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n ° 4 dossier AspettAndo THE HOST IL CIneMA FAntApoLItICo dI AndReW nICCoL

Aspettando The host – Il cinema fantapolitico di Andrew Niccol

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Genere portante di quest'anno cinematografico, la fantascienza sta irrompendo nelle nostre sale con opere ad alto tasso immaginativo e spesso anche ad alto budget. E noi, che siamo sopravvissuti (fin qui) a profezie, asteroidi e fiscal compact, ci affezioniamo volentieri a trame apocalittiche che ci aprano gli occhi sul mondo. Eccoci allora pronti a ricevere The host come merita, essendo l'ultima fatica del talentuoso Andrew Niccol. Con questo dossier ci avventuriamo nello spazio, almeno in quello cinematografico del regista neozelandese, dove il forte messaggio politico che un genere come la fantascienza può esprimere è ben chiaro, a partire dal personaggio principale del film d'esordio Gattaca - La porta dell'universo (1997), che non a caso si chiama Vincent “Freeman”, fino ad arrivare alla coppia protagonista di In time (2011), che lotta per liberarsi dalla dittatura del tempo e del capitale.

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n°4dossier

AspettAndo THE HOSTIL CIneMA FAntApoLItICo

dI AndReW nICCoL

DIRETTORE Vincenzo Patanè Garsia

VIcE DIRETTRIcE Giorgiana Sabatini

cApOREDATTRIcE MAGAZINE Lucilla Colonna

cONcEpT DESIGNER Gianna Caratelli

cONTRIBUTI di: Valentina Calabrese, Stefano Coccia,

Luca Lombardini, Antonio Pettierre, Riccardo Rosati

EXEcUTIVE EDITOR: Giulia Eleonora Zeno

wEB MASTER Daniele Imperiali

COnTATTI

e mail:  [email protected]: Taxidrivers Mag IIArretrati Magazine: http://issuu.com/taxidrivers

TAXI DRIVERS è dedicata a Delian Hristev (R.I.P.)

Lucilla Colonna

la FeBBRe del sABAto seRA

In diretta su:

Fusoradio.netogni sabato alle 22:00

TAXI DRIVERS MAGAZINE

DOSSIER n. 4

ASpETTANDO THE HOST

Il cINEMA fANTApOlITIcO DI ANDREw NIccOlGenere portante di quest'anno ci-nematografico, la fantascienza stairrompendo nelle nostre sale conopere ad alto tasso immaginativoe spesso anche ad alto budget.E noi, che siamo sopravvissuti (finqui) a profezie, asteroidi e fiscal

compact, ci affezioniamo volentieria trame apocalittiche che ci apranogli occhi sul mondo. Eccoci allora pronti a ricevereThe host come merita, essendol 'u l t ima fat ica del ta lentuosoAndrew Niccol, nato e cresciuto inNuova Zelanda, per poi trasferirsia Londra a lavorare come regista,sceneggiatore e produttore. Con lui, completiamo il giro del pia-neta e il ciclo dei dossier dedicati alcinema di contestazione che cihanno portato prima al cinema biopo-litico del cileno Pablo Larrain, poi al-l'arte e alla politica del registabritannico Steve McQueen, infine alviaggio intercontinentale del rivoluzio-nario Django dai peones del Westernall'italiana agli schiavi neri d'America,passando per il Giappone. Ora non ci resta che andare nellospazio, almeno in quello cinemato-grafico di Niccol, dove il forte mes-saggio politico che un generecome la fantascienza può espri-mere è ben chiaro, a partire dalpersonaggio principale del filmd'esordio Gattaca - La porta del-

l'universo (1997), che non a casosi chiama Vincent “Freeman”, finoad arrivare alla coppia protagoni-sta di In time (2011), che lotta perliberarsi dalla dittatura del tempo edel capitale.

n°4dossIeR

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AndReW nICCoLIl futuro non è scritto

di Luca Lombardini

Distopia. Dovessimo scegliere un ter-mine, uno solo, in grado di analizzare eriassumere il cinema di Andrew niccolnon avremmo dubbi: distopia. Quella fir-mata dal regista, sceneggiatore e produt-tore neozelandese è una filmografiaradicata nella fantascienza, che rintracciail suo punto di forza nella lettura sociolo-gica del genere; un approccio decisa-mente europeo, avvicinabile senza dubbioalcuno ai maestri inglesi e a prima vistatutto tranne che americano, di fatto paneper i denti delle produzioni d'oltreoceano,che da sempre coccolano la mente arti-stica capace di partorire The TrumanShow (1998). Cinque film, l'ultimo deiquali che promette, materiale allamano, di qualificarsi come terzo econclusivo tassello di una idealetrilogia: iniziata con Gattaca(1997), proseguita con In Time(2011) e intenzionata potenzial-mente a chiudersi con The Host(2013). L'ultimo Andrew Niccolrompe il ghiaccio rielaborandol'eterno archetipo del baccello“siegeliano”, entità aliena intentaad impossessarsi dell'umanocorpo, al fine di trasformarequest'ultimo nell'involucro attoad ospitare il nuovo inquilinodurante tutto il tempo utile allamutazione. The Host è unfilm classico, che deL'invasione degli ultra-corpi (1956) si serve

come trampolino, così da proiettarsi at-torno alle traiettorie tematiche care a Nic-col, spesso e volentieri ossessionato dadue estremi narrativi: la minaccia e la suapossibile cura, intente a rincorrersi nel-l'ambientazione futuribile di un mondo chein fondo è solo estrema declinazione diquello contemporaneo. In Gattaca eral'ereditaria malformazione cardiaca a pre-occupare Ethan Hawke, giovane uomoconcepito naturalmente (e quindi “non va-lido”) in un mondo popolato da corredi ge-netici studiati a tavolino e quindi perfetti.In Time a sua volta profetizzava un futuro

dove il venticinquesimoanno di età avrebbe vo-

luto dire (quasi)

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morte certa. Mentre in The Host il pericoloporta il nome di una razza aliena e supe-riore, intenta a sterminare l'umanità tra-mite “sostituzione”. E se in Gattaca

s'inseguiva un'identità valida, mentre InTime raffigurava il tempo come bene ine-stimabile, The Host lascia trapelarequanto l'amore tra uomo e donna possanon solo contribuire a conservare la pro-pria identità ma, addirittura, evitare che gliesseri umani tutti vengano, effettiva-mente, cancellati. L'ultimo Andrew Niccolsi traveste da film di fantascienza, cosìcome l'epopea iniziata con Twilight

(2008) flirtava con alcuni dei topoi horror(entrambe le pellicole infatti, sono tratte daun romanzo, in questo caso L'ospite,della scrittrice statunitense StephenieMeyer) ma non si vergogna di rivelare,seppur sottopelle, la sua vera natura:quella di un melodramma che ha nei due

innamorati Melanie e Jared i suoi termo-metri narrativi, ciò nonostante torna, nuo-vamente, a fare i conti con quella visionefuturistica, ad un passo dal pessimismodistopico, che da sempre qualifica la gio-vane ma redditizia carriera del suo regista,capace ormai di ritagliarsi uno spazio im-portante alla voce “autori”, grazie ad unaserie di pellicole riconoscibili e dal puntodi vista tecnico e, soprattutto, per quantoriguarda il frangente metaforico: allegoriada sempre efficace e pungente, filo rossoche una ad una le unisce, in linea con iclassici del cinema dei quali è diretta ere-dità. Perché, è bene ricordarlo sempre,che se nella settima arte esistono generimeritevoli di chiamarsi politici, rispondonoal nome di horror e fantascienza. Di que-st'ultimo Niccol è esponente raffinato e ta-gliente. The Host, qualora ce ne fosseancora bisogno, lo conferma.

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Jerome Morrow, aspirante cosmonautapresso la base terreste di Gattaca, è chia-mato a partecipare a una missione di unanno per Titano. Egli è un individuo deci-samente superiore alla media, dunque sipresenta come il perfetto esempio di es-sere umano “valido”, ovvero concepito ar-tificialmente con un codice genetico privodi difetti. Tuttavia, la vera identità di

Jerome è molto meno perfetta: nato Vin-cent Freeman, egli è in realtà il frutto di unagravidanza naturale e dunque non abilitatoa svolgere un ruolo di rilievo come quellodi navigatore spaziale. Con la complicitàdel vero Jerome, ridotto su di una sedia arotelle, Vincent sfida le regole imposte dallasocietà, nel tentativo di realizzare il sognodi una vita, esplorare lo spazio.

di Riccardo Rosati

GAttACA (1997)La spersonalizzazionedell'individuo

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Gattaca (1997) è la prima prova allaregia di Andrew Niccol, che è anche unvalente sceneggiatore: non solo è suo loscript di questa pellicola, ma pure quellodel bellissimo Truman Show (1998) diPeter Weir. Gattaca si attesta come unodei film di fantascienza più originali deglianni '90. Ogni suo elemento tende a evo-care il senso di inquietudine e claustrofo-bia che caratterizza il futuro di cui parla:l’ambientazione è asettica e impersonale,ben connotata da arredamenti minimalistie da costumi grigi e tutti identici. Anche lafotografia aiuta a comunicare un senso dispersonalizzazione dell'individuo, grazie adei cromatismi freddi, interrotti solo di radoda dei caldi colori pastello.

Il tema portante di tutto il film è stretta-mente legato al cosiddetto genoismo/eu-genetica: una vera e propria progettazionedi un essere umano, grazie alla manipo-lazione del DNA, così da creare un mondodiviso tra “validi” e “non-validi”. Quello diNiccol è un acutissimo affresco su di unfuturo prossimo venturo e che noi, ormaiin piena era globale, cominciamo a vivere

in prima persona. Gattaca rappresenta iltrionfo del gusto retrò nella fantascienza,la quale in questa suggestiva pellicola nonè certo presente con la tecnologia che so-litamente la caratterizza, bensì con un ra-gionamento sul futuro. Una fantascienza,dunque, poco “visibile”, ciononostanteprofondamente percepibile in forma di ra-gionamento, che in alcuni casi si fa verafilosofia. In fondo, questo tratto specula-tivo, che relega l'elemento puramentescientifico in secondo piano, è l'aspettoprincipale che troviamo in quella Near (Fu-ture) Science Fiction, la quale ha davveropoco in comune con la più celebre SpaceOpera e i suoi viaggi galattici in uno spa-zio remoto. A quest'ultimo, invece, si so-stituisce il cosiddetto inner space:l'uomo/universo, con le sue inquietudinisociali. Autentico maestro di questa parti-colare branca della Sci-Fi è lo scrittore in-glese James Graham Ballard (1930 –2009). Queste storie, in cui rientra ap-pieno l'opera di Niccol, hanno una fortematrice politica, nel senso alto del ter-mine, proponendo delle rappresentazioni,

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quasi sempre assai critiche, della societàe nelle quali l'ambientazione non è mai,come detto, proiettata nei secoli a venire,ma solo nell'arco di qualche decade nelfuturo. Il messaggio di Gattaca è peròanche quello che in un mondo completa-mente de-umanizzato, si possa esseresalvati, come nel caso di Vincent, propriodall'umanità dei singoli individui.

Lungo tutto il film corre la metafora del-l'annientamento dell'Io: la lunga prepara-zione alla missione spaziale, Vincent lapassa scrivendo al computer, seduto inuna sala quasi fosse un contabile in unabanca, e si conclude con la sua partenza,sempre vestito in cravatta e doppiopetto.Qui la critica di Niccol verso una societàtecnocratica e globalizzata raggiungel'apice: via la solita e troppo romanticatuta spaziale, per mostrare degli astro-nauti che sembrano dei semplici, quantotristi, colletti bianchi; come a voler direche in un mondo privo di umanità e sen-timenti, in cui gli ideali, tutti, sono morti esepolti, persino i viaggi spaziali vengonovissuti con delle modalità “bancarie”.

Forse il film si perde a tratti nella defini-zione dei personaggi, spesso non bendelineati, ciò malgrado resta una pelli-cola riuscitissima e originale sul rapportoconflittuale tra l'individuo e una societàmassificata. Ricordiamo che nel castspicca lo scrittore americano Gore Vidal.Una menzione va fatta anche alla stu-penda musica di Michael nyman. Tra itre protagonisti, invece, Ethan Hawke,Uma Thurman e Jude Law, solamentequest'ultimo riesce a dare un certo spes-sore al proprio personaggio.

Per concludere, un film che va studiatoattraverso una lente allargata che non silimiti solo a quella del cinema, giacchéesso affronta con sapiente delicatezzadelle tematiche che sono di drammaticaattualità. Gattaca è una storia dall'im-pronta fortemente letteraria e presentauna critica sociale sofisticata, ma maicervellotica e, aspetto certo non secon-dario, non sacrifica le emozioni sull'altaredel ragionamento politico.

di Valentina Calabrese

Appassionati e non, la fantascienza nonsmette mai di incuriosire artisti e spetta-tori; esistono autori che non possonofarne a meno e uno di loro è senz’altroAndrew niccol, regista e sceneggiatoreneozelandese, uno degli autori hollywoo-diani più vicini agli scrittori di fantascienzadegli Anni Cinquanta. Con lui e con i suoifilm è sempre questione di futuro. Niccol,che ha iniziato a farsi strada nel mondodel cinema, scrivendo uno dei film più in-teressanti e lungimiranti degli anni ’90,The Truman Show, diretto da Peter Weir,continua su questa strada, realizzando unfilm di pura fantascienza sulla clonazionee la trasformazione genetica, Gattaca - Laporta dell'universo, sua opera prima,con Ethan Hawke, Uma Thurman, JudeLaw e prodotto da Danny De Vito.

Facile quindi dedurre la dedizione di Nic-

col nell’osservare quasi ossessivamente iltema del virtuale e la dicotomia tra il falsoe il reale. La sua ricerca si va a canaliz-zare con potenza visiva nel suo forse mi-glior film: S1M0NE con Al Pacino, RachelRoberts, e una giovane Evan RachelWood. Il plot è molto più semplice diquanto si immagini: Viktor Taransky (AlPacino) è un regista che con difficoltàtenta di affermarsi nel cinema, dopo alcuniirrimediabili insuccessi; l’ex moglie, suaproduttrice (Catherine Keener), lo licen-zia non credendo nel potenziale del suoultimo film, oltretutto, anche l’attrice ingag-giata come protagonista, Nicole (WynonaRider), lo scarica per le tipiche bizze dastar. Viktor resta così solo con il suo pro-getto, incompreso da tutti, tranne chedalla figlia Elaine (Evan Rachel Wood) eda Hank Aleno, esperto informatico, che

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s1Mone (2002)La morte del reale

gli propone di utilizzare un personaggiovirtuale da lui creato con l'ausilio di unsoftware. Sebbene inizialmente Viktorabbia diffidato della proposta, dopo lamorte dello scienziato riceve una copiadella creazione di Aleno.

Così Viktor, come una sorta di Pigma-lione postmoderno, crea un’attrice virtualeperfetta quanto irreale: S1m0ne, (Simula-tion One) è una bellissima donna bionda,artificiale, che fa esordire nel suo film gra-zie agli effetti speciali del cinema digitale.Il film raggiunge un successo insperato e,in poco tempo, S1m0ne diventa un’iconache tutto il mondo desidera conoscere.Viktor, inventando varie scuse, riesce amantenere il proprio segreto. I film in cuil’attrice appare, le pubblicità che Viktor ar-chitetta per aumentare la sua visibilità e lasua irrimediabile ascesa, si susseguonosenza particolari intoppi e pian piano lospettatore viene messo di fronte al fattocompiuto: un codice computerizzato è di-ventato il nuovo idolo moderno. Scon-volge la velocità con cui la finta attrice siaammirata dal mondo intero, dimostrandocicome la società dei media sia fondamen-

talmente legata a qualcosa che di reale haben poco. S1m0ne è splendida, irraggiun-gibile, perfetta, irreale e proprio per que-sto, amata da tutti.

Niente può arrestare l'ascesa di questacreatura incontaminata eppure inserita nelmeccanismo della produzione cinemato-grafica main stream, impossibile da toc-care, inesistente, eppure semprepresente. Taransky, dopo averla usata eaver creduto in lei, si rende conto che lasua creatura virtuale è ormai più reale ditutto e di tutti quelli che gli stanno intorno.Il pubblico vuole i suoi miti e pur di averliè disposto a chiudere gli occhi e a crederein un sogno che non ha nulla di vero. “Iosono la morte del reale” fa dire Viktor dallabocca di S1m0ne. Pian piano, scopriamoche la vera finzione non è l’attrice virtualeche di fatto non esiste, ma il mondo che lacirconda, quel mondo che vuole fidarsi dilei ad occhi chiusi, che è disposta a faredi tutto per crederci. L’intero mondo me-diatico sembra affetto da una specie dimalattia infettiva che non risparmia nes-suno, che uccide irrimediabilmente il pen-siero di tutto il globo rapito dalle belle

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fattezze di Simone, tiranna delle lorovuote esistenze.

niccol ci sveglia bruscamente dal nostrolungo sonno, mostrandoci la seduzione ir-resistibile dei media. In fondo niccol inS1M0NE introduce un concetto già datempo conosciuto e trattato, ossia il con-cetto del simulacro che nasce dalla civiltàgreca e che oggi siamo tutti d’accordo chesia la definizione stessa della società po-stmoderna. Baudrillard ha definito infattiil nostro mondo come il mondo del simu-lacro per il simulacro. Viviamo in una so-cietà in cui la globalizzazione telematica, isocial network e la televisione ci stanno al-lontanando radicalmente dal mondo realee dalla verità delle cose. Oggi qualsiasievento si trasforma in spettacolo e con-sumo. Pensate alla diretta televisiva:anche un evento storico come l’11 settem-bre o l’esecuzione del terrorista OsamaBin Laden si trasformano in una messa inscena. Non vi è un solo istante nella no-

stra vita che non sia modellato, contami-nato o controllato da qualche dispositivoelettronico. Heidegger definisce la nostraepoca come l’epoca delle immagini, ed èdifficile negare che anche noi stessi siamoridotti a immagini, pensate ai nostri profilifacebook, o di qualsiasi altro social net-work. In tutto questo processo, anchel’arte è coinvolta, diventando essa stessaun prodotto commerciale. La S1m0necreata da Viktor è proprio questo: un’im-magine, niente di più, un prodotto dellamente visionaria di un uomo che la rendereale grazie al cinema. L’immagine filmicaè difatti, già di per sé, illusoria; è la rappre-sentazione più esemplare di simulacro, ilprodotto di una mente che simula la realtà.Esiste solo nel momento in cui la vediamosullo schermo. “La nostra capacità dicreare il falso supera la nostra capacità discoprirlo” dice Viktor Taransky in una dellesue battute, e S1m0ne è il prodotto dellasua e delle nostre menti.

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La soggettiva del proiettile. Niccol rie-sce a sintetizzare il messaggio filmico insequenze-simbolo nei film, all’interno diuna struttura diegetica da cinema classico.Così come era stato per il suo primo filmGattaca, anche in Lord of War la se-quenza dei titoli di testa è metonimica ri-spetto alla messa in scena filmica. Lospettatore allinea il suo sguardo alla mac-china da presa che diventa soggettiva im-personale di un proiettile di Ak-47, unkalashnikov. Assistiamo alla sua nascitanella fabbrica di munizioni, il suo scorrere

sulla linea di produzione, il passaggio incasse e il suo viaggio dall’Ucraina – dopola caduta dell’ex URSS - fino alle guerre ci-vili sanguinose dell’Africa Nera. Tutto insoggettiva, tutto secondo lo sguardo delproiettile che finisce all’interno di un fucilemitragliatore, imbracciato da uno dei tantiguerrieri adolescenti, e che finisce il suoviaggio nella testa di un ragazzino. Tutta lasoggettiva è una condanna esplicita allapassività dello sguardo dello spettatore –che si fa proiettile che uccide – attraversola canna di un fucile, uno sguardo mono-

di Antonio Pettierre

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LoRd oF WAR (2005)siamo tutti complici

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culare che penetra la testa di innocenti.Lo spettatore passivo diventa complicedello spargimento di sangue in quantousufruisce della macchina cinema cosìcome della macchina bellica per affermareun modello culturale occidentale basatosugli interessi economici dello sfrutta-mento dei molti da parte dei pochi. In uncorto circuito extradiegetico tra lo sguardoinanimato del proiettile, lo sguardo passivodello spettatore e lo sguardo attivo di Nic-col – anche lui imbracciando la macchinada presa e sparando le immagini nellatesta dello spettatore – in una pulsionescopica di forte impatto iconico.

Il dio della guerra. All’inizio del film,dopo una carrellata veloce in avanti su untappeto di proiettili, è inquadrato Yuri Orlov(nicolas Cage) che dice: “Ci sono più di550 milioni di armi da fuoco in circolazionenel mondo. Significa che c'è un'arma dafuoco ogni dodici persone nel pianeta. Ladomanda è: come armiamo le altre un-dici?“ e, accompagnati dalla sua voce off,ha inizio un flash back che dura tutto iltempo filmico, dove narra la sua ascesa daimmigrato ucraino piccolo borghese a Little

Odessa, a Brooklyn negli Stati Uniti, a po-tente trafficante d’armi internazionalesenza nessun scrupolo, guidato solo dalguadagno economico. Icona dell’amoralitàdel capitalismo occidentale, Yuri Orlov èpiù di un semplice Signore della Guerra.Lui è un dio, così come lo battezza il ditta-tore africano a cui sta vendendo l’enne-simo carico di armi, un dio che moltiplicadenaro come moltiplica proiettili che ucci-dono. Infatti, in una delle prime sequenze,quando vende delle armi a un gruppo di ri-voluzionari islamici, il sonoro delle pallot-tole sparate dai fucili viene sostituito dalrumore di un registratore di cassa in unaltro esempio di extradiegetico acustico.è il dio della guerra che dona le armi comepani e pesci dopo essere stato costretto aun atterraggio con un aereo da trasportoin piena savana africana a causa dell’inter-vento dell’Interpol, che decide della mortedi milioni di uomini, donne e bambini e cheinfluenza la stabilità di intere nazioni e po-poli. Un dio produttore di morte per au-mentare la ricchezza e dove la ricchezzacosì ottenuta viene investita per far scor-rere altro sangue. E mentre lo spettatore

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assiste al traffico, agli assassinii, ai mas-sacri, anche tutti gli altri personaggi diret-tamente collegati a lui muoiono o sonosconfitti. Il fratello Vitaly (Jared Leto) vieneucciso dopo un rigurgito di coscienza mo-rale (ma comunque complice fino a quelmomento del traffico d’armi insieme al fra-tello); lo zio generale dell’Armata Rossa,che gli vende praticamente una parte del-l’arsenale sovietico in Ucraina, vieneucciso da un’autobomba (complice con-senziente per denaro); la moglie lo abban-dona dopo aver scoperto il suo “ufficio”,ma dopo anni di volontario disinteresse sucome il marito facesse soldi per mantenereil loro alto tenore di vita (complice per co-modità e opportunismo). Anche l’agentedell’Interpol Jack Valentine (Ethan Hawke)ne esce sconfitto, quando finalmente arre-sta Yuri e lui per tutta risposta gli dice chetanto non succederà nulla, visto che lui èun male necessario, uno strumento perstati come gli Stati Uniti, la Francia, la GranBretagna, la Russia, la Germania chesono tra i maggiori produttori e trafficanti diarmi (e Jack Valentine, pur essendo mo-ralmente il personaggio-doppio positivo di

Yuri, da un punto di vista etico è anch’eglicomplice perché agisce secondo regoleimposte da quegli stessi governi principalitrafficanti di armi nel mondo).

Siamo tutti complici. Il film di Niccol hauna messa in scena a tratti documentari-stica a tratti di biopic nera, dove alla fine ildispiegamento della fabula risulta essereuno schiaffo allo spettatore, uno schiaffomorale ed etico su una Storia che si cono-sce ma che fa comodo spersonalizzareproprio perché la ricchezza dei paesi occi-dentali si basa anche sulle guerre deipaesi poveri e in via di sviluppo. E alla finedel flash back ritorniamo a Yuri Orlov checontinua nel suo lavoro di fronte a un bivio– che porta verso una guerra o un’altra, enon verso due scelte contrapposte – e inqualche modo ci dice in faccia che lui,guardato nella realtà filmica, non è diversoda chi guarda nella realtà fisica e con unacarrellata all’indietro la macchina da presaripercorre il tappeto di bossoli e proiettili.In un metaforico collegamento visivo conlo spettatore passivo.

In tIMe (2011)

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Sin dai suoi albori il movimento operaio haposto tra i suoi principali obiettivi, nella lottacontro la classe che lo sfrutta e lo opprime,la riduzione dell’orario di lavoro. Ecco, iltempo. Il tempo delle persone che diventaesso stesso merce. Il tempo che la classesalariata è costretta a cedere di continuo,alle condizioni poste da altri, per ottenerequelle forme di sostentamento che rien-trano tra i privilegi, invece, di coloro i qualipossiedono direttamente i mezzi di produ-zione; e non sono quindi costretti a ven-dersi, a vendere il proprio tempo, per vivere.

Con tali discorsi siamo già in un’ottica di-chiaratamente marxista. E ciò che seguepotrà apparire ad alcuni sorprendente, maè in un film pensato anche come adrenali-nico intrattenimento che abbiamo ritrovatoscorie robuste, vive, pulsanti, di tale pen-siero politico: In Time di Andrew niccol.La cosa stupisce fino a un certo punto, con-siderando il percorso dell’autore neozelan-dese, che sin dagli esordi ha danzatoagilmente sul confine tra utopia e anti-uto-pia: la multiforme ricchezza della sua vi-sione socio-politica risalta con forza nelleopere da lui dirette, in particolare Gattacae Lord of War, come anche nella sceneg-giatura di The Truman Show. Ma è propriocon In Time che la critica del modello so-ciale capitalista si fa più serrata, dando vitaa un’esemplare parabola e proponendoinoltre i germi della rivolta.

Come in Gattaca, il delinearsi di una so-cietà rigidamente strutturata in classi, cui lebiotecnologie hanno apportato una speciedi restyling, è il palcoscenico in cui simuove la ribellione individuale, spinta pro-gressivamente verso il ribaltamento dellostatus quo inizialmente descritto. Lo sce-nario fantascientifico immaginato da Niccolprevede che in un futuro non troppo lon-tano la scienza sia progredita al punto digarantire agli esseri umani una sostanzialeimmortalità, con l’invecchiamento stoppatoal sopraggiungere del venticinquesimoanno di età; ma al contempo la morte èsempre in agguato, poiché le autoritàhanno stabilito che al venticinquesimoanno scatti un anno di bonus terminato ilquale si muoia comunque, tant’è che iltempo è diventato la nuova moneta discambio, coi più ricchi destinati ad accumu-larne illimitatamente e i più poveri impe-gnati a lottare quotidianamente per la lorosopravvivenza. Tutto, ovviamente, per pre-servare un sistema fondato sullo sfrutta-mento e sull’accumulo di capitale. “Affinchéci siano pochi immortali, la maggioranzadei poveri deve morire”, dice a un certopunto uno dei personaggi, il miliardario Phi-lippe Weis interpretato con piglio arroganteda Vincent Kartheiser.

Ed è così che ha inizio l’avventura di Ju-stin Timberlake alias Will Salas, giovaneintraprendente la cui continua lotta contro

di Stefano Coccia

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Ribellarsi alla dittatura deltempo, ribellarsi alla dittaturadel capitale

il tempo è anche lotta per redistribuire conmaggiore equità il tempo stesso, divenutoqui il bene più prezioso: la sua fuga dalquartiere più povero della metropoli, quellaZona 12 ribattezzata non a caso “il ghetto”,lo porterà a scontrarsi sia con i Minutemen,gang senza troppi scrupoli votata a rubareindiscriminatamente il tempo degli altri, siacon quei Timekeepers o Guardiani delTempo, agenti di polizia che la classeagiata concentrata nella Zona 1 ha prepo-sto alla difesa dei propri privilegi. Nel corsodi questa ribellione individuale, destinata aporre le basi di una più ampia rivoluzionesociale, l’indomito Will incontrerà l’appog-gio dell’affascinante figlia di Philippe Weis,Sylvia, che è disposta a tradire non solo lafamiglia ma anche il proprio mondo deca-dente e fasullo. Del resto lo stesso Frie-drich Engels economicamente parlandoveniva dalle fila della borghesia… perquanto Amanda Seyfried risulti di granlunga più carina, rispetto al sodale di Marx!

Il fantasma dell’immortalità, al pari dellecomunità di eletti separatesi dal resto dellarazza umana, è qualcosa che aleggia inaltri classici della science fiction cinemato-grafica. In primis Zardoz del grande JohnBoorman. Se pesa però un sospetto reale,sull’originalità dello script di Andrew Niccol,lo si deve ricondurre alla denuncia portata

avanti da uno scrittore di fantascienza,Halan Ellison, secondo il quale In Time ri-corderebbe in troppi punti un suo raccontodel 1965, intitolato Repent, Harlequin! Saidthe Ticktockman.

Non abbiamo né gli strumenti né soprat-tutto la voglia di addentrarci in tale pole-mica, ci preme invece sottolineare comeAndrew Niccol nel suo più recente lungo-metraggio abbia trovato un ideale livello difusione, tra la spettacolarità dell’azione e letensioni socio-politiche che l’alimentano.Splendida la fotografia di Roger Deakins,specie nelle sequenze notturne; originalicerti inseguimenti come anche gli scontritra i protagonisti, condizionati dall’ansia diavere un “orologio vitale” ben visibile sulbraccio; incalzante il ritmo impresso dalcommento musicale di Craig Armstrong;adeguato il cast, in cui spicca anche unCillian Murphy sbirro implacabile. E aquesti ingredienti, indubbiamente azzec-cati, si somma l’acume di una sceneggia-tura che quasi in ogni dialogo ripropone,con toni ora ironici e ora drammatici, la fol-lia di un tempo trasformato in nuovo stru-mento di oppressione dell’uomo sull’uomo.Ma ci si può sempre ribellare, come dimo-stra la parabola dello spavaldo Justin Tim-berlake, abile nel trasformare la sua fuga inrivincita del ghetto sulla classe dominante.

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Speciale Berlinale coming soon

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