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Persti terunt in Amore Frate rnitatis Istituto Missioni Consolata Luigi Filocamo, Ritratto di Paolo VI Anno 92 - n.7/8 - 2012 Persti terunt in Amore Frate rnitatis

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Luigi Filocamo, Ritratto di Paolo VI

Anno 92 - n.7/8 - 2012

Perstiterunt in Amore Fraternitatis

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EditorialE

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VIVERE SERENAMENTE SI PUÒ

P. Giuseppe Ronco, IMC

La sindrome di Penelope si è estesa nel mondo contemporaneo come una vite feconda.

I trattati ascetici di un tempo la chiamavano acedia, la tradizione occidentale tristezza di vita, J.P. Sartre la definiva nausea, mentre i sociologi rinomati del momento (Z. Baumann e U. Galimberti) la colorano di sinonimi che fanno paura: sconforto, svogliatezza, pigrizia, solitudine esistenziale, scoraggiamento, noia, mal di vivere, mancanza di perseveranza.

finché non si avrà il coraggio di rovesciare la situazione e di prospettarsi un futuro di speranza.

“Col tempo tutto se ne va. Non ricordi più il viso Non ricordi la voce. Ogni cosa appassisce. Io mi scopro a frugare In vetrine di morte Quando il sabato sera La tenerezza rimane senza compagnia. Ti senti gelato, Solitario, E ti senti tradito dagli anni perduti. Allora tu Col tempo sai Non ami più”.

Così cantava Leo Ferré nella sua canzone Avec le temps, modulando note commoventi e tristi, che penetravano nel cuore come spade affilate.

Eppure vivere serenamente si può.

Anzi, per un cristiano, la debolezza, l’astenia, la sofferenza della vita, se vissuta come cammino pasquale, può diventare addirittura un luogo in cui si fa sentire la forza di Dio. Mirabilmente, in 2 Corinzi 12, Paolo proclama che “la potenza del Signore si esprime pienamente nella debolezza e la potenza di Cristo mette la sua tenda, la sua Shekinah, là dove si trova la debolezza dell’uomo. Quando ci troviamo davanti a un corpo ferito

E’ la vita che non trova più senso e suscita disgusto per le cose spirituali, è il desiderio di fuggire da se stessi senza sapere dove andare. E’ uno stato di depressione che si abbarbica al cuore di molte persone rendendole infelici. Si vive come Penelope, la sposa di Ulisse, che si crogiolava nell’infelicità e nella nostalgia, aspettando qualcosa che non veniva mai e occupando il tempo a disfare la tela della vita, precedentemente tessuta con fatica.

E’ l’ansia dell’attesa, angosciosa e struggente, che accada qualcosa, che venga qualcuno a colmare il vuoto, apertosi nel petto come una voragine. Ma nessuno verrà, e nulla cambierà

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e dilaniato dalla malattia e dal dolore, quando stringiamo le mani di un povero che le ha tese verso di noi, mettendo le nostre mani nelle sue comprendiamo il dramma della debolezza e siamo capaci di discernere dove Cristo ha messo la sua tenda” (E. Bianchi).

Non bisogna avere paura!

San Bernardo di Chiaravalle, appena eletto abate, conobbe un triste periodo di depressione e di acedia che gli rendeva buia la vita e tedioso il salmodiare. Confessa di non aver conservata intatta la veste del suo battesimo, di aver sperimentato la violenza brutale delle tentazioni e di aver commesso peccati senza numero. Ma ebbe il coraggio di guardarsi in faccia, di farsi aiutare dall’amico Guillaume de Saint-Thierry, e arrivò a dire: “Optanda infirmitas, o desiderabile debolezza!” (Discorso sul Cantico dei Cantici 25,7). In quel tratto di vita difficile aveva meglio compreso la misericordia di Dio e la bellezza della relazione con gli altri.

Bisogna recuperare la serenità, sempre!

Essa è la condizione emotiva che crea tranquillità e pace non solo apparente, ma profonda e permanente, capace di resistere a cambi di umore stagionali o a perturbazioni improvvise.

Thich Nhat Hanh, monaco zen vietnamita e figura di spicco nel buddhismo, ci ricorda: “Siamo bravissimi a prepararci alla vita ma non altrettanto a viverla. Siamo capaci di sacrificare dieci anni per il conseguimento di un diploma e siamo disposti a lavorare sodo per un impiego, un’automobile, una casa e via dicendo. Però ci riesce difficile ricordare che siamo vivi nel momento presente, l’unico che ci è dato per essere vivi. Ogni respiro, ogni passo può essere riempito di pace, gioia e serenità. Basta semplicemente essere svegli, essere vivi nel momento presente.”

Per riuscirvi possono essere certamente di aiuto le scienze umane, che però, per quanto utili e raccomandate, da sole non bastano. La vera “ricetta” ce la offrono i santi, indicandoci Dio come vera sorgente della pace del cuore.

S. Francesco di Sales ripeteva sovente che la nostra gioia è radicata in Dio e che la causa prima e fondamentale della nostra gioia è che Dio ci ama.

“Vivere Gesù” per lui non era semplicemente un imparare a conoscerlo, o pregarlo, o imitarlo, ma un consegnare «il centro vitale del proprio essere, il proprio cuore, a una presenza vivente».

Non aveva che 17 anni quando a Parigi, anch’egli in piena crisi depressiva, fece la scoperta del Cantico dei cantici, che diventerà il suo libro da comodino. Comprese che la vita spirituale si concepisce solo come una storia di amore, la più bella delle storie d’ amore: «Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me» (Ct 6,2).

«Fare tutto per amore e niente per forza», “sapendo fiorire là dove Dio ci ha piantati”.

Recuperò allora l’ottimismo e il sorriso, considerandoli mezzi per far giungere ai contemporanei l’eco della gioia del vangelo.

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Trova il tempo di lavorare, è il prezzo del successo. Trova il tempo di riflettere, è la fonte della forza. Trova il tempo di giocare, è il segreto della giovinezza. Trova il tempo di leggere è la base del sapere. Trova il tempo d’essere gentile, è la strada della felicità. Trova il tempo di sognare è il sentiero che porta alle stelle. Trova il tempo per amare, è la vera gioia di vivere. Trova il tempo d’essere contento, è la musica dell’anima.

(da un testo irlandese)

Stigmatizzava «i volti tristi, le facce piangenti e le persone che sospirano», considerando la tristezza come uno stato estremamente pericoloso.

Vivendo gioiosamente, coloro che avviciniamo avranno la grazia di «sentire un po’ di profumo del Vangelo».

Buone vacanze!

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L’Allamano nell’iconografia

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DUE DIPINTI DELLE FRANCESCANE MISSIONARIE

P. Francesco Pavese, IMC

Un quadro che non si può dimenticare

Dallo studio delle Suore Missionarie Francescane di Roma, negli anni ‘40, è uscito un grande quadro, olio su tela (mm 1,75 x 2,45), che molti dei missionari che hanno fatto i loro studi a Varallo Sesia ricordano molto bene. Il Fondatore è al centro della scena, in piedi in una specie di veranda, dipinto in grande molto evidenziato, che indica con la mano destra un paesaggio africano, con il monte Kenya appena abbozzato in lontananza. A sinistra e un po’ scostato dietro al Fondatore, c’è il Camisassa, in secondo piano, più piccolo di statura, con due missionari, un sacerdote e un coadiutore. Davanti ci sono tre ragazzi aspiranti alla missione, uno dei quali offre un giglio all’Allamano, che lo sta guardando. In alto, in un nimbo luminoso attorniata da angeli, la Consolata è posta a protezione.

La scena è così completa. La colorazione è armoniosa. Lo stile è piuttosto manieristico, ma non disturba, perché i volti delle persone sono belli e facilmente riconoscibili. Quello dell’Allamano rispecchia alla lettera la fotografia alla scrivania di Rivoli. Quello del Camisassa è il volto classico che tutti conosciamo. Il volto del missionario sacerdote è la fotografia esatta di p. Felice Bertone, il quale mi aveva detto di avere posato come modello.

Alla descrizione merita di essere aggiunto un particolare: la tela è posta in una magnifica cornice di legno riccamente intarsiata, opera del p. Giuseppe Mina. Nei quattro angoli sono scolpiti dei tondi in legno più chiaro, con figure simboliche: la cupola di S. Pietro, il santuario della Consolata, l’Africa e l’America Latina. In alto, al centro, è scolpita in rilievo la barca con il motto dell’Istituto mentre, a vele spiegate, percorre i mari. In basso, in una specie di cartiglio, è intarsiato in latino il motto che il Fondatore ha ereditato dal profeta Isaia: “Et annuntiabunt gloriam meam gentibus”.

La storia di questo dipinto è semplice. Fatto su misura per il salone della casa di Varallo, dove figurava a meraviglia, ha dovuto essere prelevato quando quella proprietà è stata alienata nel 1977. Ora si trova un po’ costretto in una sala della casa madre a Torino.

Superando un po’ di disagio connesso con lo stile oleografico, evidente soprattutto nei tre ragazzi in primo piano, l’uno con la mani giunte, l’altro con il giglio, il contenuto del quadro conserva tutto il suo valore. Anzitutto la centralità del Fondatore, dipinto in grande: chi contempla questo quadro. subito si incontra con la persona del Padre. Poi lo spirito mariano e quello missionario sono altrettanto sottolineati ed evidenti. È pure presente il senso vocazionale, indicato dai tre ragazzi. L’elemento

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che marita di non essere trascurato è la presenza del Confondatore e dei due missionari. Il Fondatore non è lasciato solo, ma si trova a suo agio in mezzo ai “suoi”! E poi c’è la sicurezza della presenza della Consolata. Magari qualcuno potrebbe pensare che, volendo che la famiglia dell’Allamano sia al completo, da qualche parte non sfigurerebbero le missionarie.

Il quadro nell’ufficio del Superiore Generale.

Nel 1960, il p. Bartolomeo Durando ha commissionato, presso lo studio delle Suore Missionarie Francescane a Roma, un quadro dell’Allamano. Realizzato, olio su tela (cm 100 x 75), il dipinto è opera di sr. Gertrude Mariani. È un mezzobusto e si ispira alla fotografia del Fondatore alla scrivania di Rivoli, ma senza la scrivania e senza il caminetto di sfondo. La rassomiglianza del volto è perfetta. Lo sguardo del Fondatore è rivolto verso basso, come nell’originale.

P. Durando ha portato con sé il quadro negli Stati Uniti. Ritornato in Italia per ragioni di salute verso la fine del 1963, lo ha poi donato al Superiore Generale, che lo ha messo nel suo ufficio. Diffuso in immagini, cartoncini postali, quadri e manifesti murali, questo dipinto dell’Allamano è ritenuto uno dei migliori che l’Istituto possegga. Esso, comunque, merita di essere considerato non solo per la sua notevole qualità artistica, ma anche per il suo significato, perché ci ricorda un momento importante per la vita del Fondatore e per la storia dell’Istituto. Quanto cerco di illustrare qui è applicabile a tutti i quadri che si ispirano alla stessa fotografia (e sono molti). L’ho riservato per questo momento, perché l’opera di sr. Gertrude è di buona qualità ed è molto conosciuta.

Dal volto del Fondatore traspare lo spirito di serenità interiore proprio dell’Allamano. La composizione cromatica è armonica, i lineamenti sono addirittura addolciti rispetto all’originale. Appare un uomo di mezza età in pace con se stesso e con gli altri. Unico neo, se è possibile esprimersi così, è che sr. Gertrude non ha tentato di modificare gli occhi, dipingendo un Allamano con lo sguardo rivolto

verso l’interlocutore. Sarebbe stato il massimo! Nessuno, però, che ha tentato di farlo, ci è riuscito in modo soddisfacente.

Ciò che più conta in questo sguardo, tuttavia, è il suo richiamo storico. Guardandolo si pensa necessariamente a quei primi mesi del 1900, quando il Fondatore si trovava a Rivoli in convalescenza. Era appena guarito da quella bronco polmonite che lo aveva portato sulle soglie del Paradiso. Quel momento era speciale per lui: fragile di salute, ma con la precisa percezione interiore che lo attendeva ancora un futuro pieno di opere. Altrimenti, perché la Consolata lo avrebbe guarito? Di questo lui era convinto, abbia o no visto il quadretto animarsi, come tutti allora affermavano, cominciando dal Camisassa che assicurava: «Il Padre la Madonna l’ha vista»!

Riflettiamo sullo sguardo del Fondatore, che noi lo immaginiamo rivolto verso i fogli di una lettera, che non si vede, scritta al suo arcivescovo il 6 aprile 1900, ma spedita solo il 24. Forse voleva rileggerla per essere ben sicuro di avere scritto quanto era racchiuso nel suo cuore, e così non mettere ostacoli alla volontà di Dio, non ancora del tutto manifesta: «Mentre mi trovo solitario in Rivoli - scriveva - la mia mente e il mio cuore naturalmente si portano a Torino, alla Consolata, al Convitto e all’ Istituto della Santissima Annunziata. Ed a riguardo di questo Istituto, pensando al suo avvenire, maturai alcune riflessioni che sottopongo al tuo giudizio [ ]»

Il Fondatore aveva già un progetto, ma preferiva sottoporlo al giudizio del suo arcivescovo. Si noti che facendo un confronto con le idee dell’arcivescovo, egli intendeva compiere un atto di sottomissione. Il progetto, comunque, è stato presentato con chiarezza: «Se si dovesse dare altra destinazione alla casa, quale opera sarebbe da intraprendere? Dovessi assecondare un antico mio desiderio, inclinerei per la fondazione di un Istituto di missionari esteri; ed eccone le ragioni: la volontà presunta di monsignor Demichelis, il quale forse perciò mi lasciò suo erede. Invero due anni prima che morisse, incontrandolo tutto desolato per l’andamento del suo Istituto, e vistolo deciso di chiuderlo, io l’esortai a provare ancora un

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poco, che se poi veramente vedesse di spendere inutilmente le sue sostanze, gli avrei consigliato un’altra opera. Egli volle ad ogni costo sapere quale fosse quest’opera, ed io gli proposi un Istituto di missionari. Lo lasciai esortandolo a fare ancora un po’ di prova. Venuto a morte, fra le carte del medesimo, trovai pure scritta la nostra conversazione di quel giorno.

Pensai meco stesso se non sia stata questa la ragione di avermi lasciato erede; non so altrimenti spiegarmi perché mai abbia avuto fiducia in me, il quale non frequentava né lui, né il suo Istituto. Al che pare pure alluda nel testamento dove chiaramente parla di cambio d’indirizzo e ne dà piena libertà all’erede».

Ma il Fondatore non ha concluso qui la sua lettera, perché era convinto di poter conoscere la volontà di Dio solo attraverso la via dell’obbedienza:

«Ecco Eminenza quanto anche a mio scarico di coscienza e per la maggior gloria di Dio pensai di manifestarti. Rifletti alla cosa presso il Signore, e ritornando fra non molto a Torino deciderai il da farsi» (Lett., II, 457-459).

Probabilmente la pittrice non conosceva il contenuto di questa lettera, né l’importanza di quella scrivania sulla quale la lettera è stata scritta e conservata per 18 giorni. Ma noi sì! Noi, guardando questo quadro, senza troppi sforzi, possiamo ripensare a quel momento storico che ha dato origine alla nostra famiglia missionaria. Il volto del Fondatore, dignitoso e sereno, anche se non ci guarda, ci incoraggia a ripensare con riconoscenza a quel momento, decisivo anche per noi, perché da allora anche noi siamo stati coinvolti in quel progetto scritto nella lettera al card. A. Richelmy.

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INCONTRARE L’ALLAMANO IN INTERNETUNA NOVITÀ NEL SITO DEL FONDATORE

50 SANTI NELL’INSEGNAMENTO DEL FONDATORE

P. Francesco Pavese, IMC

Nel sito del Fondatore http://giuseppeallamano.consolata.org/images/stories/DocumentazioniPDF/Studi/StudiVari/059.pdf è stato aggiunto recentemente un lungo studio di 160 pagine che ha come titolo: “Cogliendo fior da fiore” e come sottotitolo “50 santi nell’insegnamento di Giuseppe Allamano”. Con questo titolo “variopinto”, di sapore Dantesco, e soprattutto con il sottotitolo, si è voluto presentare un atteggiamento molto interessante del nostro Padre, che tocca da vicino la sua spiritualità e la sua attività di educatore di sacerdoti, di missionari e missionarie, come pure di direttore spirituale e consigliere di laici.

Il Fondatore ha saputo instaurare un rapporto con tanti uomini e donne che la Chiesa ha elevato agli onori degli altari. E li ha proposto ai suoi giovani come protettori e soprattutto come

modelli. Il 1° novembre 1914, in una conferenza sulla “Festa dei Santi”, ha affermato in modo esplicito: «I santi sono i nostri modelli, datici da Nostro Signore; modelli di imitazione per tutti, perché vari nella loro vita e nell’eroismo delle virtù».

Ecco qualche numero: solo nelle conferenza ai missionari, i nomi di differenti santi, o beati e venerabili citati sono 192, mentre quelli delle sante o beate 43. Nelle conferenze alle missionarie, sono rispettivamente: 149 e 43. Queste statistiche sono tratte solo dalle conferenze o conversazioni ai missionari e missionarie. I numeri aumenterebbero sicuramente se si esaminassero le conferenze tenute nel seminario e nel convitto ecclesiastico, le omelie, la corrispondenza.

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Quando conversava con i giovani, l’Allamano aveva spesso espressioni come: “Il tal santo diceva...”, oppure, “Come affermava il tal santo...”, “I santi dicevano o facevano...”. Anche negli schemi manoscritti delle sue conferenze, appaiono molto spesso i nomi di santi o di sante indicati come esempi o come maestri. Ovviamente non tutti hanno avuto il medesimo peso nella sua vita e nel suo insegnamento. Alcuni sono stati citati moltissime volte, altri solo in qualche caso o di passaggio. Alcuni sono stati presentati specialmente come maestri per illustrare o rafforzare con la loro dottrina quanto stava affermando. Altri, invece, sono stati proposti come modelli per qualche aspetto della loro vita. Comunque si deve riconoscere che in un numero stragrande di santi l’Allamano ha trovato e indicato con simpatia elementi che riteneva di valore per sé e per quanti andava educando alla santità di vita e alla missione.

Merita sottolineare un aspetto: l’Allamano non ha sempre proposto tali e quali questi elementi desunti dall’esperienza dei santi, come farebbe un insegnante. Per la dottrina, sì, in genere riportava tra virgolette il loro pensiero. Per le loro virtù era diverso, perché non è stato un ripetitore. Prima di proporli come modelli ad altri, egli li ha compresi, approfonditi, fatti propri e vissuti, caratterizzandoli con la propria spiritualità. In questo senso è stato scelto il titolo: “Scegliendo fior da fiore”. L’Allamano non ha raccolto tutti i fiori che ha ammirato nei giardini di altri, ma ha scelto solo quelli che corrispondevano a quanto lo Spirito gli andava suggerendo.

Nello studio inserito nel sito, che è nuovo nel suo genere, non sono elencati tutti i santi che il Fondatore ha citato nelle conferenze, ma solo quelli che, sia pure a diversi livelli e con maggiore o minore abbondanza, gli hanno offerto elementi che

riteneva interessanti. In tutto sono 50! Il primo è S. Giuseppe, l’ultimo è il beato Paolo Manna. Volutamente non sono stati inseriti né Gesù e né Maria, perché essi avevano un posto privilegiato e continuo. Di qualsiasi virtù il Fondatore parlasse, Gesù era sempre il primo modello indicato e Maria subito dopo.

Questo ricorso massiccio all’agiografia presenta un Fondatore immerso nella storia millenaria della santità della Chiesa, attento e rispettoso dei vari carismi che lo Spirito ha infuso e capace di valorizzarli. Nell’introduzione allo studio che appare come ultimo tra gli “Studi vari” nella sbarra orizzontale del sito, tutte queste idee sono spiegate più diffusamente.

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“L’utopia di Francesco si è fatta... Chiara“ (Raimon Panikkar)

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LA LITURGIA IN FRANCESCO E CHIARAP. Giuseppe Ronco, IMC

Vorremmo riflettere su un aspetto fortemente sottolineato nei recenti dibattiti storiografici francescani. Si tratta dell’importanza che la liturgia ha avuto nella vita di Francesco, in particolare la celebrazione dell’eucaristia e il breviario.

Innocenzo III nel Concilio Lateranense IV del 1215 aveva iniziato la riforma della liturgia della Curia romana che si diffuse capillarmente nella Chiesa tramite i Frati minori.

Lo dimostrano chiaramente le “lettere eucaristiche” (Lrp, Lch, Lcap, 1 e 2 Lcust) che hanno per oggetto l’adesione alla campagna di rinnovamento eucaristico lanciata da papa Onorio III nel 1219 con la Bolla Sane cum olim.

Francesco riteneva che, assecondando fedelmente le indicazioni del Papa, avrebbe riparato la Chiesa.

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Il breviario

Dalla riforma della liturgia uno dei frutti più prestigiosi fu il breviario. Innocenzo III fornì uno strumento maneggevole soprattutto a coloro che erano spesso in viaggio. Tale breviario venne presto adottato anche da alcune diocesi, tra cui quella di Assisi.

L’importanza della liturgia nella fraternitas e nella vicenda di Francesco d’Assisi è testimoniata non solo dalla Regola dei Frati minori, ma soprattutto da un codice conservato tra le reliquie del protomonastero Santa Chiara presso l’omonima Basilica in Assisi. Come testimonia una scritta autografa di frate Leone, questo codice fu usato dallo stesso Francesco: «Il beato Francesco procurò questo breviario per i suoi compagni frate Angelo e frate Leone, poiché, mentre era in salute, volle sempre dire l’ufficio, come è contenuto nella Regola; e nel tempo della sua malattia invece, non potendo recitarlo, voleva ascoltarlo; e questo continuò a fare finché visse». Il codice, denominato Breviarium sancti Francisci, consiste fondamentalmente in un breviario, il salterio e l’evangeliario. Questo codice fu usato da Francesco e certamente cooperò a formare in lui una cultura teologica che gli permise di esprimere la sua spiritualità e il suo pensiero in alcuni scritti, tre dei quali sono ancora oggi in nostro possesso in formato autografo. L’importanza del Breviarium sancti Francisci fu riconosciuta e testimoniata dallo stesso frate Leone che lo diede alla badessa Benedetta del monastero Santa Chiara in Assisi perché lo conservasse come un testimone privilegiato della santità di Francesco.

Dopo la riforma, Francesco lo adattò come libro di preghiera per tutti i frati minori. Sceglieva così un breviario con salmi, parola di Dio e letture varie per nutrire la giornata, e facile da portare nei viaggi. La recita del breviario, cui era particolarmente fedele, era l’espressione della sua fede, quella stessa della Chiesa rappresentata dal Pontefice, e che si traduceva nel vissuto concreto.

La lex orandi, la lex credendi e la lex vivendi, erano in lui diventati un’unità.

Ebbe parole dure contro i frati che seguivano dottrine eterodosse e non recitavano il breviario.

“E sebbene io sia semplice e infermo, tuttavia voglio sempre avere un chierico che mi reciti l’Ufficio così come è prescritto nella Regola. E tutti gli altri frati siano tenuti a obbedire così ai loro guardiani e a dire l’Ufficio secondo la Regola. E se si trovassero dei frati che non dicessero l’Ufficio secondo la Regola, e volessero variarlo in altro modo, o non fossero cattolici, tutti i frati, ovunque siano, siano tenuti per obbedienza, ovunque trovassero qualcuno di essi, a farlo comparire davanti al custode più vicino al luogo dove l’avranno trovato. E il custode sia fermamente tenuto per obbedienza a custodirlo severamente, come un uomo in prigione giorno e notte, così che non possa essergli tolto di mano finché non lo consegni di persona nelle mani del suo ministro. E il ministro sia fermamente tenuto, per obbedienza, a mandarlo per mezzo di tali frati che lo custodiscano giorno e notte come un uomo imprigionato, finché non lo presentino davanti al signore di Ostia, che è signore, protettore e correttore di tutta la fraternità” (Testamento di S.Francesco).

L’eucaristia

Francesco d’Assisi - racconta il suo primo biografo, Tommaso da Celano - “ardeva di amore in tutte le fibre del suo essere verso il sacramento del Corpo del Signore”. E “riteneva grave segno di disprezzo non ascoltare almeno una messa al giorno, se il tempo lo permetteva. Si comunicava spesso e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri”.

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La messa era per Francesco un mistero di grazia così sublime che nella lettera al capitolo generale e a tutti i frati scrisse queste esclamazioni di fuoco: “L’umanità trepidi, l’universo intero tremi, e il cielo esulti, quando sull’altare, nelle mani del sacerdote, è il Cristo figlio di Dio vivo”. La cosa che sconvolge il santo d’Assisi è l’amore di Gesù spinto fino a un’umiltà inconcepibile: “ O sublimità umile, che il Signore dell’universo, Dio e Figlio di Dio, così si umili da nascondersi, per la nostra salvezza, in poca apparenza di pane!”. Nella celebrazione Eucaristica, infatti, Francesco vedeva più chiaramente l’amore con cui Cristo aveva donato la sua vita, sacrificandosi sulla croce per la nostra salvezza.

L’eucaristia gli insegnava a vivere di fede.

Considerava grave mancanza di amore l’assenza alla messa quotidiana. Per questo egli non solo partecipava almeno a una messa, ma quand’era infermo, per quanto era possibile, si faceva celebrare la messa in cella, o almeno si faceva leggere la pagina del Vangelo del giorno. Per la santa comunione, Francesco insegna come riceverla: “Si comunicava spesso - dice il Celano - e con tanta devozione da rendere devoti anche gli altri”. Basti pensare che subito dopo la comunione “il più delle volte veniva rapito in estasi”.

Coltivò a tensione altissima d’amore sia l’adorazione all’eucaristia, sia la venerazione per tutto ciò che riguarda l’eucaristia, le chiese e i sacerdoti. L’amore per l’adorazione eucaristica fu cosi ardente in Francesco, che non furono poche le notti intere da lui trascorse ai piedi del tabernacolo. “Come ai santi apostoli apparve in vera carne, così ora si mostra a noi nel pane consacrato; e come essi con lo sguardo fisico vedevano solo la sua carne ma, contemplandolo con gli occhi della fede, credevano che egli era Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, vediamo e fermamente crediamo che il suo Santissimo Corpo e Sangue sono vivi e veri”.

L’amore all’eucaristia è inseparabile all’amore alla casa del Signore. Personalmente egli si preoccupava della pulizia delle chiese, dei calici e delle pissidi, delle tovaglie e

delle ostie, dei vasi di fiori e delle lampade. Esortava i ministri dell’altare a essere ferventi e fedeli nel circondare il Santissimo Sacramento d’ogni decoro e riverenza.

Più concretamente ancora, Francesco stesso andando a predicare per città e villaggi “portava una scopa per pulire le chiese”, come riferisce la Leggenda perugina, perché “molto soffriva nell’entrare in una chiesa e vederla sporca”, e ciò lo spingeva a raccomandare ai sacerdoti “di avere la massima cura nel mantenere pulite le chiese, gli altari e tutta la suppellettile che serve per la celebrazione dei divini misteri”.

Se a questo aggiungiamo che Francesco faceva preparare da Chiara i corporali da donare alle chiese povere e che egli stesso a volte preparava i vasi di fiori per l’altare, possiamo farci un’idea più completa del suo fervore eucaristico.

Agli stessi sacerdoti diceva con amore: “Badate alla vostra dignità, frati sacerdoti, e siate santi perché Egli è Santo. E come il Signore Dio onorò voi sopra tutti gli uomini, per questo mistero, così voi più di ogni altro uomo amate, riverite, onorate Lui”.

Animava instancabilmente i suoi frati perché celebrassero degnamente l’Eucaristia (Lcap 15-

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19) e fece dell’Eucaristia un tema di catechesi per i suoi fratelli. “Vi prego, più che se riguardasse me stesso, che, quando vi sembrerà conveniente e utile, supplichiate umilmente i chierici di venerare sopra ogni cosa il corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo. I calici, i corporali, gli ornamenti dell’altare e tutto ciò che serve al sacrificio, devono essere preziosi. E se in qualche luogo trovassero il santissimo corpo del Signore collocato in modo miserevole, venga da essi posto e custodito in un luogo prezioso, secondo le disposizioni della Chiesa, e sia portato con grande venerazione e amministrato agli altri con discrezione” (1Lcust 2-4).

Volle ancorare la sua nuova vita evangelica, quella dei suoi frati e quella di “tutti i fedeli” (2Lf) al mistero eucaristico, imparando la vita cristiana dall’Eucaristia, mistero pasquale di Cristo morto e risorto.

Chiara

Anche per Chiara, l’Eucaristia è la sorgente e il centro della vita di fede; è la rivelazione perenne dell’amore di Cristo che si è offerto per noi e che vive dentro di noi. Scriveva all’inizio del 1238 alla beata Agnese di Praga: “Come dunque la gloriosa Vergine delle vergini lo portò materialmente, così anche tu, seguendo le sue orme specialmente quelle di umiltà e povertà, senza alcun dubbio lo puoi sempre portare spiritualmente nel tuo corpo, contenendo colui dal quale tu e tutte le cose sono contenute”(Lett. III,24-26: FF 2893).

Nella “Leggenda di Santa Chiara Vergine”, scritta da Tommaso da Celano, si raccontano vari miracoli operati da Santa Chiara.

Ma il più famoso tra i miracoli da lei operati è quello accaduto nel 1240, un venerdì di settembre, in cui Chiara di fronte ad un assalto di soldati saraceni al soldo di Federico II di Svevia, penetrati con la forza nel chiostro del suo convento di S. Damiano, riesce a metterli in fuga mostrando loro l’Ostia Santa.

La leggenda così racconta: «Erano stanziate lì, per ordine imperiale, schiere di soldati e nugoli di arcieri saraceni, fitti come api, per devastare gli accampamenti e per espugnare le città.

E una volta, durante un assalto nemico contro Assisi, città particolare del Signore, e mentre ormai l’esercito si avvicinava alle sue porte, i feroci Saraceni irruppero nelle adiacenze di San Damiano, entro i confini del monastero, anzi fin dentro al chiostro stesso delle vergini. Si smarriscono per il terrore i cuori delle Donne, le voci si fanno tremanti per la paura e recano alla Madre (Santa Chiara) i loro pianti.

Ella, con impavido cuore, comanda che la conducano, malata com’è, alla porta e che la pongano di fronte ai nemici, preceduta dalla cassetta d’argento racchiusa nell’avorio, nella quale era custodito con somma devozione il Corpo del Santo dei santi.

E tutta prostrata in preghiera al Signore, nelle lacrime parlò al suo Cristo: “Ecco, o mio Signore, vuoi tu forse consegnare nelle mani dei pagani le inermi tue serve, che ho allevato per il tuo amore? Proteggi, ti prego, Signore, queste tue serve, che io ora, da me sola, non posso salvare”.

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Subito una voce, come di bimbo, risuonò alle sue orecchie dal Tabernacolo: “Io vi custodirò sempre!”.

“Mio Signore, aggiunse, proteggi anche, se ti piace, questa città, che per tuo amore ci sostenta”. E Cristo a lei: “Avrà da sostenere travagli, ma sarà difesa dalla mia protezione”.

Allora la vergine, sollevando il volto bagnato di lacrime, conforta le sorelle in pianto: “Vi do garanzia, figlie, che nulla soffrirete di male; soltanto abbiate fede in Cristo!”.

Né vi fu ritardo: subito l’audacia di questi, è presa da spavento; e abbandonando in tutta fretta quei muri che avevano scalato, furono sgominati dalla forza di colei che pregava.

E subito Chiara ammonisce quelle che avevano udito la voce di cui sopra ho parlato, dicendo loro severamente: “Guardatevi bene, in tutti i modi, dal manifestare a qualcuno quella voce finché io sono in vita, figlie carissime”».

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attivitÀ dElla dirEzionE gEnEralE

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I Missionari e le missionarie della Consolata presenti in Corea del Sud e in Mongolia sono riuniti in assemblea, dopo una settimana di ritiro, per delineare le linee generali di un progetto, nel quale i due Istituti vogliono dare priorità a questo immenso continente.

Il XII Capitolo Generale dei Missionari della Consolata, così come il X Capitolo delle Missionarie della Consolata, realizzati l’anno scorso, hanno espresso, tra altro, il desiderio di essere maggiormente presenti nel continente asiatico, di allargare la presenza. Come prova iniziale e concreta di questo desiderio, il

CONSOLATA IN ASIA: PROGRAMMARE INSIEME IL FUTURO

P. Álvaro Pacheco, IMC

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Consiglio Generale ha deciso di fare una delle tre sedute annuali del Consiglio Generale in Asia. Si sono aggiunte a noi la Madre Superiora e la Consigliera Generale responsabile per l’Europa e l’Asia.

Dopo il ritiro annuale guidato da padre Ugo Pozzoli, consigliere generale, responsabile per l’Europa e Asia, abbiamo dedicato il giorno del 4 giugno per l’Assemblea Asiatica. Durante la mattina abbiamo fato una revisione delle tappe principali del nostro lavoro insieme (missionari e missionarie) e abbiamo ricordato la lettera scritta dalle nostre due comunità ai partecipanti ai Capitoli Generali sulla nostra realtà asiatica. E’ seguita una presentazione del nostro Superiore Generali, padre Stefano Camerlengo, e della Madre Generale, suor Simona Brambilla, circa il cammino fatto fino a adesso da parte dei nuovi Consigli Generali. Prima di tutto, abbiamo aperto uno spazio allo scambio di opinioni, abbiamo ascoltato alcune perspettive per il futuro dei nostri due Istituti per questa nostra presenza missionaria in Asia.

Il pomeriggio è stato dedicato alla presentazione sulla realtà che viviamo qui (Corea) e in Mongolia; abbiamo dopo fatto dei lavori in gruppo, i quali è stato dopo condivisi e discussi sino alle fine dei lavori.

Siamo stati richiesti di presentare forme pratiche per portare avanti i nostri progetti, e proposte di formazione permanente e modi di aiutare i nostri Istituti a sentire questa presenza in Asia con un rinnovato entusiasmo.

Siamo coscienti della sfida che abbiamo davanti a noi, poiché sappiamo che il futuro della missione passa per un coinvolgimento più grande in questo vasto continente dove soltanto quattro percento della popolazione conosce Gesù e il suo vangelo. Sì, la missione è ancora agli inizi ed è un previlegio fare parte di questa, così che, dobbiamo prepararci ancor di più ad essere testimoni efficaci e credibili del grande amore di Dio per tutta l’umanità in genere e al popolo asiatico in particolare.

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casagEnEralizia

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02 giugno: La Direzione Generale parte per la Corea, dove effettuerà la visita alla delegazione, un incontro sull’Asia e l’incontro del consiglio generale.

11 giugno: La comunità inizia la Novena in preparazione alla festa della Consolata con la celebrazione dei solenni vespri, e una riflessione fatta a turno da un membro della comunità. Alla bacheca ogni giorno viene affisso un foglio con un pensiero del padre fondatore e altre testimonianze di missionari e missionarie che riguardano la Consolata. Il tutto è preparato da padre Pavese.

Nello stesso giorno ricordiamo padre Stefano Camerlengo per il suo compleanno.

17 giugno: La comunità celebra il compleanno di padre Antonio Rovelli ringraziando il Signore per il suo dono della vita.

18 giugno: incontro della comunità per la revisione annuale secondo quanto è stato programmato nel Progetto Comunitario di vita. Ognuno ha modo di intervenire ed evidenziare aspetti positivi, difficoltà della nostra vita quotidiana. Non mancano anche varie proposte per migliorare la nostra vita ed essere una comunità più autentica e partecipativa.

19 giugno: La comunità termina la novena della Consolata con i primi vespri della Consolata presieduti da padre Fedrigoni Paolo.

GIUGNO 2012

P. Vedastus Kwajaba, IMC

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20 giugno: celebriamo la Festa della Consolata con il personale che lavora con noi lungo tutto l’anno. La messa è presieduta da padre Antonio Rovelli.

22 giugno: La comunità celebra solennemente primi vespri ricordando i 152 anni della morte di San Giuseppe Cafasso.

23 giugno: Alcuni membri della comunità partecipano alla festa della Consolata con la comunità del Seminario Teologico di Bravetta. Padre Marconcini Giovanni presiede l’Eucarestia. Vi partecipano vari amici del seminario e dell’Istituto. E dopo la Messa è stato un bel momento di fraternità e condivisione tra tutti.

26 giugno: Accogliamo la Direzione generale di ritorno dalla Corea e pronti per altri viaggi.

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vita nEllE circoscrizioni

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DIÁCONO: DISTRIBUIDOR DE ALEGRIA!

P. Domingos Forte, IMC

Gerald Mulili Kimanthi, missionário da Consolata, recebeu no dia 27 de maio, pela imposição das mãos de dom Mauro Aparecido dos Santos, arcebispo de Cascavel, a ordem do diaconato. A festa de ordenação, em pleno dia de Pentecostes, aconteceu na Igreja Matriz da Paróquia São Paulo, em Cascavel. Concelebrada pelo superior regional dos missionários da Consolata, padre Elio Rama, junto com um significativo número de padres e irmãs da Consolata, irmão Agostinho e alguns seminaristas da Congregação, além de diocesanos. Mas a presença que tornou este dia e esta celebração especial foi a da comunidade que compareceu e quase lotou a ampla igreja.

O novo diácono nasceu no Quênia, em Machakos, no dia 4 de setembro de 1979, filho de Boniface Mulili e Anastácia Mutindi. Diz que ainda garotinho começou a frequentar a comunidade para celebrar o culto, “conforme o costume da minha cultura. Recebi os ensinamentos da catequese que me deixaram impressa uma espiritualidade profunda sobre Deus Pai e o Filho, Jesus de Nazaré”. Mas o que mais o marcou na gênese da sua vocação missionária “foi o encontro com os missionários Carmelitas da Índia, os exemplos que eles deram ao ter deixado sua pátria”, recorda, a tal ponto de “começar a valorizar Deus como valor absoluto de meu desejo”.

Dom Mauro, em sua reflexão, quis “soprar” com voz firme e forte a todos os presentes, não só ao diácono, que hoje, “a Igreja e o Mundo,

precisam de missionários marcados pelo fogo de Pentecostes”. Urge “acolher a coragem que o Espírito Santo nos traz”, para que, sem medo, possamos levar o fogo do amor de Deus a todas as “Machakos” do planeta; afirmou que “é vital abrirmo-nos à sua luz para que a nossa inteligência possa discernir com clareza os sinais dos mistérios da fé”; recordou que o Paráclito nos “impulsiona a sairmos do comodismo e que a Igreja que Jesus fundou só tem sentido nessa missão”. E só persiste nesta missão “quem for de Deus”, conclui.

“Servir e servir em qualquer lugar”, segundo o prelado, é o sinal que mais nos aproxima do caminho proposto por Jesus. E mais: “O Evangelho não causa vergonha nenhuma a ninguém”. Antes, pelo contrário, “o Evangelho de Jesus é para promover a dignidade do ser humano”. Por isso, “não tenham medo de Jesus!”, a todos desafiou o arcebispo, assegurando que “a certeza da Ressurreição dará a força que precisamos”.

Como é que a Consolata entrou na história da vida do diácono Gerald? Com um ligeiro sorriso nos lábios, diz que escolheu a Consolata “por causa do nome”. Viu na consolação a sua vida e a missão. E quem conhece Mulili (foi assim como ele se apresentou) sabe que por detrás da sua postura meio retraída (para muitos, tímida até!), está um coração grande e acolhedor. Um de seus hobbies preferidos, além de viajar e assistir filmes, está o de visitar: famílias, amigos,

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sile

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Brasile

quem for... os mesmos gostos de Maria (exceto o cinema... )!

À Maria, a Mãe de Jesus e nossa mãe, pedimos que o «sim» de Gerald possa ser um «Eis-me aqui» cotidiano, sempre disposto a sair, a partir, a caminhar, a visitar, a servir. Tal como nos recorda o Bem-aventurado José Allamano, fundador do Instituto Missões Consolata, «a vocação missionária é dom de Deus cujo valor só poderemos conhecer na eternidade».

Os jovens, no final da celebração, fizeram questão de agradecer a companhia e a amizade cultivada ao longo deste ano e, ao mesmo tempo, desejam que Gerald conserve para sempre o dom de ser amigo. E padre Elio também aproveitou o momento para dar graças a Deus por este dom tão grande à Igreja e lançou um pedido: «sê um distribuidor da alegria!»

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ORDINATIONS À MASINABobo Lukunda, CAMIV

Plusieurs mois se sont écoulés où l’archidiocèse de Kinshasa n’a plus connu un événement si grand que celui du dimanche 27 mai 2012 dans la paroisse Marie Auxiliatrice à MASINA Petro-Congo, dirigée par les missionnaires Salésiens dans le doyenné Sainte Thérèse, dont 19 candidats ont été consacrés diacres et prêtres sous l’imposition des mains par son excellence Mgr Edouard KISONGA, évêque auxiliaire de l’Archidiocèse de Kinshasa.

Parmi les 19 ordonnés du jour, nous avons enregistré la présence de 3 missionnaires de la Consolata: le frère Moïse MBABAYE ordonné Diacre, le diacre Sébastien NTOTO-NTOTO et le diacre Jacques KWANGALA ordonnés Prêtres, et de ces 3 missionnaires de la Consolata dont sera l’objet de notre évidence pour ces quelques lignes.

Il est 7h00’ pendant que les 3 candidats Consolata s’apprêtèrent pour quitter la parcelle de la Maison Régionale à Mont Ngafula et se diriger vers la paroisse Marie Auxiliatrice en compagnie d’autres Missionnaires de la Consolata y compris le Supérieur Régional.

Ce n’est que vers 9h30’ que Mgr Edouard KISONGA suivi de son homologue l’Evêque d’IDIOFA, feront leur entrée dans l’église avec une suite de prêtres provenant de plusieurs congrégations différentes venus pour cette grande célébration eucharistique, et des 19 candidats pour l’ordination.

Quelques minutes après, Son Excellence Mgr. Edouard KISONGA rejoint l’autel, lui, les huit candidats diacres et les onze candidats prêtres qui devaient être ordonnés rejoignirent chacun sa famille respective en attendant l’étape d’imposition des mains.

Après la proclamation de l’Evangile, son Excellence Mgr. Edouard KISONGA a souligné d’une manière brève l’importance et le travail du diacre et du prêtre dans l’Eglise et

dans la société humaine.

Les diacres servent les prêtres et les évêques au service de l’autel, du partage de la communion et d’autres tâches qui leurs seront données par les responsables compétents.

Les prêtres à leur tour, souligna son Excellence Mgr. Edouard, accompagnent l’homme dès son enfance par le baptême jusqu’à la fin de sa vie au cimetière, raison pour laquelle les fidèles doivent beaucoup de respect et de soutien au prêtre. Un prêtre doit aussi demeurer obéissant vis-à-vis de ses supérieurs et de ses engagements dans l’Eglise, il ne doit pas oublier qu’il est aussi au service des chrétiens.

Vient ensuite le service de l’ordination diaconale des 8 frères et sacerdotale ou presbytérale des 11 diacres cités dans les lignes précédentes.

Avant la clôture de cette grande célébration, le Père EMERY, représentant le président de l’Assemblée des Supérieurs Majeurs (ASUMA), prit la parole pour remercier tout ceux qui ont contribué à la réussite de cette journée.

La messe prit fin à 14h20.

Après cette grande célébration eucharistique, une grande fête a été organisée en la salle DON BOSCO de la paroisse Marie Auxiliatrice en l’honneur des 3 heureux consacrés Missionnaires de la Consolata: Diacre Moïse, Père Jacques KWANGALA et le Père Sébastien NTOTO-NTOTO.

Pendant la fête, Papa César, un des Amis Missionnaires de la Consolata, prit la parole pour présenter d’une manière brève chaque ordonné, en présence de leurs parents et responsables biologiques, ce qui était suivi d’un repas copieux

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et quelques pas de danses pour agrémenter cette soirée.

Ce n’est que vers 18h30 avec une impression totalement positive que la fête prit fin, et chaque invité reprit le chemin de retour vers sa demeure respective.

Que toute la gloire revienne à Dieu pour cet événement gravé dans les cœurs de plusieurs.

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RICORDANDO PADRE PAOLO TABLINO

Un’importante ricorrenza è stata commemorata il giorno 04.05.2012 ad Alba in Duomo: il terzo anniversario della morte di P. Paolo Tablino. Dopo alcuni interventi dedicati a P. Paolo, nell’occasione della pubblicazione della sua prima biografia presso le Edizioni S. Paolo, si è concelebrata l’Eucarestia, presieduta dal Vescovo di Alba mons. Giacomo Lanzetti. Hanno partecipato il Vescovo emerito di Marsabit mons. Ambrogio Ravasi, il Superiore della Regione Italia IMC P. Sandro Carminati, alcuni Missionari della Consolata e numerosi sacerdoti albesi, tra cui quattro già missionari Fidei Donum in Kenya a Marsabit.

La cronaca della giornata prende le mosse dal 4 maggio 2011, quando per la prima volta si era tenuta una commemorazione analoga. Era iniziata una sorta di passaparola tra i numerosi conoscenti e amici di P. Tablino per raccogliere scritti e testimonianze su di lui, grazie alla presenza in Alba di P. Giovanni Dutto IMC, che, proprio a quello scopo, aveva preso contatti con tutta la comunità diocesana.

I rinnovati contatti personali contribuirono a convocare, poco dopo, una riunione di tutte le persone che sentivano importante mantenere vivi i legami di amicizia e di devozione stabiliti in vita, ma ugualmente forti dopo due anni. Si contarono almeno quaranta presenze, e si concordò di ricordare ogni mese il giorno 4 (quello della sua morte) la figura di P. Tablino, come fanno i cristiani di Marsabit, che ne custodiscono la tomba. Dal giorno 4 luglio 2011, l’iniziativa prese sviluppo, grazie al parroco della Cattedrale, don Dino Negro, che accettò di legare la messa di orario delle 18 a questa iniziativa del gruppo, che si denominò “Amici di P. Tablino”. Da allora, ogni mese compare sul settimanale diocesano l’avviso della celebrazione. Dal mese di dicembre, don Dino, fa anche precedere alla messa un’ora di adorazione eucaristica, che finora è stata guidata da don Andrea Chiesa. I partecipanti sono ogni volta da 40 a 60 mediamente.

Un altro passo è avvenuto dopo l’estate 2011: si è formato un comitato di coordinamento del gruppo “Amici di P. Tablino” formato da quattro laici (Biancarosa Casavecchia Demaria, Laura Meistro Filippa, Angelo Laratore e Silvio Veglio) e due sacerdoti (don Giovanni Ciravegna e don Franco Ciravegna), mentre padre Giovanni Dutto ha mantenuto la collaborazione e la presenza.

Il comitato, coordinato da Silvio Veglio, si riunisce il giorno 20 di ogni mese nella sede dell’Azione Cattolica. Il primo risultato è stato quello di vedere crescere lo spirito di amicizia e di collaborazione, nel comune legame con la persona di P. Tablino. Il comitato ha seguito gli sviluppi della pubblicazione presso la S. Paolo della biografia, scritta da don Giovanni Ciravegna, esperto in analoghe opere su personalità della Chiesa albese. Il libro, a cui molti degli amici hanno contribuito, rilasciando testimonianze scritte, era disponibile per il terzo anniversario del passaggio al cielo di P. Tablino.

Nel mese di aprile il settimanale diocesano Gazzetta d’Alba ha pubblicato una recensione

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Cronaca di Silvio Veglio

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del libro fatta da Silvio Veglio. La stessa è apparsa più sinteticamente sul periodico “Langhe - Cultura e territorio” edito dall’Associazione culturale “Arvangia”. La recensione, nella sua forma integrale, è stata pubblicata, con un buon servizio fotografico, sul numero di maggio della rivista “Missioni Consolata”. Un articolo, sostanzialmente simile, apparirà sul mensile della Famija Albeisa, associazione culturale albese ormai storica, di cui P. Tablino era stato socio onorario. La ricorrenza del terzo anniversario, il giorno 4 maggio, è stata anche l’occasione per la presentazione della biografia appena pubblicata. L’incontro è stato onorato da autorità e amici alle ore 17 in Duomo e ha fatto seguito la Messa presieduta dal Vescovo, con numerosi concelebranti.

Alla presenza di almeno duecento persone don Gino Chiesa, direttore dell’Ufficio Missionario diocesano, ha introdotto mons. Ambrogio Ravasi, già vescovo di Marsabit, che ha tratteggiato la figura umana, sacerdotale, missionaria di P. Paolo Tablino, dal 1960 collaboratore di mons. Carlo Cavallera allora vescovo di Nyeri. Nel 1963, raggiunse il deserto di Marsabit e, quando, nel 1964, Marsabit venne creata diocesi, i sacerdoti albesi costituirono con i padri della Consolata il primo nucleo del personale missionario. Nel 1981, al vescovo Cavallera successe Mons. Ambrogio Ravasi: la sua testimonianza perciò è stata autorevole e importante in quanto vissuta in prima persona e per lunghi anni. È intervenuto poi Silvio Veglio, già volontario laico con la moglie presso la diocesi di Marsabit: partendo dallo spunto di riflessione offerto dalla biografia di recente edizione, ha evidenziato i molti tratti della personalità di un sacerdote che, in età matura, scelse di legarsi a un Istituto religioso quale l’IMC per meglio completare la missione della sua vita. Ha auspicato che in un futuro prossimo uno studio biografico esauriente e scientifico illumini esaurientemente la grande personalità. Don Vincenzo Molino, intervenuto successivamente, ha parlato di molti momenti vissuti insieme durante la sua venticinquennale esperienza di missione nella diocesi di Marsabit. Dalla figura del missionario P. Tablino non si possono scindere i tratti dell’uomo, del sacerdote, dell’amico. Don Gino Chiesa ha collegato i vari interventi e ha portato anche le testimonianze giunte da altri missionari albesi dal Brasile e dal

Kenya.

Nel corso della successiva concelebrazione, il vescovo di Alba mons. Lanzetti ha dedicato l’omelia a P. Tablino, evidenziandone la statura di sacerdote, formato alla scuola del Seminario albese. Il superiore regionale dell’IMC ha chiuso la serata ringraziando tutti, specialmente il Signore, per aver dato all’Istituto della Consolata P. Tablino che è diventato un modello di sacerdote e di missionario sia per l’Africa, sia per l’Europa.

Della commemorazione la Gazzetta d’Alba ha riferito ampiamente, il numero del 2 2.05 a firma di Lidia Galvagno.

Italia

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Os missionários da Consolata que trabalham neste canto do Extremo Oriente celebraram este ano a festa da Mãe Consolata com um sabor muito especial: à presença de todo o conselho geral do Instituto juntou-se a ordenação diaconal de mais um jovem desta nação.

Chama-se Kim myeong-ho José, tem 39 anos e prepara-se para fazer parte da lista de missionários coreanos espalhados pelo mundo, número que ronda os 800. Após quatro anos de estudos filosóficos e de iniciação à teologia, foi para a Itália, onde fez o noviciado e terminou os estudos teológicos. Partiu depois para a Mongólia, onde deveria fazer dois anos de experiência missionária, só que um problema de saúde forçou-o a regressar à Coreia.

Gosta imenso de estudar línguas e é um

apaixonado pela missão, tanto que insistiu com os superiores (presentes na Coreia por um mês) que o deixassem partir para a América Latina, agora que o problema de saúde que lhe afectava a visão está tratado. Foi com muita alegria que ouviu o superior geral, padre Stefano Camerlengo, anunciar o seu futuro campo de missão: Colômbia. Este anúncio foi feito no fim da celebração eucarística em honra da nossa Mãe Consolata. Ao contrário dos anos anteriores, a celebração teve lugar numa paróquia vizinha e não na nossa casa central, para poder acomodar as mais de 300 pessoas que se juntaram a nós.

Enquanto espera pela ordenação sacerdotal, que terá lugar em Janeiro do próximo ano na diocese de Uijongbu (onde está situada a nossa comunidade dedicada aos imigrantes ilegais e norte-coreanos), estuda com garra o espanhol,

MAIS UM DIÁCONO COREANO PARA A MISSÃO

P. Álvaro Pacheco, IMC

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que depois pratica na pastoral dos emigrantes latino americanos. Agradecemos a Deus por este dom de mais um jovem que se consagra à missão por toda a vida, num país onde a Igreja Católica deve crescer ainda mais no sentido de se tornar mais missionária, partilhando com o mundo o dom da fé que recebeu de missionários há mais de 200 anos.

Foi bonito ver que a Consolata nos quer muito também aqui no Oriente, através de tantos

amigos e benfeitores. E será com a ordenação do Kim José que, se Deus quiser, iremos iniciar a celebração dos 25 anos de presença da nossa família missionária na Coreia do Sul: os primeiros quarto missionários chegaram aqui em Janeiro de 1988. O sonho asiático do Allamano continua vivo e activo, até porque estamos preparando uma futura abertura noutro país asiático.

Corea

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El decoro y la etiquetaCobra gran valor, en estrecha relación con el respeto a los demás, la virtud del decoro (Yeui, 예의), los modales, la etiqueta. El ciudadano que persevera en tales ideales podrá fortalecer su auto-disciplina hasta el punto de alcanzar la madurez y excelencia de carácter. Esto hace que se generalice un remarcado formalismo y se preste mucha importancia al comportamiento adecuado en cada circunstancia y situación social.

Cualquier persona recién llegada a Corea percibe la finura y delicadeza con que los coreanos tratan a los visitantes o huéspedes cuando los invitan a sus casas o se encuentran con ellos por diferentes circunstancias. Semejante proceder aparece frecuentemente en el modo de servir la comida, la bebida, los saludos, etc. Un detalle característico de las maneras coreanas podría ser el intercambio de regalos cuando uno es invitado a la casa del amigo. Siempre es señal de buena educación ofrecer algún regalo cuando se vaya a visitar una casa, sean flores, dulces, etc. Sin embargo, nuestra sociedad occidental se tiene la tendencia a exaltar la informalidad y las relaciones informales. Esto hace que a veces resulte difícil, como occidentales, aceptar los rígidos márgenes de la formalidad y nos parezca en cierto modo asfixiante. Pero después de vivir algún tiempo en Corea comprenderemos que buena parte de las formalidades y normas de decoro significan también una forma de expresar la delicadeza y el respeto hacia el otro. Muchas veces hacen la vida más placentera. Algunas reglas de cortesía consisten, por ejemplo, en ceder el paso, prestar atención para llenar el vaso de vino del amigo, la forma de entregar los objetos, etc.

El decoro y la etiqueta afloran de un modo muy palpable en las ceremonias y ritos, ya sean de tipo social o religioso. En efecto, los detalles de las ceremonias se cuidan con toda precisión. Cada cosa debe hacerse a su debido tiempo y en forma apropiada.

La edadMientras que nuestra sociedad permite una exaltación y búsqueda afanada de la “eterna juventud”, los coreanos estiman que el anciano siempre tiene que tener precedencia sobre el joven. La sociedad, en general, es entendida como una gran familia. Así aquellos con más edad serán considerados amigos, hermanos mayores o padres, según la edad que corresponda. Y la forma de relacionarse o de referirse a ellos muchas veces coincide con los términos usados en la familia: hermano menor, hermano mayor, padre, abuela, etc.

LOS COREANOS Y SU COSMOVISIÓN

Antonio J. Doménech del Rio

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Aunque las tensiones también empiezan ya a sentirse en la sociedad, aumentando así los conflictos generacionales. Por ejemplo, hace unos meses, una de las noticias más relevantes en los periódicos y la televisión fue un episodio ocurrido en el metro. Un joven que se encontraba sentado en el asiento del metro reservados para los ancianos se negó a dejárselo a un señor mayor, el cual se enfadó mucho con este joven. Después de pelearse verbalmente se bajaron del metro y el muchacho provocó la caída del anciano por las escaleras con la mala fortuna de causarle la muerte. Es seguro que el muchacho no albergaba la intención de ejecutar ese tipo de tragedia, pero la noticia alcanzó notoriedad nacional no tanto por el hecho en sí, como por lo que significaba de falta de respeto por los valores tradicionales de consideración hacia las personas ancianas. La competitividad en el trabajo entre nuevas generaciones mejor formadas y los que llevan más años en la empresa es, ciertamente, otro foco de tensión social. Por un lado tenemos los nuevos graduados universitarios con una formación mucho más especializada para afrontar los nuevos desafíos de la era tecnológica e informática y, por otro lado, los empleados de mayor edad, con más experiencia y autoridad en las empresas. De este modo se tiene que alcanzar el equilibrio entre el valor de la edad o de los veteranos que desarrollan su labor en la institución y el valor de la eficiencia.

FamiliaEn este contexto descrito hasta ahora, podemos decir que la familia no se puede considerar simplemente como un grupo de individuos viviendo juntos, sino que es esencialmente la única fuerza vital que pasa de generación en generación. Y no sólo engloba a los vivos, sino también a los muertos, los antepasados y las generaciones venideras. Todos forman una unidad familiar. Cada miembro asume sus propias responsabilidades, según su posición, frente al resto de los miembros de la

familia, tanto los que vivieron antes como las generaciones futuras. Por tanto, la persona en su forma de actuar debe siempre considerar no únicamente su propio interés, sino el interés de toda la familia.

Esta consideración puede sorprender a muchos occidentales, ya que es posible interpretarlo desde el exterior como una forma de opresión o supresión de la propia personalidad, subordinándose siempre al interés de la familia. Desde una visión foránea el individuo es el único responsable de su propia vida y tiene que guiar su propia vida. Pero desde una visión confuciana, se subordina el propio interés personal a favor de una comunidad con la cual realmente se identifica. En este contexto, el individuo dista mucho de sentirse oprimido, porque percibe que está superando sus propias limitaciones. Con esto no queremos decir que la sociedad coreana actual, donde los valores del individualismo y el estilo de vida occidental han hecho su aparición desde hace varias décadas, no se produzcan tensiones, especialmente en la generaciones más jóvenes. Sobre todo, ellos sienten por un lado el deber de fidelidad al

Corea

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eaamor filial y, por el otro, el deseo de sentirse independientes y responsables con sus propios medios de vida. Pero, aun así, la conciencia de pertenecer a una familia, con todo lo que conlleva de interrelaciones e interdependencia, está aún lejos de desaparecer.

La piedad filial o el amor filialComo ya hemos dicho, la familia representa el corazón de la sociedad y tradicionalmente se consideraba que hasta la sociedad se organizaba como una gran familia. También era muy corriente que en un mismo hogar vivieran hasta cuatro generaciones juntas. La familia numerosa era algo muy común, aun más en el ambiente rural. Pero aunque en la sociedad moderna las cosas estén cambiando y la estructura de la familia también, sí permanece inamovible la conciencia de pertenecer a una familia y a unos lazos de sangre muy concretos, que conllevan una serie de deberes y beneficios. Sin duda alguna, la comprensión del valor familiar en Corea nos suministra la clave para comprender el corazón de los valores tradicionales coreanos. Y el valor que más determina las relaciones en la familia es el de la “piedad filial” o amor filial. Según enseña el pensamiento confuciano,

el amor filial representa la base de todas las demás virtudes, y su práctica alcanza a todos los aspectos de la vida. El significado de esta virtud en un sentido limitado se refiere al amor por los padres y una devoción generosa a sus necesidades. Pero en un sentido más amplio constituye una forma de entender el propio ser y todos los aspectos de la vida de la persona en relación con sus progenitores. Así reza el Libro de los Ritos: “Cuando los padres están vivos, uno no debe considerar su persona como propia, ni sus posesiones como su propiedad”. Todo gira en función de los padres y la familia. El individuo como tal no debe perseguir intereses propios más allá de los intereses de la familia, representada primeramente por los padres. A través del nacimiento, la existencia de la persona es considerada como una prolongación de la existencia de sus padres.Acaso esta forma de entender la relación entre padres e hijos pueda contrastar con la forma de entenderla en occidente, donde la prioridad es buscar la independencia de los hijos con respecto a los padres, manteniendo, obviamente, los lazos afectivos, pero intentando encontrar al mismo tiempo la independencia económica y social.

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Carissimi Confratelli,

un pensiero iniziale di forte vicinanza, solidarietà e preghiera per le vittime del terremoto che ha provato e continua a provare duramente parte del nostro territorio nazionale. In queste circostanze lo sgomento e l’impotenza è grande, ma il dolore e la compassione devono però nascere spontanei nel cuore di tutti. Esercitiamo il nostro carisma di “consolazione” e facciamoci “prossimo” in loro favore nella forma come ci detta il cuore.

1- Dalla Conferenza regionale: Mentre aspettiamo l’approvazione da parte della DG del testo finale della nostra III Conferenza regionale, frutto della riflessione di tutti i Partecipanti, vi anticipo qualche dato, completando quelli che certamente ogni partecipante, di ritorno dalla Conferenza, avrà condiviso con la propria comunità locale.

Provvidenziale il luogo scelto: la nostra Certosa di Pesio ci ha regalato un ambiente più che favorevole all’evento, con l’aggiunta di giornate splendide. Ne ringraziamo la Provvidenza. Allo stesso tempo un rinnovato ringraziamento alla comunità della Certosa che con tanta generosità ci ha ospitato.

Ogni Conferenza regionale ha la sua peculiarità; quella di quest’anno, continuazione dello spirito e indicazioni del XII Capitolo, ha messo in evidenza che il “cambiamento socio-religioso”, in atto ormai da molto tempo, ha urgente bisogno non solo di essere accolto, ma accompagnato da alcuni cambiamenti di mentalità da parte di tutti: identificati con la nostra scelta vocazionale, tutti, sempre e in ogni luogo, ci dobbiamo considerare, e lo siamo, degli “inviati ad gentes”.

La Conferenza, pur nello sforzo di indicare scelte operative, ha preferito tracciare linee, orientamenti sui quali costruire programmi in sintonia con il Capitolo e il nostro carisma, sia per quanto riguarda le attività pastorali come per l’animazione e la promozione vocazionale.

Il “Progetto Missionario Regionale”, suggerito dal Capitolo e recepito dalla Conferenza, dovrà essere lo strumento che orienti il prossimo cammino della regione, confrontato, allo stesso tempo, con i programmi delle altre Circoscrizioni IMC dell’Europa.

Sarà compito poi della Direzione regionale, seguendo sia gli orientamenti della Conferenza come la mutevole situazione del personale e delle forze, indicare le scelte opportune sul come riappropriarci prima di tutto di quella spiritualità solida che costituisce il nervo della nostra vocazione, per poi servire il Regno di Dio con rinnovato slancio verso l’ad gentes dell’oggi qui ed ora.

L’ambito naturale per il rinnovamento dell’Istituto, ha detto il Capitolo, è la “comunità locale”. La Conferenza, nell’indicare gli impegni in questo ambito, si appella alla disponibilità e alla buona volontà delle singole persone che

FESTA DELLA CONSOLATA, FESTA DI FAMIGLIA

P. Sandro Carminati, IMC

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iacompongono le comunità locali perché ciascuno rinnovi in sincerità e coerenza la disponibilità alla conversione del cuore attraverso l’apertura alla formazione continua.

Come di consueto, il testo finale della Conferenza, corretto nello stile e con l’aggiunta di una introduzione/ambientazione (ad opera del Superiore insieme ai padri Michelangelo Piovano e Gigi Anataloni), dopo l’approvazione della DG, sarà moltiplicato e inviata copia a tutti i Confratelli.

2- Dal Consiglio regionale: Prima e dopo la chiusura della Conferenza, la Direzione regionale si è riunita in Consiglio per prendere alcune decisioni:

a) sul personale: ha destinando il p. Silvio Lorenzini alla comunità di Olbia come superiore; è stato incaricato il p. Mura Vincenzo quale visitatore dei seminari diocesani a nome della PUM; il p. Marino Gemma si trova nella parrocchia/santuario di Santa Maria a Mare in appoggio temporaneo; è stata presa in considerazione la destinazione dei seminaristi di Bravetta per l’anno di servizio e per le specializzazioni.

b) calendario di attività e appuntamenti: si è presa visione delle prossime attività estive da parte dell’Animazione missionaria; l’organizzazione della festa

della Consolata con gli anniversari di Ordinazione sacerdotale; il calendario delle attività ed impegni 2012-2013.

c) Varie: la Direzione aveva ricevuto la richiesta di farsi carico della parrocchia di San Francesco di Assisi in Ruffano, diocesi di Ugento; la nostra risposta è negativa. Rimaniamo però disponibili per l’animazione e promozione vocazionale nella diocesi di Ugento a partire da Ruffano. Prossimi appuntamenti: Esercizi spirituali in Certosa (4-9 giugno) e a Bedizzole (3-8 settembre). Consiglio regionale, 2 e 3 luglio prossimo.

3- La nostra Festa. Gli auguri vicendevoli per la prossima festa della nostra Patrona, la CONSOLATA sono un invito a unirci al saluto dell’angelo Gabriele: “Rallegrati, amata da Dio “Rallegrati, figlia di Sion”, e alle acclamazioni del profeta Isaia; “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te (60, 1).

La preghiera alla Consolata diventi richiesta: di continuare ad essere per noi e per tutto l’Istituto luce di consolazione nel momento della prova; luce di speranza nel cammino faticoso della vita; luce di sostegno nei momenti di incertezza; luce di gioia nella ferialità e grigiore del quotidiano; luce di coraggio nelle situazioni a rischio, nella breccia del servizio missionario. Amen.

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Portogallo

Sintetizar o caminho feito para a realização da X conferência regional, não é tarefa fácil. A conferência efetivamente também não termina no exato momento em que partimos para casa depois de estar reunidos durante cinco dias.

Num ambiente sereno tentamos fazer memória do nosso passado, do momento em que P. De Marchi chegou a Portugal, relembrar o presente, com todas as nossas atividades e propostas missionárias e refletir sobre os desafios que temos como missionários da Consolata, inseridos na realidade europeia e principalmente na sociedade portuguesa.

Conscientes de que os desafios são enormes, de que somos chamados a ser verdadeiros comunicadores da experiência de Deus e da missão que nos foi confiada buscaremos viver e discernir a nossa missão.

Os quadros que se seguem apresentam as nossas comunidades em Portugal.

X CONFERÊNCIA REGIONAL

P. António Fernandes, IMC

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“LA MIA CASA SI CHIAMERÀ CASA DI PREGHIERA PER TUTTI I POPOLI”(IS 56,7)

P. Francesco Giuliani, IMC

Qualche settima fa, tutta la nazione di Gibuti è diventata, per un giorno, casa di preghiera per tutti i popoli che la abitano.

In questo deserto del cono d’Africa scarseggiava l’acqua, bene prezioso indispensabile per la vita, e la morte incominciava a far vittime nel bestiame dopo che gli ultimi erbaggi rimasti erano seccati. Occorreva una pioggia abbondante, che tutti invocavano come grazia di salvezza

Il presidente della repubblica di Gibuti, Monsieur ISMAÏL OMAR GUELLEH, ha allora indetto in tutto il paese una giornata di preghiera per chiedere la pioggia ad Allah. La preghiera è la Salat al-Istisqa, un rituale che

risale ai tempi del profeta Maometto, e che viene ancora oggi recitata nei paesi in cui si verificano lunghi periodi di siccità.

Nella storia dell’Islam si racconta che: “ Quando le tribù arabe s’accordarono tra di loro per molestare e tormentare il sommo Profeta, che le maledì, egli chiese ad Allah di colpire duramente le tribù nemiche e punirle con la carestia, come accade all’epoca del profeta Yusuf [Giuseppe]. Ebbene, Allah esaudì la preghiera del sommo Profeta, e non piovve per ben sette anni, e la stessa Medina fu colpita da carestia.

Le tribù mandarono allora uno dei loro uomini dal sommo Profeta a chiedergli aiuto. L’inviato delle tribù disse al nobile Messaggero d’Allah: “I nostri alberi, le nostre erbe si sono essiccate! Nelle mammelle e nei seni delle nostre bestie e delle nostre donne, non è rimasta nemmeno una goccia di latte! Abbiamo perso tutto il nostro bestiame!”

Il santo profeta Muhammad salì allora sul pulpito, e, dopo aver lodato Iddio, iniziò a recitare la preghiera della pioggia, e mentre ancora pregava iniziò a piovere, e piovve per una settimana. Piovve così tanto da estenuare la gente di Medina, la quale dissero al nobile

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Profeta: “O Messaggero d’Allah, abbiamo paura d’annegare, e temiamo che le nostre case vadano distrutte”. Fu così che il santo Profeta si rivolse al cielo e disse: “O Allah, fai scendere la pioggia sui dintorni di Medina, e non su di noi”, e ogni parte verso cui faceva segno si svuotava di nuvole, e così il cielo di Medina ritornò sereno, e le nuvole si riunirono intorno alla città, ove la pioggia continuò a scendere”.

Ci ha colpito il fatto che un uomo di governo, dedito a impegni nazionali e internazionali, emani un decreto sulla preghiera per la pioggia. Alì, deputato dell’attuale governo e nostro amico, mi spiega come questo decreto sia stato votato all’unanimità.

I nostri fratelli musulmani credono davvero all’intervento di Dio nella storia degli uomini, e quando si tratta dell’impegno a lodarlo, a ringraziarlo, o come in questo caso a implorarlo per la pioggia, tutti sono uniti e concordi nel farlo.

Ogni venerdì alle 11, il Presidente della Repubblica partecipa per un’ora e mezza alla preghiera comunitaria nelle varie moschee della città. Come un musulmano qualunque si inginocchia tra la folla e prega, ascoltando la lettura del Corano e l’omelia dell’Imam di turno con tanta semplicità, umiltà e fede .

Anche noi, piccola comunità cristiana ci siamo uniti a loro nella preghiera, con uguale fede e speranza.

Al richiamo del Muezzin per la preghiera, mentre la sua voce si espande per la città attraverso gli altoparlanti del minareto, noi iniziamo la celebrazione dell’Eucarestia, facendo salire al cielo, all’unisono, la lode a Dio.

Dopo la preghiera, ci attende l’impegno nel sociale. La Caritas diocesana già da tempo ha istituito un centro di distribuzione di cibo e bevande, soprattutto per i ragazzi di strada e i più bisognosi, e per le mamme povere con bimbi ammalati e moribondi.

Ma l’impegno più urgente è di riuscire a scavare pozzi nel deserto per poter alimentare di acqua le popolazioni nomadi del nord. Siamo veramente in prima fila, con i vari organismi che ci aiutano, a realizzare queste opere.

Djib

outi

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‘’Ora et labora’’ : con la preghiera e il lavoro si costruisce il futuro di sviluppo e pace delle nazioni . Forse l’esempio di Gibuti e della sua giornata di preghiera per la pioggia, potrebbe essere di esempio ad altri e fondare così un futuro di speranza per i più poveri.

“Bismillahi r-Rahmâni r-Rahim

Al hamdu li-Llahi rab-bil ‘alamin.

Ar-Rahmani r-Rahim.

Maliki yaumi d-din.

Iyyâka na’budu wa iyyâka nasta’in.

Ihdina s-sirâta al-mustaqîm.

Sirâta l-ladhina an’amta ‘alaihim,

ghairil maghdubi ‘alaihim wa laddhhallin.

Nel nome di Dio, il Misericordioso, il Compassionevole

In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso.

La lode [appartiene] ad Allah, Signore dei mondi,

il Compassionevole, il Misericordioso,

Re del Giorno del Giudizio.

Te noi adoriamo e a Te chiediamo aiuto.

Guidaci sulla retta via, la via di coloro che hai colmato di grazia, non di coloro che sono incorsi nella Tua ira, né degli sviati.” (Sura iniziale del Corano).

Djibouti

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INTERVIEW DE P. VICTOR KOTA A P. FLAVIO PANTEMISSIONNAIRE AU CONGO, PAROISSE

ST. CAMILLE DE BAYENGA (DIOCESE DE WAMBA)

“…ho cominciato a visitare i diversi accampamenti Pigmei sempre in moto. Ho potuto constatare che dal 1984, quando avevo lasciato questa realtà, sono stati fatti grandi progressi: gli accampamenti Pigmei ora sono più accessibili perché, quasi ovunque, si sono avvicinati alle strade. Inoltre cominciano, un po’, a coltivare qualcosa oltre che a cacciare ed infine, anche se con molte difficoltà, sono state fatte delle scuole e cominciano ad esserci alcuni maestri Pigmei. Ci sono anche Cristiani, ma il cammino è ancora lento e stiamo studiando un pre catecumenato e una formazione appropriata a loro. Credo che sia molto importante il contatto e la presenza tra di loro perché solo così (da dentro) si possono scoprire le tracce della verità che Dio ha già messo nei loro cuori. La scorsa settimana ho avuto la possibilità di andare in moto a visitare la mia vecchia missino di Bafwabaka dove sono stato dall’inizio del 1978 al 1984 (la mia prima missione). Da un lato era un po’ triste vedere il regresso dell’ambiente, strutture e strade ma dall’altro lato è stato molto bello rivedere la gente che ti riconosceva e ti parlava come se fosse stato ieri ricordando tante cose. Molti dicevano d’esser stati guariti da me quando c’era il colera, altri di essere stati battezzati sempre da me. Molti, allora bambini, ora grandi dicevano che li facevo salire in macchina o che erano stati miei chierichetti. Una donna ormai anziana quando mi ha visto sembrava che fosse presa da convulsioni, m’ha abbracciato e continuava a ripetere “mtoto va mama Terese”, il figlio di mamma Teresa. Pensa, si ricordava ancora il nome della mamma. Riflettevo tra me: nessuno si ricordava delle mie prediche, quello che è rimasto in loro sono i piccoli gesti di amore disseminati nel quotidiano, nei momenti di bisogno, un consiglio, una parola fatta bene. Qualcuno mi ringraziava ancora per un consiglio dato. Forse ciò che conta e testimonia l’amore del Signore, al di là di tutto sono le piccole cose fatte con Fede e intrise d’amore.

Anche le difficoltà non sono cose che mi fanno paura o mi preoccupano. Posso dirvi che sono contento di una vita così, nella semplicità, con tanti limiti, senza grandi pretese. Sento che il Signore mi è vicino nella povertà di chi mi sta intorno e mi chiede di accoglierlo ed amarlo così come posso…”

1. P.V.K. : Vers les années 80, l’expérience pastorale des pygmées avait été initiée par Père Pedro BURGOS, père blanc et la Sr. DOECITA Van der Ven (Damme de Marie), dans la paroisse de Bafwabaka (à Imbau) dont vous étiez Curé en ce temps-là. Qu’est-ce qui a vraiment changé depuis lors ?

P. Flavio P. : Evidement, on peut noter qu’il y a un changement, parce que de ce qui était une expérience d’un petit groupe, aujourd’hui, la pastorale des pygmées est devenue une des priorités de la pastorale diocésaine. Maintenant cette pastorale des pygmées est gérée et exécutée par le clergé local avec la collaboration des missionnaires de la Consolata.

2. P. V.K. : Voudriez-vous, nous parler de l’éducation scolaire des pygmées ?

P. Flavio P. : C’est un défi majeur auquel nous devons résolument faire face, mais nous

P. Flavio Pante e P. Victor Kota, IMC

Bay

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croyons qu’il faut du temps, voire plus long, car un vrai changement et une prise de conscience de l’identité « MBUTI », aura bien lieu seulement avec le temps et à travers l’éducation scolaire.

3. P. V.K. : Selon vous, est-il avantageux d’avoir une école spécifiquement pour les pygmées ? Jusqu’à quel niveau ?

P. Flavio P. : Naturellement non. Mais ce qui est envisagé est qu’on peut avoir une préparation spécifique (cela est déjà en marche : niveau 1 et 2), mais une vraie intégration tant sociale qu’ecclésiale, enfin, comporte en ce que même les pygmées intègrent l’école officielle avec tous les autres enfants. Cela va de même, au niveau chrétien. Le catéchuménat peut tenir compte de rythmes divers et particuliers de la vie des pygmées pour lesquels avoir une préparation personnalisée est encore indispensable, mais quand aux célébrations de sacrements, on le fait tous ensemble. Comme additif à ce qui est dit, jusque là, nous avons une seule famille chrétienne pygmée.

4. P V. K. : Vous êtes depuis 2009, à la paroisse de BAYENGA et vous êtes chargé de la pastorale des Pygmées. Pourriez-vous nous faire comprendre votre engagement missionnaire pastoral dans ce domaine ? Quelles sont vos priorités dans cette pastorale des pygmées ?

P. Flavio P. : Dans la Programmation pastorale pygmée pour 2011-2012, j’ai décris nos priorités dans la pastorale des pygmées. Je dirai brièvement quelque chose, concernant celles-ci.

Cette année le thème pastorale inspiré par l’évangile de Jean 17, 21, est L’Unité.

L’objectif de ce thème est de favoriser l’intégration réciproque entre les Pygmées et les différents groupes ethniques de notre paroisse. Les moyens pour atteindre cet objectif sont la collaboration des agents pastoraux dans les diverses activités (animateurs, chefs de campements, Condifa, enseignants, les catéchistes, les communautés de base, mouvements et prier ensemble, chanter ensemble et travailler ensemble…

Pour mettre en pratique l’enseignement

du thème pastoral, c’est-à-dire, l’unité, collaboration, rapprochement des uns et des autres et intégration réciproque de différents groupes ethniques dans la paroisse et dans la vie des pygmées, nous avons choisis cinq priorités. Il s’agit de l’autonomie alimentaire, la santé, l’instruction, la promotion de la femme, l’évangélisation et l’organisation de la vie sociale.

- l’autonomie alimentaire. Dans nos villages quelqu’un a une autonomie alimentaire quand il se prend lui-même en charge de son besoin alimentaire. Il mange ce qu’il a lui-même cultivé dans son champ. Ainsi avec l’aide des animateurs, on apprend aux pygmées, à faire le travail des champs pour sa subsistance. Avoir un petit jardin, un petit élevage des poules…

- la santé. Ici, il s’agit de promouvoir une santé par la prévention et hygiène. Entretien régulier des sources, bouillir l’eau à boire, la propreté de la personne et des habits, propreté de l’habitat, le WC…quand on est malade, on va au dispensaire…

- l’éducation scolaire. L’animateur est là pour montrer l’importance de l’école et que les parents pygmées comprennent comment fonctionne l’école. L’alphabétisation pour les adultes….

- L’évangélisation. Par l’évangélisation, on veut annoncer Jésus Christ aussi aux pygmées, car la présence des missionnaires au coté des pygmées ne doit pas être seulement celle de subvenir aux besoins matériels. L’annonce de Jésus Christ est le plus grand don pour toute personne, dont le pygmée. C’est lui seul qui peut changer de l’intérieur toute vie et tout

Bayenga

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comportement.

- L’organisation. Les pygmées vivent dans les campements, le lieu où la vie ne suit aucun ordre. L’organisation consiste donc à faire que le campement devienne progressivement village, référence stable la où les cohabitations et collaborations entre les habitants s’améliorent. Le travail de l’animateur est celui de promouvoir des rencontres à différents niveaux : hommes, femmes, hommes et femmes ensemble…, pour favoriser la collaboration entre les membres

5. P. V.K. : Depuis 1972, l’Institut missionnaire de la Consolata est présent au Congo. Et cette année 2012, nous célébrons 40 ans de notre présence au Congo. Avez-vous quelques réflexions ?

P. Flavio P. : Le Congo ex-Zaïre est un pays martyrisé de l’Afrique. Son immensité et ses richesses paradoxalement sont devenues aussi les causes de sa grande pauvreté. Au Congo, on se trouve devant une génération des jeunes qui n’a connu que guerre et divisions.

Les 40 ans de présence IMC au Congo a été marquée par un signe de consolation en toutes ces années, mais nous avons besoin d’un discernement continu pour répondre toujours aux nouveaux défis de cette mission. Plutôt que d’évaluer la quantité des structures réalisée, tourne à notre faveur le nombre croissant de missionnaires de la Consolata congolais et de vocations qui ont muri en ces dernières années. Par contre, enfin, remerciant le Seigneur, nous devons continuer à viser sur la qualité et l’identité.

Bay

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Llevamos ya algo más de cuatro meses en Roraima. A lo largo de este tiempo hemos conseguido reasentarnos en esta realidad, establecernos como familia, con los niños en sus colegios y nosotros en nuestro trabajo misionero. Hemos reencontrado una realidad compleja, llena de desafíos e interpelaciones para la Misión. Los pueblos indígenas de Roraima, siempre organizados, discutiendo la sustentabilidad en sus tierras y enfrentando nuevos conflictos, como el caso de la posible liberación de la extracción minera en sus territorios. Percibimos un escenario muy complicado, con un país en crecimiento y expansión en la misma medida en que los derechos sociales y ambientales se ven cada vez más limitados, cuestionados y agredidos.

Hemos encontrado también mudanzas importantes en la caminhada de la Iglesia local: de un lado, el trabajo intenso de las pastorales sociales, rostro de esta Iglesia de Roraima, fue disminuyendo su fuerza, y las comunidades de base perdieron aquella frescura que tenían;

de otro lado, hubo una llegada muy fuerte de nuevos actores y agentes de pastoral, lo que ocasiona lógicamente una cierta desorientación inicial en el camino. Encontramos también una Pan – Amazônia que sigue levantando su grito, delante de la política desarrollista del gobierno brasileño, centrada en la construcción de grandes proyectos de infraestructura, de hidroeléctricas, de intensificación del agronegocio y de las actividades de exportación de recursos naturales. Una Pan-amazonia que, más que nunca, nos interroga e interpela para um nuevo modo de hacer misión, de um modo más intenso, más cooperativo con otras fuerzas pastorales, más leve, con una mirada más amplia, con ese foco en la defensa de la Vida. Una Pan-Amazonia que nos interpela desde las fronteras, donde ya nuestros compañeros IMC de Colômbia están fortaleciendo una presencia en la frontera que puede ser un estímulo para nuestra región. Ojalá!

Al mismo tiempo hemos reencontrado una región IMC en un momento que vosotros conocéis bien. Reconocemos y admiramos el

LAICOS EN RORAIMA

Ester y Luis

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tesón y la perseverancia de aquellos misioneros que continúan mirando hacia la realidad con profundidad y con ganas de trabajar, de responder a los desafíos. Al mismo tiempo, esa realidad convive con otra realidad profunda de fragmentación del proyecto misionero, de fragilización de las relaciones comunitarias, de falta de cohesión y de norte; de falta de intensidad y pasión. Una realidad que no descubrimos para vosotros, porque la conocéis bien y sabemos que os preocupa también. Cuando decidimos volver a Amazonia éramos conscientes de esta situación. Sólo la fuerza suave del Espíritu Santo puede ayudar a que tamaños desafíos misioneros puedan ser enfrentados a partir de nuestra pequeñez. Aunque habrá que ayudar al Espíritu con determinación y decisiones como familia Consolata. Nuestra parte la tenemos que hacer nosotros.

Hemos centrado nuestros esfuerzos, inicialmente, en ayudar a la región y al Hno Carlo Zacquini en el proyecto del Centro Cultural Indígena. Un Centro que puede ayudarnos a ampliar nuestra mirada, nuestro horizonte misionero, a caminar hacia una misión amazónica y continental a partir de los pueblos indígenas; al mismo tiempo, un proyecto que necesita ser repensado, rediscutido, redimensionado y abrazado con determinación por todos si queremos que sea una realidad. Necesitamos, sobre todo, claridad y sinceridad entre todos. Dentro de la propia región encontramos resistencias importantes delante de este proyecto; algunas expresan una preocupación real y una reflexión necesaria; otras, nacen de la propia somnolencia misionera en que cayó la región. Discernir unas de otras es fundamental. El Hno Carlo siempre fue una persona de intuiciones, de profetismo, y ahora no es diferente; si bien, el Centro Cultural, por la relevancia que puede tener, debe ser pensado y construido entre todos. Nosotros estamos acompañando a Carlo, pensando con él, cuestionando con él, avanzando muy poco a poco; pero no somos nosotros solos los que debemos pensar este proyecto, y sí el IMC como un todo.

El tema del laicado posiblemente no sea el tema más importante o urgente, aunque debe ser reflexionado en el contexto general. La región necesita un revulsivo, un cambio de marcha, una reorientación, un estremecimiento para despertar. No creemos que aguante mucho más tiempo en esta realidad de confusión y de desapego. Son ya varios años. El trabajar con otros, lo inter, es hoy una interpelación ineludible de la Misión, especialmente en la Amazonia. Y el Capítulo General del IMC 2011 lo expresa también con claridad. Inter-congregacional, inter-institucional e inter-vocacional; sumar con el otro, estar preparado para construir con el otro, y aquí el laicado es un tema importante por la experiencia que se construyó en Roraima entre 2000 y 2012.

Se aproxima la Conferencia de la región. La comisión que está preparando la Conferencia me pidió (está escribiendo Luis) que entrase a hacer parte de la comisión y que asumiese el trabajo de facilitador durante la Conferencia. Acepté con alegría y espero contribuir conforme la confianza que me han dado. Esperamos que esta Conferencia sea ese momento de retomada: de reasumir el proyecto misionero, con una mirada hacia la Amazonia y una prioridad a partir de los pueblos indígenas; un momento de renovar la pasión, la confianza, la intensidad misionera; de recuperar la vida comunitaria. Si esta Conferencia no consigue iniciar ese proceso, los próximos seis años se van a hacer muy largos.

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Com o mês de Maio surge na minha mente muitas recordações; basta pensar na grande peregrinação Nacional a Fátima; basta pensar que os missionários da Consolata da região portuguesa têm como padroeira Nossa Srª de Fátima; basta pensar na primavera com tantas e diversas flores e árvores a brotar flores e frutos; basta pensar na festa de S. José operário do centro do Zambujal etc., etc. em resumo temos muitos motivos para agradecer a Deus e termos uma atitude, em geral, positiva da nossa realidade como Missionários da Consolata a trabalhar, em Portugal. Dia de S. José operário, feriado civil em Portugal, com grandes manifestações organizadas pelos operários e estruturas sindicais, contra a crise e a austeridade. Dia 6 de Maio, dia mãe e festa de José operário, no Centro do Zambujal; Este dia foi passado no nosso centro do Zambujal, festejando o padroeiro deste mesmo centro. Esta festa que este ano coincidiu com o dia da mãe e por essa razão foi oferecida uma rosa a todas as mães que estavam presentes, em sinal da dedicação e agradecimento, até porque muitas vezes são pessoas esquecidas e maltratadas, na família. A festa no Zambujal decorreu na normalidade sem grandes confusões. Estiveram na concelebração o P. João Baptista Amâncio, que presidiu à concelebração eucarística, juntamente a presença do P. Alceu, P. Jaime, P. Joaquim, P. Barros e o seminarista Tiago que, no final da celebração, foi lido o documento da sua entrada oficial no postulantado. No dia 10 festa de aniversário das mulheres missionárias em Mem Martins. Nesta comemoração-festa esteve presente o P. Joaquim Gonçalves como representante e participante dos Missionários da Consolata. No dia 12 a paróquia de S. Marcos organizou a procissão de velas em honra de Nossa Srª, com a participação de um bom grupo de pessoas. Dia 13 de Maio grande movimentação e concentração de pessoas no santuário de Fátima. O P. Kuzenza foi até a Cova de Iria para concelebrar e participar no santuário de Fátima.

No dia 21 a 26 estivemos em Fátima na conferência regional que decorreu na normalidade conforme o programa estabelecido. Aproveitamos a estadia do P. Hélder Bonifácio, em férias e em curas médicas, para celebrar na paróquia de S. Marcos, e residir na nossa casa de Cacém, na nossa ausência. Com a solenidade de Pentecostes a paróquia de S. Marcos, realizou a festa da profissão de fé de vários jovens. No fim deste mês alguns familiares do P. Joaquim estiveram, em Cacém, na nossa casa, a passar alguns tempos de descanso. Assim chegamos ao fim deste lindo mês, com a festa da Visitação de Nossa Srª, que nas paróquias das redondezas se fazem notar com várias procissões de velas e festas em honra de Nossa Senhora.

CACÉMP. José Barros, IMC

Cacém

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Scrivo qualche notizia circa lo svolgimento dei vari progetti che stiamo portando avanti qui a Camara.

Progetto Bestiame e Pozzo (per i Catechisti)Procede bene ma, secondo il mio modo di vedere, molto lentamente. Il recinto perimetrale è quasi pronto, il che significa parecchi chilometri di filo spinato, e centinaia di pali per sostenerlo. La parte che ho visto è ben fatta e resistente. Il korral è pronto e anche il pozzo per la famiglia dei vaccari che dovrebbero allevare e custodire il bestiame che riceveranno il mese di novembre prossimo. Nelle vicinanze, hanno pure un lago con prospettiva di allevamento pesci, e hanno già ricevuto una canoa e anche una rete per evitare l’uscita dei pesci dal lago. In seguito, quando sarà possibile, è in programma un piccolo mulino per macinare mangimi per il bestiame e per i pesci. Intanto due famiglie abitano già sul posto e hanno iniziato a piantare e seminare e anche allevare animali da cortile, per avere qualcosa per sostenere il lavoro dei guardiani. Hanno pure iniziato la semina del foraggio di qualità, così, quando arriverà il bestiame, si troverà in un bel posto, e non avrà nostalgia di casa.

Progetto Acquedotto (Camarà)L’acqua arriva ma ancora molto debole e solo di notte si riesce a fare la doccia: durante il giorno non c’è la minima pressione. La colpa è mia, visto che non me la sento di andare a vedere come hanno messo i tubi nuovi e anche la presa in montagna. Se tutto va bene, il prossimo anno, vedrò di salire la montagna e sistemare i tubi e tutto il resto in modo funzionale anche se gli

indigeni sono già contenti con la poca acqua che arriva.

Progetto CatechistiLa mia parte procede bene, con l’acquisizione dei vari materiali e strumenti, sia per le Cappelle, sia per svolgere il loro lavoro. La loro parte,

un po’ meno, specialmente nelle costruzioni: vanno molto piano, per fortuna che il materiale non si rovina mentre aspetta, visto che anche le tegole e i mattoni li mettono dentro casa, per proteggerli dal sole e pioggia. Il cemento, porte e finestre, e cose del genere, li consegno solo al momento giusto per evitare sprechi e deterioramenti.

Per la chiesa di Camarà, ho in progetto due porte di alluminio, anche se non so ancora il modo per piazzarle in modo funzionale oltre che estetico, e quelle vecchie (4 anni) stanno cadendo a pezzi, visto che il legno è di poca qualità e per di più, sono sempre esposte al sole e alla pioggia. Biciclette, Bibbie e testi vari, libri di canti e strumenti musicali, ne hanno ricevuti tanti, ma sempre con sorteggio, oppure con un piccolo contributo per evitare favoritismi e paternalismi.Si può affermare che più che un progetto è un grande aiuto per i Catechisti, che sono un po’ più sorridenti e lavorano più sereni e animati.

Progetto Sementi Quasi completato e si sperano buoni raccolti, anche se il tempo non accompagna molto bene le semine: o troppa pioggia o siccità. Inutile ripetere che le difficoltà sono tante e ancora di

Fr. Francesco Bruno, IMC

PROGETTI A CAMARÀC

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più le “bugie e le promesse mai mantenute” dai commercianti di Boa Vista. Tutte le settimane cambiano i prezzi. Dal mese di ottobre soffro e vado in giro nei vari negozi per acquistare sementi di qualità per il foraggio. Finalmente a Maggio sono arrivate. Anche per i fagioli e il granoturco ho dovuto faticare parecchio! Sento proprio il desiderio di ringraziare ancora Marta Giacone per la sua generosità in questo progetto, anche a nome degli Indigeni che hanno ricevuto le sementi.

Progetto Aiutante AutistaHo ancora qualche spicciolo, e grazie a questo grande aiuto, ho potuto portare avanti i vari impegni della missione e gli altri progetti. Normalmente gli autisti, dopo un viaggio o due, inventano scuse e non vengono più, quello che guidava meglio si è messo ad allevare polli e porci e non va più in giro col suo furgone, come faceva prima da circa 20 anni. Io non dico niente: vista la “strada” e i buchi, torrenti e mancanza di ponti, farei la stessa cosa: non andrei più se fosse solo per i soldi.

Progetto PesciLa prossima settimana, se tutto corre bene, metteremo una gabbia per allevare i pesci nel lago della comunità di “Escondido”. Questo dopo mesi di preparazione, incontri per chiarire dubbi e fiumi di parole per spiegare come si allevano i pesci. Alcuni membri della comunità indigena, hanno firmato un documento dove si impegnano a produrre cereali e altri prodotti utili per fare il mangime necessario per allevare i pesci.La “gabbia” ancora da completare, e la canoa sono già vicino al lago, molto grande, e penso che ci sono ottime possibilità di allevare tanti pesci, se producono i cereali necessari.Negli altri laghi, i pesci dei progetti, sono una media di due kg l’uno: se gli indigeni avessero dato loro il mangime necessario, i pesci sarebbero oltre 10 kg ciascuno....Inoltre l’organizzazione delle donne indigene (OMIR) non ha ancora fatto l’assemblea regionale e hanno fissato una nuova data in ottobre. Anche le coordinatrici che si succedono continuano a chiedere un progetto per allevare i pesci, ma solo a parole, e spero che finalmente riescano a organizzarsi e a fare una richiesta

scritta, con la descrizione dettagliata di quali parti e spese e prodotti riescono a fare per ottenere il progetto, e che lo stesso abbia una buona continuazione.Ho perso il conto dei giorni trascorsi a spiegare come dovrebbe funzionare il progetto pesci, ma l’osso duro è il contesto culturale (per gli indigeni, se dai da mangiare agli animali, poi fanno parte della “famiglia” e non puoi più mangiarli) ma è un passo necessario: allevare in un luogo dove la caccia e la pesca non esistono più.Il tempo è stato clemente e, nonostante che siamo nella stagione della pioggia, non piove e ho potuto andare in giro nei villaggi e praticamente compiere tutti gli impegni presi nelle varie comunità, sempre con l’aiuto di altri missionari e o autisti. Lo scorso anno proprio in questo periodo, c’è stata la “piena del secolo” qui a Boa Vista, e quest’anno nei fiumi si vedono le spiagge come se fosse nella stagione della siccità.Posso dire che non sono più tanto indietro nelle curve, intravedo già un pezzo di rettilineo anche se il traguardo è ancora molto lontano da raggiungere: il traguardo sarebbe organizzare e migliorare la vita nei vari villaggi indigeni...Ho lavorato molto per accompagnare i vari Progetti aiutando con parole e cose concrete, sempre cercando di evitare il paternalismo e i favoritismi. Fiumi di parole, sia per i vari progetti, sia nel campo, economico che sanitario, educazione e religioso come battesimi e altri sacramenti. Il camioncino resiste, anche se sovente devo coricarmi sotto per qualche lavoretto di riparazione, visto che normalmente è sempre stracarico, in viaggio in una “strada” dissestata, piena di buchi, pantani, pietre, torrenti senza ponti, e così via. Circa le api, aspetto una settimana di calma per poter revisionare gli alveari, che da tempo non producono più a causa dei telaietti vecchi e cosette varie da sostituire. Inoltre in questo mese mi aspettano varie feste patronali nei villaggi, oltre che la Festa della Consolata in casa... Le notizie del Brasile e del telegiornale quasi non le sento e se per caso mi capita di assistere al telegiornale non resisto fino alla fine: solo denunce di corruzione e ruberie ad alto livello e nessuna punizione.Con la speranza che i vari Progetti portino i loro dovuti e sperati frutti, ringrazio tutti e ciascuno con un grande abbraccio fraterno e tanti cordiali auguri di ogni bene e salute!

Cam

arà

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P. Gianfranco Sordella, IMC

UNA MIA GIORNATA

Come descrivere la mia giornata/camminata di oggi? La sognerò per tanto tempo non tanto per la bellezza del bosco o per il luogo solitario quasi in cima ad una montagna, ma soprattutto per quel che ho provato e visto.

Dopo un passaggio veloce all’ufficio del villaggio (lontano oltre 30 km dal nostro Centro) dove c’era una riunione dei capisezione e dopo alcune informazioni ci avviamo verso la nostra meta: un bambino e la sua famiglia. E’ un bambino che ogni giorno cammina due ore e mezza per andare a scuola e ritorna la sera. La sua famiglia: papà senza l’uso di una gamba, due fratelli grandi (18 e 20 anni) e una sorella quindicenne, ma tutti e tre completamente ‘istupiditi.

Altre due sorelle più grandi che hanno fatto figli con chissà chi (magari coi fratelli) ma morti quasi subito.

Con la macchina riusciamo con molte difficoltà ad arrivare ai piedi di una montagna dove comincia ‘l’avventura’. Due ore e mezza di salite varie tra boschi e pietroni. Non c’è un vero sentiero e c’è pericolo di rompersi le caviglie. C’è anche il Capo-villaggio, Il capo degli Assistenti sociali che ho ‘snidato’ dal suo ufficio, Teo e il ragazzo che abbiamo prelevato alla scuola. Fa la V elementare che ha già ripetuto due volte. Arrivo in cima sfinito, ma vedo che anche qualcun altro è ‘distrutto’. L’incontro con i tre fratelli è sconcertante.

Sguardi ‘vuoti e bocche aperte che perdono le bave. Il più grande un ghigno e la ragazzina un sorriso ebete. A casa c’è il papà, la mamma e due nipotini sopravvissuti nati da altre due sorelle già grandi ma che non... hanno un padre. Certo la capanna è costruita in terra e coperta di erba secca si anni fa. Uno del nostro gruppo commenta ” Ma vivono come le bestie!”.

Discussione sotto un albero: come si può aiutare la famiglia. Il villaggio non si è mai interessato e non farà niente in futuro. Bisogna riuscire a portarli più vicino al villaggio sia per la scuola,

per cure mediche, ma anche per cercare di renderli ‘meno selvaggi’!

Intanto decido di prendere alla Faraja il ragazzo che va a scuola, un aiuto immediato di farina, fagioli e vestiti e...poi vedremo come procedere. Il ritorno è più veloce, ma più pericoloso e stancante, in mezzo a pietre e pietroni e col pericolo di cadute o scivoloni. La macchina ...sembra sempre più lontana! Persino un cane che non abbaia, ma morde il Capo villaggio!

Forse si ‘sveglierà’?

Ripassiamo allo stesso ufficio dove hanno finito la riunione, ma c’è ancora la capessa della zona che ci aspetta per darci alcune lettere da portare in città: pare in gamba ma non è di qui ed aspetta il trasferimento! Sulla parete di una casa lì vicino un lenzuolo con la scritta che lo ‘stregone’ ricomincerà presto la sua attività ‘migliorata’ ,con tre numeri di telefono : siamo in un villaggio dove non c’è l’acqua (è lontana chilometri e la vanno a prendere con asini e biciclette per poi venderla nel

villaggio) non c’è elettricità e quasi tutte le case in fango e paglia!

Coraggio Africa, arriveremo!Fara

ja H

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Dom Francisco Lerma, IMC

PROFANADA A IMAGEM DA «SANTINHA»

Por volta das 12.00H de hoje, 25.05.2012, o Comandante da Polícia Distrital de Gurúè comunicou ao Sr. Bispo que a imagem de N. S. de Fátima, que se encontra numa gruta conhecida pelo nome da “Santinha”, foi destruída com o lançamento de uma pedra por um desconhecido.

D. Francisco, acompanhado pelo Pe. Manuel Nassuruma, Secretário da Diocese, e pelo o Pe. Luciano Cominotti, Administrador Diocesano e por dois jovens da comunidade local,logo a seguir, nesta mesma tarde, foram até à “Santinha” e constaram a veracidade dos factos.

Devotadamente, rezaram um “Ave- Maria”, em desagravo pela profanação, pelo bom entendimento e pela paz religiosas e civil, que sempre caracterizou o relacionamento entre os cidadãos da Alta Zambézia. Nunca foi motivo de lutas ou desentendimento a questão religiosa. Este lugar da “Santinha” foi sempre um lugar “ecuménico”, abeto a todos, espaço de oração, de descanso, de sossego e de lazer para os cidadãos de Gurúè, sem distinção de credo, de condição social ou de quaisquer outro classe de discriminação.

Ao regresso à cidade, D. Francisco foi até ao Comando da Polícia onde apreciou os danos causados à imagem e a pedra usada por quem praticou o lamentável facto.

Gurué

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P. Darci Vilarinho, IMC

PALMEIRA

Não se pode falar de Maio sem falar de Nossa Senhora. Também aqui em Palmeira se viveu intensamente o mês de Maria nos três lugares de culto que temos a honra de acompanhar. Os três padres da comunidade revezaram-se na medida do possível para acompanhar os vários grupos que aí invocam Nossa Senhora. De 4 a 9 de Maio, o P. Darci foi um pouco mais longe, até aos arredores de Paris, para presidir à peregrinação dos imigrantes em honra de Nossa Senhora de Fátima. No dia 11 de Maio participámos todos na grande procissão de velas da Igreja paroquial até à Capela do Senhor dos Milagres, presidida pelo p. João Monteiro e concluída com a celebração da eucaristia. Com muita gente e uma ótima organização. Decorreu nesse fim de semana a festa do Senhor dos Milagres com a presença do p. João e a pregação do p. André. No dia 31 foi a conclusão do mês de Maio com outra procissão a partir dos três lugares de culto até à Igreja paroquial e a celebração da missa campal, a cargo do p. Darci e do p. André. O P. João Monteiro seguiu-nos espiritualmente de Milão onde foi participar no Congresso internacional das famílias. Por lá esteve quase uma semana acompanhando um bom grupo de famílias da diocese de Braga, cuja formação espiritual está a seu cargo. Voltou muito satisfeito com essa experiência maravilhosa. Entre uma coisa e outra não lhe faltou tempo para se encontrar com o p. Simão Pedro e com os dois confrades da Polónia, p. Ashenafi e p. Luca Bovio. A meio do mês consolou-nos a visita da leiga da Consolata, Lígia, que se prolongou por vários dias. Efetivamente, ela é aqui muito conhecida e estimada dado que estagiou na nossa comunidade durante 4 meses antes de partir para a Amazónia. Nos dias 19 e 20 de Maio tivemos na nossa paróquia o sagrado Lausperene, dando assim a possibilidade a todos os grupos, movimentos e ruas de Palmeira de passar algum tempo de adoração eucarística. É uma realização anual que

atrai sempre muita gente e que nos agrada de um modo especial, não fosse a devoção eucarística juntamente com a devoção mariana uma nossa caraterística muito acentuada. Podemos sempre dar-lhe um tom missionário para acentuarmos o nosso carisma. De 21 a 25 de Maio ocupou-nos a Conferência Regional. Procurámos, cada um a seu modo, dar o nosso contributo para a elaboração de um projeto que nos pudesse orientar durante mais cinco anos. Um padre Jesuíta e um sacerdote diocesano substituíram-nos nos serviços litúrgicos da paróquia e da nossa capelania das Irmãs da Visitação. Já no fim de Maio, fomos convidados pelo Presidente da Junta de freguesia de Palmeira para um almoço muito familiar na sua casa. Serviu também para pôr em dia algumas necessidades mais urgentes da paróquia, a que o Sr. João Russell não deixará de acudir, dadas as ótimas relações entre nós e o poder autárquico. E para terminar anotamos a entrada na nossa comunidade do Dr. Albino Camarinha como candidato a sacerdote missionário, apesar dos seus 57 anos. É psicólogo clínico em Braga e tem já um bom currículo, tendo feito inclusivamente ao longo dos últimos anos os estudos de Filosofia e Teologia. Apesar de ter vindo ad experimentum, auguramos-lhe uma boa inserção nesta comunidade e um progressivo conhecimento do carisma do Instituto.

Palm

eira

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P. Juan Carlos Greco, IMC

DESDE SAN MIGUEL

Síntesis super sintética….

Durante el mes de mayo P. Merigo animo la comunidad de los formandos –el dúo 2012: JuCo (=Jujuy-Corea)-. Durante ese mes P. Juan Carlos fue tirando unos días de vacaciones “parando en la ciudad de Berisso”, aprovechando a control médico y otras cosas personales, en cuanto tornaba a la Casa de formación casi semanalmente por empeños pastorales y de animación que ya había asumido con anterioridad (servicios con las hermanas de Santa Ana en Ohiggins –donde fue junto con Marco-, Derqui y Muñiz). Durante este mes consiguió que le entregaran la VISA para la R.B. de Venezuela.

Marco continua sus estudios en la USAL –Universidad del Salvador-. Como fue discernido este año estudia solo dos cursos en el primer semestre y lo mismo hará en el segundo, a fin de aprovechar bien estos y lograr una metodología de estudio y comprensión diferentes, lo cual es uno de los objetivos (no el de obtener el grado académico). Próximo año la DG y el Espíritu Santo están pensando donde irá, seguramente en vista de un stage pastoral. También el está discerniendo y se comunicará con la DG a fin de dar sus preferencias y opinión. ¡Buen discernimiento!

Al mismo tiempo que está estudiando Marco continua con los empeños pastorales. Estos últimos meses junto con Gastón han realizado –y continúan- con un excelente servicio de animación a los jóvenes del Colegio Vicente Chas de Muñiz, trabajo que de a poco va viendo resultados en los corazones de los adolescentes y jóvenes de este colegio. Para el dúo JuCo es una linda prueba y escuela de trabajo en conjunto-equipo. ¡Adelante! Que la opción por los jóvenes vaya prendiendo en los formandos….¡Amén!!!

Gastón sigue, además de haciendo fuerza por su Boquita, estudiando italiano y realizando los cursos de Introducción a la Biblia y Vida Consagrada I y II con los padres Dominicos en

la CABA –calle Directorio-. Los jueves por este motivo visita, almuerza y participa generalmente de la Eucaristía en la Casa Regional. ¡Gracias ala gentileza de los padres de esa comunidad! Desde ya muchas gracias y que Dios se lo pague –de aquí no vamos a pagar….¡broma!-. Dios los bendiga por permitir esta experiencia que ayuda a Gastón a conocer más a nuestros padres y a profundizar el espíritu de familia IMC.

Entre otros trabajos pastorales Gastón colabora con las actividades en torno a la Casa de encuentro Virgen Niña, donde la gente participa de forma inconstante. Es una verdadera prueba de fe que va superando gracias a la oración y perseverancia. ¡Adelante jujeño!

No nos olvidemos que entre el Marco y Gastón han hecho un buen dúo para la animación en las casa de familias –cuando podemos en algunas hemos acompañado la vida de los vecinos con la Eucaristía-, actividades pastorales u lo que se necesite: para contratación puede consultar disponibilidad y aranceles al 011-44550863. Precios razonables y show espectaculares.

Estamos pensando en vender con este Logo las diferentes verduras que la huerta, organizada con mucho amor y trabajo por P. Antonio y secundada por los “chicos”, nos da. “Zapallos para todos”, …chicoria,….etc. Nuestro Caro Antonio parte el 7 de este mes para Italia por lo cual ya ha delegado tareas y responsabilidades. P. Antonio un millón de gracais por la alegría y fe compartida. ¡Unas buenas vacaciones y lo esperamos en septiembre junto a su hermana!! Saludos a todos los conocidos…

Visitas y agradecimientos varios:

Una buena experiencia: Gastón participó junto a los novicios del taller sobre Espiritualidad de la consolación que P. Salvador Medina animó

San Miguel

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en Martín Coronado. Gracias a la comunidad del Noviciado que posibilito esto. En este año ya han sido diversos momentos de cercanía y colaboración en el dejarnos formar y ser una familia (encuentros de conocimiento, deporte, visitas, retiro de los novicios –mes de mayo- en San Miguel….). También aprovechando la visita de Salvador –¡a quien agradecemos el haber pasado y permanecido unos días en casa! Marco cocinó en Coronado comida coreana….(la foto no corresponde al plato de ese día), mientras Gastón colaboró con la “cocina italiana”

No los aburrimos más….nos reencontraremos ya con el P. Felix –que llegará el 16 de este mes- como animador de nuestra casa- ¡A P. Felix un buen final de curso en Bogotá a volver con mucha barraquera!!

Sino lo sabían P. Juan Carlos estará rezándole a San Chavez el 19 de junio y pisando tierras bolivarianas en esa fecha: fiesta de la Consolata en nueva tierra.

San

Mig

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Da quasi cinque anni mi trovo ad Isiro, nel nord-est della Repubblica Democratica del Congo, ed ogni giorno che passa capisco sempre più questo immenso Dono che Dio mi ha dato per cercare di testimoniare il suo Amore in mezzo a questo popolo, e soprattutto in una congregazione missionaria con Maria Consolata come protettrice. Oltre le gioie e le difficoltà che la vita e la missione ci riserva, ci son molte cose che ancora non riesco a comprendere, ad accettare, molti perché, il perché di un popolo che ha vissuto troppe violenze, troppe ribellioni, sembra che non ha la forza di rimettersi in piedi, di lottare, gli viene negata anche la speranza, negata da troppe forme di ingiustizia, di soprusi perpetrati da chi si crede di poter dominare sugli altri, perché bimbi innocenti muoiono di fame e malattie che si possono ben curare, perché nessuno sa o vuole dare una risposta, in questa immensa Nazione, che come dicono molti, benedetta da Dio, ma maledetta dagli

uomini, dove l’aspetto esteriore è portato al massimo, e quei valori che sono alla base della vita, stentano ad essere vissuti.

Molte volte viene da chiedersi, ma servirà a qualche cosa la nostra presenza, (sicuramente serve più a noi, dove dovrebbe farci crescere come uomini e soprattutto come cristiani), dove il “bianco” non è sempre ben accetto, se non per i soldi che pensano possa avere, dove sembra diamo fastidio, mah...Sembra che apparentemente nulla cambi, ingiustizie all’ordine del giorno, poveri sempre più poveri,… poi all’ improvviso , anche un fulmine secco a squarciare il cielo, fulmini anche assassini! Il mese scorso è morta fulminata in casa di un nostro lavoratore la sua figlioletta di sette anni, e molti altri già durante la stagione delle piogge, perché qui ad Isiro siamo nel pieno della stagione delle piogge, piogge violente, che riducono le strade, se strade si possono chiamare, a dei

Ivo Lazzaroni, LMC

FESTA DELLA CONSOLATAIsiro

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veri pantani, quasi impossibile muoversi in jeep, dove spesso si resta impantanati…, ma la scena che mi affascina sempre più, è di sera, dopo i vari temporali, pian piano le nubi si diradano, lasciando spazio nel cielo a svariati colori, dal nero carico di pioggia , al grigio, sfumato di rosa ad un blu intenso, circondato da aloni rossi e pian piano comparire le stelle…ed ecco, la Madre Consolata in cielo.

La mente corre al quadro della Consolata nella nostra cappella qui nella Maison Procure d’Isiro, i colori del cielo son pressoché identici ai colori della Consolata, e questi colori regali ci ricordano che Lei è la Regina del cielo, e sembra volerci ricordare che Lei è qui, con suo Figlio, in mezzo a ogni popolo e persone che soffrono, e che noi dovremmo essere altre sue braccia che tengono in braccio Gesù, povero ,affamato, sofferente e dimenticato. E così di colpo, mi ritrovo di buon mattino, su queste strade impantanate, strade che portano anche al nostro centro nutrizionale, Notre Dame de la Consolata (Gajen), accanto ad una moltitudine di giovani mamme, provenienti dai campi, con un enorme cesto portato dietro la schiena, carico di legumi, destinati ad essere venduti ai vari mercati, con uno o due figli portati sul petto ,e seguiti da altri, misere ciabattine ai piedi , gambe infangate sin alle ginocchia, ma un volto sorridente, pronto al saluto accogliente, felici di mostrarmi i loro figli, che li possa prendere in braccio, far un pezzo di strada con loro, dicendomi, malgrado le difficoltà della loro vita, c’è sempre MAMAN MARIA in cielo.

Strade infangate che ci conducono alla prigione centrale d’Isiro, un grande capannone diviso in due parti, una per i prigionieri militari, l’altro per i civili, uomini ,donne e bimbi anche piccoli, se la mamma resta detenuta, tutto alla luce del sole, privati di ogni diritto umano, entrando nella prigione viene subito all’occhio una scritta, fatta dai detenuti, sul muro: la democrazia, un passo verso la morte. Celebrando con loro la Messa, e portando loro cibo , medicine e sapone, una volta la settimana , anche se non espresso a parole i loro sguardi son pieni di riconoscenza.

La strada, luogo preferito da Gesù, luogo d’incontri, e su queste strade rincontriamo tanta gente, storie diverse, storie che ci conducono a visitare gli ammalati e celebrare la messa il

sabato o la domenica, nei vari ospedali, ed in ogni celebrazione il canto alla Vergine Maria (Maman Maria ,merci maman,)si eleva in cielo come profumo d’incenso.

E queste strade, impantanate, o secche polverose che siano ,ci riconducono a Gajen, il nostro centro nutrizionale, dove vediamo molti bambini “crocifissi” nella loro sofferenza, bimbi malnutriti, son sempre un centinaio al giorno. E’ una pena vederli, sguardi spenti, senza sorriso, esseri fragili, stretti da braccia, molte volte ancora più fragili, visto che anche molte mamme son malnutrite, o giovani mamme vittime dell’aids, braccia tremolanti, come ultimamente ci è arrivata una mamma, mentalmente ritardata, e paralizzata ad una mano, ma allo stesso tempo braccia amorose, braccia tese in cerca di un aiuto, di un conforto,… ed allora si, capiamo, stringendo queste mani, intrecciando i loro sguardi, vedendo i loro sorrisi, che le nostre braccia ,devono essere le braccia della Vergine Consolata, che tiene in braccio Gesù, che la nostra è una presenza di consolazione, forse dando, con tutte le nostre fragilità e limitatezze, quell’amore che gli è stato negato, o semplicemente mai avuto ,quella dignità negatagli, e quella speranza, che è la tenera ala che sostiene la nostra fede.

Che in questo giorno di festa , la Vergine Consolata, ci aiuti a camminare senza paura di infangarci, fianco a fianco alle persone e realtà che ogni giorno incontriamo, che ci aiuti a comprendere il Disegno, che Suo Figlio ha concepito per noi.

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P. FRANCO FARINA, IMC

Nato il 10 dicembre 1937 a Molteno (Como), dopo le scuole elementari entrò nel nostro seminario di Rosignano Monferrato, dove frequentò le scuole medie, il ginnasio e il liceo. Il 2 ottobre 1959, terminato l’anno di noviziato alla Certosa di Pesio, emise la professione religiosa. Continuò gli studi filosofici e teologici a Torino, dove il 19 dicembre 1964 fu ordinato sacerdote da Mons. Francesco Bottino, Vescovo Ausiliare di Torino. Fu subito destinato alla regione Italia, dove svolse il compito di Economo a Bevera. Nel 1969 fu nominato cappellano nell’ospedale di Besana per tre anni. Ritornò a Bevera e di nuovo fu nominato cappellano a Molteno. Dal 1979 al 1986 fu parroco a Pratrivero, poi economo ad Alpignano e Superiore della Certosa di Pesio dal 1989 al 1995. Venne nominato parroco ad personam nella parrocchia di Casapinta (Vercelli), dove rimase fino agli ultimi anni della sua vita, prima di essere trasferito nella comunità di Alpignano. E’ morto all’Ospedale di Rivoli nella notte 18 giugno alle ore 02.00. Ora riposa nel cimitero di Molteno (Como).

Aveva 74 anni di età, di cui 52 di Professione Religiosa e 47 di Sacerdozio.

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da Casa MadreMensile dell’Istituto Missioni Consolata

Redazione: Segretariato Generale per la MissioneSupporto tecnico: Adriano Podestà

Viale delle Mura Aurelie, 11-13 00165 ROMA - Tel. 06/393821C/C postale 39573001 - Email: [email protected]

Som

mar

ioCalvin Klein

Serenityvariante di Eternity,

eau de toilette

Sommario

Vivere serenamente si può 2Due dipinti delle francescane missionarie 5Incontrare l’Allamano in Internet 9La liturgia in Francesco e Chiara 11

Consolata in Asia:

programmare insieme il futuro 16Casa Generalizia: Giugno 2012 18Diácono: distribuidor de alegria! 20Ordinations à Masina 22Ricordando Padre Paolo Tablino 24

Mais um diácono

Coreano para a missão 26Los Coreanos e su cosmovisión 28Festa della Consolata, festa di famiglia 31X Conferência Regional 33

“La mia casa si chiamerà

casa di preghiera per tutti i popoli” 35

Interview de P. Victor Kota

a P. Flavio Pante 38

Missionnaire au Congo,

paroisse St. Camille de Byenga 38Laicos en Roraima 41Cacém 43Progetti a Camará 44Una mia giornata 46Profanada a imagem da “Santinha” 47Palmeira 48Desde San Miguel 49Festa della Consolata 51