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ISAAC ASIMOV LUCKY STARR E I PIRATI DEGLI ASTEROIDI (Lucky Starr and the Pirates of the Asteroids 1953)

Asimov Isaac - LS2 - Lucky Starr E I Pirati Degli Asteroidi

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Asimov Isaac - LS2 - Lucky Starr E I Pirati Degli Asteroidi

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  • ISAAC ASIMOV

    LUCKY STARR

    E I PIRATI DEGLI ASTEROIDI

    (Lucky Starr and the Pirates of the Asteroids 1953)

  • ISAAC ASIMOV

    LUCKY STARR

    E I PIRATI

    DEGLI ASTEROIDI

    A cura di Giuseppe Lippi

    ARNOLDO MONDADORI EDITORE

  • 1953 by Doubleday and Company, Inc.

    Preface Copyright 1978 by Isaac Asimov Titolo originale dell'opera: Lucky Starr and the Pirates of the Asteroids 1988 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano

    Il edizione Oscar fantascienza aprile 1988

    ISBN 88-04-43253-5

    Questo volume stato stampato

    presso Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.

    Stabilimento Nuova Stampa - Cles (TN)

    Stampato in Italia. Printed in Italy

    Ristampe:

    4 5 6 7 8 9 10 11 12

    1997 1998 1999 2000

    La prima edizione Oscar Bestseller

    stata pubblicata in concomitanza

    con la quarta ristampa

    di questo volume

  • Gi nella fascia ("cintura"?) degli asteroidi

    Lucky Starr and the Pirates of the Asteroids (1953) il secon-

    do romanzo del ciclo eponimo e una delle prime opere di Isaac

    Asimov ad essere state pubblicate in volume. La creazione di

    questa serie avventurosa, pensata in origine per sfruttare il suc-

    cesso dei "serial" televisivi (Tom Corbett, Space Cadet) infat-

    ti contemporanea alla stesura dei primi e pi maturi romanzi

    asimoviani. Le avventure di Lucky non vanno considerate tanto

    come un modo per "farsi le ossa" (l'autore aveva debuttato nel

    1939 e per tutti gli anni Quaranta era stato un collaboratore del-

    le riviste, fornendo soprattutto racconti brevi), ma come una

    specie di passepartout per la carriera di scrittore professionista.

    All'inizio degli anni Cinquanta, infatti, Asimov si rende conto

    che scrivere un libro frutta molto pi che non pubblicare rac-

    conti saltuari, e il fatto di mettersi "di punta" su un certo argo-

    mento - in questo caso l'avventura spaziale destinata ai giovani

    lettori - gli d la fiducia di chi comincia a sentirsi parte di

    un'industria.

    Ma torniamo a Lucky Starr. Ognuno dei sei romanzi am-

    bientato in una diversa regione del sistema solare e questa volta

    tocca alla fascia degli asteroidi, zona che la fantascienza ha ra-

    pidamente inserito nel suo "stock" di luoghi comuni. Andare

    nella fascia (o nella cintura, secondo le traduzioni) degli aste-

    roidi vuol dire impelagarsi certamente in un mare di guai. Sono

    un po' come le sabbie mobili del sistema, la tana dei pirati, il

    rifugio dei tiranni, la pista delle collisioni facili. Se il racconto

    pi sofisticato diventeranno una palude morale, un mortorio

    dove il povero cercatore minerario darebbe un occhio pur di

  • prendersi una sbronza e fuggire non dico col primo paio di

    gambe femminili che sbucasse oltre l'orbita, ma addirittura con

    la prima marziana o venusiana sola.

    In astronomia le cose stanno diversamente. Fino al 1801,

    tanto per cominciare, nessuno aveva sentito parlare di asteroidi

    (cio "corpi che sembrano stelle, ma non lo sono") e tantomeno

    di pianetini. Si sospettava, vero, che a una distanza di 418 mi-

    lioni di chilometri dal Sole dovesse esserci un pianeta (questo

    per via di una legge empirica detta di Bode) ma non ci si aspet-

    tava di trovare quello che poi si trov.

    La notte del primo gennaio 1801 un astronomo italiano - G.

    Piazzi, dell'osservatorio di Palermo - scopr il primo e il pi

    grande degli asteroidi, che battezz Cerere (anche quelli venuti

    dopo hanno preso il nome di entit mitologiche femminili, e

    poi nomi di donna: i nomi maschili sono riservati ai pianeti

    maggiori, con le significative eccezioni di Venere e della nostra

    Terra). Sappiamo che Cerere - giustamente descritto da Asi-

    mov come la sede del principale avamposto umano nella regio-

    ne - ha un diametro di circa 922 chilometri: dunque un piane-

    ta molto piccolo.

    Ma gli astronomi che pensavano di aver risolto i loro pro-

    blemi con la scoperta di Cerere sbagliavano. Il 28 marzo 1802,

    infatti, W. Olbers scopr Pallade e nel 1804 e 1807 vennero

    scoperti rispettivamente Giunone e Vesta (quest'ultimo il pi

    brillante della famiglia). "Da allora", come scrive Paolo Maffei

    nel suggestivo Al di l della Luna,1

    il numero dei corpi di que-

    sto tipo a noi noto andato continuamente aumentando. Nel

    1868 erano un centinaio, nel 1879 duecento, nel 1890 trecen-

    to... Alla fine del 1974 ben 1914 rientravano nella numerazione

    definitiva". Si ritiene, tuttavia, che il loro numero debba rien-

    trare nell'ordine dei milioni se non addirittura dei miliardi, an-

    che se per il momento la ricerca non in grado di accertarlo

    1 Paolo Maffei, Al di l della luna, Mondadori, Milano 1973. II edizione

    Oscar Studio febbraio 1981.

  • (ammesso che lo sar mai).

    Gli asteroidi, in sostanza, sono piccoli mondi che girano in-

    torno al Sole come i pianeti maggiori, ma che essendo piccolis-

    simi ci appaiono come stelle. Per la maggior parte si trovano

    tra Marte e Giove, ma alcuni sono disposti in orbite ellittiche

    pi estese. Sembra che ben pochi abbiano forma sferica e in

    gran parte deve trattarsi di blocchi di roccia vaganti dai cui di-

    rupi ci si potrebbe affacciare improvvisamente sullo spazio co-

    smico.

    Diverse sono le teorie sulla loro origine. Si a lungo creduto

    - e Asimov ne accenna in questo romanzo - che gli asteroidi

    fossero il risultato della disintegrazione di un pianeta maggiore

    che orbitava tra Marte e Giove. Oggi si preferisce un'ipotesi

    che sembra accordarsi meglio con le teorie di formazione del

    sistema solare, e cio che i pianetini "si condensarono, pi o

    meno nella loro attuale configurazione, dal gas che circondava

    il Sole dopo la sua formazione, piuttosto che formare diretta-

    mente un pianeta. Recenti osservazioni indicano che vi sono

    almeno due popolazioni di asteroidi distinguibili chimicamen-

    te, e che sono distinguibili anche per la loro distanza dal Sole.

    Dal momento che si ritiene che minerali differenti si siano con-

    densati dal gas a distanze diverse dal giovane Sole, queste os-

    servazioni depongono a favore delle teorie correnti." Cos Paul

    Murdin e David Alien nel loro Catalogo dell'universo del

    1979.2

    La misurazione del diametro degli asteroidi, che in passato

    veniva effettuata otticamente, segue ora due metodi diversi:

    uno si basa sull'emissione infrarossa e l'altro sulla polarizza-

    zione della luce solare riflessa. Una volta ottenuti diametro e

    luminosit apparente, si pu calcolare l'albedo di questi piccoli

    corpi. L'albedo la frazione riflessa di luce solare incidente, e

    2 Paul Murdin e David Alien (con le fotografie di David Malin), Catalogo

    dell'universo (Catalogue of the Universe, 1979), Editori Riuniti, Roma

    1981.

  • in relazione a questo fattore si visto che esistono due tipi di-

    versi di asteroidi: la maggior parte di essi molto scura, anzi

    alcuni sono fra gli oggetti pi scuri del sistema solare (lo ac-

    cenna anche Asimov nella sua nota); si ritiene che la scarsa ri-

    flessione di questi asteroidi scuri sia dovuta alla loro composi-

    zione di superficie, che sarebbe ricca di carbonio. Altri - ma

    sono una minoranza - presentano albedo elevate, riflettendo

    anche il 40% della luce solare incidente.

    Ma la scoperta pi eccitante in fatto di asteroidi risale al

    primo novembre 1977, quando Charles Kowal dell'osservatorio

    di monte Palomar scopri l'oggetto che ora denominato Chiro-

    ne. Vari fattori hanno fatto ritenere (e le misurazioni lo hanno

    poi confermato) che Chirone si trovasse pi lontano dal Sole

    della maggior parte degli asteroidi. In effetti questo pianetino

    (del diametro di circa 200 km, come quello di molti suoi com-

    pagni) si trova normalmente fra le orbite di Saturno e Urano;

    solo per alcuni anni, ogni mezzo secolo, passa all'interno

    dell'orbita di Saturno.

    La scoperta di Chirone ha acceso il dibattito fra gli scienzia-

    ti: secondo alcuni esso farebbe parte di una vera e propria fa-

    miglia di asteroidi situati tra Saturno e Urano, mentre secondo

    altri Chirone si sarebbe originato fra Marte e Giove, ma in se-

    guito (per effetto di perturbazioni provocate dall'influsso gravi-

    tazionale di Giove e Saturno) sarebbe stato spinto nella posi-

    zione attuale.

    Ma tempo di lasciare la parola ad Asimov: prepariamoci a

    tuffarci nella cintura, anzi, nella fascia degli asteroidi.

    Giuseppe Lippi

  • Lucky Starr e i pirati degli asteroidi

    A Frederik Pohl,

    questa contraddizione in termini:

    un agente simpatico.

  • Prefazione dell'autore

    Negli anni Cinquanta scrissi una serie di sei romanzi avventu-

    rosi imperniati sul personaggio di David "Lucky" Starr e le sue

    lotte contro i malfattori del sistema solare. Ogni romanzo si

    svolgeva in una diversa zona del sistema ed era basato sulla

    realt astronomica conosciuta allora.

    Oggi, a pi di trent'anni di distanza, quei romanzi vengono

    pubblicati in nuova edizione: ma che trentennio stato! In que-

    sti ultimi tempi abbiamo imparato pi cose sul conto del siste-

    ma solare che in tutti i secoli precedenti. Infatti, prima del 1950

    potevamo fare le nostre osservazioni solo dalla superficie della

    Terra, mentre in seguito abbiamo inviato razzi-sonda in grado

    di scattare fotografie e svolgere esperimenti a distanza ravvici-

    nata.

    L'unico dei sei romanzi che non sia stato toccato dalle nuove

    scoperte - almeno finora - questo Lucky Starr and the Pirates

    of the Asteroids, scritto nel 1953. Alcuni indizi ci fanno pensa-

    re che una parte degli asteroidi siano un po' pi scuri e un po'

    pi grandi di quanto si pensasse allora, ma ci comporta po-

    chissime differenze.

    Oggi, quindi, Lucky pu combattere i pirati e impegnarsi nei

    suoi mortali duelli esattamente come trent'anni fa. Se dovessi

    riscrivere il romanzo adesso, potrei farlo senza cambiare una

    virgola.

    Isaac Asimov

  • La nave condannata

    Quindici minuti all'ora zero! L'astronave Atlas era pronta a de-

    collare e la sua linea snella e brunita scintillava alla luce della

    Terra che rischiarava l'orizzonte lunare. La prua appuntita era

    rivolta verso lo spazio e la base poggiava sulla pomice morta

    della Luna: tutto intorno era il vuoto. L'astronave non aveva

    equipaggio, non un sol essere vivente.

    Il dottor Hector Conway, capo del Consiglio della Scienza,

    chiese: Che ora , Gus?.

    Non si sentiva a suo agio negli uffici lunari del Consiglio.

    Sulla Terra il quartier generale occupava la sommit di un grat-

    tacielo aghiforme dalle cui vetrate si godeva il panorama di In-

    ternational City, ma l sulla Luna si poteva solo cercare di di-

    minuire il senso di disagio.

    Gli uffici avevano false finestre con ampie vedute della Ter-

    ra dietro queste. Erano a colori naturali e le luci si accentuava-

    no o si attenuavano col passare delle ore per simulare la matti-

    na, il mezzogiorno e la sera. Durante i periodi di sonno diffon-

    devano persino un alone bluastro.

    Ma per un terrestre come Conway non era abbastanza. Sape-

    va che, se avesse rotto il vetro delle finestre, avrebbe trovato

    solo modellini dipinti oltre i quali c'era un'altra stanza o la

    semplice roccia lunare.

    Il dottor Augustus Henree, a cui Conway si era rivolto, diede

    un'occhiata all'orologio da polso. Tra uno sbuffo e l'altro della

    pipa rispose: Mancano ancora quindici minuti, non ha senso

    preoccuparsi. L'Atlas in forma perfetta, ieri ho controllato io

    stesso.

  • Lo so. I capelli di Conway erano bianchi e lo facevano

    sembrare pi vecchio del magro, scavato Henree, anche se

    avevano tutte e due la stessa et. Aggiunse: Lucky che mi

    preoccupa.

    Lucky?

    Conway fece un timido sorriso. Sto prendendo l'abitudine,

    temo. Volevo dire David Starr, ma ormai tutti lo chiamano

    Lucky.

    Lucky Starr, eh? Il nome gli si adatta. Che ne di lui? Do-

    po tutto, questa una sua idea.

    Gi, il genere di idea che pu venire a un tipo come lui.

    Credo che la prossima volta attaccher direttamente il consola-

    to siriano sulla Luna.

    Vorrei che lo facesse.

    Non scherzare. A volte penso che tu lo incoraggi nella sua

    mania di voler fare tutto da solo. Noi siamo venuti sulla Luna

    per tenerlo d'occhio, non per assistere alla partenza di quella

    nave.

    Oh, non me la sento di fargli da mamma chioccia. E poi c'

    Bigman con lui: ho promesso al piccoletto che l'avrei scuoiato

    vivo se Lucky avesse invaso il consolato da solo.

    Henree rise.

    Ti dico che lo far brontol Conway. E, quel che peg-

    gio, la passer liscia.

    Bene, allora.

    L'impresa lo ringalluzzir e un giorno correr un rischio di

    troppo. un uomo troppo prezioso per perderlo!

    John Bigman Jones barcoll sulla spianata d'argilla, attentissi-

    mo a non perdere il boccalone di birra. I campi di pseudo-

    gravit non venivano mantenuti oltre i confini della citt e

    quindi allo spazioporto bisognava arrangiarsi con quel che c'e-

    ra, vale a dire la gravit ridotta della Luna. Per fortuna John

    Bigman Jones era nato e cresciuto su Marte, dove la gravit era

    solo due quinti di quella terrestre e non se la cavava male. Ora

  • pesava dieci chili: su Marte ne sarebbe pesati venticinque e sul-

    la Terra sessanta.

    Si avvicin alla sentinella che indossava l'uniforme della

    Guardia Nazionale della Luna e che, essendo abituata alla gra-

    vit ridotta, l'aveva visto avvicinarsi con un certo divertimento.

    John Bigman Jones disse: Ehi, non fare quella faccia da fu-

    nerale. Sono andato a prenderti una birra, scolatela alla mia sa-

    lute.

    La sentinella sembr meravigliata, poi ribatt con una punta

    di rimpianto: Non posso, sono in servizio.

    Oh, in tal caso me la berr io. Penso di farcela... A proposi-

    to, io sono John Bigman Jones. Chiamami Bigman. Arrivava

    solo al mento della sentinella, che non era particolarmente alta.

    La guardia gli tese la mano.

    Io sono Bert Wilson. Vieni da Marte? Il soldato diede

    un'occhiata agli stivali di Bigman, che arrivavano alla coscia ed

    erano di un vivace color vermiglio. Solo un colono di Marte si

    sarebbe fatto vedere con affari del genere ai piedi. Del resto, li

    portavano fino alla morte.

    Bigman se li rimir con orgoglio. Ci puoi scommettere. So-

    no condannato a stare qui per una settimana: per lo spazio, la

    Luna veramente un sasso senza vita! Di' un po', nessuno di

    voi ragazzi esce mai in superficie?

    A volte, quando dobbiamo. Non c' molto da vedere, l fuo-

    ri.

    A me piacerebbe andarci. Detesto stare chiuso sotto una

    cupola.

    C' un portello che d all'esterno, l dietro.

    Bigman segu il gesto del sergente, che col pollice indicava

    un punto alle sue spalle. Il corridoio (piuttosto male illuminato,

    vista la distanza che lo separava da Luna City) si restringeva

    fino a un'apertura nel muro.

    Bigman disse: Non ho la tuta.

    Non potresti uscire nemmeno se l'avessi. Senza permesso

  • speciale non si passa, in questo momento.

    Come mai?

    Wilson sbadigli. C' una nave che sta per decollare.

    Guard l'orologio. Partir fra dodici minuti circa. Forse,

    quando se ne sar andata, tutta quest'aria di mistero sbollir.

    Non so davvero di che si tratta.

    La sentinella si molleggi sui talloni e vide l'ultima sorsata di

    birra finire nella gola di Bigman. Di' un po', l'hai presa al bar

    di Patsy, nel porto? affollato?

    deserto. Senti, facciamo un patto. Tu vai a prenderti una

    birra, roba di pochi minuti; io rimango qui e mi assicuro che

    durante la tua assenza non succeda niente.

    Wilson guard con desiderio in direzione del bar. Meglio di

    no.

    Decidi tu.

    Nessuno dei due, almeno all'apparenza, si accorse che

    un'ombra era scivolata alle loro spalle e si era diretta verso il

    pesante portello stagno che permetteva di accedere alla superfi-

    cie lunare.

    I piedi di Wilson lo trascinarono per qualche metro verso il

    bar, come dotati di volont propria. Poi la sentinella si decise:

    No, meglio di no.

    Dieci minuti all'ora zero.

    Era stata un'idea di Lucky Starr, che si trovava nell'ufficio di

    Conway, sulla Terra, il giorno in cui era arrivata la notizia. La

    N.T.S. Waltham Zachary era stata attaccata dai pirati, il carico

    era scomparso, gli ufficiali erano stati gettati nello spazio tra-

    sformandosi in cadaveri congelati e gli uomini dell'equipaggio

    erano stati fatti prigionieri. La nave aveva tentato un'inutile re-

    sistenza ed era stata danneggiata cos gravemente che i pirati

    non si erano presi la briga di recuperarla. Si erano impadroniti

    di tutti gli oggetti mobili di valore, degli strumenti e persino dei

    motori.

    Lucky aveva osservato: La nostra vera nemica la fascia

  • degli asteroidi. Almeno centomila sassi vaganti.

    Di pi. Conway si era tolta la sigaretta di bocca. Ma che

    possiamo fare? Fin da quando nata l'idea di un Impero terre-

    stre gli asteroidi sono stati una spina nel fianco. Almeno una

    decina di volte siamo andati laggi per fare piazza pulita dei

    covi dei pirati, e ogni volta ne abbiamo lasciati abbastanza per-

    ch ricominciassero. Venticinque anni fa, quando...

    Lo scienziato dai capelli bianchi si era interrotto bruscamen-

    te. Venticinque anni prima i genitori di Lucky erano stati assas-

    sinati nello spazio e lui stesso, che all'epoca era soltanto un

    bambino, era stato lanciato alla deriva.

    I calmi occhi castani di Lucky non mostravano tracce d'emo-

    zione. Il guaio aveva replicato che non conosciamo nem-

    meno le posizioni di tutti gli asteroidi.

    Ovviamente no. Ci vorrebbero cento navi e un centinaio

    d'anni per cartografare quelli di una certa grandezza. E anche

    cos, di tanto in tanto l'attrazione di Giove ne modificherebbe

    l'orbita.

    Dovremmo tentare, comunque. Se mandassimo un'astrona-

    ve, i pirati potrebbero non rendersi conto che un compito im-

    possibile e si spaventerebbero. Naturalmente, appena si spar-

    gesse la voce che una nave sta cartografando la fascia, l'attac-

    cherebbero...

    E poi?

    Supponi che la nostra astronave fosse un modello automati-

    co, dotata di tutti gli strumenti ma senza equipaggio.

    Un'operazione costosa.

    Ma che varrebbe la pena finanziare. Supponi che la dotas-

    simo di scialuppe in grado di lasciare la nave non appena gli

    strumenti registrassero l'avvicinarsi di un altro motore iperato-

    mico. Cosa credi che farebbero, i pirati?

    Distruggerebbero le scialuppe a cannonate, salterebbero a

    bordo dell'astronave e se la porterebbero alla loro base.

    O, meglio, a una delle basi. Giusto. E avendo visto le scia-

  • luppe che si allontanavano, non si stupirebbero di non trovare

    nessuno a bordo. Dopo tutto si tratterebbe di un'astronave di ri-

    cognizione e non militare. L'equipaggio non sarebbe tenuto a

    resistere ad ogni costo.

    Bene, ma dove vuoi arrivare?

    Fai un altro piccolo sforzo e immagina che la nave sia fatta

    in modo da esplodere non appena la temperatura salga a pi di

    venti gradi assoluti, come certo accadrebbe in un hangar sugli

    asteroidi.

    Insomma tu proponi di mandargli una bomba...

    S. Una bomba gigantesca, capace di frantumare un asteroi-

    de. Distruggerebbe decine di navi pirata e inoltre gli osservatori

    di Cerere, Vesta, Giunone o Pallade avvisterebbero il lampo e

    sarebbero in grado di rintracciare eventuali superstiti. Da loro

    potremmo ottenere preziose informazioni.

    Capisco.

    Cos si erano messi al lavoro per costruire la Atlas.

    La sagoma in ombra accanto al portello stagno ag con rapidit

    e sicurezza. I comandi sigillati cedettero al sottilissimo raggio

    di una micropistola termica e il disco di metallo si apr. Le dita

    guantate di nero dell'individuo misterioso si mossero velocis-

    sime: il disco fu sostituito e poi fuso da un raggio pi freddo

    emesso dalla stessa micropistola.

    Il portello si spalanc e l'allarme che suonava abitualmente

    tacque: i circuiti che si trovavano all'interno del disco erano

    stati distrutti. L'individuo misterioso entr nella camera stagna

    e la porta si chiuse alle sue spalle. Prima che s'aprisse il portel-

    lo esterno - quello che dava sulla superficie senz'aria della Lu-

    na - egli srotol la massa di plastica trasparente che portava

    sotto il braccio e la indoss. Non solo il materiale lo copriva

    dalla testa ai piedi, ma gli aderiva perfettamente ed era interrot-

    to in un solo punto, gli occhi, dove correva una banda di plasti-

    ca ai siliconi. Un piccolo cilindro di ossigeno liquido era ag-

    ganciato al collare su cui s'innestava la testa della tuta ed era

  • trattenuto da un altro gancio alla vita. Era quasi una tuta spazia-

    le, ma serviva solo per brevi tragitti in un ambiente vuoto. Ol-

    tre la mezz'ora non garantiva pi nessuna protezione.

    Bert Wilson trasal e gir la testa. Hai sentito?

    Bigman lo guard a bocca aperta. Non ho sentito niente.

    Giurerei che era lo scatto del portello stagno. Per strano,

    non suonato l'allarme.

    Perch, avrebbe dovuto suonare?

    Certo, dobbiamo sapere quando si apre una camera a tenuta

    stagna. Qui ci sono due mondi, uno con aria e luce e uno senza.

    Se non stessimo attenti, qualcuno potrebbe far uscire tutta l'aria

    dal corridoio.

    Va bene, ma se non suona l'allarme non c' di che preoccu-

    parsi.

    Non ne sono tanto sicuro. Con una serie di balzi calcolati,

    ognuno dei quali nella debole gravit lunare permetteva di fare

    sei metri, la sentinella si avvi verso il portello stagno. Si fer-

    m a un pannello incassato nella parete e accese tre banchi se-

    parati di fari a giorno: la zona fu inondata di luce.

    Bigman lo segu con salti pi goffi e che rischiavano di farlo

    cadere sul naso da un momento all'altro.

    Wilson estrasse il disintegratore ed esamin la porta, poi si

    gir verso il corridoio. Sei sicuro di non aver sentito niente?

    Niente rispose Bigman. Ma ovviamente non ero sul chi

    vive.

    Cinque minuti all'ora zero.

    Sotto i piedi dell'individuo misterioso che si dirigeva verso

    l'Atlas come al rallentatore, e che indossava una goffa tuta spa-

    ziale, la polvere della Luna si sollevava in lenti sbuffi.

    L'astronave scintillava al chiaro di Terra ma sulla superficie

    senz'aria della Luna la luce non si diffondeva nemmeno d'un

    centimetro oltre l'ombra del costone che cingeva lo spaziopor-

    to.

  • Con tre balzi l'individuo misterioso attravers la zona illumi-

    nata e poi fu di nuovo nell'ombra nera come pece, l'ombra

    dell'astronave.

    Sal sulla scaletta aiutandosi con le mani, ma grazie alla bas-

    sa gravit poteva fare anche dieci pioli per volta. Arriv al por-

    tello d'ingresso, armeggi un attimo ai comandi e lo apr. Dopo

    essersi infilato dentro, lo richiuse.

    Adesso l'Atlas aveva un passeggero!

    La sentinella esamin il portello con aria dubbiosa.

    Bigman lo raggiunse alla men peggio e disse: Sono qui da

    una settimana e ancora devo stare attento a dove metto i piedi,

    se non voglio inciampare. Non il massimo, per uno spaziale

    nato come me; se potessi, giuro che me ne andrei....

    La sentinella esclam con angoscia: Amico, dacci un taglio.

    Sei un ragazzo simpatico e tutto il resto, ma rimandiamo la sol-

    fa a un'altra volta.

    Per un attimo guard il sigillo che proteggeva i circuiti.

    Buffo disse.

    Bigman imprecava sempre pi accesamente. La sua piccola

    faccia si era fatta paonazza e ora si aggrapp al gomito della

    sentinella, rischiando di farle perdere l'equilibrio.

    Ehi, amico, chi sarebbe il ragazzo?

    Levati dai piedi!

    Solo un attimo. Mettiamo in chiaro quanto segue, e cio che

    non mi faccio scacciare come un moscerino solo perch non

    sono uno spilungone. Levami le mani di dosso e sfodera i pu-

    gni o ti spiaccico il naso sulla faccia.

    Si mise in guardia, cercando di non perdere l'equilibrio.

    Wilson lo guard sbalordito. Ma che ti prende? Smetti di

    fare il cretino.

    Hai paura?

    Non posso battermi quando sono in servizio e inoltre non

    volevo offenderti. Ho del lavoro da fare e non ho tempo per te,

    tutto qui.

  • Bigman abbass i pugni. Ehi, credo che la nave stia decol-

    lando.

    Non ci fu alcun rombo, ovviamente, perch il suono non si

    trasmette nel vuoto, ma il terreno vibr sotto lo scarico dei raz-

    zi che sollevavano la nave dalla Luna.

    Hai proprio ragione.

    Sulla fronte di Wilson apparvero delle rughe. Suppongo che

    non abbia senso fare rapporto. E comunque troppo tardi.

    Aveva dimenticato il disco che proteggeva i circuiti.

    Ora zero!

    La fossa di scarico rivestita di ceramica si spalanc sotto

    l'Atlas e i razzi principali vomitarono la loro furia dentro di es-

    sa. Lentamente, maestosamente la nave si alz e si diresse ver-

    so il cielo. La velocit aument: sembr che l'astronave doves-

    se bucare lo spazio nero e poi si ridusse a un puntino luminoso,

    a una stella fra le altre. Alla fine scomparve.

    Il dottor Henree guard l'orologio per l'ennesima volta e disse:

    Be', ormai andata. Partita. Indic il quadrante col cannello

    della pipa.

    Conway ribatt: Controlliamo con le autorit portuali.

    Cinque secondi dopo guardavano al video la pista deserta

    dello spazioporto. La fossa di scarico era aperta e, nonostante

    sulla superficie della Luna, al buio, il gelo sia quasi totale, dalla

    conca si alzava ancora un filo di vapore.

    Conway scosse la testa. Era una bella nave.

    Lo ancora.

    Per me ormai condannata. Fra pochi giorni sar un am-

    masso di metallo fuso.

    Speriamo che anche la base pirata sia condannata.

    Henree annu cupamente.

    Si girarono entrambi quando la porta si apr, ma era solo

    Bigman.

    Il piccoletto entr con un largo sorriso. Ragazzi, stato di-

  • vertente venire qui a Luna City! Si sentono i chili scivolare via

    a ogni passo che si fa. Batt un piede per terra e salt una,

    due, tre volte. Provatevi a fare questo trucchetto dov'ero pri-

    ma: arriverete sotto il soffitto e farete la figura degli stupidi.

    Conway aggrott la fronte. Dov' Lucky?

    Bigman rispose: Io lo so e lo seguo col pensiero. L'Atlas

    appena partita....

    Ma certo, questo lo sappiamo disse Conway. Dov' Luc-

    ky?

    A bordo dell'Atlas, ovviamente. Dove altro credevate?

  • Granelli dello spazio

    Il dottor Henree lasci cadere la pipa senza farci caso, ed essa

    rimbalz sul pavimento di linolite.

    Che cosa?

    Conway arross e la faccia paonazza risalt ancora di pi sot-

    to i capelli bianchi. uno scherzo?

    No. Ha agito cinque minuti prima del decollo mentre io in-

    trattenevo la sentinella e facevo in modo che non lo fermasse.

    Ho dovuto perfino provocarlo, quel Wilson, e gli avrei dato il

    fatto suo se non si fosse tirato indietro. Con i pugni Bigman

    simul il gesto di chi mette k.o. l'avversario.

    E tu lo hai fatto partire? Senza avvertirci?

    Come avrei potuto? Sono leale verso Lucky, e lui ha deciso

    di partire all'ultimo momento senza informare n lei n il dottor

    Henree, altrimenti lo avreste fermato.

    Conway brontol qualcosa. E cos ce l'ha fatta! Per lo spa-

    zio! Gus, dovevo immaginarmelo che non c'era da fidarsi di un

    marziano alto una spanna. Bigman, maledetto idiota, non sai

    che quella nave una bomba?

    Sicuro, e anche Lucky lo sa. Dice di non mandare altre navi

    al suo inseguimento o saranno guai.

    Davvero? Entro un'ora gli manderemo addosso uno squa-

    drone, che lo voglia o no.

    Henree afferr la manica dell'amico. Meglio di no, Hector.

    Non sappiamo che cosa sta macchinando ma confidiamo che

    riuscir a cavarsela, di qualunque cosa si tratti. Non interferia-

    mo.

    Conway ricadde sulla poltrona, tremando di rabbia e di

  • preoccupazione.

    Bigman aggiunse: Ci incontreremo su Cerere, dice Lucky.

    Si raccomandato che lei controllasse la sua emotivit, dottor

    Conway.

    Brutto... cominci Conway, minaccioso. Bigman lasci la

    stanza di corsa.

    L'orbita di Marte era alle sue spalle e il sole era un puntolino

    insignificante.

    Lucky Starr amava il silenzio dello spazio. Da quando si era

    laureato ed era stato ammesso nel Consiglio della Scienza, lo

    spazio era diventato la sua casa pi di qualsiasi pianeta. L'Atlas

    era una nave confortevole, fornita delle provviste che normal-

    mente bastano a un intero equipaggio meno quelle che si sup-

    ponevano consumate durante il viaggio per arrivare agli aste-

    roidi. In ogni aspetto l'Atlas doveva sembrare un'unit dotata di

    regolare equipaggio, cos Lucky mangi bistecche sintetiche

    prodotte nei campi di lievito di Venere, dolci marziani e polli

    disossati della Terra.

    "Ingrasser", si disse mentre guardava il cielo.

    Era abbastanza vicino da distinguere gli asteroidi maggiori:

    Cerere, il pi grande, aveva un diametro di circa ottocento chi-

    lometri; Vesta si trovava dalla parte opposta del sole, ma Giu-

    none e Pallade erano visibili.

    Se Lucky avesse usato il telescopio dell'astronave ne avrebbe

    scoperti migliaia d'altri, forse decine di migliaia. Non sembra-

    vano avere fine.

    Un'antica teoria sosteneva che fra Marte e Giove esistesse un

    pianeta intermedio che in tempi molto remoti era esploso di-

    sgregandosi in una serie infinita di frammenti; ora si sapeva

    che non era cos. La colpa era tutta di Giove, che nei turbolenti

    millenni di formazione del sistema solare aveva destabilizzato

    lo spazio circostante con la sua gigantesca attrazione gravita-

    zionale. La "ghiaia cosmica" che si trovava in quella regione -

    che copriva estensioni di centinaia di milioni di chilometri -

  • non aveva potuto organizzarsi in un singolo pianeta perch

    Giove l'attraeva in direzione opposta; questo aveva dato origine

    agli asteroidi.

    I quattro maggiori superavano i centocinquanta chilometri di

    diametro; i successivi millecinquecento avevano un diametro

    oscillante fra quindici e centocinquanta chilometri e infine ce

    n'erano una quantit (nessuno conosceva il numero esatto) il

    cui diametro non superava il chilometro ma che erano pur sem-

    pre grandi quanto la Grande Piramide, o ancora di pi.

    Erano cos tanti che gli astronomi li chiamavano "i granelli

    dello spazio".

    Gli asteroidi erano sparpagliati nell'intera regione tra Marte e

    Giove e ognuno girava secondo la propria orbita. Nessun altro

    sistema conosciuto nella galassia ne era provvisto, ma nel no-

    stro era un bene che ci fossero: gli asteroidi avevano formato

    una sorta di trampolino di lancio verso i pianeti maggiori. Per

    altri versi, tuttavia, avevano costituito una difficolt. Ogni cri-

    minale, fuggendo laggi, diventava praticamente imprendibile.

    Nessuna forza di polizia era in grado di scandagliare una ad

    una quelle montagne volanti.

    Gli asteroidi pi piccoli erano terra di nessuno: sui maggiori

    c'erano attrezzati osservatori astronomici, come ad esempio

    quello di Cerere. Su Pallade esistevano miniere di berillio,

    mentre Vesta e Giunone costituivano importanti stazioni di ri-

    fornimento. Ma restavano pur sempre cinquantamila asteroidi

    di dimensioni rispettabili su cui l'Impero terrestre non aveva al-

    cuna giurisdizione. Alcuni erano abbastanza grandi da ospitare

    una flotta, altri cos piccoli che a stento poteva starci un'astro-

    nave con i rifornimenti d'acqua, cibo e combustibile per sei

    mesi.

    Cartografare quella miriade di piccoli mondi era un'impresa

    impossibile. Perfino nell'antica ra preatomica, quando i viaggi

    spaziali non erano cominciati e si conoscevano soltanto mille o

    millecinquecento pianetini (i maggiori), si era ritenuto arduo

  • classificarli. Le orbite erano state attentamente calcolate grazie

    alle osservazioni telescopiche, ma ogni tanto un asteroide

    "scompariva" e veniva ritrovato soltanto in seguito.

    Lucky si scosse dalle sue fantasticherie. L'ergometro, sensibi-

    lissimo, aveva captato un'emissione proveniente dallo spazio.

    Con un salto Lucky and al pannello di comando.

    La radiazione costante del sole, sia che giungesse diretta-

    mente o riflessa dai pianeti, non veniva presa in considerazione

    dal misuratore. Quelli che aveva appena registrato erano i ca-

    ratteristici impulsi intermittenti di un motore iperatomico.

    Lucky inser l'ergografo e il tracciato energetico fu riprodotto

    in una serie di linee. Il giovane seguiva il grafico con una certa

    impazienza e man mano che il rotolo di carta si svolgeva da-

    vanti ai suoi occhi la mascella gli s'irrigid.

    La possibilit che l'Atlas incrociasse un mercantile o un tran-

    satlantico esisteva, e Lucky l'aveva saputo fin dal primo mo-

    mento, ma gli impulsi non sembravano appartenere a quel tipo

    di navi. L'unit che si avvicinava aveva motori d'avanguardia,

    diversi da quelli di qualsiasi flotta terrestre.

    Passarono cinque minuti prima che Lucky potesse calcolare

    la distanza e la direzione della fonte d'energia.

    Prepar il video per l'ingrandimento telescopico e il fondo

    stellato brulic di miriadi di puntini luminosi. Lucky cerc

    scrupolosamente fra le stelle infinitamente lontane e immobili,

    finch un puntolino in movimento attrasse la sua attenzione. I

    quadranti dell'ergometro si allinearono su altrettanti zeri.

    Era una nave pirata, senza dubbio! Lucky pot distinguerne

    la sagoma che per met brillava al sole. Nella parte in ombra i

    portelli erano contrassegnati da luci. Era un vascello sottile e

    grazioso, con un aspetto molto maneggevole. E non sembrava

    costruito dall'uomo.

    "Design siriano", pens Lucky.

    Guard la nave farsi pi grande: era un aggeggio come quel-

    lo che avevano visto suo padre e sua madre l'ultimo giorno del-

  • la loro vita?

    Lucky Starr non ricordava bene il padre e la madre, ma aveva

    visto le loro fotografie ed Henree e Conway gli avevano fatto

    interminabili racconti su Lawrence e Barbara Starr. L'alto e

    grave Gus Henree, il collerico ma perseverante Hector Conway

    e lo spensierato Larry Starr erano stati inseparabili. Avevano

    fatto le scuole insieme, si erano laureati nella stessa sessione ed

    erano entrati nel Consiglio come un uomo solo, svolgendo in

    gruppo tutti gli incarichi.

    Poi Lawrence Starr era stato promosso e mandato su Venere

    per un'ispezione. Si era imbarcato senza esitazione con sua

    moglie e il piccolo Lucky, che allora aveva solo quattro anni, e

    nello spazio erano stati attaccati dai pirati.

    Per anni Lucky aveva infelicemente immaginato come dove-

    va essersi svolto il massacro sulla nave: prima la distruzione

    dei motori principali, a poppa, mentre gli assalitori erano anco-

    ra lontani; poi l'esplosione dei portelli stagni e l'arrembaggio.

    Passeggeri ed equipaggio della nave attaccata che indossavano

    le tute, frettolosamente, mentre l'aria fuggiva; uomini che si

    armavano in attesa dello scontro; vittime innocenti, senza pi

    speranza, ammassate nelle cabine interne. Donne che piange-

    vano, bambini che urlavano.

    Il padre di Lucky non era fra quelli che si erano andati a na-

    scondere. Era un membro del Consiglio, lui. Si era procurato

    un'arma ed era andato a combattere, Lucky ne era sicuro. Ave-

    va un solo ricordo, un'immagine che ancora gli bruciava: suo

    padre, un uomo alto e forte, che puntava il disintegratore e as-

    sumeva un'espressione di gelida collera mentre la porta della

    sala comando si dissolveva in una nuvola di fumo nero. E sua

    madre, la faccia bagnata e gonfia ma chiaramente visibile at-

    traverso la visiera del casco, che sistemava Lucky in una picco-

    la scialuppa.

    Non piangere, David, andr tutto bene.

    Erano le sole parole che ricordasse di aver sentito da sua

  • madre; poi c'era stato un tuono e qualcosa lo aveva spinto con-

    tro la parete.

    La scialuppa era stata trovata due giorni dopo da una nave

    che aveva intercettato l'S.O.S. automatico.

    Subito dopo il disastro il governo aveva intrapreso una terri-

    bile campagna contro i pirati degli asteroidi e il Consiglio si era

    unito allo sforzo con tutte le sue risorse. I pirati avevano sco-

    perto a loro spese che attaccare e uccidere uomini-chiave del

    Consiglio della Scienza era un brutto affare: i covi scoperti fra

    gli asteroidi erano stati polverizzati e per vent'anni la minaccia

    dei fuorilegge era stata ridotta al minimo.

    Spesso Lucky si era chiesto se la polizia avesse individuato

    la nave e gli uomini che avevano distrutto la sua famiglia. Non

    c'era modo di saperlo.

    E ora la minaccia riviveva, in modo meno spettacolare ma

    molto pi insidioso. La pirateria non era pi un affare da lupi

    isolati e si era costituita come un vero e proprio fronte d'attacco

    al commercio terrestre. C'era dell'altro. A giudicare dalla natura

    della guerriglia che i pirati conducevano, Lucky era sicuro che

    dietro le quinte un'unica mente guidasse tutte le loro azioni. Ed

    era quella mente, lo sapeva, che lui avrebbe dovuto rintraccia-

    re.

    Lucky punt di nuovo gli occhi sull'ergometro. La registrazio-

    ne del flusso d'energia era particolarmente forte, in quel mo-

    mento. L'altro vascello si trovava alla distanza dove la cortesia

    spaziale impone di farsi riconoscere e scambiare i messaggi di

    routine. Non solo: era la distanza alla quale, di solito, i pirati

    cominciavano a manifestare le loro intenzioni ostili.

    Sotto i piedi di Lucky il pavimento trem. Non era una can-

    nonata sparata dall'altra nave, ma piuttosto il rinculo provocato

    da una scialuppa che si allontanava: gli impulsi d'energia erano

    diventati abbastanza forti da attivare i comandi automatici di

    fuga.

    Un altro tremito, e poi un altro ancora: cinque in tutto.

  • Lucky guard la nave che si avvicinava. Spesso i pirati di-

    struggevano le scialuppe in allontanamento, in parte per crude-

    le divertimento e in parte per evitare che i fuggitivi descrives-

    sero alle autorit il tipo dell'astronave che li aveva attaccati,

    posto che non l'avessero gi fatto per via subeterica.

    Stavolta, tuttavia, l'unit fuorilegge ignor completamente le

    scialuppe: si avvicin ulteriormente, espulse i grappini d'ar-

    rembaggio e si agganci all'Atlas. I due vascelli erano inestri-

    cabilmente legati e i loro movimenti nello spazio coincidevano

    alla perfezione.

    Lucky attese.

    Sent il portello stagno aprirsi, poi chiudersi. Sent il rumore

    dei piedi sul metallo e quello dei caschi che venivano sganciati

    dalle tute, poi alcune voci.

    Non si mosse.

    Una sagoma apparve sulla porta. L'intruso si era tolti casco e

    guanti, ma il resto del corpo era ancora protetto dalla tuta in-

    crostata di ghiaccioli. Era normale che si formassero cristalli di

    ghiaccio quando uno passava dallo zero assoluto dello spazio

    all'atmosfera calda e umida di un'astronave. Adesso stavano

    cominciando a sciogliersi.

    Il pirata si accorse della presenza di Lucky solo quando ebbe

    fatto due lunghi passi nella cabina di comando. Si ferm, la

    faccia contratta in un'espressione quasi comica di stupore. Luc-

    ky ebbe il tempo di notare i radi capelli neri, il lungo naso e la

    micidiale cicatrice bianca che correva da una narice a un cani-

    no, spaccando il labbro superiore in due parti asimmetriche.

    Lucky sopport senza batter ciglio l'occhiata indagatrice che

    il malvivente a sua volta gli rivolse. Non temeva di essere rico-

    nosciuto perch gli uomini del Consiglio lavoravano sempre

    senza fare tanta pubblicit, ben sapendo che una faccia troppo

    conosciuta avrebbe ridotto le probabilit di successo. Il volto di

    suo padre era apparso alla subeterica solo dopo che era morto.

    Con un vago senso di amarezza Lucky pens che una maggiore

  • pubblicit in vita l'avrebbe forse risparmiato dalla sorte che gli

    era toccata. Ma questa era una sciocchezza, lo sapeva. Quando

    i pirati avevano visto in faccia Lawrence Starr, l'attacco era

    giunto al culmine e non si sarebbero certo ritirati.

    Lucky disse: Ho un disintegratore, ma lo user solo se tu fai

    tanto di allungare la mano verso il tuo. Non muoverti.

    Il pirata aveva aperto la bocca. La chiuse di nuovo.

    Lucky continu: Se vuoi chiamare i tuoi compagni, fai pu-

    re.

    Il pirata gli dette un'occhiata sospettosa, poi, con lo sguardo

    puntato sul disintegratore del giovane, grid: Per lo spazio!

    Qui c' un energumeno con un cannone.

    Ci fu una risata e una seconda voce grid: Calmati!.

    Un altro uomo entr nella cabina. Fatti da parte, Dingo.

    Il nuovo venuto si era tolto la tuta spaziale e costituiva uno

    spettacolo piuttosto insolito. Gli abiti che indossava venivano

    probabilmente dal miglior sarto di International City e sembra-

    vano pi adatti a un party sulla Terra che al ponte di un'astro-

    nave. La camicia aveva quell'aspetto serico che si ottiene solo

    col miglior plastex; l'iridescenza era sottile pi che vistosa, e i

    pantaloni stretti alle caviglie le si abbinavano cos bene che, se

    non fosse stato per la preziosa cintura, sarebbero parsi un

    tutt'uno con la camicia. L'uomo portava un bracciale che ri-

    chiamava la cintura e un foulard azzurro cielo estremamente

    morbido. I capelli castani e ricci erano pettinati in modo da

    formare boccoli e indubbiamente ricevevano frequenti atten-

    zioni.

    L'uomo era mezza testa pi basso di Lucky ma, dal modo in

    cui si muoveva il giovane consigliere si rese conto che quello

    non era affatto un mollaccione, e guai a pensare il contrario.

    Il nuovo venuto disse piacevolmente: Mi chiamo Anton. Ti

    dispiace abbassare quell'arma?.

    Per essere ammazzato? ribatt Lucky.

    probabile che alla fine tu venga ammazzato, ma non per il

  • momento. Devo prima interrogarti.

    Lucky non si mosse.

    Anton aggiunse: Sono uno che mantiene la parola, io. Un

    lieve rossore imporpor i suoi zigomi. la sola virt che ho,

    secondo il metro con cui gli uomini giudicano la virt, ma la

    rispetto nel modo pi assoluto.

    Lucky abbass il disintegratore e Anton lo afferr. Poi lo

    pass all'altro pirata.

    Mettilo via ed esci di qui, Dingo. Quindi si rivolse a Luc-

    ky. Gli altri passeggeri sono fuggiti con le scialuppe, vero?

    Lucky rispose: ovvio che questa una trappola, An-

    ton....

    Capitan Anton, se non ti dispiace. Sorrise, ma le narici

    fremettero.

    Va bene, capitan Anton. Questa una trappola. A quanto

    pare sapevi che su questa nave non c'erano passeggeri n equi-

    paggio. Lo sapevi molto prima di dare l'arrembaggio.

    Davvero? Come fai a dirlo?

    Ti sei avvicinato a questa unit senza segnalare e senza spa-

    rare una bordata di avvertimento. Non sei arrivato a grande ve-

    locit e quando hai visto le scialuppe le hai ignorate. I tuoi uo-

    mini sono entrati a bordo senza particolari precauzioni, come

    se non si aspettassero di incontrare resistenza. L'uomo che mi

    ha trovato entrato in questa stanza con il disintegratore nella

    fondina. La conclusione ovvia.

    Molto bene. E allora che ci fai su una nave senza passeggeri

    n equipaggio?

    Lucky rispose cupamente: Sono venuto a cercare te, capitan

    Anton.

  • Duello verbale

    L'espressione di Anton non cambi. Adesso mi hai trovato.

    Devo parlarti in privato, capitano. Lucky strinse le labbra

    con determinazione.

    Anton si guard rapidamente intorno. Una decina di uomini

    con le tute tolte parzialmente o totalmente si erano affollati nel-

    la cabina di comando e seguivano la scena con grande interes-

    se.

    Il capitano arross lievemente e alz la voce. Mettetevi al

    lavoro, ciurma. Voglio un rapporto completo su questa nave.

    Tenete le armi pronte, potrebbero esserci altri uomini a bordo;

    se qualcuno si fa sorprendere come Dingo, giuro che lo butto

    fuori dal portello stagno.

    Ci fu un lento, incerto trepestio.

    La voce di Anton si trasform in un urlo. In fretta, in fret-

    ta! Un gesto velocissimo e nella sua mano apparve un disinte-

    gratore. Conto fino a tre e poi sparo. Uno... due...

    Gli uomini sparirono.

    Anton si volt di nuovo verso Lucky. Aveva gli occhi lucci-

    canti e il fiato sibilava dalle narici bianche, dilatate.

    La disciplina una gran cosa ansim. Gli uomini debbo-

    no temermi. Devono avere pi paura dei miei ordini che della

    Marina terrestre. Solo cos una nave diventa un cervello e un

    braccio solo.

    "S", pens Lucky, "un cervello e un braccio solo, ma di chi?

    Il tuo?"

    Anton aveva riacquistato il sorriso amichevole, aperto e in-

    fantile di poco prima. Adesso dimmi cosa vuoi.

  • Lucky indic col pollice il disintegratore ancora estratto e

    pronto a sparare, poi sorrise a sua volta. Vuoi uccidermi? Se

    cos, fai presto.

    Anton sembr sorpreso. Per lo spazio, non sei il tipo che si

    preoccupa per niente! Ti uccider quando vorr, mi piace cos.

    Come ti chiami? La canna dell'arma continuava a fissare Luc-

    ky con mortale precisione.

    Williams, capitano.

    Sei un uomo alto, Williams, sembri forte. Eppure basta un

    gesto del mio dito e sei morto. Penso che sia una parabola

    istruttiva: due uomini e un disintegratore, tutto qui il segreto

    del potere. Hai mai pensato al potere, Williams?

    Qualche volta.

    l'unica cosa che abbia un significato nella vita, non tro-

    vi?

    Forse.

    Vedo che sei ansioso di parlare d'affari. Cominciamo. Per-

    ch ti trovi qui?

    Ho sentito parlare dei pirati.

    Noi siamo gli uomini degli asteroidi, Williams, non usiamo

    altri nomi.

    Mi sta bene. Sono venuto per unirmi agli uomini degli aste-

    roidi.

    Ci lusinghi, ma il mio dito ancora sul grilletto del disinte-

    gratore. Perch vuoi unirti a noi?

    La vita sulla Terra opprimente, capitano. Un uomo come

    me potrebbe farsi una posizione come contabile o come inge-

    gnere; potrei dirigere una fabbrica o sedermi dietro una scriva-

    nia e votare alle riunioni del consiglio d'amministrazione. Non

    ha importanza, in qualunque caso sarebbe pura e semplice rou-

    tine. Comincerei la mia vita in un modo e la finirei nella stessa

    maniera, sapendo benissimo a che cosa andrei incontro. Non ci

    sarebbe avventura, non ci sarebbe incertezza.

    Sei un filosofo, Williams, continua.

  • Ci sono le colonie, ma non mi attira la vita del colono mar-

    ziano o del coltivatore di lievito su Venere. Quello che mi affa-

    scina la vita sugli asteroidi, dura e pericolosa. Un uomo pu

    raggiungere il potere, proprio come te. E, come hai detto, il po-

    tere d un senso alla vita.

    E cos ti sei imbarcato clandestinamente su una nave auto-

    matica?

    Non sapevo che fosse automatica. Dovevo imbarcarmi

    clandestinamente su un'astronave: i voli legittimi costano cari e

    il visto per gli asteroidi non viene concesso facilmente, di que-

    sti tempi. Sapevo che la nave faceva parte di una spedizione

    cartografica. Si era sparsa la voce che era diretta qui, cos ho

    aspettato e all'ultimo momento sono saltato a bordo. Pochi mi-

    nuti prima del decollo tutti sono occupati nelle operazioni di

    lancio, ma il portello stagno ancora aperto: ho approfittato del

    momento propizio e mentre un amico distraeva la sentinella, mi

    sono infilato nella nave.

    Credevo che ci saremmo fermati su Cerere, la prima base

    per ogni spedizione negli asteroidi. Una volta l pensavo di po-

    termela cavare senza problemi. Lass ci sono soltanto astro-

    nomi e matematici: strappagli i loro cannocchiali e diventeran-

    no ciechi, puntagli un disintegratore contro e moriranno di pau-

    ra. Da Cerere avrei contattato facilmente i pi... voglio dire gli

    uomini degli asteroidi. Semplice.

    Solo che una volta a bordo hai avuto una sorpresa, vero?

    chiese Anton.

    Direi. Sulla nave non c'era nessuno e prima che potessi de-

    cidere diversamente, siamo decollati.

    Come te lo spieghi, Williams?

    Non me lo spiego affatto.

    Bene, vediamo se riusciamo a scoprirlo insieme. Anton

    fece un gesto col disintegratore e disse rudemente: Andiamo.

    Il capo dei pirati fece strada lungo il corridoio centrale della

    nave. Un gruppo di uomini usc dalla porta di fronte. Borbotta-

  • vano tra loro ma si interruppero quando videro lo sguardo di

    Anton.

    Venite qui ordin il capo.

    Gli uomini si avvicinarono. Uno si asciug i baffi grigi col

    dorso della mano e disse: Qui non c' nessuno, capitano.

    Va bene. Che ne pensate?

    Altri uomini si aggiunsero al gruppetto iniziale formato dai

    quattro.

    La voce di Anton si fece tagliente. Voglio sapere che cosa

    pensate di questa nave.

    Dingo si fece avanti. Si era tolto la tuta spaziale e Lucky po-

    t vederlo meglio: non era piacevole. Grosso e pesante, aveva

    braccia che pendevano in maniera scimmiesca dalle spalle

    massicce. Sul dorso delle dita spuntavano ciuffi di peli neri e la

    cicatrice che gli spaccava il labbro tremava. I suoi occhi fiam-

    meggiarono in direzione di Lucky.

    Non mi piace disse semplicemente.

    Non ti piace la nave? chiese duro Anton.

    Dingo esit, poi raddrizz le braccia e butt indietro le spal-

    le. Puzza.

    Perch dici questo?

    Potrei aprirla con un apriscatole. Chiedi agli altri se non la

    pensano come me. Quest'affare tenuto insieme dagli stuzzi-

    cadenti, non durer tre mesi.

    Ci furono mormorii di assenso. L'uomo coi baffi grigi ag-

    giunse: Chiedo scusa, capitano, ma i circuiti sono in gran par-

    te rovinati e l'isolamento quasi completamente consumato.

    Le saldature sono state fatte di corsa intervenne un altro.

    Le cuciture si vedono cos. Ed esib un dito sporco e grasso.

    Si pu ripararla? chiese Anton.

    Dingo rispose: Ci vorrebbe un anno pi una domenica. Non

    ne vale la pena e comunque non possiamo farlo qui. Dovrem-

    mo portarla su uno dei sassi.

    Anton si volse verso Lucky e spieg soavemente: Noi gli

  • asteroidi li chiamiamo sassi.

    Lucky annu.

    Anton continu: A quanto pare i miei uomini non vogliono

    saperne di questa nave. Perch credi che il governo terrestre

    avrebbe mandato un'astronave automatica - e uno scassone, per

    giunta - in questa zona del sistema?.

    una faccenda sempre pi misteriosa si limit a risponde-

    re Lucky.

    Continuiamo la nostra indagine, allora.

    Anton s'incammin per primo e Lucky lo segu da vicino.

    Gli uomini della ciurma si accodarono in silenzio. A Lucky si

    rizzarono i peli sulla base del collo, ma Anton continu ad

    avanzare senza il minimo segno di nervosismo, come se non si

    aspettasse nessun attacco alla schiena da Lucky. Bella forza: il

    giovane era tallonato da almeno dieci uomini armati.

    Dettero un'occhiata nelle piccole stanze, ognuna progettata

    con la massima economia di spazio: c'erano la sala di calcolo, il

    piccolo osservatorio, il laboratorio fotografico, la stiva e le ca-

    bine dell'equipaggio.

    Scesero al livello inferiore attraverso uno stretto tubo ricurvo

    all'interno del quale la pseudogravit era neutralizzata, sicch

    una qualunque direzione poteva essere definita arbitrariamente

    "alto" o "basso". Lucky fu spinto avanti per primo, con Anton

    che seguiva a cos breve distanza che il giovane ebbe appena il

    tempo di levarsi di sotto (le gambe leggermente piegate per

    l'improvviso aumento di peso) che il capo dei pirati gli fu ad-

    dosso. Duri, pesanti stivali spaziali mancarono la sua faccia per

    qualche centimetro.

    Lucky riacquist l'equilibrio e gir su se stesso, ma Anton

    sorrideva amabilmente e la canna del disintegratore era puntata

    al cuore di Lucky Starr.

    Mille scuse disse il pirata. Fortuna che sei agile.

    Gi borbott Lucky.

    Al livello inferiore c'erano la sala motori e l'impianto per la

  • produzione dell'energia; le nicchie vuote erano i vani delle

    scialuppe. Seguivano i magazzini del combustibile, quelli del

    cibo e dell'acqua, i ventilatori e lo scudo atomico.

    Anton mormor: Be', che ne pensi? Tutto vecchio, magari,

    ma non vedo niente di insolito.

    difficile dirlo rispose Lucky.

    Tu hai vissuto su questa nave per giorni.

    Sicuro, ma non passo il mio tempo a guardarmi attorno.

    Aspettavo di arrivare da qualche parte.

    Capisco. Bene, torniamo al livello superiore.

    Ancora una volta Lucky fu buttato per primo nel tubo di co-

    municazione. Stavolta atterr con leggerezza e fece un salto la-

    terale di due metri con l'agilit di un gatto.

    Passarono alcuni secondi prima che Anton uscisse a sua vol-

    ta dal tubo. Cos', avevi paura?

    Lucky arross.

    A uno ad uno apparvero gli altri pirati. Anton non li aspett

    tutti ma si avvi nel corridoio.

    Sai, disse ho l'impressione che l'abbiamo visitata tutta,

    questa bagnarola. Molti ne sarebbero gi stufi, e tu?

    No, io no rispose Lucky con calma. Non siamo stati nei

    gabinetti.

    Anton gli dette un'occhiataccia e per un attimo l'aria gioviale

    scomparve dalla sua faccia, sostituita da un lampo di furia.

    Poi gli pass. Si aggiust una ciocca ribelle sulla testa e

    guard con interesse il dorso della propria mano. Bene, guar-

    deremo anche l.

    Quando aprirono la porta dei gabinetti, parecchi uomini fi-

    schiarono e altri esplosero in una serie di esclamazioni colorite.

    Molto carini mormor Anton. Lussuosi, direi.

    Lo erano, senza dubbio! C'erano tre docce separate, con i ru-

    binetti predisposti per l'acqua insaponata (tiepida) e l'acqua di

    risciacquo (calda o fredda). C'erano sei lavabi in avorio croma-

    to con rubinetto per lo shampoo, asciugacapelli e getti pungenti

  • per la stimolazione epidermica. Non mancava proprio niente.

    Di sicuro le toilette non sono antiquate comment Anton.

    Sembrano quelle che fanno vedere alla subeterica, eh, Wil-

    liams? Che ne pensi?

    Sono confuso.

    Il sorriso di Anton svan come il lampo di un'astronave in

    accelerazione. Io no. Dingo, vieni qui.

    Il capo dei pirati disse a Lucky: un problema molto sem-

    plice. C' una nave con nessuno a bordo, messa insieme alla

    men peggio e in fretta. Il bagno, per, di prim'ordine. Perch?

    Credo di saperlo, per farci stare il massimo di condutture. Co-

    me mai? In modo da non farci sospettare che una o due sono

    false... Dingo, quale tubo fasullo?.

    Dingo diede un calcio al primo che trov.

    Non prenderli a calci, maledetto imbecille. Spezzali.

    Dingo obbed e mise in azione la micropistola termica. Dal

    tubo uscirono una serie di cavi.

    Che cosa sono, Williams? chiese Anton.

    Fili rispose Lucky brevemente.

    Lo so, idiota. Il pirata era improvvisamente furioso. Che

    altro? Te lo dico io. Quei fili servono a far esplodere ogni

    grammo di atomite a bordo della nave, naturalmente quando ce

    la saremo portata alla base.

    Lucky trasal. Come fai a saperlo?

    Ti meraviglia? Non sapevi che stavi viaggiando su un'im-

    mensa bomba, e che noi avremmo dovuto portarla alla base per

    riparazioni? Non sapevi che dovevamo saltare in aria tutti

    quanti? Ma gi, tu sei l'esca messa per essere sicuri che

    avremmo abboccato. Solo che io non sono uno stupido!

    Gli uomini si strinsero minacciosamente intorno al capo e a

    Lucky Starr. Dingo si lecc le labbra.

    Con uno scatto Anton punt il disintegratore: nei suoi occhi

    non c'era piet, nessun segno di piet.

    Aspettate! Grande galassia, aspettate! Non so niente di tutto

  • questo, non avete il diritto di spararmi senza motivo. Lucky si

    prepar a combattere, l'ultima lotta prima di morire.

    Non abbiamo il diritto! Anton, con gli occhi che luccica-

    vano, abbass improvvisamente il disintegratore. Come osi

    parlare cos? Ho tutti i diritti, su questa nave!

    Non puoi uccidere un uomo in gamba. Gli uomini degli

    asteroidi hanno bisogno di elementi validi... non buttarne via

    uno per niente.

    Un improvviso e inatteso mormorio si lev dai pirati.

    Una voce disse: Ha fegato, capitano. Forse potremmo usar-

    lo....

    Ma si interruppe appena Anton si volt.

    Poi il capobanda gir di nuovo la testa. Che cosa ti fa pen-

    sare di essere un uomo valido, Williams? Rispondimi e ci pen-

    ser sopra.

    Sono disposto a battermi con chiunque, qua dentro. A mani

    nude o con qualunque arma.

    Davvero? I denti di Anton si scoprirono. Avete sentito,

    uomini?

    Ci fu un ruggito affermativo.

    Sei tu che hai lanciato la sfida, Williams. Con qualunque

    arma... bene! Se esci vivo da questa prova, ti garantisco che

    non ti ammazzer. Diventerai un membro della mia ciurma!

    Ho la tua parola, capitano?

    Hai la mia parola, e io la onoro sempre. La ciurma mi ha

    sentito: se uscirai vivo.

    Con chi combatter? chiese Lucky.

    Con Dingo, un uomo in gamba. Chiunque riesca a batterlo

    dev'essere molto speciale.

    Lucky soppes la massa di carne e muscoli che gli stava da-

    vanti, gli occhi rimpiccioliti dall'attesa della lotta, e suo mal-

    grado fece un cenno d'assenso.

    Poi chiese con decisione: A mani nude o con le armi?.

    Armi! Pistole a repulsione, per l'esattezza. Pistole a repul-

  • sione nello spazio.

    Per un attimo Lucky trov difficile mantenere la calma este-

    riore.

    Anton sorrise. Temi che non sia un esame adeguato a te?

    Non aver paura, Dingo il miglior tiratore della ciurma.

    Il cuore di Lucky perse un colpo. Per un duello a repulsione

    ci voleva un esperto, era risaputo! Fatto per gioco, come ai

    tempi del college, era uno sport. Combattuto da professionisti,

    era una competizione mortale!

    E lui non era un professionista.

  • Duello reale

    I pirati si affollarono sulla superficie esterna dell'Atlas e della

    nave siriana con cui l'avevano abbordata. Alcuni stavano in

    piedi, trattenuti allo scafo da suole magnetiche, altri preferiva-

    no galleggiare nel vuoto per seguire meglio il duello e si tene-

    vano ancorati con un cavo.

    Due fogli di metallo che rappresentavano le "porte" dei ri-

    spettivi contendenti erano stati piazzati a circa ottanta chilome-

    tri di distanza; quando si trovavano a bordo della nave, ripiega-

    ti, i fogli non occupavano pi di un metro quadrato, ma nello

    spazio si aprivano fino a trenta metri grazie al rivestimento

    compresso di berillio-magnesio. Perfettamente visibili anche

    nell'immensit del cosmo, venivano fatti ruotare in modo che il

    bagliore del sole sulle superfici riflettenti mandasse lampi che

    si vedevano per chilometri.

    Conoscete le regole. La voce di Anton arriv con forza

    negli auricolari di Lucky Starr e, presumibilmente, anche in

    quelli di Dingo.

    Lucky individu l'avversario a circa un chilometro di distan-

    za: una sagoma infagottata nella tuta che brillava come una

    macchiolina al sole. La scialuppa che li aveva portati fuori si

    stava ritirando verso la nave pirata.

    Conoscete le regole ripet la voce di Anton. Perde chi

    viene spinto fino alla propria porta. Se nessuno dei due viene

    respinto, perde chi ha la pistola scarica per primo. Non c' limi-

    te di tempo o di campo. Avete cinque minuti per prepararvi, ma

    le pistole non si possono usare prima del via.

    "Niente limite di campo" pens Lucky. Ecco il trucco che

  • tradiva l'imbroglio. I duelli a repulsione fatti per sport non po-

    tevano svolgersi a pi di centocinquanta chilometri da un aste-

    roide di almeno dieci chilometri di diametro: questo perch i

    giocatori potessero giovarsi di una precisa, se pur modesta, at-

    trazione gravitazionale. Non sarebbe stata sufficiente a influire

    sui movimenti, ma avrebbe salvato la vita a chi si fosse trovato

    alla deriva nello spazio con una pistola scarica. Anche se la

    scialuppa di salvataggio non l'avesse ripescato immediatamen-

    te, il giocatore non avrebbe dovuto fare altro che stare tranquil-

    lo e nel giro di qualche ora, o alla peggio di un paio di giorni,

    sarebbe tornato sulla superficie dell'asteroide.

    Nel caso di Lucky, invece, non c'era un solo asteroide di

    proporzioni decenti nel raggio di centinaia di chilometri. Una

    spinta come si deve sarebbe continuata molto a lungo e con

    ogni probabilit si sarebbe esaurita nel sole, molto dopo che lo

    sfortunato giocatore fosse morto d'asfissia per esaurimento

    dell'ossigeno. In simili condizioni veniva stabilito, di solito,

    che quando uno o l'altro dei contendenti superava un certo limi-

    te, il gioco venisse sospeso fino al suo ritorno nell'area del

    combattimento.

    Dire "senza limite di campo" equivaleva a dire "fino alla

    morte".

    La voce di Anton torn a farsi sentire dalla ricevente di Luc-

    ky attraverso i chilometri di spazio che li separavano: era chia-

    ra ma durissima. Due minuti all'inizio. Sistemate i segnali di

    posizione.

    Lucky alz la mano e gir l'interruttore che aveva sul petto.

    Il foglio di metallo colorato, che era stato fissato magnetica-

    mente all'interno del casco, cominci a girare: era un bersaglio

    in miniatura. La figura di Dingo, che fino a un momento prima

    era sembrata una macchiolina inconsistente, brill come un fa-

    nale rosso. Il suo segnale, Lucky lo sapeva, era di un verde

    brillante. Le porte vere e proprie erano bianche.

    Persino in un momento come quello una parte della mente di

  • Lucky era lontana. Durante i preparativi lui aveva cercato di

    fare obiezioni: State a sentire, non che non sia d'accordo, ma

    mentre noi ci divertiamo potrebbe arrivare una nave della Pat-

    tuglia e....

    Anton aveva risposto, sprezzante: Scordatene. Nessuna na-

    ve governativa avrebbe il fegato di arrivare fin qui, nel cuore

    dei sassi. Abbiamo cento astronavi pronte a intervenire in caso

    di chiamata, mille buchi pronti a nasconderci se ce ne fosse bi-

    sogno. Infilati la tuta.

    Cento astronavi! Mille rifugi! Se era vero, i pirati non ave-

    vano mai mostrato la loro vera potenza. Che cosa stava per

    succedere?

    Manca un minuto! disse la voce di Anton attraverso lo

    spazio.

    Lucky impugn con aria cupa le due pistole a repulsione.

    Erano a forma di "L" ed erano collegate, tramite una serie di

    cavi gommati, ai cilindri di gas che il duellatore portava alla vi-

    ta. I cilindri, vagamente simili a un cannolo, contenevano ani-

    dride carbonica liquida sotto forte pressione. Ai vecchi tempi i

    cavi di collegamento erano di rete metallica, ma lo svantaggio

    del metallo - per quanto pi robusto - era di avere una massa

    eccessiva che si sommava alla spinta data dalle pistole e alla

    relativa inerzia. Nei duelli a repulsione, prendere la mira e spa-

    rare rapidamente era essenziale. Poi era stata inventata una fi-

    bra ai siliconi che era in grado di mantenere le propriet elasti-

    che della gomma anche nello spazio e che non si deformava

    sotto i raggi del sole. I cavi di collegamento, a questo punto,

    erano stati fatti con il materiale pi leggero.

    Sparate non appena siete pronti! grid Anton.

    Una delle pistole di Dingo erutt per un secondo. L'anidride

    carbonica liquida si trasform in un getto violento e schizz

    dalla canna a forma di ago. Il gas congel, mutandosi in una se-

    rie di sottili cristalli, a tredici centimetri dal punto di espulsio-

    ne. In capo a mezzo secondo si era formata una teoria di cri-

  • stalli lunga chilometri che puntava in direzione opposta a quel-

    la verso la quale veniva spinto Dingo. Era il principio su cui si

    basavano i razzi: Dingo era l'astronave e il getto della pistola

    riproduceva, in miniatura, quello degli ugelli.

    Per tre volte la teoria di cristalli lampeggi e torn nell'om-

    bra, in lontananza. Puntava verso una zona dello spazio oppo-

    sta rispetto alla posizione di Lucky, mentre Dingo avanzava

    verso di lui grazie a quella propulsione. La realt delle cose era

    ingannevole. L'unico cambiamento percettibile all'occhio era il

    lento accendersi del segnale di Dingo, ma Lucky sapeva che la

    distanza fra di loro diminuiva con spaventosa velocit.

    Quello che Lucky ignorava era la strategia che avrebbe usato

    l'avversario, e quindi si trovava alquanto incerto sul modo mi-

    gliore di difendersi. Attese, aspettando che le mosse dell'altro si

    rivelassero da sole.

    Dingo era abbastanza vicino, ora, da apparire come una for-

    ma umanoide con una testa e quattro arti. Gli sarebbe passato

    di lato, ma a quanto pareva non aveva nessuna intenzione di

    aggiustare il tiro: sembrava accontentarsi di sfrecciare alla sini-

    stra di Lucky.

    Lui aspettava ancora. Il coro di grida confuse che era risuo-

    nato nel casco si era calmato: veniva dai trasmettitori dei pirati

    che, sebbene si trovassero troppo lontani per distinguere gli av-

    versari, riuscivano ancora a scorgere i segnali di posizione e gli

    sbuffi d'anidride carbonica. Si aspettavano qualcosa, Lucky

    pens.

    Accadde improvvisamente.

    Un lampo di anidride carbonica e poi un altro apparvero alla

    destra di Dingo, la cui traiettoria cambi, spingendolo verso il

    giovane. Lucky alz la pistola a repulsione, pronto a sparare

    verso il basso per evitare il corpo a corpo. La strategia miglio-

    re, decise, consisteva nel fare proprio cos e nel muoversi il pi

    lentamente possibile, in modo da limitare lo spreco di anidride

    carbonica.

  • Ma Dingo non procedette verso di lui, anzi spar in avanti e

    retrocedette. Lucky rimase a guardare e solo quando fu troppo

    tardi il lampo di luce gli fer gli occhi.

    Il getto d'anidride che Dingo aveva espulso veniva in avanti,

    certo, ma al momento dello sparo l'avversario si era girato sulla

    sinistra, quindi il getto fece altrettanto. I due movimenti, com-

    binati, fecero s che la teoria di ghiaccioli convergesse verso

    Lucky e lo colpisse all'omero sinistro.

    A Lucky sembr di ricevere una mazzata: i cristalli erano

    sottili ma formavano una serie lunghissima e viaggiavano a

    molti chilometri al secondo. Colpirono la tuta in quella che

    sembr una frazione di secondo e il boato della ciurma risuon

    attraverso gli auricolari.

    L'hai beccato, Dingo!

    Che colpo!

    L'ha mandato dritto verso la porta. Guardatelo!

    Bello, bello!

    Gira come un pupazzo!

    Ma sullo sfondo si sentivano imprecazioni meno esuberanti.

    Lucky stava effettivamente ruotando, o meglio, i suoi occhi

    avevano la sensazione che fossero il cielo e le stelle a ruotare.

    Attraverso il visore del casco le stelle apparivano come strisce

    di luce, quasi fossero esse stesse dei getti di anidride carbonica.

    Non vedeva altro che macchie indistinte. Per un attimo fu

    come se il colpo l'avesse privato della capacit di pensare.

    Un urtone alla vita e un secondo alla schiena, mentre ancora

    ruotava, lo spinsero sempre pi lontano.

    Doveva fare qualcosa o Dingo l'avrebbe usato come un pal-

    lone di calcio e l'avrebbe spinto da un capo all'altro del sistema

    solare. Innanzitutto doveva fermare la rotazione e riprendersi.

    Rotolava in diagonale, con la spalla sinistra in alto rispetto

    all'anca destra; punt la pistola a repulsione in direzione con-

    traria a quel movimento e spar alcuni getti di anidride carbo-

    nica.

  • Le stelle rallentarono finch la giostra si trasform in una

    marcia decorosa e tornarono a splendere come punti fissi nel

    cielo. Lo spazio sembrava di nuovo familiare.

    Ma c'era una stella che lampeggiava ed era di gran lunga

    troppo brillante. Lucky sapeva che si trattava della sua porta.

    Quasi diametralmente opposta guizzava la scintilla rossa di

    Dingo. Lucky non poteva spingersi oltre la porta, perch in tal

    caso il duello sarebbe finito e il perdente sarebbe stato lui. Sor-

    passare la porta anche di un chilometro equivaleva a dichiararsi

    sconfitto: erano le regole universali del gioco. D'altra parte non

    poteva permettersi di andare pi vicino all'avversario.

    Lucky alz la pistola, mise il dito sul grilletto e tenne l'arma

    sopra la testa. Aspett un intero minuto prima di alzarlo di

    nuovo e per sessanta secondi sent la pressione contro la som-

    mit del casco mentre accelerava verso il basso.

    Era una manovra disperata, perch in un minuto si sprecava

    la riserva di gas di mezz'ora.

    Dingo, risentito, grid: Maledetto vigliacco! Fifone che non

    sei altro!.

    Anche le grida del pubblico aumentarono.

    Guardatelo come corre.

    Ha superato Dingo. Dingo, prendilo.

    Ehi, Williams, ti decidi a combattere?

    Lucky vide di nuovo la macchia scarlatta dell'avversario.

    Doveva continuare a muoversi, non c'era altro da fare. Dingo

    era un esperto e poteva colpire un meteorite di passaggio largo

    due centimetri. Anche lui, pens Lucky con rabbia, sarebbe sta-

    to capace di colpire Cerere a un chilometro di distanza.

    Adesso usava le pistole a repulsione alternativamente. Prima

    a sinistra, poi a destra, quindi rapidamente a destra, a sinistra e

    a destra di nuovo.

    Non faceva nessuna differenza: era come se Dingo potesse

    prevedere i suoi movimenti, tagliare d'angolo e avanzare ineso-

    rabilmente.

  • Lucky sent il sudore imperlargli la fronte, poi di colpo si re-

    se conto del silenzio. Non ricordava il momento esatto in cui

    era cominciato, ma gli era sembrato come lo spezzarsi di un fi-

    lo. Prima c'erano state le urla e le risate dei pirati, poi, all'im-

    provviso, solo il silenzio mortale, dello spazio dove non si pu

    sentire alcun suono.

    Si era spinto oltre il raggio delle navi? Impossibile! Le radio

    delle tute, anche le pi semplici, avevano una portata di mi-

    gliaia di chilometri nello spazio. Lucky apr al massimo l'inter-

    ruttore che aveva sul petto.

    Capitan Anton!

    Ma fu la voce spietata di Dingo che gli rispose. Non grida-

    re, ti sento.

    Lucky disse: Tempo! C' qualcosa che non va nella mia ra-

    dio.

    Dingo era cos vicino da apparire di nuovo come una figura

    completa. Un getto di cristalli e fu ancora pi vicino. Lucky si

    scans ma il pirata gli rimase attaccato alle calcagna.

    Non c' niente che non va disse Dingo. solo un truc-

    chetto. Aspettavo questo momento, lo aspettavo. Avrei potuto

    spingerti oltre la porta da un sacco di tempo, ma ho aspettato

    che la radio non funzionasse. solo un piccolo transistor che

    ho inserito prima che indossassi la tuta. Per puoi ancora parla-

    re con me, o meglio, puoi farlo per un poco... quella baracca ti

    durer qualche altro chilometro. Soddisfatto della battuta, il

    pirata scoppi a ridere.

    Lucky disse: Non capisco.

    La voce di Dingo torn a farsi sentire, aspra e crudele. Sulla

    nave mi hai sorpreso col disintegratore nella fondina. Mi hai

    intrappolato e mi hai fatto fare la figura dell'idiota. Nessuno

    pu trattarmi cos davanti al capitano e vivere per vantarsene.

    Non ti spinger fino alla porta, non ti sconfigger per dare a

    qualcun altro la gioia di ammazzarti. Lo far io stesso! Qui!

    Dingo era molto pi vicino. Lucky riusciva quasi a distin-

  • guere i lineamenti del volto dietro la spessa glassite della visie-

    ra.

    Il giovane abbandon il tentativo di scansarsi lateralmente:

    non avrebbe ottenuto altro che essere manovrato dall'avversa-

    rio. Prese in considerazione un volo in linea retta, aumentando

    la velocit fino a che il gas gli fosse bastato.

    Ma poi? Si sarebbe accontentato di morire fuggendo?

    Meglio contrattaccare. Punt la pistola verso Dingo, ma

    quando la serie di cristalli pass nel punto dove si era trovato

    un attimo prima, il pirata non c'era pi. Lucky prov di nuovo,

    ma quello sembrava un'anguilla.

    Poi Lucky sent l'impatto violento della pistola dell'altro e

    cominci di nuovo a ruotare. Tent disperatamente di inter-

    rompere quella girandola e, prima che potesse farlo, avvert in

    tutta la sua forza lo scontro dei due corpi.

    Dingo lo aveva praticamente abbracciato.

    Casco contro casco. Visiera contro visiera. Lucky guard la

    cicatrice bianca che spaccava il labbro superiore di Dingo.

    Quando il criminale sorrise, la ferita sembr allargarsi.

    Salve, carogna disse. Piacere d'incontrarti.

    Per un attimo sembr che Dingo si allontanasse, mentre la

    stretta delle braccia si allentava. Ma le cosce del pirata stringe-

    vano ancora fortemente le ginocchia di Lucky e lo immobiliz-

    zavano con una forza scimmiesca. I muscoli di Lucky, guizzan-

    ti come fruste, tentavano invano di divincolarsi.

    La parziale ritirata di Dingo era servita solo a liberargli le

    braccia. Ora il pirata impugnava la pistola per la canna, agitan-

    do il manico. L'arma si abbatt direttamente sulla visiera e la

    testa di Lucky scatt all'indietro sotto l'impatto micidiale. Il

    braccio del pirata ruot di nuovo, mentre l'altro si stringeva in-

    torno al collo del giovane.

    Tieni ferma la testa ringhi Dingo. Devo finire questo la-

    voretto.

    Lucky cap di essere perduto a meno di non agire con la

  • massima velocit. La glassite era forte e resistente, ma contro

    un corpo contundente di metallo non lo sarebbe rimasta a lun-

    go.

    Lucky appoggi il palmo della mano contro il casco di Din-

    go, forzando il braccio e spingendo la testa del pirata all'indie-

    tro. Quello spost la testa di lato, disimpegnando il braccio

    dell'avversario, poi men un secondo colpo col calcio della pi-

    stola.

    Lucky lasci entrambe le armi a repulsione, le fece pendere

    dai cavi di collegamento e con una mossa sicura afferr i cavi

    di quelle di Dingo. Li tese fra le dita guantate di metallo e tir

    con tutte le sue forze; i muscoli del braccio gli facevano male e

    il sangue gli pulsava alle tempie mentre serrava le mascelle.

    Dingo, la bocca contorta dal piacere di uccidere, trascur

    ogni particolare che non fosse la faccia della sua vittima sotto

    la visiera trasparente, contorta, come lui credeva, dalla paura.

    Ancora una volta il calcio della pistola si abbass e, dove il

    metallo aveva colpito, si form una piccola incrinatura a forma

    di stella.

    Poi qualcosa cedette e l'universo sembr impazzire.

    Prima uno e, quasi immediatamente dopo, l'altro dei cavi che

    collegavano le pistole di Dingo ai serbatoi di gas si staccarono

    lasciando uscire un getto incontrollato di anidride carbonica.

    I cavi scattarono come serpenti impazziti e Lucky venne col-

    pito prima da un lato e poi dall'altro, per violenta reazione alla

    folle e incontrollata accelerazione.

    Dingo url dalla sorpresa e allent la stretta. I due stavano

    per separarsi, ma Lucky si aggrapp decisamente a una caviglia

    del pirata.

    Il getto di anidride carbonica rallent e Lucky diede la scala-

    ta alla gamba dell'avversario.

    Erano apparentemente immobili, ora. Le spinte casuali date

    dal gas li avevano lasciati senza percettibile rotazione. I cavi

    delle pistole di Dingo, ora inerti e flaccidi, fluttuarono nella lo-

  • ro ultima posizione. Tutto sembrava immobile come la morte.

    Ma era un'illusione: Lucky sapeva che viaggiavano a una ve-

    locit di parecchi chilometri al secondo nella direzione in cui li

    aveva spediti l'ultimo getto di gas. Erano soli e perduti nello

    spazio, tutti e due.

  • L'eremita sull'asteroide

    Lucky si arrampic sulla schiena di Dingo e gli strinse la vita

    fra le cosce. Disse, cupo e deciso: Mi senti, Dingo? Non so

    dove siamo o dove stiamo andando, ma nemmeno tu. Abbiamo

    bisogno l'uno dell'altro, quindi voglio sapere se sei disposto a

    fare un patto. Tu puoi scoprire dove ci troviamo mettendoti in

    contatto con le navi, ma senza anidride carbonica non puoi tor-

    nare. Io ho il gas per tutti e due ma ho bisogno della tua guida.

    Vai a perderti nello spazio, carogna ribatt Dingo. Quan-

    do ti avr sistemato, mi impadronir delle tue pistole.

    Non credo che lo farai disse freddamente Lucky.

    Stai pensando di sbarazzartene, per caso? Fai pure, male-

    detto assassino! A che servir? Il capitano verr a salvarmi do-

    vunque, mentre tu rotolerai per l'eternit con un casco spaccato

    e una chiazza di sangue coagulato sulla faccia.

    Non proprio, amico mio. C' qualcosa puntato alla tua

    schiena: forse non riesci a sentirlo per via della tuta, ma ti assi-

    curo che c'.

    Una pistola a repulsione, e allora? Non puoi farmi niente

    finch siamo cos abbracciati. Ma il pirata abbandon i frene-

    tici tentativi di divincolarsi.

    Non sono uno specialista di duelli a repulsione, disse Luc-

    ky in tono allegro ma conosco queste pistole meglio di te. Si

    pu sparare a chilometri di distanza perch non c' la resistenza

    dell'aria a rallentare il getto di gas, ma c' una specie di resi-

    stenza interna. Nel getto si forma inevitabilmente qualche tur-

    bolenza e i cristalli si scontrano, rallentano. Quella che sem-

    brava una teoria ininterrotta si allarga, e se il gas manca il ber-

  • saglio, alla fine si perde nello spazio e svanisce. Se invece in-

    contra il suo obbiettivo, gli d uno spintone degno di un mulo

    che scalcia; e questo anche dopo chilometri e chilometri di

    viaggio.

    Ma di che diavolo parli? Ti manca una rotella? Il pirata

    cerc di scrollarsi di dosso Lucky Starr con la violenza di un

    toro, ma lui riusc a tenerlo calmo.

    Lucky continu: Cosa credi che succederebbe se ti sparassi

    un getto di anidride carbonica a cinque centimetri di distanza,

    prima che la resistenza interna ne rallenti la velocit? Non sfor-

    zarti, te lo dico io. Ti bucherebbe la tuta come una vibrolama, e

    anche il corpo.

    Lo dicevo che eri diventato pazzo! Parli come un mania-

    co!

    Dingo imprec furiosamente, ma d'un tratto si immobilizz e

    rimase fermo.

    Vuoi vedere? fece Lucky. Muoviti, a me basta premere il

    grilletto. Peccato che non puoi sentire la pressione della canna

    sulla tuta.

    Ti stai prendendo gioco di me ringhi il pirata. I miei

    compagni ti localizzerebbero. Hai mezzo minuto per cambiare

    idea...

    I secondi passarono in silenzio e Lucky colse un movimento

    della mano di Dingo.

    Addio, Dingo!

    Il pirata protest: Aspetta, aspetta! Sto solo regolando la ra-

    dio. Poi grid: Capitan Anton, capitan Anton....

    Ci volle un'ora e mezzo per tornare alle navi.

    L'Atlas correva nello spazio sulla scia della sua predatrice. I

    comandi automatici erano passati a manuali nei settori in cui

    era necessario e i motori venivano seguiti da un gruppo di tre

    uomini. Come prima, la lista dei passeggeri si riduceva a una

    sola persona: Lucky Starr.

    Confinato nella sua cabina, il giovane vedeva gli uomini

  • dell'equipaggio solo quando gli portavano da mangiare. Erano

    le razioni dell'Atlas, o almeno quel che ne restava. Gran parte

    del cibo e delle attrezzature che non erano immediatamente ne-

    cessarie alla guida della nave erano stati trasferiti sul vascello

    pirata.

    I pasti gli venivano serviti da tutti e tre gli uomini rimasti a

    bordo: erano individui magri e allampanati, con la pelle ab-

    bronzata dai raggi duri del sole dello spazio.

    Gli porgevano il vassoio in silenzio e ispezionavano la cabi-

    na, poi assistevano all'apertura dei barattoli e alle operazioni di

    riscaldamento. Alla fine portavano via i resti.

    Lucky disse: Seduti, uomini. Non dovete stare in piedi

    mentre mangio.

    Non risposero. Il pi sottile e allampanato dei tre, un uomo

    dal naso rotto che ora pendeva da un lato e il pomo d'Adamo

    che sporgeva vistosamente, guard i compari come se fosse

    propenso ad accettare l'invito. Non lo degnarono di un'occhiata.

    Il pasto successivo fu servito dal solo tipo col naso rotto. Il

    pirata mise gi il vassoio, and alla porta e si accert che in

    corridoio non ci fosse nessuno, poi la richiuse. Io sono Martin

    Maniu.

    Lucky sorrise. E io Bill Williams. Gli altri due non voglio-

    no parlarmi, eh?

    Sono amici di Dingo, io no. Forse sei un agente del governo

    come pensa il capitano e forse no: per quanto mi riguarda, sei

    quello che ha dato il fatto suo a quel pallone gonfiato di Dingo

    e tanto mi basta. un furbo e gioca pesante; una volta, quando

    ero un novellino, mi spinse quasi contro un asteroide, e senza

    una ragione. Dopo disse che era stato un errore, ma credimi,

    non il tipo che faccia errori con la pistola a repulsione. Ti sei

    fatto parecchi amici, mister, riportando quella iena per il fondo

    dei pantaloni.

    Mi fa piacere.

    Stai attento a lui, per: non dimenticher. Ti consiglio di

  • non restare solo con lui nemmeno fra vent'anni. Non soltanto

    la questione della sconfitta, la storia che gli hai raccontato,

    quella dell'anidride che perfora come burro una tuta di metallo

    spessa due centimetri e mezzo! Tutta la ciurma ne ride e Dingo

    furioso. Amico, sputerebbe fuoco! la burla pi grandiosa

    che sia mai capitata. Spero che il Capo ti prenda fra noi, ami-

    co.

    Il capo? Capitan Anton?

    No, il Capo supremo. Il numero uno. Di' un po', su questa

    nave c' dell'ottimo cibo... specialmente la carne. Il pirata fece

    schioccare la lingua. Ti stanchi di quei pastrocchi al lievito,

    specie quando, per mestiere, ti devi occupare delle vasche in

    cui cresce.

    Lucky stava divorando gli ultimi bocconi. E chi sarebbe

    questo tizio?

    Quale tizio?

    Il Capo.

    Manui si strinse nelle spalle. Per lo spazio, non lo so! Non

    crederai che un poveraccio come me l'abbia conosciuto. solo

    qualcuno di cui si parla; ragionevole pensare che ci sia un ca-

    po, no?

    un'organizzazione piuttosto complicata.

    Amico, non puoi rendertene conto finch non ci sei dentro.

    Io ero un uomo finito quando arrivai qui: non sapevo che cosa

    fare e mi dissi: "Dai, si tratter di attaccare qualche nave e poi

    diventerai tanto ricco che potrai comprartene una tua. Allora

    sar tutto finito". Capisci, era meglio che crepare di fame come

    stava succedendo a me.

    Per non andata come ti aspettavi, vero?

    No! Non ho mai partecipato a un raid, quasi nessuno di noi

    l'ha fatto. Andare a depredare navi un onore che spetta a po-

    chi, e fra quei pochi c' Dingo. Va fuori tutte le volte, la caro-

    gna; noialtri abbiamo a malapena il permesso di catturare una

    donna. Il pirata sorrise. Io ho moglie e un figlio. Non lo cre-

  • deresti, vero? Abbiamo un progetto per conto nostro, diventare

    i padroni delle vasche dove adesso lavoriamo. Ogni tanto mi

    assegnano un turno nello spazio, ma nel complesso vita faci-

    le. Te la caverai bene, se ti unisci a noi. Un bel ragazzo come te

    potrebbe trovar moglie in un baleno e sistemarsi. Se l'avven-

    tura che cerchi, avrai anche l'avventura.

    S, Bill, spero proprio che il Capo ti prenda.

    Lucky lo segu verso la porta. A proposito, dove stiamo an-

    dando? A una delle basi?

    Soltanto su uno dei nostri sassi, il pi vicino. Tu Stattene

    buono finch non viene annunciata la destinazione, ma di solito

    come ti ho detto.

    Nel chiudere la porta aggiunse: E non dire agli altri che ho

    parlato con te. D'accordo, amico?.

    Stai tranquillo.

    Di nuovo solo, Lucky si batt il pugno destro nel palmo sini-

    stro. Il Capo! Era solo una leggenda, un argomento di conver-

    sazione, o esisteva veramente? E che cosa pensare del resto di

    quello che aveva udito?

    Doveva aspettare. Per la galassia, se solo Conway e Henree

    avessero avuto il buon senso di non intervenire per un po'...

    Quando l'Atlas cominci l'avvicinamento, Lucky non ebbe la

    possibilit di vedere l'asteroide. Dovette aspettare il momento

    in cui, scortato da Martin Maniu e da un altro pirata, usc dal

    portello stagno e si ritrov a galleggiare nello spazio, con il

    sasso a un centinaio di metri sotto di loro.

    Era abbastanza tipico e Lucky giudic che avesse un diame-

    tro di circa tre chilometri. Angoloso e crivella