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ADA ADA | Roma | [email protected] Benni Bosetto Selected Press

Benni Bosetto Selected Press - ada-project.itada-project.it/wp-content/uploads/2017/06/BenniBosetto_Selected... · mente soggettivo che ha la funzione di indagare l’essere umano

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Benni Bosetto Selected Press

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Benni Bosetto, Kali e il serpente, 2017. Dettaglio. Inchiostro indiano su stoffa. 360 × 250 cm. Courtesy l’artista.

Benni Bosetto (Milano, 1987; vive ad Amsterdam) indaga concetti quali contrasto e ambiguità tra realtà e finzione attraverso la creazione di dispositivi che raccolgono insieme disegno, scultura, installazione e per-formance. La sua ricerca dà forma a una narrazione inedita e intangibile, situata tra l’onirico e il reale, in cui sembra possibile sperimentare una dimensione comunicativa primaria grazie a un linguaggio pre-verbale che interessa il gesto e il corpo, elemento centrale nella pratica dell’artista. Un particolare aspetto della sua ricerca si concentra sulle relazioni variabili che scaturiscono dal rapporto tra opera, spazio e pubblico.

BENNI BOSETTOLaura Perrone | 340 Luglio-Settembre 2018

Laura Perrone: Vorrei aprire questo dialogo partendo dai dispositivi narrativi che caratterizzano la tua pra-tica artistica. Nascono da un processo di decostruzione, riassemblamento e restituzione dei materiali che scegli di raccogliere, attivando una ricerca che spazia dal materico-formale al letterariomitologico. Ci puoi parlare del processo che accompagna la costruzione di un tuo lavoro?Benni Bosetto: Raccogliere informazioni, storie e immagini provenienti da fonti differenti e apparentemente scollegate, corrisponde alla creazione di un serbatoio da cui attingo per sviluppare un linguaggio pura-mente soggettivo che ha la funzione di indagare l’essere umano. Tali fonti sono selezionate mediante un metodo puramente intuitivo e si convertono in “hypercollegamenti” e “hyper-narrazioni”, in cui etnologia, antropologia, leggende, miti, fatti di cronaca e credenze religiose vengono utilizzati come strumenti di la-voro, come una sorta di tavolozza dei colori. Raccolgo, assemblo e combino immagini che vengono infine analizzate e decodificate attraverso il disegno, ed è mediante il disegno che subiscono una trasformazio-ne, liberandosi dal peso della storia, dei contenuti originari, del futuro o del passato che rappresentano. Questo processo si manifesta in una forma-pensiero di tipo narrativo, strettamente connessa allo spazio in cui dovrò intervenire.

Nella tua ultima personale, “Gli imbambolati” (2018) presso ADA Project a Roma, elementi scultorei in ceramica sono innestati all’interno del disegno di una griglia prospettica. Le minuziose linee del reticolato si estendono da pavimento a parete. È qui che il disegno si arricchisce di alcuni elementi architettonici che sembrano convergere in una dissoluzione sempre più forte del reale. Qual è la relazione che lega il disegno allo spazio? Nell’ultima fase della produzione di un mio lavoro, il disegno deve confrontarsi con lo spazio fisico per espandersi nella terza dimensione. L’obiettivo di questa fase è far entrare in contrasto immaginazione e realtà, andando a creare un’esperienza di sospensione per lo spettatore. Quando vidi per la prima volta la galleria, immaginai fin da subito un’installazione scultorea a pavimento. In questa cornice, il disegno della griglia mi ha permesso di utilizzare gli archi come elementi di rottura prospettica, andando così a formaliz-zare quell’uscita dal reale che permetteva allo spettatore un’immersione totale nella narrazione.

Stabilisci delle regole da rispettare nel tuo processo di creazione?Per me è importante che ogni processo avvenga tramite il mio corpo e i miei limiti, per questa ragione ten-do a utilizzare i media tradizionali. Ovviamente questo può comportare dei compromessi legati al tempo, alla fisica, alle mie possibilità. Ad esempio con l’installazione Allegro ma non troppo (2018), che ho prodot-to per la mostra collettiva “That’s IT!” al MAMbo di Bologna, ho pensato a una grande vetrata leggera, “fai da te”, in gomma PVC e stoffa; forse perché credo che l’arte non debba più spaventare, come è stato nel passato, né dimostrare che le cose siano impossibili da compiere.

Come mai nei tuoi lavori prevale la scelta di una palette neutra?Non usando il colore il gesto non subisce modifiche né deviazioni, rimane fedele all’immagine pura e si rafforza. Comunque, non considero questa scelta come un’imposizione nel mio lavoro. Infatti, parte dell’in-stallazione presentata al MAMbo è stata rivestita con un tessuto color carne. Il colore in questo caso è diventato essenziale ed è la chiave comunicativa dell’opera.

La presenza del gesto nella tua pratica artistica è preponderante; lo ritroviamo nel tratto che realizzi con il disegno, nei corpi dei performer che abitano i tuoi lavori, così come in alcuni elementi che caratterizzanole tue installazioni. Cosa ricerchi esattamente attraverso il gesto?Attraverso il linguaggio visivo cerco di distruggere il normale codice di comunicazione, dando spazio allacreazione di un pre-linguaggio di tipo affettivo. In questa ricerca, il gesto è una sorta di codice vivente; è lo strumento con cui riesco a concepire il legame tra immaginazione e realtà. Nel mio lavoro, il disegno è quel punto di transizione in cui gli elementi narrativi si uniscono con il tentativo di trasformare differenti realtà in una materia unica, incerta e ambigua; attraverso il gesto mi approccio al corpo nascosto, ovve-ro a ciò che tendiamo a evitare, ciò che ci infastidisce, che è troppo banale, troppo alto o troppo basso. È quell’elemento in cui entrano in gioco dimensioni più lontane, impossibili da comunicare attraverso le parole.

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Un ulteriore elemento che mi colpisce della tua ricerca è la riflessione sull’utilizzo del corpo da parte dell’uomo contemporaneo. In alcuni dei tuoi lavori tale riflessione è restituita attraverso performance se-mi-statiche. Ad esempio, in We burn our dreams to stay warm (2017) e in Florida (2016), ritroviamo perso-naggi sospesi nell’inoperosità, una permanenza in se stessi che Giorgio Agamben teorizza come forma di resistenza a un potere che invece attualizza, mette in opera e attiva1. Come si situano nel tuo lavoro ozio, inerzia, riposo?Quando ho deciso di utilizzare delle figure umane nelle mie installazioni intendevo mettere in luce l’im-portanza del corpo inerte e passivo come generatore benefico di un’altra forma di intelligenza dinamica: l’immaginazione. Volevo mostrare la possibilità di una diversa prospettiva della realtà, aperta e semplice da comprendere, rallentando e dilatando la percezione del tempo al quale siamo abituati.

La relazione e il contrasto che riesci a creare tra spazio pubblico e spazio dell’intimità nei tuoi dispositivi narrativi producono una sospensione del tempo cronologico che permette di entrare in sintonia con un tempo a-storico, capace di far percepire la durata che scorre in noi. Che genere di esperienza contemplati-va speri di attivare in chi osserva i tuoi lavori?Da sempre cerco di utilizzare un linguaggio intimo e a-temporale tramite una comunicazione di tipo rituale. La prima volta che ho presentato dei disegni su tessuto con il lavoro Teared up, teared down, teared apart, with a big smile on the face, esposto ad Amsterdam nel 2017 durante una mostra collettiva notturna nata da una collaborazione tra il Sandberg Institute e il De School, i disegni di grandi dimensioni (350 x 260 cm) rappresentavano figure antropomorfe e mitologiche, scene sacrificali e rituali di purificazione. Erano appesi alle pareti di una grande stanza che aveva una vetrata dalla quale si poteva vedere all’interno. Nella stanza si poteva accedere uno per volta, e i disegni erano filtrati da una torcia che ogni visitatore indossa-va sulla fronte. Come in una caverna, i segni erano esplorati grazie alla temporalità propria a ogni singolo corpo in movimento. Era una sorta di rituale animistico dove i personaggi disegnati erano attivati da una carica catartica. In questo caso ciò che mi interessava era la relazione che si veniva a creare tra opera ed esperienza del pubblico, interno ed esterno allo spazio espositivo. Volevo interrogarmi sulla relazione tra osservatore e opera e domandarmi se la condizione di intimità con l’opera restituisse qualcosa di più forte dell’opera stessa.

1 Giorgio Agamben, L’uso dei corpi. Homo sacer, IV, 2, Neri Pozza, Vicenza 2014.

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Benni Bosetto, Gli Imbambolati, 2018. Ceramica. 56 x 51 x 8 cm. Fotografia di Roberto Apa. Courtesy ADA, Roma.

Il disegno è il comune denominatore nella pratica di Benni Bosetto, che collega con un tratto grafico gestiperformativi, ambienti decorati e sculture curvilinee.Nella personale “Gli Imbambolati” presso ADA, l’artista ha utilizzato disegno e scultura per creare unambiente site specific, tipologia di intervento ormai ricorrente all’interno del suo lavoro; questa volta peròtutti gli elementi in mostra sono letteralmente uniti da una griglia nera che si estende irregolarmente sullesuperfici dello spazio espositivo.La rete modulare – solitamente centrale nella costruzione della prospettiva – trasforma la stanza in un’u-nica amalgama priva di riferimenti percettivi, sottraendo allo spettatore il senso di profondità e realizzandocosì una paradossale illusione ottica. Dalla maglia geometrica spuntano accenni di architetture impossibili,in cui colonne e archi sono disposti in maniera innaturale. Lo straniamento è ulteriormente alimentato dallaconnotazione di basamenti e capitelli, arricchiti da ornamenti antropomorfi come piedi, nasi e deretani, chea loro volta rimandano a simbologie alchemiche cinquecentesche. La scenografia, realizzata in grafite pa-stosa, risulta eterea e sospesa, e il gruppo scultoreo che la abita pare affiorare da alcune nubi ideali, quasimanieristiche. Le figure, tutte realizzate in ceramica bianca non invetriata, hanno una texture calda, porosae opaca che le stacca nettamente dal fondo: si tratta di una folla, disseminata in gruppetti dove i personag-gi, accalcati malamente gli uni sugli altri, sono rappresentati solo attraverso volti e mani caricaturali. Tutti

BENNI BOSETTO ADA / ROMAZoe De Luca | 11/04/2018

sono raffigurati di profilo e orientati verso destra, osservando e indicando qualcosa che si trova al di fuoridella scena rappresentata, in un ennesimo depistaggio fruitivo. Le mani non si limitano però a indicare: conl’avvicinarsi dell’invisibile fulcro d’interesse, le dita iniziano a chiudersi sulle bocche e a infilarsi nelle narici,rendendone i proprietari tanto espressivi quanto volgari, oltre a suggerire che il soggetto dell’attenzionecollettiva sia fonte di un odore sgradevole. Delle piccole mosche nere, sistemante attorno ai volti più vici-ni all’epicentro maleodorante, sottolineano il carattere ludico con cui il tema iconografico della folla vienetrattato. La moltitudine di riferimenti alla storia della pittura europea culmina infine in un uovo, sempre inceramica, che pende dal soffitto richiamando esplicitamente Piero Della Francesca; anche qui però nonmanca un dettaglio – un ano stilizzato sull’estremità inferiore dell’ovoide – per traslare la citazione compun-ta in ironica finezza.

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Benni Bosetto, Installation view. Fotografia di Roberto Apa. Courtesy ADA, Roma.

A group of bas-relief sculptures stick out the floor: here we are, on the border between sky andclouds. Suspended in the zero-gravity cloud zone and at the same time flattened by the weight ofthe sky, raised heads emerge from a packed crowd. All their astonished gazes are focused on acertain point, somewhere higher, out of the scene.

We don’t know if these figures are experiencing a catastrophe or a miracle. Maybe an eclipse hashypnotized them. Some of them are afraid and confused, some others show an enraptured smileor a dopey expression. We don’t know why they are there, in the clouds.

In this tragicomic scene something solemn seems to happen even though the characters’ carica-tural poses suggest the presence of a bad smell; so intense to oblige them to hold their nose. Ontheir cheeks some flies are lured by the stink.

BENNI BOSETTO GLI IMBAMBOLATIZoe De Luca | 11/04/2018

Maria Vittoria Di Sabatino

This grotesque scene is suspended in an imaginary architecture in which the absence of three-di-mensional references embrace all the space. Just like in dreams, between reality and appearance,this artificial set-up made out of lines and blind arches bring the viewer into a reverse perspectivezone in which space-time continuum is denied.

Benni Bosetto’s work is based on fragmented narrations overlaps in which anthropology, religionand iconology are merged with art history references, drawing images open to interpretation. Theartist considers her production as a collection of narration about the human being and its relationwith the body. In this collective overview, freed by time, instincts such as weakness, violence,happiness and perversion are mise-en-scene. Bosetto examines the conventional codes of com-munication, by exploring a pre-logical visual language. Her artistic practice combines drawing,sculpture, installation and performance, always involving the body and its gesture. Benni Bosetto’swork aims to create an immersive cathartic experience in which the viewer is absorbed in a non-hi-storical theatrical setting.

In Gli Imbambolati, Benni Bosetto has made several references to the European pictorial and lite-rary tradition. For example we can observe analogies between the crowd theme and the paintingEcce Homo by Hieronymus Bosch; furthermore, the egg hanged on the ceiling refers to the Pala diBrera by Piero Della Francesca. Clouds are identified by Aristophanes’s of the same name come-dy, using Socrates’s voice to describe clouds as goddesses of lazy slackers (Gli Imbambolati).

CreditsCourtesy of ADA, RomePhotos by Roberto Apa

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Benni Bosetto, Installation view. Fotografia di Roberto Apa. Courtesy ADA, Roma.

A group of bas-relief sculptures stick out the floor: here we are, on the border between sky and clouds.Suspended in the zero-gravity cloud zone and at the same time flattened by the weight of the sky, raisedheads emerge from a packed crowd. All their astonished gazes are focused on a certain point, somewherehigher, out of the scene.

We don’t know if these figures are experiencing a catastrophe or a miracle. Maybe an eclipse has hyp-notized them. Some of them are afraid and confused, some others show an enraptured smile or a dopeyexpression. We don’t know why they are there, in the clouds.

BENNI BOSETTO AT ADA07/05/2018

In this tragicomic scene something solemn seems to happen even though the characters’ caricatural posessuggest the presence of a bad smell; so intense to oblige them to hold their nose. On their cheeks someflies are lured by the stink.

This grotesque scene is suspended in an imaginary architecture in which the absence of three-dimensionalreferences embrace all the space. Just like in dreams, between reality and appearance, this artificial set-upmade out of lines and blind arches bring the viewer into a reverse perspective zone in which space-timecontinuum is denied.

Benni Bosetto’s work is based on fragmented narrations overlaps in which anthropology, religion andiconology are merged with art history references, drawing images open to interpretation. The artist consi-ders her production as a collection of narration about the human being and its relation with the body. In thiscollective overview, freed by time, instincts such as weakness, violence, happiness and perversion are mi-se-en-scene. Bosetto examines the conventional codes of communication, by exploring a pre-logical visuallanguage. Her artistic practice combines drawing, sculpture, installation and performance, always involvingthe body and its gesture. Benni Bosetto’s work aims to create an immersive cathartic experience in whichthe viewer is absorbed in a non-historical theatrical setting.

In Gli Imbambolati, Benni Bosetto has made several references to the European pictorial and literary tra-dition. For example we can observe analogies between the crowd theme and the painting Ecce Homo byHieronymus Bosch; furthermore, the egg hanged on the ceiling refers to the Pala di Brera by Piero DellaFrancesca. Clouds are identified by Aristophanes’s of the same name comedy, using Socrates’s voice todescribe clouds as goddesses of lazy slackers (Gli Imbambolati).

Benni Bosetto (Milan, 1987), lives and works in Amsterdam. She graduated at Accademia di Brera in Milanand she studied at the Sandberg Institut in Amsterdam. Recent shows include: 2017 – ADA, Rome; ArtVerona collateral project, organized by Mauro de Iorio; Dome, Milan, curated by Ginevra Bria; Tile ProjectSpace, Milan; Placentia Arte, a project by Roberto Fassone. 2016 – DAMA, Turin, performance curated byLorenzo Balbi; De Appel Art Center, Amsterdam; Marselleria, Milan. 2015 – Fanta Spazio, Milan. 2014 – IlCrepaccio, Milan. Residencies at the Pavillon des Indes (Paris, 2016) and VIR Via Farini, (Milan, 2014).

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Sweep away sweep anyway, the end of the world will never come, 2017Convento de los Domenicos, Ayuntamiento, Ibiza

A cura di Caterina Molteni

I mantra sono antichi strumenti del pensiero, formule magiche che agiscono sul corpo e sulla mente di chi le esercita, offrono protezione e aiuto in specifici momenti della vita. Queste espressioni cadenza-te e mormorate nel nostro cervello generano particolari stati di assenza di pensiero in cui il linguaggio viene distrutto per permettere il veicolare di altre forme di energia. Le parole recitate diventano azioni che danno forma al soggetto, lo proteggono e ne custodiscono il destino. Paradossalmente, nel mondo contemporaneo il processo di creazione di queste ‘parole di pensiero’ non passa unicamente dalla loro trasmissione orale, esse si possono generare automaticamente nella nostra mente per fronteggiare una situazione sfavorevole. “Sweep away sweep anyway, the end of the world will never come” è in questo senso un mantra. Quando nel corso della vita ci si trova a ripetere quotidianamente la stessa azione,un’azione che ci abbatte interiormente e che asseconda le nostre sofferenze, ecco che affiorano i nuovimantra: formule contemporanee per trasformare azioni sistematiche in pratiche di meditazione, di inten-sità, di cura del sè.

Il viaggio e il progetto a Ibiza nasce da questa semplice necessità: curarsi e riprendere contatto con la propria identità dopo mesi di lavoro quotidiano, in ufficio, in un bar,pulendo case. Se le formule ci ave-vano tenuto in vita alimentando il nostro pensiero, ora un’azione concreta doveva rimetterci in equilibrio con noi stesse. Il Chiostro de Los Domenicos, ex convento e oggi sede del Municipio della città diEivissa, è stato scelto come luogo in cui praticare questo rito. Con 19 grandi disegni su tessuto e altri teli bianchi, è stata costruita una grande installazione che ci avvolgeva raccontando storie di miti, rituali di gruppi e riti di passaggio.

Il lavoro di Benni Bosetto è basato sulla sovrapposizione di narrazioni frammentarie e attinge Benni Bosetto ha realizzato ogni disegno a partire dalla lettura di studi etnografici e antropologici su culturenon occidentali, raccogliendo testimonianze iconografiche di riti, simboli religiosi e forme di ‘fabbricazio-ne dell’umano’ che avvengono attraverso precise pratiche sul corpo. Parallelamente ha iniziato a individuare altre forme di ritualità che soprattutto in Occidente si svolgono in momenti non riconosciuti dalla società. Privi di sacralità religiosa, i nuovi riti si basano sulla condivisione sia di intense azioni fisiche che di momenti intimi esorcizzati dall’esecuzione in gruppo.Guardando al rito, la riflessione si è rivolta alla natura delle emozioni e alla violenza con cui queste si ma-nifestano durante il corso della vita umana. La costruzione di questa grande narrazione doveva servire per ricostruire le condizioni di una catarsi collettiva, riconoscendo la natura delle emozioni, che per primi i Greci avevano sfidato con il teatro pubblico.

La conoscenza che abbiamo praticato durante quei giorni è stata una presa di coscienza che avviene attraverso il corpo, la stessa che condividono tutti i soggetti che animano il racconto di “Sweep away sweep anyway, the end of the world will never come”. Esiste infatti un tipo di conoscenza che fa del corpo lo strumento per ricevere informazioni e sviluppare una forma di memoria automatica e pre-razio-nale. Sebbene il suo esercizio avvenga quotidianamente in modo inconsapevole, oggi viene a mancare quando il rapporto con la realtà è sempre più mediato e sterilizzato. Diventa così necessario creare situazioni e messe in scena per rompere questa neutralità sensoriale, per poi tornare di nuovo in ufficio,al bar, a pulire case, ripetendo il nostro mantra. “Sweep away sweep anyway, the end of the world will never come”.

Caterina Molteni

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Benni Bosetto, 2016, Courtesy: the artist

“Il Live Program non vuole essere una “pausa” nella visita delle diverse gallerie che partecipano a DAMA ma un modo per portare avanti una riflessione tematica coerente, “strappando” tempi e spazi in uncontesto diverso.”

Dopo le interviste con Giorgio Galotti e Domenico De Chirico – rispettivamente ideatore di DAMA e il cura-tore che ha selezionato le gallerie partecipanti – ora è il turno di Lorenzo Balbi, curatore del programma di performance che si susseguiranno da mercoledì 2 novembre, giorno dell’opening, a domenica 6 novembre.Cinque gli artisti invitati a confrontarsi con gli spazi di Palazzo Saluzzo Paesana: Benni Bosetto, Valentina Vetturi, Luca Resta, Flavio Favelli e Elena Mazzi.

DAMA | LIVE PERFORMANCE PROGRAMINTERVISTA CON LORENZO BALBIElena Bordignon | 21/10/2016

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ATP: Nel contesto di DAMA, ti occupi del Live Program della manifestazione. Da dove nasce il tuo progettoe con quale criterio hai scelto gli artisti?

Lorenzo Balbi: Il programma di DAMA Live è stato concepito e realizzato insieme a artisti italiani delle ulti-me generazioni e a Kabul Magazine e si sviluppa intorno al dibattito culturale derivato dall’uscita, tre annifa, del Manifesto Accelerazionista di Alex Williams e Nick Srnicek e in particolar modo alle conseguenze estetiche e concettuali suscitate da questo fenomeno che ha fotografato in maniera nuova il contesto stori-co in cui viviamo.Il concetto di Accelerazionismo prevede che il solo modo per superare il capitalismo di questi ultimi decen-ni, causa di sempre maggiori disuguaglianze sociali e iperconservatorismo, è accelerare ulteriormente. Se,invece di opporci e cercare vie alternative, spingessimo i meccanismi del capitalismo oltre i limiti, avremmo due possibili conseguenze: la dissoluzione del vecchio modello, determinato dalla sua incapacità di rinno-varsi e comprendere scenari nuovi e più complessi, oppure l’implosione dell’intero sistema con il risultato diaprire il campo a nuovi orizzonti di progresso.A partire da questa teoria, è emersa fin da subito un’estetica peculiare, caratterizzata da uno slancio ver-so il futuro e dal rifiuto di qualsiasi forma di nostalgia. Una forza creativa che ha coinvolto diversi ambitiartistici, dalla musica al teatro alle arti visive. Questo fenomeno ha provocato reazioni e commenti, che cispingono a riflettere sul valore dell’immagine e sul tema dell’innovazione a tutti i costi. L’uso del tempo e lavelocità della condivisione sono temi centrali nel dibattito accelerazionista, soprattutto in ambito artistico: la superproduzione di immagini in altissima definizione, mobili o statiche ma spesso piatte e svuotate disignificato, si contrappone allo sforzo e alla spesa per la loro produzione. Le opere di DAMA Live indaganoquesta reazione ai temi dell’Accelerazionismo e per questo la selezione è stata effettuata pensando alleopere piuttosto che ai singoli artisti.

ATP: Come hai strutturato il programma delle performance?

LB: Il Live Program di DAMA si divide in due momenti: il Kabul magazine DISPLAY, screening video e sessione di ascolto sui temi dell’Accelerazionismo a cura del magazine Kabul e la mostra di opere installa-tivo-performative di artisti italiani. KABUL magazine – DISPLAY è un metodo di ricerca e approfondimentoche utilizza differenti media per analizzare, visualizzare e circoscrivere un’area tematica. Considerandola curatela come un processo di ricerca non esclusivamente legato all’ambito artistico, KABUL magazinepropone una selezione di materiali video, audio e testuali per tentare di ricostruire i principali dibattiti sul contemporaneo ed estendere la possibilità di inserirli in progetti espositivi.In occasione di DAMA, KABUL magazine presenterà, la sera di sabato 5 novembre, un intervento diffusonegli spazi di Palazzo Saluzzo Paesana, costituito da uno screening video, una sessione di ascolto e una serie di materiali testuali distribuiti gratuitamente. Il tema della ricerca sarà l’Accelerazionismo e i risvoltiche esso, dal 2013 a oggi, ha generato nella cultura e nella società contemporanea.La seconda parte del programma è costituita dalle opere a prevalente carattere performativo di cinque artisti italiani: Benni Bosetto, Valentina Vetturi, Luca Resta, Flavio Favelli e Elena Mazzi. Le opere “invade-ranno” gli spazi di Palazzo Saluzzo Paesana durante i giorni della fiera, secondo un programma che pre-vede che ogni giorno di mostra venga dedicato all’opera di un unico artista. La riflessione sulla modalità daadottare per allestire una mostra di performances e sul significato da attribuire a questo medium è al centrodel dibattito artistico in Italia e coinvolge intensamente le nuove generazioni: è stato uno dei motivi genera-tivi dell’intero progetto.

ATP: Il luogo che ospita DAMA è molto particolare e fortemente connotato. Avete pensato uno spazio dedi-cato alle performance o saranno dislocate in luoghi diversi?

LB: Pensare di allestire una fiera in un palazzo barocco, con i soffitti affrescati e le pareti rivestite di tap-pezzeria damascata, è una scelta in controtendenza. Lo stesso pensare a un programma di performances,effimere e non commercializzabili, all’interno di una manifestazione dal carattere prettamente commerciale.Questa riflessione sul contesto è alla base della proposta del Live Program che ha la peculiarità di inserirsinegli spazi interstiziali del palazzo barocco che ospita DAMA, cioè negli spazi inutilizzati, negli angoli non illuminati, non assegnati ad alcuna delle gallerie presenti.

Il pubblico non troverà stanze dedicate o white-cubes in cui guardare opere allestite e “incorniciate”; dovràletteralmente mettersi in gioco e lasciarsi incuriosire dal modo in cui gli artisti hanno scelto di rapportarsi allo spazio che avevano a disposizione, al come lo hanno sfruttato e trasformato.Il Live Program è stato concepito come progetto coerente e diffuso, sia nella temporalità specifica dellamostra, sia nella geografia degli spazi: non vuole essere una “pausa” nella visita delle diverse gallerie chepartecipano a DAMA ma un modo per portare avanti una riflessione tematica coerente, “strappando” tempie spazi in un contesto diverso.

ATP: Le performance sono state studiate per questa occasione o sono delle riproposte?

LB: Facendo capo ad un unico tema portante ho pensato, insieme agli artisti, di unire nuove produzioni a lavori esistenti ma rimodulati in base alle caratteristiche degli spazi di DAMA: Mercoledì 2 novembre, in oc-casione della serata di opening, Benni Bosetto (Merate, Lecco, 1987. Vive e lavora a Milano e ad Amster-dam) porterà all’estremo la riflessione sull’utilizzo del tempo per l’uomo contemporaneo nella performancesemi-statica There’s nothing to do anymore, let’s have a siesta! (2016), in cui alcuni performers dormirannonello spazio espositivo, ponendo a contrasto intimità e spazio pubblico, sottolineando l’importanza (estre-mizzata nelle teorie accelerazioniste) dello stato di riposo e di inattività fisica per l’essere umano in gene-rale e per gli artisti in particolare. Il sonno come fondamento per la riorganizzazione dell’immagine e delpensiero; una rivendicazione del ruolo del riposo (e della libertà della noia) in contrasto con la totale frene-sia ed incessante desiderio di dimostrazione da parte dell’uomo occidentale di essere sempre produttivo,efficace, cool, e “nel posto giusto al momento giusto”.

Giovedì 3 novembre sarà la volta di Primo Movimento (La Mossa di Ettore) (2014-2016), installazione sonora di Valentina Vetturi (Reggio Calabria, 1979. Vive e lavora a Bari, Bruxelles e Ginevra). L’opera siispira alla partita di scacchi, giocata il 5 Ottobre 2014 su invito dell’artista, tra il Grande Maestro Lexi Ortega(Camaguey, 1960) e il Maestro Fide Massimiliano Lucaroni (Latina, 1969). Nella partita è stata introdottauna mossa dedicata alla figura di Ettore Majorana (1906-1938?), il fisico nucleare intorno alla cui misterio-sa scomparsa si annidano molte ipotesi. Le voci dei giocatori ripercorrono la partita nel cosiddetto dibattitopost mortem fino a giungere al finale: la mossa che traduce sulla scacchiera la scelta dello scienziato che,in seguito al coinvolgimento nel possibile sviluppo della fissione nucleare, avrebbe scelto di sottrarsi a unevento potenzialmente disastroso.

In una stanza di Palazzo Saluzzo Paesana venerdì 4 novembre sarà allestita Studio per una lista #2 (2016) di Luca Resta (Seriate, 1982. Vive e lavora a Marsiglia), opera sonora sviluppata a partire dal romanzodi Italo Calvino Le città invisibili. Partendo dall’idea di catalogazione, l’artista ha scomposto manualmentel’intera struttura lessicale del libro, ordinando tutte le parole presenti nel romanzo, punteggiatura compresa,in capitoli sulla base della loro ricorrenza nel testo (nel primo capitolo tutte le parole presenti nel testo una sola volta, nel secondo quelle presenti 2 volte, nel terzo quelle presenti 3 volte e così via). Questa cataloga-zione compone le pagine di un nuovo libro letto poi da due computer. La duplice lettura non è sincronizza-ta, ma si ripete con una sfasatura di 30 minuti. L’installazione sonora, prodotta in occasione di DAMA, è ungioco sonoro, ritmico, ripetitivo ed ossessivo, che dialoga con lo spazio e i suoi visitatori.

La sera di sabato 5 novembre, dopo lo screening/ sessione di ascolto a tema Accelerazionismo a cura diKabul Magazine, sarà il momento della performance Danzica di Flavio Favelli. L’artista interverrà personal-mente con un’azione sull’opera Mondo Operaio (2014-2016) allestita per l’occasione nel cortile di PalazzoSaluzzo Paesana. Colpirà ripetutamente la scultura di pianali di ferro con due palloni di plastica, gli stessiche si usavano vent’anni fa per giocare nei cortili. Il suono dei colpi sulla lamiera vuota ricorda il rimbombomediatico di tempi passati in cui la lotta operaia era ben presente e rimane viva nella memoria dei ragazzi degli anni Settanta.

“Danzica – dice Favelli – è un nome leggendario di vicende remote che evoca un’idea di industria pesan-te, tipica dei paesi dell’oltre Cortina di Ferro. Ho sempre pensato che in qualche parte di qualche piazzaledi una grance fabbrica o di un porto, c’è qualcuno che tira un pallone contro un muro o un container cheecheggia di un suono grigio”.

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Domenica 6 novembre, ultimo giorno di DAMA, sarà la volta di The financial singing, lavoro video di ElenaMazzi (Reggio Emilia, 1984. Vive e lavora a Venezia), in cui una cantante interpreta un grafico rappresen-tante l’andamento dell’economia occidentale capitalista, restituendo la portata sociale ed emotiva di crisieconomiche che hanno segnato il corso del Novecento. Il lavoro prende forma a seguito della lettura dellibro del fisico danese Per Bak How nature works in cui si definiscono strategie di analisi positive delle crisie delle catastrofi sia da un punto di vista umano che naturale, trovando affinità comuni e creando ritmi earmonie, lunghe accelerate e brusche frenate.

ANTENNA SPACE, Shanghai – Yu HongleiCINNNAMON, Rotterdam – Isabelle Andriessen / Johanne HestvoldDREI, Colonia – Cédric EisenringGIORGIO GALOTTI, Torino – Sarah Jane Hoffmann / Piotr SkibaMAXIMILLIAN WILLIAM, Londra – Magda SkupinskaNEOCHROME, Torino – Stephanie HierNEUMEISTER BAR-AM, Berlino – Priscilla TeaTOBIAS NAEHRING, Lipsia – Sophie Reinhold / Jan BünnigWSCHÓD, Varsavia – Mateusz Chòrobski / Daniel KoniuszYAUTEPEC, Città del Messico – Calixto Ramírez

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Benni Bosetto “Florida” at TILE Project Space, Milan, 2016. Courtesy: TILE Project Space. Photo: F. Giacinti

Whenrealityisn’tquiteenoughforus,webegintoexploreourownassociations,contemplatingcon-terfectualsandfictivescenariosthatonlyexistwithinthehead.

The project consists in creating a narrative device composed of several elements: a set design, characters, symbolic elements and a pending estate script. Building a fictional space, the artist clears the imagination ofreconstructing the story from its origins through the use of drawing, the first tool of the human expression,and paper.

The environment has been designed as a domestic sanctuary where Greek columns, arches and a tropical nature punctuate the background. Two characters lay in the center of the room, menjoying helplessly the benefits of eternal fountain of youth.?Florida is a real place as well as a visualized one, it’s provoked by themind wandering, a particular activity of thought, essential to create and produce new ideas. Supposed to be unprofitable, this agency, known also as day dreaming, absorbs human being the 50% of his daytime,becoming therefore one of his fundamental features. The artist, working more on building a narrative image than an encompassing environment, forces the public to stay away from the scene in progress, defining inthis way a physical space that allows each visitor an intimacy with the story and the characters.The contemplative experience is accompanied by inertia and slower pace of the whole mise-en-scene,strengthening both the melancholy tone and the narrative potentiality.

BENNI BOSETTO “FLORIDA”AT TILE PROJECT SPACE, MILAN

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Benni Bosetto, Florida (2016), courtesy TILE project space, Foto Floriana Giacinti – Installation view

“Mi sono ispirata alle varie leggende della miracolosa fonte della giovinezza, a Cranach, a Carlo Magno, arrivando alla storia del conquistatore Juan Ponce de Leon che nel sedicesimo secolo fu mandato nelle americhe dal Re di Spagna alla ricerca della leggendaria fontana magica, in grado di donare bellezza, be-nessere e vita eterna.”

Un atto di seduzione è quello “messo in scena” dalla giovane artista Benni Bosetto, protagonista di un pro-getto impegnativo e complesso ospitato da TILE Project Space. “Florida” è il titolo della sua mostra, inau-gurata pochi giorni fa e visibile fino al 17 ottobre 2016. Nella sua prima mostra personale Bosetto presentaun progetto che “consiste nella creazione di un dispositivo narrativo formato da diversi elementi: una sceno-grafia, personaggi, elementi simbolici e un racconto tenuto in sospeso. (…) Lavorando più sulla costruzionedi un’immagine narrativa che di un ambiente inglobante, l’artista obbliga il pubblico a rimanere a distanzadalla scena in corso, delimitando uno spazio fisico che permette ad ogni visitatore un’intimità con il raccon-to e i personaggi.”Segue un’intervista con Benni Bosetti per approfondire molte sue scelte sia con contenutistiche che espres-sive, come quella del disegno, considerato dall’artista “il mezzo più ribelle, più umano e sincero” con ilquale potesse lavorare in questo momento.

FLORIDAINTERVISTA CON BENNI BOSETTOElena Bordignon | 29/09/2016

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ATP: Partiamo dagli aspetti forse più d’impatto di una mostra, il suo titolo e l’immagine che ne guida laprimissima comunicazione. Florida, è il titolo che hai scelto e, come corollario visivo, una cascata caratteriz-zata dalla colorazione rosa dell’acqua. Perché hai compiuto queste scelte? Come incipit della mostra, chesignificati veicolano?

Benni Bosetto: Quando ci si innamora di qualcuno il processo di seduzione è il primo meccanismo che si crea in una persona, la seduzione è la porta di accesso a un certo tipo di comunicazione, la comunicazione più intima. Etimologicamente sedurre significa portare via con sé, condurre lontano qualcuno o qualcosa equindi sia il titolo “Florida” che l’immagine di una cascata d’acqua rosa hanno avuto il compito principale disedurre e portare lontano, due temi per di più centrali nella mostra.Florida inoltre è il luogo da cui la narrazione del progetto è iniziata. Mi sono ispirata alle varie leggende della miracolosa fonte della giovinezza, a Cranach, a Carlo Magno, arrivando alla storia del conquistatore Juan Ponce de Leon che nel sedicesimo secolo fu mandato nelle americhe dal Re di Spagna alla ricerca della leggendaria fontana magica, in grado di donare bellezza, benessere e vita eterna. Sbarcò in una nuova terra e la chiamò Florida e qui secondo la leggenda trovò questa fonte. Ovviamente non furono mai trovate prove o documenti che attestano la veridicità della storia ma in ogni caso migliaia di turisti ancoraoggi accorrono attratti a visitare e bagnarsi sperando in qualche miracolo.Nella mostra l’elemento liquido accompagna e collega la struttura narrativa e concettuale, presente sia sot-toforma di disegno sia materialmente. La linea è liquida e ogni disegno pare stia per sciogliersi lentamente. C’è poi una piscina di fango acquoso e rosa, che nella narrazione i due personaggi usano per cospargersiil corpo e per impadronirsi così dell’immortale bellezza e quel rosa “soffice” intende proprio descrivere uncerto tipo di calmo benessere, in un tempo lento, quasi immobile proprio come la scena alla quale si sta assistendo.

ATP: La mostra che presenti da TILE è strutturata come un dispositivo narrativo formato da una scenogra-fia, dei personaggi, degli elementi simbolici e un racconto tenuto in sospeso. Perché hai sentito la necessitàdi suddividere questo progetto in diverse parti?

BB: Più che sentire la necessità di dividere direi che il mio bisogno è stato quello di mettere religiosamente“tutto” insieme. E dico religiosamente perche organizzare cose e pensieri in un’unità è utile fondamental-mente a dare un significato a tutte le cose, a cercare e creare una verità.Intendo non solo mettere insieme differenti media come la pittura il disegno l’architettura la scultura, ipersonaggi ma anche creare un legame fra credenze, leggende e mitologie apparentemente disgiunte. Mi sono servita di molti elementi, ho collezionato storie, trovato simbologie e mettendo tutto insieme me ne sono anche liberata, creando così un discorso fluido, unico, aperto e in movimento.

ATP: Disegno e carta: questi, da quello che ho capito, sono gli elementi da cui sei partita per sviluppare l’in-tero progetto. Due elementi espressivi primordiali nella cultura visiva. Perché (in questo momento) ti senti atuo agio con il mezzo del disegno?

BB: Il disegno è il mezzo più diretto, è il mezzo artistico più antico che da sempre aiuta l’uomo a svincolarsidalla realtà, a proteggersi e a cercare di capire ciò che non si può comprendere del tutto. E’ ormai più diun anno che porto avanti una lunga serie di disegni che continuavano a sembrarmi l’inizio di qualcosa eche avrei fin da subito voluto racchiudere in un unico racconto. Cercavo da un anno di metterli insieme e dicomprenderli in una sola unità. E quindi è attraverso questo mezzo che sono arrivata a vedere e immagi-nare il progetto. Ho pensato fosse il mezzo più ribelle, più umano e sincero con il quale potevo lavorare inquesto momento. Ho pensato che se avessi utilizzato materiali più ricercati, più costosi, che tendono allaperfezione avrei mentito a me stessa e agli altri. Invece nel disegno l’errore ed il fallimento vengono per-donati ed è anche per questo che nella mostra ho desiderato evidenziare le azioni più semplici attraverso imateriali più semplici e poveri come la carta, il cartone, la terra, l’acqua, il corpo.

ATP: Perché hai deciso di obbligare il pubblico a rimanere a distanza dalla mise-en-scene?

BB: Innanzitutto in questo progetto la scelta di creare una distanza tra l’opera e l’osservatore accentual’ aspetto fittizio e dissociato rispetto alla realtà, ciò che provoca è una netta distinzione tra il mondo rea-le e il mondo immaginario, tra l’interno e l’esterno, ma anche sottolinea il contrasto tra lo spazio intimo eprivato dei due personaggi all’interno della scenografia che semplicemente riposano sdraiati in attesa oin contemplazione e lo spazio pubblico esterno. Sarebbe la terza volta che pongo l’osservatore davantiun’immagine unilaterale dove non è consentito entrare, dove il punto di vista è unico e distaccato. In RazzleDazzle Love, la performance che ho presentato quest’estate al parco Lambro a Milano, ho dato al pubblico,attraverso un audio da ascoltare al cellulare alcune indicazioni su come raggiugere, come guardare l’opera,per quanto tempo e da che distanza. Il pubblico era anche qui in un certo modo partecicpe attivamente e al contempo passivamente a questa dinamica. Mi piace l’idea di mettere delle regole da rispettare, in ognigioco deve esserci una regola per fare in modo che funzioni, e poi a me capita spesso di rimanere affa-scinata da un immagine lontana, è come se quell’immagine mantenesse il suo segreto, la sua sacralità. Ilmantenimento e l’obbligo di una distanza mentale o fisica alimenta il desiderio. Il pubblico così, trovandosiinerte di fronte alla mise-en-scene ha solamente il compito di assistere alla scena. Forse sta assistendo ad un miracolo, forse a quell’attimo finale in cui tutto sta per finire, non si sa con certezza…

ATP: Di recente hai partecipato ad un progetto collettivo durato poche ore alla Marselleria. Hai presentato un gruppo di ragazze stese tra tessuti e stoffe nell’atto di dormire/riposarsi. Mi raccontavi che è un’azioneche ha dei nessi con la tua mostra da TILE. Mi spieghi brevemente la relazioni tra i due progetti?

BB: In tutti e due i lavori ci sono dei personaggi sospesi momentaneamente dalla realtà, che sdraiati siriposano. La nostra è una cultura dove il riposo e l’atto di non fare nulla sono visti come azioni fallimentaried inutili, perciò cause di sensi di colpa e condanne all’ossessione del lavoro e alla costante necessità diprodurre a volte senza pensare troppo a ciò che si sta facendo. L’importante è fare, lavorare, guadagnare,spaccare ed essere ovunque. Quando in realtà ogni essere umano secondo recenti statistiche spende ilquarantasette per cento del suo tempo a sognare ad occhi aperti. Il vagabondare della mente comunemen-te chiamato “mind wandering” è quindi un’esperienza umana universale fondamentale, apparentementefinalizzata a nulla ma in realtà è un processo di elaborazione e rielaborazione di informazioni di materiale. Ècome se il cervello in quel momento d’inattività fisica fosse in grado di riordinare secondo una propria logicatutte le informazioni raccolte fino a quel momento eliminando il superfluo e collegando immagini e pensierilegati al passato al presente ed al futuro. La noia, lo stato di inerzia è uno stato naturale che porta neuro-nalmente alla creazione ed al collegamento di idee e immagini. Uno stato in grado di creare narrazioni.

Sia in “shhh”, il lavoro che ho esposto a Marselleria sia in “Florida” i personaggi erano quindi la chiave fondamentale per mettere insieme tutti i pezzi del puzzle. In entrambi i lavori, delle ragazze sono intente a non fare nulla, si trovano in uno stato di riposo, di semi veglia o di sonno, non seguono regole posizioni ne coreografie, sono semplicemente lì, in un atto intimo e vulnerabile, raccontando una storia che non ha uninizio né una fine ma che rimane sospesa nel qui ed ora.

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Benni Bosetto, 2016, Courtesy: the artist and Tile Project Space

Dopo Erik Saglia, lo spazio no profit milanese presenta l’opera di altri due artisti.

Benni Bosetto

Il mondo non è mai come vorremmo che fosse, nemmeno in vacanza, nemmeno alle Fiji. Un anno fa eroin Sardegna, il villaggio si chiamava “Hotel Village Eden ”. La vacanza sarebbe durata una settimana. Erail secondo anno che accompagavo mia sorella e le sue due figlie al mare. Ero appena tornata da un impe-gnativo ritiro spirituale, ed ora mi trovavo li, tra animatori iperattivi, bambini urlanti, Milf e padri falliti al ritmoincalzante di Mueve la colita. Le vacanze non sono mai come vorremmo che fossero, ma a un certo punto,sdraiata sul lettino davanti alla piscina schiamazzante dell’hotel, un momento frustrante e noioso si è dimo-strato una rivelazione.

Secondo Jerome Singer humans are daydreaming species. Il vagabondare della mente è un’esperienzaumana universale fondamentale che prende, secondo alcune statistiche, quasi il 50% del nostro tempo.Pratica considerata ancora oggi da molti un’attività altamente fallimentare.

ARTIST-RUN SPACES | TILE PROJECT SPACEBENNI BOSETTO, GIOVANNI OBERTI27/08/2016

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Benni Bosetto – Florida - exhibition view at Tile Project Space, Milano 2016 - photo Floriana Giacinti

Tile Project Space, Milano – fino al 22 ottobre 2016. Ispirata dall’ambiente liquido di via Garian, BenniBosetto sovrascrive la connotazione dello spazio che la ospita, componendo una scenografia fascianteche, a partire dalle linee in bianco e nero, recupera il senso di profondità e di scrittura dei personaggi. Fontiumane che solamente durante l’inaugurazione animano, di carne e moto, il disegno alle pareti.

Florida di Benni Bosetto (Merate, 1987; vive ad Amsterdam) si presenta come un acquario in cui la compo-nente necessaria al mantenimento della vita è stata sottratta, per poi essere immaginata, agita dal pensierovisivo. Alle pareti, a pavimento e attraverso l’intera stanza, l’artista comasca si avvale di enormi fogli dicarta bianca per rivestire ogni superficie, istoriata dai tratti del marker nero, che segna ogni volume testi-moniando la diretta padronanza della mano, di una linea del pensiero. L’ambiente è stato concepito comeuno santuario domestico in cui colonne greche, archi e una natura tropicale falsano la veridicità, l’esistenzadi uno sfondo che rivela richiami precisi al corpo femminile, all’interno dell’iconografia della storia dell’arte.Due personaggi, due danzatrici al centro di uno spazio ridisegnato al tratto, un luogo che ricorda un’anticaarea termale de-saturata dai colori, evocano, in un unico sguardo, gli effetti di un’improvvisa fonte dellagiovinezza.

LA FLORIDA DI BENNI BOSETTO. A MILANOGinevra Bria | 08/10/2016

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Enûma ilû awîlum è il titolo di un importante testo di epoca paleobabilonese e significa: Quando gli dei era-no uomini. Ambientato all’origine della terra, quando gli dei erano uomini esistevano due gruppi: gli Annuna-ki erano le divinità più antiche e gli Igigi quelli costretti a lavorare per vivere. Gli Igigi che sapevano quantofosse importante l’ozio e il riposo, stanchi del duro lavoro si ribellarono alle divinità antiche, così tanto chegli Annunaki capirono la gravità della situazione e per risolvere il problema si radunarono e convocaronoNintu, la signora del parto. Nintu chiese dell’argilla che mischiò con il sangue e la carne di un dio sacrificatoe così creò l’uomo, per compiere il duro lavoro che era stato degli dèi. I ricercatori americani dell’IstitutoKavli presso la Cornell University for Nanoscale Science hanno scoperto tramite esperimenti che esiste lapossibilità che la vita si sia sviluppata nell’argilla.

Il 2 aprile del 1513, l’esploratore e conquistatore spagnolo Juan Ponce de Leon approdò a Melbourne Be-ach, nell’odierna Florida, e si mise alla ricerca della fontana della giovinezza, una misteriosa sorgente di ac-qua magica in grado di invertire il naturale processo di invecchiamento e di curare i mali. La leggenda narrache De Leon fu scelto per la missione da Re Ferdinando, ma la totale mancanza di documenti e prove nerivela la falsità. Ponce de Leon non trovò mai la sorgente. Eppure, ancora oggi decine di migliaia di turistiaccorrono affascinati a vedere, toccare e bere l’acqua magica nella città di St. Augustine in Florida.

Al Paradiso Terme Resort S.p.a. una statua di Pandora in terracotta è posta all’ingresso della hall tra pianteesotiche, cascate artificiali e finte decorazioni romane e asiatiche. Le terme sono famose per i loro fanghiprodigiosi, si pensa fossero persino conosciute dagli etruschi. Nei fanghi sono presenti particolari microor-ganismi chiamati DF6G1 o bifidobacterium longum che oltre a rendere il fango color rosa proteggono certecellule dell’organismo e il sistema immunitario dai danni causati dall’età. Con un bagno di sessanta minutial Paradiso Terme Resort si dice sia possibile riacquistare un’anno di vita.

Per Aleksandr Opakin e Stanley Miller l’abiogenesi sarebbe avvenuta sulla Terra tra i 3 ed i 4 miliardi dianni fa, con la formazione delle prime molecole organiche nel cosiddetto “brodo primordiale”. Per gli egizil’universo proviene dal NUN, una distesa di acque in cui è contenuto l’embrione di ogni cosa. Molte leggen-de indicano che tutto dovrebbe ripiombare sotto queste acque alla fine del mondo.

Tile project space | Settembre 2016

Benni Bosetto (Merate, 1987). Nel 2010 si diploma in pittura presso l’accademia di Brera di Milano. Nel2014 consegue il diploma specialistico in scultura frequentando, nell’anno 2012 grazie al progetto erasmusl’UDK, università d’arte di Berlino (classe Michaela Meise). Personali: Razzle Dazzle Love, Performanceauto-curata al Parco Lambro, Milano. Collettive: Susy Culinski & fiends, Fanta Spazio, progetto corale diBeatrice Marchi, Milano; Vorrei non vederti oggi per vederti tutti gli altri giorni @ Franchising Zuretti, Milano;Benvenuta Bosetto >< Saki Nagatani, curata da Alice Tomaselli, ?? Space –Lucie Fontaine’s Tokyo satel-lite; YEAR ONE, performance, Tile Project Space, Milano; Studi d’artista, Expo Gate, Milano; SUMMERPAINTING SHOW, IL CREPACCIO, Milano; Open Studio | Benni Bosetto e Hugo Scibetta, VIR Viafari-ni-in-reseidence, Milano; WINWIN, Meise’s class exhibition, Berlino.

Pensavo a come è possibile cambiare la posizione da cui guardiamo le cose. Il modo che vorrei immagina-re sta nella differenza in cui possiamo osservare una montagna da una valle o mentre attraversiamo unamorena.

Nel primo caso, la montagna si mostra definita, lo sguardo la rende facilmente un oggetto cogliendone edelineandone i contorni. Possiamo farne una fotografia e portarla come immagine alla nostra mente.

Nel secondo caso, la visione avviene attraverso il passaggio di una morena, un percorso vivo sul dorsodella montagna. La morena è una particolare forma di accumulo di detriti rocciosi sul fianco di un ghiaccia-io, è formata da grandi massi che si estendono per diversi chilometri lungo il dorso della montagna. Nonesistono sentieri su tali passaggi, la nostra presenza è costantemente annullata e assorbita dall’ambientecircostante. Non rimangono tracce se non i sassi traballanti su cui siamo costretti a saltare. La visione cheabbiamo della montagna da questo punto è particolare ed emblematica. Ciò che avviene al nostro occhio èuna particolare messa in dubbio del proprio punto di vista, una perdita di orientamento secondo le catego-rie comuni di sfondo, primo piano e messa a fuoco. Il nostro corpo diventa parte degli oggetti montani, e lamontagna appare come un organismo con cui il nostro sguardo si fonde per la particolare esperienza cheabbiamo/otteniamo della sua materialità.

Diventa così possibile guardare qualcosa dal punto di vista di una sua parte, con la caratteristica che noi nesiamo annullati. il nostro sguardo verificatore, in cerca di outlines (possibili contorni) si trova estraneo a sè.Ecco, nell’ultimo periodo penso spesso a questo esempio quando immagino un decentramento della nostraposizione di osservatori e le ricche possibilità che questo processo mette in moto. Possiamo chiamareverosimilmente questi momenti dei passaggi, esperienze attraversate (come through). Il volo di uccello diGiovanni ne è un altro tentativo.

da La montagna come punto di vista, TILEzine #)

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Benni Bosetto - Lift-on/Lift-off, Torino - Installation view, foto Costanza Sartoris

Vi siete mai chiesti come sarebbe camminare in un plastico di una città?La mostra Lift-on/Lift-off, organizzata da CRIPTA747 in collaborazione con l’Associazione Variante Bunkernell’area dell’ex Scalo Vanchiglia a Torino, sembra volerci portare proprio all’interno di una potenziale cittàtrasparente.

Lo spazio dell’esposizione non è quello chiuso di via Quittengo 41/b: è aperto e appare come espanso subuona parte della superficie dell’ex Scalo Vanchiglia. Cinque container sono posizionati ai margini di unastrada fantasma, creando una sorta di plastico in scala reale di una città ad oggi solo disegnata sulla carta. Difatti, il progetto espositivo nasce in relazione al nuovo piano di riqualificazione urbana Variante 200, cheintende rilanciare la zona nord-orientale della città di Torino con la creazione di via Regaldi attorno a cui ruoterà la nuova zona riconvertita. L’apparato industriale costituito da enormi fabbricati è segnato da dellelinee a terra bianche che fungono da strisce di margine della futura strada che attraverserà l’area, attorno acui ruotano cinque strutture mobili come a delimitarne i bordi.

LIFT-ON/LIFT-OFF | CRIPTA747, TORINOLa concretizzazione effimera della città trasparente

Costanza Sartoris | 23/11/2016

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La mostra apre così uno spazio di riflessione fisico e mentale intorno a quello che sarà il futuro della zonadell’ex Scalo Vanchiglia e le possibili realtà che andranno ad abitarlo. Il dibattito si incentra infatti su cosarealmente voglia dire città oggi e in che modo le arti possono aiutare a dare una risposta a questa difficiledomanda.

Interessante, a questo proposito, è il testo che accompagna la mostra di Michele Cerruti But, urbanistaricercatore al Politecnico di Torino, che ripropone una breve ricognizione storica del concetto di città giun-gendo a spiegarci come questa si trovi oggi in una condizione che la definisce città fragile. La città con-temporanea è infatti un involucro dove gli individui che la abitano vivono chiusi a chiave nelle proprie case,dove il luogo d’incontro non è più la strada, destinata a fare spazio a nervosi guidatori chiusi nelle proprieautomobili, bensì il marciapiede commerciale, luogo dove l’incontro avviene in termini di scambio mone-tario. La città è dunque fragile, poiché fragile è l’equilibrio che la regge: la comunità è infatti atomizzata inmicro particelle autonome e l’abitare diventa una questione privata.

L’intento di Michele Cerrtuti But, in collaborazione con Alberto Geuna, Emanuele Protti e Niccolò Suraci,è quindi quello di proporre un nuovo possibile modello che trascenda la città fragile per giungere a quellache Cerruti But definisce come città trasparente. La città trasparente è infatti una città fondata su tre macrocaratteristiche che offrono un ripensamento rispetto agli standard odierni. In primo luogo la città trasparente è porosa, è attraversabile e si basa su un principio orizzontale di uguaglianza; è quindi pragmatica, osser-va e identifica i problemi e propone soluzioni concrete; infine è realista, guarda quindi alla funzionalità deisuoi spazi e dei suoi materiali prima che all’estetica. La città trasparente si concretizza così in un’utopicavisione, dove i centri di aggregazione formali e informali già presenti sul terreno dell’Ex Scalo Vanchigliavengono posti sotto una nuova luce. Nella costruzione di quest’utopica città si materializzano anche quattrodiscorsi singolari che, nello spazio limitato e avvolgente di un container, aprono la visione a quattro mondialtri che sembrano affrontare, ognuno con linguaggi differenti, il tema della transitorietà.

Il primo container ci riporta al mondo infantile del teatro delle marionette: figure filiformi in legno chiaro, in-serti metallici, nylon e piccoli elementi blu cobalto, danzano in un asettico spazio bianco, guidate dall’azionemeccanica ma asincrona di tre ventilatori modificati. Manuel Scano Larrazabal, con un’estetica che ricordale mobiles di Calder e rimanda, anche se in forma entropica, alle opere ambientali cinetiche di Colombo, ci offre uno spaccato su quello che è l’anima di una marionetta, il suo principio primo, sia in termini materici, ifili e le bacchette, sia in termini ideali, poiché rivela la necessità che le lega a un moto perpetuo incontrolla-bile, che dona loro vita, ma non potrà mai donare loro l’intenzione attiva e pura del gesto.

Il luogo in cui porta Anton Alvarez è invece estremamente romantico: egli trasforma il container in una sortadi piccola sala cinematografica, dove ci si può sedere su delle sedie da promenade francese e assistere aun eterno tramonto. Con questo lavoro Alvarez da una forma al concetto astratto di “per sempre” e offre atutti una passeggiata sul minuscolo asteroide del Piccolo Principe, dove si può assistere al tramonto tutte levolte che si desidera. Nel suo tendere all’utopica cristallizzazione del passaggio effimero dal giorno alla not-te, l’artista ha reso collettiva l’opera, al fine di avvicinarsi sempre di più al “per sempre”. Chi lo desidera puòinfatti partecipare all’impresa caricando la propria immagine di tramonto sul sito internet foreversunset.comAncora, il container di Benni Bosetto ci racconta la storia della nascita dei container così come li cono-sciamo oggi, presentandoci le fantomatiche memorie vissute dal primo container trasportato sul mare in un iniziale viaggio tra gli Stati Uniti e il Porto Rico. Una grata, pareti rosse dipinte con delle vegetomorfie eun’allegra musica portoricana caratterizzano questo luogo della memoria, che ci rimanda, con dimensionidifferenti, ai portagioie e ai piccoli segreti che custodiscono all’interno. Il lavoro è una sorta di boite, un cabi-net favolistico di immagini ideali.

Infine, vi è il container in cui Sebastiano Impellizzeri pone un’enorme tela caduta e ci invita a rifletteresull’effimero. Com’è la bellezza che cade è così che l’artista presenta il suo lavoro. Una pittura che è giàcaduta dal cavalletto hegeliano e che si presenta per quello che la pittura essenzialmente è: un’immagineeterna, prodotta dal perenne gesto della ricerca. Quest’opera offre allo spettatore la possibilità di esperirequesta gestualità poiché per essere compresa essa va attraversata: lo spazio angusto del container divisodall’enorme tela deve infatti essere percorso nella sua interezza per cogliere la delicatezza dei pigmentirosati che compongono, per mezzo della loro caduta, il soggetto. Fuori dal tempo dell’azione del cadere,ma allo stesso tempo all’interno del tempo dello spostamento, lo spazio pittorico si materializza nella suatransitorietà.

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Benni Bosetto, 2016, Courtesy: Marsèlleria, Milan

TP1 – RICCARDO BARUZZI, ENRICO BOCCIOLETTI, BENNI BOSETTO, ANDREA DE STEFANI, MARCO GOBBI, NAMSAL SIEDLECKI07/09/2016 at Marsèlleria, via privata Rezia, 2 – Milan

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Benni Bosetto “koroingo oaoa” (2015) polyurethane foam, fabric, chicken feathers, acrylic 43x38x8cm

Vorrei non vederti oggi per vederti tutti gli altri giorni is a group show developed by a collective of artists and curators based in the Centrale area of Milan. The exhibition, which takes place in a Franchising Zuretti store in Milan, will be on view until Sunday 11th Octo-ber and features works of Pietro Agostoni, Alessandro Agudio, Benni Bosetto, Barbara and Ale, Costanza Candeloro, Giovanni Delvecchio, Rebecca Di Berardino, Derek Di Fabio, Michele Gabriele, Marco Gobbi, Diego Gualandris, Lorenza Longhi, Andrea Magnani, Beatrice Marchi, Cristiano Menchini, Matteo Nasini, Margherita Raso and Riccardo Sala.

‘I was sprawled on the beach while I waited for them to return from their canoe ride. The heat was nouri-shing my skin and the devices were scattered all over the towels. That rapacious-like rock, those dried-out and plastics algae, all of it threw me back to September 25th, or even earlier, to the 14th. The first time ofour team had been there(?), a year earlier.YSL Ltd. had written us a long and detailed e-mail inviting us to a meeting. They would have had provided us with all the necessary means. ALL EXPENSES COVERED, written just like that. 3 out of 7 had answe-red immediately, the others the following day. 5 had said yes. 2 had said no. Sometimes I think about thosetwo.

‘VORREI NON VEDERTI OGGI PER VEDERTI TUTTI GLIALTRI GIORNI’ @ FRANCHISING ZURETTI, MILAN01/10/2015

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I see them now, getting closer to the shipwreck that once was the “Chrisso.” I suspect it transported oil.Nothing too polluting even though it had tended to be, back in the day. I hadn’t even noticed it that day,because of the misleading sunset above us.In the following months we designed like crazy things that had nothing to do with that pinkish landscape.Now I ask myself if, somehow, that smooth feeling was present. None of us had ever designed or been partof a project like that before. We kept trying to crank out something decent, even without being asked.The whole operation was certainly curious and widely commented on by the media, both field-focused andnot. An interesting article on thedajary.com challenged classically held views on the subject, comparing the product to a social experience, not in the moment of its actual use, but from its very origin. I admit I agreewith them somehow, given that something had led us back there, a year later.I got on the kayak and began paddling to reach them. I was well-trained, it didn’t take long.’