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Contains clippings from international and Spanish media featuring the work of Teresa Sapey Estudio de Arquitectura

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A collection of publications which appears Teresa Sapey

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Contains clippings from international and Spanish mediafeaturing the work of Teresa Sapey Estudio de Arquitectura

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L’ultimo suo capolavo-ro è il centralissimoparking di plaza Cá-novas a Valencia: unameraviglia cromatica

di 4 piani sotterranei, ognuno concolori diversi (azzurro, verde, gial-lo e rosso), per accogliere 340 au-to, il primo parcheggio ecologicodel mondo con tanto di ricaricaper vetture elettriche. Non a casouno dei genimondiali dell’architet-tura, Norman Foster, ha definitol’ideatrice, la torinese Teresa Sa-pey,Madame Parking.Ma l’architetta italiana più fa-

mosa e tra le più trendy di Spa-gna, ove è emigrata 19 anni fa, èpresente ovunque, dalle luci di Na-tale aMadrid al design dei popola-rissimi drugstore Vips. Semprecon la sua filosofia creatrice: l’ar-chitettura emozionale.«Se non fossi cresciuta a Tori-

no, se non avessi amato il grandeJuvarra, che progettó il PalazzoReale, sicuramente non sarei arri-vata tanto in alto», dice a La Stam-pa Sapey, 46 anni, cuneese di na-scitama vissuta nel capoluogo pie-montese fino a quando si è trasfe-rita a Madrid per aprire il suo for-tunatissimo studio. E spiega: «Iodefinisco architettura emozionalei miei progetti, che non sono solofunzionali ed estetici, perché sve-gliano tutti i sensi, raccontano sto-rie che fanno sognare. Lemie crea-zioni sono come teatri dove i clien-ti, i visitatori, si trasformano inprotagonisti ed allora partecipanocon emozione».Sapey, con unmarcatissimo ac-

cento piemontese, nonno senatoree padre ingegnere, separata e ma-

dre di due gemelli, James e Fran-cesca, prima ha studiato al liceoclassico Gioberti, poi si è laureataal Politecnico di Torino con il pro-fessor Ruggero (tra i suoi docentic’è stato l’architetto Gabetti).Quindi si è specializzata alla Par-sons School of Design di NewYork ed alla parigina Ecole Natio-nal Supérieure d’Architecture diLa Villette. Il gusto per la cromati-cità, sua inconfondibile caratteri-stica, l’ha appreso dal pittore Eu-genio Comencini.L’architetta, vulcanica e gran-

de comunicatrice, incoronata nel2007 dalla prestigiosa rivista in-gleseWallpaper come una delle 10designer più importanti del mon-do, fa progetti dappertutto, da Du-bai a St. Moritz. In Spagna, e so-prattutto nella capitale, è famosa.Tra le sue opere ci sono il colora-tissimo parcheggio di Plaza deVázquez deMella, e quello dell’ho-tel Puerta de America, opera col-lettiva di architetti del calibro diFoster, Nouvel ed Hadid. Ma an-che negozi della griffe Custo Bar-cellona, oltre che aMadrid, a Pari-gi e Milano. Un’attività freneticache peró non fa dimenticare a que-sta elegante e stravagante signorale opere di bene.Madame Parking, infatti, fa

parte della fondazione beneficaCurarte, che aiuta i bimbi malatidegli ospedali spagnoli e sta elabo-rando un progetto per il nuovo re-parto di psichiatria del nosocomiomadrileno Niño Jesús, cercandodi renderlo più accogliente, prati-co e piacevole per i piccini. Un im-pegno che le è valso nel maggio

scorso uno dei dodici premi annualiche, nella sede dell’Onu a NewYork, assegna la Ong Woman To-gether alle donne che combinanosuccesso professionale e impegnosociale.«Amo profon-

damente Torino,mi ha sempre sti-molato e continue-rà a farlo anche infuturo - dice l’ar-chitetta -. Ecco unesempio concreto:ho esportato il Spagna il giallo pie-montese per decorare una casa perpersonaggi importanti a Madrid.Da allora tutti mi hanno copiato».Di certo la sua coloratissima fanta-sia va sempre a segno. Quando si

presentò per partecipare al concor-so dell’Hotel Puerta de Europa, unachicca a cui ambivano parteciparetutti i più bei nomi dell’architetturamondiale, le risposero che arrivavatardi ma che se trovava uno spaziovuoto, il progetto sarebbe stato suo.E sfornò l’idea vincente delparking.«Adoro i parcheggi perché sono

una ribelle e mi sono sempre piaciu-ti i luoghi poco convenzionali. I par-cheggi sono non luoghi tipici dellanostra contemporaneità, democra-tici perché aperti a tutti ma semprenascosti sotto terra, grigi, tristi, lu-gubri, pensati per nascondere -spiega questa divoratrice del tartu-fo -. Il parking di Valencia, ecologi-co anche per i materiali che rispar-miano energia e per insegnare adandare a piedi, incentiva la curiosi-tà perché ogni piano è diverso perraccontare la città, con le direzionied i tempi per arrivare ai luoghi piùsignificativi. L’azzurro suggeriscgel’idea dell’acqua (spiagge e porto), il

verde parchi egiardini, il giallo lagente (mercati eComune), il rossola cultura (Catte-drale e musei).Una architetturacomunicatrice».La regina dei

parcheggi, però, non dimentica maile sue origini. Per le vacanze di Na-tale scia sempre al Sestriere. E neisuoi ambiti e mondani ricevimentioffre immancabilmente gianduiottie cioccolato Gobino.

domandea

Riccardo BedroneOrdine architetti Torino

In Italia Teresa Sapey era una tra letante. Nonostante la laurea a pieni vo-ti al Politecnico di Torino, un dottora-to, un master a New York e uno Pari-gi. Ora, emigrata in Spagna, è tra i piùimportanti architetti al mondo. Ric-cardo Bedrone, presidente dell’Ordi-ne degli Architetti di Torino ne parlacome di un esempio da seguire.Oltre al talento, cosa rende Teresa Sa-pey diversa dagli altri?«Ha fatto quello che dovrebbe fare

ogni architetto italiano: invece di la-mentarsi e piangere sulla tristissimasituazione che è “costretto” a vivere,dovrebbe avere il coraggio di buttareil cuore oltre la siepe, aprirsi all’este-ro, ripudiare le gabbie ed essere di-sposto a muoversi, a sperimentare.TeresaSapey è un esempio anche peril tipo di approccio verso la professio-ne, ha capito che per lavorare non ba-sta essere bravi, ma bisogna anche sa-persi vendere bene, autopromuover-si, ovviamente dopo aver costruitodella capacità solide».Perché lavorare in Italia è così difficile?«Siamo in 140 mila. Troppi architettie poco spazio per lavorare. Teresa Sa-pey ha avuto coraggio, è andata via,seguendo in parte l’ispirazione e in

parte, come spesso accade, un amo-re».Ma andare via non basta.«Certo che no, ma è un buon punto dipartenza se si hanno idee e se si ha vo-glia di creare contatti e costruire pos-sibilità».Sapey è andata in Spagna perché in Ita-lia non aveva nessuna possibilità, haspiegato, e perché qui il mondo cultura-

le è dominato dalle lobby, e quasi tuttedominate da uomini.«Ha perfettamente ragione. Se doves-si pensare a qualche architetto donnaitaliana affermata nonmi verrebbe inmente nessuno. Il nostro è un Paeseancora legato all’immagine maschiledel potere. L’unico settore che lasciaspazio alle donne è quello della con-servazione dei beni culturali. Nel pri-vato non c’è speranza. Oltre alla cultu-ra della conventicola, della raccoman-dazione, l’Italia è un Paese geronto-cratico e maschilista, per una donnagiovane e piena di voglia di fare ri-schia di trasformarsi in una tomba».Nessuna speranza?«Intanto un incoraggiamento a chi de-cide di mettersi in gioco: gli architettiitaliani sono molto stimati e gratifica-ti in tutto il mondo. Poi l’auspicio chequalcosa, per la prima volta si stia ini-ziando a muovere. Nel mondo dell’ar-chitettura le donne stanno aumentan-do di numero e i committenti inizianoa capire che spesso sono più brave,anche se sono giovani». [M. PER.]

Nata a Cuneo

LE ORIGINI«Ho esportato aMadrid

il giallo piemontese per unacasa: mi hanno copiata tutti»

Le città della sua vita

5

Il parkingecologico

L’ultimaoperadiTeresa

SapeyènataaValencia:

ilprimoparcheggio

ecologicoalmondo,

per340auto,conpostazioniper le ricariche

dellevetture

ATTRAZIONE FATALE«Sono una ribelle: per questo

mi sono sempre piaciutii luoghi poco convenzionali»

NOME TERESACOGNOME SAPEY

ETA’ 46 ANNINATA A CUNEO, MA VISSUTA A TORINO

STUDI CLASSICO GIOBERTI, POLITECNICOPARSONS SCHOOL OF DESIGNDI NEW YORK

PersonaggioGIAN ANTONIO ORIGHI

MADRID

Il successodella torineseTeresa Sapey

“Ha fatto bene a fuggiredauna lobbydi uomini”

La signoradei parcheggi

New York, dove si è specializzata

Madrid, dove si è affermata

Architetta “emozionale”conquista la SpagnaE’ tra le dieci più importanti designer al mondo

Uno dei geni dell’architettura, Norman Foster, ha definito Madame Parking la torinese Teresa Sapey

Torino, dove ha studiato

22 Società LA STAMPALUNEDÌ 29 DICEMBRE 2008

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AFFARI & FINANZA l l6 LUGLIO 2009 35Moda & Design

Annabel

Lady Sky cambia canale?

Elisabeth Murdoch, la bella e bionda figlia del re deimass-media Rupert, avrebbe ricevuto l'offerta di di-ventare presidente della società Independent Tele-

vision Authority che produce, commissiona, vende emanda in onda i programmi televisivi sul Canale 3 ingle-se, che si finanzia con le inserzioni pubblicitarie, a diffe-renza della Bbc che si mantiene con il canone. La propo-sta, che dovrebbe essere prima di tutto approvata dal con-siglio di amministrazione dell'azienda televisiva priva-

ta, ha suscitato notevole sorpresa, non soltan-to perché la giovane signora è figlia del padro-ne di Sky ma anche perché lei stessa ha unapropria azienda, la Shine Ltd che produce pro-grammi con uffici a Londra e Manchester, nel-la quale è molto impegnata.

Inoltre il papà Rupert la vorrebbe nella NewsCorporation insieme ai suoi fratelli James e La-chlan che controllano il Times, il Sunday Ti-

mes, il Sun e il News of the World in Inghilterra, oltrechéil New York Post negli Usa. Elisabeth aveva in prime noz-ze sposato un giovane banchiere del Ghana, Kwame Pia-nim e da lui aveva avuto due bambine, Cornelia ed Anna.In seconde nozze l'uomo prescelto è stato invece MatthewFreud, figlio del pittore e parlamentare liberale Sir Cle-ment Freud, nipote di Sigmund Freud, fondatore dellapsicoanalisi. Matthew che fa parte dell’alta società diLondra era riuscito a scandalizzare da giovanissimo ilmondo del Big Business, nel quale opera come esperto dicomunicazione: lo avevano arrestato per possesso di co-caina e spinelli. Ma ora tutto va bene in casa Freud e la car-riera di Elisabeth contribuisce al successo della famiglia.

Paolo Filo della Torre

Elisabeth,figlia

di Murdoch,in trattativa

con la tvconcorrente

La sfida di Rossana Orlandi“Cambio volto a Porto Cervo”

Artisti e designer hanno da sempre affollato il suo spaziomilanese: “Ma la cultura vince anche in Costa Smeralda”

Milano

«Trovo noiosissimo tutto quello che offrono inegozi di Porto Cervo, solo gioielli e grandi fir-me, mentre la Costa Smeralda è una piazza

oltre che straricca anche colta e preparata. Uscendodal circuito turistico propone un’enormità di eventiculturali interessanti. L’ho sperimentato l’anno scor-so ed il complimento più bello che ho ricevuto è stato:“non ci vergogniamo più di avere la casa in Sardegna”».Forse non tutti saranno felici di leggere questa affer-mazione, che però ben rappresenta lo stile di RossanaOrlandi e la realtà di un luogo un tempo culto e oggimolto “snobbato”. Lei è la proprietaria dell’omonimospazio di Milano. Una “Corte del design” alla quale pri-ma o poi bussano tutti: artisti e designer. Affermati o incerca d’autore. Ha fiuto e occhio, la minuta e raffinatasignora milanese. E difficilmente sbaglia un colpo nel-lo scegliere i creatori da promuovere e da vendere,spesso mettendoli in contatto con i produttori “giusti”.

Patrizia Urquiola, Tom Dixon, Paola Navona, Mar-teen Baas, sono solo alcuni tra i personaggi che lei rap-presenta nell’ex fabbrica di cravatte che ha ristruttura-

to, facendone uno spa-zio ricco di fascino dovespesso tra tavole elegan-temente imbandite si ra-dunano l’intellighenziameneghina e la creati-vità d’avanguardia. Al-l’ultima edizione dellafiera di Basilea ha pre-sentato Nacho Carbo-nell nel suo stand met-tendo a segno il colpo divendere tutte le opere aBrad Pitt. In quanto allaCosta Smeralda l’annoscorso aveva destatostupore il fatto che lei

avesse scelto proprio quel luogo, dove i soldi e appa-renza trionfano su raffinatezza e cultura, e dove la piaz-zetta pullula più che di raffinati intellettuali di veline incerca d’ingaggi, billionarine in cerca di fortuna e mi-liardari in cerca di vetrina.

La scommessa di Orlandi, proporre e creare nellaPromenade du Port ilDesignwalk(«una passeggiata at-traverso il design di ricerca nazionale ed internaziona-le in scenografie ricche di atmosfera ideate da SergioCalatroni»), è risultata vincente: «Io i russi pacchiani emiliardari non li ho neanche visti. Ho incontrato inve-ce personaggi colti e raffinati che hanno apprezzatomoltissimo la promenade e anche MdM museum chel’anno scorso proponeva una personale di Rotella equest’anno Schifano». La formula della Promenadequest’estate è un po’ diversa. Tutti gli spazi sono di-ventatitemporary shop. Orlandi ha il suo, poi c’è la Gal-leria Fumi di Londra, Skirà Bookstore, Aspesi, LouisAlexander Gallery, Vittoria Design, Tom Dixon e Mar-teen Baas. A questi ultimi, Dixon e Baas, verranno de-dicate due serate in luglio agosto. (r.fon.)

Sapey, la regina dei parcheggii “non luoghi” come missione

Jean Nouvel la chiama la “Reine du Parking” mentre “Wallpaper” l’ha scelta come unadelle dieci designer più importanti al mondo: “Basta con le grandi firme, rovinano le città”

RENATA FONTANELLI

Milano

Jean Nouvel la chiama la“Reine du Parking” peraver avuto l’idea, prima tra

tutti, di creare parcheggi ecolo-gici e di design. Wallpaper l’haincoronata come una delle die-ci designer più importanti almondo, e in primavera il Presi-dente della Repubblica italianal’ha nominata ”Commendato-re dell’Ordine della Stella”. Te-resa Sapey, vulcanica biondaquarantacinquenne è partitaper la Spagna nel 1989 e ha fon-dato a Madrid uno studio cheoggi è considerato tra i piùtrendy e prestigiosi della capi-tale.

«La mia è stata una carriera dipiccoli passi. Mi sono trasferitain Spagna per amore e ho co-minciato a lavorare a piccoliprogetti. Sono cresciuta pianopiano, ma la Spagna mi ha datola possibilità di farmi conosce-re internazionalmente». DellaPenisola Iberica ha vissuto inpieno il boom ed il crollo delmercato immobiliare: «La si-tuazione ora è tragica. Siamopieni di edifici abbandonati eormai fatiscenti. E’ stata un’e-splosione forzata, fomentatadalle banche e Zapatero è ilpeggior Presidente che ci po-tesse capitare».

Laureata in architettura alPolitecnico diTorino ha poifrequentato aParigi la Par-son School ofdesign, in clas-se con TomFord e LuigiSpagnol. Aiparcheggi è ar-rivata con unascommessa. Ilgruppo Silkenstava proget-tando l’HotelPuerta Ameri-ca, vicino al-l’aereoporto diMadrid. Sapey contatta quindil’amministratore delegato peravere un incarico: «Purtroppoera troppo tardi. I lavori eranogià stati affidati ad una foltogruppo di designer internazio-nali tra i quali Jean Nouvel,Zaha Hadid, Norman Foster,David Chipperfield, e mi hanno

detto che nonc’era neanchepiù una mezzacantina daprogettare».Un paio digiorni dopol’architetto hal’idea: il par-

cheggio. Un po’ scettica, la pro-prietà accetta. E oggi il parcheg-gio del Puerta America è diven-tato il luogo più ambito da vip ecelebrities per farvi feste. Re-centemente l’ha affittato Ma-donna: «Nessuno vi aveva maipensato, ma da quel momentoho cominciato a dar vita a que-sti luoghi, che di solito sono tri-sti e anonimi». Successivamen-te il sindaco di Madrid ne hacommissionato uno in centro eanche a Valencia l’architettoSapey ha firmato il primo eco-parcheggio interamente pro-gettato con materiali ecososte-nibili e con tanto di prese di cor-rente per la ricarica di macchi-ne elettriche.

«Per me l’architettura deveessere innanzitutto emozione,deve parlare e interagire conchi la abita, deve raccontare efar sognare, prima ancora di es-sere funzionale. Ci sono luoghidimenticati da tutti, come i tun-nel, le gallerie, i sottopassaggi.Luoghi tristi che devono essereriprogettati. Ecco, questa è lamia missione, io sono l’archi-tetto dei “non luoghi” e le miecreazioni sono come i teatri do-ve i clienti e i visitatori si trasfor-mano in protagonisti ed allorapartecipano con emozione».Sempre in bilico tra design e ar-

te, rigore tecnologico ed inven-zione, funzionalità e creatività,Sapey si è confrontata con varierealtà sia pubbliche che priva-te, trasformandone la strutturain un sapiente gioco creativo,impiegando luci, colori, mate-riali e oggetti per creare spazi incui sia naturale riunirsi.

Attualmente è impegnata inSpagna nella progettazione diuna catena di beauty farm ed inCroazia nella riqualificazione

di un area dismessa: «Il mio so-gno però sarebbe progettarequalcosa di grande in Italia do-ve purtroppo sono sempre i so-liti studi a fare cose importantie poi chiamano le archistardal-l’estero. Mi spiace molto dirlo,ma la realtà è che sono pochis-simi anche gli italiani che sonoriusciti a farsi un nome e a lavo-rare fuori». Tornando al “feno-meno” delle archistar, Sapeycommenta: «Una rovina per le

città. Hanno stampato il mon-do con progetti tutti uguali,completamente slegati dal ter-ritorio, dall’architettura e dalpaesaggio. Spesso non vannoneanche a visitare i cantieri e sidimenticano che l’architettopiù che una star è un operaiocolto, deve stare in mezzo allemacerie oltre che sulle primepagine dei giornali».

Tra i suoi clienti ci sono mar-chi come Renault, Ikea, HugoBoss, Bulgari, Absolut Wodka,Baume&Mercier, Custo Barce-lona. Recentemente ha pubbli-cato un libro: “Sapore Sapey”,dove le sue idee sull’architettu-ra e la presentazione dei suoiprogetti sono intervallati da ri-cette della tradizione piemon-tese. Si, perché il suo legamecon la città natale rimane sem-pre fortissimo: «Se non fossicresciuta a Torino, se non aves-si amato il grande Juvarra cheprogettò il Palazzo Reale sicu-ramente non sarei arrivata tan-to in alto».

“L’architettodeve darenuova vita

ai posti tristidimenticati

da tutti”

NON SOLORICCHI RUSSIL’ultimascommessadi RossanaOrlandi,portare ildesign aPorto Cervo:“Non ci sonosolo ricchirussi”

Teresa Sapey, sopra,nata a Torino, lavorain Spagna dal 1989

BILANCIO 2008STATO PATRIMONIALE

CONTO ECONOMICO

IL DIRETTORE AMMINISTRATIVO IL DIRETTORE GENERALEDott. QUARANTIN Giuseppino Geom. MOLON Mario Lino

ATTIVITA’ 2008 2007

(B) IMMOBILIZZAZIONI

I. Immateriali 225 250II. Materiali 304.904 295.348III. Finanziarie 2.602 2.906

Totale Immobilizzazioni (B) 307.731 298.504

(C) ATTIVO CIRCOLANTEI. Rimanenze 2.677 2.373II. Crediti 14.496 14.457IV. Disponibilità' Liquide 2.388 832

Totale Attivo Circolante (C) 19.561 17.662

(D) RATEI E RISCONTI 266 83

TOTALE ATTIVITA' 327.558 316.249

2008 2007

(A) VALORE DELLA PRODUZIONE1) Ricavi 38.837 39.0974) Incrementi di im.per lavori interni 3.728 6.5645) Altri Ricavi e Proventi 2.414 1.961Totale Valore della Produzione (A) 44.979 47.622

(B) COSTI DELLA PRODUZIONE6) Per materie Prime, sus.e di cons. 6.344 5.3997) Per servizi 17.972 21.2938) Per godimento di beni di terzi 328 315

9) Per il personale 6.644 6.39510) Ammortamenti e svalutazioni 8.634 8.59211) Variazione rimanenze mat.prime -135 52614) Oneri diversi di gestione 3.341 3.109Totale Costi della Produzione (B) 43.128 45.629

Differenza tra Valore e Costidella Produzione (A-B) 1.851 1.993

2008 2007

(C) PROVENTI ONERI FINANZIARI16) Altri proventi finanziari 273 1.52917) Interessi ed altri oneri finanziari -1.272 -1.221

Totale Proventi e Oneri Finanz. (C) -999 308(D) RETTIFICHE VALORE DI AT.FIN. 0 -53Totale delle Rettifiche 0 -53

(E) PROVENTI E ONERI STRAORDIN.

20) Proventi Straordinari21) Oneri StraordinariTotale Proventi e Oneri Str. (E) 0 0

Risultato prima delle imposte 852 2.24822) Imposte sul reddito d'esercizio -425 -5

23) UTILE D'ESERCIZIO 427 2.243

PASSIVITA' 2008 2007

(A) PATRIMONIO NETTO

I. Capitale di Dotazione 200.465 200.465IV. Fondo Riserva 3.086 844VI. Riserve Statutarie e Regolam. 6.981 6.981VII. Altre Riserve 1.845 1.845IX. Utile d'Esercizio 427 2.243

Totale Patrimonio Netto (A) 212.804 212.378

(B) FONDI PER RISCHI E ONERI 827 1.086(C) TRATTAM.FINE RAPPORTO 1.955 1.994(D) DEBITI 44.242 39.695

(E) RATEI E RISCONTI 67.730 61.096

TOTALE PASSIVITA' 327.558 316.249

Repubblica Affari & Finanza

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AFFARI & FINANZA l l6 LUGLIO 2009 35Moda & Design

Annabel

Lady Sky cambia canale?

Elisabeth Murdoch, la bella e bionda figlia del re deimass-media Rupert, avrebbe ricevuto l'offerta di di-ventare presidente della società Independent Tele-

vision Authority che produce, commissiona, vende emanda in onda i programmi televisivi sul Canale 3 ingle-se, che si finanzia con le inserzioni pubblicitarie, a diffe-renza della Bbc che si mantiene con il canone. La propo-sta, che dovrebbe essere prima di tutto approvata dal con-siglio di amministrazione dell'azienda televisiva priva-

ta, ha suscitato notevole sorpresa, non soltan-to perché la giovane signora è figlia del padro-ne di Sky ma anche perché lei stessa ha unapropria azienda, la Shine Ltd che produce pro-grammi con uffici a Londra e Manchester, nel-la quale è molto impegnata.

Inoltre il papà Rupert la vorrebbe nella NewsCorporation insieme ai suoi fratelli James e La-chlan che controllano il Times, il Sunday Ti-

mes, il Sun e il News of the World in Inghilterra, oltrechéil New York Post negli Usa. Elisabeth aveva in prime noz-ze sposato un giovane banchiere del Ghana, Kwame Pia-nim e da lui aveva avuto due bambine, Cornelia ed Anna.In seconde nozze l'uomo prescelto è stato invece MatthewFreud, figlio del pittore e parlamentare liberale Sir Cle-ment Freud, nipote di Sigmund Freud, fondatore dellapsicoanalisi. Matthew che fa parte dell’alta società diLondra era riuscito a scandalizzare da giovanissimo ilmondo del Big Business, nel quale opera come esperto dicomunicazione: lo avevano arrestato per possesso di co-caina e spinelli. Ma ora tutto va bene in casa Freud e la car-riera di Elisabeth contribuisce al successo della famiglia.

Paolo Filo della Torre

Elisabeth,figlia

di Murdoch,in trattativa

con la tvconcorrente

La sfida di Rossana Orlandi“Cambio volto a Porto Cervo”

Artisti e designer hanno da sempre affollato il suo spaziomilanese: “Ma la cultura vince anche in Costa Smeralda”

Milano

«Trovo noiosissimo tutto quello che offrono inegozi di Porto Cervo, solo gioielli e grandi fir-me, mentre la Costa Smeralda è una piazza

oltre che straricca anche colta e preparata. Uscendodal circuito turistico propone un’enormità di eventiculturali interessanti. L’ho sperimentato l’anno scor-so ed il complimento più bello che ho ricevuto è stato:“non ci vergogniamo più di avere la casa in Sardegna”».Forse non tutti saranno felici di leggere questa affer-mazione, che però ben rappresenta lo stile di RossanaOrlandi e la realtà di un luogo un tempo culto e oggimolto “snobbato”. Lei è la proprietaria dell’omonimospazio di Milano. Una “Corte del design” alla quale pri-ma o poi bussano tutti: artisti e designer. Affermati o incerca d’autore. Ha fiuto e occhio, la minuta e raffinatasignora milanese. E difficilmente sbaglia un colpo nel-lo scegliere i creatori da promuovere e da vendere,spesso mettendoli in contatto con i produttori “giusti”.

Patrizia Urquiola, Tom Dixon, Paola Navona, Mar-teen Baas, sono solo alcuni tra i personaggi che lei rap-presenta nell’ex fabbrica di cravatte che ha ristruttura-

to, facendone uno spa-zio ricco di fascino dovespesso tra tavole elegan-temente imbandite si ra-dunano l’intellighenziameneghina e la creati-vità d’avanguardia. Al-l’ultima edizione dellafiera di Basilea ha pre-sentato Nacho Carbo-nell nel suo stand met-tendo a segno il colpo divendere tutte le opere aBrad Pitt. In quanto allaCosta Smeralda l’annoscorso aveva destatostupore il fatto che lei

avesse scelto proprio quel luogo, dove i soldi e appa-renza trionfano su raffinatezza e cultura, e dove la piaz-zetta pullula più che di raffinati intellettuali di veline incerca d’ingaggi, billionarine in cerca di fortuna e mi-liardari in cerca di vetrina.

La scommessa di Orlandi, proporre e creare nellaPromenade du Port ilDesignwalk(«una passeggiata at-traverso il design di ricerca nazionale ed internaziona-le in scenografie ricche di atmosfera ideate da SergioCalatroni»), è risultata vincente: «Io i russi pacchiani emiliardari non li ho neanche visti. Ho incontrato inve-ce personaggi colti e raffinati che hanno apprezzatomoltissimo la promenade e anche MdM museum chel’anno scorso proponeva una personale di Rotella equest’anno Schifano». La formula della Promenadequest’estate è un po’ diversa. Tutti gli spazi sono di-ventatitemporary shop. Orlandi ha il suo, poi c’è la Gal-leria Fumi di Londra, Skirà Bookstore, Aspesi, LouisAlexander Gallery, Vittoria Design, Tom Dixon e Mar-teen Baas. A questi ultimi, Dixon e Baas, verranno de-dicate due serate in luglio agosto. (r.fon.)

Sapey, la regina dei parcheggii “non luoghi” come missione

Jean Nouvel la chiama la “Reine du Parking” mentre “Wallpaper” l’ha scelta come unadelle dieci designer più importanti al mondo: “Basta con le grandi firme, rovinano le città”

RENATA FONTANELLI

Milano

Jean Nouvel la chiama la“Reine du Parking” peraver avuto l’idea, prima tra

tutti, di creare parcheggi ecolo-gici e di design. Wallpaper l’haincoronata come una delle die-ci designer più importanti almondo, e in primavera il Presi-dente della Repubblica italianal’ha nominata ”Commendato-re dell’Ordine della Stella”. Te-resa Sapey, vulcanica biondaquarantacinquenne è partitaper la Spagna nel 1989 e ha fon-dato a Madrid uno studio cheoggi è considerato tra i piùtrendy e prestigiosi della capi-tale.

«La mia è stata una carriera dipiccoli passi. Mi sono trasferitain Spagna per amore e ho co-minciato a lavorare a piccoliprogetti. Sono cresciuta pianopiano, ma la Spagna mi ha datola possibilità di farmi conosce-re internazionalmente». DellaPenisola Iberica ha vissuto inpieno il boom ed il crollo delmercato immobiliare: «La si-tuazione ora è tragica. Siamopieni di edifici abbandonati eormai fatiscenti. E’ stata un’e-splosione forzata, fomentatadalle banche e Zapatero è ilpeggior Presidente che ci po-tesse capitare».

Laureata in architettura alPolitecnico diTorino ha poifrequentato aParigi la Par-son School ofdesign, in clas-se con TomFord e LuigiSpagnol. Aiparcheggi è ar-rivata con unascommessa. Ilgruppo Silkenstava proget-tando l’HotelPuerta Ameri-ca, vicino al-l’aereoporto diMadrid. Sapey contatta quindil’amministratore delegato peravere un incarico: «Purtroppoera troppo tardi. I lavori eranogià stati affidati ad una foltogruppo di designer internazio-nali tra i quali Jean Nouvel,Zaha Hadid, Norman Foster,David Chipperfield, e mi hanno

detto che nonc’era neanchepiù una mezzacantina daprogettare».Un paio digiorni dopol’architetto hal’idea: il par-

cheggio. Un po’ scettica, la pro-prietà accetta. E oggi il parcheg-gio del Puerta America è diven-tato il luogo più ambito da vip ecelebrities per farvi feste. Re-centemente l’ha affittato Ma-donna: «Nessuno vi aveva maipensato, ma da quel momentoho cominciato a dar vita a que-sti luoghi, che di solito sono tri-sti e anonimi». Successivamen-te il sindaco di Madrid ne hacommissionato uno in centro eanche a Valencia l’architettoSapey ha firmato il primo eco-parcheggio interamente pro-gettato con materiali ecososte-nibili e con tanto di prese di cor-rente per la ricarica di macchi-ne elettriche.

«Per me l’architettura deveessere innanzitutto emozione,deve parlare e interagire conchi la abita, deve raccontare efar sognare, prima ancora di es-sere funzionale. Ci sono luoghidimenticati da tutti, come i tun-nel, le gallerie, i sottopassaggi.Luoghi tristi che devono essereriprogettati. Ecco, questa è lamia missione, io sono l’archi-tetto dei “non luoghi” e le miecreazioni sono come i teatri do-ve i clienti e i visitatori si trasfor-mano in protagonisti ed allorapartecipano con emozione».Sempre in bilico tra design e ar-

te, rigore tecnologico ed inven-zione, funzionalità e creatività,Sapey si è confrontata con varierealtà sia pubbliche che priva-te, trasformandone la strutturain un sapiente gioco creativo,impiegando luci, colori, mate-riali e oggetti per creare spazi incui sia naturale riunirsi.

Attualmente è impegnata inSpagna nella progettazione diuna catena di beauty farm ed inCroazia nella riqualificazione

di un area dismessa: «Il mio so-gno però sarebbe progettarequalcosa di grande in Italia do-ve purtroppo sono sempre i so-liti studi a fare cose importantie poi chiamano le archistardal-l’estero. Mi spiace molto dirlo,ma la realtà è che sono pochis-simi anche gli italiani che sonoriusciti a farsi un nome e a lavo-rare fuori». Tornando al “feno-meno” delle archistar, Sapeycommenta: «Una rovina per le

città. Hanno stampato il mon-do con progetti tutti uguali,completamente slegati dal ter-ritorio, dall’architettura e dalpaesaggio. Spesso non vannoneanche a visitare i cantieri e sidimenticano che l’architettopiù che una star è un operaiocolto, deve stare in mezzo allemacerie oltre che sulle primepagine dei giornali».

Tra i suoi clienti ci sono mar-chi come Renault, Ikea, HugoBoss, Bulgari, Absolut Wodka,Baume&Mercier, Custo Barce-lona. Recentemente ha pubbli-cato un libro: “Sapore Sapey”,dove le sue idee sull’architettu-ra e la presentazione dei suoiprogetti sono intervallati da ri-cette della tradizione piemon-tese. Si, perché il suo legamecon la città natale rimane sem-pre fortissimo: «Se non fossicresciuta a Torino, se non aves-si amato il grande Juvarra cheprogettò il Palazzo Reale sicu-ramente non sarei arrivata tan-to in alto».

“L’architettodeve darenuova vita

ai posti tristidimenticati

da tutti”

NON SOLORICCHI RUSSIL’ultimascommessadi RossanaOrlandi,portare ildesign aPorto Cervo:“Non ci sonosolo ricchirussi”

Teresa Sapey, sopra,nata a Torino, lavorain Spagna dal 1989

BILANCIO 2008STATO PATRIMONIALE

CONTO ECONOMICO

IL DIRETTORE AMMINISTRATIVO IL DIRETTORE GENERALEDott. QUARANTIN Giuseppino Geom. MOLON Mario Lino

ATTIVITA’ 2008 2007

(B) IMMOBILIZZAZIONI

I. Immateriali 225 250II. Materiali 304.904 295.348III. Finanziarie 2.602 2.906

Totale Immobilizzazioni (B) 307.731 298.504

(C) ATTIVO CIRCOLANTEI. Rimanenze 2.677 2.373II. Crediti 14.496 14.457IV. Disponibilità' Liquide 2.388 832

Totale Attivo Circolante (C) 19.561 17.662

(D) RATEI E RISCONTI 266 83

TOTALE ATTIVITA' 327.558 316.249

2008 2007

(A) VALORE DELLA PRODUZIONE1) Ricavi 38.837 39.0974) Incrementi di im.per lavori interni 3.728 6.5645) Altri Ricavi e Proventi 2.414 1.961Totale Valore della Produzione (A) 44.979 47.622

(B) COSTI DELLA PRODUZIONE6) Per materie Prime, sus.e di cons. 6.344 5.3997) Per servizi 17.972 21.2938) Per godimento di beni di terzi 328 315

9) Per il personale 6.644 6.39510) Ammortamenti e svalutazioni 8.634 8.59211) Variazione rimanenze mat.prime -135 52614) Oneri diversi di gestione 3.341 3.109Totale Costi della Produzione (B) 43.128 45.629

Differenza tra Valore e Costidella Produzione (A-B) 1.851 1.993

2008 2007

(C) PROVENTI ONERI FINANZIARI16) Altri proventi finanziari 273 1.52917) Interessi ed altri oneri finanziari -1.272 -1.221

Totale Proventi e Oneri Finanz. (C) -999 308(D) RETTIFICHE VALORE DI AT.FIN. 0 -53Totale delle Rettifiche 0 -53

(E) PROVENTI E ONERI STRAORDIN.

20) Proventi Straordinari21) Oneri StraordinariTotale Proventi e Oneri Str. (E) 0 0

Risultato prima delle imposte 852 2.24822) Imposte sul reddito d'esercizio -425 -5

23) UTILE D'ESERCIZIO 427 2.243

PASSIVITA' 2008 2007

(A) PATRIMONIO NETTO

I. Capitale di Dotazione 200.465 200.465IV. Fondo Riserva 3.086 844VI. Riserve Statutarie e Regolam. 6.981 6.981VII. Altre Riserve 1.845 1.845IX. Utile d'Esercizio 427 2.243

Totale Patrimonio Netto (A) 212.804 212.378

(B) FONDI PER RISCHI E ONERI 827 1.086(C) TRATTAM.FINE RAPPORTO 1.955 1.994(D) DEBITI 44.242 39.695

(E) RATEI E RISCONTI 67.730 61.096

TOTALE PASSIVITA' 327.558 316.249

Repubblica Affari & Finanza

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Città

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Donne architetto in trincea: più spazioProfessioniste a confronto nella «NotteOab»: «Siamo la metà degli iscritti all’Ordine dal 2000»Ma a livello nazionale bocciata la proposta bergamasca per un terzo del Consiglio al femminile

LAURA ARNOLDI a Bilancio lusinghieroper la seconda edizione di «Not-teOab», l’appuntamento pro-mosso dall’Ordine degli archi-tetti di Bergamo al Parco tecno-logico e scientifico «KilometroRosso». L’evento è stato occa-sione per riflettere sul tema«Donne e progettualità», pren-dendo spunto dal video-repor-tage «Sopravvivere al sistema»realizzato da Archidonna. Fran-cesca Perani ha introdotto il fil-mato con una suggestiva cita-zione da Marylin Monroe:«Ognuno di noi è una stella e hail diritto di brillare» anticipan-do che dalle interviste «emergeche la visibilità delle professio-niste bergamasche è bassa». Neiloro contributi le donne hannoraccontato chiaramente la dif-ficoltà di conciliare attività la-vorativa e famiglia: chi affermadi dedicare molto tempo al lavo-ro o lo sottrae a se stessa o hacompiuto la scelta di non crea-re una famiglia.

Una realtà che non riguardasolo le donne architetto o me-glio le «architette» come ha pro-vocatoriamente suggerito Pao-lo Belloni, presidente di Oab:«Non è un caso che per le pro-fessioni di livello più alto man-chino termini al femminile. Sipotrebbe partire anche solo daqui per una trasformazione del-la mentalità comune».

Aumentano le donneUn cambiamento che riflette-rebbe il dinamismo che si sta re-gistrando all’interno dell’Ordi-

ne: negli ultimi dieci anni gliiscritti sono per metà donne,mentre sul totale dei 2.300 ar-chitetti dell’Ordine la percen-tuale scende al 30%. Il dinami-smo però non intacca le posizio-ni di potere. «Quando si è trat-tato di eleggere l’ultimo consi-glio direttivo nazionale dell’Or-dine, Oab ha suggerito di garan-tire la presenza per un terzo diconsiglieri donna. La propostanon è passata» ha affermatoBelloni, a dimostrare come icambiamenti siano lenti e diffi-cili.

Riconoscimento del ruoloIl dibattito, moderato dalla gior-nalista Paola D’Amico, ha evi-denziato come il mancato rico-

noscimento del ruolo e le mag-giori difficoltà nella carriera perle donne siano comuni ad altreprofessioni. «Ad esempio il tito-lo di ingegnere o architetto nonviene normalmente attribuito auna donna: in cantiere è prassiessere chiamata semplicemen-te signora» ha detto PatriziaGuerra dell’Aidia di Brescia (As-sociazione italiana donne inge-gneri e architetti, ancora pococonosciuta). Quote rosa, ricono-scimento dei tempi dedicati al-la famiglia negli studi di settore,sostegno reale al part-time e alcongedo paterno (anzichéesclusivamente materno): sonoalcune delle proposte emerseper portare a un cambiamentoculturale. Non pare invece esi-stere, secondo Paolo Belloni,una connotazione di genere nel-la progettualità: «La differenzatra architetto uomo e donnanon riguarda la fase progettua-le, forse l’approccio metodolo-gico, dove la sperimentazione èpiù marcata al maschile».

Successo al femminileDopo il dibattito, lo spazio è sta-to dato a tre progettiste di famainternazionale che hanno sapu-to coniugare successo e profes-sione. Le italiane Donata Paruc-cini e Teresa Sapey (che lavorasoprattutto a Madrid), insiemealla cilena Cecilia Puga hannoraccontato la loro esperienzaprofessionale con il supportodelle immagini delle loro realiz-zazioni. Per la chiusura della se-rata il concerto del Jazz clubBergamo. ■

La consegnaA

Premi «Oab»e riconoscimentiA

Nella «NotteOab» la consegna dei«Premi Oab»: il riconoscimento perla Migliore opera pubblica al pro-getto della nuova biblioteca e cen-tro cultura di Ranica dello studioDap, per la Migliore opera privataallo studio De8 architetti per l’edi-ficio Ecoforum di Clusone. A LauraBettinelli il premio per la Migliorearchitettura al femminile con la ca-sa San Vigilio, la migliore architet-tura under 40 è stata realizzata daFrancesco Adobati con l’edificio po-lifunzionale di Albino. Assegnatianche i riconoscimenti alla carrieraa 45 architetti bergamaschi.

L’intervista AURELIO GALFETTIA

«Progetti di qualitàMa la realtà è diversa»

urelio Galfetti è il pre-sidente della giuria diquesto primo PremioOab rivolto agli ultimi

dieci anni di architettura a Ber-gamo: 74 anni, è un noto pro-fessionista di Lugano che lavo-ra anche a Padova. Ha collabo-rato con Luigi Snozzi, IvanoGianola, Mario Botta. Ha inse-

A gnato architettura a Parigi,Mendrisio e ha tenuto confe-renze in mezzo mondo. Ha co-struito cose diverse: da edificiunifamiliari e ville (a BergamoCasa Vitali) ad asili per l’infan-zia, scuole, uffici postali, un in-ceneritore, l’Ospedale neuro-psichiatrico di Mendrisio, la pi-scina coperta e il tennis di Bel-

linzona, stazioni, la sede Safiloe il Net Center di Padova, in viadi costruzione.

Architetto, a questa prima edizio-ne del premio bergamasco hannopartecipato in tanti: 80 studi hannopresentato 107 progetti.«È stata un po’ una sorpresa,soprattutto per la qualità dei la-vori. Scorrendo questa selezio-ne si ha l’impressione che l’ar-chitettura contemporanea ab-bia un vero spazio nella costru-zione della città. Se ci pensiamomeglio, però, ci rendiamo con-to che in realtà essa non è così

visibile. Il problema è che que-sto genere di edifici rappresen-ta al massimo l’1 per cento diciò che si costruisce. Questiprogetti rappresentano la qua-lità. La speranza. Il resto - il 99per cento - è ciò che la societàvuole. Sono rarissimi gli im-prenditori e i costruttori che ac-cettano e fanno proprio questostile. Se guardo le nostre perife-rie...».

La Lombardia, nel suo tessuto piùdiffuso, sta diventando un luogoorribile.«È un disastro, sì».

Da cosa dipende?«Non dagli architetti. Non daquelli che continuano a fare se-riamente questo mestiere, cheresistono anche dopo aver in-cassato le prime delusioni. So-no pochi. Gli altri abbandona-no. Perché a decidere oggi nonè l’architetto ma la banca, la fi-nanza, la proprietà fondiaria,l’amministrazione pubblica, lesovrintendenze... E tutti voglio-no la banalità. Domina un’igno-ranza immensa».

Osservando i progetti selezionati,si direbbe che a Bergamo torni in

auge il Modernismo?«C’è una prevalenza, sì, di unostile che viene dagli anni ’50 eda quelle esperienze, che oggi siveste di materiali diversi, di me-todi costruttivi nuovi».

La nostra città ha qualche accentopeculiare?«No, è uno stile europeo, e an-che più vasto. Ha delle leggereconnotazioni locali però an-ch’esse fanno parte di una ricer-ca globalizzata. Le differenzetra regione e regione non sonosostanziali». ■

Carlo Dignola

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Rizzoli ristampa «Il senso religioso»Mercoledì presentazione in 180 cittàa Sarà presentato merco-ledì sera a Milano (e in videocolle-gamento in 180 città italiane, tra cuiBergamo) il libro di don Luigi Gius-sani «Il senso religioso», in occasio-ne della nuova ristampa Rizzoli.La manifestazione, alla quale in-terverrà don Julián Carrón, pre-sidente della Fraternità di Co-munione e liberazione, è in pro-gramma alle 21,30 al Palasharpdi Milano, mentre a Bergamol’appuntamento è all’auditoriumdel Seminario, in via Arena. Sicalcola che, oltre agli 8 mila pre-

senti al Palasharp, saranno al-meno 50 mila le persone cheparteciperanno alla serata.

Per tutto il 2011 «Il senso re-ligioso» sarà il testo della «Scuo-la di comunità», la catechesi set-timanale degli aderenti al movi-mento, giovani e adulti, in tuttoil mondo. Tradotto in 19 lingue,«Il senso religioso» è il libro piùnoto di don Giussani (il fondato-re di Cl, scomparso nel 2005 a 82anni) e, a partire dalla prima edi-zione del 1957, è stato arricchitodall’autore arricchito nel corso

delle successive ristampe, finoall’edizione attuale della Rizzo-li.

«Il senso religioso» rappre-senta il primo dei tre volumi del«PerCorso», che comprende an-che «All’origine della pretesa cri-stiana» e «Perché la Chiesa». Inessi don Giussani ha messo afrutto un’intera esistenza spesaa mostrare la pertinenza della fe-de alle esigenze della vita, in unimpegno educativo che ha for-mato migliaia di persone in tut-to il mondo.

«La formula dell’itinerario alsignificato ultimo della realtàqual è? Vivere il reale - scrive tral’altro don Giussani ne «Il sensoreligioso -. L’esperienza di quel-la implicazione nascosta, di quel-la presenza arcana, misteriosadentro l’occhio che si spalancasulle cose, dentro l’attrattiva chele cose risvegliano, […] come po-trà essere vivida, questa com-plessa e pur semplice esperien-za, questa esperienza ricchissi-ma di cui è costituito il cuore del-l’uomo, che è il cuore dell’uomoe perciò il cuore della natura, ilcuore del cosmo? Come potràessa diventare potente? Nell’im-patto con il reale. L’unica condi-zione per essere sempre e vera-mente religiosi è vivere sempreintensamente il reale». ■

IN BREVE

PIAZZALE MARCONI«Rapinato di 10 euroda due persone»Un cinquantenne residentein città ha denunciato ai ca-rabinieri di essere stato rapi-nato, alle 18 di sabato in piaz-zale Marconi, da due perso-ne che l’avrebbero minaccia-to. Scarso il bottino della ra-pina: soltanto 10 euro che ilcinquantenne ha consegna-to ai due rapinatori, poi scap-pati a piedi: l’uomo ha quin-di sporto denuncia ai carabi-nieri, che stanno indagandosull’episodio.

AL CONSULTORIOParlare ai bimbidi «orchi e pedofili»«Non prendere caramelledagli sconosciuti». È il tito-lo dell’incontro proposto dalConsultorio familiare «C.Scarpellini» nel ciclo di in-contri «Crescere insieme».L’appuntamento è merco-ledì 26 alle 20,45 in via Con-ventino. La psicologa delconsultorio Francesca Ami-ghetti spiega come parlare aibambini di «orchi e pedofi-li» per prevenire abusi e mo-lestie.

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Nelle foto 1 e 2 ( FRAU) la folla al «Kilometro Ros-so» e l’ospite cilena Cecilia Puga. Nella foto 3 Au-relio Galfetti (primo a sinistra) e la giuria al lavoro

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L’ECO DI BERGAMOLUNEDÌ 24 GENNAIO 201112

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Teresa Sapeyl’architettoche rende bellianche i garage«Stufa del grigio, li ho colorati. Altro che non-luoghiSono spazi in cui passiamo parte della nostra vita Preferisco sporcarmi di cemento che costruire teorie»

CARLO DIGNOLAa Teresa Sapey è nata aCuneo 48 anni fa, ma da una ven-tina vive e lavora a Madrid. È unarchitetto che sta facendo unacosa fondamentale per noi uma-ni del XXI secolo, che pochi – an-che fra le più luminose star del-l’architettura – sanno fare: ren-dere belli, interessanti, vivaci e inbuona sostanza vivibili i luoghipiù squallidi che ci tocca abitare.Il problema principale delle no-stre metropoli non sono gli edi-fici di rappresentanza, le dimoreprincipesche, gli attici sui vialima le zone di giuntura: parcheg-gi, tunnel, rampe, pensiline del-la metropolitana. È qui che lacittà contemporanea gioca la suapartita tra fascino e alienazione.

La Sapey è un professionistatransnazionale: cresciuta nella«Provincia granda», laureata inArchitettura a Torino, una spe-cializzazione alla Parsons Schoolof design e un’altra all’École Na-tionale Supérieure d’Architectu-re di Parigi, ha l’indole realista eun po’ scettica della piemontese,l’apertura mentale di una signo-ra francese e la Spagna ha messonelle sue vene la voglia di faretutto e subito; di prendere il toroper le corna. La prestigiosa rivi-sta inglese Wallpaper l’ha classi-ficata tra i dieci designer più in-fluenti del mondo.

Pare che Jean Nouvel, forsel’architetto più geniale di questianni (ma non un mostro di sim-patia) l’abbia soprannominata«Madame Le Parking». All’HotelPuerta de America di Madridavevano chiamato grandi firme(Zaha Hadid, Ron Arad, NormanFoster) chiedendo loro di allesti-re in maniera originale e lussuo-sa un piano ciascuno: a Teresaera toccato il -1. E il suo progetto– ammisero Nouvel e Foster ilgiorno dell’inaugurazione – ri-sultò il più originale. La Sapeyprogetta anche case, uffici, scuo-le, ospedali, alberghi, ma ha fat-to di nuovo colpo con il parcheg-gio che ha progettato per la cen-trale Plaza Cánovas di Valencia:

: «Quando vedono che hai fattobene una cosa - dice ridendo - iclienti ti chiedono sempre quel-la! Mentre a noi architetti piacesempre fare cose nuove». A Va-lencia ha usato quattro colorisgargianti, proponendo altret-tanti itinerari per visitare la città:parcheggi nel giallo se sei direttoin centro, nel rosso se cerchi unpercorso culturale, nel verde peri parchi, nel blu se vai verso il ma-re. La Sapey ha creato una festadi colori in luoghi che in tutto ilmondo sono monotoni e banali:«Se nei garage usassi il bianco oil grigio – spiega – li renderei piùlugubri di quello che sono. I sot-terranei in questi anni sono di-

ventati improvvisamente, pernoi, spazi quotidiani. Dalla caver-na alla capanna l’uomo prima hacostruito ciò che gli serviva, poiha elaborato architetture piùsimboliche. Le stazioni ferrovia-rie un tempo non esistevano, al-l’inizio c’erano solo dei capanno-ni accanto ai binari; poi ci siamoaccorti che in quei luoghi passa-vamo molto tempo e li abbiamoresi piacevoli. La stessa cosa è ac-caduta con la metropolitana ur-bana».

La Sapey lavora su oggetti ar-chitettonicamente nuovi, manon per questo condannati a es-ser brutti: «Quelli che il sociolo-go Marc Augé ha chiamato “nonluoghi” sono semplicementeluoghi ai quali finora nessunoaveva dato importanza. Ma or-mai viviamo più lì che nei luoghitradizionalmente detti. Noi lavo-riamo su questi anelli di giunzio-ne». Gli intellettuali hanno pen-sato che non fossero abitabili:che da ipermercati, tunnel, so-praelevate, aeroporti, parcheggibisognava semplicemente fuggi-re verso superfici più nobili. Igiovani architetti hanno comin-ciato a cambiarli: «Le grandi fir-me erano troppo prese a proget-tare begli edifici o musei. La nuo-va generazione di cui noi faccia-mo parte, invece, doveva crearsiuna nicchia professionale» e so-no finiti lì, sottoterra, tra ascen-sori, scale mobili, pilastri di ce-mento armato.

«Quando mi sono laureata io– racconta Teresa -, nell’85, inItalia erano anni neri per questaprofessione. Ho vinto una borsadi studio all’estero, sono andataa Parigi e ho iniziato a lavoraredove c’era lavoro». Non è una so-gnatrice: «Ci sono molte cose chela vita sceglie per te. Bisognereb-be dirlo ai giovani. Non è che tilaurei e dici: “Disegnerò parcheg-gi in Spagna”. Ti capita un’oppor-tunità e la devi saper cogliere».Anche perché «se non lavori, se-condo me non sei davvero un ar-chitetto. In Italia si fa un granparlare di questo mestiere, paro-

L’arte di costruire

Un parcheggio disegnato da Teresa Sapey:le linee, i colori, i disegni orientano i conducenti,guidati anche dai neon a basso consumo che tracciano frecce direzionali

L’architetto Teresa Sapey

Nata a Cuneo, si èspecializzata a

Parigi e da 20 annilavora a Madrid

Una famosa rivistainglese l’ha eletta tra

i dieci designer piùinfluenti del mondo

«Compromessi con i clienti?

Certo, dobbiamoanche mangiare»

le, parole, parole... Ma non si co-struisce. Io preferisco essere unprogettista mediocre che tutti igiorni lavora piuttosto che ungrande teorico. L’esperienza fa:quando hai 30 cantieri sul tavo-lo del tuo studio, la tua capacitàprogettuale aumenta. Sei “spor-co” (di cemento), ma sai: l’archi-tettura è pratica, non solo gram-matica».

Fare l’architetto vuol dire «ri-spondere alla realtà. Ci sono pro-fessionisti che fanno un proget-to all’anno, faticosissimi parti...Noi siamo quelli dei parti multi-pli» dice la Sapey. «Io spesso inuna settimana visito cinque can-tieri. L’architettura è anche velo-

cità intellettuale: piegare i mate-riali, risolvere problemi. E so-pravvivere ai propri errori». Per-ché – spiega – chi fa sbaglia:«L’architettura è una professio-ne imperfetta. Come tutte le al-tre del resto: lei crede che un chi-rurgo non sbagli mai? Può anchefare un errore una volta, dimen-ticare una garza, ma se opera tut-ti i giorni certi interventi li sapràfare a occhi chiusi, e questo con-ta. Per un architetto è la stessacosa».

In Spagna negli ultimitrent’anni «si è costruito molto.Forse troppo. Anche a Madridperò c’è una realtà universitariacon cui io litigo costantemente»

racconta Teresa, «professori du-rissimi e vecchissimi, gente chenon ha costruito nulla e si per-mette di criticare chi fa, accusan-doci di scendere a compromessicon la committenza. È vero che– come si dice - che “un buonprogetto si fa con un buon clien-te”, ma a un certo punto devi an-che mangiare».

Lei ha una formazione artisti-ca: «Ho studiato anche Belle ar-ti. Poi un gallerista, amico di fa-miglia, mi disse che era meglioessere un architetto mediocreche un artista mediocre», ed èpassata dalla tavolozza alla beto-niera. Ma la passione per il colo-re le è rimasta: «È una materia inpiù nelle tue mani: il colore vibra,è emozione». Ha portato il tipico«giallo piemontese» sotto i Pire-nei: «La Spagna non è così colo-rata come pensiamo di solito.Vent’anni fa, quando arrivai io,Madrid era una città in cui le ca-se erano tutte bianche, o di quelbeige un po’ malaticcio, triste. LeCorbusier diceva che l’architet-tura dovrebbe essere bianca “perlegge", ma gli Spagnoli lo aveva-no preso un po’ troppo alla lette-ra. Il giorno che dipinsi per la pri-ma volta una casa gialla il mio vi-cino la prese male: “Lei come siè permessa!?”. Vent’anni dopo,quel quartiere di Madrid è diven-tato giallo».

Donna d’attacco, a Teresa Sa-pey non piace indugiare sul temadelle pari opportunità: «In Spa-gna mi chiamano arquitecta: èun’espressione che odio. Noi sia-mo la prima generazione di don-ne che ha potuto fare davveroquesto mestiere, ma non credoche oggi siamo discriminate». Achi le chiede come ha fatto a con-ciliare vita privata e professionerisponde con la solita franchez-za: «La maternità - ho due ge-melli - non mi ha ostacolata. Mala vita è fatta di scelte e non sipuò far tutto bene: non si può es-sere madri perfette, mogli perfet-te, architetti perfetti: qualcosadevi per forza sacrificarlo, e noidonne continuiamo a farlo». ■

Il garage di Plaza Cánovas, nel centro di Valencia

L’ECO DI BERGAMOVENERDÌ 28 GENNAIO 201152

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Per inventare bisognaritornare bambiniDonata Paruccini disegna panchine a due piani«Cerco di superare l’idea che abbiamo delle cose»

onata Paruccini, 44anni, nata a Varedo,nel Milanese, è cre-sciuta in Sardegna. Ha

studiato Design industriale all’I-stituto superiore per le Industrieartistiche di Firenze e oggi lavo-ra tra Milano e Parigi, per mar-chi famosi come Alessi, Morella-to, Pandora. Le piace distruggere, con manolieve, l’idea che ci siamo fatti de-gli oggetti. Ha realizzato peresempio un interruttore fatto distoffa invece che di plastica, untagliere pieghevole, delle panchi-ne a due piani; ha preso delle po-sate in plastica e le ha ben cesel-late come se fossero d’argento.Ha disegnato un anello con lapietra mobile che emette profu-mo, un cucchiaino con incorpo-rata la cannuccia che permettedi mangiare il gelato anchequando è sciolto in fondo allacoppa, bottoni con i fori irrego-lari che faranno forse impazzirele sarte ma danno alla moda untocco estroso in più. È una desi-gner che ha delle idee insomma,anzi «idee ricercate» - come hascritto la rivista Interni.

A lei piacciono gli oggetti più comu-ni: vasi, bottiglie, portamatite, lam-padine usate...«Preferisco quelli che, sotto ilprofilo tecnico, non hanno nien-te di speciale: cerco di portare lepersone a rapportarsi con essi inun modo nuovo».

D Ha disegnato un grande interrutto-re di stoffa.«Il mio è un esercizio: ogni voltacerco di dire qualcosa che anco-ra non è stato detto su un certooggetto. Questo interruttore è di-verso dai soliti: è morbido, è mol-to facile da montare ed è monou-so: una volta applicato non si puòpiù riutilizzare. Prima di dise-gnare mi faccio delle domande,penso a cosa potrei dire di nuo-vo. Siamo già pieni di oggetti,spesso ridisegnarli non è affattoutile: se lo faccio, vorrei che aves-se un senso».

A proposito di cose per nulla accat-tivanti rilette in maniera bizzarra,lei ha disegnato delle puntine da di-segno a forma di mosca: le ha mes-se in produzione Alessi e sono già di-ventate un’icona.«È stata una piccola sfida riusci-re a dire ancora qualcosa sullapuntina, che era già in sè com-pleta, dal punto di vista indu-striale funzionava perfettamen-te così com’era: è un ottimoesempio di oggetto che non hasenso riprogettare. E infatti i de-signer di solito non se ne occu-pano».

In quest’attività sovversiva, dovetrae ispirazione?«Assorbo continuamente infor-mazioni: noi in fondo disegnia-mo quello che abbiamo visto,quello che abbiamo vissuto, let-to... Quello che siamo, se vuole.Certe esperienze si elaborano,ogni tanto vengono fuori deglispunti e non sai nemmeno comesiano nati dentro di te».

Quando progetta, pensa ai clienti osi lascia andare all’invenzione pura?«Per me è importante che le co-se che invento si riescano a ven-dere. Non sempre ci sono riusci-ta, naturalmente. Non cercoperò di rispondere a quella cheimmagino possa essere la do-manda del mercato, ma di fareuna ricerca più autonoma».

Per inventare un oggetto di grandesuccesso bisogna tornare un po’bambini? Riscoprire una relazioneelementare con le cose?«È un po’ così. Ma recuperarequesto rapporto originario è dif-ficile: siamo tutti abituati a vede-re gli oggetti come ce li hannopresentati. Bisogna rimetterli ingioco, guardarli in maniera di-versa, più “pulita”, come se infondo non li conoscessimo cosìbene: è un po’ un ritorno all’infan-zia, sì. Noi designer, prima di rea-lizzare un progetto lavoriamomolto con i modelli: anche quello,in un certo senso, è un gioco». ■

C. D.

Donne di successo

Protagoniste della «Notte Oab» al Kilometro rosso

Tre progettiste di puntainvitate a Bergamo dall’Ordine

Sotto il titolo «Donne e progettua-lità» l’Ordine degli Architetti di Ber-gamo sabato scorso per la (affollata)seconda edizione della «Notte Oab»ha invitato al Kilometro rosso treprogettiste che si sono fatte largo

sulla scena internazionale: la cilenaCecilia Puga, che fa parte di un grup-po di giovani professionisti moltoseguiti dalle riviste di architettura,Teresa Sapey, piemontese che lavo-ra a Madrid e Donata Paruccini, de-

signer per gruppi industriali cono-sciuti in tutto il mondo come Alessi.Le abbiamo intervistate: sono treesempi di come, con idee e con grin-ta, si può trovare spazio nel mondodi oggi anche in anni di crisi.

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Cecilia Puga: basta gigantismo alla GehryProgettiamo intimità, risparmiando energie

Bottoni di madreperla con i fori disposti in maniera irregolare: un tocco estroso a un oggetto assolutamente banale

Cecilia Puga, architetto cileno

«Reinvento oggetticomuni, quelli che non hanno

niente di speciale»

Puntine a forma dimosca, bottoni con

i buchi asimmetrici,interruttori di stoffa

La puntina a forma di mosca disegnata per Alessi

Donata Paruccini, designer

ecilia Puga ha preso unacasa, una classica caset-ta con il tetto a punta el’ha rovesciata gambe

all’aria: e la sua dimora Larrainè diventata subito famosa.Nata nel 1961, si è laureata in ar-chitettura nel ’90 presso l’Uni-versità Cattolica del Cile: prima,dal 1987 all’89 aveva studiatoperò Storia e restauro dei monu-menti architettonici alla Sapien-za di Roma. Cecilia Puga oggi co-struisce case per la borghesiamedio-alta del suo Paese, moltocresciuta negli ultimi vent’anni.Fa parte di un gruppo di giovaniarchitetti apprezzati dalle rivi-ste internazionali: «Quasi tutti -spiega - sono collegati all’Uni-versità cattolica di Santiago, cheha mandato molti suoi professo-ri ad aggiornarsi in Italia, Spa-gna, Inghilterra: quando sonotornati hanno creato un grandefermento».

C Qual è la sua prima preoccupazionequando progetta?«Sono molto interessata a co-struire l’interiorità della casa, re-lativamente indipendente dalcontesto in cui si trova. E cercodi sviluppare un’architettura low

tech, capace di rispondere alleesigenze contemporanee senzarichiedere molta energia».

Utilizza materiali poveri.«Anche. Ma soprattutto mi inte-ressa ridurre al massimo le ope-razioni del progetto, per concen-trare in un punto significativotutta l’energia. Cerco di essere

sintetica, di non disperdere ri-sorse con troppe finiture o det-tagli».

Quella del risparmio (soprattuttoenergetico) oggi è una moda. Stateseguendo questa linea perché pen-sate che il mondo di domani sarà piùpovero di idrocarburi o di denaro?«Non penso solo al cambiamen-to climatico, ma anche al bud-get».

Gli anni delle architetture spettaco-lari, alla Frank O. Gehry, sono finiti?«C’è un movimento verso la sin-tesi, un po’ dappertutto. Lavora-re in un posto come il Cile dovele risorse – non solo i soldi, an-che la tecnologia – sono limita-te ci dà un punto di partenza di-verso rispetto all’Europa. Dicia-mo che il contesto ci spinge inquesta direzione. Ma c’è anchela volontà di produrre un’archi-tettura più diffusa, meno “lette-

raria”, il più concreta possibile».

Un autore come Oscar Niemeyer –l’architetto che ha disegnato Brasi-lia - è ancora importante per voi o èroba vecchia?«Tutto il modernismo latinoa-mericano, anche quello argenti-no, è un riferimento essenzialeper noi: abbiamo studiato mol-to Le Corbusier».

Siete dei post-postmodernisti, in-somma.

«Io penso che il post-modern siastato uno dei periodi più negati-vi dell’architettura. La mia gene-razione ha studiato sotto la suainfluenza ma l’abbiamo affron-tato in maniera molto critica, eabbiamo fatto un salto all’indie-tro per recuperare radici diver-se. Abbiamo imparato moltodall’Europa».

E dagli Stati Uniti?«Direi di no». ■C. D.

«Il periodo piùnegativo è stato

quello dello stile post-modern»

Casa Larrain a Los Vilos, sulla Baia Azzurra

L’ECO DI BERGAMOVENERDÌ 28 GENNAIO 2011 53

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Sabato 22 gennaio abbiamo incontrato Donata Paruccini, Cecilia Puga e teresa Sapey in occasione della conferenza stampa di presentazione della

Notte OAB 2011, tenutasi la sera stessa presso lo spazio conferenze del parco scientifico tecnologico Kilometro rosso di Stezzano (BG).

quest’anno l’evento, organizzato dal gruppo di lavoro “Archidonne” dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Bergamo (Francesca Perani,

Arianna Foresti, Sandra Marchesi), era dedicato al tema della professione al femminile, con uno sguardo rivolto in particolare all’esperienza progettuale di

tre protagoniste dell’architettura e del design contemporaneo.

Cominciamo da casa Larrain a BahÍa Azul, lungo la costa centrale del Cile… Il paesaggio è arido, la terra arsa dal sole, la roccia corrosa dai sali. questo luogo venne scelto per costruire una casa che ospitasse, oltre alla committente, sei figli e tredici nipoti, o forse fu proprio quella casa a scegliere quel luogo. Avrei preferito visitarla per poterne parlare, l’architettura è soprattutto un’esperienza del corpo. Ma, come spesso succede, “quel luogo” è troppo lontano; così ho cercato di conoscerla attraverso le fotografie e gli scritti. Il progetto nella traduzione fotografica colpisce anzitutto per il suo valore iconico: l’archetipo della casa a doppia falda, estruso, triplicato, ribaltato e composto. Detto

così sembrerebbe un gioco, in realtà non lo è: il massimo del risultato connota una grande semplicità.quando rivolgo a Cecilia Puga alcune di queste considerazioni mi spiega: «Non sono tanto interessata al discorso linguistico intorno all’icona, anche se è molto iconico questo progetto specificamente. quello che mi interessa sono le possibilità che il modello tradizionale della casa permette come spazialità, permette come interiore. All’epoca del progetto si costruivano soprattutto case con tetti piani e massima trasparenza. Scegliere l’icona della casa tradizionale con i tetti a doppia falda mi ha permesso di sprigionare un’interiorità che le altre architetture non hanno. E io sono molto interessata a costruire questa interiorità, anche indipendente dal contesto in cui si localizza. C’era inoltre un’esigenza di tipo strutturale, infatti quella soluzione mi consentiva di convertire il tetto in una trave longitudinale».

Il “fatto costruttivo” sembra essere il cuore della sua idea di architettura: «… la realtà

cecIlIa pugaCecilia Puga si è laureata in architettura presso la Universidad Catolica de Chile (PUC) nel 1990. Tra il 1987 e il 1989 segue un

corso di Storia e Restauro presso l’Università la Sapienza. Come architetto ha vinto diversi premi, tra i quali quello per il centro di

documentazione Sergio Larrain presso la facoltà di architettura del PUC (1995, 1. premio).

Il suo lavoro è stato esposto e pubblicato in Cile, USA, Europa e Asia e comprende case unifamiliari, edifici per appartamenti,

architettura d’interni e il master plan per la sede dell’azienda Cono Sur sui vigneti Concha y Toro. Insieme ad architetti cileni e di fama

internazionale prende parte al progetto Ochoacubo (2005). Tra il 2003 e il 2006 sviluppa la seconda fase del progetto per il Centro

di Documentazione, e nel 2008 viene selezionata dallo studio Herzog e de Meuron per partecipare, insieme ad altri 99 architetti,

al progetto Ordos 100, in Mongolia. Quest’anno ha lavorato sul progetto per gli spazi urbani di Valparaiso, finanziato dal fondo IDB

(Inter-American Development Bank).Ha insegnato come professore presso il PUC e l’Universidad Andrés

Bello, dove ha diretto il dipartimento di architettura tra il 2004 e il 2007. È stata anche guest professor presso la scuola di architettura

dell’Università del Texas ad Austin.Dal 1998 è membro del Comitato esecutivo della Fondazione

Famiglia Larrain Echenique, che gestisce e dirige il Museo di Arte precolombiana del Cile.

fEmmINILE PLurALEtrE PrOgEttIstE A CONfrONtO

tecnologica associata a una soluzione un po’ low-tech. Rispondere ai problemi dell’architettura contemporanea, della città contemporanea, con una ricerca nella produzione non high-tech, che non richieda molta energia, attraverso la rilettura di tecniche già sperimentate».

«Molti dei miei progetti sono in concreto armato a vista. C’è una continuità materica, plastica, cromatica. Mi interessa ridurre al massimo le operazioni per concentrare in un punto molto più significativo tutta l’energia che devo dispiegare in un progetto d’architettura. Cerco di essere sintetica in genere, scegliere due o tre minimi movimenti per non sprecare risorse in dettagli e finiture».

In una monografia appena pubblicata sul suo lavoro è lei stessa a riassumere la sua metodologia progettuale:

La prima questione riguarda il programma e il grado di definizione programmatica che assume la struttura che lo contiene.(…)Esistono alcune questioni che devono essere risolte in ogni progetto: come generare una matrice sufficientemente aperta che permetta trasformazioni dell’uso nel corso del tempo, ovvero individuare quali siano gli elementi basici, minimi e non negoziabili e quali quelli soggetti a trasformazione per adattare una determinata struttura a una realtà specifica.(…)Per questo le mie proposte cercano di essere meno narrative e più costruttive.(…)La seconda questione si riferisce alla concezione della struttura che, oltre a organizzare lo spazio e la materia, spesso costituisce l’immagine finale del progetto.L’opera grezza è sempre ambito di progetto, materia d’architettura – non solo di ingegneria – punto dove

si radica o si deposita l’influenza dell’ambiente e l’atmosfera dell’opera. L’articolazione minima, la costruzione monolitica, la forma basica e il dialogo tra stabilità e massa in sospensione, non solo costituiscono alcune delle chiavi per capire come sono trasmessi gli sforzi strutturali, ma costituiscono la proposta plastica dell’opera. quest’ultima tenta di custodire ed è in grado di costruire paesaggi interni relativamente indipendenti dal contesto e dalle viste.(…)Vincolata alla precedente, la terza e ultima questione consiste nella ricerca di una certa continuità plastica grazie a un lavoro di svuotamento e all’uso di una ridotta paletta cromatica e materica.

Le tre questioni rispondono alla volontà di concentrare le forze in punti precisi, assicurando una persistenza minima e depurata, che possa essere vestita e svestita. Si tratta di progetti scarni negli elementi

formali, concreti nella tecnica impiegata, che cercano di evitare un’adesione militante a un determinato momento storico o formale.*

A proposito dell’architettura che si fa in Cile

«Il Cile, dopo l’ottantasette, ha cominciato una crescita economica importante durata dieci anni. Una buona parte della società ha acquisito standard di vita che prima non aveva. Il paese si è trasformato in maniera radicale, e questo si nota nell’incremento delle infrastrutture così come nella diffusione della seconda casa al mare. Il benessere si è espanso.Al contempo si tratta ancora di un paese dove

“L’ArChItEtturA COmE COrPO, NON COmE IdEA dEL COrPO, uN COrPO ChE sI POssA tOCCArE”

PEtEr zumthOr

CErCO dI EssErE sINtEtICA IN gENErE, sCEgLIErE duE O trE

mINImI mOvImENtI PEr NON sPrECArE rIsOrsE IN dEttAgLI

E fINIturE

CECILIA pUGAIL “fAttO COstruttIvO”

AL CENtrO

le risorse sono limitate, così come le possibilità tecnologiche. L’industria è abbastanza basica. Certamente esiste la possibilità di fare cose più sofisticate in termini di materiali e tecnologie, ma risultano un ambito molto ridotto rispetto all’architettura che si fa in Cile. Per noi risulta molto costoso.Inoltre non ci sono regolamentazioni. Dunque c’è una realtà del contesto in cui si sviluppa il lavoro in genere degli architetti cileni, ma c’è anche la volontà di un’architettura più massiccia e meno letteraria, molto più concreta.L’architettura cilena che si vede fuori dal Cile, la mia e quella di altri colleghi, non è un’architettura popolare, diffusa. Certamente esistono esperienze legate a contesti popolari, come quelle di Lemental e di altri gruppi, ma quella che si vede, che viene pubblicata, è un’architettura per ceti sociali medio alti».

* Brano di Cecilia Puga tratto da Cecilia Puga, 2G n. 53, I, 2010, p. 13

Centro de documentación Sergio Larrain García Moreno, Providencia, 2003-2006

Casa en Bahía Azul, 2001-2002

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a cura di Laura Marioni

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teresa Sapey avrebbe voluto essere un’artista quando un gallerista di torino le disse: «Meglio essere un architetto mediocre che un’artista mediocre». Il suo intento è quello di provocare emozioni. Per farlo usa sapientemente colori, poesia, grafica, design. Arti “minori”, collaterali all’architettura, applicate soprattutto a quegli spazi anonimi o residuali che Augè chiamò “non luoghi”. Per il parcheggio dell’hotel Puerta America di Madrid saccheggia brandelli di poesia da “Liberté” di Paul Eluard, li ricompone graffitati, colorati e racchiusi dentro segnali semplici: una signora che spinge il passeggino, un disabile in sedia a rotelle, un dito teso a indicare l’uscita, ma anche un cervo mentre spicca il salto, a ricordarci che spesso siamo liberi di scegliere che strada prendere.Usa il colore per raggiungere quell’unità plastica necessaria a realizzare la sua “architettura emozionale”.

Vive e lavora a Madrid da quasi vent’anni. È e si sente italianissima.

LUCE E COLOREMi rivolgo a lei così: «ho letto che ha portato il “giallo piemontese” a Madrid. Mi ha colpito il senso di questa operazione perché solleva una questione centrale e controversa riguardo al concetto di “cultura del colore”: da una parte implica un legame profondo con i luoghi, dall’altra evoca ricerche universalistiche che la rendano esportabile. Mi chiedo se sia più un fatto di gusto, quasi un istinto, oppure se sia una operazione di ricerca. Sto pensando a Mondrian, che ha girato il mondo e speso una vita per trovare le basi dei tre colori fondamentali: il giallo, il rosso e il blu; oppure a Morandi, che è rimasto chiuso nella sua stanza per indagare dentro se stesso fino a cogliere sfumature di colori intermedi».

«Prima di tutto per me il colore è una materia in più: noi lavoriamo con il cemento, il vetro, il legno e anche con il colore. Una materia fortemente legata alla luce. Una materia che ha le sue regole: non tutto può essere colorato allo stesso modo, ogni cosa ha una propria natura, suscita un’emozione particolare, chiede un colore diverso, soprattutto quando si lavora con la luce artificiale, come spesso succede a me, che – ne sono convinta – è sinonimo di architettura contemporanea… Mi oppongo ad alcuni sbagli che stiamo facendo nella progettazione rispetto all’uso della luce, il colore vibra, è emozione, soprattutto nei “non luoghi”. A volte anche il bianco è colore. La ricerca sul colore è sempre aperta, non so ancora dove posso arrivare».

«Mi dispiace doverlo ribadire ma ancora oggi si continuano a progettare musei del Novecento, in cui si gioca con la luce naturale. L’arte contemporanea è luce essa stessa; se i musei fossero dei sotterranei o utilizzassero solo luce artificiale, la potremmo vedere molto meglio. Non siamo più legati alle stagioni, dobbiamo cambiare il nostro ciclo mentale perché è cambiata l’arte così come è cambiato il modo di vivere… è cambiato l’uomo, è cambiata la vita».

teresa sapeyTeresa Sapey si é laureata presso la Facoltà d’Architettura del Politecnico di Torino (1985). Ha un Bachelor in “Fine Arts” (BFA Parsons School of Design, Parigi). Nel 1990 fonda lo Studio Teresa Sapey a Madrid.Sapey combina la sua attività professionale con la docenza. È professore a contratto presso l’Università Camilo José Cela di Madrid ed è professore invitato nel master di “Design e architettura” dell’Università Politecnica di Madrid dal 2004.Lo Studio Teresa Sapey lavora per organizzazioni pubbliche e private collaborando con professionisti del design e dell’arte. Nel 2004 Sapey contribuisce attivamente al progetto Hotel Puerta de America insieme con Norman Foster, Jean Nouvel. Nel 2005 vince il concorso indetto dal Comune di Madrid per l’ideazione del Parking Pubblico Vazquez de Mella, e la parziale riorganizzazione della rispettiva piazza. Nel 2005 ha vinto un premio per la progettazione del migliore negozio di Madrid, Custo Barcelona. Nel 2008 ha progettato il primo Parcheggio ecologico mondiale a Valencia.Sapore Sapey, Electa Mondadori, 2004, è una raccolta monografica che sintetizza gli ultimi dieci anni di produzione architettonica dello Studio Sapey. Nel 2010 esce la seconda monografia Sapone Sapey, anch’essa edita da Electa Mondadori.

PrImA dI tuttO PEr mE IL COLOrE è uNA mAtErIA IN PIù, NOI lavOrIAmO

CON IL CEmENtO, IL vEtrO, IL LEgNO E ANChE CON IL COLOrE

è CAmBIAtA L’ArtE COm’è CAmBIAtO IL mOdO dI vIvErE… è CAmBIA tO L’uOmO, è CAmBIAtA la vItA

TEREsA sApEYIL COLOrE ChE dà LA vItA

«quando arrivai a Madrid, quasi vent'anni fa, la città non aveva colore. Per una italiana del nord come me era una cosa molto strana, perché quando hai così tanta nebbia come a torino o nella Padania che non vedi l’edificio di fronte, il colore ti dà la vita, altrimenti perdi il percorso. quando arrivai a Madrid il cielo era blu, solare, le case bianche o beigioline, di un beigiolino triste, malaticcio. Dipinsi per la prima volta una casa di giallo e il vicino mi disse – Ma come ha osato? Ma si rende conto? Gialla! Io non c'avevo pensato… Adesso il quartiere é diventato tutto giallo. Ed è stato veramente spontaneo, non mi sono chiesta il perché».

«Mondrian lo studiai molto. Effettivamente ha cercato tutta la vita la base cromatica del giallo, del rosso… Ma prima di morire con Boogie Woogie è impazzito anche lui, e i suoi colori sono diventati come dei neon di Las Vegas. quindi non so quale sia stata la sua risposta, non so quale

sia stato il suo ultimo scritto, ma è diventato anche lui più sensuale».

PROFESSIONE«Io mi sono laureata in architettura nell’ottantacinque. Erano anni neri in Italia. ho vinto una borsa di studio per una specializzazione all’estero, sono andata a Parigi e lì ho iniziato a lavorare.La nostra è una professione vocazionale: trovo che nel momento in cui non lavori non sei veramente architetto. tutti i miei colleghi che sono rimasti in Italia, mi dispiace doverlo dire, ma: parole, parole, parole. In Italia si parla di architettura, ma non si costruisce; io preferisco essere un architetto mediocre ma che opera tutti giorni, piuttosto che un grande chirurgo cattedratico che non opera mai. Non c’è niente da fare, l’esperienza conta. quando tu hai 30 progetti sul tavolo e vai diverse volte al giorno in cantiere anche le tue risposte e la tua velocità progettuale cambiano. Il nostro lavoro è la realtà, è rispondere alla realtà, devi essere lì; loro saranno geni, non lo dubito, ma quel tipo di progetto assomiglia veramente a un parto. Noi invece facciamo parti multipli: è anche una questione di velocità intellettuale, significa rispondere con i materiali, rispondere ai problemi in cantiere, sopravvivere agli errori, agli sbagli. È imperfetta la nostra professione, certamente».

Parking Chueca, Madrid, 2005

Parking Avenida de America, Madrid, 2004

© Miguel Guzman, Luci di natale a Madrid, 2010

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“Siamo tutti abituati vedere le cose come ce le hanno presentate; invece, in qualche modo, bisogna rimet-terle in gioco. Bisogna riscoprirle, guardarle in modo diverso, più “pulito”, come se non le conoscessimo poi così bene”

Sembra timida, è stata definita schiva. Io la trovo intensa, sa ascoltare. I suoi oggetti parlano per lei, sono molto belli, carichi di poesia, e muovono il desiderio di averli.quando ho visto il suo “interruttore volante” ho pensato: «io questo interruttore lo voglio», anche se in fondo resta un interruttore come tutti gli altri…qual è la sfida nel ridisegnare oggetti che non hanno margini di modificabilità dal punto di vista della funzione?Siamo circondati da oggetti. quotidianamente ab-biamo rapporti con loro. Io mi occupo di questi rap-porti. Non sono funzionalista. Il mio intento è quello di migliorare il nostro intorno attraverso oggetti che piacciano, con i quali possiamo relazionarci anche solo esteticamente. Nel guardarli, nell’osservarli, non soltanto nell’usarli.Gli oggetti quotidiani possono ancora dirci cose nuo-ve, migliorare la qualità della vita anche attivando relazioni impreviste. L’interruttore, per esempio, perché non sia un semplice interruttore come tanti altri, bisogna renderlo più interessante: deve attrarre, incoraggiare il “mettersi in relazione”, deve farci interrogare sul senso della sua funzione. Non

gLI OggEttI quOtIdIANI POssONO ANCOrA dIrCI COsE NuOvE, mIgLIOrArE la quALItà dELla

vItA ANChE AttIvANdO rElazIONI ImPrEvIstE. L’INtErruttOrE, PEr EsEmPIO, PErChé NON sIA uN

sEmPLICE INtErruttOrE COmE tANtI ALtrI, BIsOgNA rENdErLO PIù INtErEssANtE: dEvE AttrArrE,

INCOrAggIArE IL “mEttErsI IN rElazIONE

sIAmO gIà PIENI dI OggEttI, ChE è PrEssOChé INutILE fArNE dEgLI ALtrI, sE sI dEvE fArE quALCOsA ALLOrA ChE ABBIA uN sENsO fArLO

DONATApARUCCINIOggEttI ChE PArLANO

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donata paruccInINasce nel 1966 a Varedo (Milano). Studia Industrial Design all’ISIA di Firenze diplomandosi, nel 1990, con Jonathan De Pas. Dal 1994 al 1997 lavora con Andrea Branzi e parallelamente inizia la libera professione. Dal 1996 al 2004 ha preso parte alle esposizioni di Opos. Nel 2007 è stata membro del “Consiglio Italiano del Design” istituito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Nel 2010 la Triennale di Milano gli ha dedicato una personale. Vive e lavora tra Milano e Parigi. I suoi oggetti sono in produzione per Alessi, ENO, Morellato, Nodus, Pandora Design e RSVP.

quotidianamente, non chiedo quest’attenzione continua al mondo che ci sta intorno…quindi sì, faccio degli oggetti comuni, normali, che tecnicamente non hanno niente di specia-le, con cui le persone possano rapportarsi in un altro modo…

quindi un processo legato al sentire… Voglio descriverlo questo interruttore – che tra l’altro per il momento è un prototipo: un disco di tessuto morbido con dentro un bottoncino anch’esso ricoperto di stoffa…Si tratta di un interruttore monouso, il tessuto si avvolge intorno al filo e alle parti elettriche isolandole perfettamente. Semplice e molto facile da montare.Si mette direttamente sul filo – spesso mi aggeggio a mettere gli attacchi –, quindi con l’adesivo si blocca tutto e si crea il contatto. Non si può riutilizzare. È morbido.È uno dei miei oggetti in cui c’è un po’ di funzione.

Sono attratta da quegli oggetti di cui i designer non si occupano, come la puntina (oggetto di cui l’autore è anonimo), oggetti di uso quoti-diano, “numeri primi”, perfetti, che funzionano

anche industrialmente, che non ha senso ne-anche ridisegnare, che percepisco però come una piccola sfida per provare a dire ancora qualcosa, è il caso della puntina “Fly”.

questa sensibilità è un dono, oppure il risultato di un lungo e costante esercizio?No, non è un dono, è un esercizio assoluta-mente, un continuare a porsi delle domande. Cerco ogni volta di dire qualcosa che ancora non è stato detto. Non sempre ci riesco, però non ha senso per me riproporre una cosa, che altri magari hanno già fatto molto meglio di me. Mi faccio delle domande, penso a cosa io potrei dire rifacendo un altro oggetto. Siamo già pieni di oggetti, che è pressoché inutile farne degli altri, se si deve fare qualcosa allora che abbia un senso farlo.Chi fa un lavoro creativo alla fine assorbe continuamente informazioni che poi incasella chissà dove. Disegniamo quello che abbiamo visto, quello che abbiamo vissuto e anche quello che siamo: la nostra formazione, ciò che abbiamo fatto nell’infanzia, spunti presi da discipline diversissime, l’arte – da cui tutti noi attingiamo a piene mani – che poi, piano piano, tassello dopo tassello, elaboriamo.

03Monoblocco, portamatite, autoproduzione, 2003.Foto Italo Perna/Polifemo Fotografia

The Fly, puntina da disegno, prodotta da Alessi nel 2001.Foto Italo Perna/Polifemo Fotografia

Pluvio, vaso in ceramica. Realizzato da Attese Edizioni per la IV Biennale di Ceramica nell’Arte di Albisola, 2010. Foto Italo Perna/Polifemo Fotografia

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54 CULTURAMIÉRCOLES, 15 DE FEBRERO DE 2012

abc.es/cultura

ABC

.

NATIVIDAD PULIDO

MADRID

Decía Carlos Urroz que

ésta iba a ser una feria

de descubrimientos. Un

paseo (en realidad, una

carrera al sprint) por

ARCO, ayer por la tarde,

horasantesdesuapertura, fuesuficien-

te para descubrir bastantes cosas.Des-

cubrimos, por ejemplo, que Tàpies si-

gue vivo. No hay güijas en la feria. Nos

referimosaque siguevivoen susobras.

Aunque quien crea que va a ver Tàpies

portodos losrinconesseequivoca.Elvi-

ra González no ha traído ninguno (to-

dosestánexpuestosensugalería).Sole-

dad Lorenzo, solo uno, de 2001. «Final-

mentedejéenlagaleríaunodegranfor-

mato maravilloso. No sabía qué ha-

cer...», comenta.No ha querido aprove-

char laocasión,creequeTàpiesnolone-

cesita. ¿Ha aumentado la demanda de

obras tras su muerte? «Aún es pronto

paradecirlo,sumuerteesmuyreciente.

Elartistaestámuypresente.Nohanece-

sitadomorirse».

Y suhijoToni tampocoha echado la

casa por la ventana en el «stand» de su

galería: cuelgan tres Tàpies, hay un par

más en el almacén y algunos grabados.

Unode ellos, «Mans i fletxa», de verano

de 2011, es uno de sus últimos trabajos.

«Me ha sorprendido la cantidad de

mailsqueherecibidode todoelmundo,

comprobar cómo se acuerdan de él»,

dice. ¿SolíaveniraARCO?«Noeramuy

fan de pasear por la feria. Lo recuerdo

aquí solo una vez, vino a ver la obra de

un artista y semarchó enseguida». Co-

menta que su padre, cuando tenía difi-

cultades físicas, se adaptaba a sus pro-

blemas y buscaba soluciones. Cree que

elmercadoseráquienmarquesucotiza-

ción:«Aúnhaymuchomargenparaque

suba,peroquizápasen 10 ó 15 años.Ha

ocurridocontodos losbuenosartistas».

Y supadre erade losgrandes. ElTàpies

más espectacular lo tiene colgado Le-

long: «Principiel», de 1989.

Descubrimos que la obra más cara

de la feria este año es «Study from the

human body. Figure in movement»

(1982), de FrancisBacon. Cuesta 15mi-

llones de dólares y está en la galería

Marlborough. A su espalda, «Familia»,

de Botero (1,3 millones). Pero también

descubrimos otras piezas importantes

por la feria. Como un maravilloso Dalí

del 46, enLeandroNavarro, que estuvo

colgado en la exposición «Dalí, cultura

demasas»,delReinaSofía.Enesosmo-

mentoscolaboraba conWaltDisneyen

un filme que finalmente no se terminó.

«Dalí pintómedia docena de obras con

los temas de la película. Ésta es un ho-

menaje a la danza española, está llena

dereferenciassurrealistas»,explicaÍñi-

go Navarro. Su precio: 1,4 millones de

euros. También destaca en su «stand»

unapreciosacabezadearlequín,deGar-

gallo (425.000 euros).

NopudimosdescubrirelesperadoAi

Weiweide Ivorypress,porqueaúnesta-

baembalado.NielMorandidelagalería

Trorbandena, de Trieste. Sencillamen-

te,porquenohavenidoaARCO. El due-

ño de la galería,AlessandroRosada, no

entiendecómoItalianopermitequesal-

ga del país una obra de un artista que

murió en 1964: «Bellas Artes denegó el

permisodeestaobraydeunLéger,y lue-

godejanquesederrumbePompeyayel

Coliseo». Se consuela enseñándonos el

Morandiensu ipad:«Lanevada»,pinta-

do en 1913.Suprecio:480.000 euros.

DescubrimosqueaBarcelónolemo-

lesta estar en ARCO, como pensába-

mos.LagaleríaElviraGonzálezexpone

tres de sus obras. La más importante,

«Mayurqa», de 2010 (es unmapa de su

isla).Elpróximoañoporestas fechas la

ARCO'12: calidad ante la crisis...y el nuevo show de Sierra yMerinoBLa 31 edición de laferia, que hoy arranca,estámarcada porgrandes piezas ymucho optimismo

UNGRANDALÍ DE 1,5 MILLONESDE EUROS, enLeandroNavarro

LA OBRAMÁS CARADE LA FERIA.Un Bacon (centro) en la galería Marlborough por 15 millones de dólares

FOTOS:OSCAR DEL POZO

BARCELÓ DICE SÍ A ARCO...Hay tres obras en Elvira González

La ausencia de Morandi

Italia no ha dado permisoa la galería Trorbandenapara que saliera del país unMorandi de 1913 que se ibaa exponer en ARCO

O.J.D.:

E.G.M.:

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Fecha:

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Páginas:

235365

698000

28604 €

15/02/2012

CULTURA

54,55

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ABC MIÉRCOLES, 15 DE FEBRERO DE 2012

abc.es/cultura CULTURA 55

.

galería haráuna exposicióndeBarceló.

Vanaempezara trabajarconél. Juntoa

sus obras vemos un móvil de Calder,

queperteneció a la colecciónBeyeler, y

quesuperalos2millonesdeeuros.Pues-

tosadescubrirbuenarteespañol, lo en-

contramos. Espectacular, la pieza «Ca-

rroña» (2011), de JavierPérez, enCarles

Taché.Unagranlámparadecristalesro-

joshechaañicosycuervosrealesdiseca-

dos sobre ella.Elartistanos cuentaque

comenzó a trabajar con artesanos de

Murano para una exposición en Vene-

cia.Mañana inauguraotraconestaspie-

zasenelMuseodeArtesDecorativasde

Nueva York. La obra, muy barroca, re-

sulta inquietante: «Quería convertir el

brillo y la opulencia casi en un animal

descarnado». Tampoco defrauda nun-

ca Jaume Plensa. Lelong ha traído una

esculturamonumental,queseha insta-

ladoenunade las plazasde la feria.

El espectáculo continúaPero junto a grandes piezas, también

descubrimos espectáculo. En la sala

VIP lo pone la arquitecta Teresa Sapey,

que se ha aliado con Ikea.Andaba que-

jándosedequelagenteseestaba llevan-

do loscojinesquehadiseñado,de todas

formas y colores. La sala es espectacu-

lar, como un colorista y ecológico chill

out donde menos es más. Reivindica

más presencia de la arquitectura en

ARCO,un«stand»propio en la feria.

Pero, para show, no el de Truman,

sinoeldeEugenioMerino,dispuestoun

añomás (y ya van unos cuantos) a que

supiezasea lamásfotografiadayrepro-

ducida enprensa. Sorprendió en su día

conDamienHirstdisparándoseun tiro,

con un zombie Fidel Castro... Pero de

tanto sorprender ya no sorprende. El

año pasado enfrentó a las religiones, y

hastaapuntoestuvodecrearunconflic-

todiplomáticocon Israelconunapieza.

Y este año ha metido a Franco en una

máquinadeCoca-Cola.«ElshowdeMe-

rino (parte IV)». Ayer se defendía: «Yo

solo trato temasquemeinteresan,pero

no busco llamar la atención ni salir en

losmedios.Probablementenomebene-

ficia.Queríadesmostrar que enEspaña

se mantiene muy viva su figura y real-

zarlo con el eslogan de Coca-Cola:

“Always” (siempre)». Lapiezasemues-

tra en la galería ADN, donde hay más

arte político: banderas de España en

una instalacióndeBrunoPeinado.

En el «stand» de Juana deAizpuru

vemos un trozo de «Azor» prensado,

similar al que hay en Matadero, pero

más pequeño.Nos dicen en la galería

que quizá no se exhiba en la feria. Y

más shows enARCO.El «NO»de San-

tiago Sierra a la exministra Sinde (o

sea, su negativa a recibir el premio

Nacional de Artes Plásticas) se ha

convertido en una obra de arte que

cuelga en PrometeoGallery. La carta

que le envió rechazando el premio

aparece enmarcada lujosamente. Ya

ven. Descubrimientos hay, para to-

dos los gustos.

MANUEL DE LA FUENTE

MADRID

A la alturadel kilómetro 10de laAu-

tovía de Valencia el GPS se vuelve

loco. Y yo. Y el taxista. Por fin he-

mos descubierto dónde da la vuelta

al aire. Buscamos el Ensanche Sur

de Vallecas. La pericia del chófer

consigue enderezar el GPS y llega-

mos a este insólito lugar de LaMan-

cha. Parece un poblado fantasma,

una ciudad del Lejano Oeste antes

deque lleguen losmalos.Muchasca-

sas están sin construir, otras obras

están paradas, otras sin cimentar.

Ni un bar en el que echarse una tra-

go al gaznate en la gélida mañana

de febrero enMadrid.Vemos los ró-

tulos. Las calles se llaman del Arte

Figurativo, del Arte Conceptual, del

ArtePop, delArteHiperrealista.Sin

duda, un barrio construido por

amor al arte.

Eso mismo debió pensar Hans

Haacke, uno de los grandes nom-

bres del arte contemporáneo, cuan-

do ibadesdeBarajasal centrodeMa-

drid para preparar una exposición.

Y en uno de esos viajes contempló

en lontananza y por la ventanilla iz-

quierdadel taxi loque a él lepareció

unaciudad fantasmagórica.Haacke

indagóy le explicaronque laurbani-

zación que se extendía a la espalda

de la Avenida de la Gran Vía del Su-

reste era una de esas zonas en las

que la crisis financiera había pin-

chado laburbuja inmobiliaria y solo

quedaban deudas, pisos sin termi-

nar (la mitad de propiedad oficial),

ruinas, vigas herrumbrosas, edifi-

cios esqueléticos. Aquello colmó el

vaso de la imaginación deHaacke y

decidió que esta historia no podía

faltar en lamuestraque elCentrode

Arte Reina Sofía estaba montando

sobre él y que se inauguró ayer.

Comoun sabuesopolicial operio-

dístico,HansHaacke volvió cámara

enmano y dejó constancia de aquel

lugar ignoto.El frutodeesta investi-

gación es el eje de esta exposición

que lleva por título «Castillos en el

Aire», cuya obra más rabiosamente

significativa se ha erigido con pape-

les de escrituras e hipotecas. Foto-

grafías y vídeos de la zona redon-

dean y rematan las ideas muy críti-

cas deHaacke.

Afilada ironíaLa muestra no acaba aquí, también

están presentes muchas de las

obrasdelartista, inclusoalgunaque

fue prohibida por el Guggenheim

neoyorquino. Críticas a industrias

tabaqueras, a promotores inmobi-

liarios o el divertido apartado dedi-

cado a Peter Ludwig, mecenas del

MuseoLudwigdeColonia,alqueHa-

acke llama «El maestro chocolate-

ro»,puesgraciasa laventadechoco-

lates extendió susbeneficios aotras

áreas como el mercado del arte.

Cerca, la afilada ironía de Haacke

se desborda: una cajetilla gigante de

tabacoHelmsboro (Helms era un se-

nador republicano extremadamente

conservador) titulado«20billsofRig-

hts», cigarrillos en cuyo papel va ins-

critapartede laDeclaracióndeDere-

chos Fundamentales y una frase de

unode losprohombresde la tabaque-

ra: «Nuestro principal interés en el

arte esnuestro propio interés».

Talvez seapura coincidenciaque

la muestra de Haacke, en la que se

cuestiona elmercantilismodel arte,

sus lazos con el capitalismo extre-

mo, coincida con la inauguraciónde

ARCO. Desde luego, a Haacke no le

encontraránenARCO.«Hedado ins-

trucciones expresas a las galerías

con las que trabajo —dice el artis-

ta— para que ninguna de mis obras

sepuedamostrar enninguna feria».

HansHaacke pinchala burbuja cultural einmobiliaria en el CARS

Jorge Volpi gana el premio

Planeta-Casa América

abc.es/cultura

«Helmsboro

Country»,

obra de 1990

ISABEL PERMUY

B«Castillos en el aire»:militante muestra dearte contemporáneoen el Reina Sofía

HAY TÀPIES, PERONO TANTOS.No han sacado las galerías sus

mejores fondosdel artista. Elmás espectacular es éste enLelong (izda)

...Y SIERRA NOA SINDE Su

rechazodeunpremio, obradearte

SAPEY & IKEA La sala VIP,

diseñada por la arquitecta

O.J.D.:

E.G.M.:

Tarifa:

Fecha:

Sección:

Páginas:

235365

698000

28604 €

15/02/2012

CULTURA

54,55

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España 5,90 excepto CaNaRIas 6,05

poRtugal Cont. 6,00 alEMaNIa 16,20 aNdoRRa 5,90 BÉlgICa 12,20 gRECIa 12,20

Nº 236 REvIsta MENsualEspaña 5,90

excepto CaNaRIas 6,05 poRtugal Cont. 6,00

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N23

6

INTERIORISMO ARQUITECTURA Y DISEÑO

GLOBUS

Casas: Hofman & Dujardin, Sanahuja, García Gotós Hotel Hi-Matic de Matali Crasset Renoma Café Gallery en París

Oficinas: ID+S Design, Serrano Súñer Constructoras de Alta Costura Boa Mistura: Graffiti en la favela Dossier Cocinas Iluminación

URBAN ART INTERIORES

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interiorismo

Si algo ha caracterizado la reciente edición de arco ha Sido Su incueStionable voca-ción comercial Empezando por el diseño de su espacio VIP que, en una bri-llante carambola, ha unido dos nombres de éxito, IKEA y Teresa Sapey. Un jurado internacional, compuesto por galeristas, arquitectos y personalidades del mundo del arte, seleccionó el proyecto de la arqui-tecta entre más de 80 propuestas. “No hemos querido llenar un espacio, explica la autora, sino crearlo. No se trata de deco-rar sino de encontrar un elemento que fu-sione el mundo del arte con el de la arquitectura y el diseño”. Ese nexo común lo encontraron en el palé –económico, re-ciclable, natural, vivo, flexible y autopor-tante– con el que se construye y da imagen a un espacio capaz de adaptarse a cualquier cambio en el funcionamiento. Con la colaboración de Ikea, que ha vesti-do la sala con 3.150 metros de telas, más de 150 cojines, 35 sillones, 230 lámparas y más de un centenar de sillas, Sapey ha logrado un interior de gran calidad que emana un lujo sencillo, contemporáneo y cosmopolita. Con esta solución la arqui-tecta ha querido descubrir “el otro IKEA”, según dijo en la presentación, subrayando el potencial de la marca como producto de lujo y transmisión de cultura.IKEA. ikea.es

Teresa Sapey en ARCO

plAneTA ikeA en lA SAlA vip

A partir de la superposición de palés, Sapey –arriba, con el interiorista de IKEA, Lorenzo Meazza– ha construido un espacio flexible y vivo.

14 DiseñoInterior

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Marzo 2012

texto_R.D.

La prestigiosa arquitecta Tere-sa Sapey, con quien también

pudimos conversar en Cevisama 2012 acerca de éste y otros proyec-tos de futuro, unió sus fuerzas a Ikea para dar vida al diseño de la Sala VIP de la Feria Internacional de Arte Contemporáneo, Arco. Su origi-nal apuesta, que ha cosechado una excelente acogida en la cita, resultó la ganadora de entre más de 80 pro-puestas presentadas.

Así pues, los numerosos visitan-tes de Arco, que tuvo lugar del 15 al 19 de febrero en Madrid, pudieron disfrutar en la VIP Lounge de un es-pacio innovador, decorado con mue-bles icono de la compañía sueca.

el espacio, en cifRasMás de 1.000 metros cuadrados

de espacio, más de 3.100 metros de tejidos, 40 mesas, 1.657 palés y 230 lámparas Varmluft 46, son algunas de las cifras que se manejaron en este espacio efímero en el que la ri-gidez exterior de alguna de las gale-rías se esfuma para presentar un es-pacio informal en el que el visitante

se siente como en casa. Además, la sala VIP Lounge y el restau-

rante, separados por una estructura

de palés, s e -

c o n -vierten en un lu-gar de obligada visita.

Este proyecto, con el que Sapey ha querido resaltar el potencial de Ikea como transmisora de cultura contemporánea, propone un espacio único, cosmopolita y elegante en el que los textiles, la arquitectura y el mobiliario casan a la perfección._

La prestigiosa arquitecta y la compañía sueca se unen para dar vida al diseño de la Sala VIP de la feria madrileña, una de las propuestas que más ha gustado al público

» sapey ha sabido dotar de vida a la sala Vip lounge hasta convertirla en un espacio úni-co, cosmopolita y elegante en el que los textiles, la arquitectura y el mobiliario casan a la perfección constituyendo un todo tan armónico como atractivo.

» la compañía sueca ikea y la pretigiosa arquitecta han unido sus fuerzas para diseñar en la cita esta irresistible apuesta que resultó la ganadora de entre más de 80 propuestas presentadas.

» la arquitecta Teresa sapey seduce al público de arco con una sugerente propuesta cargada de originalidad e innovación.

TERESA SAPEY E IKEA, UNA ALIANZA DE ÉXITO EN ARCO

inTeRioRismo y aRquiTecTuRa

tureforma.org | |

8

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Il quarto appuntamento per il nostro territorio

COSTRUIRE

1 aCASAA N N I2000 - 2012

2Living architecture: Architettura della felicità

Paesaggista: Giardini verticali

Dall’Ordine: Architettura nelle classi

Electric: Parigi in verde

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aCASA 61

CONCORSO

Si è da poco conclusa la 31^ edizione della Fiera internazionale d’arte contemporanea ARCO-

Madrid, dove la protagonista innovatrice è stata l’Arch. Italiana Teresa Sapey che ha vinto il

concorso per la progettazione dell’area VIP Lounge tra 82 partecipanti con una partnership

d’eccezione: IKEA.

Trapiantata da 25 anni a Madrid, etichettata da Foster la “Madame Parking” per la sua specia-

lizzazione nel trasformare i non luoghi in meraviglie cromatiche di valore sociale, l’Architetto, in

un momento di crisi generale, tra spread e disoccupazione, accetta la sfida del concorso indetto

da ARCO e lo fa, come sempre, in modo magistrale, provocatorio ed istruttivo, abbinando il de-

sign e lo stile ad elementi low cost, trasformati per l’occasione ed eletti ad arredi o complementi

ricercati.

Abbiamo avuto il privilegio di incontrarla a Bergamo in occasione di un meeting di lavoro per

un concorso per la realizzazione di parcheggio a Verona da realizzarsi in collaborazione con

l’Arch. Gonella e l’impresa Nuovo Modulo S.p.A., e di chiederle direttamente da dove è nata

l’idea di questa partnership d’eccezione, come si è sviluppata concretamente e quali ne sono

stati i riscontri.

Il concorso indetto dall’ARCO prevedeva la progettazione di un’area suddivisa funzionalmente

in zona ristorante, bar, conversazione e 4 spazi per gli sponsor, racchiusi in una superficie di

1200 mq e con rigide specifiche sul numero di fruitori per i diversi settori.

Eco chic,ECO CHEAP

31° EDIZIONE DELLA FIERA INTERNAZIONALE D’ARTE CONTEMPORANEA ARCO MADRID:VI PRESENTIAMO IL LIVE MOTIVE DEL PROGETTO DELL’ARCHITETTO TERESA SAPEY ,VINCITRICE DEL CONCORSO.

Page 151: Dossier

62 aCASA

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aCASA 63

Eco chic,ECO CHEAP

Ci spiega l’Arch. Sapey che l’idea principale, il live motive del progetto, è nato

dall’unione tra Arte e Architettura, tra l’estetica e il costruire,.. “essendo una fiera

d’arte e cercando un simbolo che ben rappresentasse il concetto, come la for-

chetta per il ristorante, o il mattone per il costruttore, ho pensato che il pallet di

legno, utilizzato da sempre per il trasporto delle opere d’arte, fosse perfetto”.

A questo si è aggiunta la necessità di individuare un fornitore unico di arredi,

tessili, stoviglie ed illuminazione….

Da qui l’idea geniale, seppur per certi versi stravagante, di “osare” e rivolgersi

ad IKEA da sempre punto di riferimento per gli acquisti di casa della clientela

medio-bassa.Questa apparente incoerenza tra la scelta dei materiali e i desti-

natari dell’opera, è stata in realtà il punto di forza dell’intero progetto, che, oltre

a giocare ironicamente sul contrasto tra compratore abbiente e materiale po-

vero, dimostra a tutti gli effetti come siano le idee a fare la differenza, in questo

caso la creatività e il buon gusto, che hanno trasformato l’ambiente in una pic-

cola opera d’arte.

Page 153: Dossier

64 aCASA

Ed è così che i pallet da trasporto vengono riciclati trasformandosi in panche a diversi livelli, pareti divisorie, lanterne

e persino tavoli, personalizzati dall’uso del colore (come nel caso del bancone a ferro di cavallo rosso lacca) o at-

traverso l’utilizzo del tessile che ne ricopre la superficie finendo leziosamente annodato in fiocchi sulle gambe.

Il tutto legato da una gamma di tonalità spaziante dal rosso, al bordeaux, al melanzana, al rosa, sapientemente

scelte all’interno della collezione tessile IKEA e reinventate nell’utilizzo dove necessario: come per le pareti della

zona bar rivestite in pannelli di stoffa diversi per dimensione e tinta così da creare un piacevole effetto Mondrian; o

per le sedute, dove si è scelto di utilizzare, come rivestimento degli imbottiti per i pallet dell’isola centrale, il tessuto

dalle tonalità più tenui dei copripiumini, mentre per le zone comuni si è prediletto la neutralità del bianco e nero.

Eco chic,ECO CHEAP

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aCASA 65

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66 aCASA

Persino le lampade sono state reinventate e rivalutate soprattutto

grazie al modo nel quale sono state utilizzate: così una lampada

a sospensione da 7 euro bianca, simile ad un filtro per l’aspirapol-

vere, è stata montata a “sciame”, andando a costituire un’enorme

nuvola di luce fluttuante in piacevole contrasto con i colori forti del

tessile di sfondo; e ancora lampade da appoggio sono state inse-

rite direttamente tra i pallet di seduta, mentre alcuni punti di luce

filtrano tra i legni delle sedute stesse creando un suggestivo effetto

lanterna.

Fantasia, buon gusto, ironicità alla base di un intervento che ha

sicuramente rappresentato per IKEA la chance per presentare i

propri prodotti ad una fascia di clientela alta. “Eco chic, Eco cheap”

ama definirlo l’Arch. Teresa Sapey che ancora una volta ci incanta

con il suo design innovativo, elegantemente borghese, ma con

quel tocco provocatorio da enfant terribile che contraddistingue la

sua persona e tutte le sue opere. (a cura di Elena Mazzoleni)

Eco chic,ECO CHEAP

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aCASA 67

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oggetti low-resdi Stefano Caggiano

Il linguaggio degli oggetti è sempre stato determinato dalla resistenza dei materiali alle tecniche di lavorazione. Ma alla materialità ordinaria degli atomi si aggiunge oggi la materialità digitale dei bit, che integrandosi alla prima ne ridefinisce il segno in senso geometrico-digitale. Nascono così progetti la cui valorizzazione estetica si gioca sull’attraversamento, in direzione inversa, del ponte tra reale e digitale: anziché spingere la resa dei rendering verso l’imitazione del reale, il concept ‘regressivo’ di questi oggetti ne abbassa la risoluzione formale, portandoli a uno stadio di ‘bassa definizione’ progettualmente voluta e semanticamente connotata.

È il caso di United Nude Lo Res, che sotto la direzione artistica di Rem Koolhaas procede al progressivo abbassamento di risoluzione di forme curvilinee come quelle della Panton chair di Verner Panton per Vitra, o come quelle di scarpe da donna, calici, automobili. Questi pezzi, concepiti al calcolatore come insiemi di punti nello spazio, definiscono una serie di triangoli la cui ampiezza è inversamente proporzionale al grado di risoluzione dell’oggetto.

Nella stessa direzione si muovono il designer cinese Zhang Zhoujie e il suo Digital Lab, che utilizzano la progettazione parametrica abbinata al Wu Wei (il principio filosofico del taoismo che prescrive di lasciare che le cose si facciano da sé) per lasciare che a ‘farsi da sé’ siano oggetti come lo sgabello ET9B1 e la seduta SQN1-F2A, generati dal puro sviluppo dei calcoli del computer.

A queste esperienze per certi versi ‘estreme’ se ne affiancano altre che, pur legate ancora alla mano del designer, parlano tuttavia lo stesso linguaggio delle geometrie digitalizzate, come la poltrona Crystal di Maria e Igor Solovyov, il vaso in terracotta Herb di Nick Fraser e lo sgabello Bar{k} di Brandon Kershner, che sottoponendo a lavorazione digitale il sughero ha ottenuto un oggetto biodegradabile al 100%.

La versione deLLa Panton chair di verner Panton reaLizzata da United nUde Lo Res, un Progetto diretto da rem KooLhaas e coordinato da iddo zimmerman che, a Partire da oggetti daLLa foggia curva (sedute, caLici, automobiLi, scarPe da donna), ne ‘abbassa’ La risoLuzione ottenendo estetiche daLL’asPetto digitaLe.

La seduta sQn1-f2a, uno dei tanti oggetti reaLizzati daLLo Zhang ZhoUjie digitaL Lab, che utiLizza La Progettazione Parametrica abbinata aL Wu Wei (PrinciPio fiLosofico deL taoismo secondo cui Le cose devono seguire La Loro naturaLe evoLuzione) Per Lasciare che i caLcoLi deL comPuter ‘facciano da sé’ L’oggetto.

daLL’aLto in senso orario: Le LamPade muLti-faccia miyaKe 60 e 110 di arihiro miyaKe Per Moooi, nate daLL’idea di diversificare L’immagine degLi oggetti secondo iL Punto di vista. sono reaLizzate in aLLuminio e metaLLo Pressofuso (iL modeLLo 110 ha La base in cemento).

Lo sgabeLLo bar{K} di brandon Kershner, reaLizzato in coLLaborazione iL gruPPo aMoRiM, è un oggetto biodegradabiLe aL 100% ottenuto daLLa Lavorazione digitaLe deL sughero.

faz, La coLLezione moduLare di mobiLi e vasi Per L’outdoor disegnata da ramón esteve Per VondoM, è comPosta da sun-Lounge con tavoLo ausiLiario, PoLtrona, divano comPonibiLe e tavoLino.

(foto: Jonathan segade)

Volumi sfaccettati e forme Volutamente non finite: Si afferma una nuoVa dimensione estetica dell’abitare che porta la bassa risoluzione, preSente Solo nel digitale, all’interno del mondo reale

90 / indesign inview ottobre 2012 interni indesign inview / 91interni ottobre 2012

Page 158: Dossier

Altri progetti presentano sfaccettature a grana più delicata, ad esempio la ciotola Mategon pensata da Felix Groll e Felix Hardmood Beck come redesign digitale della tradizionale zucca in cui viene bevuto il mate (un infuso sudamericano di foglie secche), o la raffinata serie di lampade e vasi Faceture realizzata da Phil Cuttance tramite una macchina manuale che sembra uscita da una fiaba di Collodi.

Anche un brand dalla forte caratterizzazione linguistica come Moooi, con le lampade multi-faccia Miyake 60 e 110 disegnate da Arihiro Miyake, propone oggetti riconducibili all’estetica ‘low res’, se pure in forme mitigate dettate più dalla geodetica dei volumi che dall’esplicita manifestazione dello spirito digitale. Il quale, tuttavia, si avverte comunque anche qui, così come si avverte nelle forme nette ma serene dei complementi per l’outdoor Faz disegnati da Ramón Esteve e nel vaso Adán di Teresa Sapey, entrambi prodotti da Vondom.

Ormai è sotto gli occhi di tutti come le massicce infiltrazioni di digitale stiano fluidificando il reale rendendo le cose più malleabili di quanto non siano mai state. Al punto da porre seriamente in crisi la tenuta di quel rapporto tra forma e materia le cui articolazioni hanno definito le forme storiche della cultura umana. Se ne è ben resa conto, e non da oggi, una figura visionaria come Zaha Hadid, che con Z Boat (commissionato dal mercante d’arte americano Kenny Schachter Rove) applica l’estetica ‘low res’ a un progetto non poco impegnativo come un motoscafo di 8 metri, pronto per il 2013.

Con ogni probabilità la fase di sviluppo tecnologico che stiamo vivendo verrà ricordata come l’inizio di un’era in cui la modellazione ‘di forza’ della materia verrà sostituita dalla gestione programmata del loro DNA digitale. Ma già oggi è difficile, nella vibrante mescolanza di reale e digitale – una pasta tiepido-fluida concettualmente definita dai programmi di modellazione tridimensionale e materialmente realizzata dalle stampanti 3D – capire quali siano, e se ci siano ancora, i vincoli materiali che siamo abituati ad assumere come grammatica fondamentale del progetto. Il design si trova ad agire di questi tempi senza ‘fondamentali’, privo di qualsiasi zavorra che lo trattenga da una ricerca i cui esiti non si possono prevedere, ma che toccherà senza dubbio il cuore stesso della cultura materiale sulla terra e il senso profondo del suo manifestarsi.

soPra: iL motoscafo z boat Progettato da zaha hadid Per Kenny schachteR RoVe. Lungo otto metri, reaLizzato in fibra di carbonio, sarà Pronto neL 2013 e offerto in edizione Limitata di 12 Pezzi aL Prezzo di circa € 375.000. (foto credits: zaha hadid and PatricK shumacher)

soPra: iL concePt e una foto di mategon, redesign ad oPera di FeLix gRoLL e FeLix haRdMood becK deLLa tradizionaLe ciotoLa Per iL mate (infuso sudamericano di fogLie secche).

a destra: iL vaso faceture di PhiL cUttance, Parte di una Più amPia serie di Pezzi unici reaLizzati con una sPeciaLe macchina manuaLe. ciascun oggetto viene Prodotto mediante coLaggio di una resina in uno stamPo di fogLi di carta, maniPoLato manuaLmente Per ottenere forme semPre diverse.

in aLto: La coLLezione di vasi Per L’outdoor adán, disegnata da teresa saPey Per VondoM, si comPone di eLementi tagLiati come diamanti, Le cui fattezze severe ma ‘digitaLizzate’ ricordano Le teste deLL’isoLa di PasQua.

soPra: La PoLtrona crystaL dei designer bieLorussi MaRia e igoR soLoVyoV. comPosta da due Parti saLdate in materiaLe PoLimerico, è disPonibiLe in diversi coLori, sia oPachi che trasParenti.

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