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1 CHESS Centre for Higher Education & Society Studies Il sistema di istruzione superiore francese e le sue trasformazioni Renata Semenza Università di Milano CHESS WORKING PAPER N. 7/2010

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CHESS Centre for Higher Education & Society Studies

Il sistema di istruzione superiore francese e le sue trasformazioni

Renata Semenza Università di Milano

CHESS WORKING PAPER N. 7/2010

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1. Introduzione Il sistema di istruzione superiore francese1

Il sistema universitario, in carico al Ministère dell’Enseignement Superieur et de la Recherche, è stato caratterizzato da un forte livello di centralizzazione della governance e da uno spiccato orientamento alla ricerca. Le università rappresentano l’unico segmento ad accesso libero di un sistema di istruzione che nel complesso è invece fortemente selettivo, gerarchico e meritocratico. Nel corso del novecento le università francesi hanno rappresentato, tranne poche eccezioni, l’anello debole dell’istruzione superiore, schiacciate fra le ricche scuole di eccellenza e la formazione superiore non universitaria. A questo proposito si è parlato della “lunga marcia delle università francesi” (Musselin 2001) verso standard migliori sia sul piano dei contenuti formativi che della reputazione.

, quasi esclusivamente pubblico, si può definire in prima approssimazione “dicotomico”, suddiviso cioè in due grandi sotto-sistemi: le università e le grandes écoles.

Le grandes écoles godono invece di uno status elevato nella società francese, grazie al diritto di selezionare gli studenti migliori e rappresentano il principale canale professionalizzante dell’istruzione superiore. Sono dotate di mezzi finanziari importanti, di un’autonomia molto maggiore di quella delle università e possono dipendere, oltre che dal Ministero dell’istruzione, da altri ministeri (Industria, Agricoltura, Finanze) o dalle Camere di Commercio regionali, come nel caso delle Business School. Storicamente i due sistemi si sono suddivisi gli ambiti disciplinari: le università dedicate alle scienze e alle scienze umane e le grandes écoles alla formazione economica e tecnico-ingegneristica. I due sistemi continuano a svolgere anche distinte funzioni di riproduzione sociale, in quanto l’università garantisce l’istruzione di massa, mentre le grandes écoles hanno il compito di formare le élites. Tuttavia una lettura dicotomica rischierebbe di essere troppo semplificata, poiché vi sono numerose eccezioni che complicano il modello binario a cui si è soliti fare riferimento pensando al sistema francese. Esiste ad esempio un segmento selettivo anche nelle Università, rappresentato degli istituti tecnici universitari (IUT), costituiti nel 1966 per professionalizzare l’istruzione universitaria, che hanno una forte autonomia all’interno del sistema. La selettività non è quindi una prerogativa esclusiva delle grandes écoles. Un secondo aspetto è la presenza di un rilevante settore di istruzione superiore “non-universitaria”, come le sezioni di istruzione tecnica superiore (STS). Un’ulteriore prerogativa del sistema francese è che non esiste una netta distinzione fra “teaching universities” e “research universities”, dato che il settore della ricerca è incardinato nelle università, attraverso le unità miste di ricerca (UMR). Il settore della ricerca, attraversato da una grave crisi finanziaria e organizzativa e da un diffuso malessere dei ricercatori2

1 Il sistema è composto da 83 università, 224 scuole di ingegneria, 220 scuole di commercio e gestione e altre 3.000 istituzioni facenti parte dell’istruzione superiore (Mensr 2009).

, è stato

2 Un problema che ha afflitto il sistema francese è la carenza di giovani ricercatori: la carriera di ricerca pubblica, caratterizzata da un’elevata precarietà non attira i giovani, che hanno sbocchi limitati nel settore privato. I direttori delle risorse umane delle imprese sottovalutano il

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recentemente riorganizzato, assumendo un assetto più aperto alla competizione interna e internazionale. Tra gli anni ottanta e novanta la Francia conosce, come altri paesi europei, una fortissima espansione del sistema di istruzione superiore, in particolare dell’istruzione universitaria. L’aumento della disoccupazione giovanile e la maggiore eterogeneità sociale del corpo studentesco, frutto delle crescenti aspirazioni sociali delle famiglie, hanno avuto un’influenza diretta sulla riforma dell’università (1984), che diventerà di massa, vale a dire accessibile a tutti e de-localizzata territorialmente. La prima grande modifica del sistema di istruzione superiore avviene dunque da una sollecitazione di ordine politico e sociale, esterna al sistema. In quella fase si palesa la pesante inadeguatezza delle università francesi come soggetti istituzionali, poco influenti sul piano politico, ad eccezione delle corporazioni accademiche. La legge Savary del 1984, pur mantenendo i grandi principi della legge Faure del 1968, fu molto più ambiziosa e riguardò l’intero settore dell’istruzione superiore, non solo quello dipendente dal Ministero dell’Istruzione. La riforma aveva l’obiettivo di raggruppare università e grandes écoles in un unico testo, di favorire l’apertura verso il mondo economico e di inaugurare “la politica del contratto” (quadriennale) fra Stato e Università, che segna un punto di svolta decisivo per il sistema universitario3

Furono anche introdotti, un nuovo organismo partecipativo (CEVU Conseil des études et de la vie universitaire), tuttora funzionante come uno dei tre organi di governo delle università e un nuovo sistema di controllo e gestione finanziaria (NaBuCo-Nouvelle Approche Budgetarie Comptable), che permetteva di definire per la prima volta un budget universitario, votato poi dal consiglio di amministrazione.

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Dalla seconda metà degli anni ottanta si va dunque affermando una maggiore autonomia delle università e una maggiore collegialità nella gestione del sistema di istruzione superiore -attraverso un intervento più attivo delle collettività territoriali- all’interno di un sistema che restava in larga misura centralizzato. Nello stesso periodo viene messo in atto anche un processo di ulteriore professionalizzazione dell’offerta didattica che, oltre agli IUT, moltiplica le filiere professionali4

Le istituzioni professionalizzanti, scaturite dal lungo e costante processo di riforma che ha caratterizzato il caso francese, sono però la dimostrazione di

, a discapito di filiere generali e di ricerca. Via professionalizzazione i programmi subirono una ridefinizione più conforme alla domanda dei poteri economici, che molti osservatori definirono strumentale, mirata cioè ad interessi troppo specifici e di medio-breve periodo.

titolo di dottorato, mentre sovra stimano i passaggi dalle grandes écoles, pur essendo in larga misura piccole e poco riconosciute a livello internazionale (Chatriot 2004). 3 La politica del contratto, che sembrava essere una semplice modifica delle procedure interne per allocare risorse residuali dei budget delle università, ha in realtà dato origine al cambiamento e ha condizionato l’intera configurazione delle università francesi (Musselin 2001). 4 Le STS (Sections de Techniciens Superieurs) sono diplomi universitari biennali post-bac, a cui si può integrare 1 anno per arrivare a ottenere la laurea (Diplome Nationale de Tecnologie Specialiste).

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come le università siano state capaci di sviluppare dei settori tecnico-specialistici, che hanno avuto maggiore autonomia e rapporti più stretti con il mondo esterno, all’interno del panorama universitario. La moltiplicazione dei corsi di studio e la frammentazione in filiere corte e filiere lunghe, portò alla rottura di quel perfetto sistema di corrispondenza, fra il titolo di studio rilasciato dallo stato (diplome national) e la posizione occupata nella gerarchia professionale, che aveva da sempre caratterizzato il sistema francese, creando un senso di disorientamento sia nelle imprese che nelle famiglie. In quella fase si consolidò dunque un processo di diversificazione del sistema di istruzione universitaria, ma in un quadro ancora polarizzato fra università e grandes écoles. Negli ultimi anni il sistema francese sta attraversando una fase dinamica, segnata da spinte innovative in varie direzioni, che stanno portando una buona dose di competitività e di apertura verso l’ambiente economico esterno. Due sono i passaggi salienti del processo di trasformazione in corso: la legge di riforma delle università del 2007, chiamata LRU (Loi sur les libertés et résponsabilités des Universités), che ha prefigurato lo sviluppo del sistema per i prossimi anni, prevedendo un notevole investimento finanziario (5 miliardi di euro in 5 anni) e dei cambiamenti nella governance e la legge di riforma del settore della ricerca. 2. I mutamenti del rapporto con il sistema economico: l’esempio della regione Rhône-Alpes La ricerca sul campo è stata condotta nelle principali università e grandes écoles della regione Rhone-Alpes, a spiccata vocazione tecnico-scientifica, che rappresenta il secondo polo universitario e di ricerca francese dopo l’area parigina. Gli aspetti più interessanti del rapporto fra università e ambiente economico riguardano il settore della ricerca. Grazie allo sviluppo di strutture e dispositivi, quali i poli di competitività, i clusters, le agenzie di valorizzazione e le filiali universitarie, si stanno rafforzando le relazioni con i soggetti economici, specialmente nell’ambito della ricerca tecnico-scientifica applicata. Più problematico resta il coinvolgimento degli attori esterni nella ricerca di base, per non parlare di quella socio-umanistica. Più incerti e meno sviluppati sono invece i legami con il sistema economico nel campo dell’insegnamento. Le relazioni con l’ambiente esterno sono differenti se si comparano le filiere professionalizzanti con quelle generaliste, le grandes écoles con le università, le facoltà tecnico-scientifiche con quelle in scienze umane e sociali. Soltanto le prime di ciascuno di questi binomi beneficiano di rapporti più consolidati con il mondo economico. Ad esempio i corsi di laurea professionalizzanti, che si stima siano il 55% di tutta l’istruzione superiore francese, sono concepiti in alternanza fra studio e formazione on the job. Negli altri settori universitari ciò non avviene, anche se

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in gran parte dell’offerta formativa gli stages aziendali stanno divenendo una parte integrante e diffusa. Uno strumento di cooperazione fra università e imprese che funziona bene in Francia è il CIFRE (conventions industrielles de formation pour la recherche) che associa, intorno a un progetto definito, un’impresa, un giovane dottorando e un laboratorio di ricerca. Le imprese assumono un dottorando, per tre anni, con contratto a tempo determinato, lo pagano, e ricevono dal Ministero della Ricerca un sostegno finanziario che corrisponde approssimativamente alla metà della retribuzione versata dall’impresa, con l’obiettivo di formare dei quadri aziendali attraverso la ricerca. Questo sistema permette al dottorando di valorizzare il suo percorso, visto che il lavoro dottorale verte su un argomento d’interesse per le imprese, anche se poi non intende continuare nell’ambito della ricerca. Questo aspetto è particolarmente rilevante in un momento in cui la valorizzazione del dottorato rappresenta un problema non soltanto in Francia, ma in molti dei paesi europei, come emerge ad esempio dal confronto con gli Stati Uniti5

Gli studi di caso mettono in luce la debolezza dei servizi agli studenti in senso generale, riconducibile non tanto all’assenza di una cultura in tal senso, quanto alla scarsità delle risorse economiche disponibili, data l’elevata numerosità della popolazione studentesca e le scarsissime entrate da parte del settore privato.

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Sul fronte della progettazione congiunta dell’offerta didattica e dei contenuti formativi, risulta che gli attori del mondo economico e istituzionale siano poco implicati, anche nei settori di insegnamento scientifici. Nelle grandes écoles d’ingegneria la presenza delle imprese nella progettazione di corsi tende a concentrarsi nel livello formativo graduate, per il conseguimento del master6

Il ricorso a docenti esterni è invece abbastanza sviluppato, anche se questa presenza risulta nettamente più significativa nell’area scientifica e tecnologica. Il sistema francese prevede diverse figure di docenti esterni professionisti, che vanno dai professori “associés” che sono delle figure trasversali al sistema di istruzione, con un impegno suddiviso fra insegnamento universitario (50%) e attività professionale (50%), ai “vacataires” e “prestataires” che hanno un ruolo più occasionale all’interno delle università, spesso legato all’inquadramento dei “progetti professionali” che gli studenti devono

. Nelle università l’implicazione di soggetti privati pare riguardare i settori disciplinari più strettamente interrelati con l’universo delle imprese e delle professioni.

5 L’elevata frammentazione delle sedi universitarie che rilasciano il titolo di dottorato è una situazione comune a gran parte dei paesi europei, dove vi sarebbero infatti più di un migliaio di università che rilasciano il titolo. All’opposto negli Stati Uniti le istituzioni che danno il PhD sono circa 400 e meno di un centinaio gestiscono l’80% dei dottorati. Nonostante il numero di dottori di ricerca europei sia molto superiore a quello americano, la percentuale di ricercatori presenti nelle forze di lavoro è sensibilmente più bassa di quella che si riscontra in Giappone e negli Stati Uniti, mentre la maggioranza dei dottori di ricerca in Europa è occupata nell’università (LERU 2007). 6 Questo è ad esempio il caso dell’École Centrale di Lione, in cui le imprese sono maggiormente presenti nel terzo anno, ovvero l’ultimo del quinquennio di studi superiori. Anche alll’INSA (Institut National des Sciences Appliquées) di Lione ci sono dei corsi organizzati con gli attori economici, che fondamentalmente riguardano il quarto e il quinto anno di studi.

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elaborare obbligatoriamente in quasi tutti i corsi di studio all’ultimo anno, o a dei cicli di incontri progettati nell’arco dell’anno. La docenza esterna può arrivare a toccare il 15% massimo del monte ore di insegnamento. Molto rari sono i casi di cattedre interamente finanziate da attori economici esterni, mentre esistono casi in cui le imprese richiedano e sostengano finanziariamente dei master professionalizzanti7

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3. Il sistema dei finanziamenti Il sistema francese si è caratterizzato, da un lato, per la netta predominanza dei finanziamenti pubblici8

Con l’introduzione della nuova legge organica relativa alle leggi finanziarie (LOLF) si rinforza il ruolo dei contratti nella relazione fra università e stato, poiché la logica della performance e della valutazione, che supporta la LOLF, mette il contratto di obiettivo al centro del nuovo dispositivo (Cytermann 2007). Il finanziamento alla ricerca avveniva per l’86% sotto forma di budget fisso alle strutture (laboratori universitari, Cnrs etc.) e una piccola quota, pari al 14%, corrispondeva a risorse contrattuali (5% da fondi ministeriali di incentivazione, 5% dall’industria, 4% da Fondazioni).

all’istruzione superiore (pari all’83.7% nel 2006, rispetto all’85.3% del 1995) e dall’altro, per degli automatismi, che seguivano un preciso ordine gerarchico nell’attribuzione delle risorse, a vantaggio delle grandes écoles e dei settori tecnico-scientifici, a discapito di altre aree più lontane dagli interessi economici.

Oggi il Ministero dell’Istruzione negozia una porzione di finanziamento secondo una programmazione quadriennale di priorità che le Università gli sottopongono. Il piano di sviluppo dell’istruzione viene dunque affidato alle singole Università e la regolazione nazionale si basa su di una verifica periodica ex post della conformità dei programmi definiti. Nel 2009, per la prima volta, il Ministero ha reso noti i mezzi finanziari stanziati per ciascuna università (ad esempio l’università Grenoble 1 dispone di 262 milioni di euro, Lione 1 350 milioni). Le tasse di iscrizione sono tuttora basse, stimate fra 160 e 500 euro all’anno, e costituiscono solo l’8% del finanziamento pubblico. Oltre ai finanziamenti pubblici destinati ai laboratori di ricerca, le istituzioni possono contare su altre due fonti. La prima sono le risorse derivanti dalle tasse obbligatorie che le imprese (sopra i 15 dipendenti) devono investire in formazione (taxe d’apprentissage) e che, avendo la possibilità di scelta, versano più volentieri alle filiere specialistiche e professionalizzanti (grandes écoles e IUT). La seconda deriva dai contratti con imprese private, che riguardano ancora una volta in larga maggioranza le istituzioni di formazione superiore scientifiche. 7 In Francia esistono due tipi di master, uno generale e l’altro professionalizzante. Il dibattito in corso tende oggi a delegittimare questa distinzione e a orientarsi a favore di un unico tipo di laurea, che accorpi in sé le due componenti. 8 Nel 2007 il finanziamento ammontava 23,7 miliardi di euro, aumentato del 3,5% rispetto all’anno precedente e rappresenta il 1,2% del PIL e il 2,3% della spesa pubblica. Il finanziamento medio per studente nel 2007 era pari a 10.150 euro, con forte variabilità fra 13.890 euro per studente di grandes écoles e 8.970 per studente universitario.

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Le imprese contribuiscono per il 4,8% al finanziamento dell’istruzione superiore, compresa la taxe d’apprentissage. Fanno eccezione alcune grandes écoles, come l’INP di Grenoble, dove il finanziamento alla ricerca proveniente dalle imprese si aggira intorno al 30%. Il complessivo ritardo dei finanziamenti privati all’istruzione superiore francese riguarda in particolare il settore delle università e la sfera dell’insegnamento, che ha tradizionalmente suscitato poco interesse da parte delle imprese rispetto al settore della ricerca, specie se applicata. L’ambito tecnico-scientifico dell’ingegneria e del management beneficiano di maggiori supporti da parte dei soggetti economici esterni. La questione dei finanziamenti privati è complessa e, nonostante la partecipazione delle imprese stia gradualmente intensificandosi, almeno nei settori della scienza e della tecnica, permangono difficoltà e resistenze al cambiamento. Un primo aspetto problematico deriva dal fatto che le imprese continuano a considerare il campo della ricerca di dominio esclusivo dello Stato e in generale si dimostrano restie a partecipare direttamente al finanziamento di ciò che considerano un bene pubblico. Un secondo aspetto contraddittorio riguarda il sistema della fiscalità nazionale, con le forti rigidità istituzionali che contraddistinguono gli scambi economici fra imprese e università, sia in termini di donazioni e finanziamenti, che di regolazione dei rapporti di consulenza da parte dei ricercatori. Entrambi i fattori concorrono a incoraggiare il disimpegno economico delle imprese e il loro comportamento opportunistico. Dallo studio del caso regionale emergono tuttavia alcuni segnali di mutamento, che vanno nella direzione di attrezzare le università o i consorzi di università con delle strutture giuridicamente autonome, in modo da poter essere veri e propri attori economici indipendenti, più liberi di agire anche nei rapporti con il mondo economico9

Sebbene si sia avuto un incremento della quota di finanziamento privata, il coinvolgimento del mondo economico resta insufficiente. Sviluppi più significativi si sono registrati nell’ambito della ricerca, attraverso i contratti industriali, la cooperazione nei poli di competitività e altri dispositivi per la valorizzazione della ricerca.

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4. Il rinnovamento della governance universitaria La Francia, come anche l’Italia, si trova oggi ad affrontare una fase di transizione, da una forma di governo del sistema di istruzione superiore centrata sullo stato e sulle oligarchie accademiche, a un modello di ispirazione anglo-sassone, meno autoreferenziale e più orientato al mercato, estraneo alla tradizione di questi paesi.

9 Gli studenti di dottorato ora possono stipulare dei contratti di consulenza con le imprese, regolarmente retribuiti (vedi scuole di ingegneria di Grenoble); si stanno costituendo nelle università dei gruppi di interesse (GIP), come Grenoble Université, o la Maison de l’entrepreunariat, e le strutture di valorizzazione della ricerca assumono veri e propri statuti che permettono loro di avere un’attività economica e di essere fiscalmente regolate in modo trasparente.

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Nelle università francesi il ruolo degli attori esterni, provenienti dal mondo economico sta crescendo. Un’accelerazione del processo di riforma della governance proviene dall’ultima legge sulle università (LRU del 2007), che prevede un incremento delle prerogative dei rettori10 (présidents), il cui mandato è di quattro anni; un ampliamento dell’autonomia degli atenei; una maggiore apertura dei tre Consigli statutari11 alla partecipazione di attori esterni12

I mutamenti del sistema di governo hanno riguardato principalmente le università e solo marginalmente le Grandes Écoles, che mantengono inalterate le loro prerogative, dato che il tema della riforma degli statuti di università e grandes écoles non è stato seriamente affrontato da questa legge.

, rappresentanti delle istituzioni locali, della sfera economica e delle professioni.

Se da un certo punto di vista esse rappresentano l’anello forte del sistema, avendo avuto per tradizione un rapporto più stretto con il mondo economico e produttivo, è anche vero che una gran parte di esse rischia di avere dimensioni troppo ridotte per poter competere in uno scacchiere internazionale. Come emerge sia dalla letteratura che dagli attori intervistati, le grandes écoles hanno oggi caratteristiche anacronistiche perché, oltre ad essere spesso troppo piccole, sono ancora vincolate dal sistema di inquadramento delle imprese francesi e della pubblica amministrazione e quindi si rapportano a un panorama più locale-nazionale che transnazionale. Proprio sul tema dell’eccessiva frammentazione del sistema di istruzione, si è sviluppata una forte pressione politica del ministero, a favore dell’aggregazione delle istituzioni d’istruzione superiore e di ricerca in strutture come i PRES (Pôles de Recherche et d’Enseignement Supérieur)13

L’iniziativa del ministero di costituire i Pres, attraverso la legge sulla ricerca del 2006, ha aperto la via a un nuovo processo di ricomposizione del settore universitario, che si era fortemente frantumato negli ultimi venticinque anni, offrendo alla comunità dell’istruzione superiore un nuovo strumento di mutualizzazione delle attività didattiche e di ricerca e delle risorse umane ed economiche. La creazione dei Pres favorisce la crescita della dimensione delle università francesi, dando loro una migliore visibilità internazionale. Il forte impulso del governo nell’incitare e finanziare il progetto di raggruppamento di

che, riunendo al loro interno università e grandes écoles (44 università, 38 grandes écoles e 5 altre istituzioni) diventano espressione di un modello convergente, che dovrebbe portare al superamento della dualità del sistema francese.

10 Come è stato sottolineato (Boffo, Dubois, Moscati 2008), la legge LRU prefigura un nuovo modello “presidenziale” di governo delle università più centrato sul ruolo del rettore (président), che assume su di sé le funzioni deliberative e legislative. 11 Il consiglio di amministrazione -CdA, organo deliberativo che vota il bilancio; il consiglio scientifico -CS, che si pronuncia sulla ricerca; il consiglio degli studi e della vita universitaria - CEVU, che si occupa della didattica e della vita universitaria. 12 La composizione del consiglio di amministrazione è stata ridotta, da 60 a 30 membri, con l’inclusione di 8 personalità esterne all’università; nel Cevu sono presenti 4 membri esterni su 40. 13 Nel 2009 in Francia i PRES erano 15 e possono essere delle vere e proprie fusioni di università, come è il caso di Strasbourg, oppure più simili ad una federazione che associa strutture di istruzione superiore e di ricerca di natura differente, come è il caso di Lyon e di Grenoble.

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università è molto visibile nel caso regionale studiato, sia nella città di Lione che di Grenoble (entrambe sedi di PRES). Appare chiaro che l’intero sistema francese trarrebbe dei vantaggi da un avvicinamento dei due segmenti, senza che si debba verificare una perdita di identità da parte di entrambi. La prospettiva sarebbe piuttosto quella di acquisire spazi strategici e d’immagine comuni. Il sistema delle convenienze, in rapporto alla prospettiva di un forte coordinamento istituzionale, organizzativo e gestionale, varia in relazione alla posizione di rendita in cui si trovano le singole università, o piccoli gruppi di università: è naturale che le situazioni più deboli e più isolate avrebbero solo da guadagnare ad appartenere a un PRES, mentre la prospettiva di associarsi è meno attraente per le istituzioni che occupano già un posto privilegiato e visibile nel paesaggio francese14

Nonostante in Francia si stia affermando un modello di governo più solido a livello locale, lo spazio occupato dal Ministro dell’istruzione superiore e della ricerca e dalla complessa burocrazia ministeriale, è ancora elevatissimo.

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Esperti del settore hanno la convinzione che l’università avrà sempre gravi difficoltà a rinnovarsi dall’interno, poiché quello francese è un sistema che continua a generare domanda di regolazione pubblica (Cahuc 2008). A questo proposito molte delle testimonianze raccolte mettono in luce il ruolo propulsivo del Ministero nel processo di cambiamento, in cui la riforma LMD -legittimata dal processo europeo di Bologna- è stata utilizzata per portare avanti obiettivi nazionali. Alcuni ipotizzano il ritorno di una fase di centralizzazione del controllo -attraverso adattamenti locali e riforme collaterali- in controtendenza rispetto alla fase di crescita dell’autonomia delle università degli anni novanta (Rey 2007). 5. La riorganizzazione dell’offerta formativa Sollecitata dal processo di Bologna del 1999, la riforma dei cicli universitari, che in Francia prende il nome di LMD (licence, master, doctorat)15

La fase di riforma (durata dal 1999 al 2001) si è accompagnata ad un’intensa consultazione fra il ministero e gli stakeholders. Al centro del progetto riformatore vi era l’intenzione di transitare al nuovo assetto organizzativo potendo contare su di un forte consenso economico e sociale. Le trasformazioni

, è stata interamente applicata nel giro di qualche anno. Questa riforma è stata recepita dal governo allora in carica come un volano per favorire l’integrazione europea, l’internazionalizzazione degli studi superiori e come l’occasione politica per aumentare la propria (scarsa) influenza sulle grandes ècoles.

14Negli anni recenti, come conseguenza della dinamicità del contesto economico-industriale e della ricerca, si sono intensificati i rapporti bilaterali fra singole università e imprese. Complessivamente è aumentato il volume di risorse derivanti dai contratti di ricerca, dai dispositivi della formazione continua e da altre attività che consentono di migliorare la loro visibilità e reputazione. La creazione di canali privilegiati nel rapporto con l’ambiente economico locale, comporta che le singole università possano avere delle resistenze a mettere in comune il patrimonio costruito nel tempo. 15 Nell’anno accademico 2009-2010 gli studenti iscritti all’università erano 1,252 milioni di studenti, di cui 700.000 a livello licence, 477.000 a livello master e 69.000 a livello dottorato.

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introdotte sono state molto significative per le università, mentre hanno mantenuto quasi inalterato il settore delle grandes écoles. Le università fino ad ora hanno puntato sui livelli alti (master e dottorato), segmenti più interessanti agli occhi dei docenti, ai fini della ricerca e del reclutamento, mentre hanno investito con minore intensità sul livello licence. Questo spiega il motivo della campagna ministeriale a favore di un rilancio delle lauree triennali (piano licence). Secondo gli interlocutori il nuovo sistema di insegnamento superiore, apparentemente semplice nella sua filosofia, si rivela complesso nella sua applicazione. Esso implica di rinforzare l’orientamento agli studenti, di mettere a punto dei sistemi più fini di selezione, di puntare sull’occupabilità, e quindi sulla trasmissione di competenze più che di conoscenze, e sollecita l’uso di nuovi strumenti didattici e formativi (seminari, laboratori, stage e alternanza, supporti tecnici-informatici) e l’ingresso in una logica concorrenziale, del tutto estranea alla tradizione francese. Tutti questi aspetti comportano enormi sforzi, sia culturali che di risorse, specialmente nel caso di un sistema addormentato e sotto dotato finanziariamente come quello francese. Tuttavia, come è avvenuto in altri paesi europei, questa fase di trasformazione istituzionale del sistema non è stata accompagnata da una “riforma pedagogica”, vale a dire da una seria riflessione sul ruolo dell’insegnamento superiore e degli insegnanti e sui contenuti didattici e formativi all’interno di un ambiente universitario riformato. Nello studio sul campo si è rilevata una generalizzata resistenza al cambiamento da parte della maggioranza del corpo accademico francese, che continua a mettere in primo piano la sua indipendenza e libertà e a temere quella che viene percepita come una vendita dell’università agli interessi privati e un orientamento della ricerca fondamentale al servizio dei soli progetti industriali applicati. Forte è anche il timore di una iper-burocratizzazione delle università, come conseguenza dell’imposizione della logica della valutazione e dell’audit manageriale. Secondo alcuni studiosi intervistati la riforma ha portato a un progressivo processo di isomorfismo istituzionale nel quale le specificità delle università si vanno perdendo: tutte tendono ad assomigliarsi e molti pensano che la gerarchia si fonderà allora solo sulla reputazione e sulla capacità di ottenere finanziamenti. Nella fase attuale la competizione fra le Università è segnata da una frammentazione dell’offerta formativa (Semenza 2009) e alcune sedi hanno difficoltà a raggiungere sia quantitativamente che qualitativamente uno standard da vera università. Tale problema è rafforzato dall’andamento demografico negativo degli anni passati, che tende a ridurre ulteriormente il numero di studenti in alcune sedi universitarie locali, già di dimensioni ridotte. In seguito alla riforma LMD si è determinata una ristrutturazione dell’offerta formativa che tende oggi alla creazione di nuovi tipi di formazione di carattere più generale e multidisciplinare (pluri-lettres, langues, science humaines, pluri-sciences). Si è inoltre passati da una concezione della formazione di conoscenze e competenze individuali, fondate su di una più lunga fase di istruzione primaria, ad una più recente idea di istruzione e formazione distribuite lungo l’arco della vita lavorativa.

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Sul piano dell’insegnamento, secondo gli attori interpellati, la parte del sistema universitario che funziona meglio è quella a vocazione professionale fondata sull’apprendistato, che prepara a tutti i mestieri, ad eccezione di quello della ricerca. Su un totale di 2,3 milioni di studenti iscritti al sistema di istruzione superiore, il settore professionalizzante comprende non soltanto i 300 mila studenti delle grandes écoles, ma anche più di un milione fra studenti delle filiere IUT, iscritti alle lauree professionali (licences professionnelles) e alle lauree magistrali professionalizzanti (corrispondenti ai loro “master professionnels”). Vi sarebbe dunque una paradossale contraddizione fra un settore composto dal ramo professionalizzante interno alle università e dalle grandes écoles, che dispone degli studenti migliori, in base al diritto di selezione, e un settore universitario, che dispone invece dei migliori insegnanti e ricercatori. Un fattore nuovo che si sta diffondendo è la realizzazione di corsi di laurea comuni a diverse università, tipicamente le “licences professionnelles”, che sono lauree brevi orientate al mercato del lavoro. A livello di dottorato molti cambiamenti stanno avvenendo in questi ultimi anni. Solo le università (dello stato) e soltanto alcune grandes écoles, che sono membri fondatori dei PRES, sono abilitate a rilasciare un dottorato (dato che la condizione per essere membro fondatore è legata proprio alla possibilità di rilasciare un dottorato). Le scuole dottorali sono organizzate dunque nell’ambito dei PRES. Ad esempio in quello di Lione le scuole dottorali sono state trasferite nel quadro di un Collegio Dottorale Internazionale, che ne assicura il coordinamento. In tal modo, la gestione delle formazioni dottorali è stata attribuita ai PRES, a cui spetta anche l’organizzazione della logistica e del finanziamento. Le scuole dottorali, quindi, accolgono gli studenti di differenti istituzioni di istruzione superiore. Nell’impianto istituzionale francese permane l’anomalia derivante dal fatto che l’università rappresenta l’unico segmento non selettivo del sistema, che ha sopportato il peso della massificazione dell’istruzione superiore, senza essere stata dotata delle risorse necessarie per evitare gli effetti di dispersione e di inefficienza16

che la contraddistinguono.

6. I servizi agli studenti Come in altri contesti europei in Francia si è assistito a una forte espansione del numero di studenti durante le ultime decadi del secolo scorso, ma a una espansione non altrettanto significativa della domanda di lavoro qualificato. 16 Secondo i dati del Ministero (Mensr 2007) solo il 37% di una coorte d’età arriva alla laurea triennale (licence), mentre la media Oecd è del 53% (66% negli Stati Uniti e 70% nei paesi scandinavi). Il tasso di insuccesso nel primo anno, momento in cui avviene la selezione all’interno delle università, è pari al 50% (vale a dire che uno studente su due abbandona dopo il primo anno di università); 90.000 studenti all’anno lasciano il sistema di istruzione superiore senza laurea o diploma e 1 anno dopo la laurea il 53% dei laureati/diplomati universitari (bac+4) cercano ancora lavoro.

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Questo ha portato a un peggioramento del mercato del lavoro dei laureati che si è tradotto in un aumento della disoccupazione, in maggiori difficoltà nel processo di transizione al mercato del lavoro che si protrae nel tempo, in problemi di sovra-qualificazione dell’offerta e di mismatch occupazionale (Giret, Céreq 2007). Queste difficoltà sono collegate ad altri effetti nel mercato del lavoro giovanile, come la perdita salariale (-10%), il crescente grado di insoddisfazione e l’elevato turn-over, la scarsa congruenza tra contenuti formativi e mansioni aziendali. In seguito all’applicazione della riforma LMD (1999) tutte le università francesi si sono dotate di servizi diretti agli studenti e al loro inserimento nel mercato del lavoro (stage, orientamento e collocamento, osservatori sugli sbocchi occupazionali, canali e occasioni di contatto con il mondo delle imprese) o li hanno comunque incrementati dove già esistevano. Di norma negli atenei esistono delle strutture trasversali che svolgono varie funzioni di servizio: l’orientamento al lavoro e la preparazione all’inserimento professionale (ad esempio insegnando come si costruisce un curriculum vitae, come si affronta un colloquio di selezione, come si consultano banche dati sulla domanda di lavoro); l’assistenza nella definizione del “progetto professionale”, che è obbligatorio nella grande maggioranza dei corsi di studio e che deve essere approvato e discusso da professionisti o responsabili d’impresa; l’assistenza nella ricerca di stage, attraverso uffici dedicati, che possono essere anche decentrati nelle facoltà e nei dipartimenti. L’incentivo ad attrezzarsi verso il mercato deriva dal fatto che la qualità di questi servizi, rivolti a migliorare il grado di occupabilità dei laureati, è oggetto di valutazione ministeriale e costituisce uno dei criteri per la distribuzione delle risorse. La pressione ad un adeguamento di tali servizi è molto sentita dai docenti intervistati, che sottolineano in modo unanime la maggiore apertura verso l’esterno da parte delle filiere professionalizzanti, dove questi servizi sono a regime da tempo. L’attenzione verso l’ambiente economico e i percorsi di formazione in alternanza sono una consuetudine nelle grandes écoles, in particolare nelle scuole di ingegneria e di management, caratterizzate da un forte legame con il mondo delle imprese, nelle filiere professionalizzanti del sistema universitario (IUT, licence professionnelle, dipartimenti di gestione aziendale) e nelle facoltà scientifiche. Nelle università invece, i servizi in questione risalgono a tempi più recenti, sono meno completi e più circoscritti ad alcuni ambiti. L’attività di orientamento nelle scuole viene fatta solo sporadicamente, mentre sarebbe particolarmente importante in Francia dove la grande maggioranza degli studenti diplomati tende a iscriversi automaticamente all’università (77.2%), pur sapendo che si verifica una selezione consistente fra il primo e il secondo anno. All’interno di un panorama differenziato in base al tipo di istituzione terziaria, risultano carenti le attività di monitoraggio sugli sbocchi occupazionali dei laureati (ad eccezione delle grandes écoles che dispongono di annuari aggiornati sui loro diplomati e sulle rispettive attività lavorative) e poco diffuse le azioni di collocamento, cioè i servizi di incontro domanda e offerta di

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laureati. Questi due aspetti diventano tanto più rilevanti se si tiene conto delle criticità che connotano il mercato del lavoro dei giovani in Francia. Nel sistema francese la pratica degli stage (anche internazionali) è ben consolidata in alcuni segmenti dell’istruzione superiore e sta prendendo piede anche in molte università, sebbene in modo non uniforme fra le diverse sedi e aree disciplinari all’interno delle stesse università. In generale le licences, i master professionali e gli IUT prevedono sempre l’obbligo di stage, mentre più sporadica è la pratica dello stage nei settori disciplinari di tipo letterario-umanistico e nelle università scientifiche, anche per la non chiarezza sullo statuto degli stagisti (disciplinato dal recente decreto n. 96 del 2008). La gran parte dei testimoni ha messo in luce questo problema17

L’internazionalizzazione dei curricula, ma anche degli stessi stage, è divenuto un obiettivo molto sentito in Francia e dei progressi significativi sono stati compiuti soprattutto dalle università in scienze umane e sociali.

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Le università caratterizzate da una buona dimensione internazionale dispongono di attività e strutture per far conoscere la propria offerta formativa anche all’estero18

.

7. La ricerca e il mondo delle imprese

Il settore della ricerca in Francia, se comparato a quello dell’insegnamento, appare più innovativo, più efficiente, più organizzato e soprattutto più aperto verso l’ambiente economico esterno, come è naturale che sia. Dal punto di vista del mutamento istituzionale questo settore è stato riformato di recente con la legge quadro sulla ricerca “Loi de programme pour la recherche del 2006” e il successivo “patto per la ricerca”, e con l’introduzione di un’agenzia nazionale della ricerca (ANR) che opera attraverso una moltitudine di comitati di esperti molto specializzati disciplinarmente, che si riuniscono frequentemente e che decidono l’attribuzione delle risorse in base a criteri di valutazione dei progetti. Viene introdotto per la prima volta il principio della concorrenza, che si discosta completamente dal vecchio modello di redistribuzione “politica” delle risorse pubbliche, allocate sotto forma di budget standard attribuiti per mantenere gli organismi di ricerca -personale e strutture e vengono potenziati i finanziamenti. Con la crescita di un vero e proprio mercato della ricerca, cresce anche il ruolo dei finanziamenti privati e ciò sollecita la messa a punto di criteri più precisi sugli output attesi e quindi sulla necessità di nuovi e più adeguati criteri di valutazione della ricerca stessa, all’interno delle università.

17 Dal punto di vista legislativo i tirocini, di durata compresa fra le 4 settimane e i 12 mesi, possono essere convenzionati, se sono previsti nel corso di studi, o facoltativi e hanno procedure di attivazione diverse: più regolamentati e a volte retribuiti i primi, più liberi i secondi, tanto che gli accordi sono stabiliti direttamente tra lo studente e l’impresa. 18 Ad esempio, all’INSA di Lione, grazie alle sue filiere internazionali orientate all’Europa, America Latina e Sud-est asiatico, vi è una forte presenza di studenti stranieri (intorno al 25%), e il servizio internazionale si occupa di presentare la scuola agli studenti liceali all’estero.

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Il paesaggio della ricerca francese è dunque in piena ricomposizione. Dietro questi cambiamenti sembra esservi un obiettivo, più o meno esplicitato, di allineare il settore della ricerca a un “modello americano”, basato sulla concorrenza fra le grandi università e sull’interfaccia fra ricerca e imprese. Sul piano della ricerca, la parte più rilevante della produzione avviene all’interno delle università, in quelle strutture miste laboratori-università, dove si disegnano le conoscenze del domani. Secondo gli interlocutori intervistati, un ulteriore aspetto che sta cambiando il panorama delle università nei suoi rapporti con il mondo socio-economico, riguarda l’investimento che si sta facendo sui sistemi di valorizzazione dei risultati della ricerca nelle università francesi. In particolare negli ultimi tre anni e soprattutto nelle università scientifiche, che sono più dotate di risorse economiche, si stanno sviluppando, anche grazie alla legge del 1997 sull’innovazione, delle vere e proprie strutture indipendenti, con uno statuto giuridico privato, che si occupano non soltanto di gestire i contratti con le imprese, ma anche di gestire la proprietà intellettuale dei brevetti e la valorizzazione degli stessi. Esemplificativo è il caso della struttura di valorizzazione della ricerca Floralis dell’Università Jean Fourier-Grenoble 3, nata nel 2004, che, oltre a occuparsi della gestione dei brevetti, dei contratti, della creazione d’impresa (attraverso l’incubatore Grain) sta sperimentando nuove forme di valorizzazione. Una nuova modalità è la creazione di laboratori misti, università-imprese, basati sulla condivisione quotidiana del lavoro di ricerca per tutta la durata di un progetto (in media di 4-5 anni) che permette la circolarità e il trasferimento delle competenze scientifiche. Una seconda modalità è la sperimentazione delle “piattaforme tecnologiche”, come ad esempio Minatec a Grenoble, che si sono create all’interno dei laboratori di ricerca e che sono dotate di attrezzature estremamente sofisticate e costose, che le imprese non potrebbero permettersi. La struttura di valorizzazione, diretta da personale accademico altamente specializzato, con competenze anche di tipo manageriale e di gestione dei brevetti, si occupa di vendere un servizio che non si limita a fornire degli strumenti tecnologici, ad esempio di ingegneria molecolare, ma che vende anche le competenze ad essi associate. Dal 2005 il ministero ha lanciato la nozione di “poli di competitività” che sono dei centri di attività economica, pilotati dai grandi industriali, finanziati dal ministero e da risorse europee, che si sono diffusi in tutta la Francia19

Nei poli di competitività le imprese, i laboratori, e le écoles definiscono insieme i diversi aspetti dei progetti, a cui poi lavorano in partenariato. I poli di competitività, i cui legami con i PRES saranno in prospettiva rafforzati, si distinguono in tre categorie -internazionali, a vocazione internazionale o a vocazione prevalentemente regionale- e funzionano da strutture di valorizzazione della ricerca. I risultati possono essere messi a frutto dalle stesse imprese partner, all’interno di un rapporto negoziale fra le parti. Il CIADT (Comité interministériel pour l'aménagement et le développement du territoire), presieduto dal primo ministro francese ha riconosciuto il marchio di

.

19 A Grenoble ad esempio ne esistono tre: uno nel campo della micro-elettronica, uno sulla micro-nano tecnologia e uno sull’energia; a Lione ce ne sono cinque, di cui due di livello internazionale.

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“polo di competitività” a 71 strutture, di cui 11 si trovano nella regione Rhône-Alpes. In Francia, oltre a tali strutture federative, esiste un ulteriore strumento nel quadro della ricerca e del trasferimento dei suoi risultati costituito dalla rete degli istituti Carnot. Il dispositivo Carnot si colloca nel Patto per la Ricerca, integrato dalla legge di programma per la ricerca del 2006, che ha tra i suoi obiettivi prioritari quello di favorire il trasferimento di tecnologia, il partenariato tra laboratori pubblici e imprese, e lo sviluppo dell’innovazione. Gli istituti Carnot sono infatti diretti a rispondere ai bisogni d’innovazione delle imprese, al fine di contribuire a dinamizzarne l’attività e sostenere la loro competitività, attraverso il trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie per mezzo di collaborazioni e contratti di ricerca con i partner economici. Attraverso strutture innovative e capaci di offrire servizi altamente qualificati, dotate di una carta di qualità riconosciuta, si rafforzano i legami con il tessuto economico locale, si crea sviluppo e occupazione. Secondo gli interlocutori interpellati questa strada costituisce la spia di una nuova apertura delle università verso l’esterno e di un interessamento nuovo delle imprese verso il mondo della ricerca accademica. 8. Spunti conclusivi L’università francese sta entrando –suo malgrado- in un mondo di concorrenza che non aveva mai conosciuto in precedenza, sollecitata anche dalla competizione innescata dalle classificazioni internazionali di Shanghai e dell’Oecd (tabella 9). La forte pressione esercitata dall’ambiente esterno, europeo e mondiale, pone oggi delle sfide improrogabili che, a detta degli attori implicati, potrebbero essere un’opportunità unica di trasformazione più radicale, dopo moltissimi anni di complessivo immobilismo del sistema, ad eccezione dei piccoli progressi compiuti dalle università. Le Università francesi, che nel corso del tempo hanno avuto fasi alterne di visibilità istituzionale, hanno imboccato un percorso lento e graduale, ma continuativo, indirizzato in un primo tempo verso la loro rinascita istituzionale e successivamente verso una progressiva conquista di autonomia. Tuttavia, numerosi studiosi e attori locali e nazionali hanno la convinzione che l’università avrà sempre gravi difficoltà a rinnovarsi dall’interno, poiché quello francese è un sistema che continua a generare domanda di regolazione pubblica. A questo proposito molte delle testimonianze raccolte mettono in luce il ruolo propulsivo del Ministero dell’Università e della Ricerca nel processo di cambiamento, che ha approfittato della riforma dei cicli di studio (LMD) -sollecitata dal processo europeo di Bologna - per “spingere” i propri obiettivi nazionali e investire maggiormente in questo settore. La riforma è stata applicata in pochi anni in tutto il territorio francese, anche se i necessari cambiamenti che le nuove regole impongono hanno un andamento molto più lento. Gli attori interpellati sottolineano come i micro-cambiamenti siano decisamente più numerosi e più efficaci di quelli macro delle grandi riforme, anche se meno visibili sul piano mediatico.

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Dal punto di vista dei rapporti con l’ambiente economico esterno il sistema francese di istruzione superiore appare assai difforme. Le differenze si riscontrano non tanto e non solo fra i due grandi sistemi di istruzione (università e grandes écoles), ma anche fra le filiere curricolari professionalizzanti e le filiere di formazione generale, fra le facoltà scientifiche e quelle in scienze umane. Il grado di maggiore apertura verso il mondo economico dei settori professionalizzanti dell’istruzione superiore, sia universitari che di altre istituzioni, si ricava da una serie di indicatori che vanno dai servizi agli studenti, all’utilizzo di dispositivi di alternanza studio-lavoro, all’uso di stage e progetti professionali in impresa, alla formazione continua, fino naturalmente al campo della ricerca, dove si sono ottenuti i risultati migliori. Dall’indagine empirica svolto nella regione Rhône-Alpes è emerso infatti che gli aspetti più interessanti riguardano il rinnovamento del settore della ricerca, grazie allo sviluppo di strutture e dispositivi (poli di competitività, clusters, agenzie di valorizzazione e filiali universitarie) che hanno rafforzato le relazioni con i soggetti economici, specialmente nell’ambito della ricerca tecnico-scientifica applicata. Più problematico resta il coinvolgimento degli attori esterni nella ricerca di base e nei settori delle scienze sociali. Gli attori del mondo esterno sono invece complessivamente poco implicati nella progettazione della didattica, anche se è significativo il rapporto con le istituzioni d’istruzione superiore riguardo all’articolazione di progetti professionali e alla presentazione di testimonianze da parte di professionisti e soggetti dell’universo economico. Il sistema francese si caratterizza per la predominanza dei finanziamenti pubblici all’istruzione superiore, e per una gerarchia nell’attribuzione delle risorse a vantaggio di Grandes Écoles e settori tecnico-scientifici. Sebbene si sia avuto un incremento della quota di finanziamento privata, il coinvolgimento del mondo economico resta insufficiente, specialmente riguardo alla sfera della didattica. Bibliografia Bellon B. (2007) « Les classements mondiaux des universités » Futuribles N°330

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Boffo S., Dubois P., Moscati R. (2008), Gouverner les universités en France et en Italie, Paris, L’Harmattan.

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Rey O. (2007), “Les «petits mondes» universitaires dans la globalisation”, in Dossier d’actualité, n. 29 (septembre), pp. 1-12.

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Appendice

Indicatori del sistema di istruzione superiore in Francia Tabella 1 - Numero di università e di altre istituzioni di istruzione terziaria N. università e altre istituzioni di istruzione terziaria

N. università e altri istituti terziari per milione di abitanti

N. università e altri istituti terziari per milione di studenti

83 università 444 Grandes Écoles

8,4 (1,3 solo università)

247,3 (38,9 solo università)

Fonti: MESR (per il n. di istituti); Eurostat (per il n. di studenti). Nota: il dato ministeriale sulle Grandes Écoles comprende 224 Scuole d’ingegneria e 220 Scuole di management. Inoltre, esistono in Francia delle Écoles anche per altre discipline, tra cui 9 Istituti di studi politici (“Sciences Po”), 4 Écoles Nationales Vétérinaires (ENV) e 4 Écoles Normales Supérieures (ENS, che fanno parte delle Scuole della Funzione Pubblica). L’istruzione terziaria ha anche luogo in altre numerose strutture (stimate dal MESR in circa 3000), che comprendono le C.P.G.E. (Classi preparatorie alle Grandes Écoles) e le STS (Sezioni di tecnico superiore), per il conseguimento del BTS (Brevet de technicien supérieur). Tabella 2 - Numero di corsi di studio attivati per livello, numero di università, numero di abitanti, numero di studenti

I livello II livello Ciclo unico TOTALE N. corsi di studio di 1° e 2° livello attivati / N. università

N. corsi (tutti gli istituti terziari) per milione di abitanti

N. corsi di studio di 1° e 2° livello ogni mille studenti

3.078 1.350 450 4.878 58,8 77,4 2,3

Fonte: MESR. Nota: dei corsi di primo livello, 1.620 sono professionalizzanti. I corsi a ciclo unico sono Diplomi d’ingegneria, che hanno durata quinquennale e sono equiparati ai Master, e che sono suddivisi in 210 indirizzi. Il numero di corsi di studio per milione di abitanti e ogni 1.000 studenti è sottostimato. Mancano infatti i dati sui corsi nelle Grandes Écoles. Tabella 3 - Numero di dottori di ricerca (2006)

Anno Valore assoluto Numero di dottori di ricerca per milione di abitanti

2006 9.818 155,8

Fonte: Eurostat.

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Tabella 4 - Tasso di laureati tra la popolazione dei 25-34enni, anni 2006 e 1999

Anno ISCED 5A, 5B e 6 ISCED 5A e 6

2006 41 24

1999 31 15

Fonte: OECD, Education at a glance, 2008 e 2001. Nota: La classificazione internazionale dei programmi di istruzione terziaria, la ISCED-97, distingue tre tipi di corsi: ISCED 5A, 5B e 6. L’ISCED 5A si riferisce a quei corsi di carattere prevalentemente teorico, che consentono di proseguire gli studi nei programmi di ricerca di livello avanzato e di accedere alle professioni che richiedono competenze elevate. I corsi hanno in genere durata almeno triennale. L’ISCED 5B si riferisce invece a corsi generalmente più brevi, di carattere più pratico, di contenuto più tecnico o volti a formare particolari professioni. L’ISCED 6 concerne i programmi di ricerca di livello avanzato, che generalmente richiedono la presentazione di una tesi (come ad esempio il dottorato). Nella pratica, però, i confini tra 5A e 5B sono piuttosto sfumati. Tabella 5 - Tasso di ingresso all’università nel 2025, proiezioni OECD (2005 = 100)

Anno Scenario 1 Scenario 2

2025 106 127

Fonte: OECD, Higher education to 2030, Vol. 1: Demography, Paris, OECD-CERI, 2008. Nota: il primo scenario ipotizza che non vi siano cambiamenti nella numerosità in entrata e nei tassi di sopravvivenza; il secondo prospetta invece una massificazione dell’istruzione terziaria. Tabella 6 - Tasso di laureati nel 2025, 25-64enni, proiezioni OECD (in percentuale)

Tasso di laureati 2005 Scenario 1

(10 anni)

Scenario 2

(20 anni)

Scenario 3

(30 anni)

Valori % 25 45 41 38

Fonte: OECD, Higher education to 2030, Vol. 1: Demography, Paris, OECD-CERI, 2008. Nota: il primo scenario si basa sul trend della variabile “tasso di laureati tra i 25-64 anni” negli ultimi dieci anni, il secondo su quello degli ultimi venti anni, e il terzo scenario su quello degli ultimi trenta anni.

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Tabella 7 - Andamento del tasso di completamento (Completion rate) e durata media degli studi

Anno Tasso di completamento Durata media degli studi

2005 64 4,02

2000 59 -

Fonti: per l’andamento del tasso di completamento: OECD, Education at a glance (vari anni). Per la durata media degli studi: OECD, Education at a glance, 2008. Nota: Completion rate in tertiary education = Number of graduates divided by the number of new entrants in the typical year of entrance. Tabella 8 - Servizi agli studenti

Disponibilità di residenze universitarie in percentuale sugli studenti (2001)

Studenti (ISCED 5A) che non usufruiscono né di borse di studio, né di prestiti agevolati, val. % (2004/05)

Spesa in servizi agli studenti universitari (trasporti, pasti, housing) in percentuale sul Pil (2005)

7% 70% 0,08%

Fonti: per i dati sulle residenze universitarie: Biggeri, L. e Catalano, G. (a cura di), L’efficacia delle politiche di sostegno agli studenti universitari, Bologna, il Mulino, 2006. Per i dati su borse di studio e prestiti agevolati, nonché per quelli sulla spesa in servizi agli studenti: OECD, Education at a glance, 2008. Nota: il valore relativo a borse di studio e prestiti agevolati si riferisce a tutta l’istruzione terziaria (ISCED 5B + ISCED 5A e 6). Nel rapporto MESR, L’état de l’Enseignement Supérieur et de la Recherche (2007), pp. 16-17, si dice che il 30% degli studenti nella rentrée del 2006 ha beneficiato di un aiuto finanziario diretto. Tabella 9 - Atenei francesi presenti nei ranking internazionali

Atenei francesi Shanghai (ARWU)

(Top 500)

Times-QS (Top 500)

Leiden ranking1 (Top 250)

Taiwan (Top 500)

Valori assoluti 23 23 23 21

% sul totale degli atenei francesi

27.7% 27.7% 27.7% 25.3%

Nota: le università telematiche sono escluse dal conteggio degli atenei nazionali. 1 Leiden Green list. Questo ranking tiene conto delle diverse dimensioni degli atenei, ed è su scala europea.

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Tabella 10 - Tasso di disoccupazione dei laureati (1998, 2006)1

Laureati 25-64enni disoccupati

Anno

1998 2006

Tasso di disoccupazione 6,6% 5,1%

Differenza in punti percentuali - 1,5

Fonte: OECD, Education at a glance, 2008. 1 Segmento di 25-64enni disoccupati come percentuale sulla forza lavoro dei 25-64enni, per titolo di studio. Tabella 11 – Distribuzione dei livelli retributivi della popolazione tra i 25 e i 64 anni a seconda del titolo di studio, per diplomati e laureati (2006)

Titolo di studio % lavoratori con salario minore o uguale alla metà del valore mediano

% lavoratori con salario minore del salario mediano

% lavoratori con salario maggiore del salario mediano

% lavoratori con salario maggiore di due volte il valore mediano

Diplomati 10,6 54,9 45,1 5,1

Laureati 7,0 15,9 84,1 26,6

Fonte: OECD, Education at a Glance, 2008. Nota: Purtroppo i dati riportati non evidenziano le ricadute salariali delle lauree per le ultime coorti di giovani, ma fanno riferimento a una popolazione disomogenea, che comprende numerose generazioni. La popolazione di laureati considerata corrisponde al livello ISCED Tertiary Type A e a programmi di ricerca avanzati. Tabella 12 - Distribuzione dei laureati (ISCED 5A e 6) nei diversi campi di studio

Anno Salute e welfare

Scienze della vita,

fisica e agricoltura

Matematica e

informatica

Scienze umane, arte e

istruzione

Scienze sociali,

economia e diritto

Ingegneria

2005 8.8 8.8 5.9 19.1 44.8 12.6

2000 2.9 13.3 5.5 27.3 39.5 11.2

Fonte: OECD, Education at a glance, 2008.

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Tabella 13 - Composizione della docenza, per tipo di posizione

Enseignants-chercheurs Enseignants du second

degré

Enseignants non

permanents

Totale complessivo

Assistants titulaires

Maître de conférences

Professeurs

Totale in ruolo

155 37.334 20.072 57.561 13.408 18.729 89.698

Fonte: MESR, L’Etat de l’Enseignement supérieur et de la Recherche, n. 1, novembre 2007, pp. 20-21. Nota: i valori si riferiscono all’anno accademico 2006/07. Circa l’80% delle posizioni sono a tempo indeterminato. Il dato comprende solo i docenti dipendenti del ministero, per cui mancano i ricercatori del CNRS, che spesso insegnano negli atenei, e i docenti delle Grandes Écoles dipendenti da altri ministeri. Tabella 14 - Stipendi lordi mensili dei docenti nel 2007 (in euro)

Post-doc/ Research assistant/

Instructor (min-max)

Researcher/ Lecturer/

Assistant professor (min-max)

Associate professor/ Senior lecturer/

Reader (min-max)

Full professor (min-max)

2.100 2.068-4.388 2.998-4.388 3.741-6.015

Fonte: MESR. Nota: il valore per la categoria dei ricercatori post-dottorali si riferisce alla posizione di ATER (attaché temporaire d’enseignement et de recherche) a tempo pieno. I valori per i ricercatori immessi in ruolo corrispondono alle retribuzioni previste per i maîtres de conférences. Quelli seguenti rappresentano gli stipendi previsti rispettivamente per i professori della seconda classe, e per quelli della prima classe e di quella eccezionale. Si tenga poi presente che le cifre indicate in tabella costituiscono la parte indiciaire della retribuzione, a cui si aggiungono le indennità, che corrispondono al 10% della retribuzione lorda; possono inoltre essere percepiti altri incentivi come il PRP (prime de responsabilités pédagogiques) e il PEDR (prime d’encadrement doctoral et de recherche). Tabella 15 - Spesa per istruzione terziaria in percentuale sul PIL e rapporto studenti (equivalenti a tempo pieno) / docenti (2005)

Anno Spesa / PIL Studenti / docenti

2005 1,3 17

Fonte: OECD, Education at a glance, 2008. Nota: riguardo al calcolo del rapporto studenti / docenti sono escluse le istituzioni private indipendenti.

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Tabella 16 – Spesa per istruzione terziaria e tasse universitarie (in dollari PPP)

Spesa per istruzione terziaria per studente equivalente a tempo pieno nel 2005

Spesa per istruzione terziaria per studente nel corso della carriera, anno 2005

Tasse universitarie negli atenei pubblici (ISCED 5A), anno accademico 2004/2005

10.995 44.202 160-490

Fonte: OECD, Education at a glance, 2008. Nota: per le tasse universitarie, i dati ministeriali francesi riportano per gli anni più recenti i seguenti valori: 175-300 euro nelle università, 500-700 euro nelle Grandes Écoles pubbliche (esclusa la sicurezza sociale, che ammonta a 195 euro). 500mila studenti beneficiano di borse di studio, pari ad una spesa di circa 4,7 miliardi di euro. Tabella 17 - Finanziamenti privati all’università

Anno Finanziamenti privati in percentuale sul PIL

Finanziamenti privati sul totale dei finanziamenti al sistema di istruzione terziaria

Finanziamenti privati totali

Escluso il contributo delle famiglie

2005 0,2 16,4 6,1

Fonte: OECD, Education at a glance, 2008 (si veda la tabella B3.2b per i dati sui finanziamenti privati sul totale dei finanziamenti al sistema di istruzione terziaria)