticati, basati su efficaci meccanismi di applicazione delle conoscenze.In altri termini: ciò che conta è la linea di tendenza, cioè lo spostamento verso paradigmi IEI sempre più sostenibili e il bilanciamento tra modelli all’interno di macro regioni.Un ragionamento ancora diverso occorre sia fatto per i paesi in via di svi-luppo: dove ancora non sono attivi modelli agricoli sostenibili dal punto di vista economico e sociale bisogna non cadere nell’illusione della facile impor-tazione di paradigmi dall’esterno, ma adattare e rivisitare modelli che risul-tino adeguati alle specifiche caratteristiche della realtà locale.

4. biodiversità quale strumento per una corretta gestione del rischio. Come anticipato nel punto precedente, un approccio pragmatico e senza pre-

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giudizi alla scelta tra paradigmi agricoli, consente – a livello di policy making – di massimizzare la resilienza complessiva dei sistemi agricoli. Una corretta gestione della biodiversità e la coesistenza di modelli diversi, tutti egual-mente ottimizzati in chiave di sostenibilità, amplifica infatti le possibilità di risposta agli eventi avversi e la ricerca di specifici obiettivi di sistema, quando alternativi (massima qualità contro grandi volumi, per esempio).

5. gli investimenti in tecnologia per rendere l’agricoltura più capace di adattarsi ai cambiamenti. Secondo la lettura qui proposta, anche la tecnolo-gia assume una connotazione diversa da quella di questi tempi troppo spesso prevalente. Oggi, infatti, quando si parla di tecnologia in agricoltura, ci si riferisce spesso solo alla produttività e alle rese, che si pensa possano essere aumentate solo migliorando le singole varietà.Ma ancor più importante è la capacità di adattamento, che si esprime nella gestione in chiave integrata e armonica di un ampio spettro di strumenti e logiche gestionali: varietà vegetali resistenti allo stress, gestione di sistemi avanzati di irrigazione, approccio scientifico alla fertilizzazione ecc.

6. i fattori esogeni della sostenibilità in agricoltura: sprechi, inefficienze e biocarburanti. Non bisogna dimenticare che una larga parte dei problemi che affliggono il sistema agricolo e agroalimentare sono estranei alle scelte dei modelli e alla ricerca di ottimizzazione degli stessi. Vi sono infatti feno-meni di vasto impatto che influenzano il sistema degli obiettivi che l’agricol-tura si dà enfatizzando oltre misura il tema dei volumi di produzione, a sca-pito di un approccio più equilibrato: si tratta, innanzitutto, del food waste, che ha proporzioni realmente inquietanti e che rappresenta una delle sfide per la sostenibilità agricola futura (figure 3.15 e 3.16).Accanto al tema della perdita o dello spreco di quanto oggi l’agricoltura mon-diale produce, emerge una questione che appare centrale ai fini delle scelte di allocazione delle risorse in ambito agricolo (tanto finanziarie quanto fisiche): la produzione di biofuel.La crescente produzione di biocarburanti compete direttamente con l’utilizzo di materie prime nel settore alimentare e mangimistico. Tra le commodity agri-cole, la produzione di biofuel impatta, in particolare, sulla domanda di grano, mais, zucchero, oli di semi. Infatti, nel triennio 2008-2010 la produzione di bio-etanolo è stata realizzata principalmente con cereali grezzi e zucchero di canna, mentre quella di biodiesel da oli vegetali (il 90% della produzione di biodiesel è ottenuta mediante la lavorazione degli oli vegetali, mentre l’etanolo è prodotto per il 55% da cereali grezzi e per il 35% da zucchero di canna).6

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L’ampio utilizzo del mais per la produzione di etanolo negli Stati Uniti deter-mina importanti implicazioni su scala globale, rappresentando un terzo della produzione mondiale e due terzi dei volumi esportati. Si calcola che nel 2010 gli Stati Uniti abbiano impiegato il 38,4% della produzione totale di mais per generare etanolo. Tra il 2004 e il 2007, l’utilizzo del mais per con-sumo alimentare è cresciuto a un tasso dell’1,5% annuo, mentre la quota destinata alla produzione di etanolo, nello stesso periodo, ha registrato un aumento del 36%. Un discorso analogo vale per la produzione di biodiesel: in Europa vengono utilizzate complessivamente 8,6 milioni di tonnellate di oli vegetali, circa il 3% della produzione mondiale, per la produzione di que-sto carburante. L’uso industriale degli oli vegetali è cresciuto del 15% su base annua nel periodo 2004-2008: un trend ampiamente superiore rispetto al

figura 3.15

La quantità pro capite di cibo perso o sprecato in differenti regioni del pianeta (kg/anno)Fonte: FAO, “Global food losses and food waste”, 2011.

5Europa Nord America

e OceaniaAsia

industrializzataAfrica

subsaharianaNord Africa, Asia centro‑occidentale

Asia del Sud e del Sudest

America Latina

50

100

150

200

250

300

350

Consumatore Produzione/distribuzione

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150 eating planet

tasso di crescita della produzione per uso alimentare dello stesso bene, pari al 4,2% nello stesso periodo.Al di là dei numeri relativi alla crescente quota di alcune produzioni agricole assorbita dal settore dei biocarburanti, il problema delle produzioni alternative di energia non è circoscrivibile esclusivamente alla quantità di raccolto impie-gata nella produzione di combustibile, ma deve essere allargato anche al tema della quantità di terre che possono essere destinate o riconvertite alla produ-zione per l’industria del biofuel, in una logica di trade off nell’utilizzo del suolo.Tanto per il tema “waste” quanto per quello “biofuel”, l’inadeguata gestione del problema, da un lato, le scelte discutibili nel campo della politica energe-tica, dall’altro, si traducono in pressioni fortissime affinché il sistema agricolo supplisca a carenze di cui non dovrebbe farsi carico.

figura 3.16

La quota di produzione cerealicola persa o sprecata lungo la filiera produzione‑consumo, in differenti regioni del pianeta (% della produzione iniziale)Fonte: FAO, “Global food losses and food waste”, 2011.

10%

5%

20%

15%

30%

25%

40%

35%

Consumi Prassi industrialiDistribuzione Post mietitura Agricoltura

0%Europa Nord America

e OceaniaAsia

industrializzataAfrica

subsaharianaNord Africa, Asia centro‑occidentale

Asia del Sud e del Sudest

America Latina

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camera singolaDal punto di vista degli impatti sull’ambiente, la zootecnia rappresenta il comparto più critico dell’intero sistema agroalimentare. Tra i tanti aspetti controversi vi sono anche le condizioni in cui gli animali vengono allevati. Un allevamento biologico di maiali propone un’immagine assai lontana da quella dei grandi impianti convenzionali: una serie di ricoveri più piccoli, ognuno dotato di uno spazio esterno di pertinenza.

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152 eating planet

Alla luce di questa osservazione Barilla ha promosso la realizzazione di uno studio volto ad analizzare e comparare diversi modelli agricoli per la colti-vazione del grano duro, con l’obiettivo di identificare sistemi agricoli più “sostenibili” da testare nei diversi territori di produzione nazionali, innal-zando sia la qualità sia la quantità di cereale prodotta.Dal punto di vista metodologico sono state prese in considerazioni 4 macro aree: la pianura lombardo-veneta, la regione Emilia-Romagna, l’Italia cen-trale (Toscana, Marche e Umbria) e l’Italia meridionale (Puglia, Basilicata e Sicilia) (figura 3.17). Per tutte queste macro aree sono stati individuati degli avvicendamenti colturali standard rappresentativi delle rotazioni nelle quali è coltivato il frumento duro in Italia.Gli studi agronomici ed economici sono stati supportati dalle valutazioni ambientali condotte utilizzando la metodologia di valutazione del ciclo di vita (LCA, Life Cycle Assessment) sintetizzate attraverso l’utilizzo di tre indi-catori: impronta dell’acqua (Water Footprint), impronta del carbonio (Car-bon Footprint) e impronta ecologica (Ecological Footprint).7

Lo studio ha evidenziato come, in molti casi, i coltivatori italiani possano ridurre l’emissione di CO2 (fino al 40-50%, cioè 300 kg di CO2 eq per ton-nellata di grano duro nel caso dell’Italia centrale e meridionale) e gli altri impatti ambientali delle proprie pratiche agricole senza compromettere la qualità e migliorando la redditività e la qualità dei prodotti. A titolo esem-plificativo, nella figura 3.18 (A, B, C) sono riportati alcuni risultati dello stu-dio riguardanti l’impronta del carbonio,8 al reddito lordo generato 9 e all’effi-cienza rispetto all’utilizzazione dell’azoto.10

Dallo studio effettuato è emerso come l’adozione delle tradizionali e corrette rotazioni culturali riduca drasticamente l’impatto ambientale e permetta maggiori guadagni per l’agricoltore: è più sostenibile quindi non solo sotto l’aspetto ambientale ma anche sotto quello economico. Lo studio multidisci-plinare ha inoltre sottolineato come le caratteristiche di una specie, in que-sto caso il frumento duro, siano fortemente legate al contesto agricolo nel quale è coltivata. Al suo variare non solo cambiano sostanzialmente tutti i parametri sulla “sostenibilità”, ma anche la qualità e la quantità finale della materia prodotta.Per consolidare questi risultati è stato elaborato un Decalogo Barilla per una coltivazione sostenibile del grano duro e si è avviato un percorso di studio del tutto analogo su altri cereali (grano tenero e segale) e in altre aree geografi-che (Francia, Germania, Grecia, Turchia, Svezia, Canada).Lo studio ha dimostrato che è possibile valutare in concreto la “sostenibi-lità” di una coltura o di un sistema colturale attraverso un’analisi multidi-sciplinare, combinando diversi indicatori di tipo ambientale, agronomico ed economico.

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153il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

figura 3.17

Le rotazioni prese in considerazione nelle quattro macro areeFonte: “Sostenibilità dei sistemi colturali con frumento duro”, Filiera Grano Duro News 2011.

pianura lombardo-veneta

Maidicolo mais frumento duro mais mais

Industriale soia frumento duro colza mais

emilia-romagna

Cerealicolo mais frumento duro sorgo frumento tenero

Industriale soia frumento duro mais frumento tenero

Orticolo pomodoro frumento duro mais frumento tenero

italia meridionale e insulare

Cerealicolo frumento duro frumento duro frumento duro frumento duro

Foraggio foraggio frumento duro foraggio frumento duro

Proteico cece frumento duro cece frumento duro

Industriale pomodoro frumento duro frumento duro frumento duro

italia centrale

Cerealicolo frumento duro frumento duro sorgo frumento duro

Proteico pisello proteico frumento duro pisello proteico frumento duro

Foraggio erba medica erba medica erba medica frumento duro

Industriale girasole frumento duro colza frumento duro

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154 eating planet

un modello di analisi, simulazioni e impatti. Nel tentativo di interpretare le tipologie dei modelli agricoli attuali e cercare di proporre alternative per il futuro, il BCFN ha costruito – in collaborazione con il Millennium Institute – un modello di simulazione per lo studio dell’impatto di variazioni nelle pratiche agricole correnti sulla quantità di cibo disponibile a livello mondiale. Le risul-tanze di tale modello sono alle base di molte delle riflessioni fin qui proposte.Obiettivo dell’analisi è comprendere come shock esterni di ampio rilievo, qui sintetizzati in un incremento estremamente significativo nel prezzo del petrolio, possano impattare sul sistema agricolo mondiale, tenuto conto di diversi scenari di evoluzione, espressi in termini di modelli agricoli adottati.In particolare sono stati individuati e stilizzati due modelli principali:• un modello Low External Input (LEI), che è stato caratterizzato per il basso apporto energetico e il forte impiego di lavoro;11

• un modello High External Input (HEI), che è stato caratterizzato per l’ele-vato consumo di energia e di fertilizzanti inorganici.12

I due modelli rappresentati differiscono soprattutto per le diverse caratteristi-che di sostenibilità nel tempo. Considerando un arco temporale di ottant’anni (1970-2050) e valutando l’impatto sulla quantità pro capite di kcal prodotte annualmente, si possono formulare ipotesi su quali siano le scelte di politica produttiva più opportune.Intanto vale la pena di chiarire un punto: dalle simulazioni effettuate, la quan-tità di cibo prodotta ogni anno è sufficiente per nutrire la popolazione mondiale, anche in prospettiva futura, tenuto conto di un tasso di crescita della produtti-vità in linea con l’attuale e delle proiezioni di sviluppo demografico formulate da FAO e OECD.13 Una porzione significativa dei problemi che il sistema agro-alimentare si trova ad affrontare – lo abbiamo anticipato – dipende da criticità legate alla distribuzione, alla destinazione d’uso e allo spreco del cibo prodotto.Il modello, in prima battuta, simula tre scenari differenti, assumendo una disponibilità abbondante di energia:• scenario Business As Usual (BAU), le pratiche ad alto livello di input esterno andranno a coprire il 60% dell’area coltivata globale nel 2050;• scenario Strong HEI Growth, le pratiche ad alto contenuto di input esterno si diffonderanno a un ritmo accelerato e andranno a coprire il 90% del totale dell’area coltivata nel 2050;• scenario Stopped HEI Growth, si assisterà alla scarsa diffusione di modelli ad alto uso di input esterni che manterranno la quota attuale di terra coltivata al 45% nel 2050.

È stato inoltre simulato un rapido aumento del prezzo del petrolio tra il 2025 e il 2030 (un contesto definibile Very High Energy Price): i prezzi del petro-lio cresceranno rapidamente raggiungendo nel 2030 i 200 dollari al barile

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155il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

carbon footprint (t co2/t granella){ Δ rotazioni/cerealicolo * = −0,31 t CO2 eq/t }

reddito lordo (€ / t){ Δ rotazioni/cerealicolo * = + 100 € }

figura 3.18

Effetti dei sistemi colturali sulla Carbon Footprint a , sul reddito lordo b , sull’efficienza dell’utilizzo dell’azoto cFonte: “Sostenibilità dei sistemi colturali con frumento duro”, Filiera Grano Duro News 2011.

efficienza dell’utilizzo dell’azoto (kg granella di grano duro/kg azoto){ Δ rotazioni/cerealicolo * = 100% }

c

Italia centrale

Pianura lombardo‑veneta

Emilia‑Romagna

Italia meridionale e insulare

* Differenza fra la media dei valori registrati nelle rotazioni e i valori registrati nel sistema cerealicolo.

** Rotazione standard delle colture normalmente adottata in ogni area.

a

Cerealicolo **

Foraggio

Industriale

Proteico

Cerealicolo **

Industriale

Orticolo industriale

Industriale

Maidicolo **

Monocoltura cerealicola **

Foraggio

Orticolo industriale

Proteico

0 0,1 0,2 0,3 0,4 0,5 0,6 0,7 0,8

b

Foraggio

Industriale

Proteico

Cerealicolo **

Industriale

Orticolo industriale

Industriale

Maidicolo **

Foraggio

Industriale

Proteico

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180

Cerealicolo **

Cerealicolo **

Foraggio

Industriale

Proteico

Cerealicolo **

Industriale

Orticolo industriale

Industriale

Maidicolo **

Foraggio

Orticolo industriale

Proteico

0 10 20 30 40 50 60 70

Cerealicolo **

Monocoltura cerealicola **

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156 eating planet

per poi attestarsi intorno ai 280 dollari al barile nel 2050. A causa del rapido aumento dei prezzi del petrolio, i prezzi dei fertilizzanti inorganici cresceranno in maniera consistente riducendone l’utilizzo: ne potranno così usufruire solo le coltivazioni ad alto valore aggiunto e in generale solo il 50% dell’area coltivata globale. Anche in questo caso, sono stati stimati gli effetti sul numero di kcal pro capite annue per ciascuno dei tre scenari base (BAU, HEI, LEI).Quello che è stato costruito è dunque un modello di simulazione che cerca di comprendere quale possa essere l’esito di uno shock globale a seconda della con-figurazione del sistema agricolo globale. La variabile discriminante è l’utilizzo di energia come fattore di produzione primario.Se si ipotizza, in prima battuta, una disponibilità di energia costante lungo il periodo di ottant’anni osservato, lo scenario di produzione a più alta resa – in regime di sostenibilità – è quello Strong HEI Growth, seguito dallo scenario BAU e infine dallo scenario Stopped HEI Growth. Nel mondo iper semplificato in cui l’energia è il fattore di produzione più importante e non si considerano tutti gli altri elementi che compongono il profilo di sostenibilità, nella certezza di non subire shock energetici, una politica pro HEI porterebbe a generare un quantitativo di calorie complessivo ben superiore a quello richiesto. È interes-sante notare che anche lo scenario Stopped HEI Growth sembra essere in ogni caso in grado di fornire, in proiezione, un apporto calorico complessivamente più che adeguato. Questo indica che non sembra esserci un problema di dispo-nibilità di calorie complessive. Il modello non tiene però conto delle disugua-glianze tra le diverse aree geografiche, le quali costituiscono il vero problema.L’ipotesi di una disponibilità costante di energia nel tempo è però irrealistica. Le fonti fossili sono in diminuzione e le energie rinnovabili non sono ancora una valida alternativa. È quindi verosimile ipotizzare che possa verificarsi in un punto nel tempo uno shock nell’offerta energetica globale che metterebbe a dura prova i sistemi a elevato consumo energetico, come i modelli HEI.Questi modelli diventerebbero insostenibili economicamente e poco redditizi, e si verificherebbero gravi problemi legati al passaggio a modelli più efficienti dal punto di vista dell’utilizzo di energia. I costi del cambiamento produttivo si manifesteranno in termini di minor output disponibile e di tempo impiegato nell’acquisizione di know how necessario per la transizione. La figura 3.19 mostra gli effetti stimati di uno shock energetico nell’anno 2050 sull’output globale.I risultati della simulazione mostrano come, in caso di riduzioni nella dispo-nibilità energetica a partire dal 2025, un approccio a basso contenuto di input esterni porterebbe a un risultato Worse-Before-Better (WBB), ovvero una bassa produttività nel breve periodo con un ritorno a più alti livelli di resa nel medio-lungo termine.Nel caso non vi sia riduzione della quantità di energia disponibile, i risultati sono fortemente influenzati dalla quota di cereali destinati all’alimentazione

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157il futuro dell’agricoltura | cibo per una crescita sostenibile

animale e alla produzione di biofuel. Comunque una modifica in queste ipotesi non cambierebbe i risultati in termini qualitativi lasciando invariato il ranking degli scenari dal punto di vista di kcal prodotte e resa.Nel caso di una crisi energetica, i risultati dipendono fortemente dalla quantità di tempo impiegata dai sistemi nel traslare da un’agricoltura HEI a una LEI. Nel caso di un tempo breve, i risultati di Strong HEI Growth-Energy Shock e BAU-Energy Shock sono meno negativi.L’esempio riportato evidenzia la fragilità del sistema agricolo globale. Fragilità con la quale occorrerà misurarsi positivamente attraverso la promozione di un mix bilanciato di modelli agricoli, costruiti per far fronte a fenomeni di scarsità relativa. Ovviamente, la realtà è molto più complessa di come è stata volutamente rappresentata a scopo divulgativo nella simulazione qui presentata. Numerosi sono i fattori in gioco, oltre agli input energetici: qualità del suolo, disponibilità di acqua, adattamento ai fenomeni atmosferici ecc. Il risultato presentato non è però affatto banale, perché illustra uno dei temi più rilevanti in prospettiva futura, quando la ricerca di soluzioni basate su approcci a contenuto consumo

figura 3.19

La produzione agricola per la nutrizione umana (cal pro capite giornaliere) e la simulazione di shock energeticiFonte:BCFN su dati FAO, 2011.

Strong HEI Growth‑Energy ShockBAU‑Energy Shock

Dati Stopped HEI Growth‑Energy Shock

Il fabbisogno medio di calorie per il requisito di energia (kcal/persona/giorno) per uomini e donne dai 18 ai 60 anni raccomandato dalla FAO

kcal/persona/giorno

min. FAO

3.500

2.500

3.250

2.250

3.000

2.000

2.750

1970

2005

1975

2010

1980

2015

1985

2020

1990

2025

2040

1995

2030

2045

2000

2035

2050

L’HEI è fragile e non resiste agli shock energetici

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158 eating planet

energetico e a elevato contenuto di conoscenza (secondo la logica di bilancia-mento già descritta) diventerà uno degli aspetti decisivi della sostenibilità.

water economy: l’emergenza acqua tra disponibilità e interessi economici

La Water Economy è la scienza che studia il modo in cui le risorse idriche, per loro natura limitate, debbano essere gestite al fine di soddisfare i crescenti bisogni dell’uomo senza creare disuguaglianze sociali e impatti ambientali insostenibili.Che l’acqua sia un valore ce ne accorgiamo solo quando scarseggia. Finora il problema poteva sembrare circoscritto ai paesi più sfortunati, ma le cose potreb-bero cambiare perché l’acqua “di qualità” – ossia dolce e non inquinata – rap-presenta solo una minima percentuale delle nostre riserve. E noi ne usiamo sempre di più: sia perché aumenta la popolazione della Terra, sia per il maggiore benessere raggiunto da molti paesi che spinge le persone a consumare (e spre-care) più acqua. Un consumo che va considerato non solo in termini “reali” (calcolando le quantità che si usano per la cura di se stessi, per la cucina o per la pulizia della casa), ma anche “virtuali” (in termini di impronta idrica), sti-mando cioè tutta l’acqua che è stata utilizzata lungo l’intero ciclo di vita di un qualunque prodotto o servizio acquistato.Basti pensare che se si modifica il proprio stile alimentare – per esempio pas-sando a una dieta più ricca di frutta, verdura e cereali, limitando la quantità di proteine animali – è possibile ridurre anche in modo significativo i consumi di acqua “virtuale”.Quindi, se da un lato la domanda cresce e dall’altro le risorse si riducono – anche per colpa dell’inquinamento e del cambiamento climatico – è indubbio che il valore economico dell’acqua crescerà e le sperequazioni, che già oggi ci sono tra chi ha acqua e chi ne ha molta meno, potranno portare nuovi attriti. Sappiamo bene quanti interessi e a quale drammatica litigiosità porta il controllo dei giaci-menti petroliferi: i conflitti per l’acqua potrebbero essere ancora più gravi. Anche perché, in definitiva, senza petrolio si può sopravvivere, senza acqua no.Occorre pertanto uno sforzo congiunto per adottare un uso più razionale dell’acqua, specialmente in agricoltura (che rappresenta il settore “idrovoro” per eccellenza) e a livello personale (per esempio con diete water saving). Serve anche formulare una nuova normativa che assicuri realmente il “diritto all’ac-qua” e definisca i confini della privatizzazione che, se da un lato potrebbe portare a vantaggi in termini di maggiore efficienza nella gestione delle fonti, dall’altro va attentamente controllata per evitare aumenti indebiti dei prezzi e minore accessibilità da parte delle fasce più vulnerabili della popolazione.

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paesaggi agrari: californiaIn una azienda agricola di Valley Center (California) è stato attivato un programma di formazione sulle tecniche dell’agricoltura biologica per il personale militare che rientra dai teatri di conflitto afgano e iracheno. Un’iniziativa pensata non solo per il reinserimento ma per far fronte, anche in questo contesto, al progressivo invecchiamento della popolazione attiva nel settore agricolo.

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160 eating planet

3.8 la disponibilità dell’acqua: dall’abbondanza alla scarsità

Per comprendere lo scenario attuale delle risorse idriche si devono considerare la disponibilità dell’acqua e i suoi impieghi, attuali e prospettici, in campo agri-colo, industriale e domestico. Occorre quindi tenere conto dei principali feno-meni globali che incideranno in modo significativo sull’aumento del consumo d’acqua (incremento demografico, aumento del benessere della popolazione con conseguente modifica degli stili di vita e delle abitudini alimentari, urba-nizzazione ed espansione delle attività economiche, produzione di biocarbu-ranti) e sulla riduzione delle riserve idriche disponibili (cambiamenti climatici e inquinamento in particolare) (figura 3.20).

quanta acqua abbiamo? Complessivamente, il nostro pianeta dispone di circa 1,4 miliardi di chilometri cubi d’acqua. Si stima però che solo poco meno di 45.000 chilometri cubi d’acqua (pari allo 0,003% del totale) siano teorica-mente fruibili e solo 9-14.000 (pari a circa lo 0,001% del totale) siano effettiva-mente disponibili per l’utilizzo da parte dell’uomo, poiché di sufficiente qualità e accessibili a costi accettabili.Analizzando la localizzazione dell’acqua, si scopre come le risorse di acqua dolce siano distribuite in modo disomogeneo tra le regioni del pianeta: il 64,4% delle risorse idriche mondiali è localizzato in soli 13 paesi. Un numero crescente di paesi, invece, si trova in una situazione di grave penuria d’acqua, con una disponibilità pro capite inferiore ai 1.000 metri cubi l’anno.

come utilizziamo l’acqua: agricoltura, industria e famiglie. L’alloca-zione delle risorse idriche è sbilanciata verso il settore agricolo, con il 70% dei consumi di acqua dolce, mentre il 22% riguarda l’industria e il restante 8% è utilizzato per usi domestici. Il peso dell’agricoltura è ancor più elevato nei paesi a reddito medio/basso (in alcuni paesi in via di sviluppo raggiunge il 95%), mentre in quelli sviluppati il peso dell’industria sui consumi totali è largamente predominante (59%).Sul fronte dell’utilizzo domestico di acqua, occorre sottolineare come più di una persona su sei nel mondo non raggiunga gli standard minimi, indicati dall’ONU in 20-50 litri di acqua dolce giornalieri pro capite, necessari ad assi-curare i bisogni primari legati all’alimentazione e all’igiene.

la scarsità d’acqua oggi e in futuro. L’attuale domanda d’acqua, già molto elevata, crescerà costantemente in futuro, provocando una situazione di progressiva scarsità, soprattutto in alcune aree del pianeta. Dal punto di vista ambientale, l’acqua è considerata “scarsa” quando più del 75% delle risorse fluviali e sotterranee vengono prelevate per essere impiegate nell’agricoltura,

Page 179: Eating Planet 2012

161water economy | cibo per una crescita sostenibile

figura 3.20

Lo scenario attuale e futuro delle risorse idricheFonte: BCFN, 2011.

nell’industria e per uso domestico: in questo caso lo sfruttamento si sta avvici-nando al limite di sostenibilità (o lo ha già oltrepassato).Lo scenario previsto per il 2025 della scarsità di acqua appare drammatica-mente peggiore rispetto all’attuale. Le aree caratterizzate da un elevato tasso di prelievo delle risorse disponibili (superiori al 20%) aumenteranno sostanzial-mente, allargandosi all’intero territorio degli Stati Uniti, dell’Europa continen-tale e del Sud dell’Asia, e peggiorando in termini di valore percentuale in ampie aree dell’Africa e della penisola indiana.

perché aumenta la domanda d’acqua. Tra le cause che influiranno sulla crescita della domanda di acqua a livello mondiale, un ruolo particolarmente significativo è giocato dalla dinamica demografica e dalla crescente urbaniz-zazione. Le stime indicano che la popolazione globale aumenterà fino a oltre 8 miliardi di persone nel 2030 e raggiungerà i 9 miliardi nel 2050. La popola-zione mondiale utilizza già il 54% delle risorse idriche di acqua dolce contenute in fiumi, laghi e falde acquifere accessibili. Al crescere della popolazione, si stima

Cambiamento climatico

Cause dell’aumento della domanda d’acqua

Oggi Domani

Inquinamento

BiocarburantiCambiamento abitudini alimentari

Processo di urbanizzazione

Aumento del benessere

Sviluppo socio economico

Incremento demografico

Page 180: Eating Planet 2012

162 eating planet

che entro il 2025 i prelievi di acqua necessari a soddisfare i bisogni aumente-ranno del 50% nei paesi in via di sviluppo e del 18% in quelli sviluppati (figura 3.21). Parallelamente si registra la forte accelerazione del processo di urbaniz-zazione. Nel 2007, per la prima volta nella storia, la popolazione urbana ha

figura 3.21

L’ammontare di acqua prelevata rispetto alle risorse disponibili. Due scenari a confronto: 1995 e 2025Fonte: WBCSD, Business in the World of Water. WBCSD Water Scenarios 2025, 2006.

1995

2025

Oltre il 40% Dal 40% al 20% Dal 20% al 10% Meno del 10%

Page 181: Eating Planet 2012

163water economy | cibo per una crescita sostenibile

superato quella rurale, con conseguenze dirette in termini di infrastrutture per l’accesso all’acqua. Aumentano, infatti, gli investimenti necessari a garantire la distribuzione dell’acqua a un numero crescente di cittadini e per il connesso trat-tamento e la depurazione delle acque derivanti dagli usi domestici e industriali.L’aumento della popolazione mondiale e la maggiore capacità di spesa della popolazione dei paesi in via di sviluppo si accompagnano al cambiamento delle abitudini alimentari e alla crescita delle calorie consumate (basti pensare che negli ultimi vent’anni il consumo di carne in Cina è più che raddoppiato e che entro il 2030 raddoppierà nuovamente). Questo determina un incremento delle risorse idriche prelevate, considerato che, come vedremo tra poco, la produzione di carne, latte, zucchero e oli vegetali richiede mediamente l’utilizzo di una maggiore quantità d’acqua rispetto alla produzione di cereali.Tra le cause della crescita della domanda futura di acqua incide notevolmente anche lo sviluppo economico. Il miglioramento delle condizioni sociali e di vita della popolazione che vive nei paesi emergenti, nonché l’espansione delle attività economiche – a partire da quelle industriali fino ai servizi e al turi-smo – comportano infatti pressioni crescenti sulle risorse idriche disponibili e sull’ecosistema naturale. È soprattutto la crescente domanda globale di ener-gia a esercitare forti pressioni sulla domanda di risorse idriche. In particolare, la produzione di biocarburanti è aumentata in modo esponenziale negli ultimi anni (la produzione di etanolo dal 2000 a oggi è triplicata) principalmente a causa dell’instabilità del prezzo del petrolio e del supporto delle politiche ambientali internazionali e nazionali. I biocarburanti esercitano una forte pres-sione sull’equilibrio del sistema idrico e sulla biodiversità di alcuni paesi a causa della grande quantità d’acqua (e di fertilizzanti) necessaria per la coltivazione di mais, della canna da zucchero e delle altre colture dalle quali si ricavano.

perché si riduce la disponibilità dell’acqua. Tra le principali cause della riduzione della disponibilità dell’acqua vi sono i problemi generati dall’inqui-namento, che minaccia la qualità delle risorse idriche. In particolare, la cre-scita economica e l’affacciarsi sui mercati di ampie fasce di popolazione pre-cedentemente escluse dal consumo di massa generano problematiche molto serie soprattutto sul versante della gestione dei rifiuti. Alcuni dati chiariscono in modo eclatante le dimensioni del problema: si stima che ogni giorno due milioni di tonnellate di rifiuti generati dalle attività dell’uomo siano river-sati nei corsi d’acqua. Il contributo del settore alimentare alla produzione di sostanze di origine organica inquinanti per l’acqua è del 40% nei paesi svilup-pati e del 54% in quelli in via di sviluppo. In questi ultimi, il 70% dei rifiuti industriali viene scaricato nei corsi d’acqua senza subire alcun trattamento di depurazione, inquinando parte delle risorse idriche di acqua dolce disponibili.Un altro importante fattore che inciderà sulla disponibilità futura delle risorse

Page 182: Eating Planet 2012

164 eating planet

idriche è il cambiamento climatico. Vi è ormai un largo consenso in merito ai suoi effetti sull’acqua e sulla sua disponibilità: una forte contrazione della superficie terrestre e marittima coperta dai ghiacci, un consistente aumento del livello medio del mare, un graduale spostamento verso i poli delle tempeste non tropicali, con conseguenti effetti significativi su venti, precipitazioni e tempera-ture e un significativo incremento della frequenza di fenomeni “estremi”, quali intense precipitazioni o forti ondate di calore.Si delinea dunque uno scenario futuro particolarmente difficile, che richiede fin d’ora scelte avvedute e coraggiose, in grado di incidere sulle tendenze in atto. Appare anche evidente la necessità di una riflessione approfondita fina-lizzata all’individuazione di un modello di crescita realmente sostenibile, che garantisca l’accesso al cibo a una popolazione mondiale in crescita, a fronte di risorse idriche sempre più scarse.

3.9 la realtà e le prospettive del diritto di accesso all’acqua

Il “diritto all’acqua” – riconosciuto per la prima volta nella storia solo recente-mente attraverso la risoluzione ONU del 29 luglio 2010 come diritto umano universale e fondamentale – si sostanzia nel riconoscimento a ciascun indivi-duo, senza alcuna discriminazione, della possibilità di accedere – fisicamente ed economicamente – a una quantità d’acqua sufficiente e sicura. Rendere l’acqua potabile accessibile in quantità e qualità sufficienti a soddisfare i bisogni pri-mari di una persona è il target numero 10 degli Obiettivi di sviluppo del mil-lennio (Millennium Development Goals, MDG) che si propone di “dimezzare rispetto al 1990 ed entro il 2015 la percentuale di popolazione senza accesso sostenibile all’acqua potabile e alle strutture igienico-sanitarie di base”.Nel 2008 le persone senza accesso a risorse idriche sufficienti e adeguate erano circa 884 milioni – di queste l’84% viveva in aree rurali – mentre quelle senza la possibilità di beneficiare di adeguati sistemi igienico-sanitari erano 2,6 miliardi.Le analisi svolte dall’OMS/UNICEF circa i progressi conseguiti per il raggiun-gimento dell’accessibilità dell’acqua potabile (target 10) evidenziano come la situazione attuale sia soltanto in parte in linea con l’obiettivo prefissato. Mante-nendo infatti i trend attuali, nel 2015 la percentuale di popolazione con accesso idrico presso le proprie abitazioni sarà superiore all’obiettivo fissato del 90%, riducendo così a 672 milioni le persone che ne saranno ancora sprovviste. Non sarà invece possibile raggiungere l’obiettivo di dimezzamento delle persone senza accesso a strutture igienico-sanitarie adeguate, perché il risultato sarebbe inferiore di ben 13 punti percentuali rispetto a quanto previsto. Si stima infatti che nel 2015 circa 2,7 miliardi di persone non avranno accesso a strutture sani-tarie di base.

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165water economy | cibo per una crescita sostenibile

Le azioni volte a migliorare l’approvvigionamento idrico e il sistema igienico-sanitario di una comunità non devono essere adottate in modo isolato, ma vanno iscritte in una strategia di sviluppo coerente e intersettoriale, che com-prenda le infrastrutture, l’istruzione, e le capacità di governance. Infatti, realiz-zare un funzionamento delle strutture efficace e sostenibile nel tempo richiede attività di manutenzione periodica, nonché educazione e creazione di figure professionali adeguate. Inoltre, la diffusione di informazioni sulle modalità di raccolta/conservazione della risorsa idrica presso le abitazioni rappresenta un fattore critico per il mantenimento delle sue qualità organolettiche e per pre-venire la creazione di potenziali habitat per parassiti portatori di malattie. Rag-giungere gli obiettivi che le Nazioni Unite si sono poste richiede un coinvolgi-mento congiunto di tutti gli attori, su scala locale e internazionale, siano essi enti pubblici o privati.

3.10 le scelte e i comportamenti per un consumo sostenibile dell’acqua

L’impronta idrica di un prodotto (una commodity, un bene o un servizio), ovvero il suo contenuto di acqua virtuale, è costituita dal volume d’acqua dolce consumata per produrlo, sommando tutte le fasi del ciclo di vita. Il termine “virtuale” si riferisce al fatto che la grande maggioranza di quest’acqua non è contenuta fisicamente nel prodotto, ma è relativa ai consumi diretti e indiretti necessari per la sua produzione lungo tutto il ciclo di vita.Il confronto tra l’impronta idrica (espressa in metri cubi per tonnellata) di alcuni prodotti agricoli in alcuni paesi del mondo esprime differenze notevoli sia confrontando i diversi prodotti tra loro, sia prendendo in considerazione il luogo di produzione. In particolare, i prodotti dell’allevamento (carne, uova, latte e derivati) presentano un’impronta idrica maggiore rispetto a quelli col-tivati, poiché gli animali da allevamento consumano, in alcuni casi per diversi anni prima di essere trasformati in prodotti alimentari, una grande quantità di prodotti coltivati come nutrimento. Inoltre, l’impronta idrica di uno stesso pro-dotto può variare notevolmente da luogo a luogo, dipendendo da fattori quali il clima, le tecniche agricole adottate, la resa dei raccolti ecc.La figura 3.22 riporta i valori di acqua virtuale relativi ad alcune tipologie di prodotti in quantità facilmente riscontrabili nella realtà quotidiana dei consu-matori e a prodotti finiti di tipo industriale. L’impronta idrica di alcuni di essi può apparire sorprendente.Le nostre abitudini di consumo e i nostri comportamenti, in particolare quelli alimentari, implicano quindi un maggiore o minore consumo di risorse idriche.Infatti un individuo utilizza in media dai due ai cinque litri d’acqua al giorno per bere, mentre il consumo d’acqua virtuale giornaliero per alimentarsi varia

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166 eating planet

figura 3.22

L’impronta idrica media globale di alcune tipologie di prodotti di uso comuneFonte: BCFN, 2011.

Un foglio A4 (80 g/m2)

10

40

135

500

2.400

13

50

185

860

8.000

25

70

250

2.000

Una fetta di pane (30 g)

Un uovo (40 g)

Formaggio (100 g)

Un hamburger (150 g)

Un pomodoro (70 g)

Un’arancia (100 g)

Un sacchetto di patatine fritte (200 g)

Cioccolato (50 g)

Un paio di scarpe di cuoio

Una patata (100 g)

Una mela (100 g)

Una fetta di torta (80 g)

T‑shirt (250 g)

Page 185: Eating Planet 2012

167water economy | cibo per una crescita sostenibile

da circa 1.500-2.600 litri nel caso di una dieta vegetariana a circa 4.000-5.400 in caso di una ricca di carne.Come si è visto in modo più approfondito nel paragrafo 3.1, il Barilla Center for Food & Nutrition ha proposto la piramide alimentare (strumento che con-sente di comunicare in modo sintetico ed efficace i principi della corretta ali-mentazione, al fine di educare la popolazione verso comportamenti alimentari più equilibrati) in una doppia versione, posizionando i cibi non solo seguendo quanto da tempo la scienza nutrizionale suggerisce per la salute, ma anche rispetto al loro impatto sull’ambiente.Come si è visto si è ottenuta così una “doppia piramide”: la classica piramide alimentare e una piramide ambientale. Quest’ultima è rappresentata capo-volta: gli alimenti a maggior impatto ambientale sono in alto e quelli a ridotto impatto in basso. La figura 3.23 mostra la piramide alimentare affiancata alla piramide ambientale dell’acqua, in cui le diverse categorie alimentari sono disposte in modo scalare sulla base dell’impatto ambientale dal punto di vista dell’impronta idrica.Si osserva chiaramente come la maggior parte degli alimenti per i quali è consi-gliato un consumo più frequente sono anche quelli che presentano un’impronta idrica minore. Viceversa, la maggior parte degli alimenti per i quali viene racco-mandato un consumo meno frequente sono anche quelli che hanno un maggior impatto sull’ambiente anche dal punto di vista del consumo di risorse idriche.

figura 3.23

L’impronta idrica della piramide alimentare (litri di acqua per kg o litro di alimento)Fonte: BCFN, 2011.

legenda

valore medio

piramide alimentare

basso

alto

DolciCarne rossa

Biscotti, Carne bianca

Formaggi, Pesce, Uova

Latte, Yogurt

Olio d’oliva

Pane, PastaRiso, Patate,

LegumiFrutta

Ortaggi

10 k

5 k

4 k

2 k

1,5 k

1 k

0,5 k

0

Carne bovina15.500Noci e nocciole9.065

Olio di girasole6.795co

nsum

o su

gger

ito

0 4 k3 k2 k1 k 5 k 6 k / 15 k 20 k

Formaggio5.000Olio d’oliva4.900

Carne suina4.800Legumi4.055

Carne avicola3.900Riso3.400

Uova3.300Dolci3.140

Biscotti1.800Pasta1.693

Cereali1.645Zucchero1.500

Pane1.300Latte1.000Yogurt1.000Frutta970

Patate900Verdura: 325

Page 186: Eating Planet 2012

168 eating planet

Analizzando l’impronta idrica delle bevande più diffuse e bevute quotidia-namente, è possibile costruire anche un’altra piramide, che riporta i consumi idrici necessari per la preparazione di ciascuna di esse (figura 3.24).Le abitudini alimentari quindi comportano, oltre a effetti di natura nutrizio-nale, anche ricadute ambientali di notevole entità. Per renderci conto delle dif-ferenze sono stati elaborati due menu giornalieri, entrambi equilibrati dal punto di vista nutrizionale, per i quali sono stati calcolati gli impatti in termini di consumo di acqua (figura 3.25). Il primo menu giornaliero prevede una dieta più ricca di proteine vegetali e pochi grassi di origine animale; il secondo, invece, è basato su un consumo, seppur modesto, di carne rossa. Confrontando gli impatti, in termini di impronta idrica, dei due menu proposti, si evince chiaramente come l’inserimento, per quanto contenuto, nel menu di prodotti di allevamento, come latte e carne, comporti un aumento di circa tre volte del consumo di risorse idriche.Latte e carni presentano infatti un contenuto di acqua virtuale maggiore rispetto a prodotti coltivati, come frutta e verdura, per via del notevole con-sumo di prodotti agricoli utilizzati per nutrire gli animali da allevamento in vista della trasformazione in risorse alimentari, rendendo quindi in tal modo

figura 3.24

L’impronta idrica delle bevande (litri di acqua per bicchiere , 125 ml, o per tazzina , 30 ml, di bevanda)Fonte: BCFN, 2011.

150

100

50

25

0

Caffè americano

Latte

Vino

Succo d’arancia

Bevanda gassata

Birra

Caffè espresso

The

Acqua 0,3/0,7 (bottiglia)0,3/ (rubinetto)

140

125

120

106

43

38

34

15

0 80604020 100 140

legenda

min max

valore medio

Page 187: Eating Planet 2012

169water economy | cibo per una crescita sostenibile

figura 3.25

Il consumo di acqua virtuale e le abitudini alimentari: due menu a confrontoFonte: BCFN, 2011.

menu carne

kcal totali

litri consumo idrico

2.1404.300

menu vegetariano

kcal totali

litri consumo idrico

2.0301.530

Colazione

1 Porzione di frutta (200 g)4 Fette biscottate

152LITRI

Colazione

1 Tazza di latte parz. scremato4 Biscotti

183LITRI

Spuntino

1 Vasetto di yogurt magro1 Pacchetto di cracker non salati

115LITRI

Spuntino

1 Vasetto di yogurt magro

125LITRI

Cena

1 Porzione di verdure: fagiolini (200 g) e patate (400 g) al vapore con scaglie di grana (40 g)

780LITRI

Cena

1 Porzione di minestra e piselli1 Bistecca di carne bovina alla griglia (150 g)1 Fetta di pane in cassetta

2.550LITRI

Pranzo

1 Porzione di “Caserecce Siciliane” con finocchietto1 Porzione di sformato di zucca e porri

300LITRI

Pranzo

1 Porzione di pizza MargheritaOrtaggi misti crudi

1.325LITRI

Spuntino

1 Vasetto di yogurt magro1 Frutto

185LITRI

Spuntino

1 Porzione di frutta (200 g)

120LITRI

Proteine

14%

Proteine

15%

Carboidrati

56%

Carboidrati

60%

Grassi

30%

Grassi

25%

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170 eating planet

meno “sostenibile” un menu caratterizzato dall’elevata presenza di prodotti di allevamento.Da questi esempi risulta evidente che l’evoluzione delle abitudini alimentari degli individui può avere un impatto molto rilevante sulla disponibilità delle risorse idriche. Basti pensare che, se tutti gli abitanti del pianeta adottassero il regime alimentare medio dei paesi occidentali, caratterizzato da un elevato con-sumo di carne, si stima che sarebbe necessario un incremento del 75% dell’ac-qua utilizzata attualmente per produrre cibo. Si tratta di una situazione eviden-temente insostenibile.

3.11 l’impronta idrica di una nazione e il commercio di acqua virtuale

L’impronta idrica può essere calcolata non solo per ogni prodotto o attività, ma anche per ogni gruppo ben definito di consumatori (un individuo, una fami-glia, gli abitanti di una città, un’intera nazione) o produttori (aziende private, organizzazioni pubbliche, settori economici).L’impronta idrica globale ammonta a 7.452 miliardi di metri cubi di acqua dolce all’anno, pari a 1.243 metri cubi all’anno pro capite, cioè a più del doppio della portata annuale del fiume Mississippi. Considerando l’impronta idrica in valore assoluto, il paese che consuma il volume maggiore d’acqua è l’India (987 miliardi di metri cubi), seguita dalla Cina (883) e dagli Stati Uniti (696). Pren-dendo in considerazione invece i valori pro capite (figura 3.26), i cittadini degli Stati Uniti hanno un’impronta idrica media pari a 2.483 metri cubi all’anno, seguiti dagli italiani (2.232) e dai thailandesi (2.223). Le differenze tra paesi dipendono da un insieme di fattori, tra cui il volume dei consumi (generalmente correlato alla ricchezza del paese), il modello dei con-sumi (soprattutto per quanto riguarda le abitudini alimentari, che possono essere più o meno orientate al consumo di carne, e l’utilizzo di beni industriali), il clima (che incide soprattutto sulle precipitazioni, sulla traspirazione delle piante e sulla quantità d’acqua necessaria per le coltivazioni) e le pratiche agricole adot-tate (in particolare per quanto riguarda l’efficienza dell’impiego dell’acqua).Oggi il commercio internazionale di prodotti agricoli non considera in alcun modo la componente dell’acqua inclusa nello scambio. Basti pensare che tra i primi dieci esportatori di grano tre sono caratterizzati da grave scarsità d’acqua, mentre tra i primi dieci paesi importatori tre ne hanno grande disponibilità. Il livello di interdipendenza tra i paesi nello scambio virtuale di risorse idriche è invece critico e destinato a crescere ancora in futuro, dato il processo continuo di liberalizzazione del commercio internazionale.Si osservi a tal proposito la figura 3.27, che mostra la complessità dei flussi di acqua virtuale relativi al commercio di prodotti agricoli tra i paesi e individua gli importatori (toni del rosso) e gli esportatori netti (toni del verde) d’acqua virtuale.

Page 189: Eating Planet 2012

paesaggi a rischio: italiaNell’autunno del 2011 gli effetti del cambiamento climatico si sono manifestati drammaticamente su uno dei paesaggi agrari più celebri e al contempo più fragili: quello delle Cinque Terre, in Liguria. Su un territorio già esposto a fenomeni di dissesto idrogeologico si sono abbattute piogge di intensità “monsonica”.Nel bacino Mediterraneo manifestazioni di questo genere si accompagnano a crescenti processi di desertificazione dei suoli.

Page 190: Eating Planet 2012

172 eating planet

Stati Uniti

Italia

Thailandia

Nigeria

Russia

Messico

Brasile

Indonesia

Pakistan

Giappone

India

Cina

La globalizzazione dell’impiego dell’acqua sembra comportare sia opportunità sia rischi, in quanto il livello di interdipendenza tra i paesi nello scambio vir-tuale di risorse idriche è destinato a crescere, dato il processo continuo di libe-ralizzazione del commercio internazionale.Una delle opportunità principali è costituita dal fatto che l’acqua virtuale può essere considerata come una fonte d’acqua alternativa, permettendo di preser-vare le risorse locali. Inoltre, a livello globale, è possibile ottenere un risparmio del volume d’acqua consumata quando un prodotto viene commercializzato da un paese con elevata produttività delle risorse idriche (per quel determinato prodotto) a un altro con una bassa produttività.I rischi maggiori sono rappresentati dalla possibile eccessiva dipendenza dalle risorse idriche di altre nazioni e dalla incontrollata esternalizzazione degli

figura 3.26

Il contributo dei maggiori consumatori all’impronta idrica globale (m3 pro capite/anno)Fonte: BCFN, 2011.

Impronta idrica media mondiale

0 500 1.000 1.500 2.000 2.500 3.000

Consumo domestico d’acqua Beni industriali Beni agricoli

Page 191: Eating Planet 2012

173water economy | cibo per una crescita sostenibile

effetti indiretti dello sfruttamento di questa risorsa dal paese importatore a quello esportatore. Questo fenomeno viene descritto anche come “colonialismo idrico”, in quanto forma di dominazione da parte dei paesi ricchi a danno di quelli più poveri.L’acqua come obiettivo strategico è sempre più spesso all’origine di situazioni conflittuali tra Stati, generate per la competizione tra i diversi usi dell’acqua (domestico, industriale, agricolo) all’interno di uno Stato, oppure per l’utilizzo di un corpo idrico comune che attraversa le frontiere. Basti pensare che i bacini idrici condivisi da più paesi coprono quasi la metà della superficie terrestre e accomunano 145 nazioni.

3.12 la privatizzazione dell’acqua: implicazioni tra pubblico e privato

Con l’espressione “privatizzazione dell’acqua” si può fare riferimento a tre diffe-renti ambiti.Il primo è quello dei diritti di proprietà privata sulle risorse idriche, ammetten-done la libera compravendita. Questa fattispecie, presente in alcuni paesi in via di sviluppo, è molto lontana dall’esperienza europea, dove l’acqua è saldamente nelle mani della collettività. Il nostro sistema istituzionale si è infatti sempre

figura 3.27

I flussi di acqua virtuale tra paesi legati al commercio di prodotti agricoli (importatori netti di acqua virtuale – Gm3/anno)Fonte: Hoekstra e Chapagain, Water Neutral: Reducing and Offsetting the Impacts of Water Footprints.

Nord America− 108

Centro America2

Sud America− 107

Europa Orientale

18

Nord Africa− 45

Europa Occidentale

152

Africa Centrale− 16

Sud Africa− 5

Sudest Asiatico− 30

Asia Centrale e Meridionale

150

Medio Oriente47

Oceania− 70

Ex Unione Sovietica13

Page 192: Eating Planet 2012

174 eating planet

basato non sulla proprietà pubblica delle risorse, ma sulla regolazione dell’uso di una risorsa di proprietà comune e come tale inalienabile. L’utilizzatore pertanto non “compra l’acqua”, ma acquisisce il diritto di usarla.Il secondo ambito è il coinvolgimento del settore privato nella gestione dei ser-vizi idrici, secondo tre diversi modelli gestionali:• monopolio territoriale vitalizio, privatizzato e regolato, applicato nel Regno Unito e fondato sul trasferimento effettivo della proprietà dell’intera infrastrut-tura e del controllo dell’acqua nelle mani di operatori privati;• titolarità pubblica con affidamento temporaneo a privati attraverso meccani-smi di gara, come accade in Francia;• titolarità e gestione pubblica, come in Italia e Germania, con l’acquisizione dal mercato delle risorse necessarie per l’erogazione del servizio.

Il terzo ambito è il coinvolgimento del settore privato nel finanziamento delle infrastrutture e dei servizi, poiché i tradizionali circuiti della finanza pubblica non sono più sufficienti a garantire il capitale necessario e a erogarlo nei modi e nei tempi debiti.La “privatizzazione” dell’acqua porta con sé rischi e benefici. Tra i principali benefici vi è la presunzione che il settore privato sia più efficiente di quello pubblico nell’ottimizzare la gestione della distribuzione dell’acqua, nonché nel razionalizzare i costi e ridurre conseguentemente le tariffe per gli utenti. Inoltre l’affidamento di tali contratti ai privati consente di ripartire il costo di manu-tenzione della rete dell’acquedotto, a fronte della cessione dei profitti.Tra i rischi ci sono gli aumenti, anche molto consistenti, delle tariffe o l’inadem-pienza degli operatori privati verso i propri obblighi di sviluppo della rete idrica, soprattutto verso i quartieri più poveri.Ma se l’acqua è un bene di tutti, solamente un efficace sistema di controllo demo-cratico può costituire un’adeguata garanzia di fronte ai rischi derivanti da un inef-ficace modello di gestione della risorsa idrica, sia esso pubblico o “privatizzato”.

Tra gli obiettivi del Barilla Center for Food & Nutrition c’è quello di aumentare il grado di attenzione e la consapevolezza sul tema dell’acqua, evidenziando le principali criticità legate al suo utilizzo, e di fornire una serie di raccomandazioni per affrontare le sfide della Water Economy.Le aree prioritarie di intervento sono otto:

le possibili aree di intervento per affrontare le sfide della water economy

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175water economy | cibo per una crescita sostenibile

1. i modelli e gli strumenti per favorire una reale gestione “integrata” dell’acqua: mettere a punto politiche, modelli e strumenti di gestione inte-grati, nell’ottica della Water Economy, per affrontare con efficacia le problema-tiche legate alle risorse idriche.

2. le pratiche, il know how e la tecnologia per l’incremento della produt-tività dell’acqua (more crop per drop) e la riduzione degli sprechi: spezzare la correlazione esistente, e oggi molto forte, tra sviluppo economico, crescita demografica e conseguente incremento nei livelli di consumo d’acqua.

3. l’impronta idrica come indicatore oggettivo semplice e comunicabile: impiegare l’impronta idrica come strumento di valutazione complessiva degli impatti ambientali delle persone, delle imprese (di produzione e di distribu-zione, all’interno di ogni settore) e degli Stati.

4. gli stili alimentari e di consumo a minor contenuto di acqua: orientare i comportamenti individuali e i modelli di consumo verso stili di vita che impli-chino un impiego più attento dell’acqua.

5. la localizzazione efficiente delle colture e virtual water trade per un risparmio su scala globale delle risorse idriche consumate: ripensare la localizzazione su scala globale delle attività di produzione dei beni a maggiore incidenza di consumo di acqua secondo criteri di efficienza.

6. l’impegno e le responsabilità delle istituzioni per garantire l’accesso all’acqua: favorire l’accesso all’acqua potabile e a infrastrutture igienico-sanita-rie per le popolazioni oggi più svantaggiate sotto questo profilo, promuovendo gli investimenti necessari e rimuovendo i vincoli di natura tecnica e politica.

7. la valorizzazione economica delle risorse idriche e l’internalizzazione del costo dell’acqua nel prezzo: ripensare il funzionamento dei mercati nell’ottica della Water Economy mediante modelli economici in grado di defi-nire con precisione il valore economico associato all’uso dell’acqua.

8. la gestione della risorsa idrica tra privatizzazione e controllo demo-cratico: considerare la privatizzazione partendo dagli interessi delle persone, vincolando le aziende private di gestione al rispetto di principi sociali ed etici e introducendo un efficace sistema di controllo democratico che costituisca un’adeguata garanzia di fronte ai rischi derivanti da un inefficiente modello di gestione della risorsa idrica, sia esso pubblico o “privatizzato”.

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176 eating planet

• C’è molta acqua al mondo, ma non sempre dove serve.• L’acqua è gratuita in natura, ma le infrastrutture per distribuirla sono estre-mamente costose.• In molte aree del pianeta, l’acqua è facilmente accessibile a costi contenuti, ma la gente dà per scontato che sarà sempre disponibile.• La natura ricicla e purifica costantemente l’acqua dei fiumi e dei laghi, ma l’uomo sta inquinando l’acqua più velocemente di quanto la natura la ricicli.• C’è un grande ammontare di acqua sotterranea, ma l’uomo la sta utilizzando più velocemente di quanto la natura riesca a rimpiazzarla.• 5,7 miliardi di persone hanno accesso ad acqua pulita, ma 800 milioni no.• Quattro miliardi di persone dispongono di impianti igienico-sanitari di base, ma 2,5 miliardi no.• Milioni di persone cercano di uscire dalla loro condizione di povertà, mentre i più ricchi utilizzano più acqua del necessario.• Il ritmo di industrializzazione sta crescendo, anche se l’industria necessita di più acqua dolce.• L’industria sta diventando sempre più efficiente nell’utilizzo dell’acqua, anche se molte imprese utilizzano ancora l’acqua in modo non sostenibile e inefficiente.• La consapevolezza del problema dell’acqua è in aumento, ma tradurre tale consapevolezza in azioni è un processo lento.

nello scenario globale dell’acqua ci sono notizie buone e notizie cattive

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177interviste | cibo per una crescita sostenibile

intervista la difficile transizione verso l’agricoltura sostenibile

Hans R. Herren

Quali sono le sfide chiave per un’agricoltura sostenibile oggi e in futuro? Quali sono i problemi della situazione attuale?

I principali problemi che l’agricoltura si trova a fronteg-giare riguardano alcuni ambiti: l’adattamento ai cambia-menti climatici; la produzione di alimenti, mangimi e fibre di qualità in maniera sufficiente e diversificata a prezzi accessibili, ma al contempo remunerativi per i produttori e compatibili con le pratiche agricole sostenibili; la crescente concorrenza rappresentata dal settore dei biocarburanti; l’incremento dei prezzi dell’energia fossile, nonché la scar-sità di quest’ultima nel medio e lungo termine.

Esistono alcuni modelli di produzione agricola che potreb-bero contribuire al raggiungimento di un maggiore livello di sostenibilità? Com’è possibile gestire in modo efficace la tran-sizione verso paradigmi di produzione più sostenibili?

Nel corso degli anni, agricoltori e scienziati hanno svi-luppato varie pratiche agricole in linea con i requisiti di un’agricoltura sostenibile e multifunzionale – come previ-sto nel rapporto IAASTD dal titolo Agriculture at a Cross-roads – che hanno assunto denominazioni differenti, quali agricoltura biologica, biodinamica, agroecologia, agricol-

tura a lavorazione ridotta o “zero” del terreno, agricoltura conservativa, con diversi livelli di conformità agli obiettivi di sostenibilità e multifunzionalità.I modelli più vicini agli obiettivi fissati sono l’agroecologia e l’agricoltura bio-logica e biodinamica, sebbene, anche in questi casi, sia necessario un ulteriore lavoro per adempiere ai criteri di sostenibilità sociale, ambientale ed econo-mica. Teoricamente occorre sviluppare e creare all’interno dei sistemi attuali e di quelli nuovi un maggiore potenziale di rigenerazione e resilienza, poiché nel sistema corrente persiste l’impiego di acqua in eccesso e input esterni spesso non rinnovabili.La transizione da questi sistemi insoddisfacenti richiede, oltre a un nuovo approccio alla ricerca, un ampliamento dei medesimi, in forma partecipata e localizzata, affinché vengano inclusi anche gli stakeholder non appartenenti all’ambito produttivo, quali i consumatori e gli utenti, i fornitori di input,

Hans� R. Herren è uno scienziato di fama interna-zionale, dal maggio 2005 presidente del Millennium Institute. È stato direttore generale dell’Istituto in-ternazionale di entomo-logia di Nairobi (ICIPE), nonché uno dei direttori dell’International Institu-te of Tropical Agricolture (IITA) nel Benin.Oggi è membro del consi-glio di amministrazione di numerose organizzazioni; già co-presidente dell’In-ternational Assessment of Agricultural Knowled-ge, Science & Technology (IAASTD); presidente di BioVision, una fondazio-ne svizzera col mandato mondiale di alleviare la povertà e migliorare la vita dei poveri mantenen-do la base delle preziose risorse naturali che so-stengono la vita. Ha vinto numerosi premi per i risul-tati della sua ricerca.

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178 eating planet

nonché i settori della trasformazione e del retail. Ciò è fondamentale, poiché i sistemi produttivi sono almeno in parte modellati in base a questi settori, che esulano dai confini dell’azienda agricola e dei laboratori di ricerca. Occorre inoltre riconoscere che sono i governi a detenere la responsabilità in materia di agricoltura e alimentazione e che tali aree necessitano di finanziamenti consi-derevoli da parte del settore pubblico anziché essere delegate solo a quello pri-vato. Quest’ultimo deve comunque svolgere un ruolo importante, soprattutto oltre i confini aziendali, lungo la filiera del valore che va dall’agricoltore al con-sumatore. Sarà possibile fornire un contributo e un supporto alla transizione anche introducendo i prezzi reali dei prodotti, includendo quindi nel prezzo al dettaglio non solo quello per la produzione e la trasformazione, ma anche le esternalità rappresentate dai costi sanitari indiretti, eliminando tutti i sussidi ingiustificati e sostituendoli con pagamenti per i servizi all’ecosistema e premi per le pratiche sostenibili.La gestione di questo processo di transizione richiede una volontà e una visione politica che trascendano quelle attuali, a ogni livello di governance, sia locale sia globale, nuove istituzioni che sostengano e gestiscano il cambiamento del para-digma, nonché una modifica del comportamento del consumatore. Occorre anche un nuovo approccio sistemico e olistico per analizzare il sistema agricolo e alimentare, individuare la leva di sviluppo principale e le sinergie per rag-giungere gli obiettivi di agricoltura multifunzionale, minimizzando contestual-mente i feedback negativi. Nuove politiche agricole nazionali dovranno rispon-dere al fabbisogno interno di produzione di alimenti, mangimi e fibre, nonché provvedere all’instaurazione di condizioni favorevoli, altrettanto importanti, quali infrastrutture rurali, accesso a mercati, capitali e servizi assicurativi.

Quali innovazioni tecnologiche e pratiche agricole sono necessarie per conseguire gli obiettivi di sostenibilità nell’agricoltura? Come si dovrebbe operare per ottimizzare e promuovere le migliori pratiche agricole in tutto il mondo e favorire ulteriormente l’ innovazione?

Le principali aree della conoscenza, scienza e tecnologia, fondamentali per la transizione dell’agricoltura verso i sistemi sostenibili necessari per affrontare le sfide appena citate, sono, per così dire, radicate nel suolo! Il mondo sta affron-tando molte sfide, in particolare l’estrazione di gran parte delle sostanze nutri-tive dai terreni nei paesi in via di sviluppo e la sovrafertilizzazione del suolo, operata spesso in quelli sviluppati, hanno avuto come conseguenza la degrada-zione, l’erosione e la riduzione di fertilità dei terreni, che ora sono privi del biota necessario per garantire livelli di fertilità sostenibili che consentano una produ-zione di qualità e in quantità tali da rispondere alle nuove sollecitazioni dovute ai cambiamenti climatici. Il ripristino della fertilità del suolo rappresenta la pre-

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179interviste | cibo per una crescita sostenibile

occupazione principale, a cui si deve aggiungere l’implementazione di sistemi di coltivazione migliori e più diversificati, con una maggiore rotazione delle col-ture, l’inclusione di animali nell’azienda agricola e nuovi metodi di lotta contro gli agenti infestanti e le malattie che sfruttino i doni della natura sotto forma di meccanismi di controllo naturali – già presenti nelle piante grazie all’evoluzione o a pratiche di gestione del sistema – che vadano da una scala di campo a una scala di paesaggio.Nel capitolo relativo all’agricoltura del rapporto Green Economy dell’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (2011), è stato dimostrato che implementando i principi fondamentali dell’agricoltura sostenibile, come pro-posto nel rapporto IAASTD, è possibile conseguire tutti gli obiettivi chiave di sostenibilità, con investimenti inferiori ai livelli di sussidio attuali. Il fattore principale è che l’agricoltura deve essere ripensata in chiave verde fin dall’ori-gine e non apportando minimi ritocchi superficiali (il cosiddetto greenwashing), come suggerito dalla maggior parte delle aziende operanti nel settore agroali-mentare in qualità di fornitori di input. Occorre investire anche nella creazione di condizioni favorevoli, quali istituzioni e infrastrutture rurali, nonché lungo l’intera filiera del valore, allo scopo di assicurare mercati per i prodotti agricoli e fornire posti di lavoro di qualità all’interno del settore agricolo e in quelli cor-relati, affinché la popolazione giovane rimanga nelle aree rurali.Attuando importanti cambiamenti – dalle scienze agricole alle scelte politiche – l’agricoltura e i sistemi alimentari potranno divenire sostenibili e in grado di tenere fede agli obiettivi multifunzionali, per rispondere alle esigenze presenti e future di alimenti, mangimi e fibre di una popolazione in espansione e più esi-gente, anche nel lungo termine.

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180 eating planet

intervista acqua virtuale fra sovraconsumo e cattiva gestione

Tony Allan

Lei ha introdotto il concetto di acqua virtuale molti anni fa: i prodotti che utilizziamo e gli alimenti che mangiamo quo-tidianamente sono realizzati consumando ingenti quantità di acqua. Come possiamo promuovere una maggiore consapevo-lezza relativamente all’ impatto ambientale dell’ impiego di acqua e favorire la diffusione e l’adozione di comportamenti sostenibili tra i cittadini e le aziende?

Solo con grande difficoltà. Noi esseri umani non compren-diamo il reale valore dell’acqua e siamo giunti a una fase del nostro rapporto con le ampie, ma al contempo limitate, risorse idriche naturali, in cui non ci possiamo semplice-

mente permettere di rimanere ignoranti. Il nostro sovraconsumo e la nostra cattiva gestione dell’acqua hanno già avuto un impatto molto pesante sugli ambienti idrici e sui servizi essenziali che forniscono.La nostra ignoranza è immensa. La maggior parte di noi non ha la minima idea degli ingenti volumi di acqua utilizzati nella nostra vita quotidiana. Per prepa-rare una tazza di caffè ne occorrono 140 litri. Si tratta dell’effettiva quantità di acqua utilizzata per coltivare, produrre, imballare e spedire i chicchi neces-sari per preparare il vostro caffè mattutino. Per l’hamburger che mangiate a pranzo saranno necessari 2.400 litri e per il vostro paio di jeans preferito ben 11.000. Effettivamente, tutto quello che acquistiamo – dal cibo, ai vestiti o ai computer – ha un costo idrico sotto forma di acqua virtuale: si tratta del nuovo, potente concetto che mette in luce i fattori nascosti del nostro reale consumo globale d’acqua. All’inizio del XX secolo, con una popolazione mondiale pari a un miliardo di persone, tale ignoranza semplicemente non aveva importanza. Il rapporto acqua/persone era così grande che sembrava che le nostre disponibilità idriche fossero infinite.Ma non è così. E ora, con una popolazione mondiale di sette miliardi di per-sone, la scarsità d’acqua non rappresenta una mera possibilità. Per molti è già una realtà. Purtroppo, la società si è sviluppata senza saper dare il giusto valore a questo bene. Siamo consumatori impenitenti di eccessive quantità d’acqua e non ce ne rendiamo conto.

I principali attori economici sono consapevoli dei problemi e delle sfide in relazione alla gestione idrica?

TonyAllanè uno dei mag-giori esperti internaziona-li di acqua. Per il concetto rivoluzionario di Virtual Water, da lui introdotto, gli è stato riconosciuto lo Stockholm Water Prize nel 2008. La sua ultima fatica editoriale (Virtual Water) è uno dei testi di riferi-mento in materia e uno dei più originali contributi degli ultimi anni.

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181interviste | cibo per una crescita sostenibile

I mercati neoliberisti che operano nella filiera alimentare sono quasi comple-tamente all’oscuro dei costi relativi all’erogazione dell’acqua. Questo è partico-larmente vero nelle aziende agricole del mondo, in cui viene utilizzata e gestita la maggior parte dell’acqua necessaria per la comunità: gli agricoltori sono, di fatto, i gestori idrici mondiali. Essi gestiscono la quantità maggiore di acqua, quell’invisibile 80-90% di tutta l’acqua utilizzata all’interno dell’economia glo-bale per la produzione di alimenti. Degli otto stati-nazione che ho esaminato nel mio ultimo libro,14 sette hanno assistito a miglioramenti significativi in ter-mini di ottimizzazione delle risorse idriche in ambito agricolo. Abbiamo sco-perto in effetti una regola d’oro: lo sviluppo e la diversificazione delle economie sono sempre associati a notevoli incrementi della produttività dell’acqua, e tali incrementi derivano dagli agricoltori che utilizzano la quantità maggiore d’ac-qua, ossia, i copiosi volumi d’acqua che sono parte integrante della produzione alimentare. Purtroppo, è vero anche il contrario. Nelle economie in via di svi-luppo, vacillanti o che affrontano problemi finanziari quasi insormontabili, si osserva un miglioramento scarso o inesistente della loro produzione idrica.Questi mercati sono regolamentati da regole contabili – che non tengono conto delle tematiche idriche – stabilite da frotte di commercialisti e avvocati membri di enti potenti, quali il Federal Accounting Standards Board di New York e altri in tutto il mondo, come pure dalle quattro principali società di revisione – PwC, E&Y, KPMG e Deloitte. E da numerosi altri commercialisti e avvocati attivi nel settore agroalimentare transnazionale, nonché operatori e altre ditte del settore privato.

Nel prossimo futuro, a causa della crescita della domanda di acqua e della ridu-zione delle riserve idriche, l’acqua diventerà più preziosa e, di conseguenza, gli interessi economici relativi a tale bene aumenteranno. È possibile che il valore (e il prezzo) dei beni e dei servizi venga influenzato dalla quantità di acqua necessaria per produrli?

Per far sì che le istituzioni che stabiliscono le regole contabili adottino un’eco-nomia verde e principi di audit ecologici sarà necessaria una lotta lunga, ma fondamentale. La filiera del valore alimentare è notevolmente distorta da politiche pubbliche che introducono pressioni finanziarie che hanno vani-ficato e vanificheranno i tentativi di attribuire il giusto valore all’acqua per riflettere i relativi costi di erogazione e internalizzare gli impatti ambientali del relativo uso.Naturalmente è possibile individuare i costi e gli impatti dell’impiego dell’ac-qua per fini domestici, comunali e industriali. Ma questi utilizzi riguardano solo il 10% dell’acqua necessaria per la comunità. I grandi volumi d’acqua sono contenuti nei nostri alimenti.

Page 200: Eating Planet 2012

182 eating planet

Come per il “diritto al cibo”, anche per il “diritto all’acqua” occorreranno nuove normative sia locali sia internazionali, per evitare che prevalga l’ interesse di pochi. Come possiamo garantire acqua per tutti? Vede il rischio di “guerre idriche” nel mondo nei prossimi anni?

Le nazioni non vanno in guerra per l’acqua. Commerciano alimenti. Il com-mercio internazionale è molto più economico e meno rischioso rispetto al con-flitto armato. Nel corso degli ultimi duecento anni, i prezzi degli alimenti sono diminuiti e saranno di nuovo bassi non appena le attuali impennate dei prezzi saranno terminate. Tuttavia, è probabile che non saranno così economici come in passato, quando il grano e altri alimenti erano sul mercato a metà prezzo, in conseguenza dei sussidi negli Stati Uniti e nell’Unione Europea che causarono le distorsioni sopraccitate.

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183proposte e azioni | cibo per una crescita sostenibile

favorire comportamenti e scelte alimentari coerenti con il modello della doppia piramide

Seguire il modello della “doppia piramide” significa adottare un’alimenta-zione equilibrata sia dal punto di vista nutrizionale sia in termini di impatto ambientale. Il modello della doppia piramide (alimentare e ambientale) dimo-stra infatti che nelle diete sostenibili i due obiettivi possono essere facilmente perseguiti. Considerato che i cibi più salutari sono anche quelli che implicano minori impatti in termini di consumo di risorse naturali (terra, acqua ecc.) e minori emissioni. Con particolare riferimento alle future generazioni, si rende quindi necessario un processo di educazione collettiva che, senza escludere gli stessi bambini, faccia leva sui genitori e sul sistema scolastico per promuovere stili di consumo più responsabili.

promuovere un’agricoltura sostenibile che tenga conto delle competenze e delle esigenze locali

Il sistema agricolo globale mostra diversi elementi di fragilità, anche per gli effetti attuali e futuri del climate change. Nella consapevolezza che non può esistere un unico modello produttivo capace di garantire la sostenibilità nei diversi contesti colturali, l’unica soluzione possibile è un approccio differen-ziato, che tenga conto della effettiva disponibilità di risorse e dei diversi conte-sti geografici e socio-economici. In questa ottica, oltre ai classici fattori in gioco (qualità del suolo, disponibilità di acqua, adattamento ai fenomeni atmosfe-rici ecc.), vanno considerate anche altre variabili rilevanti come la disponibilità locale di energia e di competenze umane.

garantire l’accesso all’acqua, gestendola in modo sostenibile a livello globale

Occorre rafforzare l’impegno e la responsabilità delle istituzioni per garantire a tutti l’accesso all’acqua potabile e alle infrastrutture igienico-sanitarie. In quest’ottica, occorre promuovere gli investimenti che consentono di rimuovere i vincoli di natura tecnica e politica. Più in generale, le problematiche legate alle risorse idriche devono essere affrontate con modelli e strumenti di gestione integrati che tengano conto del valore dell’acqua virtuale (compresa all’interno di tutti i prodotti in commercio) e della produttività delle risorse idriche in agri-coltura (more crop per drop), anche al fine di ridurne gli sprechi.Ma è bene che l’impronta idrica (Water Footprint) venga comunemente impie-gata per valutare la produzione di beni e servizi, per meglio orientare le per-sone verso comportamenti individuali e modelli di consumo che implichino un impiego più attento dell’acqua.

proposte e azioni

Page 202: Eating Planet 2012

sommario

introduzione La salute dipende dall’alimentazione e dall’agricoltura di Ricardo Uauy

dati e fatti chiavecibo per una vita sana

4.1 La diffusione e le tendenze delle malattie croniche e i loro impatti economico‑sociali

4.2 Le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto

4.3 Le linee guida e i modelli di dieta più diffusi4.4 Raccomandazioni per scegliere

cibo e bambini: la buona educazione4.5 La diffusione dell’obesità e del sovrappeso nei bambini

e negli adolescenti e il loro impatto economico‑sociale4.6 I nutrienti nelle differenti fasi della crescita4.7 Le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione

e uno stile di vita corretto nei bambini e negli adolescenti4.8 Raccomandazioni per scegliere

longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione

4.9 Impatti economici e sociali delle principali patologie su demografia e longevità

4.10 La relazione tra longevità, patologie e ruolo dell’alimentazione e degli stili di vita

4.11 Stati infiammatori e restrizione calorica: possibili interventi per rallentare i processi di invecchiamento

4.12 Raccomandazioni per scegliere

interviste Le aziende devono adottare comportamenti responsabili di Marion Nestle

Condividere la responsabilità sui bambini di Aviva Must

L’impatto degli stili di vita sull’invecchiamento di Alex Kalache

proposte e azioni

Page 203: Eating Planet 2012

4.CiBo e saluteFood for Health affronta il rapporto esistente fra l’alimentazione e la salute. Analizza le raccomandazioni formulate dalle più autorevoli istituzioni scientifiche mondiali, condivise con importanti esperti internazionali nel campo della nutrizione e della salute. Offre alla società civile un quadro sintetico di proposte concrete volte a facilitare l’adozione di uno stile di vita corretto e un’alimentazione sana.

Page 204: Eating Planet 2012

186 eating planet

4. CiBo esaluteLa salute dipende dall’alimentazione e dall’agricolturaRicardo Uauy

Per vivere in salute è necessaria una buona nutrizione che, a sua volta, dipende dall’agricoltura. Eppure le agen-zie nazionali e internazionali per l’agricoltura e la salute interagiscono poco tra loro e spesso hanno programmi divergenti se non, talvolta, contraddittori. I ministri dell’agricoltura, così come le agenzie internazionali per l’alimentazione e l’agricoltura, puntano all’aumento della produzione di cibo e mangimi, mentre i ministri della salute e l’Organizzazione mondiale della sanità concen-trano i propri sforzi sulla necessità di alimenti più sani e sul controllo della diffusione pressoché pandemica di patologie croniche legate alla nutrizione. Gli obiettivi in materia di salute e nutrizione possono essere raggiunti solo se le esigenze in questi ambiti sono affrontate come elementi di un’agenda condivisa. Un’alimentazione sana fornisce energia sufficiente per mantenere un equilibrio tra calorie introdotte ed energia utilizzata. Considerando questi obiettivi, una dieta corretta deve essere ricca di cereali integrali, verdura, frutta e legumi (che forniscono l’energia, le fibre, i micronutrienti e le proteine necessari), limitando l’apporto di grassi saturi e trans così come quello di zuccheri aggiunti e sale.Per essere sana la dieta deve dunque essere diversificata: consumare un’ampia varietà di alimenti appartenenti ai diversi gruppi alimentari è il modo migliore per garantire l’assunzione di tutti i nutrienti fondamentali.Poiché nelle diverse parti del mondo si ritrovano regimi alimentari e cibi differenti, i gruppi di alimenti rac-

ricardo uauy è professo-re di Public Health Nutrition presso l’Institute of Nutri-tion (INTA) dell’Università del Cile e presso la London School of Hygiene and Tro-pical Medicine.Dal 2008 è membro della commissione di esperti della FAO/OMS sui grassi e gli acidi grassi nella sa-lute umana, e dal 2007 fa parte del gruppo di esperti dell’OMS per l’aggiorna-mento scientif ico sugli acidi grassi trans. È inoltre membro di diversi altri co-mitati scientifici tra cui: la consultazione di esperti sulla prevenzione e il con-trollo dell’obesità infantile e il gruppo di esperti dell’OMS per l’aggiornamento scienti-fico sui carboidrati nella sa-lute umana e nelle malattie, il Reference Group for Glo-bal Strategy Diet Nutrition and the Prevention of NCDs (malattie non trasmissibili), e la consultazione di esper-ti sui fabbisogni energetici della FAO/OMS a Roma.

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187introduzione | cibo e salute

comandati dovrebbero essere stabiliti in base alle pratiche agricole e culturali prevalenti in un determinato contesto, privilegiando i prodotti disponibili in loco. Purtroppo la varietà nella dieta è un obiettivo difficile da raggiungere in condizioni di povertà, solitamente caratterizzate da una dieta a base di una sola tipologia alimentare ricca di energia (grano, mais, riso o patate) e con un basso consumo di alimenti di origine animale, frutta e verdura. La risposta non risiede nemmeno nel maggiore accesso ai cibi confezionati. Nelle aree urbane, l’aumentato consumo di cibi confezionati, anche tra le fasce povere, potrebbe aggravare una situazione d’insufficiente apporto di micronutrienti.Uno stile di vita salutare non dipende solo dagli alimenti che mangiamo, ma anche da quanta energia consumiamo. Poiché ci siamo evoluti in condizioni di scarsità energetica e alimentare, possiamo contare su una serie di efficacissimi sistemi che ci consentono di sfruttare tutta l’energia disponibile negli alimenti che mangiamo, e se introduciamo più del necessario siamo molto efficienti nell’accu-mulare l’energia eccedente, indipendentemente dal cibo da cui ha avuto origine, sotto forma di tessuto adiposo. È proprio grazie a questi sistemi che siamo riusciti a sopravvivere a periodi di scarsità di cibo e persino a carestie. Nel corso dei mil-lenni, i nostri geni sono stati selezionati in base a questo modello, che è anche alla base delle difficoltà che incontriamo nella prevenzione dell’obesità.

Nella dieta è consigliabile il consumo di:Frutta e verduraCereali integrali e fibre (alimenti di origine vegetale integrali, non integratori di fibre)Frutta a guscioPesce, alghe e altri prodotti del mareOli vegetali sani (d’oliva, di soia, di semi di colza)Latte e latticini a basso contenuto di grassi saturi

Conviene invece moderare l’assunzione di:Alimenti trasformati (ricchi di zuccheri, grassi trans e sodio)Carni lavorateGrassi industriali parzialmente idrogenati (grassi trans)Carboidrati raffinati e zuccheri liberiSodio aggiunto e cibi salatiZuccheri aggiunti

linee guida alimentari per gruppi di alimenti

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188 eating planet

In breve: fin dai tempi antichi, alla qualità della dieta era stato riconosciuto un ruolo fondamentale per la salute e il benessere delle popolazioni umane. L’evo-luzione stessa del genere umano è stata influenzata dalla qualità nutrizionale dei nostri regimi alimentari. L’Homo Sapiens è praticamente identico agli altri primati per quanto riguarda il patrimonio genetico. È stata l’alimentazione dei primi ominidi a segnare la differenza, in quanto essi hanno diversificato un regime quasi interamente vegetariano introducendo cibi e grassi di origine ani-male che non hanno fornito solo un maggiore apporto calorico, ma anche acidi grassi e micronutrienti essenziali per la formazione di un cervello sempre più grande così come di un sistema nervoso più complesso.Oggi le diete tradizionali, nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo e in transizione, vengono però sostituite da diete ricche di grassi e di zuccheri con un alto contenuto calorico, che contribuiscono alla diffusione dell’obesità e delle patologie croniche a essa correlate. La soluzione alle problematiche della fame e della malnutrizione non risiede solo nella fornitura di energia in quan-tità sufficienti, ma passa attraverso una dieta equilibrata anche in termini di contenuto di micronutrienti e di qualità dei macronutrienti (grassi, carboidrati e proteine). Per vivere in salute è necessaria una buona alimentazione, basata su alimenti sani e pratiche agricole sostenibili.

Page 207: Eating Planet 2012

educazione alimentare: le scuoleLa scuola può svolgere una funzione fondamentale nella formazione delle abitudini alimentari. Le iniziative e i provvedimenti per la promozione di un’alimentazione sana tra bambini e studenti sono ampiamente diffuse e spesso vedono impegnati testimonial estremamente influenti, come la First Lady statunitense.

Page 208: Eating Planet 2012

4.  cibo e salute

17%

aspettativa di vita e patologie croniche

Negli ultimi 100 anni, l’aspettativa di vita alla nascita nei paesi occidentali è quasi rad-doppiata, passando dai 45 anni della fine dell’Ottocento ai circa 80 anni del 2010. Nonostante ciò la percentuale di over 65 affetto da una o più patologie è molto elevata.

+7 milioni di diabetici/anno Ogni anno, nel mondo, si registrano più di 7 milioni di nuovi casi di diabete: uno ogni 5 secondi. Nel 2007 l’incidenza mondiale del diabete era circa al 6% fra le persone di età compresa tra 20 e 79 anni, equivalente a circa 246 milioni di persone, con un aumento del 27% circa rispetto al 2003 (194 milioni di persone diabetiche)

Nel 2007 si sono verificati 7,9 milioni di decessi nel mondo riconducibili a forme tumorali. Secondo stime sul futuro questo dato è destinato a crescere fino a 9 milioni nel 2015 e a 11,4 milioni nel 2030.

crescita dei decessi causati da patologie cardiovascolari

crescita dei decessi causati da tumori

Pari al 30% dei decessi globali. Di questi 7,6 milioni sono dovuti a patologie cardiache e 5,7 milioni a ictus

2005

17,5 milioni

2007

7,9 milioni

2015

9 milioni

2030

11,4 milioni

2015

20 milioniQuesto dato conferma le patologie cardiache come prima causa di morte nel mondo

di over 65 è affetto da almeno una malattia cronica

80% di over 65 è affetto da due o più patologie croniche

50%

12,5 milioni di bambini obesi

Negli Stati Uniti è obeso o sovrappeso il 17% dei bambini, con età compresa tra 2 e 9 anni, e un terzo degli adolescenti

194 milioni

246 milioni

stima 2003

stima 2007

Tanti sono i bambini sotto i 5 anni che vivono prevalentemente

nei paesi in via di sviluppo e sono pari al 25% di tutta la

popolazione mondiale denutrita

148 milioni di bambini sottopeso

+27%incremento

Esiste un significativo nesso tra alimentazione e contrasto dei processi di invecchiamento. Le alterazioni molecolari, metaboliche e ormonali causate da un eccessivo e cronico intake calorico, da un modello alimentare e da uno stile di vita non corretti giocano un ruolo centrale nei processi di invecchiamento

intake calorico & invecchiamento

25%della popolazione

denutrita

190 eating planet

Page 209: Eating Planet 2012

4.  cibo e salute

17%

aspettativa di vita e patologie croniche

Negli ultimi 100 anni, l’aspettativa di vita alla nascita nei paesi occidentali è quasi rad-doppiata, passando dai 45 anni della fine dell’Ottocento ai circa 80 anni del 2010. Nonostante ciò la percentuale di over 65 affetto da una o più patologie è molto elevata.

+7 milioni di diabetici/anno Ogni anno, nel mondo, si registrano più di 7 milioni di nuovi casi di diabete: uno ogni 5 secondi. Nel 2007 l’incidenza mondiale del diabete era circa al 6% fra le persone di età compresa tra 20 e 79 anni, equivalente a circa 246 milioni di persone, con un aumento del 27% circa rispetto al 2003 (194 milioni di persone diabetiche)

Nel 2007 si sono verificati 7,9 milioni di decessi nel mondo riconducibili a forme tumorali. Secondo stime sul futuro questo dato è destinato a crescere fino a 9 milioni nel 2015 e a 11,4 milioni nel 2030.

crescita dei decessi causati da patologie cardiovascolari

crescita dei decessi causati da tumori

Pari al 30% dei decessi globali. Di questi 7,6 milioni sono dovuti a patologie cardiache e 5,7 milioni a ictus

2005

17,5 milioni

2007

7,9 milioni

2015

9 milioni

2030

11,4 milioni

2015

20 milioniQuesto dato conferma le patologie cardiache come prima causa di morte nel mondo

di over 65 è affetto da almeno una malattia cronica

80% di over 65 è affetto da due o più patologie croniche

50%

12,5 milioni di bambini obesi

Negli Stati Uniti è obeso o sovrappeso il 17% dei bambini, con età compresa tra 2 e 9 anni, e un terzo degli adolescenti

194 milioni

246 milioni

stima 2003

stima 2007

Tanti sono i bambini sotto i 5 anni che vivono prevalentemente

nei paesi in via di sviluppo e sono pari al 25% di tutta la

popolazione mondiale denutrita

148 milioni di bambini sottopeso

+27%incremento

Esiste un significativo nesso tra alimentazione e contrasto dei processi di invecchiamento. Le alterazioni molecolari, metaboliche e ormonali causate da un eccessivo e cronico intake calorico, da un modello alimentare e da uno stile di vita non corretti giocano un ruolo centrale nei processi di invecchiamento

intake calorico & invecchiamento

25%della popolazione

denutrita

191dati e fatti chiave | cibo e salute

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192 eating planet

cibo per una vita sana

L’alimentazione gioca un ruolo centrale ai fini di una vita sana ed equilibrata. È infatti dimostrato che il cibo ha un ruolo essenziale nella prevenzione di alcune patologie, come quelle di natura cronica, che hanno registrato nel corso degli ultimi decenni un significativo e costante aumento in tutto il mondo.Il modello interpretativo adottato dal Barilla Center for Food & Nutrition parte da questa constatazione per analizzare l’incidenza sulla salute umana dei diversi fattori legati all’alimentazione.A questo fine, nel corso degli ultimi tre anni, sono state analizzate le tendenze, a livello mondiale, relative alle principali malattie croniche non trasmissibili (malattie cardiovascolari, diabete, tumori), ossia i tre gruppi di patologie la cui insorgenza appare maggiormente “legata” all’alimentazione e allo stile di vita.Il fine è stato quello di tradurre l’evidenza scientifica in indicazioni alimentari e comportamentali di immediata comprensione. Per far questo in modo rigo-roso e scientifico, sono state analizzate le linee guida delle più autorevoli società scientifiche internazionali in materia di corretta alimentazione e di opportuno stile di vita per la prevenzione dalle malattie croniche. È stata quindi redatta una sintesi in grado di mostrare l’insieme convergente di indicazioni nutrizio-nali e alimentari da esse proposte.L’approccio proposto nasce dal riconoscimento della crescente importanza della prevenzione nel garantire buone condizioni di salute alle persone. Nel corso degli ultimi cinquant’anni la medicina si è progressivamente orientata verso logiche di prevenzione, riconoscendo la maggior efficacia ed efficienza degli interventi di prevenzione rispetto alle corrispettive azioni volte a beneficio di soggetti già malati. Maggiore efficacia perché la prevenzione consente di otte-nere complessivamente risultati migliori, anche grazie alla sua caratteristica intrinseca di agire a beneficio di una più ampia parte della popolazione, rispetto alle cure mediche. Maggiore efficienza perché presenta costi inferiori. Sia per i paesi occidentali, ai fini di garantire la sostenibilità di sistemi sanitari gravati da livelli di investimento e costi di esercizio crescenti, sia nei contesti emergenti e in via di sviluppo, nei quali – da alcuni anni – si stanno osservando cambia-menti nei pattern alimentari, nella direzione di una occidentalizzazione della dieta e degli stili di vita, con conseguenti aumenti nell’incidenza, anche fin dalle prime età della vita, di disturbi alimentari e patologie a essi riconducibili.Alimentazione e stili di vita concorrono a causare o – al contrario – a prevenire l’insorgere di alcune delle più gravi e diffuse malattie croniche.Le abitudini alimentari giocano un ruolo fondamentale soprattutto nella pre-venzione dell’obesità e del sovrappeso (ritenuti oggi due dei fattori più critici per la salute).

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193cibo per una vita sana | cibo e salute

Tuttavia, l’aspetto della “dieta” adottata dalle persone rappresenta solo una parte, per quanto significativa, del complessivo cambiamento di paradigma ali-mentare e di vita oggi necessario. Esiste, in particolare, un problema di fondo legato ai cambiamenti intervenuti nel complessivo “modo di vivere” delle per-sone, che si manifesta in un aumento del quantitativo calorico mediamente assunto, nell’emergere di modelli alimentari sbilanciati sotto il profilo nutrizio-nale, nella significativa riduzione del tempo dedicato all’attività fisica e nella perdita del valore attribuito al cibo come elemento centrale della quotidianità, anche dal punto di vista sociale e culturale.La prevenzione in tale campo risulta, quindi, fondamentale, e dovrebbe coin-volgere in modo particolare le nuove generazioni, per fare in modo che non si trovino a godere di condizioni di salute e di benessere inferiori rispetto a quelle sperimentate dalle generazioni che le hanno precedute.Il primo e forse più importante tassello di un cambiamento negli stili di vita è costituito, infatti, dalla correzione delle abitudini alimentari e di vita degli indi-vidui più giovani, a partire dall’età prescolare, fino all’adolescenza. Questa fase della vita è assolutamente centrale per lo sviluppo successivo. Le corrette abitu-dini alimentari e di comportamento adottate nel corso dei primi anni di vita costituiscono, infatti, un elemento decisivo tanto per la salute nella stessa infan-zia e adolescenza, quanto per la salute e la qualità della vita nelle età successive.Occorre però procedere con rapidità. Tutti i dati – anche per quelle aree geo-grafiche (come l’Italia) normalmente considerate patria di corrette scelte ali-mentari e di vita in salute – mostrano un rapido peggioramento delle condi-zioni di salute medie, attuali e attese.

4.1 la diffusione e le tendenze delle malattie croniche e i loro impatti economico-sociali

Le malattie croniche (malattie cardiovascolari, diabete e tumori) rappresentano, oggi, il principale fattore di rischio per la salute dell’uomo, nonché un enorme peso socio-economico per l’intera collettività.Queste malattie sono responsabili della maggior parte dei decessi e provocano, ogni anno, circa 35 milioni di morti, che corrispondono al 60% dei decessi a livello globale e all’80% di quelli che si verificano nei paesi a basso e medio reddito. Dai più importanti studi effettuati emerge come circa l’80% dei casi legati a queste malattie potrebbero essere prevenuti eliminando alcuni fattori di rischio come il consumo di tabacco, le diete poco salutari, l’inattività fisica e il consumo eccessivo di alcol. Al contrario, senza un’adeguata prevenzione, il loro peso sulla salute globale potrebbe aumentare del 17% nei prossimi dieci anni.Nell’ultimo decennio, in quasi tutti i paesi del mondo, si sta verificando una crescita esponenziale dell’obesità. Questa dinamica è così marcata da aver

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194 eating planet

spinto la European Association for the Study of Diabetes (EASD) a riconoscere la prevenzione e il trattamento dell’obesità come “il più importante problema di salute pubblica nel mondo”. Attualmente, più del 65% degli americani è obeso o sovrappeso e si è assistito e si sta assistendo a un allargamento del fenomeno alle fasce di popolazione più giovani.La gravità del fenomeno del sovrappeso e dell’obesità nei giovani è testimo-niata dal triplicarsi di casi di sovrappeso fra i giovani dal 1970 ai giorni nostri: secondo un recente studio del Trust for America’s Health e della Robert Wood Johnson Foundation, quasi un terzo dei bambini e degli adolescenti americani risulta essere sovrappeso o obeso.1

Sovrappeso e obesità – ormai riconosciute pienamente come patologie – oltre alla rilevanza in termini di condizioni di salute della popolazione, hanno un significativo effetto negativo anche in termini economici. Con riferimento agli Stati Uniti, per esempio, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) 2 stima che il costo diretto dell’obesità abbia rappresentato circa il 7% di tutti i costi complessivamente riconducibili alla salute negli Stati Uniti nel 1995, per un importo pari a circa 70 miliardi di dollari.

l’impatto delle malattie cardiovascolari. Anche l’aumento dell’insor-genza delle malattie cardiovascolari è un fattore legato a una scorretta alimen-tazione, come evidenziato dall’analisi dei più autorevoli studi medico-scienti-fici pubblicati in letteratura. A tal proposito, l’Organizzazione mondiale della sanità ha indicato come nel 2005 si siano verificati, nel mondo, circa 17,5 milioni di decessi per patologie cardiovascolari, pari al 30% di tutte le morti. Di questi 7,6 milioni sono dovuti a patologie cardiache e 5,7 milioni a ictus.Le stime indicano come, entro il 2015, il numero di decessi causati da pato-logie cardiovascolari a livello globale crescerà fino a raggiungere i 20 milioni di unità, confermandosi come la prima causa di morte al mondo. Negli Stati Uniti si stima che 80 milioni di persone siano interessate da una o più pato-logie cardiovascolari ogni anno. Di queste, oltre 860.000 muoiono per tali patologie.In tutto il continente europeo, invece, le patologie cardiovascolari sono respon-sabili di 4,3 milioni di morti ogni anno (2 milioni all’interno dell’Unione Europea).3 Le patologie coronariche sono responsabili del maggior numero di decessi (1,9 milioni di morti in tutta Europa e più di 741.000 nei paesi mem-bri dell’Unione Europea).La conversione in termini economici di questi dati fa emergere valori real-mente impressionanti. Le stime più recenti sul costo totale delle patologie car-diovascolari negli Stati Uniti indicano un impatto di 473,3 miliardi di dol-lari per l’anno 2009. Questo valore include sia le spese sanitarie dirette (servizi ospedalieri, farmaci, assistenza domiciliare ecc.), sia i costi indiretti (perdita

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195cibo per una vita sana | cibo e salute

di produttività lavorativa causata dalla malattia o dalla morte prematura dei pazienti). In Europa, l’impatto economico totale delle patologie cardiovascolari per il 2006 è stato stimato in circa 192 miliardi di euro, valore che corrisponde a un costo medio totale pro capite di 391 euro.In Italia, i costi totali delle patologie cardiovascolari sono stati stimati in circa 21,8 miliardi di euro.4 Di questi, il 63% (pari a 13,8 miliardi di euro), riguarda i costi diretti sostenuti dal sistema sanitario, che includono in particolare i costi dell’assistenza ospedaliera e il costo dei farmaci. Il 37% dell’impatto economico totale delle patologie cardiovascolari è dovuto invece ai costi indiretti per la per-dita di produttività dei pazienti in età lavorativa a causa della malattia e della morte e agli altri costi informali per la cura dei pazienti,5 per un totale di circa 8 miliardi di euro.La diffusione delle malattie cardiovascolari comporta pesanti ripercussioni eco-nomiche e sociali non solo nei paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo, come la Cina. Secondo recenti stime elaborate dall’Organizzazione mondiale della sanità,6 l’impatto cumulato per i prossimi dieci anni di pato-logie cardiache, ictus e diabete, determinerà per la Cina una perdita di reddito nazionale pari a 558 miliardi di dollari.

l’incidenza del diabete. Con riferimento al diabete, altra patologia influen-zata in modo rilevante dallo stile alimentare adottato, fra le persone di età com-presa tra 20 e 79 anni si è stimata nel 2007 un’incidenza mondiale della malat-tia intorno al 6%, equivalente a circa 246 milioni di persone, in aumento del 27% circa rispetto al 2003 (quando si stimavano 194 milioni di persone affette da questa patologia). Ogni anno, nel mondo, si registrano più di 7 milioni di nuovi casi di diabete, vale a dire uno ogni 5 secondi. Le stime al 2025 indicano un aumento consistente dell’incidenza, che raggiungerà il 7,1% della popola-zione mondiale, coinvolgendo 380 milioni di persone, con un incremento pari al 54,5% rispetto al 2007.La prevalenza del diabete crescerà sia nei paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo. In Cina, per esempio, si stima che nel 2007 le persone affette da diabete fossero circa 39,8 milioni, pari al 4,3% della popolazione; nel 2025 questo numero dovrebbe crescere a poco meno di 60 milioni (5,6% della popo-lazione), con un incremento del 50% del numero di casi. Un trend di crescita ancora più preoccupante è atteso in India, dove dagli attuali 40,8 milioni di malati (6,2% della popolazione) ci si aspetta di arrivare nel 2025 a 69,8 milioni (7,6% della popolazione).Come nel caso delle malattie cardiovascolari, i costi sostenuti per la cura del diabete sono molto elevati e secondo le stime della Federazione internazionale del diabete, nel 2007, si attestano a circa 232 miliardi di dollari a livello mon-diale, con un incremento fino a 300 miliardi di dollari nel 2025.

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196 eating planet

Uno studio realizzato dall’American Diabetes Association 7 ha valutato in 174 miliardi di dollari il costo del diabete per gli Stati Uniti nel 2007, valore che include 116 miliardi per le spese mediche dirette e 58 miliardi calcolati come perdita di produttività dei pazienti e dei familiari coinvolti nella loro presa in carico. I pazienti diabetici americani sostengono, in media, costi pari a oltre 11.400 dollari all’anno, di cui 6.650 dollari attribuibili direttamente al diabete.Un ulteriore studio compiuto a livello europeo 8 ha stimato per i soli costi sani-tari diretti della malattia (ospedalizzazioni, prestazioni ambulatoriali, farmaci ecc.) un valore medio annuo di 2.834 euro a paziente. La maggioranza di tali costi (55%) è dovuta all’ospedalizzazione per complicanze acute e croniche.

i tumori. Un ulteriore fattore legato all’adozione di una scorretta alimenta-zione è l’insorgenza di patologie tumorali. Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2007 si sono verificati 7,9 milioni di decessi nel mondo riconducibili a forme tumorali; di questi, il 75% circa sono localizzati in paesi a reddito medio-basso. Le stime future indicano una crescita mondiale dei decessi causati da tumori fino a 9 milioni nel 2015 e 11,4 milioni nel 2030, che si verificheranno in netta maggioranza nei paesi a reddito medio e basso.Negli Stati Uniti, secondo le stime del National Institutes of Health, l’impatto economico delle patologie tumorali si è attestato, nel 2008, a oltre 228 miliardi di dollari, includendo sia le spese sanitarie sia la perdita di produttività degli ammalati. Per quanto riguarda l’Europa (EU-25), nel 2002 il cancro ha cau-sato una perdita di vite umane quantificata in quasi 10 milioni di anni, equiva-lente al 16,7% circa degli anni di salute totali persi dai cittadini europei per malattie. In un simile contesto, i soli costi sanitari diretti relativi al cancro in Europa sono stati stimati, dalla European Society for Medical Oncology, in 56,6 miliardi di euro.La dimensione dell’impatto socio-economico riconducibile alle malattie car-diovascolari, al diabete e al tumore è tale da imporre un’analisi approfondita sul ruolo giocato dalle differenti scelte alimentari e comportamentali (l’attività fisica in primo luogo) nell’insorgenza delle principali malattie croniche.

4.2 le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto

L’Organizzazione mondiale della sanità definisce la salute come “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solamente un’assenza di malattie o infermità”,9 mentre lo stile di vita salutare come “un modo di vivere volto alla riduzione del rischio di malattie e della morte prematura”.10 Non tutte le patologie possono essere evitate (come infarto e cancro), ma in molti casi un’attenta prevenzione può ridurne il rischio di insorgenza.

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197cibo per una vita sana | cibo e salute

L’alimentazione costituisce una componente particolarmente importante nella definizione di uno stile di vita salutare e le abitudini alimentari scorrette pos-sono rappresentare un primo fattore di rischio per l’insorgenza delle maggiori patologie croniche.L’esigenza di declinare operativamente il tema delle scelte alimentari e degli stili di vita maggiormente idonei a ridurre il rischio di contrarre malattie cro-niche e non trasmissibili è stata affrontata attraverso l’analisi delle linee guida per la riduzione dell’insorgenza di tali malattie, pubblicate dall’Organizzazione mondiale della sanità e dalle più autorevoli società scientifiche internazionali.11 È interessante osservare come siano emersi forti elementi di convergenza tra le diverse società scientifiche. In altre parole, sembra esistere la possibilità di adottare stili alimentari e di vita in grado di ridurre parallelamente i rischi di ammalarsi di diabete, di tumore e di malattie cardiovascolari.I principali risultati dell’analisi comparata sono sintetizzati di seguito e indicano come, ai fini del benessere della persona, sia necessario (figura 4.1):1. Svolgere attività fisica regolare, da 30 a 60 minuti al giorno di media (per esempio, passeggiare a piedi o in bicicletta) o alta intensità (per esempio, cor-rere, nuotare, praticare sport di squadra), per la maggior parte dei giorni della settimana.2. Evitare situazioni di sovrappeso/obesità sia nel breve sia nel lungo periodo (evitando quindi di riacquisire il peso in eccesso eventualmente perso).

L’OMS ha pubblicato uno studio approfondito sul vasto numero di fattori nega-tivi che causano la morte prematura di milioni di persone. Lo studio condotto a livello globale ha evidenziato come tra i dieci maggiori rischi sanitari nel mondo, ben sette siano legati allo stile di vita e alla dieta alimentare:1. Basso peso e malnutrizione (dieta alimentare);2. Rapporti sessuali non protetti;3. Ipertensione arteriosa (dieta alimentare e stile di vita);4. Fumo di tabacco (stile di vita);5. Alcol (stile di vita);6. Acqua non potabile e carenze igieniche;7. Ipercolesterolemia (dieta alimentare e stile di vita);8. Fumo prodotto da combustione negli ambienti chiusi;9. Carenza di ferro (dieta alimentare);10. Obesità (dieta alimentare e stile di vita).

fattori di rischio e stile di vita

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198 eating planet

3. Evitare l’eccessivo consumo di alcolici (non più di un bicchiere per le donne e di due bicchieri per gli uomini al giorno).4. Non fumare.5. Adottare una dieta equilibrata, caratterizzata dal controllo del complessivo apporto calorico e da un’appropriata composizione dei diversi macro e micro nutrienti.6. Aumentare (fino a circa 400 grammi al giorno) il consumo di frutta e ver-dura, privilegiando soprattutto quelli ricchi di fibre alimentari: consumare 4-5 porzioni di frutta/verdura al giorno, raggiungibili anche attraverso la sostitu-zione degli snack.7. Preferire le fonti di carboidrati complessi (cereali e legumi) e incrementare il consumo di cereali integrali (per esempio pane, pasta, grissini prodotti con farine di tipo integrale).8. Aumentare il consumo di legumi.9. Consumare 2-3 porzioni di pesce alla settimana.10. Preferire l’utilizzo di condimenti di origine vegetale (oli vegetali) al posto di condimenti ad alto contenuto di grassi di origine animale (burro, strutto).11. Limitare il consumo di cibi a elevato contenuto di grassi (per esempio hot dog, salse, creme, prodotti caseari, insaccati), preferendo i prodotti “magri” (come yogurt magro e latte magro).12. Limitare il consumo di cibo fritto.13. Limitare il consumo di carne e pollame a 3-4 porzioni alla settimana.14. Limitare l’utilizzo aggiuntivo di sale rispetto a quello naturalmente conte-nuto negli alimenti (non utilizzare più di 5-6 grammi di sale aggiunto, pari a circa un cucchiaino).15. Limitare il consumo di cibi/bevande caratterizzati da elevate concentrazioni di zuccheri (per esempio prodotti di pasticceria e bibite zuccherate).16. Evitare l’utilizzo quotidiano di integratori alimentari.

4.3 le linee guida e i modelli di dieta più diffusi

È opportuno, fin da subito, evidenziare come le linee guida e le indicazioni for-nite dalle più autorevoli società scientifiche internazionali non possano portare all’individuazione di un’unica, ipotetica dieta alimentare perfetta, in grado di fornire il massimo dei benefici in termini di salute e prevenzione delle malattie.In realtà, vi sono ragioni legate alla tipicità territoriale, alle tradizioni alimen-tari, agli usi e costumi di ogni singolo paese o regione del mondo, che rendono velleitaria e comunque sbagliata la pretesa diffusione di una meta-dieta ideale.Le linee guida e le indicazioni non devono essere perciò interpretate come il tentativo di avviare un processo di omogeneizzazione dei modelli alimentari o come la promozione di un singolo approccio nutrizionale. Al contrario, invece,

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cucinare con i bambiniOltre a proporre menu più sani ed equilibrati nelle mense, la scuola può avvicinare i bambini alla conoscenza del cibo anche attraverso semplici e divertenti attività di preparazione degli alimenti. In questa foto la pizza è protagonista di un laboratorio di educazione alimentare in una scuola di Madrid.

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200 eating planet

sana alimentazione e corretto stile di vita30 minuti di attività fisica al giorno

Evitare situazioni di sovrappeso e obesità

Evitare l’eccessivo consumo di alcolici Non fumare

Adottare una dieta equilibrata

Aumentare il consumo di frutta e verdura

Preferire i carboidrati complessi e aumentare il consumo di cereali integrali

Aumentare il consumo di legumi

Consumare 2‑3 porzioni di pesce alla settimana

Preferire condimenti di origine vegetale

Limitare il consumo di cibi a elevato contenuto di grassi

Limitare il consumo di cibo fritto

Limitare il consumo di carne e pollame a 3‑4 porzioni alla settimana

Limitare il consumo aggiuntivo di sale

Limitare il consumo di cibi/bevande ad alto contenuto di zuccheri

Evitare l’utilizzo quotidiano di integratori alimentari

1 2 3 4

5 6 7 8

9 10 11 12

13 14 15 16

convergenza delle linee guidabarilla center for food & nutrition

linee guida per la prevenzione tumoraleContenere

il consumo di grassi Non fumare 5 porzioni di frutta e verdura al giorno

Preferire il pesce alla carne rossa

Favorire il consumo di farine integrali

Non più di 1 bicchiere di alcol

al giorno

45‑60 minuti di attività fisica

al giorno

Limitare il consumo di carne rossa

e salumi

Consumare regolarmente

legumi

Evitare situazioni di sovrappeso e

obesità

Mantenere un IMC nella norma

Moderare l’apporto di sale

linee guida per la prevenzione diabeticaGrassi: < 30% del

totale calorieGrassi saturi < 10% & grassi trans. < 1%

5 porzioni di frutta e verdura al giorno

2‑3 porzioni di pesce alla settimana

Favorire il consumo di cereali integrali

Consumo moderato di alcol

150 minuti di attività fisica

alla settimana

Proteine: 10‑20% del totale

calorie

4 porzioni di legumi

a settimana

Evitare situazioni di sovrappeso

e obesità

Mantenere un IMC nella norma

Sale: 6 g/die & no integratori

alimentari

linee guida per la prevenzione cardiovascolareGrassi: 15‑30% del

totale calorieGrassi saturi < 10% & grassi trans. < 1%

4‑5 porzioni di frutta e verdura

al giorno

1‑2 porzioni di pesce alla settimana

Favorire il consumo di cereali integrali

Non consigliato il consumo di alcol

30 minuti di attività fisica

al giorno

Meno di 140 g di carne al giorno

4‑5 porzioni di legumi a settimana

Evitare situazioni di sovrappeso

e obesitàNon fumare

Sale: 5‑6 g/die & no integratori

alimentari

figura 4.1

La metodologia seguita per la convergenza delle linee guida per una sana alimentazione e uno stile di vita correttoFonte: BCFN, 2009.

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201cibo per una vita sana | cibo e salute

vi sono una serie di fattori culturali e di tradizioni alimentari tipiche dei paesi e delle regioni del mondo che devono essere valorizzate e ottimizzate sulla base delle indicazioni formulate dal mondo scientifico.In altre parole, per far sì che l’alimentazione possa migliorare lo stato di salute delle persone è necessaria la messa in atto di azioni e strategie volte a promuo-vere la riscoperta delle diete regionali e dei loro componenti nutrizionali più salutari, il tutto rivisto alla luce delle conoscenze scientifiche più aggiornate.Attraverso uno sforzo di semplificazione, utile per individuare linee di tendenza su scala globale, è possibile individuare nel mondo tre grandi tradizioni alimen-tari, ciascuna caratterizzata dai suoi tratti peculiari: il modello mediterraneo, il modello nord-americano e il modello asiatico (che al suo interno comprende alcune importanti tradizioni e culture, da quella giapponese, a quella vietna-mita, a quella cinese).

i diversi modelli alimentari. Il modello alimentare mediterraneo è il modello di comune riferimento e ispirazione nei paesi dell’area del Mediterra-neo, in particolare in Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Francia.Si tratta di uno schema alimentare che si contraddistingue per l’equilibrio nutrizionale. I suoi primi quattro componenti – frutta, verdura, prodotti deri-vati dai cereali (in particolare integrali), latte e derivati – presentano sia una ripartizione equilibrata in termini di quantità assunte (da 200 a 260 grammi al giorno per alimento) sia in rapporto al consumo giornaliero (la somma dei primi quattro componenti è superiore al 40% del totale giornaliero).In generale, la stretta coerenza rispetto alle raccomandazioni suggerite a livello scientifico rende il modello mediterraneo uno dei più efficaci in termini di benessere e prevenzione delle patologie non trasmissibili.Il modello alimentare nord-americano – vale a dire il modello diffuso prece-dentemente negli Stati Uniti e in Canada – è da tempo al centro dell’attenzione del mondo scientifico, preoccupato dal grave fenomeno della crescita esponen-ziale dell’obesità e delle malattie metaboliche negli Stati Uniti.Questo sembra dipendere da un eccesso di consumi alimentari (pari a circa 2.600 grammi contro i circa 2.000 grammi giornalieri del modello mediterra-neo e giapponese) e da una composizione nutrizionale sbilanciata, in partico-lare, verso un consumo eccessivo di carne rossa e dolci, rispettivamente l’11,7% e il 7,1% del totale giornaliero.12

Si tratta, in sostanza, di una dieta perlopiù ricca di proteine e zuccheri, non adeguatamente controbilanciata da un buon livello di assunzione di frutta e verdura. Queste caratteristiche fanno sì che la dieta nord-americana si discosti in misura sensibile dalle raccomandazioni e dalle linee guida formulate dalle principali società scientifiche internazionali e richieda oggi di essere in qualche misura rivista e integrata.

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202 eating planet

Il modello alimentare giapponese 13 – preso per esempio dallo stile alimentare prevalente nei paesi dell’Est asiatico – predilige il consumo di cereali, pari a ben il 24% del totale giornaliero, e di pesce. Per quanto riguarda quest’ultimo componente alimentare, il consumo è pari a 107 grammi quotidiani, di gran lunga superiore ai 45 grammi presenti nella dieta mediterranea e ai 18 grammi di quella nord-americana. Questa dieta, in termini di componenti alimentari, è molto affine alla dieta mediterranea, anche per ciò che riguarda l’elaborazione (è relativamente modesto il ricorso alla frittura del cibo). Si tratta di una dieta che si caratterizza per la ricchezza di sali minerali, omega 3, fosforo e grassi polinsaturi, derivanti soprattutto dal consumo di pesce.Tutto ciò dimostra come possano convivere stili alimentari tra loro molto diversi, capaci di aderire – in misura e con modalità differenti – ai principi san-citi dalla scienza medica.Il valore nutrizionale della dieta mediterranea, in particolare, è stato dimostrato scientificamente dal noto “studio dei sette paesi”14 diretto da Keys, dove furono messe a confronto le diete adottate dalle popolazioni di sette paesi in nazioni diverse per verificarne i benefici e i punti critici.Il risultato finale dello studio ha indicato quale regime alimentare migliore quello degli abitanti di Nicotera, in Calabria, che adottavano uno stile alimentare “mediterraneo”. La popolazione di Nicotera (Calabria), di Montegiorgio (Marche) e della Campania aveva un tasso molto basso di colesterolo nel sangue e una per-centuale minima di malattie coronariche, dovuta a un regime alimentare basato su oliva, pane e pasta, aglio, cipolla rossa, erbe aromatiche, verdura e poca carne.

dieta e malattie croniche. L’adozione di una dieta vicina a quella medi-terranea rappresenta un fattore protettivo contro le più diffuse malattie croni-che. In particolare alcuni studi 15 hanno evidenziato come l’aderenza alla dieta mediterranea produca significative riduzioni nei tassi complessivi di mortalità della popolazione, soprattutto nei decessi causati da malattie cardiovascolari e tumori. La dieta mediterranea appare in grado di ridurre del 72% il rischio d’infarto e rappresenta un fattore protettivo contro tutte le cause di mortalità e, nello specifico, verso quelle legate a malattie cardiovascolari e tumorali, ma anche verso il morbo di Parkinson e il morbo di Alzheimer.16 Risultati simili si riscontrano anche in studi recenti 17 condotti per dieci anni su un campione di oltre 380.000 americani.Negli studi condotti, il concetto di dieta mediterranea è stato tradotto con-cretamente in una dieta alimentare caratterizzata da: un elevato consumo di verdura, legumi, frutta e frutta a guscio, olio d’oliva e cereali (che nel passato erano prevalentemente integrali); da un moderato consumo di pesce e pro-dotti caseari (specialmente formaggio e yogurt) e vino; da un basso consumo di carne rossa, carne bianca e acidi grassi saturi.18

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203cibo e bambini: la buona educazione | cibo e salute

4.4 raccomandazioni per scegliere

Sono due le principali evidenze emerse dall’analisi del BCFN. Si è potuta riscontrare l’esistenza, all’interno della comunità scientifica, della convinzione sempre più forte che il nesso tra stili di vita e salute sia diretto e molto intenso. Nell’ambito delle scelte individuali, l’alimentazione gioca un ruolo decisivo.Inoltre – e questo è un risultato ancora più interessante – dall’analisi comparata delle linee guida varate dai più autorevoli organismi scientifici internazionali si è potuto constatare come sussista un elevato grado di convergenza in termini di indicazioni operative, a prescindere dalla patologia presa in esame.Esistono, in altre parole, stili di vita e alimentari capaci di minimizzare allo stesso tempo e in parallelo i rischi di insorgenza di sovrappeso, obesità, tumori, malattie cardiocircolatorie, diabete e sindrome metabolica. Questo è un risul-tato importante, in quanto pone le condizioni perché possano essere inviati al cittadino-consumatore messaggi chiari, univoci e puntuali relativamente agli stili di vita e alle scelte alimentari preferibili.Il fatto che sia stato possibile giungere a queste conclusioni muovendo, in paral-lelo, da tre diversi ambiti di studio (patologie tumorali, malattie del sistema cardiocircolatorio, disfunzioni del metabolismo), dimostra quanto possa essere proficuo lo sforzo di mettere a sistema conoscenze codificate in ambiti contigui ma separati.

cibo e bambini: la buona educazione

Dopo aver dedicato un anno intero, il 2009, all’analisi del complesso rapporto fra alimentazione e salute, nel 2010 il BCFN ha concentrato i suoi sforzi sull’in-dagine del legame fra nutrizione e crescita sana nelle diverse fasi della vita del bambino, dall’età prescolare, all’età della scuola, fino all’adolescenza.Come visto in precedenza, nei paesi occidentali, un numero elevato di decessi in età adulta è legato a problemi che derivano da eccesso di alimentazione e da cat-tive abitudini alimentari e di vita generatesi, in molti casi, fin dalla giovane età.Da un lato sappiamo come l’obesità infantile sia un serio fattore di rischio per l’obesità nell’età adulta. Dall’altro lato, e in ottica più generale, stili di vita e comportamenti che si acquisiscono nell’età evolutiva – quali le preferenze ali-mentari, la composizione della dieta, la distribuzione degli apporti nella gior-nata, le porzioni, le modalità di consumo degli alimenti, oltre all’acquisizione di uno stile di vita attivo/sedentario – possono concorrere a indurre un comples-sivo comportamento alimentare adeguato o inadeguato anche in età adulta, in ragione di un “effetto-memoria” legato alle consuetudini acquisite.

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Risulta fondamentale, quindi, porre attenzione – a partire dalla prima infanzia – all’adozione di comportamenti alimentari adeguati, in termini di sane abitu-dini alimentari quotidiane e di corretti stili di vita.Se alcuni dei fattori all’origine di sovrappeso e obesità sono poco o per nulla sensibili a interventi terapeutici o preventivi, perché legati a fattori genetici, altri, al contrario, possono rispondere ad azioni preventive indirizzate a modi-ficare alcuni comportamenti e abitudini dello stile di vita, motorio e nutrizio-nale. Ma questi interventi – per poter essere duraturi – devono iniziare già nelle primissime fasi della vita.Come ha ricordato il pediatra Claudio Maffeis, in occasione del Secondo Forum internazionale sull’alimentazione e la nutrizione organizzato dal BCFN, “i primi anni di vita sono una finestra temporale importantissima nello svi-luppo dell’organismo. (…) Mangiare bene durante l’età evolutiva è molto utile perché non solo garantisce un [corretto] accrescimento e sviluppo nel bam-bino, ma garantisce una difesa dalle malattie metaboliche e non, che potremmo incontrare nelle età successive”.

4.5 la diffusione dell’obesità e del sovrappeso nei bambini e negli adolescenti e il loro impatto economico-sociale

Come evidenziato, nei paesi occidentali un numero sempre più elevato di decessi in età adulta è legato a problemi che derivano dall’eccesso di alimen-tazione e dalle cattive abitudini alimentari e di stile di vita. Il modo in cui mangiamo e ci comportiamo, infatti, è in grado di influire in modo rilevante sull’insorgenza di alcune patologie croniche (l’obesità, il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e alcuni tipi di tumore). L’acquisizione e il manteni-mento di abitudini nutrizionali e motorie adeguate alle mutate esigenze socio-ambientali costituisce una condizione irrinunciabile per il benessere delle pre-senti e future generazioni.In tale contesto, tutti i paesi occidentali stanno evidenziando una crescita espo-nenziale del fenomeno dell’obesità e del sovrappeso infantile. Secondo i dati raccolti dall’International Obesity Task Force,19 i bambini in età scolare obesi o sovrappeso nel mondo sono 155 milioni, cioè uno su dieci. Di questi, 30-45 milioni sono classificati tra gli obesi, il che significa il 2-3% dei bambini in età compresa tra i 5 e i 17 anni.Nonostante non siano un caso isolato, gli Stati Uniti rappresentano sicuramente un esempio paradigmatico del trend di diffusione di obesità e sovrappeso tra le fasce di popolazione più giovani (oltre che tra gli adulti).20 Alcuni dati recenti indicano che il 25% dei bambini americani è in sovrappeso e l’11% obeso. Questi ordini di grandezza sembrano essere confermati da uno studio più recente realizzato dal Trust for America’s Health e dalla Robert Wood John-

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son Foundation, secondo il quale quasi un terzo dei bambini e degli adolescenti americani risulterebbe essere sovrappeso o obeso. Secondo il National Institutes of Health, invece, a un 16% di bambini e adolescenti di età compresa tra i 6 e i 19 anni che risulta attualmente sovrappeso, se ne potrebbe aggiungere un altro 15%, che oggi è a forte rischio di diventarlo.Negli ultimi vent’anni la rapida diffusione di questo fenomeno ha interessato, oltre agli Stati Uniti, tutti i maggiori paesi avanzati.Anche in Europa il problema dell’obesità infantile è sempre più diffuso: ogni anno negli Stati membri dell’Unione Europea circa 400.000 bambini sono considerati soprappeso e oltre 85.000 obesi.21 Per quanto riguarda la sola obe-sità giovanile, oggi la prevalenza in Europa risulta essere dieci volte maggiore rispetto agli anni Settanta.22

Anche in Italia, questo tema ha assunto un’importanza crescente, a seguito dell’incremento di adolescenti e bambini in sovrappeso o in condizioni di obe-sità. In Italia, ogni 100 bambini della classe terza elementare, quasi 24 sono in sovrappeso (23,6%) e oltre 12 sono obesi (12,3%). Complessivamente si sti-mano oltre un milione e centomila bambini tra i 6 e gli 11 anni con problemi di obesità e sovrappeso: più di un bambino su tre.Anche i dati raccolti sull’attività fisica sono poco confortanti: solo un bam-bino su dieci fa attività fisica in modo adeguato per la sua età e uno su quat-tro non ha svolto attività fisica il giorno precedente l’indagine. La metà dei bambini, inoltre, possiede un televisore in camera propria. La percezione del problema da parte dei genitori, infine, sembra essere inversamente propor-zionale alla frequenza statistica del peso in eccesso: quattro mamme su dieci bimbi in sovrappeso non ritengono che il proprio figlio abbia un peso ecces-sivo rispetto all’altezza.

Spesso i bambini sono obesi o sovrappeso a causa di un’elevata diffusione di abitudini alimentari che non favoriscono una crescita armonica e che predi-spongono all’aumento di peso. In particolare, emerge che:

• l’11% dei bambini non fa colazione;

• il 28% la fa in maniera non adeguata;

• l’82% fa una merenda di metà mattina troppo abbondante;

• il 23% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente né frutta né verdura.

cattive abitudini alimentari nei bambini

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Come è facile immaginare, l’impatto che generano il sovrappeso e l’obesità in età infantile e nell’adolescenza è estremamente rilevante, sia per i bilanci degli Stati in termini di costi negativi per la sanità, sia per le ripercussioni sul cor-retto sviluppo fisico e cognitivo dei bambini e degli adolescenti.Mentre le conseguenze sanitarie dell’obesità e del sovrappeso infantile appa-iono ben documentate in letteratura, fino a oggi gli impatti economici sui sistemi sanitari e sociali sono stati quantificati da un numero molto esiguo di studi e pubblicazioni.Tra questi, molto interessanti appaiono i risultati di un recente studio 23 con-dotto su giovani americani di età compresa tra i 6 e i 19 anni, da cui emerge che i soggetti considerati obesi hanno generato costi sanitari incrementali di 194 dollari per visite ambulatoriali, 114 dollari per prescrizione di farmaci e di 12 dollari per prestazioni d’emergenza rispetto ai bambini con peso nor-male. Estrapolando questi dati per l’intera nazione si evince che obesità e sovrappeso tra i giovani causano costi incrementali per il sistema sanitario americano di 14,1 miliardi di dollari l’anno per visite ambulatoriali, farmaci e medicina d’urgenza.

4.6 i nutrienti nelle differenti fasi della crescita

L’accrescimento è un processo continuo che inizia nel momento del conce-pimento e termina con il raggiungimento della maturità sessuale. La crescita somatica si accompagna allo sviluppo neuro-psichico. Questo lungo cammino può essere schematicamente suddiviso in tre fasi temporali, distinguibili per le particolari modificazioni anatomo-fisiologiche e psichiche che avvengono nel bambino: infanzia, adolescenza e giovinezza. A ogni fase temporale si associano esigenze specifiche di alimentazione, intake di nutrienti e stili di vita da consi-gliare per uno sviluppo sano dell’individuo.La prima fase, l’infanzia, può essere a sua volta utilmente suddivisa in prima infanzia, che va dalla nascita ai primi due anni e comprende i periodi del neo-nato (primo mese di vita), del lattante e del divezzo (prima dentizione); seconda infanzia o “età del gioco”: comprende il periodo che va dal terzo al quinto anno di età; terza infanzia, detta anche “età della scuola” che comprende il periodo compreso tra i 6 e gli 11 anni.La seconda fase è l’adolescenza (o pubertà), e comprende il periodo compreso tra gli 11 e i 18 anni nel maschio e tra gli 11 e i 16 anni per la femmina.La giovinezza, infine, va dai 18 ai 25 anni nel maschio e dai 16 ai 20 anni di età nella femmina. In quest’ultima fase le indicazioni nutrizionali e di stili di vita sono molto simili a quelle identificabili per gli adulti.

l’infanzia. Durante il periodo della prima infanzia – caratterizzato da una crescita rapidissima – appare quanto mai necessario che sia fornita al bambino

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educazione in fattoriaIn molte tra le economie più avanzate l’azienda agricola sta cambiando identità, innovando sempre di più il modo di proporsi. All’attività produttiva principale si affiancano altre funzioni e servizi, spesso con una particolare attenzione alla formazione e alla comunicazione. Promuovere la conoscenza diretta dei prodotti e delle tecniche colturali favorisce un consumo più consapevole.

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una quantità adeguata di energia. I macronutrienti contenuti nel cibo in grado di apportare energia al bambino sono i grassi, i carboidrati e le proteine. Per comprendere quanto sia importante l’apporto energetico – soprattutto nei primi anni di vita – è possibile osservare come (per ogni grammo di macronutrienti assunti e per unità di peso corporeo) il quantitativo di proteine assunte da un bambino nei primi anni di vita sia quasi lo stesso di un adulto, ma i carboidrati assunti siano quasi il doppio rispetto a quelli assunti in media da un adulto e la quantità di grassi sia quasi quattro volte quella di un adulto.L’energia è necessaria per il mantenimento dei fenomeni vitali (respirazione, attività cardiocircolatoria, funzione renale e cerebrale) in condizioni di riposo (metabolismo basale), per assicurare i processi di digestione, metabolismo e immagazzinamento dei nutrienti (termogenesi), per la deposizione di nuovi tes-suti (crescita) e per l’attività fisica. Nel primo anno di vita il fabbisogno di ener-gia per la crescita è notevole rispetto al totale, ma decresce rapidamente: passa dal 35% nel primo mese di vita al 5% a un anno. Dopo il primo anno e fino ai 9-10 anni di vita, l’energia spesa giornalmente dal bambino è dovuta per un 50-60% al metabolismo basale, per un 30-40% all’attività fisica, per un 5-8% alla termogenesi e solo per un 2% all’accrescimento.L’Organizzazione mondiale della sanità 24 evidenzia l’esistenza di una sostan-ziale similarità tra le raccomandazioni fornite da diversi paesi/organizzazioni in relazione alla quantità di energia necessaria al bambino in età prescolare. Esi-ste quindi un range di valori complessivamente attendibili, derivati attraverso il prodotto fra la stima della quantità di energia necessaria per chilogrammo di peso corporeo e il peso medio caratteristico del bambino all’interno di alcuni macro intervalli di età.La tabella 4.1 riporta valori medi, che possono variare anche notevolmente in funzione delle caratteristiche ponderali, la composizione corporea e il livello medio di attività fisica del singolo bambino o bambina.Nel caso in cui l’apporto di energia risulti inferiore rispetto al livello minimo

tabella 4.1 – il quantitativo ottimale medio di energia da assumere con la dieta (kcal/giorno)25

età del bambino paesi/organizzazioni

italia oms usa

1 - 3 anni 768 - 1.094 906 - 1.088 806 - 1.377

4 - 6 anni 1.417 - 1.667 1.204 - 1.398 1.453 - 1.613

7 - 10 anni 1.792 - 2.034 1.500 - 1.916 1.694 - 1.957

Fonte: Società italiana di nutrizione umana, 1996; FAO, 2006.

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necessario, si possono manifestare problemi anche seri di ritardo nella cre-scita del bambino e della capacità di svolgere attività fisica in modo nor-male, soprattutto nei bambini in età prescolare. Periodi prolungati di carenza nell’apporto di energia possono generare condizioni di vera e propria malnu-trizione e/o condurre a uno stato di riduzione delle riserve proteiche, legata all’utilizzo delle proteine di deposito per la generazione di energia.Al contrario, apporti eccessivi di energia rispetto al fabbisogno promuovono la deposizione di grasso in eccesso. Pertanto, anche in base all’aumentare dell’in-cidenza di obesità fra i bambini e gli adolescenti, l’OMS suggerisce di limitare l’eccessiva assunzione di grassi e zuccheri sin dalle prime età.

i principali macronutrienti. Come anticipato, i principali macronutrienti necessari per il corretto apporto energetico al bambino in età prescolare e sco-lare sono individuabili in proteine, grassi e carboidrati.Le proteine rappresentano la componente essenziale delle cellule umane e per tale ragione un adeguato apporto proteico risulta essere fondamentale, soprat-tutto in età prescolare e scolare, quando l’organismo è in fase di crescita e richiede la presenza degli amminoacidi necessari alla generazione dei tessuti (soprattutto organi e muscoli). Fonti ottimali di proteine di alta qualità sono rappresentate da carne, pesce, formaggio, latte, uova e da alcuni prodotti di origine vegetale, come i prodotti della soia, i fagiolini e i legumi. I prodotti derivati dal grano costituiscono anch’essi fonte di proteine, mentre la maggior parte dei vegetali e della frutta ne contengono in quantità limitata.Accanto alle proteine, il secondo macronutriente essenziale al fine di garan-tire il corretto e bilanciato apporto di energia al bambino è rappresentato dai grassi. I grassi assunti attraverso l’alimentazione rappresentano per il bambino una fonte di energia e di acidi grassi essenziali. In particolare, gli acidi grassi polinsaturi a catena lunga hanno specifiche e importanti funzioni fisiologiche.I grassi strutturali sono parte essenziale delle membrane cellulari, del tessuto neurale e dell’architettura cellulare nel suo complesso, mentre i grassi di depo-sito – presenti in particolare nel tessuto adiposo – svolgono il ruolo di riserva di energia di lungo periodo per l’organismo. L’assunzione di grassi con il cibo con-sente inoltre un ottimale assorbimento delle vitamine liposolubili (A, D, E, K).In relazione all’ammontare complessivo di grassi che il bambino dovrebbe assumere attraverso la dieta, l’OMS suggerisce che – nel passaggio dallo svezzamento all’età prescolare, ossia attorno ai due anni di vita – il 30-40% dell’apporto energetico totale debba derivare da grassi. La Nemours Founda-tion 26 sottolinea come i grassi e il colesterolo giochino un ruolo importante nella crescita del bambino, soprattutto in relazione allo sviluppo cerebrale, e non dovrebbero essere ridotti all’interno della dieta oltre determinati limiti: in particolare, per il bambino piccolo (2-3 anni), le calorie derivanti da grassi

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dovrebbero coprire il 30-35% dell’apporto calorico totale, mentre dai 4 anni in poi il 25-35% del totale.I carboidrati costituiscono la terza e più importante (in termini quantitativi) fonte energetica dell’organismo. I carboidrati presenti negli alimenti – una volta trasformati in monosaccaridi (glucosio) – forniscono energia a tutti i tessuti del corpo umano, soprattutto al cervello e ai globuli rossi, che usano solamente il glucosio quale “carburante” per le attività cellulari.I carboidrati non assorbiti nell’intestino tenue sono trasformati all’interno del colon in acido lattico e in acidi grassi a catena corta. Questi metaboliti, insieme ad alcuni oligosaccaridi hanno inoltre una funzione di promozione dell’acquisi-zione e del mantenimento di un adeguato trofismo della mucosa intestinale, anche attraverso l’effetto prebiotico esercitato sulla flora microbica intestinale.Le categorie di carboidrati contenuti negli alimenti sono, principalmente, tre: zuccheri, amidi e fibre.

le categorie dei carboidrati. Gli zuccheri costituiscono una fonte primaria di energia, ma non forniscono altri rilevanti contributi nutrizionali all’organi-smo. Anche per ragioni legate all’instaurarsi di un corretto regime alimentare di lungo periodo, che possa apportare benefici anche nell’adolescenza e nell’età adulta, l’OMS ritiene che una dieta in età prescolare e scolare eccessivamente ricca di alimenti e bevande zuccherate non sia corretta. Numerosi paesi/orga-nizzazioni raccomandano che l’apporto giornaliero di zuccheri aggiunti non superi il 10% del complessivo apporto energetico (nel caso del bambino in età prescolare, questo si traduce mediamente in non più di 25 grammi al giorno di zucchero). Una quota dell’apporto energetico totale ascrivibile a zuccheri aggiunti pari o superiore al 30% appare in grado di generare significativi pro-blemi per la salute del bambino: in particolare, un significativo aumento dei livelli di glucosio, insulina e lipidi nel sangue.27

Una dieta eccessivamente ricca di amidi – principalmente presenti nei prodotti derivanti dai cereali, nelle patate e nel riso – può essere, secondo l’OMS, ina-datta soprattutto nelle prime età, nonostante gli amidi siano facilmente dige-riti e assorbiti dal corpo umano. Un incremento dell’assunzione complessiva di amidi è, invece, generalmente consigliato all’aumentare dell’età del bambino (età scolare), anche se è necessario ricordare come gli studi sull’effetto di diete ricche di amidi nei bambini in età prescolare e scolare appaiano ancora poco numerosi.La terza principale categoria di carboidrati è rappresentata dalle fibre, le quali risultano avere numerosi effetti positivi sulla salute del bambino, fin dalle prime età della vita.In particolare, le fibre hanno un effetto benefico sulla velocità di transito inte-stinale (regolarizzano l’alvo), sulle caratteristiche di assorbimento intestinale

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(rallentano la velocità di assorbimento dei nutrienti, in particolare del coleste-rolo e del glucosio), e sul rischio di sviluppare il sovrappeso (contribuiscono a conferire una minore densità energetica alla dieta e ad aumentare la sazietà). Infatti, cibi ad alto contenuto di fibre sono caratterizzati da una bassa den-sità energetica,28 riducono la risposta glicemica post-prandiale e soddisfano in modo eccellente la fame, limitando l’ingestione complessiva di cibo, con bene-fici effetti anche sui processi digestivi.Frutta e verdura sono alimenti altamente consigliati all’interno della dieta in età prescolare e – se possibile, ancor più – in età scolare. Frutta e verdura, infatti, sono ricche di fibre ma contengono anche un’elevata quantità di micro-nutrienti importanti soprattutto nelle fasi di rapida crescita. Frutta e verdura, inoltre, appaiono avere un vantaggio rispetto ad altri alimenti ricchi di fibre – e quindi consigliati all’interno della dieta dei bambini, quali i cereali integrali e i legumi – poiché, a differenza di questi ultimi, non contengono elementi che possano ridurre l’assorbimento dello zinco e del ferro assunti con il cibo.

il ruolo delle vitamine e dei minerali. Accanto ai principali macronu-trienti, elementi essenziali di una corretta alimentazione per i bambini in età prescolare e scolare sono le vitamine e i minerali.Nel bambino piccolo, un adeguato apporto di vitamina A è necessario per il corretto formarsi della vista, per garantire l’integrità dei tessuti epiteliali e per lo sviluppo e la differenziazione dei tessuti. Svolge, inoltre, un ruolo centrale nel corretto sviluppo del sistema immunitario ed è coinvolta nello sviluppo del gusto e dell’udito.Le fonti principali di vitamina A sono: fegato, prodotti caseari, uova, pesce, margarine e alcuni tipi di frutta e verdura (per esempio le carote e la frutta a colorazione giallo-arancione).Le vitamine B, al pari della vitamina A, svolgono un ruolo fondamentale nella crescita del bambino oltre che nel corretto mantenimento e sviluppo: si trovano prevalentemente nei cereali integrali, nei legumi, nelle arachidi, nella carne, nelle verdure a foglia verde, nelle uova, nel latte e nel pesce.La vitamina C è fondamentale per l’ottimale funzionamento del sistema immu-nitario e per la sintesi del collagene. Inoltre svolge un ruolo di supporto significa-tivo al processo di assorbimento del ferro (soprattutto da fonti vegetali). La vita-mina C è presente principalmente nella frutta e nella verdura, in particolare negli spinaci, nei pomodori, nelle patate, nei broccoli, nelle bacche e negli agrumi.La vitamina D svolge un ruolo essenziale nel metabolismo del calcio (stimolan-done l’assorbimento intestinale), nella funzionalità muscolare, nella prolifera-zione e maturazione cellulare e nel corretto funzionamento del sistema immu-nitario. Le principali fonti alimentari di vitamina D sono rappresentate dai pesci grassi (sardine, salmone, tonno, aringhe), dagli oli di pesce (soprattutto

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olio di fegato di merluzzo), dalle margarine, dai prodotti caseari, dalle uova, dal fegato e dal manzo.Accanto a macronutrienti e vitamine, elementi essenziali della dieta dei bam-bini in età prescolare e scolare sono rappresentati dai minerali: ferro, emoglo-binico presente nella carne e nel pesce e non emoglobinico presente nei cereali, nei legumi, nei fagioli, negli ortaggi e nella frutta; calcio presente nel latte e prodotti derivati, nelle arachidi e nel pesce; magnesio presente nelle noccioline tostate, frutta secca, spinaci crudi e in alcune varietà di ortaggi verdi; fosforo presente nel latte, nel formaggio, nei gamberi, nel salmone, nelle sardine, nelle aringhe e nella verdura a foglia verde; sodio presente nelle salsicce, pane, pro-sciutto, salse, cibi sotto aceto e nel sale aggiunto; zinco presente nella carne rossa, nel fegato, nel pesce, nel latte e latticini, nel grano e nel riso.

l’adolescenza. L’adolescenza è un periodo contraddistinto da un’intensa atti-vità metabolica.29 In questo periodo si registra, infatti, una forte accelerazione della velocità di crescita, sia nei maschi sia nelle femmine.In questa fase l’accrescimento somatico si accompagna a un rapido sviluppo psicologico e comportamentale che conduce il ragazzo/la ragazza a provare un bisogno d’indipendenza e autonomia progressivamente più intenso, che coin-volge in modo rilevante anche i suoi comportamenti alimentari.Durante l’adolescenza l’apporto quotidiano di alimenti dovrebbe essere suffi-cientemente ricco da soddisfare le aumentate richieste dei processi di crescita e, al tempo stesso, le esigenze di carattere preventivo delle patologie metabolico-degenerative caratteristiche dell’età adulta: ipertensione, diabete, arteriosclerosi e tumori.La nutrizione e i temi legati all’adozione di una dieta e uno stile di vita corretti assumono un ruolo fondamentale nell’adolescenza. In quest’età in cui si com-pleta lo sviluppo psicofisico si consolidano le basi di una sana alimentazione che agirà come fattore preventivo per molte patologie delle età successive.Nonostante l’alimentazione degli adolescenti sia tema di grande interesse, solo poche ricerche hanno analizzato i fabbisogni nutrizionali in questa particolare fascia di età. Spesso, infatti, i dati pubblicati nei vari studi riportati dalle asso-ciazioni nazionali e internazionali derivano da estrapolazioni di studi condotti sull’infanzia e sull’età adulta.In assenza di studi approfonditi e sufficientemente ampi (sia nei termini di numerosità del campione studiato sia di riferimento temporale) sui fabbisogni energetici durante la fase dell’adolescenza è difficile stabilire il fabbisogno di un individuo che presenta rapide oscillazioni nel ritmo di crescita da un anno all’altro, con notevoli diversità individuali e tra i due sessi.Nella tabella 4.2 sono riportati gli intervalli del fabbisogno energetico negli adolescenti.

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Questi range sono fortemente influenzati da vari fattori quali peso, composi-zione corporea e livello di attività fisica.Il fabbisogno energetico, nella maggioranza dei casi, viene efficientemente soddisfatto attraverso una fine e automatica regolazione dell’appetito da parte dell’ipotalamo. L’appetito promuove l’assunzione di cibo in quantità adeguata a soddisfare le esigenze energetiche e a fornire i corretti livelli di nutrienti. Il sistema agisce generalmente in modo assai valido nel garantire l’assunzione di quantità di energia sufficiente a soddisfare le necessità metaboliche. Al contra-rio, la regolazione dell’assunzione dei nutrienti può essere non ottimale, com-portando così possibili carenze di determinati elementi.Le esigenze nutrizionali degli adolescenti sono influenzate in primo luogo dalla crescita fisica dell’individuo. Il picco di crescita si ha generalmente tra gli 11 e i 15 anni per le ragazze e tra i 13 e i 16 anni per i ragazzi. Inoltre, il fabbisogno di energia e nutrienti è variabile da giornata a giornata anche nello stesso soggetto.Le più comuni carenze di nutrienti a questa età sono quelle di ferro e calcio.L’anemia dovuta a carenza di ferro è tra le più diffuse malattie che si associano a carenze di tipo alimentare.30 Gli adolescenti possono essere soggetti all’anemia da carenza di ferro, dovuta all’aumentata richiesta tessutale, in particolare nella massa muscolare ed eritrocitaria, che comporta un significativo aumento del fabbisogno di ferro per produrre emoglobina (proteina che trasporta ossigeno) e mioglobina (proteina globulare contenuta nei muscoli).L’incremento della massa magra,31 soprattutto dei muscoli, è più rilevante negli adolescenti maschi che nelle femmine. Nella fase di pre-adolescenza, la massa magra è all’incirca uguale nei due sessi, ma quando incomincia l’adolescenza, nel maschio avviene un maggiore accumulo della massa magra per ogni chilo-grammo supplementare di peso corporeo guadagnato durante la crescita, che lo porta ad avere un valore finale di massa magra quasi doppio rispetto alla femmina.

tabella 4.2 – il fabbisogno energetico nell’età dell’adolescenza per maschi e femmine (kcal/giorno)

età maschi femmine

11-12 anni 1.993 - 2.343 1.739 - 2.048

13-14 anni 2.277 - 2.794 1.864 - 2.297

15-16 anni 2.393 - 2.976 1.898 - 2.338

17-22 anni 2.515 - 3.215 1.942 - 2.411

Fonte: BCFN su dati Società italiana di nutrizione umana, Associazione italiana di dietetica e nutri-zione clinica, 2011.

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È importante che nella adolescenza vi sia un incremento del consumo di ali-menti ricchi di ferro,32 come:• le carni magre e il pesce;• i legumi;• i vegetali di colore verde scuro;• le noci;• i cereali arricchiti di ferro.

gli alimenti ricchi di ferro

Un altro fattore che contribuisce ad aumentare il fabbisogno del ferro è la comparsa del ciclo mestruale nelle ragazze. Le perdite di sangue dovute alle mestruazioni comportano una costante perdita di questo fondamentale oligo-elemento che deve essere reintegrato nell’organismo incrementandone l’assun-zione in quei giorni specifici.Una volta comparse le mestruazioni, le ragazze hanno la necessità di introdurre una quantità di ferro superiore ai maschi di un buon 50%, equivalente a circa 18 mg al giorno contro i 12 mg al giorno dei maschi.Il ferro contenuto negli alimenti non è assorbito nella medesima quantità. Infatti, il ferro di origine animale (denominato anche “ferro eme”) è assorbito meglio di quello proveniente da fonti non animali (denominato anche “ferro non-eme”). Pertanto, gli adolescenti che seguono una dieta vegetariana sono maggiormente esposti al rischio di carenza di ferro. Tuttavia, l’assunzione di cibi ricchi in vitamina C, contenuta negli agrumi, favorisce l’assorbimento del ferro da fonte vegetale.Il calcio ricopre anch’esso una funzione essenziale nell’organismo dell’adolescente in rapida crescita, in quanto entra nella composizione delle ossa e dei denti.Lo scheletro umano racchiude circa il 99% delle riserve corporee totali di cal-cio e l’aumento dello scheletro e del suo peso tocca il punto più elevato durante l’adolescenza.Il 45% circa della massa scheletrica dell’adulto, infatti, si forma durante l’ado-lescenza, anche se la crescita dello scheletro prosegue quasi fino a trent’anni. È evidente come carenze di calcio durante questo periodo possano arrecare dei danni a una corretta crescita dell’individuo. Più nello specifico, le necessità maggiori di calcio si verificano in quella che viene definita “prima adolescenza”, cioè tra i 10 e i 14 anni nelle femmine e tra i 12 anni e i 15 nei maschi. In questo periodo la ritenzione giornaliera media di calcio è di circa 200 mg nelle femmine e 300 mg nei maschi.

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consigli alle madriPersonale sanitario dell’ospedale di Bwindi, in Uganda, fornisce informazioni e suggerimenti sulle proprietà nutritive dei diversi alimenti a un gruppo di madri. Informazioni preziose per chi ha l’onere di procurare e preparare ogni giorno il cibo necessario al sostentamento del nucleo familiare e, in particolare, al nutrimento dei bambini.

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Poiché l’efficienza nell’assorbimento di calcio è solo del 30% circa, è fondamen-tale che la dieta nell’adolescenza fornisca un adeguato apporto di calcio per rag-giungere la maggior densità ossea possibile.L’organismo può depositare nel tessuto osseo in accrescimento la massima quantità di calcio possibile per raggiungere il cosiddetto “picco di massa ossea”, cioè il massimo della calcificazione possibile, solamente durante il periodo dell’adolescenza.La quantità massima di calcio che può essere depositata nelle ossa è determinata geneticamente, ma il picco di massa ossea non potrà mai essere raggiunto se l’in-dividuo non assume una quantità adeguata di calcio con la dieta. Da ciò si evi-denzia quanto sia importante alimentarsi con cibi ricchi di calcio per i maschi e, in modo particolare, per le femmine che negli anni a venire con la comparsa della menopausa saranno più esposte al rischio di osteoporosi. A tal proposito, come si evince dai risultati di alcuni studi,33 raggiungere il “picco di massa ossea” nell’ado-lescenza è cruciale per ridurre il rischio di osteoporosi negli anni successivi.D’altra parte è assai comune che gli adolescenti adottino schemi alimentari carenti in più nutrienti, in base a mode o alla volontà di dimagrire rapidamente e in modo eccessivo. L’osteoporosi rappresenta una delle conseguenze più serie e poten-zialmente irreversibili dell’anoressia nervosa e dei dimagrimenti rapidi ed eccessivi nelle adolescenti, che spesso, quindi, non raggiungono il “picco di massa ossea”.Per gli adolescenti di entrambi i sessi è raccomandata un’assunzione di 1.200 mg di calcio al giorno. La fonte alimentare principale di calcio è rappresentata dai prodotti lattiero-caseari. I formaggi stagionati che sono stati sottoposti a un pro-cesso di lavorazione che ha condotto a una perdita di acqua contengono mag-giori concentrazioni di calcio.Consumando, quindi, varie porzioni di latticini come latte, yogurt, mozzarella e formaggio, si può raggiungere facilmente il livello di assunzione raccomandato di calcio.Sovrappeso e obesità negli adolescenti costituiscono un grave problema nutri-zionale che tende con alta probabilità a persistere nell’età adulta: l’obesità in adolescenza è associata a malattie metaboliche in età adulta e a tassi di morta-lità più elevati.La salute di un adolescente è associata oltre che a un’alimentazione sana e cor-retta anche al movimento fisico.L’attività motoria contribuisce a bruciare calorie, scaricare tensione e stress, migliorare lo stato dell’umore e del benessere psicologico. La costante pratica di attività fisica e sport apporta notevoli benefici all’apparato cardiovascolare al sistema scheletrico e al metabolismo. La regolare pratica motoria favorisce il mantenimento di un peso corporeo adeguato e di una composizione corporea ottimale, rende l’adolescente più forte e lo abitua ad adottare uno stile di vita che gli consentirà di affrontare più in salute gli anni a venire.

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217cibo e bambini: la buona educazione | cibo e salute

A fronte di ciò, la mancanza di attività fisica negli adolescenti riveste un ruolo importante nello sviluppo, nella progressione e nel perpetuarsi di alcune malat-tie come, per esempio, l’obesità. Gli studi effettuati in Europa e negli Stati Uniti hanno rilevato come la gran parte degli adolescenti siano fisicamente poco attivi o adottino uno stile di vita che non preveda un’adeguata attività fisica, in altre parole siano dei sedentari.L’inattività fisica non è soltanto una delle principali cause del sovrappeso e dell’obesità negli adolescenti, ma anche dello sviluppo, nelle fasi successive della vita, di patologie croniche quali malattie cardiache, diabete, ipertensione, stipsi e diverticolosi intestinale, osteoporosi, alcune forme di cancro.Attività sportive e motorie come il nuoto, la ginnastica, il ciclismo ecc. o più semplicemente le passeggiate in bicicletta, il pattinaggio, gli sport con la palla, la danza e l’allenamento con i pesi guidato da un istruttore, per circa 60 minuti al giorno, da tre a cinque volte la settimana, possono contribuire a incrementare la massa e la densità ossea. Ancora, un’adeguata attività fisica è correlata positi-vamente al miglioramento dell’elasticità del corpo, dell’equilibrio, dell’agilità e della coordinazione e al rafforzamento delle ossa.In base alle attuali raccomandazioni 34 gli adolescenti dovrebbero essere fisi-camente attivi per almeno 60 minuti al giorno, che comprendono sia l’attività fisica sportiva sia il gioco.Per una crescita in salute, gli adolescenti non solo dovrebbero praticare attività fisica ma anche alimentarsi in modo corretto. Nello specifico, alimentarsi cor-rettamente significa considerare: la quantità di cibo ingerita; la qualità degli ali-menti assunti con la dieta; la distribuzione di cibo nell’arco della giornata. L’ap-porto calorico dovrebbe essere ripartito come nella figura 4.2.Comportamenti alimentari indirizzati verso un’unica dieta e al consumo ripe-tuto e frequente di pranzi/cene fuori casa aumentano in modo significativo il rischio di sovrappeso e obesità negli adolescenti.35

Varietà significa alimentazione mista che comprende alimenti di origine vege-tale (frutta, verdura, legumi, cereali, semi ecc.) e alimenti di origine animale (carne, formaggio, latticini, prosciutto ecc.) e anche alternanza di alimenti nel corso della settimana.

4.7 le linee guida per l’adozione di una sana alimentazione e uno stile di vita corretto nei bambini e negli adolescenti

Data l’importanza dell’alimentazione durante l’adolescenza, soprattutto nella prevenzione delle principali malattie croniche, governi e organizzazioni inter-nazionali, occupandosi di temi legati alla salute, hanno formulato delle linee guida per la definizione di una dieta equilibrata nei diversi stadi di vita dell’in-dividuo, focalizzandosi nello specifico sull’adolescenza.36

Page 236: Eating Planet 2012

218 eating planet

A livello generale, in termini di suddivisione dei diversi pasti della giornata, è necessario ricordare come la scienza nutrizionale indichi in cinque il numero ottimale di momenti per l’assunzione degli alimenti da parte del bambino.Oltre alle indicazioni più strettamente nutrizionali, appare necessario ricordare come una regolare attività fisica (praticata soprattutto all’aria aperta) sia uno dei fattori ritenuti fondamentali per la salute del bambino e dell’adolescente (avendo, inoltre, importanti ricadute positive sulla riduzione dei rischi connessi al manife-starsi delle principali malattie croniche nelle età successive, fino a quella adulta).Una delle condizioni fondamentali per una dieta alimentare sana è quella della varietà. Da una dieta varia si possono facilmente ottenere i nutrienti che l’adole-scente e i bambini necessitano per la crescita.

4.8 raccomandazioni per scegliere

Alla luce delle evidenze emerse nel corso delle analisi e delle riflessioni svolte, appare opportuno sottolineare, quale punto di partenza, due fondamentali aspetti di carattere generale.In primo luogo, si riscontra a tutti i livelli una crescente consapevolezza dell’im-portanza dell’adozione di corretti stili alimentari nei primi anni di vita della

figura 4.2

La ripartizione dell’apporto calorico durante la giornataFonte: BCFN su dati Società italiana di nutrizione umana, 2011.

Pranzo 35%

Colazione 20%

Merenda a metà mattina 5%

Merenda pomeridiana 10%

Cena 30%

Page 237: Eating Planet 2012

219cibo e bambini: la buona educazione | cibo e salute

Una composizione settimanale adeguata di alimenti potrebbe essere, indicati-vamente, la seguente:• cereali (pane e pasta): tutti i giorni;• frutta e verdura: tutti i giorni;• latte e latticini: tutti i giorni;• carne: 2/3 volte nell’arco della settimana;• pesce: almeno 3 volte la settimana;• formaggi: 2 volte la settimana;• uova: 1-2 volte la settimana;• legumi: almeno 2 volte la settimana.

il menu della settimana per i bambini

Le linee guida che dovrebbero essere seguite per adottare un’alimentazione e uno stile di vita corretti per favorire uno sviluppo sano dell’adolescente sono le seguenti:• adottare una dieta sana ed equilibrata, che alternando quotidianamente tutti i principali alimenti fornisca tutti i nutrienti e micronutrienti (calcio, ferro, vitamine ecc.) di cui l’adolescente ha bisogno;• evitare l’eccessiva introduzione di calorie consumando cibi altamente calorici o con elevate concentrazioni di grassi;• ripartire con equilibrio i nutrienti nella giornata assicurando la presenza di un giusto equilibrio tra apporto di proteine animali e vegetali che deve essere pari a 1, di zuccheri semplici e complessi (attraverso l’assunzione di meno dolci, più pane, patate, pasta o riso), di grassi animali e vegetali (utilizzando meno strutto, burro e più olio di oliva);• ridurre al minimo l’apporto aggiuntivo di sale al fine di ridurre i fattori di rischio di sviluppo di ipertensione, soprattutto in età adulta;• distribuire l’assunzione di cibo in 5 momenti della giornata: colazione, spun-tino della mattina, pranzo, merenda e cena;• evitare di consumare cibi al di fuori dei 5 momenti precedentemente individuati;• svolgere attività fisica per almeno un’ora al giorno comprensiva sia dell’attività sportiva sia del gioco;• ridurre il più possibile la vita sedentaria, in particolare quella passata davanti al video (televisione e computer).

lo stile di vita per gli adolescenti

Page 238: Eating Planet 2012

220 eating planet

persona (fino all’adolescenza) per il mantenimento di buone condizioni di salute anche in età adulta.In secondo luogo, sia a livello scientifico sia sociale sta aumentando sempre più la consapevolezza del ruolo fondamentale della prevenzione delle malattie. A questo proposito, le abitudini alimentari e gli stili di vita svolgono un ruolo decisivo nella prevenzione dell’obesità e delle malattie croniche.A livello di costi sanitari e budget nei bilanci dei paesi occidentali, inoltre, la prevenzione costituisce una delle principali linee di azione per il futuro per garantire la sostenibilità di sistemi sanitari.In tale contesto, tuttavia, la maggior parte degli studi condotti ha finora riguar-dato il mondo degli adulti: problemi di carattere metodologico, economico e organizzativo hanno reso difficile estendere l’indagine, in modo sufficiente-mente dettagliato, a bambini e adolescenti.Nonostante questo, per quanto il quadro di analisi rappresentato all’interno del presente documento si caratterizzi ancora oggi per un elevato grado di fram-mentarietà, le evidenze a favore dell’eccezionale rilevanza di una corretta impo-stazione dello stile alimentare fin dalla più tenera età appaiono innegabili.Sopra ogni cosa, la garanzia di uno stile alimentare corretto per bambini e ado-lescenti passa necessariamente dalla messa in atto di uno sforzo corale dei mol-teplici soggetti (scuola, famiglia, medici pediatri ecc.) che nei diversi momenti della giornata si prendono cura del bambino.La famiglia e la scuola risultano essere, per motivi differenti, i soggetti prin-cipali di un’efficace opera di formazione alla corretta alimentazione, destinata tanto ai giovani quanto – in prospettiva – agli adulti di domani.Da un lato, è in famiglia che il bambino “impara” a mangiare e interiorizza comportamenti alimentari che sarà portato naturalmente ad adottare. Dall’al-tro lato la scuola – in virtù della crescente importanza della sua presenza in ambito alimentare e del suo potenziale di coinvolgimento delle famiglie stesse – potrebbe e dovrebbe svolgere un ruolo realmente attivo nella promozione di

Nell’ottica di promuovere una corretta alimentazione è necessario:• approfondire le conoscenze scientifiche in campo alimentare;• favorire la cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti (medici di base, inse-gnanti, genitori) nell’alimentazione dei giovani;• favorire la diffusione di una corretta informazione alimentare e promuovere la cultura della prevenzione.

informazione alimentare e conoscenze scientifiche

Page 239: Eating Planet 2012

221longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione | cibo e salute

stili alimentari equilibrati, invitando le famiglie a comprendere quali siano le scelte alimentari più adeguate e ad “allearsi” all’interno di una proposta unita-ria di intervento.Infine, un attore chiave per l’instaurarsi di virtuosi percorsi alimentari e di stile di vita è rappresentato dai medici. In particolare, risulta fondamentale – soprat-tutto in prospettiva futura – che il ruolo dei medici e dei pediatri di famiglia possa pienamente divenire, ancor più di adesso, quello di primo gate di accesso alle tematiche relative alla corretta alimentazione e all’adeguata attività fisica per tutti i componenti dei nuclei familiari, nelle loro diverse fasi della vita (dai bambini, agli adolescenti, agli adulti, agli anziani).

longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione

Nel 2025, secondo le stime dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il mondo avrà più di 8 miliardi di abitanti, principalmente a causa dell’aumento generale dell’aspettativa media di vita.

figura 4.3

I diversi attori dell’educazione alimentareFonte: BCFN, 2010.

Medicipediatri

(promuovere)

Alimentazionees�tiledivitadelbambino

Scuola

(educare)Fam

iglia

(cre

scer

e)

Page 240: Eating Planet 2012

222 eating planet

Negli ultimi 100 anni l’aspettativa di vita alla nascita è quasi raddoppiata pas-sando da 45 anni alla fine del 1800 a circa 80 anni nel 2010. Anche la per-centuale di persone anziane, con più di 65 anni di età, è aumentata in modo impressionante; per esempio in Italia è cresciuta dal 4% del 1900 al 20,6% del 2010. Nel 2050, in Italia, le persone con un’età maggiore di 65 anni dovrebbero rappresentare il 34% della popolazione: una persona su tre sarà anziana. Lo stesso trend di crescita della percentuale di persone anziane sta avvenendo a livello mondiale.Nel periodo 1950-2010, la popolazione anziana è aumentata a livello mon-diale a un tasso medio annuo del 13%, evidenziando un trend di crescita che non accenna a fermarsi: si stima che nel 2050 la popolazione over 65 sarà costituita da 1,9 miliardi di persone.Mentre l’aumentata longevità è un fenomeno nel suo complesso positivo, le conseguenze di questi cambiamenti demografici sono per alcuni versi pre-occupanti e potrebbero mettere in crisi i sistemi sanitari di molti paesi, sia industrializzati sia in via di sviluppo: circa l’80% delle persone anziane (età maggiore di 65 anni) è affetto, infatti, da almeno una malattia cronica e circa il 50% è soggetto a due o più patologie croniche (quali, per esempio, patologie cardiovascolari e cerebrovascolari, tumori, diabete mellito, ipertensione arte-riosa, patologie polmonari croniche).37

Tali numeri sono destinati ad aumentare alla luce dell’epidemia di obesità e di diabete attualmente in corso, anche nelle fasce più giovani della popolazione. Il sovrappeso e l’obesità (in particolare quella addominale) si associano a un aumento del rischio di sviluppare patologie cardiovascolari e tumorali, che insieme sono responsabili di circa il 70% delle cause di morte in molti paesi industrializzati e in via di sviluppo.Alla luce di questa nuova realtà, esito dei cambiamenti demografici, dell’epi-demia di obesità e del deterioramento degli stili di vita (vita sedentaria, ali-mentazione ipercalorica, fumo di sigaretta), diviene quindi fondamentale stu-diare e avviare interventi finalizzati alla prevenzione delle patologie croniche associate all’invecchiamento e al miglioramento della qualità della vita, ossia alla riduzione del “gap” tra durata della vita (lifespan) e durata della vita in salute (healthspan). È quanto mai necessario individuare e adottare stili di vita in grado di promuovere un invecchiamento in salute (healthy aging o successful aging), facendo sì che gli individui possano rimanere fisicamente e mental-mente sani, felici, attivi, forti, indipendenti e socialmente utili per il più lungo tempo possibile, idealmente per tutta la durata della loro vita.Senza interventi correttivi sugli stili di vita, l’allungamento della vita potrebbe non comportare l’ottenimento di una vita migliore. Potremmo trovarci in una situazione in cui la vecchiaia è caratterizzata da una qualità della vita notevol-mente ridotta, per un tempo significativamente più lungo.

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acqua, cibo, saluteKibera, Nairobi: un “insediamento informale” da oltre un milione di abitanti con densità abitative elevatissime. Questa scuola, gestita da una ONG locale, costituisce un presidio educativo, fornisce un pranzo quotidiano e acqua per lavarsi e bere, una risorsa tanto scarsa quanto preziosa.

Page 242: Eating Planet 2012

224 eating planet

È perciò necessario affrontare il problema dell’invecchiamento e delle patolo-gie associate all’invecchiamento con un approccio preventivo e integrato. La strategia di combattere la singola malattia solo quando si presenta all’atten-zione del medico è concettualmente sbagliata e non affronta adeguatamente la sfida della riduzione del divario tra lifespan e healthspan.L’invecchiamento, infatti, è un processo causato dal progressivo accumulo, nel corso del tempo, di danni a carico del DNA, delle cellule e degli organi di tutto l’organismo, dovuto al fallimento dei meccanismi di riparazione del danno stesso. L’accumulo di questi danni causa un progressivo declino di molte funzioni fisiologiche e delle strutture vitali dell’organismo.Studi recenti hanno dimostrato come gli stili di vita (nutrizione, attività fisica, esposizione a fumo di sigaretta, sostanze tossiche, radioattive e inquinanti) influenzino pesantemente i processi d’invecchiamento. Per esempio, una dieta ipercalorica, ricca di grassi saturi e povera di nutrienti (vitamine, sali minerali ecc.) e una vita sedentaria promuovono l’insorgenza di obesità, diabete mel-lito, ipertensione arteriosa, patologie cardiovascolari e tumorali e un’accelera-zione dei processi d’invecchiamento. Al contrario, svariate evidenze scientifi-che hanno dimostrato come una dieta moderatamente ipocalorica e ricca in nutrienti sia in grado di rallentare i processi d’invecchiamento e prevenire la maggior parte delle patologie croniche associate all’invecchiamento.Non possiamo prevenire o invertire il processo naturale di invecchiamento; possiamo tuttavia agire in modo incisivo sull’invecchiamento ambientale (o secondario) e influenzare i processi legati all’invecchiamento intrinseco (o pri-mario). È possibile, in altre parole, rallentare i naturali processi di invecchia-mento e intervenire preventivamente sull’insorgenza delle malattie croniche associate agli stessi (obesità, diabete, sindrome metabolica, cancro, malattie cardiovascolari, ipertensione, processi infiammatori).In tale contesto emerge chiaramente il ruolo centrale dell’alimentazione e dello stile di vita adottato da ciascuno di noi nel prevenire l’insorgenza di tali patologie, nel mitigarne gli effetti e quindi, in ultima analisi, nel promuovere una longevità qualitativamente migliore.Diversi studi hanno dimostrato come l’adozione di un corretto stile di vita complessivo e in particolare di un adeguato regime alimentare, possano favo-rire la longevità in salute.Per esempio, alcune autorevoli ricerche scientifiche finalizzate a misurare l’impatto dei comportamenti sull’aumento del rischio di mortalità,38 hanno evidenziato come l’adozione di uno “stile di vita sano” – dal punto di vista del regime alimentare, del consumo di alcol, del fumo e dell’attività fisica – sia un importante fattore per prevenire la mortalità, in quanto consente un allun-gamento dell’aspettativa media di vita molto elevato (compreso tra i 5 e i 14 anni per individuo).

Page 243: Eating Planet 2012

225longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione | cibo e salute

4.9 impatti economici e sociali delle principali patologie su demografia e longevità

Grazie alla crescita economica globale, a un generalizzato miglioramento delle condizioni di vita e al progresso scientifico, l’aspettativa di vita 39 media mon-diale è in aumento costante dall’inizio del secolo: 70,14 anni per le donne, 65,71 anni per gli uomini nel 2010 (figura 4.4). Tuttavia molto dipende dalle

figura 4.4

L’aspettativa di vita mondiale, confronto tra popolazione maschile e femminile (1950‑2030)Fonte: BCFN su dati UN (World Population Prospect), 2010.

48,66

51,01

53,10

57,83

60,42

62,64

64,33

65,76

66,63

67,47

68,65

70,14

71,59

72,75

73,79

74,79

46,67

48,52

49,35

55,05

56,59

58,70

59,85

61,48

62,21

63,08

64,27

65,71

67,09

68,20

69,17

70,09

1950‑1955

1955‑1960

1960‑1965

1965‑1970

1970‑1975

1975‑1980

1980‑1985

1985‑1990

1990‑1995

1995‑2000

2000‑2005

2005‑2010

2010‑2015

2015‑2020

2020‑2025

2025‑2030

0 10 20 30 40 50 60 70 80

Page 244: Eating Planet 2012

226 eating planet

condizioni di partenza: esistono paesi in rapida crescita nella speranza di vita che ancora non presentano condizioni sufficienti di sviluppo economico e sociale. In Bangladesh, per esempio, l’aspettativa di vita maschile nel 2020 raggiungerà i 71 anni (solo 3 anni in meno rispetto alla media europea), pur essendo un paese a suffragio parziale con strutture sanitarie inadeguate e grandi difficoltà nel reperimento di farmaci primari.I valori mondiali sono trainati dalle alte medie occidentali e dagli elevati tassi di crescita nella durata della vita media sperimentati dalle economie emergenti. Una selezione dei dieci paesi OCSE con aspettativa di vita più alta è rappresen-tata nella figura 4.5.Gli Stati Uniti, unico caso tra i paesi sviluppati, stanno iniziando a sperimen-tare un calo dell’aspettativa di vita alla nascita in alcuni Stati. Un importante studio, recentemente reso pubblico,40 ha evidenziato come in Stati quali Mis-sissippi, Arkansas, Kentucky, Tennessee, Oklahoma, Alabama e Louisiana si assista a una progressiva diminuzione dell’aspettativa di vita, soprattutto tra le donne, che registrano i più alti tassi di obesità e consumo di prodotti a base di tabacco. In Mississippi in particolare, Stato con il più elevato tasso di obesità, l’aspettativa di vita è di soli 67 anni per gli uomini e di 74 anni per le donne, valori decisamente più bassi rispetto a quelli dei paesi evidenziati.Come si accennava in precedenza, a livello mondiale la popolazione anziana è in continua crescita e si stima che nel 2050 la popolazione over 65 sarà costi-tuita da 1,9 miliardi di persone. Una quota sempre più importante della popo-lazione sopra i 65 anni di età comporta un aumento dell’inattività economica e della dipendenza dalla popolazione più giovane. L’Europa ha il tasso di dipen-denza (indicatore che registra la percen-tuale di anziani di cui deve farsi carico la parte di popolazione attiva) più alto del mondo e le stime ci dicono che cre-scerà raggiungendo il 48% nel 2050.L’ONU prevede che il tasso di dipen-denza senile aumenterà a livello mondiale dall’11,5% attuale al 25,4% nel 2050. Le

figura 4.5

L’aspettativa di vita in 10 paesi OCSE, confronto tra popolazione maschile e femminile (2010)Fonte: BCFN su dati OCSE, 2010.

86

85

85

85

85

83

84

84

84

84

80

80

80

79

78

80

78

78

77

77

Italia

Giappone

Spagna

Svizzera

Francia

Corea

Australia

Finlandia

Austria

Canada

72 74 76 78 80 82 84 86 88

Page 245: Eating Planet 2012

227longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione | cibo e salute

figura 4.6

La quota di PIL destinata alla spesa sanitaria totale (1960‑2009)Fonte: BCFN su dati OCSE, 2009.

OCSE

Stati Uniti

Regno Unito

Italia

Francia

4 %

5 %

7 %

7 %

8 %

9 %

9 %

10 %

5 %

7 %

9 %

12 %

14 %

16 %

16 %

17 %

4 %

5 %

6 %

6 %

7 %

8 %

9 %

10 %

6 %

7 %

7 %

8 %

8 %

9 %

9 %

10 %

4 %

5 %

7 %

8 %

10 %

11 %

11 %

12 %

1960

1970

1980

1990

2000

2007

2008

2009

0 % 2 % 4 % 6 % 8 % 10 % 12 % 14 % 16 % 18 % 20 %

malattie croniche rappresentano oggi la principale causa di morte nel mondo, tra il 2005 e il 2015 ci si attende che le morti per questo tipo di patologie cre-scano del 17%.Gli effetti sui costi sanitari derivanti da un allungamento della vita (non in buona salute) sono evidenti.La figura 4.6 mostra la crescita della quota di PIL destinata a spese sanitarie

Page 246: Eating Planet 2012

228 eating planet

nella media dei paesi OCSE e in alcuni paesi maggiormente rappresentativi. Negli Stati Uniti, il 17,4% del PIL (circa 2.500 miliardi di dollari) è impiegato in sanità contro il 5% del 1960. Anche in Italia si assiste a un fenomeno di cre-scita, seppur più modesto, con un passaggio dal 6% del PIL negli anni Sessanta al 10% circa di oggi (circa 180 miliardi di euro). Anche in Cina e in India sono previsti forti aumenti nella spesa sanitaria in termini di PIL pro capite.A livello generale, si stima che l’80% dei casi legati alle malattie croniche potrebbero essere prevenuti eliminando alcuni fattori di rischio come il con-sumo di tabacco, i modelli e i costumi alimentari (le diete) poco salutari, l’inat-tività fisica e il consumo eccessivo di alcol.Con l’evolvere dell’età, la prevalenza di queste patologie, con l’aggiunta delle malattie neurodegenerative e dell’osteoporosi, diventa progressivamente più elevata.Questo tipo di malattie colpisce prevalentemente le persone più anziane. Nello specifico la demenza è una condizione che interessa dall’1 al 5% della popo-lazione sopra i 65 anni di età, con una prevalenza che raddoppia ogni quattro anni, giungendo a una percentuale del 30% circa all’età di 80 anni. Recente-mente le statistiche evidenziano anche una diffusione crescente per gli individui sotto i 65 anni (tra il 2 e il 10% dei casi totali). Per demenza si intende gene-ricamente una condizione di disfunzione cronica e progressiva delle funzioni cerebrali che porta a un declino delle facoltà cognitive della persona. Secondo il Global Burden of Disease Report, la demenza costringerebbe gli esseri umani a vivere l’11,9% dei propri anni in una condizione di disabilità cronica e a per-dere l’1,1% degli anni di vita.Tra le patologie che causano demenza è possibile identificare alcuni fattori di rischio comuni anche alle malattie cardiovascolari. I pazienti con alti livelli di rischio cardiovascolare (ipertensione, diabete, alti livelli di colesterolo e fumo) sono spesso più predisposti a incorrere in malattie neurodegenerative (figura 4.7).Il costo mondiale stimato per il 2010 delle demenze ammonta a 604 miliardi di dollari; il 70% dei costi si verificano nell’Europa occidentale e in Nord Ame-rica.41 Questi costi rappresentano circa l’1% del PIL mondiale, e variano dallo 0,24% delle nazioni a basso reddito, allo 0,35% di quelle a medio-basso red-dito, allo 0,50% di quelle a reddito medio-alto, e all’1,24% delle nazioni ad alto reddito. In Inghilterra il costo sociale della demenza (17 miliardi di sterline) supera quello per gli ictus, le malattie cardiache e il cancro.Mentre solo il 38% delle persone affette da demenza vive nei paesi ad alto red-dito, il 72% dei costi è a carico di questi paesi. Nei paesi più poveri una parte fondamentale dell’assistenza è offerta in maniera non ufficiale dai familiari a causa della mancanza di servizi sanitari strutturati e accessibili.In Italia si stimano oggi due milioni di persone colpite da demenza, delle quali circa il 63% ha più di 80 anni. I costi sono elevati sia per il sistema sanitario

Page 247: Eating Planet 2012

229longevità e benessere: il ruolo fondamentale della nutrizione | cibo e salute

figura 4.7

L’incidenza dell’Alzheimer per fasce d’età (2009)Fonte: BCFN su studio EURODEM, 2011.

Donne

Uomini

0 %

2 %

3 %

5 %

5 %

12 %

18 %

32 %

32 %

0 %

0 %

1 %

4 %

7 %

14 %

23 %

32 %

36 %

30‑59

60‑64

65‑69

70‑74

75‑79

80‑84

85‑89

90‑94

> 95

0 % 5 % 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40%

e socio-assistenziale sia per i pazienti e per le loro famiglie. Se si moltiplica il numero di italiani colpiti da demenza per il costo annuo medio per paziente si ottiene una stima del costo totale annuo della demenza in Italia di circa 50 miliardi di euro (10 miliardi per costi diretti e 40 per costi indiretti).L’osteoporosi, invece, è una patologia caratterizzata dalla diminuzione della massa ossea e dal deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. Si tratta di un problema globale in continuo aumento che l’Organizzazione mon-diale della sanità ha identificato come una priorità sanitaria a livello mondiale. Si prevede infatti che l’incidenza delle fratture osteoporotiche sia destinata ad aumentare da 1 ogni 8,1 minuti del 2001 a 1 ogni 3,7 minuti nel 2021.42

Si stima che l’osteoporosi colpisca 150 milioni di persone in tutto il mondo, di cui oltre 75 milioni in Europa, Giappone e Stati Uniti. La maggior parte delle persone malate ha una probabilità pari al 15% di subire fratture al polso, femore e corpi vertebrali, molto vicina a quella di essere colpiti da disturbi alle coronarie.In Europa una donna su tre e un uomo su cinque di età superiore ai 50 anni hanno sperimentato nella loro vita una frattura osteoporotica. Negli Stati Uniti si stima che sebbene solo 10 milioni di persone siano affette da osteoporosi, ben

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230 eating planet

34 milioni abbiano una massa ossea tale da essere a elevato rischio di sviluppare tale patologia.Anche in Italia, l’osteoporosi è una delle malattie croniche associate all’invec-chiamento più diffuse (7%, dopo l’ipertensione, 16% e l’artrosi/artrite, 17,3%), per la quale si evidenziano marcate differenze di genere, in quanto a essere col-pite sono 3,9 milioni di donne e 840 mila uomini.43 All’interno della popola-zione femminile, ne sono affette il 15% delle donne appartenenti alla fascia di età 50-59, più del 30% della classe 60-69 e il 45% della fascia 70-79.L’onere economico dell’osteoporosi è paragonabile a quello delle principali malattie croniche, ma nelle donne di età superiore ai 45 anni, l’osteoporosi è causa di un maggior numero di ricoveri ospedalieri rispetto ad altre malattie, compreso il diabete, l’infarto e il cancro al seno.Nonostante l’accresciuta sensibilizzazione nei confronti della patologia, si pre-vede che il numero di fratture osteoporotiche sia destinato ad aumentare, pari-menti all’invecchiamento della popolazione europea, passando da un costo di 31,7 miliardi di euro del 2000 a circa 76,7 miliardi di euro nel 2050.In Europa i costi sanitari sostenuti nel primo anno dopo una frattura al femore sono stati valutati pari a 14,7 miliardi di euro. Tale importo raggiunge i 25 miliardi di euro se si tiene conto di tutte le fratture osteoporotiche.Il paese che sostiene i costi maggiori è la Germania, con 9,4 miliardi di euro, seguita dall’Italia con 6,7 miliardi di euro e dal Regno Unito con 5,8 miliardi di euro.

4.10 la relazione tra longevità, patologie e ruolo dell’alimentazione e degli stili di vita

Come detto, a fronte di una durata della vita attesa in aumento e del dramma-tico incremento della diffusione delle principali patologie croniche è probabile che – nel futuro prossimo – l’umanità sperimenti per la prima volta nella storia moderna una vecchiaia caratterizzata da una qualità della vita media non otti-male e per un tempo significativamente più lungo.È quanto mai necessaria l’individuazione di stili di vita e alimentari in grado di prolungare l’intervallo di vita disease free contemporaneamente all’allunga-mento della vita stessa.Di seguito si presentano, in modo sintetico, le principali evidenze relative alla relazione tra la longevità e le patologie più rilevanti (diabete, tumori, obesità, malattie neurodegenerative e osteoporosi), evidenziando il ruolo positivo gio-cato dall’alimentazione e dall’adozione di adeguati stili di vita.

il diabete. L’approccio nutrizionale è riconosciuto unanimemente quale stru-mento fondamentale per prevenire l’insorgenza e la cura del diabete di tipo 2 e

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prevenire e/o mitigare lo sviluppo e la gravità delle patologie e delle complica-zioni direttamente correlate con il diabete stesso.Particolarmente importante per la prevenzione del diabete di tipo 2 e per il miglioramento di alcuni fattori di rischio a esso associati appare essere il con-tenimento dell’adiposità addominale: numerosi studi hanno dimostrato come quest’ultima rappresenti un fattore maggiormente determinante rispetto al generale indice di massa corporea nel rischio di diabete di tipo 2, essendo anche strettamente correlata all’insulino-resistenza, elemento centrale nella patologia diabetica.Dal momento che sovrappeso e obesità risultano avere numerosi effetti negativi in relazione ai fattori legati all’insorgenza del diabete (principalmente sull’in-sulino-resistenza), programmi mirati al cambiamento degli stili di vita – nella direzione di una riduzione del peso corporeo e di un aumento dell’attività fisica – appaiono in grado di incidere positivamente sulla probabilità di contrarre il diabete di tipo 2. Una riduzione del 5-7% del peso corporeo, abbinata a una regolare attività fisica di due ore e mezza alla settimana e a una strategia ali-mentare che preveda la riduzione dell’assunzione di grassi e calorie è in grado di ridurre sensibilmente (−60%) il rischio di diabete di tipo 2.A fronte di tali relazioni, appare evidente come il sovrappeso e l’obesità, soprattutto quella addominale, siano fattori che impattano in modo negativo sull’aspettativa di una longevità in salute, concorrendo ad aumentare il rischio dello sviluppo di diabete di tipo 2.

i tumori. I tumori sono causati da una moltitudine di fattori: uno stile di vita e una dieta alimentare non corretta sono sicuramente fra i fattori che aumen-tano la probabilità di malattie tumorali.Uno dei più importanti fattori di origine non alimentare è il fumo di tabacco che aumenta di circa 30 volte il rischio normale di ogni individuo di contrarre tumori ai polmoni: è responsabile per l’80% dei casi nei paesi sviluppati ed è la tipologia di tumore più comune a livello mondiale. Il fumo di tabacco è anche uno dei principali fattori di rischio per il tumore alla bocca, alla laringe e all’esofago.A fronte di tali relazioni appare evidente come il consumo di prodotti a base di tabacco, per le ricadute sull’organismo, sia un fattore che impatta in modo significativo sull’aspettativa di vita degli individui.Con riferimento alla tipologia di dieta adottata, alcuni studi hanno stimato che l’adozione di una dieta scorretta rappresenti un fattore di incidenza del 30% nelle malattie tumorali, secondo fattore dopo il fumo di tabacco.L’International Agency for Research on Cancer ha evidenziato come il sovrap-peso corporeo e l’inattività fisica rappresentino fattori che incidono tra il 20% e il 35% nei casi di insorgenza di tumore alla mammella, al colon, ai reni e

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all’esofago. Situazioni protratte nel tempo, ma anche temporanee, di obesità e sovrappeso corporeo rappresentano fattori che aumentano il rischio d’insor-genza di varie tipologie di tumori, in particolare quello al colon-retto.Come già emerso nel caso del diabete, si conferma l’importanza fondamentale di mantenere un corretto peso corporeo per prevenire l’insorgenza delle malat-tie tumorali e, quindi, per aumentare l’aspettativa di vita in buona salute.Considerando il consumo di alcol, dagli studi è emerso come il consumo di bevande alcoliche sia il principale fattore di rischio di natura alimentare per il tumore alla bocca, alla laringe e all’esofago. Se al consumo di alcol, si aggiunge il fumo di tabacco, si spiega oltre il 75% di tutte le malattie tumorali alla cavità orale.Dai risultati si evince, pertanto, come il consumo di alcol abbia impatti nega-tivi sull’invecchiamento, a fronte dell’aumento di probabilità di insorgenza di patologie tumorali.

le malattie cardiovascolari. I cambiamenti che si verificano nella struttura della popolazione e che vedono un costante aumento dell’aspettativa media di vita e quindi del numero di persone appartenenti a fasce di età più alte rendono maggiormente incidenti le patologie più tipiche di questa fase della vita.Tra queste patologie, con un periodo di latenza più lungo rispetto alle malattie infettive, vi sono le malattie cardiovascolari che, oltre a essere legate ai diversi fattori ambientali, dipendono moltissimo dalle abitudini alimentari, dallo stile di vita e da comportamenti precedenti alla manifestazione della malattia: taba-gismo, abuso di alcol, sedentarietà ecc.Molti studi 44 condotti da autorevoli società scientifiche evidenziano i compor-tamenti alimentari e le abitudini personali utili alla riduzione dei rischi di con-trarre malattie cardiovascolari, soprattutto in età avanzata.Nello specifico le principali evidenze della letteratura internazionale sulla relazione tra alimentazione e patologie cardiovascolari sottolineano i seguenti comportamenti: sono salutari un consumo quotidiano di frutta e verdura, l’as-sunzione di acido eicosapentaeonico e acido docosaesaeonico (contenuti princi-palmente nel pesce) e una corretta assunzione di acidi grassi n-6 e di potassio, un’adeguata attività fisica e un modesto consumo di alcol.Fattori che incrementano significativamente il rischio di contrarre malattie car-diovascolari sono l’assunzione di elevate quantità di acidi grassi saturi, alte con-centrazioni di sodio nel sangue, la persistenza di situazioni di sovrappeso ed elevati consumi di alcol.Tutti gli studi sono concordi nell’affermare che, benché le malattie cardiova-scolari si verifichino più frequentemente nella mezza età o in età più avanzata, i fattori di rischio che le determinano sono collegati in gran parte a comporta-menti appresi durante l’infanzia e la giovinezza e proseguiti in età adulta.

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mangiare nello slum globaleLa formazioni di vaste aree di povertà e marginalità sono tra gli effetti dei fenomeni di inurbamento che hanno portato, nel 2008, allo storico sorpasso tra popolazione rurale e popolazione urbana. In queste realtà i programmi di educazione alla salute e all’alimentazione cercano di limitare i danni causati da condizioni di vita particolarmente dure.

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le malattie neurodegenerative. L’aumento dell’aspettativa media di vita ha condotto all’emergere di grandi problematiche di salute pubblica a causa dell’au-mento del peso sociale di malattie croniche invalidanti, determinate dall’invec-chiamento stesso. Le demenze, come malattie neurodegenerative, sono disturbi primari che tendono a instaurarsi o ad aggravarsi con l’avanzare dell’età.Indipendentemente dal quadro patologico, si può constatare come il danno sia il risultato di una interazione tra predisposizione genetica e fattori ambientali. Tra questi si possono annoverare lo stile di vita, l’alimentazione, gli agenti infet-tivi e le tossine ambientali.Per quanto riguarda l’alimentazione, in particolare, la relazione tra carenza di nutrienti e demenze è stata messa in evidenza da tempo. Uno studio 45 condotto sull’analisi di vari fattori protettivi endogeni ed esogeni nel siero di pazienti affetti da demenza del tipo Alzheimer o vascolare ha rilevato diminuzioni signi-ficative dei livelli di vitamina E, C, carotenoidi, zinco e albumina, riflettendo un possibile nesso tra una non corretta alimentazione e la malattia.Per quanto riguarda invece il morbo di Parkinson, si è riscontrato 46 come l’associazione di vitamina E, betacarotene, vitamina C e flavonoidi – compo-sti chimici naturali molto diffusi in numerosi frutti (agrumi, mele, albicocche ecc.), ortaggi (cavoli, broccoli, spinaci, pomodori, finocchi, cipolle ecc.), nonché in alcune bevande (vino rosso, tè, succhi di frutta) – possa proteggere contro l’insorgere della malattia.47

A livello complessivo, vi sono prove 48 del fatto che le demenze siano associate a un’insufficienza di magnesio (contenuto in molti prodotti alimentari, come cere-ali, noci, mandorle, arachidi, grano saraceno, cacao, germe di grano, lenticchie, verdure verdi, ma anche carni e farinacei), di cui è nota l’azione protettiva, nel cervello. Ciò potrebbe essere causato sia da un basso apporto dietetico del mine-rale sia da una scarsa capacità dell’organismo di trattenerlo in modo fisiologico.Esistono fattori che mettono inoltre in relazione demenze come l’Alzheimer e le demenze di tipo vascolare. L’ipercolesterolemia, già nota come fattore di rischio per le malattie aterosclerotiche, può essere infatti concausa anche nello sviluppo di demenza di tipo Alzheimer.Studi sui livelli di colesterolo e sul rapporto tra acidi grassi saturi/polinsaturi presenti nella dieta 49 stabiliscono un coinvolgimento del metabolismo dei grassi nella neurodegenerazione, evidenziando come un elevato consumo di grassi saturi e colesterolo aumenti il rischio di malattie cardiovascolari a cui è sicu-ramente associabile lo sviluppo di demenze. Per questo motivo una dieta a ele-vato contenuto di pesce è correlata in modo inversamente proporzionale all’in-cidenza di demenze in genere e della malattia di Alzheimer in particolare.Uno studio, condotto nel 2004, ha approfondito il ruolo giocato da frutta e verdura nella malattia di Alzheimer, dimostrando come le donne anziane, che più delle altre avevano consumato vegetali ricchi in folati e antiossidanti (caro-

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tenoidi e vitamina C), come nel caso di vegetali a foglia verde e crucifere (per esempio cavoli, broccoli, crescione, rapa, ravanello), presentavano un declino cognitivo inferiore rispetto alle donne con bassa assunzione di queste verdure.50

Anche il controllo dell’assunzione di calorie nella dieta sembrerebbe avere un ruolo nella prevenzione di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Per esempio, alcune popolazioni di Cina e Giappone presentano basse assunzioni caloriche medie giornaliere (1.600-2.000 calorie al giorno) e una minore inci-denza della malattia di Alzheimer in confronto ad abitanti degli Stati Uniti o dell’Europa occidentale, la cui dieta ha un contenuto tipicamente superiore alle 2.000 calorie al giorno.51

In sintesi, benché gli studi condotti a proposito del rapporto tra dieta e malattie neurodegenerative evidenzino collegamenti diretti tra dieta e processi neurode-generativi piuttosto “sfumati”, è opportuno ricordare come le abitudini dieteti-che possano comunque certamente contribuire a definire il profilo di rischio di un individuo, assieme a tutte le componenti biologiche e di comportamento che condizionano il suo stato di salute.

l’osteoporosi. Una buona nutrizione, in termini di dieta bilanciata e adeguato apporto calorico, è essenziale per una normale crescita e per lo sviluppo di tutti i tessuti, compreso l’osso. Quindi, la valutazione dello stato nutrizionale e un’adeguata anamnesi alimentare sono momenti fondamentali nella valutazione del profilo di rischio per l’osteoporosi.Studi recenti 52 hanno evidenziato come l’assunzione quotidiana di vitamina D associata al calcio riduca fino all’8% il rischio di fratture, costituendo quindi un essenziale strumento per il successo di un eventuale trattamento contro l’osteoporosi.La carenza di vitamina D è molto comune nella popolazione anziana, sia per un ridotto introito, sia a causa di un diminuito assorbimento intestinale, una diminuita sintesi cutanea e una ridotta conversione alla forma di vitamina più attiva. Gli alimenti con un maggior contenuto di tale vitamina sono il fegato, gli oli di pesce (soprattutto l’olio di fegato di merluzzo), i pesci grassi come sal-mone e sardine, il latte e i derivati (soprattutto il burro) e le uova.Altri studi hanno evidenziato come, sebbene non si possa attribuire l’insor-genza 53 di tale patologia esclusivamente a carenze di calcio, l’importanza di questo elemento nella prevenzione dell’osteoporosi sia fondamentale se si tiene conto quanto, in tutte le fasce d’età, la dose di calcio assunta ogni giorno sia in realtà inferiore rispetto a quella consigliata.Dal punto di vista nutrizionale, per prevenire l’osteoporosi occorre prevenire le perdite di calcio, dovute principalmente a fattori quali l’eccessivo consumo di proteine animali, l’eccessivo consumo di cloruro di sodio nella dieta, l’eccessivo consumo di alcolici, il fumo e il sovrappeso.

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In conclusione, gli studi condotti, pur riscontrando come già anticipato un legame moderato tra alimentazione e prevenzione dell’osteoporosi, sono con-cordi nell’evidenziare come la prevenzione debba cominciare in età precoce, quando l’apporto di calcio attraverso gli alimenti viene assorbito dall’organismo e contribuisce effettivamente al consolidarsi della densità ossea.In età adulta e durante la vecchiaia, infine, il rallentamento della patologia osteo po ro ti ca non può prescindere dall’adozione di una dieta corretta – carat-terizzata dalla riduzione dell’apporto di sodio, un aumentato consumo di frutta e verdura, l’assunzione di un minimo di 400/500 mg di calcio, l’eliminazione dell’alcol – nonché di uno stile di vita sano caratterizzato da una moderata atti-vità fisica, dal mantenimento di un peso corporeo equilibrato, e dall’elimina-zione del fumo.

4.11 stati infiammatori e restrizione calorica: possibili interventi per rallentare i processi di invecchiamento

Dopo l’esame di quelle che sono le sempre più numerose evidenze di correla-zione fra corretti stili di vita, alimentazione ed effetti preventivi (o al contrario favorenti) l’insorgenza delle patologie non trasmissibili più diffuse, si introdu-cono brevemente gli elementi di maggior interesse relativi a due recenti aree di ricerca che potranno, nel prossimo futuro, dare ulteriori conferme e aprire nuovi scenari di comprensione sulla possibilità di vivere meglio e a lungo.

gli stati infiammatori e la longevità. L’invecchiamento è un processo causato dal progressivo accumulo nel corso del tempo di danni a carico del DNA, delle cellule e degli organi di tutto l’organismo, dovuto al fallimento dei meccanismi di riparazione dei danni stessi. L’accumulo di questi danni causa un progressivo declino di molte funzioni fisiologiche e delle strutture vitali dell’organismo.Il potenziale di longevità di ogni individuo è strettamente legato al corretto funzionamento delle cellule che svolgono ruoli protettivi e di riparazione conti-nua all’interno dell’organismo. Queste cellule possono, tuttavia, esaurire la loro capacità di replicazione – e quindi il loro potenziale riparativo – più o meno velocemente nel corso della vita, a seconda di alcuni fattori.L’esaurimento della capacità di riprodurre le cellule “consumate” nei processi riparativi porta al progressivo sopravvento di fenomeni infiammatori e dege-nerativi, come l’arteriosclerosi. Alcune malattie croniche degenerative possono derivare da una progressiva incapacità a far fronte a situazioni di infiamma-zione continua e al progressivo fallimento dei processi riparativi (malattie neu-rodegenerative).Altre malattie e condizioni di salute, come diabete e obesità, producono invece

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uno stato infiammatorio nel sangue e nei tessuti capace di generare un più intenso utilizzo dei processi riparativi determinandone il precoce esaurimento, che si traduce in un accorciamento dell’aspettativa di vita.In tale contesto, un numero crescente di studi scientifici enfatizzano il legame tra le differenti patologie croniche e lo stato di infiammazione “silente” gene-rato dall’adozione di modelli alimentari scorretti. In tali studi si evidenzia come il tipo di modello alimentare adottato possa influenzare positivamente o nega-tivamente le risposte infiammatorie dell’organismo. Tale livello d’infiamma-zione sarebbe “basso”, cioè inferiore al dolore e quindi “silente”. La prolungata presenza di tale livello silente d’infiammazione, che comporta un consumo più veloce dei processi riparativi dell’organismo, ha un impatto in ultima istanza sull’insorgenza di malattie croniche e, quindi, sulla longevità e la qualità della vita della popolazione.Secondo questa interpretazione, i telomeri (regione terminale dei cromosomi) – che hanno la funzione di evitare la perdita di informazioni durante la fase di duplicazione dei cromosomi a seguito della riproduzione cellulare che avviene nei processi riparativi – vedono ridursi la loro lunghezza fino a quando non riescono più a esplicitare la loro funzione protettiva nei confronti dei cromo-somi. Le cellule, quindi, non riescono più a riprodursi correttamente, invec-chiano e muoiono.In altre parole, il processo avviene nel modo seguente: ogni volta che una cel-lula si duplica rimette una sequenza di telomeri e, quando ha dato fondo alle sue sequenze, muore.Se, già in passato, era ben noto come ferite o attacchi microbici fossero causa di risposte infiammatorie dell’organismo, da alcuni anni si fa strada la consapevo-lezza che anche i modelli alimentari possano influenzare positivamente o nega-tivamente le risposte infiammatorie dell’organismo.L’infiammazione cellulare “silente” diventa, quindi, una delle basi interpreta-tive sull’origine di diverse malattie croniche, in quanto elevati livelli di infiam-mazione, provocati dalla tipologia di modello alimentare adottato, implicano “azioni di riparazione” dell’organismo che vedono nei telomeri un ruolo prima-rio. Come detto in precedenza, maggiore è la frequenza e l’intensità con cui i telomeri sono chiamati a riparare, maggiore è la velocità con cui si accorciano fino a esaurirsi.La dieta alimentare adottata dagli individui di una popolazione diventa un fat-tore determinante nella cura degli stati infiammatori prodotti da situazioni di obesità,54 diabete e presenza di malattie cardiovascolari.

le restrizione calorica e la longevità. La seconda area di ricerca riguarda lo studio degli effetti sui parametri fisiologici e sui processi biochimici dell’or-ganismo di un approccio alimentare che vede nella riduzione dell’intake calo-

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rico, a patto che vi sia la corretta assunzione di tutti i nutrienti qualitativamente e quantitativamente necessari, un’influenza positiva sull’allungamento in con-dizioni di salute ottimale della vita.Alla luce delle diverse ricerche condotte – molte delle quali oggi ancora in corso – sull’influenza dell’alimentazione sulla salute, è possibile affermare che la restri-zione calorica senza malnutrizione (intesa quale riduzione dell’introito calorico fino a un limite del 50%, ma con adeguata assunzione di vitamine e sali mine-rali) risulta essere uno dei più potenti interventi di rallentamento dell’invecchia-mento e aumento della durata della vita in molti modelli animali.55

Centinaia di studi sugli animali da esperimento hanno dimostrato che la restri-zione calorica previene o rallenta l’insorgenza della maggior parte delle malat-tie croniche associate all’invecchiamento, e allunga la durata della vita media e massima fino a un massimo del 50%.56 Per esempio, la restrizione calorica riduce drasticamente (fino a un massimo del 60% in meno) il rischio di svilup-pare patologie tumorali (che sono la prima causa di morte nei roditori).57

Infine, come evidenziato da studi svolti da Shimokawa et al. (1993),58 circa il 28% dei roditori in regime di restrizione calorica muore per morte naturale in tarda età senza significative lesioni anatomopatologiche, mentre solo il 6% dei roditori che mangiano ad libitum muore senza nessuna patologia. Questi dati suggeriscono che nei mammiferi l’invecchiamento non è inevitabilmente asso-ciato all’insorgenza di malattie croniche, e che è possibile vivere una lunga vita senza ammalarsi. Molti studi sono in corso per comprendere quali siano i mec-canismi metabolici e molecolari alla base di questo fenomeno.I meccanismi alla base dell’effetto anti-invecchiamento della restrizione calo-rica sono complessi e non del tutto chiariti. In termini generali, in presenza di una riduzione dell’apporto calorico (ma con un adeguato e corretto apporto di nutrienti), l’organismo rallenta i processi di invecchiamento e potenzia i sistemi deputati al riparo del danno: la natura, in un certo senso, si mette in una con-dizione di stand-by e protezione se percepisce la mancanza di nutrimento.Un recente studio ha evidenziato come una riduzione dell’introito calorico del 30% per venti anni nelle scimmie sia in grado di ridurre la mortalità per cancro e malattie cardiovascolari del 50%. Le scimmie in restrizione calorica erano, inoltre, completamente protette contro l’obesità e il diabete mellito. In que-sto studio i ricercatori hanno anche dimostrato un significativo rallentamento dell’atrofia di alcune aree del cervello nelle scimmie in restrizione calorica rispetto a quelle che mangiavano ad libitum.Non è ancora noto se un regime di restrizione calorica con l’adeguato apporto di tutti i micronutrienti essenziali sia in grado di rallentare l’invecchiamento anche nell’uomo. Tuttavia, gli studi condotti su un gruppo di individui che si sono volontariamente sottoposti, per circa otto anni, a un regime di restri-zione calorica con nutrizione ottimale (consumando almeno il 100% dei livelli

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raccomandati per ogni nutriente) hanno dimostrato riduzioni significative dei maggiori fattori di rischio cardiovascolari, dell’infiammazione, della pressione arteriosa, dell’insulinemia, della glicemia, dello spessore intimale delle arterie carotidi, e di alcuni ormoni e fattori di crescita.Accanto ai numerosi effetti positivi riscontrati dagli studi sin qui condotti, è necessario, tuttavia, sottolineare come una restrizione calorica eccessiva possa, di contro, condurre a gravi danni alla salute, come per esempio osteoporosi, sarcopenia, immunodeficienza, anemia, riduzione della temperatura corporea e sensibilità al freddo, riduzione della libido, infertilità e amenorrea.Rispetto a queste due ultime aree di ricerca più innovative (stati infiammatori causati dalla dieta alimentare e restrizione calorica) è opportuno rilevare come i risultati delle ricerche e degli studi effettuati non siano ancora pienamente con-solidati e non conducano a evidenze conclusive con riferimento alla generalità degli individui. È infatti opportuno distinguere tra esperimenti e studi condotti su cellule, su animali ed esperimenti e studi sull’uomo. Infatti, la generalizza-zione dei risultati positivi, ottenuti su specifiche cellule o su animali, alla specie umana non è per nulla scontata.L’alta complessità generata dalla contemporanea interazione di fattori diversi e il tema in oggetto si pone al confine attuale della ricerca medico-scientifica e, pertanto, le diverse ipotesi e i risultati ottenuti sono ancora parziali e destinati a essere validati o confutati in modo più organico nel prossimo futuro.

4.12 raccomandazioni per scegliere

L’approfondimento sulla relazione tra alimentazione e longevità è nato dal desiderio di comprendere e rappresentare il grado di conoscenza scientifica acquisita relativamente al legame tra corretta alimentazione e aspettativa di vita in buone condizioni di salute. L’obiettivo è non tanto vivere più a lungo, ma piuttosto vivere meglio, più a lungo.Il primo dato importante emerso dal lavoro è che i processi di invecchiamento riguardano ciascuno di noi, una volta usciti dall’età della crescita, paradossal-mente fin dalla nascita.All’interno del nostro organismo, i processi di rigenerazione delle cellule sono costantemente attivi e il fatto che i meccanismi di riparazione cellulare siano mantenuti in buone condizioni di funzionamento lungo l’arco dell’intera vita incide sulla nostra speranza e qualità di vita complessiva.Ancora una volta, emerge come estremamente rilevante la relazione tra una cor-retta alimentazione e i molteplici processi che sottendono all’invecchiamento e ai processi di infiammazione cellulare, oltre alle conclamate relazioni di preven-zione delle patologie non trasmissibili, che sono un fattore cruciale nell’accelera-zione del processo d’invecchiamento.

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“Mangiare bene oggi per vivere meglio oggi”, si potrebbe dunque dire con uno slogan. Non solo, bisogna però aggiungere: “Mangiare bene oggi per vivere meglio e più a lungo anche domani”.

• promuovere l’ulteriore approfondimento delle conoscenze scientifiche disponibili sul rapporto fra alimentazione e salute. È necessario approfon-dire gli studi relativi ai meccanismi di invecchiamento e di riparazione delle cellule; studiare in modo ancora più approfondito le relazioni geni-nutrienti-malattie; promuovere in modo sistematico la ricerca sul tema della restrizione calorica; favorire ulteriori studi su quei modelli alimentari che, per motivi diversi, già oggi forniscono evidenze rilevanti nella prevenzione di malattie cro-niche e nel prolungamento della vita in salute.• favorire la diffusione di una corretta informazione ed educazione alimentare al fine di promuovere l’adozione di adeguate abitudini ali-mentari e di vita. È necessario uno sforzo di comunicazione intenso da parte dei governi, delle società scientifiche, della classe medica e delle imprese pri-vate. Esistono stili di vita che costituiscono un’assicurazione per un’età adulta e avanzata condotta in buone condizioni di salute: è necessario che vi sia, a que-sto riguardo, un adeguato livello di informazione.• strutturare politiche e interventi socio-sanitari al fine di promuovere concretamente la diffusione di sani comportamenti alimentari, anche guardando alle best practices internazionali in questo campo. Occorre tro-vare – con il concorso integrato di tutti i soggetti coinvolti, secondo una logica di sistema – nuove modalità di trasmissione delle conoscenze scientifiche dispo-nibili in ambito di alimentazione e salute, perché vengano tradotte in interventi concreti in grado di avere un impatto reale sui comportamenti delle persone.

i punti sull’alimentazione e la longevità

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intervista le aziende devono adottare comportamenti responsabili

Marion Nestle

Recenti e accreditati studi hanno dimostrato l’ importanza della prevenzione all’ interno delle politiche sanitarie. Tutta-via, i temi legati alla prevenzione rimangono più sul piano “teorico” che pratico e faticano a entrare nella vita di tutti i giorni. Come superare queste difficoltà? E quali sono le politi-che di prevenzione più adeguate e le best practices?

Non è difficile richiamare alla mente molti esempi di poli-tiche di prevenzione che si sono dimostrate efficaci per la società. Tali politiche, volte alla prevenzione di malat-tie o danni, agiscono su due fronti: cambiano l’ambiente oppure cambiano i comportamenti. Un esempio classico di misura di sanità pubblica – la chiusura della pompa dell’acqua di Broad Street a Londra per prevenire la dif-fusione del colera – rappresenta un cambiamento ambien-tale, non focalizzato quindi sui comportamenti indivi-duali. Anche la clorazione e la fluorizzazione dell’acqua per prevenire lo sviluppo di carie dentaria sono misure che agiscono sull’ambiente.

Ma suppongo che interessino maggiormente le politiche volte a cambiare i comportamenti. Le leggi che impongono agli automobilisti di utilizzare le cinture di sicurezza o ai motociclisti e ai ciclisti di indossare il casco ne sono chiari esempi, a cui si possono aggiungere le politiche contro il fumo che, san-cendo l’applicazione di tasse, di avvertenze sui pacchetti di sigarette, il divieto di fumare nelle scuole e negli uffici così come su autobus e aeroplani, hanno reso il fumo talmente costoso e disagevole che molte persone hanno smesso. In tutti questi esempi sono stati necessari interventi decisi da parte dei governi per l’attuazione delle politiche.Tornando all’alimentazione e all’obesità, il cibo non è paragonabile alle siga-rette e le politiche volte a cambiare l’ambiente o le abitudini alimentari sono necessariamente più complicate. Il fumo coinvolge un solo prodotto, il mes-saggio è semplice – smettere – e l’obiettivo finale dei sostenitori della campa-gna contro il fumo è far chiudere i battenti alle aziende produttrici di sigarette.Ma le persone hanno bisogno di mangiare. Il messaggio dovrà quindi essere “mangiare meno” o “mangiare questo piuttosto che quello”. E nessuno intende far chiudere i battenti all’industria alimentare. Ciò che vogliamo è che le aziende adottino comportamenti più responsabili, producano prodotti più sani

MarionNes�tleè una delle più importanti nutrizio-niste su scala globale. Scrittrice e professoressa universitaria, è specializ-zata sul tema della poli-tica del cibo e delle scel-te alimentari. Ha scritto Food Politics (2002), Safe Food (2003), e What to Eat (2003). Food Politics è stato premiato più volte.È titolare della cattedra Paulette Goddard presso il Dipartimento di Nutri-zione, studi alimentari, e salute pubblica (di cui è stata direttrice dal 1988 al 2003) della New York University, dove insegna anche Sociologia. È inoltre Visiting Professor presso la Cornell Division of Nu-tritional Sciences.

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e smettano di pubblicizzare come sano del cibo spazzatura e di indirizzare le loro campagne ai bambini.Quindi la regolamentazione dell’ambiente o delle scelte alimentari individuali pone diverse tipologie di sfide. La principale è come influenzare ciò che le per-sone mangiano e quanto mangiano. Si tratta di una nuova area di regolamenta-zione e negli Stati Uniti si stanno sperimentando misure quali la dichiarazione del contenuto calorico nelle etichette, la tassazione delle bibite e programmi di incentivi a favore di una dieta più ricca di frutta e verdura. Porzioni eccessi-vamente abbondanti influenzano significativamente l’apporto calorico (hanno infatti più calorie!) e in questo momento l’attenzione è focalizzata sulla ricerca di modalità per incoraggiare i ristoratori a ridurre le porzioni delle portate ser-vite. Sono al vaglio delle agenzie governative le possibilità di regolamentare la pubblicità di prodotti alimentari rivolta direttamente ai bambini così come i loghi con cui si presentano le confezioni per fare in modo che indichino le qua-lità nutrizionali. Auspico che venga anche migliorata la regolamentazione in materia di health claims nell’etichettatura degli alimenti. Purtroppo l’industria alimentare esercita spesso una strenua opposizione contro misure di questo tipo ed è stato difficile per le agenzie di regolamentazione registrare dei passi avanti. Inoltre non sappiamo ancora se questo tipo di azione sarà funzionale alla lotta contro l’obesità. Considerando il costante aumento dei tassi di obesità, in par-ticolare in età pediatrica, sembra opportuno percorrere anche la strada delle misure ambientali.

Il patrimonio di conoscenze scientifiche in materia di alimentazione è ampio e in continua crescita. Tuttavia esiste la possibilità concreta di migliorare notevolmente il grado di comprensione delle dinamiche cibo-salute. Quali temi di studio o di conoscenza hanno secondo lei maggiore rilevanza nella relazione cibo-salute, anche in prospettiva?

L’educazione, come chiunque studi educazione sanitaria sa bene, è solo il primo passo sulla strada verso il miglioramento comportamentale. Le misure di carat-tere ambientale sono tendenzialmente più efficaci, in quanto non dipendono dalle scelte individuali.Se però vogliamo rendere efficaci anche gli interventi di carattere educativo, dobbiamo iniziarli nella prima infanzia.Oggi negli Stati Uniti gran parte delle azioni sul fronte dell’alimentazione sono concentrate sulla riforma dei pasti serviti nelle mense scolastiche, che nel corso degli anni erano diventate sempre più simili a fast food. Tra gli obiettivi figura l’introduzione di alimenti più sani. I programmi più all’avanguardia puntano sul cibo di origine locale, cucinato bene, proponendo ai bambini un’ampia varietà di gusti e sapori. Alcune scuole hanno realizzato degli orti per inse-

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gnare ai bambini come si pianta, coltiva, raccoglie, prepara e consuma il cibo: un modo per fare seguire in diretta agli alunni il percorso del cibo. I primi riscontri da questi esperimenti indicano che, proprio come si prevedeva, i bam-bini esposti a programmi di questo tipo hanno migliori abitudini alimentari e dimostrano un maggior interesse per la varietà degli alimenti.Sia nel caso degli adulti sia dei bambini, i programmi educativi si trovano a contrastare le conseguenze del marketing nel settore alimentare. Ogni anno, le aziende alimentari investono miliardi di dollari nella promozione dei propri prodotti, soprattutto in televisione, ma sempre più anche nei nuovi media elet-tronici. Le persone di ogni fascia d’età sono esposte alle pubblicità di prodotti alimentari nell’arco di tutta la giornata fino al punto che la promozione del cibo fa ormai parte del background della vita quotidiana e passa inosservata. Per avere successo, la pubblicità dei prodotti alimentari non deve essere notata. Come mi ha spiegato un direttore della comunicazione, “il marketing deve elu-dere il radar del pensiero critico”. Posta questa premessa, l’obiettivo dell’edu-cazione alimentare deve essere chiaramente quello di diffondere un approccio critico rispetto al marketing di prodotti alimentari in tutte le sue sfaccettature: pubblicità, posizionamento dei prodotti nei supermercati, distributori automa-tici nelle scuole, caramelle alle casse dei negozi e dei centri commerciali e pre-senza di caffetterie all’interno delle librerie. Notare le forme di marketing del cibo è il primo passo per capire come opporvi resistenza.

Quanto oggi conosciamo in materia di alimentazione è già sufficiente per dare vita a una massiccia, pervasiva, scientificamente ineccepibile campagna di comunica-zione su scala globale capace di portarci a risparmiare un numero estremamente significativo di vite umane e migliorare la qualità della vita sul pianeta. Quali azioni ritiene siano da intraprendere per migliorare i processi di comunicazione ai fini dell’adozione di stili di vita e comportamenti alimentari in linea con le cono-scenze scientifiche disponibili?

Non penso che la soluzione al problema vada cercata prevalentemente nella comunicazione. È molto più probabile che siano efficaci i cambiamenti ambien-tali, in quanto l’educazione punta a cambiare i comportamenti individuali, ma per la maggior parte delle persone il cambiamento risulta troppo difficile. Biso-gna cambiare l’ambiente alimentare in modo che per gli individui sia più facile fare delle scelte alimentari più sane.Detto ciò, il messaggio di base per prevenire l’obesità è piuttosto semplice: mangiare meno (e, ovviamente, fare più movimento), ma anche mangiare meglio. Ma vorrei aggiungere un altro punto: agire a livello politico. Si sa che la comunicazione da sola non farà la differenza, a meno che i messaggi veico-lati non siano accompagnati da cambiamenti sostanziali dell’ambiente alimen-

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tare. Il semplice dire alle persone di non fumare non ha cambiato di una virgola le abitudini legate al fumo. Affinché la gente smettesse di fumare sono state necessarie politiche che hanno reso le sigarette più costose, difficili da usare e socialmente inaccettabili.Se in tutto il mondo la gente deve mangiare meno e meglio, dobbiamo con-tribuire alla creazione di un contesto che favorisca scelte alimentari più sane. Poiché l’obesità ora è un problema di carattere globale, i messaggi e i cambia-menti delle politiche dovranno essere adattati alle specifiche culture alimentari dei diversi paesi, ma il messaggio di base “mangiare meno” è fondamentale.Tuttavia, prima di arrivare a questo messaggio è fondamentale che ogni mem-bro della popolazione abbia accesso a quantità di cibo sufficienti per vivere e crescere in salute. A tal fine è necessario prestare grande attenzione alle disu-guaglianze in termini di reddito e al divario economico sempre maggiore tra ricchi e poveri. Alla base di molti problemi di salute vi è infatti la disugua-glianza di reddito.Ma torniamo al “mangiare meno” come elemento essenziale nella prevenzione dell’obesità. “Mangiare meno” è, ahimè, molto negativo per le aziende. Anche il “mangiare meglio” si trova di fronte un’industria alimentare determinata a ven-dere cibo trasformato e molto redditizio, trascurando le conseguenze che questo può avere per la salute. È per questo che gli sforzi profusi a livello mondiale per prevenire l’obesità devono essere incentrati sulla regolamentazione del marke-ting del cibo, in particolare delle comunicazioni rivolte ai bambini. I governi dovrebbero fare quanto in loro potere per disincentivare il consumo di snack e bibite zuccherate. Dovrebbero garantire che i menu proposti ai bambini nella refezione scolastica siano sani ed equilibrati. Dovrebbero varare politiche agri-cole che promuovano la produzione e il consumo di verdure e altri alimenti di origine vegetale prestando attenzione a una dieta varia e scoraggiando l’assun-zione di prodotti alimentari molto elaborati.Il miglioramento degli ambienti alimentari per promuovere la salute andrà a vantaggio dei singoli individui e della popolazione in generale, contribuendo anche a ridurre il peso economico e sociale delle patologie croniche legate all’obesità, che difficilmente i governi potranno sostenere in futuro.

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intervista condividere la responsabilità sui bambini

Aviva Must

La garanzia di uno stile alimentare corretto per bambini e adolescenti sembra passare necessariamente dalla messa in atto di uno sforzo corale, esito del contributo dei molteplici soggetti (scuola, famiglia, medici pediatri, associazioni sportive ecc.) che nei diversi momenti della giornata si prendono cura del bambino. Famiglia e scuola appaiono, per motivi differenti, i soggetti principali di un’efficace opera di formazione alla cor-retta alimentazione, accanto ai pediatri. Quali azioni sono necessarie per favorire la cooperazione tra i diversi soggetti coinvolti, a vario titolo, nell’alimentazione dei bambini?

Concordo pienamente sul fatto che infondere sane abitu-dini alimentari a bambini e adolescenti sia una responsabi-lità condivisa tra più soggetti. Oltre alla pluralità di attori bisogna prendere in considerazione anche l’influenza della cultura, dei valori sociali e delle politiche regionali e nazio-

nali. Con riferimento agli attori più prossimi ai bambini, quindi la famiglia, il personale scolastico e gli operatori sanitari, è essenziale un coordinamento tra i diversi contesti in cui i bambini trascorrono parte della giornata. I genitori sono indubbiamente fondamentali: sono loro che stabiliscono quali alimenti entrano in casa e le regole familiari relative a quali cibi possono essere consu-mati, quando e dove, così come alla gestione degli spuntini. I genitori, soprat-tutto prima dell’età adolescenziale, spesso predispongono il necessario (in ter-mini organizzativi e di attrezzature) affinché i propri figli partecipino ad atti-vità sportive strutturate. Per i bambini più piccoli le possibilità di gioco libero sono solitamente limitate al contesto della vita familiare.Le scuole sono importanti ambienti di supporto e le politiche scolastiche pos-sono intervenire direttamente sull’alimentazione dei bambini, che spesso con-sumano proprio in questo contesto la colazione, il pranzo e la merenda, pra-ticamente quasi la metà della propria dieta. Le scuole che offrono servizi di refezione per gli studenti dovrebbero proporre esclusivamente pasti e merende nutrizionalmente equilibrati e di alta qualità. A livello di politiche, alcune scuole hanno bandito i distributori automatici e limitato le tipologie di alimenti che possono essere proposti nei menu delle caffetterie interne. Gli istituti scola-stici dovrebbero prendere in considerazione politiche che vietino la presenza di nomi commerciali, marchi o altri personaggi pubblicitari nei programmi di stu-dio o in altro materiale scolastico. Negli Stati Uniti, nei programmi di studio

Aviva Mus�t insegna Pu-blic Health and Commu-nity Medicine presso la School of Medicine della Tufts University, dove è preside del relativo Dipar-timento. È anche direttore del Clinical and Commu-nity Research Core del Boston Obesity Nutrition Research Center.La sua principale area di ricerca riguarda l’epide-miologia dell’obesità, con particolare attenzio-ne agli effetti dell’obesità in periodi critici della vita, quali l’adolescenza e la gravidanza.

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delle scuole secondarie non figura più l’insegnamento di “competenze culina-rie”, sebbene la sua reintroduzione sarebbe molto utile e andrebbe quindi valu-tata seriamente, in quanto l’assenza di capacità culinarie rappresenta un impe-dimento grave rispetto all’adozione di una dieta sana in ambito domestico, dove sempre più spesso i giovani si devono preparare i pasti in autonomia.Inoltre, l’attività fisica durante la giornata scolastica, in classe o durante l’inter-vallo, rappresenta circa la metà dell’attività fisica che il bambino svolge nell’arco dell’intera giornata. Un efficace insegnamento dell’educazione fisica dovrebbe essere incentrato sullo sviluppo di capacità utili lungo tutto l’arco dell’esistenza, garantendo la partecipazione di tutti gli studenti, indipendentemente dalle loro doti sportive. Anche nei doposcuola è importante prestare attenzione al cibo servito e all’attività fisica.Il pediatra riveste un ruolo importante, perché i genitori lo considerano una fonte fidata di informazioni sulla salute. Fin dalle prime visite di controllo, que-sta figura assume un ruolo centrale nel fornire alle madri informazioni e consi-gli utili per l’alimentazione del bambino. Ponendo domande su quali alimenti complementari vengono offerti al bambino, quali liquidi vengono proposti nel biberon e se al piccolo viene permesso di andare in giro con il biberon in mano, il pediatra acquisisce informazioni sul comportamento dei genitori e può fornire loro consigli. A mano a mano che il bambino cresce, come forma di cura pre-ventiva i medici dovrebbero chiedere informazioni sulle abitudini alimentari, per esempio se la famiglia consuma dei pasti insieme, sull’attività fisica svolta e sul tempo trascorso davanti allo schermo (televisione, videogame e attività al computer). I medici possono promuovere sane abitudini familiari, come consu-mare i pasti insieme, spegnere il televisore durante i pasti e non introdurre un televisore nella stanza dei bambini. I medici dovrebbero anche applicare le linee guida sul monitoraggio del peso, che negli Stati Uniti prevedono un controllo annuale avvalendosi del BMI (peso in chilogrammi/altezza al quadrato).

A fronte della crescente diffusione dell’obesità e del sovrappeso fin dai primi anni di vita e delle potenziali conseguenze di tali disturbi, che persistono sempre più anche in età adulta (aumento del rischio di malattie croniche), quali azioni possono essere messe in campo o sono state messe in campo con successo per favorire la diffusione di corretti stili di vita e alimentari fin dall’ infanzia?

L’incremento del numero di bambini obesi e in sovrappeso è un fenomeno che osserviamo in tutte le fasi dell’infanzia, a partire dai primissimi anni di età. Alla nascita i bambini oggi pesano di più, in parte a causa del maggior peso delle madri all’approssimarsi dell’età riproduttiva. Quindi vi sono buone proba-bilità di successo intervenendo sulle donne prima della gravidanza.I dati disponibili indicano che nella prima infanzia i bambini allattati al

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seno sono esposti a una maggiore varietà di sapori e hanno minori probabi-lità di diventare obesi negli anni successivi. Sebbene questa correlazione non sia ancora del tutto provata, potrebbe rispecchiare la relazione alimentare madre-bambino, dove, nel caso dell’allattamento al seno, il lattante controlla la quan-tità assunta più di quanto non faccia un bambino allattato con latte artificiale.In tutti i contesti in cui ha luogo la cura dei bambini bisognerebbe stabilire politiche sugli alimenti proposti, sull’uso della televisione e sulle possibilità di svolgere attività fisica, e, una volta che sono state stabilite, occorre un mecca-nismo per garantirne l’applicazione. Per quanto riguarda l’ambito domestico, l’individuazione di linee guida e la relativa diffusione supporterebbe i genitori nel loro compito di garantire una dieta sana per i bambini piccoli. Negli Stati Uniti sono state sviluppate linee guida per l’alimentazione dai due anni, ma indicazioni per i bambini al di sotto di quest’età, in particolare sulla limitazione dell’uso di bevande zuccherate, rappresenterebbe un primo utilissimo passo. Sarebbero molto proficue anche politiche relative all’attività fisica e alla cadenza temporale ottimale dei controlli di peso dei giovanissimi.

Negli ultimi anni è emersa con sempre maggior consapevolezza l’esistenza di un ruolo tanto possibile quanto necessario dell’ industria agroalimentare nel contribuire attivamente alla realizzazione di proposte e offerte coerenti alle indicazioni sui cor-retti stili alimentari e di vita nei bambini e negli adolescenti. Quali azioni possono essere identificate e concertate con le industrie alimentari al fine di promuovere sani stili di vita e alimentari fin dall’ infanzia?

Concordo con il ruolo chiave che l’industria agroalimentare può rivestire. Si tratta di un compito tanto possibile quanto necessario.Purtroppo molte delle idee migliori devono fare i conti con deterrenti econo-mici. Ci si auspica che le aziende del settore “investano nella salute”, ponendo come criterio base delle proprie attività l’aumento della produzione di prodotti sani. Si potrebbero riformulare gli alimenti affinché abbiano un minor apporto energetico, un maggiore apporto di nutrienti e affinché le porzioni siano più adeguate. Per esempio, nel settore beverage si potrebbero ridurre le quantità di dolcificante utilizzate nelle bibite zuccherate. I consumatori si adatterebbero velocemente a un sapore meno dolce, proprio come hanno fatto con i sapori più dolci. Con riferimento ai processi di trasformazione del cibo, l’aggiunta di nutrienti chiave a prodotti che per il resto non sono sani è una strategia che potrebbe non portare i vantaggi attesi, in quanto i consumatori non sarebbero più in grado di distinguere i cibi sani da quelli dannosi in una situazione in cui la varietà e le possibilità di scelta sono sempre maggiori. Inoltre la commercia-lizzazione di prodotti alimentari a basso contenuto di nutrienti è una pratica industriale che va a detrimento di sani stili di vita e dovrebbe essere limitata.

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intervista l’impatto degli stili di vita sull’invecchiamento

Alex Kalache

A partire dall’ inizio del XX secolo, l’aspettativa di vita media nei paesi industrializzati è fortemente aumentata grazie al costante miglioramento delle cure mediche e a importanti sco-perte scientifiche. Nel contempo sono tuttavia emerse patolo-gie come diabete, patologie cardiovascolari e tumori; nell’ul-timo decennio sono inoltre esplosi sovrappeso e obesità. Ciò ha provocato un aumento significativo delle spese mediche e un costante cambiamento generalizzato degli stili di vita. Consi-derando i diversi concetti di durata della vita e durata della vita in salute, siamo proprio certi che vivere più a lungo corri-sponda a vivere meglio?

Stiamo in realtà correndo seriamente il rischio di trasfor-mare il maggiore traguardo del XX secolo – un aumento di oltre trent’anni dell’aspettativa di vita alla nascita a livello mondiale, e anche superiore nella maggior parte del mondo sviluppato – in uno dei problemi più gravi del XXI secolo. È assurdo. È necessario adottare urgentemente poli-tiche e interventi per garantire la buona salute e la qualità della vita con l’aumentare dell’età degli individui. Risultati importanti conseguiti negli ultimi decenni sono chiara-mente a rischio. Per illustrare questo punto mi richiamo a un saggio scritto dal ricercatore canadese Pierre-Carl Michaud insieme a collaboratori provenienti da entrambe le sponde dell’Atlantico, pubblicato nel luglio scorso nel

prestigioso Journal of Social Sciences and Medicine.Da questo documento si evince che negli anni Settanta gli Stati Uniti erano primi a livello mondiale in termini di aspettativa di vita alla nascita, mentre quarant’anni dopo sono stati superati da paesi europei di pari sviluppo socio-economico. Ora gli americani vivono 18 mesi meno delle loro controparti euro-pee, nonostante gli Stati Uniti spendano nella sanità più del doppio come per-centuale del loro PIL. Il saggio si fonda su uno studio dettagliato che conclude affermando che “la differenza tra Usa ed Europa scomparirebbe se la diffusione dell’obesità negli Stati Uniti fosse uguale a quella dell’Europa”.Gli autori sottolineano come la responsabilità non debba essere ricercata nell’inef-ficienza del sistema sanitario americano, in quanto gli americani non muoiono prima a causa di mancanze del loro sistema sanitario, bensì a causa del loro stile

AlexandreKalacheè uno dei massimi esperti al mondo sui temi legati all’invecchiamento, con particolare riferimento all’assistenza agli an-ziani, all’epidemiologia dell’invecchiamento. È stato direttore del Dipar-timento di Ageing and Life Course dell’Organiz-zazione mondiale della sanità (OMS) dal 2004 al 2008. Nel 2002 ha isti-tuito l’Active Ageing Po-licy Framework, e ha lan-ciato il Global Movement on Age Friendly Cities.È presidente dell’Inter-national Longevity Cen-tre (Brasile), direttore dell’International Centre for Policies on Ageing di Rio de Janeiro, Senior Advisor to the President on Global Ageing presso la New York Academy of Medicine, consulente per i governi municipali e sta-tali a Rio de Janeiro e San Paolo così come per il go-verno federale di Brasilia.

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di vita dominante. Lo studio suggerisce inoltre che i metodi per correggere un comportamento non sano siano particolarmente significativi tra le persone di mezza età, ovvero intorno ai 50 anni. Quanto prima si anticipa l’adozione di uno stile di vita sano, tanto meglio per l’individuo, ovviamente; però la mezza età è una soglia fondamentale per conseguire importanti benefici in termini di salute.Se vivere di più non significa necessariamente vivere meglio, sembra che gli ameri-cani conducano non solo una vita più breve, ma anche peggiore. L’obesità non solo riduce la loro aspettativa di vita, ma influisce negativamente anche sulla qualità della stessa. Le patologie associate all’obesità – come il diabete, i problemi osteo-muscolari, i disturbi cardiovascolari e alcune forme di tumore – non solo provo-cano una morte prematura, ma anche molti anni di sofferenza indotta dalla mor-bilità e disabilità. Inoltre incidono in misura significativa sui costi sanitari, sottra-endo miliardi di dollari al settore pubblico, che potrebbero essere invece utilizzati per interventi e politiche di tipo educativo, ambientale e ricreativo, che comporte-rebbero un miglioramento della qualità di vita per la popolazione in generale.

Le moderne teorie indicano che alla fonte delle diverse patologie non trasmissibili ci possa essere una stessa origine: stati di infiammazione cellulare progressivi che poi sfociano in patologie conclamate. Numerose ricerche in corso dimostrano che un approccio di riduzione dell’apporto calorico costituisce un’arma potente di riduzione dell’ infiammazione. Come si possono ridurre gli stati infiammatori adottando una dieta equilibrata e uno stile di vita sano?

Se da un lato non siamo in grado di comprendere pienamente il processo dell’invecchiamento biologico, non vi sono dubbi che gli stili di vita lo influen-zano in maniera significativa. Nel corso degli ultimi decenni, diversi studi hanno confermato l’importanza del nostro comportamento in relazione alle patologie associate all’età. Il controllo di quattro fattori di rischio modificabili per le malattie non trasmissibili comporterebbe una drastica riduzione della loro morbilità e mortalità: stili di vita sedentari, fumo di tabacco, regimi ali-mentari non salutari e consumo eccessivo di alcol.Un’infiammazione cellulare progressiva sembra essere all’origine del meccani-smo patogenico. Il problema è come implementare politiche sostenibili. Studi condotti su campioni animali indicano che una riduzione del numero di calorie ingerite provoca un significativo allungamento della vita, ma mancano ancora conferme in relazione agli esseri umani. Risultati simili potrebbero allungare la durata della vita degli individui fino a 150 anni o anche oltre. Tuttavia, le prove disponibili in tali studi evidenziano che potrebbe essere necessario ridurre l’apporto calorico a livelli che non sarebbero accettati facilmente da una grande maggioranza della popolazione.Il fatto stesso che l’obesità sia diventata un tale problema di sanità pubblica a

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livello mondiale mostra che – in assenza di un intervento sostanziale per inver-tire le tendenze recenti – gli esseri umani mangiano più di quanto necessitano e bruciano meno calorie di quanto dovrebbero. Pensate per esempio a quanto viene messo in atto in paesi in via di sviluppo quali Brasile, Messico, Giamaica, India e Filippine. Non appena il livello socio-economico raggiunge una certa soglia, ne consegue un’ondata di consumo eccessivo di cibo a cui si accompagna l’adozione di uno stile di vita sedentario. I dati recentemente diffusi sul Brasile, per esempio, mostrano che metà della popolazione adulta è ora in sovrappeso, e di questa circa il 15% è addirittura obesa. Indici equivalenti degli anni Settanta e Ottanta erano una frazione di queste cifre, il che indica la velocità di diffu-sione delle tendenze negative.I cambiamenti dello stile di vita che si rivelano più accettabili per la popola-zione dovrebbero essere perseguiti strenuamente. Questo orientamento richie-derebbe però una combinazione di ricerche di mercato (per stabilire quali sono le preferenze della popolazione a livello di comportamenti salutari e per sti-molarle) con politiche fiscali e legali che permettano di sostenere gli approcci più efficaci. Per esempio, condurre ricerche per scoprire quali cibi sani sono più facilmente accettati dalla popolazione (campagne di marketing attraverso i media) a prezzi accessibili (politiche fiscali che riducano la tassazione di frutta e verdura), creando al contempo barriere per scoraggiare gli alimenti non sani (per esempio politiche legali per proibire i grassi trans-saturi o la fornitura di bevande zuccherate nelle mense scolastiche).

Oggi la qualità della vita è un fattore imprescindibile a cui nessuno vuole rinun-ciare. La prevenzione fin dai primi anni di vita e il cambiamento dello stile di vita negli adulti, inteso come abitudini alimentari e attività motoria, diventa un approccio non più rimandabile. Quali sono i suoi suggerimenti, da un punto di vista nutrizionale, per un invecchiamento sano?

L’Organizzazione mondiale della sanità definisce “invecchiamento attivo” il processo di ottimizzazione delle opportunità di salute, partecipazione e sicu-rezza per aumentare la qualità di vita con l’aumentare dell’età degli indivi-dui. Ciò comporta un approccio che riguarda l’intero corso della vita: prima si comincia a investire nella propria salute, tanto maggiore è il beneficio che si ottiene per la propria esistenza. La salute è il perno (a cui aggiungere un apprendimento permanente) tramite il quale garantire la partecipazione, men-tre il secondo pilastro è il concetto di “invecchiamento attivo”. Infine, la sicu-rezza: un sistema che garantisca assistenza e tutela adeguate alle persone che non invecchiano in buona salute, in modo da consentire loro di beneficiare di una minima qualità di vita; per quanto basso possa essere il loro livello residuo di capacità funzionale (autonomia).

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Da un punto di vista nutrizionale – e coerentemente con il principio dell’invec-chiamento attivo – le diete salutari devono essere promosse il prima possibile e rese sostenibili per tutto il corso della vita. È più facile a dirsi che a farsi, in quanto la diffusione di cibi dolci e pasti veloci, la disponibilità di alimenti eco-nomici ad alto contenuto calorico e basso apporto nutritivo, nonché le politi-che di marketing estremamente aggressive contribuiscono a favorire nei bam-bini l’acquisizione precoce di abitudini alimentari non salutari. Inoltre, in alcune culture, gli stili culinari non sono affatto sani, si pensi per esempio alla “dieta bianca” a base di carboidrati raffinati e zucchero raffinato e ricca di grassi (cibo fritto), sale e, spesso, alcol. La si confronti con la dieta mediterranea (consumo elevato di olio di oliva, cereali non raffinati, frutta e verdura, consumo moderato di latticini, assunzione da moderata a elevata di pesce, basso consumo di carne e assunzione moderata di vino) o con quella Okinawa (poche calorie e grassi, elevato consumo di verdure gialle e verdi, nonché di semi di soia e altri legumi, assunzione da bassa a moderata di pesce, poca carne, praticamente niente uova o latticini). Inevitabilmente alcune culture predispongono gli individui a buone scelte alimentari, mentre altre inducono cattive abitudini. Politiche e interventi finalizzati a promuovere e sostenere diete sane dovrebbero essere attuati il prima possibile nella vita, senza essere trascurati verso la mezza età o addirittura esclusi in età avanzata partendo dal presupposto errato che “è troppo tardi”. A questo proposito, alcuni studi condotti recentemente dal professor Ng Tze Pin di Singa-pore hanno dimostrato l’importanza del concetto di “cibo sano in mente sana”, non solo tramite l’assunzione di un’elevata quantità di frutta, verdura e fibre, pochi grassi ecc., ma anche dimostrando che alcuni ingredienti sono in grado di proteggere gli individui dalla demenza senile in età avanzata, quali il tè verde (polifenoli) o il curry giallo (i cui ingredienti fondamentali sono la curcuma e il cumino), che hanno forti proprietà antiossidanti e antinfiammatorie.

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adottare una dieta equilibrata e uno stile di vita attivo

Esiste un nesso evidente, diretto e intenso tra stili di vita e salute. Nell’ambito degli stili di vita, l’alimentazione gioca un ruolo decisivo.L’adozione di una dieta equilibrata, come per esempio quella mediterranea, pre-senta elementi estremamente positivi in tema di salute. Una dieta equilibrata e a basso contenuto di zuccheri, grassi, sale, e alto contenuto di frutta, verdura e cereali, riduce in modo significativo i fattori che possono causare stati di malat-tia, infermità e, in alcuni casi, morte prematura.

prevenire comportamenti e stili di vita scorretti fin dall’infanzia

Esiste un’elevata correlazione tra i comportamenti in ambito alimentare nei primi anni di vita e l’insorgenza di malattie in età adulta. Per questo è fondamentale promuovere comportamenti alimentari corretti fin dalla prima infanzia, nella consapevolezza che la garanzia di uno stile alimentare corretto per bambini e adolescenti passa necessariamente dalla messa in atto di uno sforzo corale, esito del contributo dei molteplici soggetti (scuola, famiglia, medici pediatri e industria alimentare) che nei diversi momenti della giornata si prendono cura del bambino.

mantenere un sano regime alimentare per tutta la vita

Negli ultimi 100 anni l’aspettativa di vita alla nascita è quasi raddoppiata passando da 45 anni alla fine del 1800 a circa 80 anni nel 2010. Tali risultati sono frutto del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, delle scoperte medico-scientifiche e dell’aggiornamento continuo delle tecniche medico-sanitarie. Nonostante l’allungamento della vita media, la salute non sembra migliorare di pari passo: circa l’80% delle persone anziane (età mag-giore di 65 anni) è affetto, infatti, da almeno una malattia cronica e circa il 50% è affetto da due o più patologie croniche.A fronte di una durata della vita attesa in aumento e del drammatico incre-mento della diffusione delle principali patologie croniche è probabile che – nel futuro prossimo – l’umanità sperimenti per la prima volta nella storia moderna una vecchiaia caratterizzata da una qualità della vita media non ottimale, per un tempo significativamente più lungo.Servono, dunque, azioni volte non tanto a incrementare ulteriormente il tempo della vita, quanto piuttosto a vivere meglio, più a lungo, anche indagando più a fondo campi particolarmente innovativi quali il nesso tra stati infiammatori e insorgenza delle malattie croniche, e i benefici ottenibili attraverso regimi di restrizione calorica con nutrizione ottimale.

proposte e azioni

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sommario

introduzione Food for Peace: un appello per la mobilitazione

della buona volontà di Shimon Peres

dati e fatti chiavela dimensione culturale del cibo

5.1 Il rapporto cibo-cultura: le origini5.2 Il cibo diventa comunicazione e convivialità5.3 Delizia e disgusto: la classificazione culturale del mangiabile5.4 Cibo: ruoli sociali, di genere e di potere5.5 Il valore simbolico degli alimenti nelle grandi fedi religiose5.6 Le proibizioni alimentari: cibo e purezza5.7 Cibo e cultura: un legame indissolubile

le grandi tradizioni culinarie e la realtà del cibo oggi

5.8 Le grandi tradizioni culinarie5.9 Il cibo oggi: sfide e prospettive5.10 Verso una nuova visione dell’alimentazione5.11 Linee guida per ridefinire la relazione uomo-cibo

la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare

5.12 Le caratteristiche salienti della dieta mediterranea5.13 La dieta mediterranea e gli aspetti sociali: l’importanza della commensalità5.14 La mediterraneità oggi: il declino di un modello5.15 Come recuperare il significato della mediterraneità

interviste Costruire la cultura della responsabilità di Joaquín Navarro-Valls

Chi controlla il cibo controlla la democrazia di Vandana Shiva

La guerra della consumer culture e il sistema alimentare: quali implicazioni per il modello mediterraneo? di Michael Heasman

proposte e azioni

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5.CiBo e culturaFood for Culture affronta il tema del rapporto tra l’uomo e il cibo, evidenziando l’importanza del recupero del suo valore culturale nel contesto attuale. Oggetto di studio sono le grandi tradizioni alimentari, prima fra tutte la Mediterranean way, e la loro evoluzione, così come le grandi contaminazioni in corso. Particolare attenzione viene posta ai comportamenti legati al cibo e all’esigenza di riscoprirne gli aspetti di convivialità.

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Nel mondo attuale, in continua evoluzione, Food for Peace, ossia cibo per la pace, è diventata una questione impellente e fondamentale da affrontare con urgenza. Non posso fare a meno di ricordare le parole di John F. Kennedy che racchiudono la vera e propria essenza del ruolo del cibo all’interno della nostra società globale: “Il cibo è forza, pace e libertà, nonché un aiuto per i popoli del mondo con cui desideriamo instaurare rapporti di buona volontà e amicizia”.Per le generazioni passate, la fonte di sussistenza e alimen-tazione era rappresentata dalla terra e quindi la preoccu-pazione principale era legata al territorio, delimitato da confini e caratterizzato da un’economia nazionale. Oggi la terra, come fonte di sussistenza e alimentazione, è stata sostituita dalla scienza e dalla tecnologia, che consentono di vincere la povertà e promuovere un futuro di speranza e prosperità. Sono come un vento nuovo e fresco che spazza via i confini, rompe le barriere, cancella le distanze, e ha un’influenza globale, come l’economia attuale.Grazie ai progressi scientifici, ora l’aspettativa di vita è maggiore e la mortalità infantile è diminuita; ciò ha con-tribuito alla crescita demografica, da cui sono emerse però

altre criticità che richiedono nuove risposte. In quest’era globale, parallelamente all’incremento della popolazione assistiamo non solo all’aumento dei consumi alimentari ma anche delle aspettative, ed è fondamentale riuscire a trovare le giuste risposte per fronteggiare la crescente domanda di cibo.Ma le soluzioni non sono molte. L’acqua comincia a scarseggiare, la desertifica-

5.ciboe culturaFood for Peace: un appello per la mobilitazione della buona volontàShimon Peres, Presidente dello Stato di Israele

shimon peres è Presi-dente di Israele dal giugno 2007. Politico, pensatore, artefice del sionismo, Shi-mon Peres ha ricoperto le principali posizioni di responsabilità dello Stato di Israele come uomo di Stato, amministratore pub-blico, parlamentare. È stato primo ministro dal 1984 al 1986 e dal 1995 al 1996.Grazie al suo impegno di lungo termine nel proces-so di pace, e in particolare grazie all’avvio del proces-so di Oslo, è stato insigni-to del Premio Nobel per la Pace nel 1994, assieme al primo ministro Yitzhak Rabin e a Yasser Arafat.

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zione si sta diffondendo e gli animi si stanno inasprendo. In altre parole, è più facile procreare bambini che produrre cibo per loro. È più semplice offrire sogni che realizzarli.Il Medio Oriente vive in uno stato di tensione. È stato teatro di conflitti e guerre. Ora gli occorre un futuro carico di speranza. Ha bisogno di pace, pro-sperità e benessere per la sua gente e di cibo per i suoi bambini. A tal fine è necessario attingere alla buona volontà delle persone che condividono questo sogno, collaborando nel perseguimento di un obiettivo comune.Non esistono limiti alle potenzialità umane. Israele, un paese minuscolo, in cui le risorse sono praticamente assenti, ne è la prova. Data la scarsità di risorse idriche e territoriali e la totale assenza di petrolio non avevamo altra scelta che smettere di coltivare la terra per sviluppare il settore dell’alta tecnologia. L’agri-coltura di Israele si basa più sulla tecnologia che sulle risorse idriche e territo-riali. Di conseguenza, abbiamo incrementato di venti volte le nostre coltivazioni annuali utilizzando una quantità d’acqua esigua. Grazie al potere dell’innova-zione, i paesi possono sconfiggere i deserti.Quindi guardiamo alla scienza come a una sorgente di cibo e di vita. La dimi-nuzione del consumo di acqua, l’aumento dell’energia pulita, lo sviluppo di col-ture che richiedono una quantità idrica esigua, il riutilizzo dell’acqua per il fab-bisogno domestico e per l’uso agricolo al fine di potenziare la produttività, sono tutti settori in cui abbiamo maturato un’esperienza che desidereremmo condi-videre con tutti, perché secondo noi, la povertà rappresenta il peggiore pericolo che dobbiamo affrontare.Solo il 23% della superficie del globo ospita coltivazioni agricole, e possiamo adoperarci per aumentare tale percentuale. Coniugare il potenziale idrico e ter-ritoriale con quello scientifico rappresenta una promessa per il futuro. E la mia più grande speranza è riuscire a combinare questi due elementi per soddisfare la richiesta di cibo, ponendola come priorità, oltrepassando ogni confine, naziona-lità, pregiudizio.Anteponendo le tematiche alimentari a quelle politiche potremo raggiungere una migliore qualità di vita. Piantando i semi dell’innovazione nel terreno del potenziale umano riusciremo a nutrire i bambini del Medio Oriente e del mondo di sogni e speranza.*

* Citazioni dai discorsi pronunciati dal Presidente dello Stato d’Israele, Shimon Peres, al Forum Barilla Center for Food & Nutrition del dicembre 2009 e al Convegno di Villa d’Este del settembre 2011.

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5.  cibo e cultura

L’uomo, in quanto onnivoro, è dotato di straordinarie capacità di riconoscimento e di memoria che gli consentono di evitare i veleni e di ricercare i cibi più nutrienti. Oltre che sui propri sensi e sulla memoria, nella scelta del cibo gli individui si basano sulla cultura e sulle tradizioni che conservano il sapere e l’esperienza di innumerevoli “assaggiatori” prima di loro.

La grande sfida della nostra epoca è quella di riappropriarci di un rapporto più profondo, più ricco, più motivante con l’alimentazione, dove la relazione con il cibo sia ricondotta alla dimensione dell’estetica, del gusto, della convivialità.

riscoprire il piacere del cibo

scegliere i cibi consapevolmente

La cultura codifica le regole di una saggia alimentazione con una complessa serie di tabù, rituali, ricette, regole e tradizioni. Tutto ciò consente agli esseri umani di non dover affrontare ogni volta il “dilemma dell’onnivoro”

il dilemma dell’onnivoro Centrali sono i temi della

responsabilità verso i più deboli, del valore del cibo come

mezzo di convivenza pacifica tra i popoli, della conservazione

di adeguati equilibri socio-economici nelle fasi di produzione

maggiore equità nel mondo

Si assiste oggi al progressivo abbandono delle tradizioni gastronomiche del passato, insieme al venir meno di competenze diffuse legate alla cucina e alla composizione dei cibi

l’importanzadelle tradizionigastronomiche

contrastare l’obesità e le patologie alimentariLa banalizzazione del processo di consumo degli alimenti è una delle cause dell’ “epidemia” di obesità e di malattie a essa legate oggi in atto

258 eating planet

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5.  cibo e cultura

L’uomo, in quanto onnivoro, è dotato di straordinarie capacità di riconoscimento e di memoria che gli consentono di evitare i veleni e di ricercare i cibi più nutrienti. Oltre che sui propri sensi e sulla memoria, nella scelta del cibo gli individui si basano sulla cultura e sulle tradizioni che conservano il sapere e l’esperienza di innumerevoli “assaggiatori” prima di loro.

La grande sfida della nostra epoca è quella di riappropriarci di un rapporto più profondo, più ricco, più motivante con l’alimentazione, dove la relazione con il cibo sia ricondotta alla dimensione dell’estetica, del gusto, della convivialità.

riscoprire il piacere del cibo

scegliere i cibi consapevolmente

La cultura codifica le regole di una saggia alimentazione con una complessa serie di tabù, rituali, ricette, regole e tradizioni. Tutto ciò consente agli esseri umani di non dover affrontare ogni volta il “dilemma dell’onnivoro”

il dilemma dell’onnivoro Centrali sono i temi della

responsabilità verso i più deboli, del valore del cibo come

mezzo di convivenza pacifica tra i popoli, della conservazione

di adeguati equilibri socio-economici nelle fasi di produzione

maggiore equità nel mondo

Si assiste oggi al progressivo abbandono delle tradizioni gastronomiche del passato, insieme al venir meno di competenze diffuse legate alla cucina e alla composizione dei cibi

l’importanzadelle tradizionigastronomiche

contrastare l’obesità e le patologie alimentariLa banalizzazione del processo di consumo degli alimenti è una delle cause dell’ “epidemia” di obesità e di malattie a essa legate oggi in atto

259dati e fatti chiave | cibo e cultura

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la dimensione culturale del cibo

Fin dai tempi più antichi l’uomo – come ogni altra specie sul pianeta – ha interagito con la natura in base a un imperativo dominante: sopravvivere. Per lunghissimo tempo tale imperativo si è fondato, oltre che sul bisogno di pro-teggersi da ambienti climatici a volte molto avversi, soprattutto sulla capacità di risolvere a proprio favore l’alternativa tra mangiare o essere mangiato.Vagabondando alla ricerca di cibo dalla notte dei tempi, l’uomo ha cercato di sopravvivere principalmente in due modi: la raccolta di ogni possibile oggetto commestibile e la caccia.Continuamente esposti alla possibilità di divenire cibo essi stessi, i nostri pro-genitori hanno sviluppato capacità di intervento sulla natura sempre più arti-colate, ben prima dell’adozione dell’agricoltura, avvenuta circa quindicimila anni fa.Sono note le tappe fondamentali di tale processo. Già nel Paleolitico l’uomo aveva scoperto e iniziato a usare il fuoco. Nella stessa epoca ha ideato un numero crescente di strumenti per cacciare, pescare, difendersi, creare rifugi, dapprima in pietra e poi in metallo.Che si trattasse di cogliere un frutto da un albero o uccidere una preda, la rela-zione dell’uomo con l’ambiente che lo circonda è sempre stata trasformativa.La capacità umana di manipolazione della natura ha segnato una tappa cru-ciale con la scoperta del fuoco. Utilizzato variamente – per scaldarsi, avere luce, proteggersi dai predatori, fare segnali, asciugare indumenti – il fuoco ha dato luogo a sviluppi culturali progressivi di enorme importanza spe-cialmente in campo alimentare. Per dirla con Claude Lévi-Strauss,1 la cot-tura di cibi col fuoco è “l’invenzione che ha reso umani gli umani”. Prima di apprendere la possibilità della cottura, il cibo, e particolarmente la carne, veniva mangiato crudo, avariato o putrefatto. L’uso del fuoco ha portato a una svolta decisiva.La cottura marca dunque simbolicamente una transizione tra natura e cul-tura, e anche tra natura e società, dal momento che, mentre il crudo è di origine naturale, il cotto implica un passaggio a un tempo culturale e sociale.Da questo passaggio in poi, il cibo diventa – come fatto oggettivo – il punto di partenza per straordinari sviluppi di natura sociale e culturale. Le cucine nazionali, come afferma lo psicologo Paul Rozin,2 incarnano la saggezza ali-mentare delle popolazioni e delle rispettive culture.Si può dunque affermare che la storia del rapporto dell’uomo con il cibo è stata una straordinaria epopea sociale, culturale e di ricerca di significati. Quello che era l’aspetto forse più problematico dell’esistenza (la ricerca di cibo per alimentarsi) si è trasformato da fattore critico a opportunità.

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261la dimensione culturale del cibo | cibo e cultura

5.1 il rapporto cibo-cultura: le origini

Fisicamente poco attrezzato rispetto ad altri animali, il cacciatore-raccoglitore era dotato di requisiti mentali notevoli e di una grande curiosità esplorativa.In alcune popolazioni di cacciatori-raccoglitori la dieta era effettivamente basata sulla cacciagione, e quindi sul consumo di carne. Ciò è vero anche tra le popolazioni moderne di cacciatori-raccoglitori delle regioni artiche e subartiche, dove c’è poco altro da mangiare. Ma buona parte degli studiosi odierni ritiene che la grande maggioranza dei cacciatori-raccoglitori del pas-sato vivesse soprattutto di cibi derivati da piante, oppure – nelle zone vicine a mari e fiumi – di pesci e molluschi. Alcune popolazioni erano quasi esclusi-vamente vegetariane.Nel corso del Paleolitico all’Homo erectus subentrò l’Homo sapiens, e la dimensione del cervello passò da circa 400 centimetri cubi fin quasi agli attuali 1.400 centimetri cubi. Un cervello di grandi dimensioni richiede una straordinaria quantità di nutrienti. L’antropologo Eugene Anderson,3 tuttavia, mette in questione la teoria che ciò rappresenti una spiegazione dell’inclina-zione a cacciare e mangiare carne, data la scarsa dotazione dell’uomo in denti e artigli e la dubbia efficienza degli strumenti da caccia primitivi.La sua spiegazione del nesso tra sviluppo del cervello e alimentazione è un’al-tra: “A mio avviso la sola teoria credibile dell’evoluzione della dieta umana è che i primi ominidi migliorarono sempre più nella loro qualità di onnivori. Migliorarono nel trovare carne, cercando carogne e cacciando, ma anche nel trovare radici, semi, germogli, uova, e qualunque altra cosa commesti-bile. (…) Il solo modo in cui un animale con un cervello grande ed esigente può sopravvivere è usando il cervello per pensare come utilizzare una vasta gamma di cibi buoni per ottenere il massimo nutrimento col minore sforzo”.Le prime elaborazioni “culturali” dell’uomo furono quindi largamente rivolte al tema di come trovare cibo e lasciare spazio a una propensione onnivora fuori dal comune. Su questa interpretazione concorda pienamente lo scrittore Michael Pollan 4 nel celebre testo Il dilemma dell’onnivoro. Altri animali, nota Pollan, perseguono una strategia opposta, quella di una dieta molto selettiva e coerentemente possiedono un cervello di dimensioni assai ridotte. Quello del koala è il caso limite visto che questo animale, dal cervello notoria-mente piccolo, mangia solo foglie di eucalipto. L’uomo invece deve dedicare un’enorme quantità di energia mentale per affinare gli strumenti cognitivi e sensoriali atti a distinguere quali alimenti – tra i molti disponibili – sono sicuri da mangiare. Tale sforzo è parte essenziale dei processi culturali.La capacità umana di manipolazione della natura, come accennato, ha segnato una tappa cruciale con la scoperta del fuoco. Nella visione struttu-ralista di Lévi-Strauss, la cottura marca simbolicamente una transizione tra

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natura e cultura, e anche tra natura e società, dal momento che, mentre il crudo è di origine naturale, il cotto implica un passaggio a un tempo cultu-rale e sociale.Tali concetti sono ulteriormente elaborati con l’analisi del “triangolo culina-rio”, che distingue nell’ambito del cotto tre categorie differenti: l’arrostito, il bollito e l’affumicato. In tutte le società l’arrostito è stata la prima forma di cottura, quella più vicina all’ordine naturale. Gli utilizzi più antichi del fuoco si sono basati sull’esposizione diretta del cibo alla fiamma – il cibo tenuto su stecchi veniva semplicemente “bruciato”. L’affumicato e il bollito rap-presentano due forme diverse di sviluppo culturale, che si contrappongono all’arrostito per l’uso inventivo di due diversi elementi di mediazione nella cottura: l’aria e il fumo in un caso, l’acqua e qualche genere di ricettacolo o tegame nell’altro caso. L’uso di utensili per cuocere, necessario alla bolli-tura, è certamente prova di evoluzione culturale, ma lo è anche la capacità di affumicare in modo da allungare la capacità del cibo di resistere al dete-rioramento per un tempo incomparabilmente più lungo che con ogni altro metodo di cottura. Il rapporto tra natura e cultura può essere inquadrato in base a diversi tipi di opposizioni: “L’affumicato e il bollito si oppongono per la natura dell’elemento mediatore tra fuoco e cibo, che è l’aria o l’acqua. L’af-fumicato e l’arrostito sono opposti dal maggiore o minore spazio dato all’ele-mento dell’aria; e l’arrostito e il bollito sono opposti dalla presenza o assenza di acqua. Il confine tra natura e cultura, che si può immaginare come paral-lelo all’asse dell’aria o all’asse dell’acqua, pone l’arrostito e l’affumicato dal lato della natura, il bollito dal lato della cultura per ciò che riguarda i mezzi impiegati; o l’affumicato dal lato della cultura e l’arrostito e il bollito dal lato della natura per ciò che riguarda i risultati (Lévi-Strauss, 1966)”.

5.2 il cibo diventa comunicazione e convivialità

Che sia strutturato come un linguaggio o no, il cibo ha assunto un ruolo assai importante nello sviluppo delle prime forme di comunicazione umana. Quando, contestualmente alla crescita del cervello umano, i gruppi sociali hanno teso ad accrescere le loro dimensioni – dai forse 20 membri dei gruppi diffusi all’epoca dell’Homo erectus ai circa 50-150 membri dei gruppi diffusi all’epoca dell’Homo sapiens – si è ampliata anche l’estensione del territorio coperto dal gruppo. In un territorio più grande la scoperta di una fonte di cibo doveva essere comunicata con maggiori particolari, per spiegare dove si trovava e quanti membri del gruppo poteva sfamare. Questo è stato indub-biamente uno dei modi in cui il linguaggio si è sviluppato.L’evoluzione del linguaggio si è determinata probabilmente anche in rela-zione alla necessità di ridurre le tensioni legate alla spartizione degli ali-

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263la dimensione culturale del cibo | cibo e cultura

menti. Alle origini di ciò che oggi chiamiamo convivialità ci sono state le pratiche primitive di condivisione del cibo intorno al fuoco, da parte di gruppi di umani che sedevano faccia a faccia, sorridendo, ridendo – e pro-gressivamente parlando. Pratiche non reperibili tra le altre specie, non solo per la paura del fuoco ma perché nel regno animale il contatto diretto degli occhi, l’apertura della bocca e l’esposizione dei denti sono gesti tipicamente ostili. “Se si unisce ciò al fatto di piazzare del cibo nel bel mezzo di un gruppo di individui, diversi da genitore e bambino, si ha una chiara ricetta per conflitto e violenza”.La capacità di comunicare deve aver avuto una notevole parte, ed essere stata a sua volta incentivata, in quei riti di condivisione con cui i nostri antenati hanno saputo rovesciare i segnali di pericolo trasformandoli nell’essenza stessa di quella convivialità che definisce la condizione umana. La tavola contemporanea e la consuetudine di mescolare cibo e discorsi in circostanze conviviali d’ogni genere deriva dunque da un’esperienza molto lontana nel tempo, con la quale la specie umana ha superato tensioni istintive naturali ed è salita di parecchi gradini nella scala dello sviluppo culturale e sociale.

5.3 delizia e disgusto: la classificazione culturale del mangiabile

La padronanza crescente del linguaggio e le elevate facoltà intellettive dell’Homo sapiens non implicano che stabilire cosa mangiare sia mai stata una scelta agevole.Gli onnivori, a differenza degli animali con un’alimentazione molto selet-tiva, sono posti continuamente nella situazione di dover decidere se una certa sostanza commestibile fa bene o fa male. Per l’uomo il problema nasce dalla circostanza che in effetti, come rileva Pollan, “non vi è probabilmente una fonte di nutrienti sulla Terra che non sia stata mangiata da qualche umano da qualche parte – insetti, vermi, terra, funghi, licheni, alghe, pesci marci; radici, germogli, steli, corteccia, boccioli, fiori, semi, frutti di piante; ogni parte immaginabile di ogni animale immaginabile”. Tale capacità di adat-tamento alimentare ha favorito moltissimo l’evoluzione della specie, ma ha anche posto all’uomo continue difficoltà nel riconoscere i cibi che è consiglia-bile mangiare. Come osserva Pollan: “Il dilemma dell’onnivoro entra in gioco ogni volta che decidiamo se mangiare o no un fungo di bosco, ma figura anche nei nostri incontri meno primordiali con ciò che si suppone comme-stibile: quando stiamo deliberando sulle pretese nutrizionali di una scatola nel reparto dei cereali; quando adottiamo una dieta volta a perdere peso (low fat o low carb?); quando decidiamo se assaggiare la nuova formula di chicken nuggets di McDonald’s; quando soppesiamo i costi e benefici di comprare fragole biologiche rispetto a quelle normali; quando scegliamo di osservare (o

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trasgredire) le regole della cucina kosher o halal; o quando determiniamo se è eticamente difendibile oppure no mangiare carne”.Il concetto di dilemma dell’onnivoro si trova presente a partire dagli scritti di Jean Jacques Rousseau e Anthelme Brillat-Savarin,5 ma è stato ufficialmente individuato e identificato come tale da Rozin.Nel 1976 quest’ultimo scrisse un articolo intitolato “The Selection of Foods by Rats, Humans, and Other Animals” in cui si confrontava la condizione esistenziale degli onnivori, come il ratto e l’uomo, con quella di animali dall’alimentazione specializzata.Questi ultimi non hanno dubbi rispetto a cosa mangiare, in quanto le loro preferenze alimentari sono scritte nei loro geni. Questi animali non impie-gano nessun pensiero o emozione per capire cosa mangiare o meno. Per que-sti animali, il meccanismo naturale e istintivo funziona perfettamente perché il sistema digestivo è in grado di ricavare da pochi cibi tutto ciò che serve all’organismo.Gli onnivori (come l’uomo), invece, devono dedicare tempo e approfondi-mento per cercare di capire quali degli innumerevoli cibi offerti dalla natura si possano mangiare senza rischi.Quando un onnivoro si imbatte in qualcosa di nuovo o potenzialmente com-mestibile si trova ad affrontare due sentimenti contrastanti, la “neofobia”, cioè la paura di mangiare una sostanza sconosciuta, e la “neofilia”, cioè il desiderio di aprirsi a nuovi sapori. Questi “sentimenti” sono totalmente sconosciuti agli animali con un’alimentazione specializzata.L’uomo, in quanto onnivoro, è dotato di straordinarie capacità di riconosci-mento e di memoria che gli consentono di evitare i veleni e di ricercare i cibi più nutrienti. In questo processo l’uomo è aiutato dal senso del gusto, che lo porta spontaneamente verso il dolce, segnale di ricchezza di carboidrati ener-getici, e gli fa evitare l’amaro, caratteristica di molti alcaloidi velenosi sinte-tizzati dalle piante, così come segnala tramite il disgusto cibi potenzialmente dannosi come il cibo scaduto o avariato.Per l’uomo, il fatto di essere onnivoro, quindi generalista, rappresenta al tempo stesso un vantaggio e una sfida. La flessibilità data dall’assenza di spe-cializzazione alimentare ha consentito agli esseri umani di colonizzare tutti gli habitat della Terra, adattandosi quindi alle differenti tipologie di cibo offerte. Di contro, gli onnivori devono spendere tempo ed energie a compren-dere cosa mangiare, secondo una visione ultimamente manichea del cibo: da una parte quello buono, dall’altra quello cattivo.Oltre a dover contare sui propri sensi e sulla memoria, nella scelta del cibo gli individui si basano sulla cultura e sulle tradizioni che conservano il sapere e l’esperienza cumulata di innumerevoli “assaggiatori” prima di loro. La cul-tura codifica le regole di una saggia alimentazione con una complessa serie di

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l’importanza dei mercatiLe volte in legno del mercato Santa Caterina di Barcellona. I mercati costituiscono ancora oggi uno dei principali luoghi di aggregazione negli insediamenti urbani. Luogo di vendita e acquisto del cibo, spesso luogo di consumo, i mercati attraggono anche turisti e visitatori in quanto punto di osservazione privilegiato su società, cultura ed economia locale.

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tabù, rituali, ricette, regole e tradizioni. Tutto ciò consente agli esseri umani di non dover affrontare ogni volta il dilemma dell’onnivoro.Se l’uomo come specie è pronto a inghiottire quasi qualunque cosa, va detto che le varie società umane tendono a restringere parecchio la nozione di cosa costituisce un alimento. Fra delizia e disgusto sembra esistere un confine sot-tile, e quasi sempre tale confine è dettato culturalmente.Come sottolineato ancora una volta da Rozin, il disgusto (termine di signi-ficato generale ma etimologicamente derivato dal concetto alimentare di gusto) è la paura di introiettare sostanze che risultino dannose per il corpo. Alcune cose hanno il potere di disgustare individui appartenenti a tutte le società umane. Ma specifiche società esprimono forme di disgusto piuttosto idiosincratiche, che spesso non hanno altra ragione se non lo sviluppo cul-turale di norme e abitudini. Anche nelle società occidentali, a seconda delle regioni e dei gruppi sociali, alimenti come lumache, rane, interiora di animali possono essere tanto osannati quanto considerati repellenti.Ciò che si ingerisce – o si rifiuta – racconta molto di più di una semplice pre-ferenza alimentare. Ogni cultura tende a dividere alla sua maniera il mondo che può essere mangiato da quello che non può essere mangiato, e in tale suddivisione entrano molti elementi di natura simbolica che, a partire dal corpo fisico, orientano una certa percezione del corpo sociale, e viceversa. Come si vedrà più avanti, i significati di questi processi di classificazione investono soprattutto la nozione di purezza.

5.4 cibo: ruoli sociali, di genere e di potere

L’ordine alimentare non manca di avere una sua precisa relazione con la dimensione del potere. L’ordinamento di rango stabilisce le regole dell’accesso al cibo anche tra molte altre specie animali. Le leonesse, malgrado siano le protagoniste della caccia, non toccano una preda prima che il leone abbia finito di mangiare. Tra gli uomini il controllo del cibo è stato storicamente una delle principali risorse di potere. Nel Medioevo i banchetti delle famiglie nobiliari si contrapponevano alla fame endemica diffusa tra le masse conta-dine, e in varie parti d’Europa chi veniva sorpreso a cacciare di frodo nelle riserve reali o dei signori locali veniva messo a morte. Innumerevoli battaglie sono state combattute tra allevatori e agricoltori in molte regioni del mondo, la posta in gioco essendo sempre il predominio di un particolare modo di produrre cibo. Nel continente africano tali conflitti sono ancora attuali.Il cibo può segnalare potere anche in chiave di prestigio sociale. Ma è interes-sante osservare che la percezione culturale di tali forme di prestigio sia piutto-sto complessa, e talvolta contraddittoria. Le categorie del triangolo culinario di Lévi-Strauss consentono di chiarire bene anche questo aspetto. Nella sua

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analisi, il cibo bollito costituisce una forma più evoluta e comunica valori più raffinati del cibo arrostito. Ma questa relazione sul piano del prestigio e del potere può rovesciarsi. Poiché il bollito tende non di rado ad associarsi a una cucina più intima, famigliare (piatti come lessi o stufati), cibi cucinati per lo più da donne. Mentre l’arrostito può essere proposto in celebrazioni pubbli-che, spesso all’aperto ed esibitive, in cui tende a prevalere un’associazione col mondo maschile. Ai tempi nostri, un esempio molto significativo di quest’ul-tima forma è il barbecue, specie nelle pratiche sociali americane.Queste problematiche sono state aggiornate e ampliate dagli studi socio-antropologici che inquadrano la relazione tra cibo e genere. Non vi è dubbio che le pratiche alimentari diano origine a svariate forme di gerarchia, e che in molte società ciò tenda tradizionalmente a porre la donna in una posizione subordinata.Per esempio, l’antropologa statunintense Anne Allison sottolinea come le madri giapponesi, nella preparazione meticolosa e doveristica dell’obentõ, il lunch-box per i figli in età prescolare, tendano a riprodurre un’ideologia del proprio ruolo assai riduttiva e fortemente influenzata dalle istituzioni dello Stato. Mentre la sociologa Marjorie DeVault rileva come le pratiche femmi-nili di provvedere il cibo in famiglia, per quanto possano essere gratificanti per coloro che le mettono in opera, sono implicate in modi sottili ma perva-sivi entro relazioni ineguali di subordinazione, rinforzando il senso di “natu-ralità” della deferenza ai bisogni degli uomini e minando il progresso verso forme di cultura alimentare nel segno della reciprocità.Naturalmente, specie nelle società occidentali più prospere, il ruolo della donna può essere visto anche più positivamente. La relativa specializzazione femminile nell’acquisto e nella preparazione dei beni alimentari può rappre-sentare in molti casi un’area di forza nel rapporto con l’altro sesso, nella quale intervengono fattori sempre più articolati di conoscenza del mercato, com-petenza nutrizionale, autonomia di spesa, espressione di sé. Secondo alcuni, dalla propria condizione di preparatrici elettive del cibo a casa le donne pos-sono trarre il piacere di un’attività non meno intelligente e immaginativa di altre attività abitualmente considerate superiori come la musica.Da questi molteplici profili, il rapporto tra natura e cultura si rivela un piano fondamentale nello studio del ruolo del cibo nelle società umane.

5.5 il valore simbolico degli alimenti nelle grandi fedi religiose

Come osserva Anderson richiamando Émile Durkheim,6 una quantità di rituali, cerimonie e celebrazioni religiose include inevitabilmente il rapporto col cibo. Il valore simbolico degli alimenti nelle grandi religioni può diffi-cilmente essere sopravvalutato. Nell’ebraismo un numero notevole delle 613

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mitzvot (precetti) che guidano la vita di un ebreo osservante riguarda la sfera alimentare e trae origine da importanti passaggi dell’Antico Testamento. La tradizione ebraica orienta a cogliere nell’atto di nutrirsi un significato che educa alla scelta e alla verifica continua, definisce il rapporto dell’uomo con la natura e attiene profondamente alla sacralità.Nel cristianesimo non esiste un’analoga normativa alimentare; in parti-colare non vi è una distinzione generale tra cibi leciti e proibiti. Il rapporto dell’uomo col cibo tuttavia è pur sempre inserito nella dimensione dell’incon-tro con Dio. Il ruolo simbolico del vino e dell’ostia nel sacramento dell’eu-caristia, che si fonda sulle parole pronunciate da Gesù nel corso dell’ultima cena, rappresenta per i cristiani il mezzo di comunione delle anime e di memoria permanente della passione di Cristo. Sebbene la relazione col cibo nel cristianesimo sia relativamente libera, alcune prescrizioni spingono a limi-tare il consumo di carne e verso momenti di astinenza e digiuno, soprattutto con riferimento al periodo liturgico della quaresima.La terza religione monoteista, l’islam, rifiuta sia le norme severe dell’ebraismo sia la libertà alimentare del cristianesimo, e tende invece a predicare un atteg-giamento di moderazione nel consumo di cibi. Peraltro la tradizione alimen-tare Halal, seguita da circa il 70% dei musulmani nel mondo, non manca di dettare alcune regole su ciò che è permesso o meno mangiare. I limiti princi-pali (meno stringenti di quelli ebraici) riguardano ancora la carne. Inoltre, a differenza dell’ebraismo e del cristianesimo, l’islam, come noto, non autorizza il consumo di bevande alcoliche. L’importanza delle pratiche alimentari sotto il profilo religioso è messa in rilievo dal digiuno di ramadan, volto a educare i musulmani alla pazienza, alla modestia e alla spiritualità.Altre religioni si caratterizzano sul piano alimentare soprattutto per la proibi-zione di cibarsi di carne in modo pressoché assoluto, almeno tra le persone più devote. “La carne – rileva Anderson – è vista come qualcosa che implica l’ucci-sione di animali, un fatto violento e antispirituale. Le religioni basate in India – l’induismo, il buddismo e il jainismo – condividono l’impegno a ciò che in San-scrito si chiama ahimsa (non violenza)”. Il jainismo, in particolare, assumendo che ogni essere vivente anche microscopico abbia un’anima, e che l’anima sia potenzialmente divina, rifiuta il consumo di carne nonché ogni inutile forma di violenza come quelle praticate nelle moderne aziende di prodotti animali.Ciò che rileva, in tutti questi casi, è la connessione strettissima tra cibo e destino, cibo e significato ultimo. Anche all’interno di quegli straordinari processi di elaborazione culturale che sono le religioni, il cibo gioca un ruolo di primaria importanza per la sua capacità di essere catalizzatore di significati e simboli.Nella gran parte delle religioni il cibo è anche un importante fattore di aggregazione sociale, che ha – tra le altre – la funzione di stabilire chi fa

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parte della congregazione dei fedeli e chi no. Anderson spiega questo punto in modo assai efficace: “Tipicamente, aggregazione e differenziazione sono più forti ed emozionalmente più intense nella religione che in altre attività umane (anche se ideologie politiche ed etnicità hanno a volte assunto un rilievo maggiore in tal senso nel corso dell’ultimo secolo). Il cibo è quasi sem-pre un elemento di demarcazione. Coloro che condividono una fede man-giano insieme ai pasti rituali”.

5.6 le proibizioni alimentari: cibo e purezza

Delle regole religiose fanno parte, come accennato, molte proibizioni relative al cibo. Naturalmente certi cibi tendono a essere pensati come non-mangia-bili anche per ragioni prettamente culturali, che non hanno una base precisa nella religione.Tali proibizioni – e contestualmente le regole sui cibi permessi – sono state interpretate in base a diversi ordini di spiegazioni, dal disgusto verso certe specie a ragioni di tipo igienico, da motivazioni simboliche (per esempio il divieto di alimentarsi dei rapaci per il rifiuto della violenza insita in quegli animali) a ragioni educative (insegnare all’uomo che ogni bene non deve essere goduto senza riflessione).Dal punto di vista antropologico, la nota antropologa inglese Diane Mary Douglas 7 riconduce molti riti volti a definire il rapporto tra corpo indivi-duale e corpo sociale alla nozione generale di purezza. Tale analisi investe lar-gamente il campo del cibo, elemento simbolico di particolare pregnanza dal momento che si tratta di un pezzo di realtà che viene letteralmente incorpo-rato. Nella sua visione, l’idea di contaminazione, e le paure che ne derivano, sono fortemente presenti sia nel mondo primitivo sia nelle società contempo-ranee. Una quantità di rituali sono quindi volti ad assicurare, attraverso pra-tiche di separazione, demarcazione e punizione, l’avvicinamento a un ideale di purezza. L’esempio più chiaro è quello del sistema castale indù, nel quale le caste basse, per definizione impure o a un grado di purezza inferiore a quello delle caste più alte, abitualmente partecipano alla produzione del cibo in diversi ruoli, per esempio in quello del contadino. Il cibo per le caste alte deve però essere cotto dalla famiglia o da qualcuno che appartenga allo stesso livello castale, con un atto di demarcazione simbolica.

5.7 cibo e cultura: un legame indissolubile

Sul rapporto tra cibo e alimentazione si potrebbero scrivere (e di fatto si sono scritti) interi volumi. Ciò che si è voluto testimoniare con questa breve intro-duzione al tema è la strettissima, intima connessione tra cibo e cultura.L’atto stesso di cibarsi, nella misura in cui implica razionalità, tradizione,

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memoria, simboli e valori è un fatto culturale. È talmente connaturato all’uomo il fatto di rapportarsi con il cibo da essere il punto di partenza di sviluppi stra-ordinari, con ricadute sul piano sociale e individuale estremamente rilevanti.Ciò è evidente quando questo rapporto è equilibrato. Lo è ancora di più quando smette di esserlo.

le grandi tradizioni culinarie e la realtà del cibo oggi

Si è visto come tra cibo e cultura vi sia un legame molto profondo. Mentre, da un lato, il cibo incide in modo marcato sulla vita degli uomini, dall’altro gli stili alimentari riflettono e sono condizionati dagli stili di vita individuali e dalle forme di relazione tra le persone. L’interazione di queste variabili ha dato vita nel tempo, in alcuni casi, ad approcci alimentari e a tradizioni gastrono-miche specifiche, contraddistinte da caratteristiche uniche e distintive.Ricordando che ogni tradizione è il frutto – sempre provvisorio – di una serie di innovazioni e dell’assestamento che esse hanno indotto nella cultura che le ha accolte, tre sono le grandi tradizioni culinarie che si tenterà di rappresen-tare in forma molto sintetica nelle prossime pagine: la cucina mediterranea, la cucina orientale e la cucina anglosassone.Più che risalire alle origini o ripercorrere la storia di questi tre diversi approcci all’alimentazione, si proverà a declinare la “traiettoria” di questi differenti orientamenti nell’attualità, tenuto conto delle opportunità e delle sfide del presente.

5.8 le grandi tradizioni culinarie

la cucina mediterranea. Fin dal Neolitico, il Mare Nostrum è stato meta di numerose migrazioni. I nuovi venuti si sono insediati all’interno delle comunità preesistenti alla ricerca di condizioni di vita migliori: terreni più fer-tili per coloro che provenivano dai deserti asiatici o africani, un clima meno aspro per gli oriundi della Scandinavia o della Germania. Durante l’XI e il XII secolo, i contatti tra le comunità musulmana e cristiana localizzate nella penisola iberica si sono tradotti in intensi scambi commerciali, nel corso dei quali un numero significativo di nuovi prodotti alimentari sono stati scam-biati e introdotti nelle rispettive culture gastronomiche.Dapprima, durante l’alto Medioevo, l’antica tradizione romana che – sul modello di quella greca – identificava nel pane, nel vino e nell’olio i prodotti simbolo di una civiltà contadina e agricola, nonché simboli eletti della nuova

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mercati e spazio urbanoIn moltissime città la piazza del mercato è il vero baricentro del tessuto urbano e della vita sociale. A Marrakesh, piazza Jami el‑Fna è il luogo attorno a cui la città storica è cresciuta, conservando ancora oggi il suo ruolo di punto di ritrovo collettivo. Mercato di giorno, la sera si trasforma soprattutto in un gigantesco ristorante all’aperto.

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fede, si incontrò con la cultura dei popoli germanici, che vivendo in stretta simbiosi con la foresta, traevano da questa, con la caccia, la pastorizia e la rac-colta, la gran parte delle risorse alimentari.In seguito, la nuova civiltà alimentare nata dal connubio e dalla fusione tra i modelli alimentari delle civiltà romano-cristiano e germanica si confrontò con la tradizione del mondo arabo, che aveva sviluppato sulle sponde meridio-nali del Mediterraneo una sua specifica cultura alimentare.Proprio i musulmani diedero impulso a un significativo processo di rinno-vamento agrario in cui i terreni irrigui giocavano un ruolo fondamentale. La nuova agricoltura comportò l’introduzione di specie vegetali sconosciute o utilizzate solamente dalle classi sociali più benestanti, a causa dei prezzi ele-vati. Tra i prodotti acquisiti dalla cucina mediterranea provenienti dal mondo islamico troviamo, in particolare, la canna da zucchero, il riso, gli agrumi, la melanzana, lo spinacio e le spezie. Inoltre, si introdusse l’impiego dell’acqua di rose, di arance, di limoni, di mandorle e di melagrane.La cultura islamica, pertanto, partecipò al cambiamento e alla trasformazione dell’unità culturale del Mediterraneo, quale Roma l’aveva a forza costruita, fornendo un decisivo apporto al nuovo modello gastronomico che si stava for-mando.Un’altra vicenda di grande impatto storico è stata la scoperta e la conquista dell’America da parte degli europei. Tale scoperta si rifletté anch’essa in un “andirivieni” di prodotti alimentari: la patata, il pomodoro, il mais, il pepe-rone e il peperoncino, nonché diverse varietà di fagioli.Il pomodoro, inizialmente trattato come “curiosità esotica” e come frutto ornamentale, solo tardivamente è stato considerato commestibile – primo ortaggio rosso che arricchì il nostro paniere di vegetali – fino a divenire sim-bolo della cucina mediterranea e, in particolare, della cucina italiana.Se la centralità delle verdure è uno dei caratteri più originali della tradizione mediterranea, appare importante ricordare anche il ruolo dei cereali come base della cucina povera e come strumento di sopravvivenza quotidiana, data la loro “capacità di riempimento” riducendo i morsi della fame delle classi meno abbienti.Questo vasto movimento geo-culinario, che ha beneficiato di apporti alimen-tari originariamente tipici anche dell’Estremo Oriente e dell’Africa, mette in evidenza il fatto che il Mediterraneo agisce come un crogiuolo di civiltà, di credenze, di modi di vita. Il meticciato è una delle cause della sua diversità nonché peculiarità culturale.Il modello alimentare oggi denominato “dieta mediterranea” non è dun-que solo un modo di nutrirsi, ma è espressione di un intero sistema culturale, improntato alla salubrità, alla qualità degli alimenti, alla loro distintività terri-toriale, ma anche alla convivialità e all’amore per il cibo.

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Nonostante i mutamenti delle abitudini alimentari e degli stili di vita che si sono verificati a partire dalla seconda parte del secolo scorso, la dieta mediterranea continua a essere un punto di riferimento non solo nel Mediterraneo, ma anche in altre regioni del mondo, date le sue peculiari caratteristiche nutrizionali.La dieta mediterranea rappresenta, inoltre, una risorsa di sviluppo sosteni-bile molto importante per tutti i paesi che si affacciano sul bacino del Medi-terraneo, per l’incidenza economica e culturale che riveste il cibo nell’intera regione e per la capacità di ispirare un senso di continuità e identità per le popolazioni locali.

la cucina orientale. La cucina orientale – cinese o giapponese, thailandese o vietnamita – è ricca di sapori poco usuali per i popoli occidentali, frutto di una tradizione storica e culturale comparabile per importanza a quella svilup-patasi nel bacino del Mediterraneo.È interessante addentrarsi in modo particolare nella grande tradizione cinese e raccontare i suoi tratti distintivi, in quanto paradigmatica di un approccio più ampio.Radicata in uno sconfinato mondo rurale, la cucina cinese vanta una straor-dinaria varietà di ingredienti ed eccellenti qualità dietetiche. In Cina, da mil-lenni, la salute rappresenta il centro dei comportamenti alimentari. Nella vita quotidiana, infatti, è la cucina a far rispettare le regole della dietetica acquisite come fondamento della medicina tradizionale. Per comprendere la tradizione culinaria cinese, perciò, è indispensabile inserirla nel più ampio contesto di un sapere che definisce i rapporti tra alimentazione e salute.Questa attenzione alla dietetica, alle caratteristiche nutrizionali dei cibi e degli alimenti che venivano attentamente studiate dai medici e dai taoisti, è emble-matica del concetto di alimentazione proprio della tradizione cinese, da migliaia di anni. I cinesi, infatti, individuavano in una corretta e armonica alimenta-zione uno dei modi principali per migliorare la salute e ricercare la longevità.A tal proposito, si ricorda un altro fattore rilevante della tradizione cinese: il ruolo centrale del cibo nelle festività e il valore simbolico di alcune pie-tanze. In occasione di compleanni e a Capodanno, per esempio, si mangiano i tagliolini, perché la loro forma sottile e allungata simboleggia longevità.Per la filosofia taoista, il mondo è un divenire continuo la cui forza propul-siva deriva dall’opposizione dinamica dello yin e dello yang (il femminile e il maschile, l’oscurità e la luce, il freddo e il caldo) che, lungi dall’essere dei principi teorici, sono categorie concrete della vita che permeano anche la die-tetica. Gli alimenti vengono perciò divisi in quattro categorie a seconda della loro natura yin e yang: freddi e freschi sono yin, caldi e temperati sono yang.La cucina deve perciò badare a rispettare l’equilibrio e l’armonia di queste categorie di ingredienti.

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Nella cucina cinese è anche presente una razionalità tecnica particolare che si può ritrovare nelle modalità di cottura e nel taglio delle materie prime. La cottura insegue l’armonia dei sapori: cuocere intende infatti portare al “com-pimento ideale della sostanza attraverso il fuoco”.8 Il taglio sottile degli ali-menti prima della cottura, caratteristica di questa cucina, è anche il maggiore criterio di differenziazione rispetto alle altre. Questa pratica, che può tran-quillamente essere considerata plurimillenaria, è ben comprensibile se si consi-dera l’uso delle kuàizi (bacchette) a essa associato.Rispetto alla tradizione mediterranea, più avvezza al consumo di vino, in Cina è il tè l’elemento caratteristico della tradizione, tanto importante da essere annoverato tra i sette prodotti indispensabili alla vita, insieme a com-bustibile, olio, riso, sale, salsa di soia e aceto. I cinesi furono i primi a coltivare il tè e la produzione e il consumo sono diffusi nel territorio dai tempi della dinastia Tang (618-907 d.C.).Anche in Cina, l’alimentazione costituisce un fatto sociale di enorme rile-vanza. Si ritrovano nella cultura gastronomica cinese, e più in generale asia-tica, infatti, tratti comuni alla convivialità tipica della tradizione mediterra-nea. Un gusto per il cibo che si traduce in gusto per il consumo insieme ad altre persone, contemporaneo veicolo di piacere e relazione.È possibile, in sintesi, tracciare un parallelismo tra cucina cinese e cucina mediterranea con riferimento al valore attribuito all’alimentazione, alla cura e alla creatività messi in campo, all’attenzione al gusto e alla dimensione sociale del mangiare.

la cucina anglosassone. La cucina anglosassone, in particolare nord-ame-ricana, nasce da logiche, approcci, contesti sociali molto diversi da quelli fin qui descritti. La mancanza di una storia abbastanza ampia da consentire la sedimentazione nel tempo di prassi e valori culturali diffusi; un’elevata ten-denza alla mobilità che impedisce il radicamento al territorio; l’assenza ogget-tiva di prodotti tipici che caratterizzino uno stile culinario; stili di vita e di consumo improntati all’individualismo, al pragmatismo e alla velocità. Tutti questi fattori sembrano avere impedito in Nord America (e, in misura minore, in Gran Bretagna)9 lo sviluppo di una cultura gastronomica originale, di qua-lità comparabile a quelle mediterranea e cinese.Nel caratterizzare la tradizione culinaria anglosassone, non si può non rilevare che già all’inizio degli anni Sessanta in America, e successivamente anche in Inghilterra e in Europa, il lavoro femminile coinvolge tutte le classi sociali. La donna inizia a lavorare fuori casa: cambia così significativamente il modello femminile fino ad allora prevalente, quello di una donna dedita principal-mente alla cura della casa e dei figli.La preparazione del cibo perde la sua natura di incombenza quotidiana per

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diventare perciò un momento di pura socializzazione, legato principalmente alla sfera ricreativa. I cibi pronti tendono a diventare la norma, mentre aumenta nel tempo il consumo di pasti consumati fuori casa, spesso nei fast food.In sintesi, è possibile rilevare come le profonde modifiche sociali vissute negli Stati Uniti con decenni di anticipo rispetto al resto dei paesi occidentali e la mancanza di una forte tradizione alimentare, contribuiscano a orientare il cit-tadino americano verso la velocità di consumo e di scelta, e a una conseguente disattenzione sia verso le caratteristiche nutrizionali del prodotto sia nei con-fronti della qualità dell’interazione sociale che accompagna il consumo dei cibi.Si tratta forse del caso più evidente di come l’assenza di un patrimonio di conoscenze e di scelte condivise (la cultura alimentare) finisca con lo “sca-ricare” sul singolo individuo, che non dispone degli strumenti informativi e culturali di base, il processo di scelta e selezione degli alimenti, con esiti molto negativi.Inoltre, malgrado gli Stati Uniti siano terra di passaggio e di insediamento di uomini appartenenti a tutti i popoli e a tutte le civiltà, non si è prodotto – se non come fenomeno marginale – un processo di contaminazione creativa capace di portare alla nascita di approcci originali.In chiusura di questo quadro introduttivo, va segnalato come la contamina-zione tra tradizioni culturali – i cosiddetti crossover – stia crescendo in modo esponenziale.In passato, il mutamento della cultura alimentare era perlopiù dovuto a feno-meni di natura migratoria. Oggi la globalizzazione, una crescente mobilità tra paesi, il desiderio di scoperta dei tratti caratteristici delle altre civiltà in un pro-cesso di avvicinamento all’“altro”, nonché le strategie di espansione industriale di alcune realtà multinazionali, hanno modificato la realtà, con esiti alterni.Mentre da un lato è certamente un fatto positivo la scelta del cibo quale canale di conoscenza che consente di apprezzare e avvicinarsi a realtà diverse dalla pro-pria, dando spesso vita a fenomeni di contaminazione creativa, desta grande preoccupazione uno scenario nel quale le risposte ai mutamenti sociali in corso (cambiamento nel ruolo della donna, diminuito tempo libero ecc.) ricalchino quelle soluzioni “produttiviste” che si sono rivelate così sbagliate e pericolose.

5.9 il cibo oggi: sfide e prospettive

La situazione attuale, con riferimento al rapporto tra cibo e cultura, è parti-colarmente difficile. L’equilibrio raggiunto tra le diverse dimensioni connesse all’alimentazione (piacere, benessere, salute, convivialità) all’interno delle grandi tradizioni culinarie appare oggi sempre più precario.Cambiano gli stili di vita, viene meno la capacità di trasferire conoscenze e competenze gastronomiche, subentrano aspetti di crescente richiesta di fun-zionalità, emergono preoccupazioni legate alla salute e torna a essere di attua-

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lità quello che Michael Pollan ha brillantemente definito “dilemma dell’on-nivoro”, intendendo con questa formulazione la difficoltà tipica dell’uomo, in quanto onnivoro, nel definire la composizione della sua dieta.Malgrado la millenaria storia alimentare dell’umanità abbia introdotto forme di codificazione piuttosto puntuali delle migliori prassi alimentari all’interno delle diverse tradizioni alimentari, oggi – in alcune parti del mondo – questo bagaglio di informazioni e competenze alimentari sembra stia svanendo. La combinazione tra eccessiva quantità e tipologia di cibi nei supermercati, asso-ciata alla mancanza di adeguate chiavi di lettura e interpretazione, causata da una progressiva perdita di identità alimentare, disorienta gli individui e li riporta indietro nel tempo, al momento delle scelte.La più naturale delle attività umane, nutrirsi, scegliere cosa mangiare, è diven-tata e sta sempre più diventando un’impresa che necessita di aiuto da parte di nutrizionisti, scienziati dell’alimentazione, medici.Un cambiamento così radicale nelle abitudini alimentari è segno evidente di un disordine alimentare diffuso. Un fatto del genere non sarebbe mai potuto accadere in una società che possedesse solide tradizioni riguardo al cibo e al modo di consumarlo.

il dilemma dell’onnivoro. Come scrive Pollan: “Quando è possibile man-giare quasi tutto ciò che la natura ha da offrire, decidere cosa è bene mangiare genera inevitabilmente una certa apprensione, soprattutto se certi cibi possono rivelarsi dannosi per la salute o addirittura letali”.È questa la faccia moderna del dilemma dell’onnivoro. Ciò che storicamente si riferiva a una condizione naturale dell’uomo, diventa – quasi per contrap-passo – il suo contrario: emblema di una situazione di incertezza generata dal prevalere di condizioni di innaturalità. Stordito dall’eccesso di offerta e di informazioni, non in grado di conoscere a fondo i processi industriali, la com-posizione del cibo, le conseguenze per la salute di ciò che ingerisce, l’uomo fatica a effettuare le sue scelte.Nasce, e siamo al presente, una domanda sempre più forte di autenticità, che si lega alla riscoperta della sostenibilità in tutte le sue declinazioni (ambiente, salute, rapporti sociali) e che chiama in causa l’industria alimentare, cui chiede di assumersi nuove responsabilità.È un punto di svolta. Si apre oggi, sul versante degli stili alimentari, la pos-sibilità di ripensare secondo nuove chiavi di lettura il rapporto con il cibo. I tratti emergenti di questo nuovo approccio potrebbero essere – secondo l’ana-lisi di Zygmunt Bauman 10 – situati all’incrocio tra il piacere dell’esperienza sensoriale e la richiesta di una comodità situazionale che consenta di godere appieno del cibo gustato. Il tratto della velocità, divenuto un elemento carat-teristico della nostra epoca, influenzerà significativamente – secondo declina-

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eccesso di offertaDelimitare il campo di ciò che viene attualmente mangiato è probabilmente più difficile del censire ciò che sfugge all’attitudine da onnivoro dell’uomo. L’attuale livello dei consumi di carne è un problema per l’ambiente e la salute? Potremmo uscirne iniziando a nutrirci ad esempio di insetti, abitudine peraltro diffusa visto che secondo la FAO nel mondo ne vengono già regolarmente utilizzate a fini alimentari 1.400 specie.

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zioni diverse da quelle che già conosciamo (oggi espressione di una dramma-tica povertà di contenuti culturali) – il nostro rapporto con il cibo.Ciò introduce altre dimensioni rilevanti: dall’esigenza di semplificazione delle procedure di preparazione del cibo (per guadagnare il tempo che oggi manca e supplire la perdita di cultura alimentare che impedisce di operare autono-mamente in questo ambito), alla nozione di portabilità ovunque, intesa come facilità di applicazione dello stile alimentare desiderato anche all’interno di una società in movimento sempre più frenetico.Anche la ritualità è una dimensione potenziante del rapporto con il cibo. Il recupero degli aspetti rituali potrà conferire una dimensione di senso e rassi-curazione che contribuirà a rendere più intensa l’esperienza del mangiare.In sintesi, il futuro ci riserverà il tentativo di una reinterpretazione costruttiva del rapporto con il cibo, nel tentativo di conciliare le dinamiche sociali del nostro tempo con un approccio salutare e positivo all’alimentazione. Detto con uno slogan, tre sono gli imperativi di oggi: rientrare in contatto con la dimensione culturale del cibo, ridefinirne il piacere, diffonderne il sapere.

5.10 verso una nuova visione dell’alimentazione

Diversi sono i fattori che influenzeranno il futuro del cibo nei prossimi decenni: su tutti la richiesta di maggior naturalità e l’esigenza di un riequili-brio degli stili alimentari verso un approccio dietetico più salutare e sostenibile.Ma la grande sfida della nostra epoca è probabilmente quella di riappropriarci di un rapporto più profondo, più ricco, più motivante con l’alimentazione, dove il rapporto con il cibo sia ricondotto alla dimensione dell’estetica, del gusto, del piacere. Da questo punto di vista la dimensione temporale appare decisiva. Occorre fare in modo che il tempo torni a dilatarsi per lasciare nuovo spazio all’esperienza alimentare.Altrettanto importante è il recupero della convivialità, che fonda per molti aspetti la possibilità di un’esperienza di gratificazione.Pur nell’esigenza di recuperare tratti tipici di una ritualità tradizionale, le carat-teristiche della realtà di oggi impongono di accostarsi al consumo di alimenti secondo nuovi paradigmi di comportamento. La società post-moderna è la società del disincanto, della perdita della magia dello scambio simbolico, dello stravolgimento spazio-temporale dei modi di vita. La stessa globalizzazione rende incombente la presenza del “diverso”, privando le persone delle dimen-sioni umane di tangibilità, somiglianza, durabilità, connessione, profondità.Il rischio è che una disperata necessità di interrelarsi agli altri e la progressiva paura e incapacità di farlo possa rendere le comunità fragili ed effimere, le emozioni temporanee e frammentarie.In sintesi, la società del futuro sarà la società della molteplicità e dell’incer-

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tezza: una società più anziana, femminilizzata, economicamente più polariz-zata, multietnica, molto più urbanizzata, fondata sulla mobilità totale e su stili di vita frammentati e sotto pressione, con emergenze ambientali gravi. Velocità di vita e perdita della dimensione spaziale convenzionale saranno le dimensioni che determineranno i modi di vita.Gli stili di vita saranno perciò “liquidi”, influenzati dalle situazioni e dall’umore cangiante, le identità di età, genere, cultura saranno multiple e in continuo cambiamento.Quale sarà il ruolo del cibo in questa nuova realtà che si va determinando? La base del consumo tenderà sempre più a essere l’immaginario. Non saranno i prodotti di per sé a favorire la scelta, ma il loro codice di signifi-cato. Per indurre al consumo e durare di più nelle scelte individuali, i prodotti dovranno integrare gli aspetti funzionali ed emozionali con elementi simbo-lici, interpretando il bisogno di radici, di localizzazione, di durata, di sollievo dall’ansia, di rassicurante confine fisico e mentale.In sintesi, il futuro ci riserverà il tentativo di una reinterpretazione costruttiva del rapporto con il cibo, nel tentativo di conciliare le dinamiche sociali del nostro tempo con un approccio salutare e positivo all’alimentazione.

5.11 linee guida per ridefinire la relazione uomo-cibo

Il consumo di cibo è, per sua natura, un’esperienza culturale specifica dell’uomo. Quello tra pratiche alimentari e cultura è infatti un legame che emerge come dato strutturale da tutta la storia dell’umanità. Il progressivo inaridirsi di questo importante aspetto della dimensione culturale complessiva sembra il frutto di un processo di alienazione che genera ansie e incertezza. La nostra epoca rappresenta dunque il momento più opportuno per riqualificare, in termini positivi, il valore culturale della relazione uomo-cibo. La rilevanza sociale e l’urgenza di una vasta operazione di ripensamento di tale relazione la rendono non più rinviabile, necessaria per rispondere, alla radice, ai bisogni e alle aspirazioni delle persone.La cultura alimentare è la leva più efficace per ridefinire in termini concreti il rapporto uomo-cibo. È solo a partire da una cultura dell’alimentazione maggior-mente attenta ai valori della naturalità e della sostenibilità in tutte le sue decli-nazioni, che possono essere affrontate con successo anche le grandi emergenze alimentari del nostro secolo, da quelle legate all’accesso al cibo, alla prevenzione di un’ampia gamma di patologie, al rispetto dell’ambiente. La cultura è da sem-pre un moltiplicatore di risultati, grazie alla sua capacità di attivare e orientare le energie delle persone in forma collettiva. Limitarsi all’individuazione di solu-zioni tecniche alle problematiche emergenti, trascurando la diffusione di una dimensione culturale e di conoscenza, significa pianificare interventi di breve termine, rinunciando a incidere sulle cause profonde delle difficoltà attuali.

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• valorizzare il serbatoio ricco e articolato della convivialità. Il nostro è un tempo povero di relazioni. Il moltiplicarsi delle occasioni di contatto, anche attraverso le nuove tecnologie, spesso coincide con la superficialità dei rapporti umani. Il cibo è invece da sempre veicolo di occasioni di incontro e relazione; occorre perciò recuperare questa sua naturale inclinazione restituendo a una più adeguata dimensione sociale i momenti in cui lo si consuma.• proteggere la varietà territoriale locale, in chiave espansiva. In quanto espressione dell’identità di una comunità e di un territorio, il cibo conserva un tratto di unicità che lo rende, da un lato, occasione di riscoperta delle proprie radici culturali e, nel contempo, possibilità di rapporto con altre tradizioni. Per-ché questo accada occorre però conservare la ricchezza delle identità, senza rinunciare al gusto delle contaminazioni, rinforzando il capitale emotivo legato alle radici, alla tipicità, alla localizzazione territoriale, ma giocandone gli aspetti umanamente universali.• trasferire la conoscenza e il saper fare come straordinari giacimenti di ricchezza culturale. La preparazione dei cibi è per sua natura un’esperienza in larga misura artigianale: il consumatore è infatti chiamato a contribuirvi parte-cipando a forme di co-produzione con chi rende disponibili i beni alimentari.• tornare a un sano rapporto con il territorio e il contesto della materia prima, mirando all’eccellenza degli ingredienti. Nel caso dell’alimentazione, il rapporto tra la qualità materiale del cibo e la qualità dell’esperienza culturale è molto forte. Il cibo di modesta qualità non produce cultura.• riprendere il valore del cibo come tramite di rapporto fertile fra le generazioni, nella semplicità e chiarezza dei suoi benefici. Il tavolo della prima colazione e della cena serale sembra restare in molte famiglie uno dei pochi luoghi privilegiati attraverso cui passa un’esperienza di vita in comune, di educazione a una migliore condivisione degli affetti. Anche questo elemento va recuperato come aspetto di costruzione (e ricostruzione) di un tessuto sociale che con la modernità va indebolendosi.• recuperare i sapori antichi capaci di essere rinnovati nel gusto contem-poraneo attraverso un’operazione critica che consenta di trattenere il meglio della tradizione gastronomica, cercando di reinterpretarla creativamente.• diffondere la cultura del gusto e del saper vivere attraverso il cibo autentico. Rivitalizzare la magia e lo stupore del cibo nei suoi rituali e nel suo piacere spensierato – quale carburante esistenziale e culturale – consente una rinnovata centralità delle persone e delle loro emozioni. Il lusso e la salute futuri risiederanno in misura molto forte nell’arte di vivere e concepire il cibo in chiave culturale.

reindirizzare il futuro dell’alimentazione

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281la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare | cibo e cultura

la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare

Vi è un tratto culturale forte – dove il termine cultura si riferisce a un’espe-rienza di vita comune che dà origine a elaborazioni concettuali ed estetiche originali – che ha unito e tuttora unisce nella diversità i popoli del Mediter-raneo. Il mar Mediterraneo è stato nel tempo, infatti, teatro privilegiato di incontro tra culture diverse, in un processo di continuo scambio di beni mate-riali, idee, valori.Ne è nato un contesto geografico e culturale fatto di significative differenze, ma anche di numerosi punti di convergenza. Uno di questi è l’atteggiamento nei confronti dell’alimentazione: i popoli mediterranei condividono una let-tura della realtà che vede nel cibo una delle componenti essenziali della loro identità.Non è innanzitutto un fatto di omogeneità dei prodotti consumati; al contra-rio, essi sono piuttosto diversificati. È invece l’approccio all’alimentazione a costituire una caratteristica specifica, per molti versi unica. Approccio che attri-buisce al cibo e ai momenti di convivialità legati al cibo un ruolo centrale nella vita delle persone.Si tratta, in sintesi, di una commistione di cibi e di modalità di rapporto con il cibo che fonda un’identità culturale irriducibile, che insieme ad altri fattori (ma non meno di altri fattori) concorre a costituire la base di una socialità ricca e articolata.Come il sociologo francese Claude Fischler ha di recente sottolineato, l’approc-cio alimentare mediterraneo – la cosiddetta dieta mediterranea, intesa qui in senso ampio come stile complessivo di vita e alimentazione – presenta però oggi un’inaspettata fragilità.Inaspettata perché in passato proprio la dieta mediterranea si era dimostrata capace come nessun’altra di assimilare al suo interno elementi di straordinaria novità (basti pensare ai cibi americani, su tutti il pomodoro), senza stravolgere la propria fisionomia, e anzi arricchendola. Nel solco di un’identità ben deli-neata, gli elementi di innovazione venivano assunti a complemento, favorendo una strutturazione ancora più compiuta dello stile alimentare.Oggi proprio all’interno dei paesi mediterranei – al contrario – gli stili di vita e di alimentazione tipici della storia più recente tendono a smarrirsi con facilità, cedendo il passo ad abitudini, stili, modalità di assunzione del cibo provenienti da altre tradizioni, spesso molto più povere di contenuti alimentari, nonché di elementi di socialità e di significato. Questo sembra accadere maggiormente all’interno delle regioni che più delle altre hanno in passato rappresentato i ter-ritori di elezione della mediterraneità.

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Ciò che appare essersi inceppato è il meccanismo di trasmissione della tradi-zione, esponendo in questo modo i popoli del Mediterraneo al rischio di smar-rire un bagaglio di conoscenze e di comportamenti alimentari unico al mondo.Ma cerchiamo di chiarire innanzitutto a cosa ci si riferisce quando si parla di dieta mediterranea.

5.12 le caratteristiche salienti della dieta mediterranea

Come discusso in precedenza, è possibile individuare nel mondo tre principali tradizioni alimentari, ciascuna caratterizzata da tratti specifici: il modello medi-terraneo, il modello nord-americano e il modello asiatico (che al suo interno comprende alcune importanti tradizioni e culture, da quella giapponese a quella vietnamita, a quella cinese).Si può definire dieta mediterranea il modello nutrizionale ispirato ai modelli alimentari tradizionali dei paesi europei del bacino mediterraneo, in particolare Italia, Grecia, Francia meridionale, Spagna e Portogallo. Questa dieta ha avuto grande diffusione anche oltre i confini di questi paesi ed è stata adottata larga-mente nel Sud America (Argentina e Uruguay in particolare) e in alcune zone degli Stati Uniti d’America e del Canada.Molti studi scientifici presenti nella letteratura internazionale hanno indicato nella dieta mediterranea una delle migliori diete in senso assoluto per ciò che concerne il benessere fisico e la prevenzione delle malattie croniche, in particolare di quelle cardiovascolari, nonché una delle più coerenti rispetto alle raccomanda-zioni suggerite a livello scientifico sulla prevenzione delle malattie croniche.

la prima intuizione di dieta mediterranea. Il concetto di dieta mediter-ranea venne elaborato, per la prima volta, nel 1939 da Lorenzo Piroddi, medico nutrizionista, che intuì la connessione tra alimentazione e diabete, bulimia e obesità.11

In seguito, negli anni Cinquanta, Ancel Keys,12 medico-scienziato della Scuola di alimentazione dell’Università del Minnesota, che avrebbe poi scritto il cele-bre libro Eat well and stay well, the Mediterranean way, trascorse un periodo in Italia e si accorse di un fatto che, al tempo, sembrava molto strano: le persone meno abbienti (i cosiddetti poveri) dei piccoli paesi del Sud Italia, che mangia-vano prevalentemente pane, cipolla e pomodoro, apparivano essere molto più sani sia dei cittadini di New York, sia dei loro stessi parenti emigrati gli anni precedenti negli Stati Uniti.In successivi studi Keys osservò una bassissima incidenza di malattie delle coro-narie presso gli abitanti del Cilento e dell’isola di Creta e ipotizzò che tale situa-zione dipendesse dal tipo di alimentazione adottato in quelle aree geografiche.Queste prime osservazioni diedero il via al famoso “studio dei sette paesi”,13

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costanti mediterraneeL’equilibrio nella composizione della dieta mediterranea è rappresentato in questa colazione tradizionale turca: pomodori, olive, formaggio fresco, cetrioli, pane, miele e yogurt. Alcuni di questi elementi rappresentano dei veri “pilastri” nelle abitudini alimentari diffuse lungo tutto il bacino mediterraneo e in diverse combinazioni caratterizzano molti momenti del rapporto quotidiano con il cibo.

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basato sul confronto dei regimi alimentari di oltre 12.000 persone, di età com-presa tra 40 e 59 anni, in sette paesi del mondo (Finlandia, Giappone, Grecia, Ita-lia, Olanda, Stati Uniti e l’ex Jugoslavia), per verificarne i benefici e i punti critici.Dai risultati ottenuti dallo “studio dei sette paesi” si scoprirono numerose asso-ciazioni tra tipologia di dieta alimentare e rischio d’insorgenza di malattie cro-niche.14 Come emerse dai risultati, il livello elevato di acidi grassi saturi e del colesterolo nel sangue rappresenta un fattore in grado sia di spiegare le diffe-renze nei tassi di mortalità, sia di prevedere i tassi futuri di malattie coronariche nelle popolazioni analizzate.15

Ancora oggi, infatti, la mortalità per cardiopatia ischemica (infarto) è più bassa presso le popolazioni mediterranee rispetto a paesi, come la Finlandia, dove la dieta è ricca di grassi saturi (burro, strutto, latte e suoi derivati, carni rosse).Il risultato finale dello “studio dei sette paesi” indicò che il regime alimentare migliore era quello degli abitanti di Nicotera, in Calabria, che adottavano uno stile alimentare mediterraneo. La popolazione di Nicotera (Calabria), di Mon-tegiorgio (Marche) e gli abitanti della Campania presentavano un tasso molto basso di colesterolo nel sangue e una percentuale minima di malattie corona-riche, dovuta a un regime alimentare a base di olio d’oliva, pane e pasta, aglio, cipolla rossa, erbe aromatiche, verdura e poca carne.16

gli studi più recenti. Dal primo “studio dei sette paesi” a oggi, molte altre ricerche hanno analizzato le caratteristiche e le associazioni tra stile alimentare adottato e insorgenza di malattie croniche.17 Dalla metà degli anni Novanta, inoltre, si è sviluppato un filone di studio che ha indagato l’associazione tra diete alimentari e longevità.18

Ne emerge che l’adozione di una dieta mediterranea, o simile a quella mediter-ranea, rappresenta un fattore protettivo contro le più diffuse malattie croniche e consente di vivere meglio e più a lungo.Come si accennava in precedenza, il modello alimentare mediterraneo prevede un elevato consumo di verdura, frutta, legumi, frutta a guscio, olio d’oliva e cereali (che nel passato erano prevalentemente integrali); un moderato consumo di pesce e prodotti caseari (specialmente formaggio e yogurt) e vino; un basso consumo di carne rossa, carne bianca e acidi grassi saturi.19

Questo modello è sostanzialmente basato su un apparente paradosso (almeno dal punto di vista della nutrizione tradizionale). I popoli che adottano la dieta mediterranea consumano quantità relativamente elevate di grassi (simili a quelle che assumono gli statunitensi) ma hanno minori tassi di malattie cardiovasco-lari rispetto ad altre popolazioni del Nord America.La spiegazione è che la gran quantità di olio d’oliva usata nella cucina mediter-ranea sostituisce almeno in parte i grassi animali. L’olio di oliva, infatti, sembra contribuire al mantenimento di livelli più bassi di colesterolo nel sangue.

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285la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare | cibo e cultura

Oltre all’olio d’oliva, un posto privilegiato nella dieta mediterranea è occu-pato dai cereali. Contrariamente a quanto comunemente si pensa, i cereali non devono essere rappresentati solo da pane e pasta, ma anche da orzo, farro, avena, riso e mais. Nella dieta mediterranea assumono particolare importanza i cereali integrali. Questi ultimi si differenziano dai cereali raffinati, i quali subi-scono l’asportazione della parte esterna del chicco, che impoverisce il cibo sotto il profilo della fibra alimentare e di altri importanti componenti, quali mine-rali, vitamine e antiossidanti.Negli stili alimentari che si sono diffusi negli ultimi anni i legumi sono stati gradualmente esclusi dalle diete. In quella mediterranea, invece, la loro presenza è fondamentale. I legumi, infatti, apportano carboidrati a lento assorbimento (basso indice glicemico) e una corposa presenza di proteine. I legumi hanno anche il merito di apportare discrete quantità di sali minerali, alcune vitamine e fibra alimentare.Con riferimento alla frutta e alla verdura, è ormai consolidata nella comunità scientifica internazionale la convinzione che sia opportuno consumare quotidia-namente almeno cinque porzioni di frutta e verdura. Questi alimenti apportano vitamine essenziali (come la C) e contribuiscono a un senso di sazietà elevato a fronte di un ridotto potere calorico. Ciò è dovuto principalmente alla presenza di elevate quantità di fibra alimentare e di acqua, che aumentano il volume del pasto ma non il potere calorico.

cosa consumare, per vivere meglio. Accanto alla frutta fresca, l’aderenza alla dieta mediterranea richiede di consumare quotidianamente (ma in modo contenuto) anche frutta secca. La frutta secca contiene poca acqua, una quan-tità non molto alta di proteine, pochi zuccheri e una cospicua parte di grassi. Per questa caratteristica è consigliabile un consumo moderato. Nella frutta secca, tuttavia, è discreto l’apporto di vitamina E, sali minerali e acidi grassi essenziali come, per esempio, gli omega-6.Generalmente la dieta mediterranea tende a consigliare un consumo di pesce più ampio rispetto a quello della carne. A livello culturale, oltre che nutrizio-nale, il pesce non poteva restare escluso dalle tavole mediterranee, proprio per la presenza dell’ambiente marino che ha plasmato e determinato la storia dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il pesce ha ottime quantità proteiche, di acidi grassi essenziali e di alcuni sali minerali.Con riferimento alla carne, invece, nella dieta mediterranea si tende a prefe-rire quella bianca (pollo, tacchino, coniglio) a quella rossa. Ricca in proteine, vitamine e sali minerali, la componente lipidica (grassi) dipende fortemente dall’animale di provenienza e anche dalla parte dell’animale consumata.Infine, si pensa che il consumo moderato di vino rosso durante i pasti (equiva-lenti a due bicchieri al giorno per gli uomini e uno per le donne, in individui

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286 eating planet

sani e normopeso) sia un altro fattore protettivo, per gli antiossidanti contenuti nelle bevande alcoliche.20

A tal proposito, secondo lo studio condotto dall’American Heart Association, la dieta mediterranea diminuisce il tasso di mortalità in seguito a malattie corona-riche del 50%.In generale gli studi condotti sulla dieta mediterranea, oltre che rilevare una correlazione positiva tra aderenza a stili alimentari mediterranei e riduzione delle malattie croniche, hanno evidenziato anche effetti protettivi sul cervello. È emerso, infatti, che chi segue questo tipo di regime alimentare ha meno pos-sibilità di andare incontro a un declino cognitivo prematuro. La dieta mediter-ranea, inoltre, ridurrebbe le possibilità di sviluppare la malattia di Alzheimer in chi già mostra segnali di difficoltà cognitive.

5.13 la dieta mediterranea e gli aspetti sociali: l’importanza della commensalità

Quando pensiamo alla mediterraneità, riferendola al cibo e all’alimentazione, non ci riferiamo soltanto alla composizione della dieta, ma anche e soprattutto allo stile di vita legato a questa dieta.Nel corso dell’evoluzione umana, la commensalità ha sempre giocato un ruolo centrale nella vita sociale. In senso letterale, questo termine significa mangiare alla stessa tavola: dal latino medievale commensalis, da con-dividere + mensa (tavola). In senso più lato trasmette l’idea di condividere abitualmente il cibo, implicando talvolta la dipendenza di uno o più commensali da un altro.Il termine “partecipare”, per esempio, deriva dal latino pars capere, che letteral-mente significa ricevere la propria parte di un pasto sacrificale, prendere parte, e dunque essere parte, avere il proprio posto in seno a un gruppo, un’istituzione o un evento.La commensalità non è specificamente mediterranea. Tuttavia, in alcune delle culture che si sono sviluppate attorno al bacino del Mediterraneo ha acquisito un grado di istituzionalizzazione e un significato politico che hanno contri-buito a ulteriori e cruciali sviluppi. Gli storici hanno mostrato che, sulla scia del banchetto sacrificale, i pranzi pubblici divennero in effetti un fattore essenziale nello sviluppo della democrazia ateniese.Nelle religioni monoteiste affermatesi nel mondo mediterraneo, il pasto formale e le sue regole hanno acquisito un alto grado di ritualizzazione e significato simbolico (per esempio, il pranzo del sabato degli ebrei e la commemorazione dell’ultima cena fatta dai cristiani nell’eucaristia).

verso consumi individuali e medicali. Recenti ricerche comparative hanno mostrato che all’interno del mondo occidentale si osservano differenze sorpren-

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287la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare | cibo e cultura

denti tra paesi con livelli di sviluppo relativamente simili per quanto riguarda i modelli riferiti all’atto del mangiare e il rapporto con il cibo in generale.Per esempio, negli Stati Uniti e in certa misura in Gran Bretagna, il mangiare è divenuto un atto sempre più individualizzato e medicalizzato. È considerato una forma di consumo privato. In Italia o in Francia, per contro, l’atto del mangiare ruota maggiormente attorno agli orari dei pasti e alla commensalità, con una dimensione essenzialmente sociale.Fino a tempi molto recenti, la medicina non ha tenuto in adeguata conside-razione la dimensione sociale e culturale del cibo e del mangiare. Gran parte degli sforzi per migliorare l’alimentazione della gente si basava sulla presunzione implicita che le informazioni riguardanti le sostanze nutritive, le calorie e l’eser-cizio fisico trasmesse a ogni singolo individuo sarebbero state in grado di otti-mizzarne il comportamento. Pensare al cibo e al mangiare in termini di sostanze nutritive e di scelta personale responsabile non pare però essere sufficientemente di aiuto. D’altro canto, si può osservare che alcune delle nazioni che mostrano uno stretto legame con la commensalità in genere sembrano avere un’alimenta-zione migliore, se letta in termini di obesità e problemi di salute correlati.La commensalità dovrebbe essere considerata un concetto fondamentale e dive-nire oggetto di ricerche in campo alimentare.Le culture del Mediterraneo che dal punto di vista dell’alimentazione man-giano meglio sono quelle che sembrano prestare più attenzione ai cibi che non alle sostanze nutritive; alla loro origine, non solo alla composizione; alla qualità totale, non solo al valore nutritivo e alla salute; alle occasioni sociali, non solo alla gestione del corpo, alla responsabilità e alla scelta personali; all’importanza sacrale del cibo, non solo ai suoi aspetti banali.Viceversa, l’obesità, il diabete e le patologie correlate si manifestano in preva-lenza non nelle aree in cui, sia a livello di cultura sia di società, il cibo e il man-giare sono considerati occasioni sociali importanti e di cui godere su base quo-tidiana, ma piuttosto in quelle in cui il cibo è pervasivo, poco costoso ma anche di scarsa qualità, sempre pronto per un consumo continuo, quasi indifferente, in cui è mercificato, banalizzato, svuotato del suo significato, spogliato, per così dire, della sua sacralità.Il grande sociologo tedesco Max Weber ha scritto del “disincanto” (Entzaube-rung) del mondo associato all’avvento della modernità: dove il cibo è divenuto disincantato, dovremmo rivolgerci alla mediterraneità affinché ci aiuti a re-incantarlo.

5.14 la mediterraneità oggi: il declino di un modello

Dagli anni Cinquanta del secolo scorso a oggi, cioè dal primo studio di Keys, si è assistito in tutta l’area del Mediterraneo, Italia compresa, a un graduale

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288 eating planet

abbandono dell’approccio mediterraneo al cibo, a favore di stili alimentari meno salutari.Con riferimento al caso italiano, i risultati degli studi di Flaminio Fidanza (uno dei pionieri della ricerca in campo nutrizionistico, che ha indagato a fondo – a partire dagli anni Sessanta – la realtà del nostro paese) 21 hanno evidenziato come l’indice di adeguatezza mediterranea in due città simbolo sia calato drasticamente: a Nicotera era di 7,2 nel 1960 e divenne 2,2 nel 1991, mentre a Montegiorgio, dove era 5,6 nel 1965, si attestò a 3,9 nel 1991. L’abbandono della dieta mediterranea risulta marcato anche nelle principali città italiane.22

Un recente studio effettuato sulla realtà spagnola e italiana 23 ha rilevato come le giovani generazioni sembrino abbandonare gradualmente, e in modo costante, la dieta mediterranea, a favore di nuove tendenze alimentari carat-terizzate da cibi a elevato contenuto di grassi. Sovrappeso e obesità in Italia e Spagna sembrano essere correlate, oltre che alla ridotta attività fisica, anche all’abbandono della dieta mediterranea.Da un recente studio presentato nel luglio del 2009 dall’Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica e dall’Osservatorio nutrizionale Grana Padano, viene confermata la tendenza di abbandono della dieta mediterranea. In Italia, infatti, l’indice di adeguatezza mediterranea si attesta all’1,44, ben lontano dal 7,2 di Nicotera del 1960 e dal 5,6 di Montegiorgio del 1965.Come rileva l’ISTAT, da diversi anni è presente nel nostro paese la tendenza ad abbandonare la dieta mediterranea tradizionale in favore di modelli alimentari diversi.D’altronde, negli ultimi anni la società europea, e italiana nello specifico, sono cambiate in modo considerevole sotto molti punti di vista.Ogni giorno in Italia vengono consumati circa 105 milioni di pasti, di cui il 76% in casa e il 24% fuori casa.24 A livello aggregato i pranzi (53%) prevalgono sulle cene (47%), mentre il 71% dei pasti sono consumati con i familiari, il 16% con amici e colleghi e il 16% da soli.Il 67% dei 25,5 milioni di pasti consumati fuori casa è concentrato nell’occa-sione del pranzo, che solo nel 30% dei casi è consumato tra le ore 13 e le 14 (figura 5.1).Osservando la ripartizione per modalità dei pasti consumati quotidianamente in Italia (al di là della prevalenza della cena e del pranzo “normale”) emergono – tra i pasti consumati “fuori casa” – le modalità di consumo del “pranzo in corsa” (11%) e del “pranzo di recupero”, il pranzo saltato e fatto un po’ prima o un po’ dopo in modo convenzionale (5%).I pranzi consumati in meno di 10 minuti rappresentano il 9% del totale dei pranzi consumati fuori casa. Inoltre, il 14% dei pasti fuori casa è consumato in piedi mentre il 15% seduti, ma non a tavola.

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mangiare per stradaLo street food è diventato trendy e oggetto di una rivalutazione che ne mette in luce la dignità gastronomica, il patrimonio di diversità e il legame con le culture locali. Ma soprattutto quella del “mangiare per strada” è una realtà che accomuna i luoghi più diversi costituendo uno dei modi più diffusi di vivere lo spazio collettivo.

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290 eating planet

Nel caso dei pranzi fuori casa si tratta prevalentemente di primi piatti (41%) e di secondi piatti (42%), con un milione di primi piatti pronti consumati fuori casa ogni giorno (in buona parte nei bar/tavola calda).La composizione dei pasti in casa mostra invece una varietà maggiore, come si evince dalla figura 5.2.Il quadro delineato attraverso i dati presentati sembra abbastanza chiaro: i ritmi di vita degli italiani sono condizionati da un processo di progressiva accelera-zione (in conseguenza di alcune grandi mutazioni di contesto) e il loro stile di alimentazione sta via via seguendo questa tendenza.Il risultato è che il tempo e la qualità dello spazio dedicato all’alimentazione nell’arco della giornata risulta oggi compresso tra gli altri impegni quotidiani

figura 5.1

Ripartizione dei 105 milioni di pasti consumati quotidianamente in Italia per modalità di consumoNota: dati espressi in %. Base: 99.000 pasti analizzati; 105 milioni di pasti giornalieri.Fonte: BCFN su dati Nielsen‑Barilla, 2009.

1 %

3 %

46 %

2 %

1 %

1 %

44 %

1 %

1 %

1 %

1 %

46 %

1 %

0 %

1 %

49 %

1 %

1 %

3 %

11 %

48 %

5 %

2 %

2 %

27 %

3 %

1 %

Totale

In casa

Fuori casa

Pasto in tarda mattinata

Pranzo in corsa

Pranzo normale

Pranzo di recupero

Aperitivo

Cena in corsa

Cena normale

Cena posticipata

Pasto in tarda serata

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291la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare | cibo e cultura

degli individui, che sempre più spesso si trovano costretti a sacrificare la qualità della propria alimentazione.I tratti tipici della “mediterraneità”, con particolare riferimento all’attitudine ad attribuire all’alimentazione valenze che – pur tenendo conto anche di questo fattore – eccedono l’aspetto meramente nutrizionista o funzionale, sembra rap-presentare un patrimonio culturale che tuttora sussiste nella società italiana e che sembra resistere a dispetto delle pressioni cui lo stile di vita delle persone è sottoposto. Ciò che invece appare sempre più difficile è la riconciliazione tra questo approccio e una realtà che ne rende sempre più difficile l’applicazione.Quelli visti sono dati riferiti all’Italia, che trovano però riscontro anche a livello europeo. Se si allarga, infatti, lo sguardo fino a includere nell’analisi il contesto socio-politico sovranazionale dell’Unione Europea – che pur inserendosi solo in parte nel solco della tradizione culturale qui richiamata, subisce dinamiche di cambiamento sociale prossime a quelle osservabili nel nostro paese – si osserva la stessa tendenza a una liquidità e a un movimento sociale che vanno a modifi-care strutturalmente le consuetudini affermatesi nel tempo. Se da un lato tende ad affermarsi in prospettiva, e questo è il dato più preoccupante, lo stesso para-digma “produttivista” che interessa altre aree del mondo (ciò è dimostrato, tra

figura 5.2

Distribuzione del tempo di preparazione dei pasti in casa e fuori casaNota: dati espressi in %. Base: 80 milioni di pasti giornalieri in casa.Fonte: BCFN su dati Nielsen‑Barilla, 2009.

5 %

29 %

39 %

22 %

4 %

1 %

4 %

30 %

42 %

22 %

2 %

0 %

9 %

26 %

28 %

22 %

10 %

4 %

Totale

In casa

Fuori casa

Meno di 10 minuti

Da 10 a 20 minuti

Da 20 a 30 minuti

Da 30 minuti a 1 ora

Da 1 a 2 ore

Più di 2 ore

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292 eating planet

l’altro, dal numero crescente di persone affette da malattie direttamente colle-gate al sovrappeso e all’obesità),25 dall’altro si scopre come alcuni valori tipici della mediterraneità abbiano ormai permeato l’intero continente.Ciò che appare più rilevante è però l’emergere di una frattura significativa tra scelte e concezioni ideali e prassi quotidiane. Mentre la consapevolezza del ruolo di una buona alimentazione ai fini del benessere complessivo della per-sona tende ad aumentare nel tempo e presenta valori piuttosto soddisfacenti, la possibilità di praticare concretamente lo stile di vita desiderato tende a diventare sempre più difficile.

la difficile adozione di una dieta alimentare bilanciata. Se guardiamo alla survey realizzata da Eurobarometro per la Commissione Europea nel 2006 con l’obiettivo di analizzare le abitudini alimentari dei cittadini residenti nei 25 paesi europei,26 si osserva come la maggioranza dei cittadini ritenga che mangiare in modo sano consista nell’adozione di una dieta alimentare bilan-ciata e composta da alimenti vari. Nello specifico, il 59% dei cittadini ritiene che una dieta alimentare composta da un’elevata varietà di cibi e da un signi-ficativo consumo di frutta e verdura risponda all’esigenza di un’alimentazione sana. I cittadini europei sono anche consapevoli (circa uno su quattro) che un consumo di grassi e zuccheri eccessivo non è salutare e debba perciò essere evi-tato (figura 5.3).Consapevoli dell’importanza della composizione della dieta, la grande maggio-ranza dei cittadini europei (83% del totale) si dichiara informata dell’impor-tanza di ciò che mangia ai fini del proprio benessere fisico.Nonostante la maggior parte dei cittadini europei dichiari di adottare una dieta alimentare sana, il numero di persone che hanno difficoltà nell’alimentarsi in modo corretto risulta piuttosto elevato in paesi quali Ungheria (54%), Slovac-chia (52%) e Polonia (49%). In paesi invece come Paesi Bassi (79%), Svezia (77%) e Malta (77%) sembra piuttosto facile adottare una dieta sana. L’Italia si posiziona sotto la media europea, con 57% dei rispondenti che ritengono facile mangiare in modo sano contro il 66% della media UE25.Lo stile di vita dei cittadini europei sembra essere il principale ostacolo al mangiare in modo sano e nutriente. Sono due i principali motivi di impedi-mento: l’eccessivo tempo da dedicare alla scelta e alla preparazione di un pasto (31% dei rispondenti) e il mancato controllo sugli alimenti consumati, perché acquistati o preparati da altri (27%). Infine, un terzo motivo espresso è la con-siderazione che il cibo sano sia poco appetibile (23%). Elemento di riflessione risulta anche essere la mancanza di informazioni riguardo a che cosa compone una dieta sana (12%) e alla confusione e contraddittorietà generata dalle indica-zioni presenti sugli alimenti (15%).In conclusione, la ricerca sulle abitudini alimentari degli europei condotta

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293la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare | cibo e cultura

dall’Eurobarometro sembra indicare una sempre più diffusa consapevolezza dell’importanza dell’alimentazione ai fini di una vita in piena salute. Al tempo stesso, però, fornisce una conferma della presenza di una difficoltà a tradurre in comportamenti concreti le nozioni teoriche apprese.Manca un aspetto di mediazione culturale che consenta di tradurre con natura-lezza in comportamenti concreti quanto ormai noto in termini di acquisizioni scientifiche e pratiche alimentari consigliate dai nutrizionisti (basti pensare, a questo proposito, alla piramide alimentare, universalmente nota ormai da quasi trent’anni, ma mai così poco applicata nel mondo come oggi).Emerge da queste rilevazioni una chiara indicazione della sfida in atto. La bat-taglia per una buona alimentazione si gioca e si vince sui comportamenti, prima ancora che sulla scelta degli alimenti. Si decide sulle buone prassi che consen-tono di attribuire un valore e un significato al cibo. Non si tratta di rendere l’ali-mentazione un’ossessione o una fatica, ma – al contrario – un percorso di risco-perta di sé e degli altri, all’interno di un tempo dedicato alla cura della persona.

figura 5.3

Cosa significa seguire una dieta sana?Fonte: The European House‑Ambrosetti su dati Eurobarometro, 2006.

59 %

58 %

45 %

28 %

25 %

22 %

19 %

16 %

13 %

8 %

8 %

7 %

3 %

2 %

1 %

2 %

11 %

Mangiare una varietà di cibi diversi, in modo bilanciato

Mangiare più frutta e verdura

Evitare di mangiare cibi troppo grassi

Evitare di mangiare cibi troppo zuccherati

Mangiare più pesce

Non mangiare cibi troppo calorici

Evitare di mangiare cibi troppo salati

Mangiare meno carne

Evitare di mangiare cibi contenenti additivi

Mangiare cibi organici

Mangiare più pane, riso, pasta e altri carboidrati

Mangiare meno pane, riso, pasta e altri carboidrati

Mangiare più carne

Mangiare meno frutta e verdura

Mangiare meno pesce

Altro

Non risponde

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294 eating planet

Questa intuizione originaria costituisce da sempre il cuore della proposta ali-mentare mediterranea.

5.15 come recuperare il significato della mediterraneità

Al di là degli aspetti strettamente nutrizionali, ciò che sembra progressivamente venire meno nei paesi più evoluti è un rapporto equilibrato con il cibo.L’obiettivo diventa, allora, quello di rendere meno scontato e dunque più intenso, più bello, più attraente il tempo del mangiare. Attraente perché veicolo di una convivialità, di un uso misurato del tempo, di un gusto estetico che tal-volta facciamo fatica a ritrovare in giornate scandite da ritmi frenetici, ansia e superficialità.Se questa convinzione, relativa alla centralità della cultura quale leva prioritaria di ridefinizione di una realtà strutturata di carattere produttivo ed economico, è fondata, sorge il problema di come reindirizzare concretamente il futuro dell’alimentazione. Quali dovrebbero essere le dimensioni più rilevanti di que-sto movimento?Il primo aspetto riguarda la capacità dell’industria agro-alimentare di porsi al servizio delle dinamiche fondamentali della mediterraneità (approfondite nel box “Reindirizzare il futuro dell’alimentazione”):• valorizzare il serbatoio ricco e articolato della convivialità, in questa nostra epoca povera di relazioni;• proteggere la varietà territoriale locale, in chiave espansiva, conservando la ricchezza delle identità, senza rinunciare al gusto delle contaminazioni, rinfor-zando il capitale emotivo legato alle radici, alla tipicità, alla localizzazione terri-toriale, ma giocandone gli aspetti umanamente universali;• trasferire la conoscenza e il saper fare legati alla preparazione dei cibi come straordinari giacimenti di ricchezza culturale;• tornare a un sano rapporto con il territorio e il contesto della materia prima, mirando all’eccellenza degli ingredienti, stabilendo un legame diretto e rispet-toso con il contesto in cui la materia prima nasce;• riprendere il valore del cibo come tramite di rapporto fertile fra le generazioni, nella semplicità e chiarezza dei suoi benefici, anche ai fini della costruzione (e ricostruzione) di un tessuto sociale che con la modernità va indebolendosi;• recuperare i sapori antichi capaci di essere rinnovati nel gusto contempora-neo, attraverso un’operazione critica che consenta di trattenere il meglio della tradizione gastronomica, cercando di reinterpretarla creativamente;• infine diffondere la cultura del gusto e del saper vivere attraverso il cibo autentico, perché rivitalizzare la magia e lo stupore del cibo nei suoi rituali e nel suo piacere spensierato – quale carburante esistenziale e culturale – consente una rinnovata centralità delle persone e delle loro emozioni.

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295la cultura mediterranea: stile di vita e tradizione alimentare | cibo e cultura

Il secondo elemento rilevante è invece riferito alle modalità di attivazione del processo di cambiamento. Occorre, a questo scopo, dare vita a un grande patto tra tutti gli attori del mondo dell’alimentazione, incluse le istituzioni pubbliche – oggi sempre più preoccupati delle conseguenze devastanti delle scelte alimen-tari scorrette effettuate dai propri cittadini – per ri-orientare gli stili di vita e alimentari verso modalità di consumo maggiormente sostenibili per la salute, l’ambiente, l’integrità sociale.La scala della sfida, quella di educare a una nuova ecologia dell’alimentazione, è tale da richiedere capacità di intervento che prescindono dalle forze dei singoli operatori. Occorre uno sforzo condiviso, un’alleanza tra soggetti diversi, che mentre conserva il tipico carattere di competizione nella relazione tra player di uno stesso settore, si rende capace di attuare giochi cooperativi finalizzati alla promozione di un nuovo paradigma alimentare. Nella speranza che un giorno non troppo lontano divenga dominante un paradigma alimentare squisitamente mediterraneo.

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296 eating planet

intervista costruire la cultura della responsabilità

Joaquín Navarro-Valls

Ci sono problemi a livello mondiale che sembrano non risol-versi mai: ci riferiamo alla fame nel mondo e, più in gene-rale, allo sviluppo dei paesi più poveri. Quali sono le priorità per avviare uno sviluppo sostenibile che includa tutti i paesi, e non solo quelli più avanzati?

Per trovare la soluzione a un problema, la prima cosa è formulare correttamente il problema stesso. Un problema mal formulato non trova mai soluzione. Il problema della sostenibilità lo abbiamo creato noi – i paesi sviluppati – non i paesi in via di sviluppo. Non possiamo pensare di risolvere un problema di cui non vogliamo farci protagoni-sti, scaricando sui paesi in via di sviluppo la responsabilità e le relative misure. Dico questo perché è molto facile per

noi uomini dell’Occidente criticare, per esempio, la deforestazione parziale di alcune zone amazzoniche. Sono stato molte volte in Africa e ho visitato la tota-lità dei paesi africani (nord-sahariani e subsahariani). Ogni volta vado lì con una mentalità da sviluppo sostenibile, ma è ingiusto pensare che debba comin-ciare in quei paesi: siamo noi a dover cambiare le nostre abitudini. Questo mi pare il primo aspetto: occorre formulare il problema in termini veramente glo-bali. Non con una globalità che ci escluda, ma una globalità che invece cominci a includerci, anche in termini di responsabilità.

Quali sono gli attori principali che possono avviare uno sviluppo in questa dire-zione: i governi locali, le istituzioni internazionali, le ONG, le università, i centri di ricerca? Chi dovrebbe muoversi per primo?

Dal mio punto di vista, qualsiasi decisione che possa condizionare le abitudini dell’essere umano deve partire non tanto dalle istanze nazionali o sovranazio-nali, ma da una cosa che si chiama senso di responsabilità. Naturalmente il senso di responsabilità è sempre individuale, ma va creato e stimolato con aiuti che sono di natura politica, geopolitica e globale. Fino a quando non ci rende-remo conto che i problemi dell’uomo in genere devono essere risolti con il senso di responsabilità dello stesso uomo e passiamo la responsabilità ad altri, non risolveremo mai nessuno di questi problemi.

La soluzione dei problemi globali richiede sempre un approccio multidisciplinare,

Joaquín Navarro-Valls� è presidente della Fonda-zione Telecom Italia dal gennaio 2009 e presi-dente dell’Advisory Board dell’Università Campus Bio-Medico di Roma dal gennaio 2007. Dal 1996 è Visiting Professor presso la Facoltà di Comunica-zione Istituzionale della Pontificia Università della Santa Croce, Roma.Dal 1984 al 2006 è stato direttore della Sala Stam-pa della Santa Sede.

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297interviste | cibo e cultura

quindi che tenga conto di problemi economici, sociali, culturali e anche ambientali. I politici e le istituzioni riescono ad adottare un approccio di questo tipo?

Dal mio punto di vista, in questo problema come in altri, l’unica via è l’educa-zione. Educare una persona, un’area geografica, l’umanità in genere: è sempre la stessa cosa. Per introdurre una persona in una realtà, ci deve essere colui che educa, che conosce la realtà e la spiega in un processo di sviluppo educativo. Ora, da questo punto di vista mi sembra che non abbiamo fatto abbastanza; parlo soprattutto dell’Occidente sviluppato nei confronti dei paesi in via di svi-luppo. Non abbiamo fatto abbastanza forse perché non ci siamo posti di fronte alla responsabilità di cui dicevo prima.Questa è però un’educazione che comincia con noi. Molte abitudini dell’Occi-dente sviluppato devono cambiare, anzi in alcuni luoghi stanno già cambiando; l’unica cosa è che non stanno cambiando come risultato di una decisione libe-ramente presa, ma come un bisogno angoscioso perché le cose così non possono andare. Questo è il tema. Però, riassumendo la domanda, mi sembra che l’unica via sia l’educazione, non vedo altra soluzione.

Come opinion leader, e sulla base della sua esperienza e dal suo osservatorio, cosa si aspetta dai prossimi anni?

Costruire il futuro è sempre arduo, immaginarlo è impossibile. Posso dire qual è la mia speranza, più che formulare una profezia per il domani. Che il pro-cesso di presa di responsabilità individuale, quindi collettiva, aumenti conti-nuamente. Se si perde il senso della propria responsabilità (individuale, sociale e collettiva ecc.) allora è difficile “produrre” un futuro migliore. Se ci si scorda di questo, se l’interesse prevalente è di tipo egoistico, l’egoismo costruisce caos. Solo la responsabilità ci porta fuori dal caos.

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intervista chi controlla il cibo controlla la democrazia

Vandana Shiva

Un miliardo di persone che soffre la fame, due miliardi di persone ammalate, il pianeta stesso ammalato (l’acqua che sta scomparendo così come la biodiversità, il danno clima-tico, il suolo che perde fertilità): tutti questi fattori sono collegati tra di loro nell’ambito di un modello agricolo che trascura la nutrizione del suolo e quella delle persone, e mette al centro i profitti derivanti dallo sfruttamento delle risorse. Tutto ciò significa che i piccoli agricoltori non rie-scono a sfamarsi perché rientrano nel gruppo dei nuovi espropriati. Oppure se riescono a coltivare, sono indebitati e vendono ciò che coltivano, tant’è che del miliardo di per-sone affamate, 500 milioni sono produttori di cibo. E un sistema che dimentica che il cibo deve essere funzionale alla nutrizione, finisce per produrre non-cibo, che diventa cibo spazzatura, il quale, a sua volta, causa diversi tipi di patologie. È lo stesso sistema che sfrutta l’acqua perché non ne deve sostenere i costi, causa l’estinzione delle specie e immette nell’atmosfera il 40% dei gas serra che provocano i cambiamenti climatici. Quindi i profitti distruggono il cibo, la Terra, i nostri agricoltori e la nostra salute. I pro-fitti sono diventati un’ossessione.

Con queste premesse, che approccio dovrebbero adottare i paesi in via di sviluppo nei confronti dell’agricoltura per evitare che la situazione peggiori?

Ritengo che i cosiddetti paesi in via di sviluppo siano definiti tali in quanto non sono stati industrializzati durante la prima rivoluzione industriale. E la maggior parte della popolazione nei nostri paesi, anche in Cina e India, è costi-tuita da piccoli agricoltori. In Africa per certo, e così pure in America Latina. Dobbiamo considerare i nostri piccoli agricoltori come il nostro capitale sociale, perché le piccole aziende agricole sono quelle che producono di più. Se ci met-tiamo a imitare l’agricoltura industriale su larga scala delle multinazionali occidentali, non solo distruggeremo i nostri agricoltori, ma comprometteremo anche la nostra sicurezza alimentare. Poiché i paesi in via di sviluppo si ritro-vano a essere nella parte del mondo con maggiore biodiversità, la seconda cosa che dobbiamo fare è riconoscere che il patrimonio naturale della biodiversità è un vero e proprio capitale. Non i prestiti finanziari dalle banche che in futuro

Vandana Shiva è fon-datrice di Navdanya, un movimento per la con-servazione delle biodi-versità e per i diritti degli agricoltori. È fondatrice e direttrice della Research Foundation for Science, Technology and Natural Resource Policy la cui mis-sione è quella di risolvere i più rilevanti problemi sociali ed economici in collaborazione con le comunità locali e i movi-menti sociali.È stata inoltre consigliere per il governo indiano e per governi stranieri, per ONG come l’International Forum on Globalisation, Women’s Environment and Development Orga-nization e Third World Network.

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finiranno per prendersi la terra. Non le tecnologie che, come l’ingegneria gene-tica, si stanno già rivelando un fallimento. Dobbiamo portare rispetto nei con-fronti della terra, dei nostri agricoltori così come della più antica e collaudata conoscenza in ambito agricolo. È proprio questo il concetto che viene messo in evidenza dal rapporto IAASTD che ha evidenziato che né la Rivoluzione verde, né l’ingegneria genetica rappresentano soluzioni per l’accesso al cibo. È con l’agricoltura ecologica, spesso associata a sistemi di conoscenza indigeni e frutto degli stessi, che è possibile aumentare la produzione preservando al con-tempo le risorse.

Ritiene che le donne rivestano un ruolo specifico in questo processo?

Le donne rivestono un ruolo specifico per due motivi. Innanzitutto, se si pensa alla lunga storia dell’agricoltura che sfamava la gente senza renderla obesa e senza causare epidemie di diabete, si tratta della storia di un sistema agricolo e alimentare nel quale le donne avevano un ruolo centrale ed erano le deposita-rie della conoscenza. Quindi è alle donne che dobbiamo chiedere cosa fare per avere un’alimentazione sana e corretta. È per questo che presso l’associazione Navdanya abbiamo attivato la Grandmothers’ University (l’università delle nonne), per imparare nuovamente come rispettare il cibo.Il secondo aspetto è che il sistema agricolo che sta creando tutti questi problemi – un miliardo di affamati, due miliardi di obesi – è un sistema che affonda le sue radici nella guerra. È proprio nato dalla guerra. Le sostanze agrochimiche sono il frutto della guerra. Questo sistema nasce da quella che io chiamo la “mentalità patriarca” che vede l’uomo come il dominatore, come conquistatore violento della Terra e delle persone. Questo modello è diventato troppo pesante per il sistema alimentare. Abbiamo bisogno della non-violenza, della diversità e della multifunzionalità che le donne possono conferire all’agricoltura.

Una volta ha affermato che chi si impadronisce del nostro sistema alimentare si impadronisce anche della nostra democrazia. Che cosa intende? Ce lo può spiegare meglio?

Da un certo punto di vista si tratta di quanto affermato da Henry Kissinger a proposito del cibo come arma. Disse che se si ha il controllo delle armi, si ha anche il controllo dei governi e degli eserciti. Quando si ha il controllo del cibo si ha il controllo delle persone. Nel contesto attuale, il cibo è controllato attra-verso il controllo delle sementi. Monsanto si è rivelato l’unico e il più grande player sul fronte delle sementi. E tristemente il governo statunitense, che si è impoverito tremendamente esternalizzando tutta la produzione, adesso racco-glie royalty su sementi brevettate, deprivando gli agricoltori del terzo mondo

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della democrazia, della possibilità di utilizzare i propri semi, deprivando la gente in tutto il mondo del diritto di scegliere quale cibo coltivare e di sapere cosa c’è dentro al cibo. Oggi democrazia alimentare significa disporre della sovranità e della libertà delle sementi. Quindi bisogna dire “no” ai brevetti sulle sementi e “sì” alla possibilità di coltivare il proprio cibo, il che significa difendere i piccoli agricoltori e fermare il sistema perverso dei sussidi che con importi pari a 400 miliardi di dollari forniscono all’agricoltura industriale un vantaggio iniquo e la fanno prosperare.E, in terzo luogo, ciò significa essere molto più consapevoli del cibo che si man-gia e di come è stato coltivato. Riassumendo: la democrazia inizia dal piatto.

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la guerra della consumer culture e il sistema alimentare: quali implicazioni per il modello mediterraneo?

Michael Heasman

Il tradizionale approccio mediterraneo al cibo potrebbe rappresentare una roadmap percorribile verso una dieta e un sistema alimentare diversi, non da ultimo perché potrebbe creare un modello di “dieta sostenibile”, vale a dire un tipo di alimentazione che porti a un sistema ali-mentare ecologico in tutte le fasi, dalla produzione al con-sumo. Ma il sistema alimentare attuale affonda le proprie radici nel modello alimentare industriale e nella risultante cultura dei consumi alimentari. Questo “sistema alimen-tare” continua a plasmare e influenzare i modelli di con-sumo di cibo e, di conseguenza, le “culture” di tali con-sumi.27 L’impatto del modello mediterraneo deve essere letto alla luce di questo più ampio contesto, nel quale l’at-tuale guerra tra culture alimentari va interpretata come un conflitto relativo al futuro dello stesso “consumismo” ali-mentare.L’attuale dinamica del sistema alimentare industriale si basa infatti sul consumismo, inteso come la creazione del desiderio di acquistare beni e servizi in quantità sempre maggiori e sui meccanismi che attivano tale processo. In

quest’ottica, il modello produttivo industriale e le connesse organizzazioni di marketing – altamente sofisticate – sono pensati per promuovere questo sistema di consumi, affinché tale modello risulti l’unica possibilità percorribile.28 Ma la guerra della cultura dei consumi alimentari non è semplicemente tra il modello predominante (mainstream) e le alternative. All’interno dello stesso mainstream, infatti, è in atto un conflitto per convogliare la cultura dei consumi verso inte-ressi particolari. Quindi le industrie di trasformazione degli alimenti cercano di vendere i propri sogni con prodotti e marchi, gli operatori della ristorazione richiamano i consumatori verso le proprie offerte attraverso strategie improntate più a quelle dell’industria dell’intrattenimento che a quelle tipiche dell’indu-stria del cibo – trend che negli Stati Uniti viene definito eatertainment – men-tre i supermercati cercano di sopraffare entrambi. Una recente novità in questo mix culturale-alimentare è rappresentata dagli agricoltori, che cercano di infon-dere il loro linguaggio in questa combinazione culturale dei consumi con un richiamo al “naturale”. Tutti questi attori cercano di convincere i consumatori in merito alla loro sostenibilità e attenzione per l’ambiente.

Michael Heas�man è pro-fessore di politiche ali-mentari nel corso di lau-rea in Nutrizione globale e salute presso il Metropoli-tan University College di Copenaghen ed è Visiting Fellow presso il Centre for Food Policy della City University di Londra. È specializzato in alimenta-zione e salute, industria alimentare globale e po-litiche alimentari.Ha scritto più di 90 pub-blicazioni o presentazio-ni, tra cui: Food Wars: The Global Battle for Mouths, Minds and Markets (2004, con Tim Lang), The Fun-ctional Foods Revolution: Healthy People, Healthy Profits? (2001) e Con-sumption in the Age of Affluence: The World of Food (1996).

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Il modello mediterraneo è in concorrenza con tutte queste influenze sociali e di consumo.Nonostante la sua importanza, la consumer culture alimentare viene raramente menzionata nei documenti riguardanti le politiche in materia di alimentazione e nutrizione,29 e buona parte delle suddette politiche (così come il linguaggio commerciale) è focalizzata sulla classificazione dei consumatori in base al crite-rio di mercato della “scelta di consumo”; in quest’ottica quindi è la “scelta” che definisce la cultura del consumo. È dunque importante che le società recupe-rino le tradizioni legate alle proprie culture alimentari.Il modello mediterraneo è dunque minacciato ma rappresenta, nel contempo, una minaccia per il sistema alimentare industriale. Come noto,30 si tratta di una dieta basata su alimenti di origine vegetale che prevede moderate quantità di carne e latticini, praticamente il contrario delle moderne tendenze dei mer-cati globali alimentari nei quali viene sempre più promosso il consumo di carne e prodotti caseari. Tuttavia, la moderna consumer culture globale offre ulteriori opportunità per il modello mediterraneo. In un mondo sempre più globaliz-zato, le tradizioni culinarie si sono aperte o hanno creato nuovi mercati intro-ducendo orizzonti alimentari innovativi, inauditi per le generazioni passate. In questo modo, il sistema alimentare moderno e globalizzante si fonda tanto sulla scomposizione e reinvenzione delle culture alimentari quanto sulla scomposi-zione dei componenti chimici e dei nutrienti di alimenti e ingredienti, riassem-blandoli in prodotti alimentari a marchio con nuove storie di marketing relative alla loro “genuinità”, “salubrità” e “provenienza”.E la stessa dieta mediterranea non è stata immune da questo processo. In alcuni casi essa è stata “medicalizzata”, spogliata del proprio patrimonio cul-turale, dell’aspetto gastronomico e della cornice ecologica per essere convertita in un pacchetto di nutrienti che, nella giusta combinazione, possono agevolare la prevenzione di infarti cardiaci e di altre patologie legate all’alimentazione. È necessario coltivare accuratamente il patrimonio e le tradizioni alimentari affinché conservino la propria autenticità all’interno della brutale concorrenza legata alla guerra della cultura dei consumi in termini di cibo, alimentazione, corpo e salute.Un altro aspetto altrettanto importante è che la stessa consumer culture medi-terranea ha iniziato a soccombere di fronte alla globalizzazione e industrializza-zione delle abitudini alimentari. Di conseguenza, oggi la dieta dei paesi medi-terranei contiene maggiori quantità sia di zuccheri sia di grassi saturi e attual-mente in alcuni paesi mediterranei si riscontrano tassi di obesità infantile mag-giori rispetto all’Europa del Nord. Negli ultimi decenni, inoltre, i consumatori dei paesi dell’Europa mediterranea hanno abbandonato gli alimenti e i regimi alimentari mediterranei tradizionali.31

È possibile individuare alcuni di questi trend socioculturali osservando l’anda-

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mento del sistema alimentare dell’olio d’oliva negli ultimi anni. In uno studio dei sistemi dell’olio di oliva nel periodo compreso tra il 1972 e il 2003, i ricer-catori Armin Scheidel e Fridolin Krausmann 32 hanno evidenziato come tale nutriente, da prodotto di nicchia difficilmente reperibile nei negozi di generi alimentari al di fuori delle regioni di produzione, sia diventato parte integrante delle diete dei paesi industriali. Se, a livello mondiale, la produzione dell’olio di oliva continua a essere concentrata nel bacino mediterraneo, sono solamente tre i paesi dominanti: Grecia, Italia e Spagna. Fino a tempi relativamente recenti, i mercati dell’olio d’oliva erano prevalentemente orientati al consumo locale. Ma, in particolare a partire dagli anni Ottanta, grazie alle campagne di promozione della “sana dieta mediterranea”, ideate e sostenute da interessi del settore pro-duttivo, la domanda su mercati non tradizionali, quali i paesi del Nord Europa, è più che decuplicata.Tuttavia, Scheidel e Krausmann documentano alcune conseguenze di que-sti cambiamenti a livello di produzione e consumi. Innanzitutto, l’impatto sui piccoli uliveti mediterranei tradizionali, molti dei quali sono stati abbandonati, lasciando spazio a moderne piantagioni intensive e monoculturali che si avval-gono di sistemi di irrigazione, prodotti agrochimici e mezzi meccanici. In que-sto modo è stata notevolmente aumentata la produttività e i processi industriali sono stati modernizzati, ma di pari passo si è assistito a significativi cambiamenti strutturali nell’uso del territorio. Questo fenomeno di intensificazione è stato particolarmente marcato nella regione spagnola dell’Andalusia. Come sottoline-ano i due autori, “mentre gli olivi tradizionalmente irrigati con l’acqua piovana venivano coltivati prevalentemente su terreni marginali, gli uliveti industriali si sono estesi principalmente in terreni agricoli caratterizzati da suoli di alta qua-lità”. L’aumento dei consumi di olio d’oliva, pertanto, ha avuto rilevanti impatti ecologici, che hanno portato a una trasformazione strutturale dei paesaggi medi-terranei. Il caso dell’olio d’oliva, inoltre, fornisce una lezione su come, all’in-terno di un sistema alimentare globalizzato, sia spesso difficile per i consumatori cogliere le conseguenze ambientali delle proprie abitudini di consumo.La dieta mediterranea, se osservata nel contesto della guerra della cultura dei consumi alimentari industriali, suscita molti interrogativi circa la sua imple-mentazione come potenziale nuovo “modello” di dieta più sana e sostenibile. A tale riguardo dobbiamo chiederci (e, se siamo persone serie, fornire delle risposte) quali effetti la sua adozione su larga scala potrebbe avere in termini di pratiche agricole, economie alimentari, modelli di consumo nonché di salute pubblica e nutrizione. Come osservato nel caso dell’olio d’oliva, alcune delle conseguenze a valle della produzione potrebbero essere inaspettate e non neces-sariamente auspicabili sul lungo periodo, mentre l’effetto di tale consumo in relazione agli obiettivi perseguiti in termini di salute pubblica potrebbe rivelarsi minimo. Ciò porta quindi a interrogarsi su come internazionalizzare il modello

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mediterraneo secondo modalità culturalmente adeguate sia per i sistemi alimen-tari locali sia per i consumatori globali.Il mondo delle politiche alimentari ha tardato a riconoscere la vera portata della consumer culture: troppo spesso essa è intesa solo come “scelta” e quest’ul-tima, a sua volta, è limitata a macro-ambiti, quali prezzo e praticità, mentre la stessa scelta di consumo abbraccia una gamma ben più complessa di necessità e aspirazioni.33 In ambito alimentare, i criteri sanitari e ambientali rappresen-tano aspetti sempre più fondamentali per le scelte dei consumatori e il ritorno a un’autentica dieta mediterranea potrebbe soddisfare tali interessi e aspirazioni.

alimentazione con cultura, gusto e gioia di vivere

Occorre far rivivere alcune dinamiche fondamentali proprie delle culture gastro-nomiche più attente al legame tra cibo e persona, quali quella mediterranea. Si tratta di valorizzare gli aspetti di convivialità, di proteggere la varietà territo-riale locale conservando la ricchezza delle identità, di trasferire la conoscenza e il saper fare legati alla preparazione dei cibi, di tornare a un sano rapporto con il territorio e con il contesto della materia prima mirando all’eccellenza degli ingredienti, di recuperare i sapori antichi capaci di essere rinnovati nel gusto contemporaneo, attraverso un’operazione critica che consenta di trattenere il meglio della tradizione gastronomica.

educare a una nuova ecologia dell’alimentazione

Occorre dare vita a un grande patto tra tutti gli attori del mondo dell’alimenta-zione, incluse le Istituzioni pubbliche – oggi sempre più preoccupati delle conse-guenze devastanti delle scelte alimentari scorrette effettuate dai propri citta-dini – per ri-orientare gli stili di vita e alimentari verso modalità di consumo più sostenibili per la salute, l’ambiente, l’integrità sociale.La scala della sfida è tale da richiedere capacità di intervento che prescindono dalle forze dei singoli operatori. Serve uno sforzo condiviso, un’alleanza tra sog-getti diversi, che mentre conserva il tipico carattere di competizione nella rela-zione tra player di uno stesso settore, si rende capace di attuare giochi coopera-tivi finalizzati alla promozione di un nuovo paradigma alimentare.

proposte e azioni

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street food e clima estremoBangkok, novembre 2011: con l’acqua al ginocchio una bancarella di cibo di strada continua la sua attività, come se la strada allagata a causa dell’inondazione non fosse un problema. Oltre due mesi di piogge incessanti non hanno fermato clienti e venditori.

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note

1. le sfide del cibo

1 Self Employed Women’s Association (SEWA), “About Us”, all’indirizzo www.sewa.org/About_Us.asp, visualizzato il 1° novembre 2011; visita di Danielle Nierenberg alla fattoria del SEWA, Ahmedabad, India, febbraio 2011.2 Surajben Shankasbhai Rathwa, intervistata da Janeen Madan: “Women farmers key to end food insecurity”, Worldwatch Institute: Nourishing the Planet, 6 agosto 2011, all’indirizzo http://blogs.worldwatch.org/nourishingtheplanet/women-farmers-key-to-end-food-insecurity/; SEWA Manager in School, all’indirizzo www.sewamanagernischool.org/index.htm, visualiz-zato il 1° novembre 2011; visita di Danielle Nierenberg alla Fattoria del SEWA, Ahmedabad, India, febbraio 2011.3 Membri del SEWA, Ahmedabad, India, intervista con l’autore, febbraio 2011.4 Banca Mondiale, Reduced Emissions and Enhanced Adaptation in Agricultural Landscapes, Agricultural and Rural Development Notes (Washington D.C.: Banca Mondiale, 2009), p. 1, all’indirizzo http://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=agriculture%2030%20percent%20ghg&source=web&cd=10&ved=0CHEQFjAJ&url=http%3A%2F%2Fsiteresources.worldbank.org%2FINTARD%2FResources%2FWB_ARD_ClimateChange_v3.pdf&ei=XRKwTp6WHMn50gGx7ZHlAQ&usg=AFQjCNFEYJTDnmqiGtZbeuRmbK_3Wo9pDg&cad=rja.5 Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (UNFAO), The State of Food Insecurity in the World (Roma: 2010) p. 8; Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimen-tazione e l’agricoltura (UNFAO), Obesity and Overweight, Scheda n. 311, (all’indirizzo http://www.who.int/mediacentre/factsheets/fs311/en/ (marzo 2011), visualizzato il 1° novembre 2011.6 Alan Taylor, “Famine in East Africa”, in Focus, The Atlantic, 27 luglio 2011, all’indirizzo www.theatlantic.com/infocus/2011/07/famine-in-east-africa/100115/; Ngor Arol Garang, “South Sudan warns food crisis developing into famine”, Sudan Tribune, 6 ottobre 2011, www.sudantribune.com/South-Sudan-warns-food-crisis, 40342.7 Jeffrey Delaurentis a un incontro del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, “in Somalia semi di speranza e progresso hanno cominciato a germinare, ma vanno nutriti con cura e gene-rosità”, Nazioni Unite, New York 14 settembre 2011; Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), “925 Million in Chronic Hunger Worldwide”, comuni-cato stampa (Roma: 14 settembre 2010).8 Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), Food Security Statistics, database online, all’indirizzo www.fao.org/economic/ess/ess-fs/en/, visualizzato l’11 ottobre 2011; FAO, op. cit. nota 3; FAO, “Global Hunger Declining, but still Unacceptably High”, all’indirizzo www.fao.org/docrep/012/al390e/al390e00.pdf, settembre 2010.9 FAO, Food Price Index, all’indirizzo www.fao.org/worldfoodsituation/wfs-home/foodprice-sindex/en/, aggiornato il 6 ottobre 2011; Banca Mondiale, “Food Price Watch,” all’indirizzo

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www.worldbank.org/foodcrisis/food_price_watch_report_feb2011.html, febbraio 2011; Banca Mondiale, op. cit. nota 7; Banca Mondiale, Data Bank: Poverty Headcount Ratio at Rural Poverty Line, database online, all’indirizzo http://data.worldbank.org/indicator/SI.POV.RUHC, visualizzato l’11 ottobre 2011.10 Olivier De Schutter, The Eleventh Annual Edward and Nancy Dodge Lecture, 27 settembre 2011, Center for a Livable Future, Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health.11 Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (UNFAO), “Cutting food waste to feed the world”, UNFAO Media Centre, 11 maggio 2011, all’indirizzo www.fao.org/news/story/en/item/74192/icode/.12 Tristram Stuart, “Post-Harvest Losses: A Neglected Field”, State of the World 2011, Worl-dwatch Institute (New York: W.W. Norton and Company, 2011; ed. it. Edizioni Ambiente, 2011), p. 100; Julian Parfitt e Mark Barthel, Global food waste reduction: priorities for a world in transition, analisi commissionata nell’ambito del progetto Foresight del Governo del Regno Unito Global Food and Farming Futures, (Londra: Government Office for Science, gennaio 2011), p. 13, all’indirizzo http://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=world%20food%20conference%2C%201974%2C%20rome%2C%20waste%20reduction&source=web&cd=17&ved=0CEwQFjAGOAo&url=http%3A%2F%2Fwww.bis.gov.uk%2Fassets%2Fbispartners%2Fforesight%2Fdocs%2Ffood-and-farming%2Fscience%2F11-588-sr56-global-food-waste-reduction-priorities&ei=4BmwTpOsEqnL0QGxnpCuAQ&usg=AFQjCNGzf1Attb-ULqvMvz8IktGQ2ZQW9g&cad=rja.13 Julian Parfitt e Mark Barthel, Global food waste reduction: priorities for a world in transi-tion, analisi commissionata nell’ambito del progetto Foresight del Governo del Regno Unito Global Food and Farming Futures, (Londra: Government Office for Science, gennaio 2011), p. 13, all’indirizzo http://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=world%20food%20conference%2C%201974%2C%20rome%2C%20waste%20reduction&source=web&cd=17&ved=0CEwQFjAGOAo&url=http%3A%2F%2Fwww.bis.gov.uk%2Fassets%2Fbispartners%2Fforesight%2Fdocs%2Ffood-and-farming%2Fscience%2F11-588-sr56-global-food-waste-reduction-priorities&ei=4BmwTpOsEqnL0QGxnpCuAQ&usg=AFQjCNGzf1Attb-ULqvMvz8IktGQ2ZQW9g&cad=rja; Julian Parfitt et al. Food waste within food supply chains: quantification and potential for change to 2050 (U.K.: The Royal Society, settembre 2010), all’indirizzo http://rstb.royalsocietypublishing.org/content/365/1554/3065.full.14 International Institute of Tropical Agriculture (IITA), “IITA, partners launch initiative to tackle killer aflatoxin in African crops”, comunicato stampa, 4 aprile 2011, all’indirizzo http://www.iita.org/home-news-asset?p_p_id=101_INSTANCE_1nBS&p_p_lifecycle=0&p_p_state=normal&p_p_mode=view&p_p_col_id=column-2&p_p_col_pos=1&p_p_col_count=4&_101_INSTANCE_1nBS_struts_action=%2Fasset_publisher%2Fview_con-tent&_101_INSTANCE_1nBS_urlTitle=iita-partners-launch-initiative-to-tackle-killer-af latoxin-in-african-crops&_101_INSTANCE_1nBS_type=content&redirect=%2Fhome; IITA, “Making African food crops safer”, 9 aprile 2010, all’indirizzo http://annualreport.iita.org/?p=478; IITA, “Investing in aflasafe”, 13 aprile 2011, all’indirizzo http://r4dreview.org/2011/04/investing-in-aflasafe%E2%84%A2/.15 Phillippe Villers, “Improving Food Security by Reducing Post Harvest Losses”, presenta-zione a un workshop presso la Banca Mondiale, Washington D.C., 20 settembre 2011; Jess Lowenberg-Deboer, “Purdue Improved Crop Storage (PICS): Hermetic Storage for Grain”, presentazione a un workshop presso la Banca Mondiale, Washington D.C., 20 settembre 2011; Danielle Nierenberg, “Innovation of the Week: Investing in Better Food Storage in Africa”,

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10 Drewnowski, A., “Obesity, diets, and social inequalities”, Nutrition reviews, 67 Suppl 1:S36-9, 2009.11 Fonte: U.S. Census Bureau, International Data Base, dato aggiornato al 23 dicembre 2011. Tale organismo ha stimato che l’ammontare della popolazione globale in data 23 dicembre 2011 fosse pari a 6.983.121.217.12 Tale dato è stato calcolato utilizzando il valore della popolazione mondiale al 31 dicembre 2010 ai fini di una maggior coerenza con i dati FAO stimati per il 2010 sul numero di persone denutrite al mondo. È importante sottolineare che la stima è ostacolata da significative carenze informative a livello statistico legate alla disponibilità di dati aggiornati e omogenei sul feno-meno della denutrizione nel mondo. I dati riportati nella figura 2.2 relativi all’ultimo biennio, infatti, sono stime elaborate da FAO attraverso l’utilizzo del Food Security Model del United States Department of Agriculture (USDA).13 FAO, “The State of Food Insecurity in the World”, 2010.14 FAO, Statistics Division, marzo 2011.15 FAO, Statistics Division, marzo 2011.16 FAO, Statistics Division, marzo 2011.17 Banca Mondiale, World Development Report 2008 “Agriculture for Development”, ottobre 2007.18 Per una spiegazione del fenomeno della volatilità si veda il paragrafo “Una nuova emer-genza: la drammatica instabilità dei prezzi del cibo”.19 La deviazione standard o scarto tipo o scarto quadratico medio è un indice di dispersione delle misure sperimentali, vale a dire una misura della variabilità di una popolazione di dati o di una variabile casuale. La deviazione standard misura la dispersione dei dati intorno al valore atteso e ha la stessa unità di misura dei valori osservati, al contrario della varianza che ha come unità di misura il quadrato dell’unità di misura dei valori di riferimento.20 È un fenomeno climatico ricorrente che si verifica nell’oceano Pacifico centrale in media ogni cinque anni, ma con un periodo variabile fra i tre e i sette anni, nei mesi di dicembre e gennaio. Il fenomeno provoca inondazioni, siccità e altre perturbazioni che variano a ogni sua manifestazione. I paesi in via di sviluppo che dipendono fortemente dall’agricoltura e dalla pesca, in particolare quelli che si affacciano sull’oceano Pacifico, ne sono i più colpiti.21 La resa dei cereali, misurata in chilogrammi per ettaro comprende: frumento, riso, mais, orzo, avena, segale, miglio, sorgo, grano saraceno, e cereali misti. Con l’acronimo CAGR si intende Compound Annual Growth Rate, vale a dire il tasso di crescita medio annuo.22 Allo stato attuale, alcuni operatori europei del mercato fisico e alcuni prodotti derivati su commodity non sono oggetto né di vigilanza né di regolamentazione in quanto beneficiano di deroghe (e lacune) delle direttive MIFID (sui mercati degli strumenti finanziari) e MAD (sugli abusi di mercato).23 Il PIL è la somma calcolata al valore di mercato di tutti i beni e i servizi prodotti in un paese in un determinato periodo di tempo, generalmente un anno. Rapportato alla popola-zione (PIL pro capite), consente confronti nel tempo e nello spazio tra differenti paesi, regioni o altre unità sub-nazionali. Generalmente è il primo indicatore che viene utilizzato nella diagnosi della situazione economica e sociale e nella comparazione tra contesti diversi. Sotto forma di tasso di crescita rappresenta l’indicatore principale per valutare le performance di un paese o di una regione nel tempo.24 Economista statunitense, premio Nobel per l’economia.

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25 A livello internazionale, possono essere citati:• il Measure of Economic Welfare (MEW) definito da William Nordhaus e James Tobin;• il Genuine Progress Indicator (GPI) definito dal Redefining Progress Institute;• l’Index of Economic Well-Being (IEWB) definito dal Centre for the Study of Living Stan-dards;• l’Index of Social Health (ISH) definito dalla Fordham University;• l’Index of Living Standards (ILS) definito dal Fraser Institute;• lo Human Development Index (HDI) realizzato dall’United Nations Development Pro-gramme;• il Quality of Life Index (QOL) realizzato da Ed Diener dell’Università dell’Illinois;• l’Index of Social Progress (ISP) realizzato da Richard Estes dell’Università della Pennsylvania;• il BC Stats Index of Regional Indicators;• l’Oregon Benchmarks creato dall’Oregon Progress Board.Anche il WWF ha avviato da anni il percorso “Beyond GDP” con il Parlamento Europeo, la Commissione Europea, l’OCSE e il Club di Roma (www.beyond-gdp.eu).In Italia invece si possono ricordare, per esempio, i lavori della Fondazione Enrico Mattei, che quest’anno ha pubblicato la 15a edizione dell’indice FEEM (www.feemsi.org) costruito sulla base di un aggregato di variabili con l’obiettivo di considerare anche la sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo; l’indice di qualità della vita de Il Sole 24 Ore; l’indagine sulla qualità della vita di Italia Oggi; il rapporto Ecosistema urbano di Legambiente, realizzato con la colla-borazione di Ambiente Italia e Il Sole 24 Ore.26 Per l’Italia la Commissione ha visto la presenza di Enrico Giovannini, presidente dell’ISTAT.27 Professore di Economia, presidente del Consiglio Scientifico dell’Institut d’Études Politi-ques de Paris e presidente dell’Observatoire Français des Conjonctures Économiques. Il pro-fessor Fitoussi è stato membro dell’Advisory Board del Barilla Center for Food & Nutrition, garante scientifico delle attività relative alla costruzione del BCFN Index di Benessere.28 “Report of the commission on the measurement of economic performance et social pro-gress”, 14 settembre 2009.29 OCSE, Factbook 2010, People reporting various positive and negative experiences.30 BCFN, La misurazione del benessere delle persone: il BCFN Index (2010) e La misurazione del benessere delle persone: il BCFN Index (2011).

3. cibo per una crescita sostenibile

1 “Food production that makes the best use of nature’s goods and services while not damaging these assets” (Pretty, 2005).2 FAO, 2008.3 FAO/OECD “Expert Meeting on Greening the Economy with Agriculture”, Parigi, 5-7 settembre 2011. In precedenza, vedi anche “Global Agro-Ecological Zone Assessment input levels”, IIASA and FAO (2010).4 “Save and grow – A policymaker’s guide to the sustainable intensification of smallholder crop production”, FAO, 2011.

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5 IPM = Integrated Pest Management.6 OECD-FAO, “Agricultural Outlook 2011-2020”.7 L’impronta ecologica misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti.8 L’impronta del carbonio raffigura l’ammontare totale di GHG (Green House Gases o gas serra) che rappresentano quelle sostanze presenti in atmosfera, naturali e di natura antropica, che sono tra-sparenti alla radiazione solare in entrata sulla Terra ma riescono a trattenere, in maniera consistente, la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall’atmosfera e dalle nuvole.9 Rappresenta la differenza fra la PLV (produzione lorda vendibile, aggiornata ai prezzi di marzo 2011) e il costo di produzione delle coltivazioni.10 Rappresenta la quantità di granella prodotta alla raccolta per unità di azoto distribuito sulla col-tura di frumento duro.11 Il modello produttivo agricolo a basso input esterno, LEI (Low External Input), utilizza circa il 35% di lavoro per ettaro di terra coltivato in più rispetto a un modello ad alto input esterno, HEI (High External Input). Un’agricoltura a basso input esterno (LEI) utilizza circa il 50% di energia per ettaro in meno rispetto a un modello ad alto input (HEI).12 La differenza di resa tra HEI e LEI è un argomento ancora ampiamente dibattuto. Sebbene numerosi studi indichino che HEI ha in genere rendimenti relativamente migliori (Badgley et al., 2007, Stanhill, 1990) la resa di ciscun tipo di modello produttivo dipende dal contesto eco-nomico, sociale e ambientale in cui viene applicato. Ai fini di questo studio, viene introdotto l’ipotesi che la densità di azoto nel terreno, in un’agricoltura a basso input esterno (LEI), è circa del 30% inferiore rispetto a un’agricoltura ad alto input esterno (HEI), di conseguenza, la resa per ettaro in un modello LEI è inferiore. Questo divario tende a ridursi nel lungo periodo gra-zie a un generale miglioramento delle conoscenze per l’applicazione efficiente del modello LEI.13 Per approfondimenti si veda lo studio FAO/OECD: “Food Availability and natural resource use in a green economy context”.14 Tony Allan, Virtual Water, I.B. Tauris, 2011.

4. cibo e salute

1 Trust for America’s Health e Robert Wood Johnson Foundation: “F as in Fat: how obesity policies are failing in America”, luglio 2009.2 WHO Technical Report Series 916, “Diet, nutrition and the prevention of chronic disea-ses”, Report of a Joint FAO/WHO Expert Consultation, World Health Organisation, Geneva, 2003.3 British Heart Foundation, “European cardiovascular disease statistics 2008”; Health Promo-tion Research Group, Department of Public Health, University of Oxford; Health Economics Research Centre, Department of Public Health, University of Oxford, 2009.4 British Heart Foundation, “European cardiovascular disease statistics 2008”; Health Promo-tion Research Group, Department of Public Health, University of Oxford; Health Economics Research Centre, Department of Public Health, University of Oxford, 2009.5 Si tratta prevalentemente delle ore di assistenza ricevute dai pazienti affetti da malattie coro-nariche o cerebrovascolari da parte di persone non stipendiate.

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6 World Health Organization, “Cardiovascular diseases”, Fact sheet n. 317, febbraio 2007.7 American Diabetes Association, “Economic Costs of Diabetes in the U.S. in 2007”, Diabetes Care, volume 31, n. 3, marzo 2008.8 “Health & the EU Lisbon Agenda – High Returns on Health Investment”, maggio 2006.9 World Health Organization, “Healthy Living”, 1999.10 World Health Organization, “Healthy Living”, 1999.11 Sono state considerate: per le malattie cardiovascolari, l’American Heart Association, la European Society of Cardiology e la Società italiana di cardiologia; per il diabete, la European Association for the Study of Diabetes, l’American Diabetes Association e la Società italiana di diabetologia; per i tumori, l’International Agency for Research on Cancer, l’American Cancer Association e la Federation of European Cancer Society.12 Agriculture Fact Book, Profiling Food Consumption in America, 2002.13 The Japan Dietetic Association, National Nutrition Survey, 2001.14 Keys A., Aravanis C., Blackburn H., Buzina R., Djordjevic B.S., Dontas A.S., Fidanza F., Karvonen M.J., Kimura N., Menotti A., Mohacek I., Nedeljkovic S., Puddu V., Punsar S., Taylor H.L., Van Buchem F.S.P., Seven Countries. A Multivariate Analysis of Death and Coro-nary Heart Disease, 1980, Harvard University Press, Cambridge, MA and London, 1-381; Toshima H., Koga Y., Blackburn H., Lessons for Science from the Seven Countries Study, 1995, Springer Verlag, Tokyo.15 Trichopoulou A., Costacou T., Bamia C., Trichopoulos D., “Adherence to a Mediterranean Diet and Survival in a Greek Population”, The New England Journal of Medicine, Volume 348, n. 26, 2003.16 De Lorgeril M., Salen P., Martin J.L., Monjaud I., Delaye J., Mamelle N., “Mediterranean diet, traditional risk factors, and the rate of cardiovascular complications after myocardial infarction: final report of the Lyon Diet Heart Study”, Circulation, 1999.17 Mitrou P.N., Kipnis V., Thiebaut Ac., Reedy J., Subar A.F., Wirfalt E., Flood A., Mouw T., Hollenbeck A.R., Letizmann M., Schatzkin A., “Mediterranean dietary pattern and predic-tion of all-cause mortality in a U.S. population: results from the NIH-AARP Diet and Health Study”, Archives of Internal Medicine, 2007.18 Willett W.C., Sacks F., Trichopoulou A., “Mediterranean diet pyramid: a cultural model for healthy eating”, American Journal of Clinical Nutrition, 1995.19 IASO – International Association for the Study of Obesity; IOFT – International Obesity Task Force.20 Più del 65% degli americani risulta essere obeso o sovrappeso e circa il 31% della popo-lazione adulta (ossia più di 61 milioni di persone) appare rientrare nei criteri individuati per definire situazioni di obesità (un individuo è definito obeso se presenta un indice di massa cor-porea – IMC – superiore a 30). Il National Institutes of Health ritiene, inoltre, che sia indivi-duabile una percentuale pari al 4,7% di popolazione adulta americana rientrante nei criteri per quella che è definita “obesità estrema” (riscontrata con un IMC superiore a 40).21 Libro Bianco della Commissione Europea sull’Alimentazione, 2007.22 Organizzazione mondiale della sanità, 2008.23 Trasande L., Chatterjee S., “The Impact of Obesity on Health Service Utilization and Costs on Childhood”, Obesity, settembre 2009.24 OMS Regional Office for Europe e UNICEF, “Feeding and Nutrition of Infants and

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Young Children”, OMS Regional Publications, European Series, n. 87, 2000 (in stampa aggiornata 2003).25 I valori riportati nelle tabelle di sintesi presenti in questo capitolo fanno riferimento ai seguenti documenti: Società Italiana di Nutrizione Umana, “L.A.R.N”, revisione 1996; FAO Nutrition and Consumer Protection Division, “Nutritional requirements reports”; Food and Nutrition Board (Institute of Medicine of the National Academies), “Dietary Reference Intakes”, 2006.26 Il Nemours Foundation Center for Children’s Health Media è un’iniziativa accreditata presso l’US Department of Agriculture, l’US National Institutes of Health e l’US National Library of Medicine.27 Department of Health, United Kingdom, Dietary sugars and human disease, London, H.M. Stationery Office, 1989 (Report on Health and Social Subjects, n. 37).28 Quantità di energia per unità di macronutriente assunto (in questo caso, kcal/grammo di fibre).29 In particolare la parte prevalente è l’anabolismo o biosintesi, cioè quella parte del metabo-lismo che comprende l’insieme dei processi di sintesi delle molecole organiche più complesse da quelle più semplici o dalle sostanze nutritive. In altre parole, durante l’adolescenza si pro-ducono molecole complesse da molecole più semplici utili alla cellula. Tali processi richiedono energia e nello specifico l’anabolismo è responsabile della formazione delle componenti cellu-lari e dei tessuti corporali, quindi, della crescita dell’individuo.30 American Academy of Pediatrics, Committee on Nutrition, “Iron fortification of infant for-mulas”, Pediatrics, 1999.31 La massa magra, detta anche Lean Body Mass, rappresenta ciò che resta dell’organismo dopo averlo privato del grasso di deposito.32 Wardley B.L., Puntis J.W.L., Taitz L.S., Handbook of Child Nutrition, 2nd Edition, Oxford University Press, Oxford, 1997; James J., “Iron deficiency in toddlers”, Maternal and Child Health, 1991; Walter T., Dallman P.R., Pizarro F., Velozo L., Pena G., Bartholmey S.J., Her-trampf E., Olivares M., Letelier A., Arredondo M., “Effectiveness of iron-fortified infant cereal in the prevention of iron deficiency anaemia”, Pediatrics, 91(5):976-982, 1993.33 Weaver C.M., “The growing years and prevention of osteoporosis in later life”, Proceedings of the Nutrition Society, 59:303-306, 2000.34 United States Department of Agriculture, Center for Nutrition Policy and Promotion, 2006.35 Sarah E. Barlow, “Expert Committee Recommendations Regarding the Prevention, Asses-sment, and Treatment of Child and Adolescent Overweight and Obesity: Summary Report”, Pediatrics, 2007.36 OMS, Food and Nutrition Board, Società italiana di nutrizione umana.37 National Vital Statistics Reports, Volume 56 (10), 2008.38 Per un approfondimento del tema, si considerino – tra gli altri – i seguenti studi: Osler M., Schroll M., “Diet and mortality in a color of elderly people in a North European Community”, Int J Epidemiol, 1997; 26:155-9; Zubair K., Bennett K. et al., “Life-years-gained from popula-tion risk factor changes and modern cardiology treatments in Ireland”, European Hournal of Public Healt, 2006; Hamer M., McNaughton S.A., Bates C.J., Mishra G.D., Dietary patterns, assessed from a weighed food record, and survival among elderly participants from the United King-dom, University College London, 2010; Cai H., Zheng W., Xiang Y.B., Xu W.H., Yang G., Li H., Shu X.O., Dietary patterns and their correlates among middle-aged and elderly Chinese men:

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a report from the Shanghai Men’s Health Study, Vanderbilt University, Nashville, 2007; Spencer C.A. et all., A simple lifestyle score predicts survival in healthy elderly men, Elsevier 2005.39 Il numero di anni medio che un essere umano può aspirare a vivere.40 Population Health Metrics, 2011.41 Rapporto mondiale Alzheimer 2010.42 World Health Organization, Prevention and Management of Osteoporosis, 2003.43 ISTAT, Annuario statistico italiano 2010.44 World Health Organization, “North Karelia Project”; National Public Health Institute, “The North Karelia Project – Pioneering work to improve national public health”, 2002.45 Jeandel C., Nicolas M.B., Dubois F., Nabet-Bellevilee F., Penin F., Cuny G., “Lipid peroxi-dation and free radical scavengers in Alzheimer’s disease”, Gerontology, 35:257-282, 1989.46 De Rich M.C., Breteler M.M., den Breeijen J.H., Launer L.J., Grobbee D.E., van der Meche F.G., Hofman A., “Dietary antioxidants and Parkinson’s disease. The Rotterdam Study”, Arch Neurol, 54:762-765, 1997.47 De Rijk M. et al., “Dietary antioxidants and Parkinson disease”, The Rotterdam Study, Archives of Neurology, 1997.48 Glick J.L., “Dementias: the role of magnesium deficiency and an hypothesis concerning the pathogenesis of Alzheimer’s disease”, Medical Hypotheses, 31:211-225, 1990.49 Kalmijn S., Launer L.J., Ott A., Witteman J.C., Hofman A., Breteler N.M., “Dietary fat intake and the risk of incident dementia”, in the Rotterdam Study, Ann Neurol, 42:776-782, 1997.50 The 9th International Conference on “Alzheimer’s Disease and Related Disorders” in Phila-delphia, July 17-22, 2004; Jae Kang P2-283, “Fruit and Vegetable Consumption and Cognitive Decline in Women”.51 Mattson M.P., “Will Caloric Restriction and folate protect against AD and PD?”, Neuro-logy, 2003.52 Abrahamsen B., “Patient level pooled analysis of 68.500 patients from seven major vitamin D fracture trials in US and Europe”, Department of Internal Medicine and Endocrinology, Copenhagen University Hospital Gentofte, 2010.53 Standing Committee on the Scientific Evaluation of Dietary Reference Intakes, Food and Nutrition Board, Institute of Medicine, “Dietary reference intakes for calcium, phosphorus, magnesium, vitamin D, and fluoride”, Washington, DC, National Academy Press, 1999.54 Sears B., Ricordi C., “Anti-infiammatory nutrition as a Pharmacological Approach to treat Obesity”, Journal of Obesity, 2011.55 Fontana L. et al., “Extending Healthy Lifespan. From Yeast to Humans”, Science, 2010.56 A tal riguardo, si vedano anche: Fontana L., “Obesità viscerale, restrizione calorica ed invecchiamento”, G Gerontol, 2006; 54:131-133; Weindruch R., Sohal R.S., “Caloric intake and aging”, N Engl J Med, 1997;337:986-94; Masoro E.J., “Overview of caloric restriction and ageing”, Mech Ageing Dev, 2005;126:913-22. 57 Albanes D., Cancer Research, 1987.58 Shimokawa I., Higami Y., Hubbard G.B., McMahan C.A., Masoro E.J., Yu B.P, “Diet and the suitability of the male Fischer 344 rat as a model for aging research”, J Gerontol Biol Sci, 48: B27-32, 1993.

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5. cibo e cultura

1 Claude Lévi-Strauss (Bruxelles, 28 novembre 1908 – Parigi, 30 ottobre 2009) è stato un antropologo, psicologo e filosofo francese. Tra i suoi contributi alla psicologia scientifica vi è l’applicazione del metodo di indagine strutturalista agli studi antropologici.2 Psicologo dell’Università della Pennsylvania.3 Anderson E., Everyone Eats. Understanding Food and Culture, New York University Press, New York, 2005.4 Michael Pollan è uno scrittore, giornalista, attivista e professore di giornalismo alla Univer-sity of California, Berkeley Graduate School of Journalism.5 Brillat-Savarin A., Fisiologia del gusto, ovvero meditazioni di gastronomia trascendente, Rizzoli, 1996. Il testo originale è del 1826.6 Émile Durkheim (Épinal, 15 aprile 1858 – Parigi, 15 novembre 1917) è stato un sociologo, antropologo e storico delle religioni francese.7 Douglas D.M., Isherwood B., The world of goods: towards an anthropology of consumption, 1979.8 Lévi-Strauss.9 L’influsso che la cultura nord-americana ha esercitato sul Regno Unito nel secolo scorso rende oggi possibile accomunare i due paesi sotto questo profilo. Numerosi autori si riferiscono all’intero mondo anglosassone quando parlano di western diet.10 Zygmunt Bauman (Poznań, 19 novembre 1925) è un sociologo e filosofo polacco di origini ebraico-polacche.11 Piroddi L., Cucina Mediterranea. Ingredienti, principi dietetici e ricette al sapore di sole, Mon-dadori, Milano, 1993.12 Ancel Benjamin Keys (1904-2004) medico e fisiologo statunitense è conosciuto per essere stato uno dei principali sostenitori dei benefici della dieta mediterranea per contrastare molte patologie diffuse soprattutto in Occidente, in particolare le malattie cardiovascolari.13 Keys A., Aravanis C., Blackburn H., Buzina R., Djordjevic B.S., Dontas A.S., Fidanza F., Karvonen M.J., Kimura N., Menotti A., Mohacek I., Nedeljkovic S., Puddu V., Punsar S., Taylor H.L., Van Buchem F.S.P., Seven Countries. A Multivariate Analysis of Death and Coro-nary Heart Disease, Harvard University Press, Cambridge, MA and London, 1-381, 1980; Toshima H., Koga Y., Blackburn H., Lessons for Science from the Seven Countries Study, Sprin-ger Verlag, Tokyo, 1995.14 Keys A., Aravanis C., Blackburn H.W., Van Buchem F.S.P., Buzina R., Djordjevic B.S., Dontas A.S., Fidanza F., Karvonen M.J., Kimura N., Lekos D., Monti M., Puddu V., Tay-lor H.L., “Epidemiologic studies related to coronary heart disease: characteristics of men aged 40-59 in seven countries”, Acta Med Scand (Suppl to vol. 460) 1-392, 1967.15 Keys A., “Coronary heart disease in seven countries”, Circulation (Suppl to vol. 41) 1-211, 1970. Kromhout D., Menotti A., The Seven Countries Study: A Scientific Adventure in Cardio-vascular Disease Epidemiology, Brouwer, Utrecht, 1994.16 Negli anni successivi, Ancel Keys e gli altri scienziati che contribuirono alla realizzazione dello “studio dei sette paesi” proseguirono i loro studi a Pioppi, nel Cilento. Dopo 40 anni dalla pubblicazione dei risultati delle ricerche dello “studio dei sette paesi” è stata fondata a Pioppi l’Associazione per la dieta mediterranea, alimentazione e stile di vita che ha organiz-

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zato dal 24 al 27 settembre 2009 il convegno sulla Dieta mediterranea a Pioppi, a cui hanno partecipato illustri scienziati e personalità da ogni parte del mondo. L’associazione ha ricevuto un’onorificenza dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano per il valore cultu-rale e sociale rivestito dall’associazione e dal convegno organizzato, come importante fonte di divulgazione di un corretto stile di vita.17 World Cancer Research Fund, Food, nutrition and the prevention of cancer: a global perspec-tive, Washington, D.C.: American Institute for Cancer Prevention, 1997; Willett W.C., “Diet and coronary heart disease”, Willett W.C., ed. Nutritional epidemiology, 2nd ed. New York, Oxford University Press, 1998.18 Nube M., Kok F.J., Vandenbroucke J.P., van der Heide-Wessel C., van der Heide R.M., “Scoring of prudent dietary habits and its relation to 25-year survival”, Journal of American Diet Association, 1987; Kant A.K., Schatzkin A., Harris T.B., Ziegler R.G., Block G., “Dietary diversity and subsequent mortality in the First National Health and Nutrition Examination Survey Epidemiologic Follow-up Study”, American Journal of Clinical Nutritional, 1993; Farchi G., Fidanza F., Grossi P., Lancia A., Mariotti S., Menotti A., “Relationship between eating pat-terns meeting recommendations and subsequent mortality in 20 years”, Journal Clinical Nutri-tion, 1995; Trichopoulou A., Kouris-Blazos A., Wahlqvist M.L., “Diet and overall survival in the elderly”, BMJ, 1995; Huijbregts P., Feskens E., Rasanen L., “Dietary pattern and 20 year mortality in elderly men in Finland, Italy, and the Netherlands: longitudinal cohort study”, BMJ, 1997; Kouris-Blazos A., Gnardellis C., Wahlqvist M.L., Trichopoulos D., Lukito W., Trichopoulou A., “Are the advantages of the Mediterranean diet transferable to other popu-lations? A cohort study in Melbourne, Australia”, Br J Nutr, 1999; Kumagai S., Shibata H., Watanabe S., Suzuki T., Haga H., “Effect of food intake pattern on all-cause mortality in the community elderly: a 7-year longitudinal study”, Journal Nutrition Health Aging, 1999; Osler M., Schroll M., “Diet and mortality in a cohort of elderly people in a north European com-munity”, International Journal of Epidemiologic, 1997; Kant A.K., Schatzkin A., Graubard B.I., Schairer C., “A prospective study of diet quality and mortality in women”, JAMA, 2000; Lasheras C., Fernandez S., Patterson A.M., “Mediterranean diet and age with respect to overall survival in institutionalized, nonsmoking elderly people”, American Journal Clinical Nutrition, 2000; Osler M., Heitmann B.L., Gerdes L.U., Jørgensen L.M., Schroll M., “Dietary patterns and mortality in Danish men and women: a prospective observational study”, Journal of Nutri-tion, 2001; Michels K.B., Wolk A., “A prospective study of variety of healthy foods and morta-lity in women”, International Journal of Epidemiology, 2002.19 Willett W.C., Sacks F., Trichopoulou A., “Mediterranean diet pyramid: a cultural model for healthy eating”, American Journal of Clinical Nutrition, 1995.20 Linee guida per una sana e corretta alimentazione, INRAN, 2009.21 Fidanza A., Fidanza F., “Mediterranean Adequacy Index of Italian Diets”, Public Health Nutrition, 2004.22 L’indice di adeguatezza mediterraneo, così calcolato, mette in relazione le calorie introdotte da cibi appartenenti a quelli tipici della dieta mediterranea con quelli non appartenenti alla dieta mediterranea, attraverso una divisione. Un indice uguale a 2 implica che per ogni caloria assunta da cibo non appartenente a dieta mediterranea vengono assunte due calorie da cibo appartenente alla dieta mediterranea.23 Baldini M., Pasqui F., Bordoni A., Maranesi M., “Is the Mediterranean lifestyle still a rea-lity? Evaluation of food consumption and energy expenditure in Italian and Spanish university students”, Public Health Nutrition, 2008.

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24 Fonte: Nielsen-Barilla, 2009.25 Barilla Center for Food & Nutrition, Position Paper Alimentazione e salute.26 Eurobarometro, Health and Food, novembre 2006.27 Lang T., Heasman M., Food Wars: the Global Battles for Mouths, Minds and Markets, Lon-don, Earthscan, 2004.28 Aldridge A., Consumption, Cambridge: Polity Press; Lien, ME. & Nerlich, B. (eds.), (2004); The Politics of Food, Oxford, Berg, 2003.29 Fitzpatrick I. et al., Understanding food culture in Scotland, Edinburgh: NHS Health Scot-land, 2010.30 Nestle M., “Mediterranean diets: historical and research overview”, American Journal of Cli-nical Nutrition, 61 (Suppl), pp. 1313S-1320S, 1995.31 Drewnowski A., Eichelsdoerfer P., “The Mediterranean diet: does it have to cost more?”, Public Health Nutrition, 12 (9A), pp. 1621-1628, 2009; Da Silva R. et al., “Worldwide varia-tion of adherence to the Mediterranean diet in 1961-1965 and 2000-2003”, Public Health Nutrition, 12 (9A), pp. 1676-1684, 2009.32 Scheidel A., Krausmann F., “Diet, trade and land use: a socio-ecological analysis of the transformation of the olive oil system”, Land Use Policy, 28, pp. 47-56, 2011.33 Kneafsey M. et al., Reconnecting producers, consumers and food: exploring alternatives, Oxford: Berg, 2008.

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p. 8 © Alain Keler/Sygma/Corbisp. 11 © Bernard Pollackp. 21 © Bernard Pollackp. 29 © Bernard Pollackp. 33 © Bernard Pollackp. 39 © Bernard Pollackp. 43 © Bernard Pollackp. 48 © Ashley Cooper/Corbisp. 63 © Tomas van Houtryve/VII Network/Corbisp. 69 © Peng Zhaozhi/Xinhua Press/Corbisp. 77 © Noah Seelam/Gettyp. 83 © Robert Ghement/epa/Corbisp. 91 © Bimal Gautam/Demotix/Demotix/Demotix/Corbisp. 112 © Alex Treadway/National Geographic/Getty Imagesp. 125 © Junko Kimura/Getty Imagesp. 137 © I Love Images/Corbisp. 143 © Wendy Stone/Corbisp. 151 © Jason Hawkes/Corbisp. 159 © Sandy Huffaker/Corbisp. 171 © Owen Franken/Corbisp. 184 © John Stanmeyer/VII/Corbisp. 189 © Alex Wong/Getty Imagesp. 199 © Marco Cristofori/Corbisp. 207 © Richard Cummins/Corbisp. 215 © Andrew Aitchison/In Pictures/Corbisp. 223 © Andrew Aitchison/In Pictures/Corbisp. 233 © David H. Wells/Corbisp. 254 © Christian Weigel/Corbisp. 265 © Art on File/Corbisp. 271 © Sergio Pitamitz/Corbisp. 277 © Jon Hicks/Corbisp. 283 © Owen Franken/Corbisp. 289 © Atlantide Phototravel/Corbisp. 305 © Gideon Mendel/Corbis

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“Reinventare il fuoco è uno dei migliori libri sul tema dell’energia che sia uscito negli ultimi anni.”

New York Times

Amory B. Lovins

Reinventare il fuocoSoluzioni vincenti per il business della nuova era energetica

Reinventare il fuoco pone una sfida radicale ai modi di pensare l’economia e il benessere delle nostre società. Scritto da uno dei maggiori esperti mondiali di energia, questo volume delinea un percorso che coinvolge i settori dei trasporti, dell’edilizia, delle industrie e dei sistemi elettrici in grado di affrancare le nostre economie dalla dipendenza dai combustibili fossili entro il 2050. Nessuna utopia, solo puro pragmatismo di stampo statunitense: le soluzioni ci sono, convengono dal punto di vista economico e fanno bene a noi e all’ambiente.

Amory B. Lovins

Reinventare il fuocoSoluzioni vincenti per il businessdella nuova era energetica

Collana SaggisticaLibro illustratoFormato 17 x 24Foliazione 352 paginePrezzo 26,00 euroISBN 978-88-6627-031-7

Uscita maggio 2012

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“Diane Coyle ha realizzato un ampio e accuratissimo lavoro, impressionante tanto per la vastitàdel tema affrontato quanto per il suo sicuro possesso della materia. È un fondamentale contributoal dibattito sulla natura del capitalismo globalizzato.”

New York Times

Diane Coyle

Economia dell’abbastanzaGestire l’economia come se del futuro ci importasse qualcosa

Ciò che le crisi in atto (economica, finanziaria e ambientale) hanno in comune è un incredibile disprezzo per il futuro, che emerge in modo clamoroso soprattutto se si guarda a come viene gestita l’economia. Creare un’economia sostenibile, in cui tutti abbiano il necessario senza compromettere il futuro, non sarà facile. In Economia dell’abbastanza, Diane Coyle avvia una profonda riflessione su come si possa dare inizio a questo cambiamento e su quali siano i primi passi da fare. Una guida fondamentale per affrontare i prossimi, durissimi, anni.

Diane Coyle

Economia dell’abbastanzaGestire l’economia come se del futuro ci importasse qualcosa

Collana SaggisticaFormato 15 x 23Foliazione 304 paginePrezzo 24,00 euroISBN 978-88-6627-032-4

Uscita giugno 2012

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Fondato nel 1974, il Worldwatch Institute è considerato il più autorevole centro di ricerca interdisciplinare sui trend ambientali del nostro pianeta. Da quasi trent’anni pubblica lo State of the World, oggi tradotto in 25 lingue.

Worldwatch Institute

State of the World 2012Verso una prosperità sostenibile

State of the World 2012 fa il punto sulla conversione ecologica dell’economia. Nessun settore è escluso: dagli indicatori alternativi al Pil alle storie di successo di “imprenditori verdi”, dai trasporti all’agricoltura, dagli edifici e dall’uso dei materiali fino ai sistemi di gestione delle foreste e degli oceani, il Worldwatch Institute propone per ogni ambito 15 misure concrete e a basse emissioni di carbonio per trasformare in senso verde le nostre società e i nostri modi di produrre.

Worldwatch Institute

State of the World 2012Verso una prosperità sostenibile a cura di Gianfranco Bologna

Collana AnnuariFormato 15 x 23Foliazione 384 paginePrezzo 24,00 euroISBN 978-88-6627-036-2

Uscita maggio 2012

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titoli recenti dalla collana Saggistica ambientale

L’Italia della green economyIdee, aziende e prodotti nei nuovi scenari globalidi Silvia Zamboni2011 – 320 pagine – 28,00 euro

Green Building EconomyPrimo rapporto su edilizia, efficienza e rinnovabili in Italiaa cura di Giuliano Dall’ò2011 – 336 pagine – 28,00 euro

Carbon FootprintCalcolare e comunicare l’impatto dei prodotti sul climadi Daniele Pernigotti2011 – 288 pagine – 25,00 euro

Prosperità senza crescitaEconomia per il pianeta realedi Tim Jackson2011 – 304 pagine – 24,00 euro

Vento a favoreVerso una proposta condivisa per l’ambiente, oltre gli schieramenti politicidi Edo Ronchi, Pietro Coluccia cura di Silvia Zamboni2011 – 224 pagine – 22,00 euro

Energia dal desertoI grandi progetti per le rinnovabili nel Mediterraneodi Roberto Vigotti2011 – 368 pagine – 34,00 euro

Imperativo energetico. 100% rinnovabile ora!Come realizzare la completa riconversione del nostro sistema energeticodi Hermann Scheer2011 – 272 pagine – 25,00 euro

Un mondo al bivioCome prevenire il collasso ambientale ed economicodi Lester R. Brown2011 – 272 pagine – 24,00 euro

Capitalismo naturaleLa prossima rivoluzione industrialeNuova edizione aggiornatadi Paul Hawken, Amory B. Lovins, L. Hunter Lovins2011 – 316 pagine – 25,00 euro

Futuro sostenibileLe risposte eco-sociali alle crisi in Europadi Wuppertal Instituta cura di Wolfgang Sachs, Marco Morosini2011 – 480 pagine – 28,00 euro

Il paese degli struzziClima, ambiente, sovrappopolazionedi Giovanni Sartori2011 – 272 pagine – 17,50 euro

Nucleare: a chi conviene?Le tecnologie, i rischi, i costidi Gianni Francesco Mattioli, Massimo Scalia2010 – 256 pagine – 20,00 euro

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Blue economy10 anni. 100 innovazioni. 100 milioni di posti di lavorodi Gunter Paulia cura di Gianfranco Bologna2010 – 344 pagine – 25,00 euro

TempesteIl clima che lasciamo in eredità ai nostri nipoti, l’urgenza di agiredi James Hansen2010 – 320 pagine – 24,00 euro

TerraaCome farcela su un pianeta più ostiledi Bill McKibben2010 – 216 pagine – 20,00 euro

Piano B 4.0Mobilitarsi per salvare la civiltàdi Lester R. Brown2010 – 384 pagine – 20,00 euro

Potenze emergentiCome l’energia ridisegna gli equilibri politici mondialidi Michael T. Klare2010 – 320 pagine – 24,00 euro

titoli recenti dalla collana Tascabili

La terza crisiCome sconfiggere la crisi e difendere il futuro di imprese e famigliedi Danilo Bonato2012 – 160 pagine – 15,00 euro

Il futuro dell’energiaGuida alle fonti pulite per chi ha poco tempo per leggeredi Mario Tozzi, Valerio Rossi Albertini2011 – 144 pagine – 12,00 euro

Meno 100 chiliRicette per la dieta della nostra pattumieradi Roberto Cavallo2011 – 224 pagine – 14,00 euro

Il libro nero dello spreco in Italia: il cibodi Andrea Segrè, Luca Falasconi2011 – 128 pagine – 12,00 euro

Guida all’auto ecologicaI prodotti di oggi e le idee per il futurodi Roberto Rizzo2010 – 336 pagine – 16,00 euro

La corsa della green economyCome la rivoluzione verde sta cambiando il mondodi Antonio Cianciullo, Gianni Silvestrini2010 – 208 pagine – 14,00 euro

Green LifeGuida alla vita nelle città di domanidi Andrea Poggio, Maria Berrini2010 – 160 pagine – 12,00 euro

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EATING PLANETNUTRIRSI OGGI: UNA SFIDA PER L’UOMO E PER IL PIANETA

Siamo in grado di produrre cibo per tutti gli abitanti della Terra e di distribuirlo con equità? È possibile convertire il settore agroalimentare in chiave sostenibile così da salvaguardare l’ambiente e risparmiare risorse? Quali sono le buone regole per uno stile alimentare sostenibile che mantenga a lungo la salute delle persone? Nelle grandi tradizioni culinarie è possibile riscoprire gli ingredienti indispensabili a un mangiare sano, equo e conviviale?I paradossi del sistema alimentare globale, il valore culturale del cibo, i trend della produzione e del consumo, gli effetti sulla salute e sull’ambiente sono tra i temi di Eating Planet 2012, il primo report globale su cibo e nutrizione realizzato dal Baril-la Center for Food & Nutrition con la collaborazione del Worldwatch Institute.L’analisi dei problemi e la discussione delle possibili soluzioni sono arricchite dal contributo di esperti e personalità di grande prestigio: Tony Allan, Ellen Gustafson, Michael Heasman, Hans Herren, Alex Kalache, Mario Monti, Aviva Must, Joaquín Navarro-Valls, Marion Nestle, Raj Patel, Shimon Peres, Carlo Petrini, Paul Roberts, Vandana Shiva, Ricardo Uauy.

Edizione fuori commercio