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CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA “Validazione della ‘Movement Disorder -Childhood Rating Scale’ in pazienti con disturbi del movimento in età evolutivaRELATORE: CHIAR.MO PROF. Giovanni Cioni ____________________ CANDIDATA: Carmela Loiacono _________________ Anno Accademico 2013/2014 Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Direttore Prof. Paolo Miccoli Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Giulio Guido

“Validazione della ‘Movement Disorder Childhood Rating ... · follow-up dei pazienti con disturbi del movimento, il quale si è rivelato di grande utilità per il lavoro quotidiano

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CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“Validazione della ‘Movement Disorder-Childhood Rating Scale’ in

pazienti con disturbi del movimento in età evolutiva”

RELATORE: CHIAR.MO

PROF. Giovanni Cioni

____________________

CANDIDATA:

Carmela Loiacono

_________________

Anno Accademico 2013/2014

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

Direttore Prof. Paolo Miccoli

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e

Chirurgia

Direttore Prof. Giulio Guido

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I

INDICE

RIASSUNTO pag. 1

PARTE GENERALE

Capitolo I

Disturbi del movimento

1.1 Generalità sui disturbi del movimento nel bambino pag. 4

1.1.1 Normale organizzazione funzionale dei gangli basali pag. 5

1.2 Distonia pag. 6

1.2.1 Definizione e caratteristiche cliniche pag. 6

1.2.2 Eziologia e classificazione pag. 8

1.2.3 Principali forme cliniche pag. 11

1.2.4 Diagnosi pag. 17

1.3 Corea e Ballismo pag. 18

1.3.1 Definizione e caratteristiche cliniche della corea pag. 18

1.3.2 Eziologia e classificazione della corea pag. 19

1.3.3 Principali forme cliniche di corea pag. 20

1.3.4 Ballismo pag. 24

1.3.5 Diagnosi pag. 24

1.4 Sindrome Ipocinetico-Rigida pag. 25

1.4.1 Definizione e caratteristiche cliniche pag. 25

1.4.2 Eziologia e classificazione pag. 26

1.4.3 Principali forme cliniche pag. 27

1.4.4 Diagnosi pag. 33

1.5 Tremore pag. 34

1.5.1 Definizione e caratteristiche cliniche pag. 34

1.5.2 Eziologia e classificazione pag. 35

1.5.3 Principali forme cliniche pag. 37

1.5.4 Diagnosi pag. 41

1.6 Mioclono pag. 42

1.6.1 Definizione e caratteristiche cliniche pag. 42

1.6.2 Eziologia e classificazione pag. 42

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II

1.6.3 Principali forme cliniche pag. 44

1.6.4 Diagnosi pag. 46

1.7 Tic pag. 47

1.7.1 Definizione e caratteristiche cliniche pag. 47

1.7.2 Eziologia e classificazione pag. 48

1.7.3 Principali forme cliniche pag. 49

1.7.4 Diagnosi pag. 50

Capitolo II

Il trattamento dei disturbi del movimento

2.1 Trattamento della distonia pag. 51

2.2 Trattamento di corea e ballismo pag. 53

2.3 Trattamento delle sindromi ipocinetico-rigide pag. 54

2.4 Trattamento del tremore pag. 55

2.5 Trattamento del mioclono pag. 56

2.6 Trattamento dei tic pag. 57

Capitolo III

3.1 Misure di outcome pag. 60

3.2 Scale di valutazione pag. 61

3.2.1 Scale di valutazione funzionale delle abilità grosso-motorie pag. 61

3.2.2 Scale di valutazione della manipolazione pag. 63

3.2.3 Scale per le sindromi ipocinetico-rigide pag. 65

3.2.4 Scale per la distonia pag. 65

3.2.5 Scale per la corea pag. 68

3.2.6 Scale per il mioclono pag. 68

3.2.7 Scale per il tremore pag. 69

3.2.8 Scale per i tic pag. 69

3.2.9 Scale per la valutazione globale della disabilità pag. 70

3.2.10 Movement Disorder-Childhood Rating Scale (MD-CRS) pag. 71

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III

PARTE SPERIMENTALE

Capitolo IV

4.1 Obiettivi dello studio pag. 78

4.2 Materiali e metodi pag. 79

4.2.1 Training formativo operatori per applicazione MD-CRS pag. 79

4.2.2 Studio di test-retest pag. 79

4.2.3 Studio di reliability tra tre operatori pag. 80

4.2.4 Descrizione del campione pag. 80

4.3 Analisi statistica pag. 87

4.4 Risultati pag. 88

4.4.1 Risultati per lo studio di variabilità intra-rater (test-retest) pag. 88

4.4.2 Risultati per lo studio di variabilità inter-rater (reliability tra tre operatori)

pag. 91

4.5 Discussione pag. 96

4.6 Conclusioni pag. 101

APPENDICE 1 pag. 102

APPENDICE 2 pag. 106

BIBLIOGRAFIA pag. 109

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1

RIASSUNTO

Questo lavoro ha lo scopo di effettuare un’ulteriore verifica sull’affidabilità intra- ed inter-

operatore della Movement Disorder-Childhood Rating Scale (MD-CRS), strumento già

validato per la definizione della diagnosi e il riconoscimento dei cambiamenti clinici nel

follow-up dei pazienti con disturbi del movimento, il quale si è rivelato di grande utilità per

il lavoro quotidiano del medico e del terapista della neuropsicomotricità che si occupano di

disturbi del movimento in età evolutiva.

La scala esiste in due versioni: una per il bambino da 0 a 3 anni (Ped Neurol, 2009), una

per il bambino da 4 a 18 anni (Ped Neurol, 2008).

Questa trattazione si articola in due parti.

Nella prima parte si discutono i disturbi del movimento in età evolutiva, la loro

classificazione, le principali caratteristiche cliniche, la loro patogenesi, il loro

inquadramento diagnostico e le strategie terapeutiche correntemente utilizzate. Vengono

poi illustrati gli strumenti usati in letteratura nell’iter diagnostico e prognostico, inclusa la

MD-CRS.

Segue la seconda parte (Parte Sperimentale) in cui ci si propone di:

-ampliare il training formativo acquisito sulla MD-CRS attraverso lo studio di video di

bambini affetti da disturbi del movimento realizzati secondo il videoprotocollo previsto

dalla scala;

-approfondire la validità della MD-CRS studiando la variabilità di misura della scala

tramite un test-retest da parte di un operatore non coinvolto nella sua creazione, per

valutare l’affidabilità intra-operatore;

- approfondire l’affidabilità inter-operatore della MD-CRS tramite il confronto degli scores

ottenuti sullo stesso materiale video, realizzato secondo il protocollo standardizzato

previsto dalla scala, da tre diversi operatori non coinvolti nella elaborazione della stessa.

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Per conseguire gli obiettivi dello studio, sono state selezionate due popolazioni di pazienti,

una per il test-retest e una per il test di reliability tra tre operatori, ciascuna delle quali

costituita da 20 pazienti, per un totale di 40 pazienti arruolati. Ciascuna popolazione di

pazienti è equamente suddivisa in soggetti di età compresa tra 0 e 3 anni e soggetti di età

compresa tra 4 e 18 anni.

I punteggi ottenuti in seguito alla somministrazione al campione della MD-CRS sono stati

sottoposti ad approfondita analisi statistica mediante ANOVA, con calcolo delle medie

degli indici ± SD, dei valori p (livello di significatività), di ICC (Intraclass Correlation

Coefficient) e del relativo C.I. (Confidence Interval).

In base ai nostri risultati, possiamo affermare che la MD-CRS è uno strumento di facile

apprendimento anche per operatori non esperti in MD e che, come verificato dagli studi

precedenti, presenta un’eccellente reliability intra-operatore anche quando somministrata

da operatori non esperti della scala, ma preparati in maniera opportuna e approfondita.

Lo studio di reliability inter-operatore ha dimostrato che anch’essa è molto buona, seppure

si siano evidenziate alcune discordanze rispetto agli studi precedentemente eseguiti,

verosimilmente correlate all’assegnazione dei punteggi effettuata da operatori con minore

expertise nell’ambito dei disturbi del movimento in età evolutiva.

In conclusione, il nostro studio conferma i risultati degli studi precedentemente acquisiti e

riafferma la validità del nuovo strumento nell’analisi diagnostica e prognostica dei disturbi

del movimento in età evolutiva.

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PARTE GENERALE

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CAPITOLO I

I DISTURBI DEL MOVIMENTO

1.1 Generalità sui disturbi del movimento nel bambino

I disturbi del movimento nel bambino costituiscono un argomento complicato e poliedrico,

difficile da definire e chiarire. La presentazione delle diverse patologie differisce

moltissimo non solo da quelle tradizionalmente incontrate nel paziente adulto, ma anche

nelle diverse fasi dello sviluppo e tra i singoli bambini, in quanto la fenomenologia clinica

non è sempre di univoca interpretazione (Alvarez, 2001).

I disturbi del movimento non sono un evento infrequente nel bambino, nel quale può essere

osservata tutta la gamma di movimenti involontari usualmente descritta nei pazienti adulti

quali distonia, tic, corea, tremore e mioclono (http://www.limpe.it/2009/relazioni/Relazion

e_15.pdf). Questi sono spesso involontari ma coscienti e sono generalmente dovuti ad

anomalie della funzione dei neurotrasmettitori a livello centrale, soprattutto a livello dei

gangli basali. Spessissimo è coinvolto il tono muscolare.

Gli elementi fondamentali per compiere un movimento sono i muscoli, i suoi neuroni

effettori e le sue connessioni (terminazioni nervose, recettori etc.), ma molte altre strutture

hanno un ruolo, come il sistema piramidale, il sistema extrapiramidale e il cervelletto, la

propriocezione e le afferenze sensoriali. Queste strutture controllano, coordinano e

perfezionano l’atto motorio e il loro danneggiamento può portare a mancata funzionalità

del movimento. Inoltre, l’attività motoria viene integrata col comportamento individuale ed

è in gran parte determinata geneticamente, ma ha la capacità (in gran parte acquisita) di

autoregolazione e automazione (Alvarez, 2001).

I movimenti anomali sono difficili da definire. Essi sono spesso involontari e non

intenzionali, ma non includono i movimenti automatici (come ad esempio respirare). Una

differenza essenziale tra i movimenti involontari e quelli automatici è che i primi non

possono essere iniziati e interrotti volontariamente. Questa differenza in realtà non è

assoluta e un certo grado di controllo volontario può essere esercitato su molti disturbi del

movimento involontari, come tic o corea.

I movimenti involontari anormali sono sintomi e non malattie, sebbene in alcuni casi un

particolare tipo di movimento è talmente predominante da designare una patologia

(Alvarez, 2001). Rondot (1983) distingue i movimenti involontari in aritmici, che

comprendono corea, ballismo, atetosi, mioclono aritmico e tic, e ritmici, come tremore e

mioclono ritmico. La presenza di ritmicità implica la partecipazione di un meccanismo di

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sincronizzazione delle unità motorie e ciò può essere un importante elemento di significato

fisiopatologico.

1.1.1 Normale organizzazione funzionale dei gangli basali

I disturbi del movimento possono essere divisi in tre principali categorie, le quali hanno in

comune un difetto nella velocità e nell’accuratezza delle azioni volontarie in assenza di

debolezza muscolare o in presenza di attività muscolare non volontaria. Queste categorie

sono:

la sindrome ipocinetico-rigida (parkinsonismo)

le discinesie (distonia, corea-ballismo, tic, mioclono e tremore)

l’atassia (Alvarez, 2001).

Per capire bene la patogenesi dei disturbi del movimento, è utile avere un’idea del

funzionamento dei gangli basali, le cui lesioni rappresentano spesso il substrato sottostante

ai disturbi del movimento. I gangli basali sono correntemente concepiti come parte di un

sistema coinvolto in numerose funzioni. Studi condotti sulle scimmie hanno permesso di

identificare e isolare molteplici circuiti coinvolgenti i gangli basali (Alexander et al., 1986).

Una disfunzione di questi circuiti può portare diversi problemi, dalle più comuni sindromi

parkinsoniane e discinetiche, a complessi disturbi neuropsicologici, come la sindrome di

Tourette, disinibizioni, depressione e abulia (Bathia and Marsden, 1994).

Il circuito motorio può essere riassunto dalla Figura 1.1.1:

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Figura 1.1.1: circuito motorio

La dopamina esercita un effetto eccitatorio sui neuroni GABA/SP/Dyn tramite i recettori

D1 e un effetto inibitorio sui neuroni GABA/encefalinergici tramite i recettori D2 (Gerfen

et al., 1990). L’inibizione fasica della scarica neuronale dei nuclei della base risulta in una

facilitazione dei movimenti, mentre un aumento della trasmissione è associata ad

inibizione dei movimenti (De Long, 1990).

1.2 Distonia

1.2.1 Definizione e caratteristiche cliniche

La distonia è classicamente definita come un disturbo del movimento caratterizzato dalla

presenza di posture e movimenti anomali, ripetitivi e con caratteristiche di torsione (Fahn

et al.,1987).

Secondo Alvarez, la distonia è il disturbo del movimento prevalente in età evolutiva dopo i

tic. La prevalenza è comunque difficile da accertare e sembrerebbe variare a seconda delle

aree geografiche (Albanese, 2007).

I movimenti distonici sono una serie di contrazioni sostenute e vigorose che forzano il

corpo ad assumere una posizione anomala che è costantemente presente. Queste posizioni

sono dovute alla co-contrazione di muscoli antagonisti, risultando quindi in un anomalo

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profilo di attivazione muscolare durante l’attività volontaria e/o nel mantenimento della

postura. Le posture distoniche sono contrazioni più sostenute, talora persistenti e

irriducibili (distonia fissa). La distonia può accentuarsi durante l’esecuzione di un

movimento o comparire esclusivamente nella sua esecuzione (distonia d’azione) e,

frequentemente, il movimento diffonde ai muscoli non primariamente coinvolti nel

compito motorio. Il paziente non avverte un’urgenza nell’esecuzione di tale movimento e

non c’è alcun sollievo temporaneo dopo la sua esecuzione (a differenza dei tic). La distonia

non è un fenomeno statico, ma anzi cambia durante il corso della malattia (Albanese and

Lalli, 2009).

I movimenti distonici possono essere alleviati da specifici movimenti volontari chiamati

“gestes antagonistes” o da “sensory tricks”. Tali manovre vengono messe in atto dal

paziente allo scopo di inibire il movimento distonico ad un livello centrale: attuando uno

specifico movimento volontario si può interferire con il messaggio motorio inviato dai

nuclei della base, inibendo quindi il movimento distonico tramite l’attivazione di gruppi

muscolari differenti ma spesso contigui rispetto a quelli coinvolti nel movimento distonico

(gestes antagonistes), mentre lo stimolo sensoriale afferente ha lo scopo inibire

l’insorgenza del movimento distonico (sensory tricks) (Albanese, 2007).

La distribuzione delle distonie è molto eterogenea e differisce nelle forme ad esordio

pediatrico rispetto a quelle ad esordio in età adulta (Uc and Rodnitzky, 2003). Le distonie

ad esordio in età infantile, infatti, tendono a esordire con l’interessamento focale di un arto

(distonia del cammino o della scrittura) e successivamente segue la generalizzazione, con

conseguente grave disabilità motoria. Al contrario, le forme ad esordio in età adulta

tendono a rimanere localizzate con un prevalente coinvolgimento dei muscoli craniali e/o

cervicali (Nardocci, 2013).

I pazienti con distonia, sia primaria che secondaria, occasionalmente sviluppano severi

episodi di distonia generalizzata e rigidità; tale condizione è chiamata stato distonico e può

essere refrattaria ai trattamenti farmacologici standard. I casi più severi possono sviluppare

complicanze bulbari e ventilatorie, con rischio di aspirazione e insufficienza respiratoria

acuta, astenia severa e dolore. Come conseguenza dell’intensa attività muscolare, può

sopraggiungere una complicanza metabolica come la rabdomiolisi, che può condurre a

insufficienza renale acuta. Lo stato distonico può essere indotto da fattori precipitanti, per

esempio la modificazione di una terapia farmacologica o infezioni. Tale sindrome clinica è

comunque rara (Manji, 1998).

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1.2.2 Eziologia e classificazione

Le cause anatomiche della distonia sono per ora comprese solo in parte. Sebbene

tradizionalmente la distonia sia vista come un disordine a partenza dai circuiti dei gangli

basali, c’è un crescente riconoscimento che tale visione sia inadeguata a spiegare tutte le

forme cliniche di distonia.

Il ruolo dei gangli basali ebbe origine con l’evidenza di difetti neuropatologici nei circuiti

basali di soggetti affetti da distonia. I primi studi furono supportati dai risultati degli esami

di neuroimaging come TC e RMN, che evidenziavano frequentemente lesioni focali nei

gangli basali e specialmente nel putamen. Tuttavia, ci sono molti pazienti distonici che non

presentano lesioni a livello dei gangli basali o delle loro connessioni. Ciò implica che altre

regioni possono giocare un ruolo, per cui un modello in cui diverse regioni cerebrali sono

coinvolte meglio si confà alle evidenze (Neychev, 2011).

Attualmente, la classificazione della distonia si basa su tre assi:

eziologia;

età di comparsa della sintomatologia;

distribuzioni delle aree corporee affette.

Per quanto riguarda l’eziologia, possiamo distinguere:

distonia primaria o idiopatica, in cui la distonia è l’unico quadro presente in

assenza di una causa esogena o una patologia ereditaria o degenerativa

identificabile; può essere a sua volta distinta in forme familiari e forme sporadiche

(esempio: DYT-1 distonia);

distonia-plus, in cui la distonia è il segno predominante; il quadro clinico è

caratterizzato da una combinazione di altri disturbi del movimento come mioclono

o parkinsonismo in assenza di segni di neurodegenerazione. Si ritiene che la

distonia primaria e la distonia-plus derivino da difetti genetici;

forma eredodegenerativa, in cui la distonia fa parte di un quadro clinico complesso

a cui si associano altri segni e sintomi neurologici e sistemici, espressione di un

processo neurodegenerativo (esempio: malattia di Wilson);

forma parossistica, in cui i movimenti distonici compaiono per brevi periodi

intervallati da periodi di normalità;

forme non-primarie, in cui la distonia è secondaria a cause specifiche, come ad

esempio lesioni cerebrali focali ed esposizione a farmaci o sostanze chimiche; la

distonia fa parte di un quadro più articolato ed è solo uno dei segni clinici presenti

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(esempi: distonia conseguente a una neoformazione cerebrale o periodi “off” con

movimenti distonici in un quadro di Parkinsonismo) (Albanese et al., 2011).

In base all’età di esordio, possiamo distinguere:

distonia ad esordio precoce (< 26 anni), che solitamente ha origine a livello di un

arto con conseguente interessamento del tronco;

distonia ad esordio tardivo (> 26 anni), che interessa inizialmente il collo e i

muscoli cranici o un arto superiore e tende poi a rimanere localizzato.

In base alla distribuzione delle aree corporee affette, distinguiamo invece la distonia in:

focale: unica area corporea coinvolta (esempi: blefarospasmo, torcicollo);

segmentaria: due aree coinvolte che possono essere contigue, ad esempio area

cervicale e craniale, o con interessamento multifocale, ad esempio di cingolo

superiore e inferiore;

generalizzata: qualora coinvolga entrambi gli arti inferiori e almeno un’altra area

corporea;

emidistonia: interessante una metà del corpo (Albanese et al., 2011).

Recentemente, Albanese et al. hanno proposto una modifica del sistema di classificazione

della distonia basato sui tre assi, contestando principalmente la validità di una

classificazione basata sull’eziologia e sull’insufficiente chiarezza di termini quali distonia

“primaria” e “secondaria” (Albanese et al., 2013). La revisione della classificazione

prevedrebbe una suddivisione non più in tre, bensì in due assi:

Asse I: caratteristiche cliniche.

Le caratteristiche cliniche prevedono una descrizione della fenomenologia della distonia

prendendo in considerazione cinque aspetti:

1) età di esordio, importante dal punto di vista prognostico, diagnostico e della scelta

terapeutica (Albanese et.al, 2013). Lo schema proposto è quello riportato nella tabella

1.2.2.1 :

Tabella 1.2.2.1: suddivisione per età secondo Albanese et al (2013).

Prima infanzia Nascita-2 anni

Seconda infanzia 3-12 anni

Adolescenza 13-20 anni

Età adulta precoce 21-40 anni

Età adulta tardiva >40 anni

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2) distribuzione corporea: ciò che viene proposto è una mantenimento della suddivisione in

distonia focale, segmentale, multifocale, generalizzata ed emidistonia, con una modifica

del concetto di distonia generalizzata, intendendo con questo termine una distonia che

coinvolge il tronco e almeno altre due regioni corporee, distinguendo le forme in base al

coinvolgimento o meno degli arti inferiori (a differenza della corrente definizione che

prevede l’interessamento degli arti inferiori più una differente regione corporea);

3) evoluzione temporale: la fenomenologia della distonia può variare in base

all’esecuzione dei movimenti, alla messa in atto di gestes antagonistes, ma anche durante

le diverse ore della giornata, oltre che nell’evoluzione della patologia.

La variabilità temporale può avere 4 diversi pattern:

persistente: distonia che persiste approssimativamente con la stessa entità durante il

giorno;

azione specifica: distonia che si verifica solo nell’esecuzione di particolari azioni;

con fluttuazioni diurne: la distonia fluttua durante il giorno con variazioni

circadiane identificabili;

parossistica: episodi improvvisi e auto-limitanti di distonia indotti usualmente da un

trigger con ritorno al preesistente stato neurologico.

4) caratteristiche associate: la distonia può essere isolata o associata ad un altro disturbo

del movimento (per esempio, mioclono, parkinsonismo ecc.). Come già specificato, il

termine “distonia primaria” è un termine che può essere fuorviante per cui, secondo la

revisione proposta, sarebbe più corretto parlare di:

distonia isolata: la distonia è l’unico disturbo motorio, ad eccezione del tremore;

distonia combinata: la distonia è associata ad altri disturbi del movimento.

5) presenza di altre manifestazioni neurologiche o sistemiche.

Asse II: Eziologia

Questa è un’area in evoluzione: l’eziologia di molte forme di distonia è tutt’ora

sconosciuta. Attualmente, due caratteristiche complementari possono essere utili per una

classificazione: alterazioni anatomiche identificabili e tipo di ereditarietà, che comunque

non sono mutualmente esclusive. Recentemente, gli studi di neuroimaging hanno

individuato sottili anormalità in numerose regioni cerebrali in casi di distonia isolata. Le

evidenze di alterazioni, sia a un livello macro che microscopico o persino molecolare,

forniscono le ragioni per discriminare la distonia in sottogruppi, ossia in forme

degenerative e non degenerative:

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degenerazione (progressive anomalie strutturali);

lesioni statiche (lesioni non progressive);

nessuna evidenza di degenerazione o lesioni strutturali.

Forme ereditarie o acquisite

Per quanto riguarda le forme ereditarie, le distinguiamo in:

autosomiche dominanti (esempi: DYT1, DYT5, DYT6, DYT11);

autosomiche recessive (esempi: simdrome di Wilson, morbo di Parkinson

giovanile);

forme X-linked recessive (esempi: Lubag, sindrome di Lesch-Nyan);

da mutazioni del DNA mitocondriale (esempi: sindrome di Leber).

Per quanto riguarda le forme acquisite, distinguiamo:

distonia dovuta a lesioni cerebrali perinatali (Paralisi Cerebrale distonica);

distonia dovuta ad infezioni (encefalite virale, panencefalite sclerosante subacuta,

HIV);

distonia dovuta a farmaci (L-dopa e agonisti della dopamina, neurolettici,

anticonvulsivanti, calcio-antagonisti);

distonia dovuta a sostanze tossiche (manganese, cobalto, metanolo ecc.);

distonia dovuta a cause vascolari (ischemia, emorragia, distonia dovuta a

malformazioni arterovenose);

distonia da cause neoplastiche (neoplasie cerebrali o encefaliti paraneoplastiche);

distonia da lesioni cerebrali da trauma o da interventi chirurgici;

distonia psicogena (funzionale).

Distonia idiopatica (da cause ignote)

Sporadica;

Familiare (Albanese et al., 2013).

1.2.3 Principali forme cliniche

Distonia idiopatica di torsione (IDT)

La causa più frequente della distonia primaria ad esordio precoce generalizzato è una

delezione di 3 nucleotidi (GAG) in una regione codificante del gene DYT1, localizzato sul

cromosoma 9q34. Il risultato di questa mutazione è la rimozione di un acido glutammico

nella regione C-terminale della proteina torsinA. Questa proteina è una ATPasi Mg++

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dipendente ed è associata a varie funzioni, come ripiegamento e degradazione proteica,

dinamica del citoscheletro, riciclo delle vescicole e funzioni di membrana. La mutazione

interferisce quindi con tali funzioni cellulari, incluso il rilascio di dopamina (Ozelius and

Bressman, 2011).

L’insorgenza di questa forma è nell’80% dei casi prima dei 15 anni. Generalmente inizia

interessando un solo arto, successivamente si ha una generalizzazione e si passa infatti

dall’arto inferiore a quello superiore omolaterale, con diffusione poi all’inferiore

controlaterale e al superiore controlaterale (Alvarez, 2001). Nel restante 20% dei casi la

distonia rimane localizzata come processo focale o segmentario o anche spontaneamente

remittente, transitoriamente o permanentemente (Marsden and Harrison, 1974). Le forme

che esordiscono con blefarospasmo o disfonia sono rare. Il decorso dell’IDT è variabile e

impredicibile: in circa l’80% dei casi con insorgenza prima dei 15 anni la distonia aumenta

nei primi 5-10 anni dall’esordio, per poi rimanere stazionaria. La distonia può diventare

fissa e risultare in marcate deformità con retrazioni muscolari. L’esordio precoce e

l’interessamento degli arti inferiori sono predittivi di un outcome sfavorevole.

La diagnosi si basa sulla presenza di movimenti e/o posture distoniche, sulla storia

perinatale e dello sviluppo (che è normale), sull’assenza di anomalie cognitive, piramidali,

cerebellari e del sensorio e sull’esclusione di cause note (es. farmaci, altri disordini noti per

produrre distonia). I risultati di laboratorio e di imaging sono nella norma (Alvarez, 2001).

Sono stati individuati altri 5 loci coinvolti nelle forme ad esordio precoce:

DP DYT2: è una forma autosomica recessiva con un fenotipo assimilabile alla

distonia DYT1;

DP DYT4: questa forma, con ereditarietà autosomica dominante, si differenzia dal

tipo DYT1 per la presenza di una prominente disfonia;

DP mista è associata a diversi loci: DYT6 e DYT13 si associano a una forma a

trasmissione autosomica dominante e penetranza ridotta, DYT17 si associa invece

ad una forma simile ma autosomica recessiva. La presentazione clinica di queste

forme differisce in alcune caratteristiche dalla forma DYT1, per cui si parla di

fenotipo misto: infatti come la distonia DYT1 c’è tendenza alla generalizzazione,

ma c’è anche una tendenza all’interessamento dei muscoli cervicali, come nelle

forme ad insorgenza in età avanzata;

DP DYT13: anch’essa ad insorgenza in età giovanile;

PD DYT17: ad insorgenza in età adolescenziale;

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13

DP DYT6: autosomica dominante a penetranza ridotta (Ozelius and Bressman,

2011).

Distonia Dopa-Responsiva

La distonia dopa-responsiva designa una malattia caratterizzata da distonia, parkinsonismo,

iperriflessia e una buona risposta alla L-dopa.

Solitamente la patologia si manifesta entro i primi 12 anni di vita e il rapporto femmine:

maschi è di 2.5:1. L’esordio è insidioso con astenia, andatura goffa e posture distoniche

spesso limitate a un piede, più spesso al sinistro. Molto caratteristici sono l’aumento di

severità della distonia durante la giornata e il marcato decremento dopo il sonno. La

malattia tende a coinvolgere tutte le quattro estremità, ma solitamente non interessa il

tronco. Lievi segni di parkinsonismo, come rigidità degli arti, del tronco e mimica ridotta,

sono comuni; dai 10 anni in poi si manifestano spesso tremori posturali delle mani. Le

indagini di laboratorio nella maggior parte dei casi rivelano bassi livelli di acido

omovanillico nel liquor, che ritornano nella norma in seguito alla terapia con L-dopa

(Alvarez, 2001).

Distonia mioclonica

La distonia mioclonica è un disordine autosomico dominante con severità ed espressività

variabili, ma penetranza incompleta. La mutazione coinvolta è DYT11 sul cromosoma 7,

che codifica per un sarcoglicano che fa parte del complesso distrofina-glicoproteina

(Zimprich, 2001). L’età di esordio è precedente ai 10 anni. I sintomi includono movimenti

mioclonici prossimali e bilaterali indotti da azioni volontarie che solitamente coinvolgono

le estremità. La distonia è generalmente lieve e comincia alle estremità superiori e al collo.

È stata descritta una certa sensibilità ad alcuni stimoli, come rumori improvvisi o stimoli

tattili. La risposta all’alcol (sia per la distonia che per il mioclono), al valproato di sodio

(per il mioclono) e al triesilfenidile (per la distonia) è un importante criterio diagnostico.

Inoltre, i pazienti spesso mostrano delle anormalità psichiatriche, come attacchi di panico e

comportamenti ossessivo-compulsivi (Zimprich, 2001). La malattia ha un decorso

relativamente benigno.

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Emidistonia idiopatica

Distonia idiopatica temporanea dell’infanzia

Questo disturbo è solitamente diagnosticato prima dei 5 anni. I bambini affetti presentano

posture anomale solitamente limitate a un arto superiore, anche se occasionalmente può

essere coinvolto il tronco (Deonna et al., 1991), entrambi gli arti superiori o un lato del

corpo. Il braccio è abdotto e l’avambraccio iperpronato con flessione del polso quando il

bambino è a riposo. I piedi possono essere in equino-varismo. In alcuni bambini tale

posizione è quasi permanente, sebbene sia attenuata durante il sonno, in altri è evidente

solo a riposo o in alcune posizioni. Un importante indizio diagnostico è che la postura

distonica scompare quando il bambino compie movimenti finalizzati con l’estremità affetta.

L’eziologia è ignota, ma i casi di familiarità suggeriscono un’origine genetica (Alvarez,

2001).

Distonia focale e segmentaria

La distonia focale o segmentaria può essere il primo passo verso una successiva

generalizzazione, come accade per esempio nelle forme dovute a mutazione di DYT1

(Alvarez, 2001). Tuttavia, sono stati riportati casi di crampo dello scrivano familiare ad

esordio giovanile con mutazione di DYT1 in cui non si è verificata una successiva

generalizzazione (Gasser et al., 1998).

Distonia secondaria

Nelle forme secondarie, la distonia è un sintomo, a volte il primo di una lunga lista di

malattie.

Distonia da danni cerebrali strutturali

La causa più frequente è un’occlusione vascolare acuta a carico dello striato e/o del

caudato (Dusser, 1986). La prima manifestazione è generalmente un’emiparesi.

L’emidistonia predomina agli arti superiori ed è spesso associata a segni di interessamento

piramidale, può comparire contemporaneamente all’emiparesi, ma frequentemente si

manifesta solo dopo molti mesi o anche anni (Factor et al., 1988). Nei casi ad eziologia

vascolare, le tecniche di neuroimaging (TC e RMN) mostrano lesioni limitate che possono

coinvolgere lo striato e specialmente il nucleo caudato. Altre cause possono essere quelle

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infettive, ad esempio una meningite tubercolare o un’encefalite post infettiva, e le

neoplasie.

La distonia nei disordini metabolici

La distonia è un sintomo frequente nel corso di molti disordini genetici risultanti da errori

ereditari del metabolismo. In alcune di queste malattie, il disturbo del movimento è una

parte essenziale del quadro clinico, in altre solo un sintomo tardivo e incostante (Alvarez,

2001). Le distonie su base metabolica sono molto più frequenti in età infantile e tendono

ad essere generalizzate (Nardocci, 2013).

Sindromi da deficit della creatina cerebrale

Le sindromi da deficit della creatina cerebrale sono un gruppo di patologie caratterizzate

da un difetto del metabolismo della creatina: il deficit dell’arginina-glicina amino

transferasi è un disturbo ereditario della biosintesi della creatinina recentemente

riconosciuto, caratterizzato da ritardo mentale e da un severo handicap del linguaggio

(Battini et al, 2006); nel deficit di guanidino-acetato-metiltransferasi, invece, i pazienti

presentano ritardo mentale, disturbi del linguaggio, epilessia, oltre a importanti segni di

interessamento extrapiramidale. I livelli di creatina sierici e urinari sono estremamente

bassi (Braissant, 2014). Altri deficit possono riguardare il trasporto della creatina.

Nonostante la RMN cerebrale risulti normale, la Risonanza Magnetica Spettroscopica

evidenza una deplezione di creatina, che viene quasi completamente normalizzata con

supplementi di creatina monoidrato.

Glutaricoaciduria di tipo I

La GAI è una patologia con trasmissione autosomica recessiva dovuta a una severa

riduzione o totale assenza di attività dell’enzima glutarilCoA deidrogenasi, un enzima

mitocondriale che è coinvolto nel catabolismo dell’L-lisina, L-idrolisina e L-triptofano,

portando a elevati livelli di acido glutarico, acido 3-idrossiglutarico, acido glutaconico e

glutarilcarnitina (Kölker et al., 2011). L’età di insorgenza è tra i 5 e i 14 mesi, ma una

sintomatologia lieve come un debole ritardo nel movimento e ipotonia può essere osservata

a un’età più precoce. Nel 70% dei casi alla nascita o qualche tempo più tardi si può

evidenziare una macrocefalia. In due terzi dei casi la malattia si manifesta con crisi

convulsive focali o generalizzate, vomito, ottundimento o letargia, solitamente conseguenti

a una malattia infettiva acuta. Il risultato di tali crisi è un danno striatale (Kölker et al.,

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2011). Successivamente appaiono la regressione psicomotoria, i movimenti coreoatetosici

e distonici, la spasticità e l’anartria. La comprensione del linguaggio è decisamente

migliore dell’espressione, suggerendo che la sfera cognitiva sia relativamente preservata.

Nell’altro terzo dei pazienti, l’esordio è insidioso con ritardo dello sviluppo psicomotorio,

ipotonia e posture distoniche (Alvarez, 2001).

La diagnosi può essere fatta facilmente basandosi sulla clinica, le indagini di laboratorio e

di neuroimaging. È uno tra i disturbi metabolici trattabili e, se gestito adeguatamente, può

avere una buona prognosi (Kamate et al., 2012). Il trattamento metabolico include una

dieta a basso contenuto di lisina, supplementi di carnitina e trattamenti intensificati durante

gli episodi acuti. Tuttavia, l’inizio del trattamento dopo la comparsa dei sintomi non è

generalmente efficace nel prevenire i danni permanenti (Kölker et al., 2011).

Metilmalonico aciduria

La metilmalonico aciduria è una patologia derivante da un errore congenito del

metabolismo risultante nell’accumulo di acilcarnitina nel sangue ed elevati livelli di

escrezione urinaria di acido metilmalonico. Tale disturbo può manifestarsi con vari sintomi,

come manifestazioni neurologiche e gastrointestinali, letargia e anoressia (Karimzadeh et

al., 2013). Tra le manifestazioni neurologiche troviamo distonia, ritardo mentale,

microcefalia e spasticità (Alvarez, 2001).

Sindrome di Lesch-Nyan

La sindrome di Lesch-Nyan è una patologia ad ereditarietà X-linked recessiva che è

causata da un’ampia varietà di mutazioni del gene HPRT1. Il gene codifica per la

ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi, un enzima coinvolto nel metabolismo purinico.

Sono note ben 615 mutazioni e la severità della malattia dipende da come la mutazione

influisce sull’attività dell’enzima (Fu et al, 2014). L’alterazione biochimica risultante è

l’iperuricemia. L’esordio avviene solitamente fra i 6 e i 18 mesi di età (Alvarez, 2001). Il

quadro neurologico caratteristico associa ritardo intellettivo, spasticità, movimenti coreo-

atetosici e tendenza compulsiva all’automutilazione (morsicatura di dita e labbra).

L’iperuricemia è responsabile anche di manifestazioni renali e articolari (Cambier, 2008).

Distonia dovuta a disordini “degenerativi”

I disordini degenerativi sono un gruppo molto eterogeneo di patologie, di cui un esempio

importante è l’atassia-telangectasia, una patologia autosomica recessiva in cui la distonia

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o la corea sono presenti nel 50% dei casi. La distonia è solitamente tardiva, ma in alcuni

casi può manifestarsi tra i primi sintomi, così come l’atetosi e la sindrome ipocinetico-

rigida. La corea è spesso la prima manifestazione (Alvarez, 2001).

Altro esempio è la sindrome di Rett, un disordine genetico che rappresenta la più comune

causa genetica di severa disabilità intellettuale nel sesso femminile. La maggior parte dei

casi è dovuta a una mutazione nel gene MECP2 sul cromosoma X (Bedogni et al., 2014).

In tale sindrome, dopo uno sviluppo inizialmente normale, compare, fra i 6 e i 18 mesi, un

arresto del processo di acquisizione e della crescita della circonferenza cranica, seguito da

fenomeni regressivi, in particolare da una perdita dell’uso delle mani e comparsa di

stereotipie manuali. In seguito è possibile osservare una stabilizzazione con acquisizione di

una marcia normale e recupero del contatto visivo (“sguardo penetrante”). La sindrome

può comportare episodi di apnea, iperventilazione, spasticità, distonia e fenomeni

parossistici di vario tipo (Cambier, 2008).

1.2.4 Diagnosi

Sebbene la distonia sia considerata rara, è probabilmente sottodiagnosticata o confusa con

altri quadri a causa della mancanza di specifici criteri clinici. Un’attenta diagnosi è tuttavia

essenziale per indirizzare il paziente verso un accurato counseling genetico, per stabilire

un’appropriata prognosi e terapia.

Una volta individuato il sintomo distonico, si indagherà la storia clinica e le caratteristiche

neurologiche che permettono di distinguere tra forme primarie e non; seguiranno poi le

indagini strumentali e di laboratorio. Per quanto riguarda la storia clinica, sarà importante

indagare bene la storia familiare, che può indirizzare verso il sospetto di forme di origine

genetica, e l’andamento temporale del sintomo distonico, che può essere statico, come ad

esempio nelle forme acquisite, o progressivo, come nelle distonie primarie o

eredodegenerative. In particolare, una distonia parossistica è evocativa di forme

geneticamente determinate, una distonia fluttuante, con peggioramento o comparsa dei

sintomi nelle ore serali o in relazione alla stanchezza, suggerisce invece una distonia dopa-

responsiva. Infine dovrà essere posta attenzione alle caratteristiche specifiche della distonia,

poiché alcuni elementi particolari possono indirizzare in senso eziologico (Nardocci, 2013).

Il quadro clinico indirizzerà successivamente verso le indagini di laboratorio e strumentali

più appropriate. Dobbiamo in particolare distinguere la distonia primaria da quelle

conseguenti a specifiche cause: per tale ragione, oltre all’osservazione clinica, è necessario

eseguire una RMN cerebrale. Una RMN cervicale può essere utile qualora si sospettino

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una sublussazione atlanto-assiale, una siringomielia, una sindrome di Arnold-Chiari o una

sindrome di Klippel-Fail.

PET e SPECT sono raramente utilizzate, così come la biopsia tissutale, mentre EMG e

ENG (elettroneurografia) possono essere utilizzati come strumenti di conferma in seguito a

una diagnosi clinica. La Risonanza Magnetica spettroscopica può invece essere utile

qualora si sospetti una patologia metabolica. Molte patologie ereditarie possono presentarsi

in associazione con la distonia (per esempio, morbo di Huntington e morbo di Parkinson):

in questi casi, la diagnosi differenziale con la distonia primaria prevede l’esecuzione di

test genetici. Qualora invece si sospetti una distonia secondaria ad una lesione cerebrale

perinatale, deve essere indagata la storia clinica riguardante la gravidanza e la nascita. Test

di laboratorio dovrebbero escludere la presenza di difetti metabolici (Albanese et al, 2007).

1.3 Corea e Ballismo

1.3.1 Definizione e caratteristiche cliniche della corea

Il termine corea definisce un disturbo del movimento caratterizzato da movimenti

involontari, afinalistici, improvvisi e rapidi che possono interessare tutti i distretti corporei,

ma che solitamente si verificano a carico delle estremità distali degli arti o al volto, e sono

il risultato di un flusso continuo di contrazioni muscolari irregolari. Ciò che la distingue

dagli altri disturbi del movimento come distonia, tremore e tic è principalmente

l’irregolarità (Nardocci, 2013). Il sostantivo corea, oltre che per indicare un sintomo, viene

utilizzato anche per caratterizzare molteplici condizioni sindromiche. La gravità della

corea varia da una semplice irrequietezza ad ipercinesie violente ed inabilitanti che

interferiscono con i movimenti volontari, la stazione eretta, la deambulazione e la parola

(Barone, 2012). Le ipercinesie coreiche possono essere generalizzate, fluendo da un

distretto corporeo all’altro, localizzate ad un emisoma, come nelle forme secondarie ad una

lesione controlaterale dei nuclei della base, o prevalenti al distretto oro-buccale (come ad

esempio nella discinesia tardiva, nella sindrome di Lesch-Nyan e nella degenerazione

associata al deficit di pantotenatochinasi PKAN) (Barone, 2012).

I movimenti anomali sono esacerbati solitamente da azioni, concentrazione mentale o

tensione e scompaiono o decrescono sensibilmente durante il sonno (Alvarez, 2001).

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1.3.2 Eziologia e classificazione della corea

I movimenti coreici sono considerati spesso come il risultato di una disfunzione con

eccessiva attivazione del sistema dopaminergico. Le lesioni più comunemente coinvolte

sono a livello dello striato, del nucleo talamico ventrale e del nucleo subtalamico (Alvarez,

2001).

Per quanto riguarda l’eziologia, le cause dei movimenti coreici sono molteplici: cause

genetiche, infettive, immunologiche e da tossicità farmacologica. Sulla base dell’eziologia

è possibile suddividere la corea in due gruppi: corea primaria e corea secondaria (Tabella

1.3.2.1)

Tabella 1.3.2.1: classificazione eziologica della Corea (Alvarez, 2001)

COREA PRIMARIA DA

CAUSE GENETICHE

corea benigna familiare

coreoatetosi familiare invertita

corea di Huntington

COREA

SECONDARIA

Cause

infettive

corea reumatica e Corea di Sydenham,

borrelia, echovirus, HIV

Cause

metaboliche

iperfenilalaninemia biopterina-dipendente,

gangliosidosi, glutarico-aciduria, malattia di

Lesch-Nyan, fenilketonuria, malattia di

Wilson, galattosiemia, deficienza di creatina

Cause

sistemiche

malattia di Bechet, atrofia dentatorubro-

pallidoluysiana, lupus eritematoso sistemico,

ipoplasia pontocerebellare di tipo 2

Cause

vascolari

malattie cardiache cianotiche, policitemia

vera, ischemia cerebrale transitoria

Intossicazioni da monossido di carbonio, alcol metilico,

manganese, toluene

Altre forme sindrome da anticorpi anticardiolipina,

atassia-telangectasia, cardiopatie, trauma

cranico, ipocalcemia,

iper/iponatriemia,ipomagnesemia,

iperparatiroidismo,ipoparatiroidismo

idiopatico

Iatrogena estrogeni, contraccettivi orali, levodopa e

dopa-agonisti, idantoina, pemoline, litio,

metilfenidato

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1.3.3 Principali forme cliniche di corea

Corea benigna familiare

La Corea benigna familiare è una condizione rara ad eredità autosomica dominante e legata

alla mutazione del gene TTF-1 (thyroid transcription factor) (Nardocci, 2013). Tale gene si

trova sul cromosoma 14q ed è un fattore di trascrizione essenziale per l’organogenesi di

polmoni e tiroide, per lo sviluppo, la differenziazione e l’organizzazione dei nuclei della

base. Poiché mutazioni simili di questo gene, o perfino medesime mutazioni, causano

espressioni fenotipiche diverse, altre condizioni come i fattori ambientali, ormonali e/o i

geni modificatori possono contribuire alla variabilità clinica (Fons et al., 2011).

La corea benigna familiare è una patologia rara caratterizzata da un esordio prima dei 5

anni di età (Gilbert, 2009). Il disturbo del movimento non è progressivo e diventa meno

evidente nell’età adulta; si manifesta al momento dell’acquisizione della deambulazione

autonoma, successivamente segue un peggioramento clinico e poi una “fase di stato” , in

cui si ha una riduzione del deficit funzionale dovuta ai meccanismi di adattamento

individuali. In questa patologia la corea è di tipo generalizzato, in caso di coinvolgimento

oro-mandibolare si possono avere disartria e/o grimaces facciali, associate a lieve ipotonia

generalizzata e impaccio motorio legato alla presenza di ipercinesie (Nardocci, 2013). Le

manifestazioni “atipiche” sono comuni e vi è una sostanziale sovrapposizione con la

fenomenologia della distonia mioclonica. È presente inoltre una sensibile variabilità intra-

e inter-familiare nella severità delle manifestazioni cliniche della corea (Gilbert, 2009).

La malattia può includere ritardo cognitivo, tremore intenzionale, disturbi

dell’apprendimento, segni piramidali, anomalie della funzione tiroidea e polmonare, infatti,

per sottolineare il coinvolgimento multiorgano della malattia, era stato suggerito il termine

di Sindrome Cervello-Tiroide-Polmone (Nardocci, 2013).

Corea di Huntington

La malattia di Huntington è un’affezione ereditaria autosomica dominante con penetranza

completa che deve la denominazione di corea di Huntington alla comparsa, nel corso della

sua evoluzione, di movimenti coreici (Cambier, 2008). La prevalenza è di 3-7/100.000

abitanti in Nord America ed Europa, dove la malattia è maggiormente frequente (Cardoso,

2009).

Il gene coinvolto è localizzato sul braccio corto del cromosoma 4p16.3 e codifica per una

proteina chiamata huntingtina. Nei soggetti affetti è presente l’espansione della tripletta

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CAG che codifica per la glutamina: nei soggetti sani si riscontrano da 9 a 35 ripetizioni, in

quelli malati oltre 42. Un numero elevato di ripetizioni è correlato ad un esordio precoce e

a un’evoluzione rapida. Aggregati di huntingtina mutata sono presenti nelle inclusioni

intranucleari e intracitoplasmatiche. Le lesioni interessano la corteccia cerebrale, i nuclei

della base e il cervelletto, determinando i disturbi cognitivo-comportamentali che

caratterizzano la malattia. L’esordio avviene solitamente tra i 30 e i 50 anni, ma esistono

forme giovanili (10% dei casi).

Dal punto di vista clinico la malattia si presenta con alterazioni del tono dell’umore, del

comportamento e scadimento delle prestazioni, che diventano fonte di difficoltà sia in

ambito professionale che familiare. Tali disturbi sono presenti assai prima che si

manifestino i sintomi motori (Cambier, 2008). In generale, l’età di esordio è difficile da

stabilire a causa dell’esordio insidioso (Ribaï et al., 2007). La sintomatologia motoria non

si limita ai movimenti coreici, ma è possibile osservare anche un’incapacità a mantenere

una contrazione sostenuta e disturbi di coordinazione. I movimenti coreici e i disturbi di

coordinazione si sommano e compromettono la marcia, l’eloquio e l’alimentazione. Il tono

muscolare, che inizialmente è solo lievemente modificato, può, nella fase avanzata,

evolvere verso uno stato rigido acinetico. L’evoluzione dei disturbi neurologici e psichici

avviene in parallelo, anche se in alcuni periodi è possibile che prevalga l’uno o l’altro

aspetto (Cambier, 2008).

La forma giovanile è una rara entità clinica caratterizzata da un’età di esordio inferiore ai

20 anni, la cui trasmissione avviene abitualmente per via paterna a causa dell’espansione

delle triplette. Si distinguono una forma con esordio prima dei 10 anni ed una con esordio

entro i 20 anni. In passato le forme giovanili erano considerate forme separate, ma negli

ultimi anni è stata presa in considerazione la possibilità che siano in continuum con l’età

adulta (Nardocci, 2013). Tuttavia, a differenza della forma adulta, il cui fenotipo clinico è

dominato dalla corea, la forma giovanile presenta un ampio spettro fenotipico che include

rigidità, parkinsonismo, distonia ed epilessia (Ribaï et al., 2007), oltre a disturbi del

comportamento e deterioramento delle funzioni cognitive. Le crisi epilettiche sono presenti

tra il 30% e il 40% dei casi. Nel 30-50% è presente mioclono, poco frequente nella forma

adulta, che può essere generalizzato o multifocale, talora evocato da uno stimolo motorio o

sensitivo (Nardocci, 2013).

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Corea reumatica o corea di Sydenham

La corea reumatica, anche chiamata “ballo di San Vito” e chorea minor, è la forma di

corea più rappresentata in età pediatrica e si verifica in circa il 26% dei pazienti con febbre

reumatica (FR), un disturbo di origine infiammatoria non suppurativa conseguente

all’infezione dello Streptococco β emolitico di gruppo A. L’età di maggiore incidenza è tra

i 4 e i 9 anni (Nardocci, 2013), con rapporto femmine: maschi 2:1 (Cardoso et al. 1997). La

patogenesi è di tipo immunitario: è presente infatti una cross-reazione di IgG dirette contro

antigeni di membrana dello streptococco e contro antigeni neuronali (Barone, 2012).

L’infezione si manifesta inizialmente con una faringite che precede di 2-4 settimane

l’insorgenza dei sintomi della FR. La patologia si manifesta successivamente con un’ampia

varietà di presentazioni, come cardite, artrite, corea, noduli sottocutanei e un caratteristico

rash cutaneo noto come eritema marginatum (Burke and Chang, 2014). Il decorso clinico è

autolimitante, ma il danno alle valvole cardiache può essere cronico e progressivo fino ad

esitare in scompenso cardiaco (Nardocci, 2013).

Per porre diagnosi di malattia reumatica devono essere ottemperati i “criteri di Jones”,

sviluppati nel 1994. Questi criteri sono stati in un secondo tempo aggiornati dall’American

Heart Association (AHA) nel 1992. La revisione del 1992 includeva tre elementi: criteri

maggiori, criteri minori ed evidenza di una pregressa infezione da Streptococco β emolitico

di gruppo A. Nel 2002 c’è stata una nuova revisione effettuata dal Jones Criteria Working

Group of the AHA (Tabella1.3.3.1). Se sono presenti due manifestazioni maggiori o una

maggiore e due minori con i segni di una recente infezione streptococcica, è presente

un’alta probabilità di trovarci di fronte a una febbre reumatica (Ferrieri, 2002).

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Tabella 1.3.3.1: tabella dei criteri di Jones e delle evidenze a supporto dell’infezione

da streptococco emoltitico di gruppo A (Burke and Chang, 2014).

MANIFESTAZIONI MAGGIORI cardite

poliartrite

corea

eritema marginatum

noduli sottocutanei

MANIFESTAZIONI MINORI febbre

artralgia

aumento delle proteine della fase acuta

(PCR, ESR)

intervallo PR prolungato

EVIDENZE CHE SUPPORTANO

UN’INFEZIONE DA

STREPTOCOCCO EMOLITICO DI

GRUPPO A

coltura faringea positiva

test rapido per gli antigeni streptococcici

positivo

anticorpi antistreptococcici elevati o in

aumento

La Corea di Sydenham esordisce tipicamente tra 1 e 3 mesi dopo l’infezione streptococcica

(Nardocci, 2013). Il fenotipo clinico maggiormente rappresentato è quello della corea

associata ad altri segni neurologici, soprattutto a sindrome ipotonica, più raramente a

ipometria dei movimenti saccadici e nistagmo (Cardoso et al., 1997). La corea è presente

in forma generalizzata nel 70% dei pazienti, mentre vi è una chiara lateralizzazione nel

restante 30% (Nardocci, 2013). La corea si può poi definire “acuta” quando ha una durata

inferiore ai 2 anni, “persistente” se i segni e i sintomi permangono per più di 2 anni. Si ha

una “remissione” quando si ha completa assenza delle ipercinesie (Nardocci, 2013) e

“ricorrenza” se si ha la ripresa della sintomatologia dopo un periodo libero di almeno 2

mesi da un precedente episodio, con una durata dell’episodio di almeno 24 ore. La

presenza di interessamento cardiaco e di segni sistemici di malattia reumatica sono stati

suggeriti come fattori predittivi della ricorrenza (Korn-Lubetzki et al., 2004).

Tipica è inoltre la sintomatologia psichica: irritabilità, disturbi del comportamento,

alterazioni del tono dell’umore in senso depressivo, difficoltà di concentrazione, capacità

mnemonica ridotta, incubi, insonnia, agitazione. Questi sintomi possono precedere anche

di diversi mesi i disturbi del movimento (Nardocci, 2013).

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1.3.4 Ballismo

Il ballismo è un disordine ipercinetico caratterizzato da contrazioni involontarie,

intermittenti, violente, ampie e incontrollabili che interessano i muscoli prossimali degli

arti (Boukthir et al., 1991) e si differenzia dalla corea solo per l’intensità e l’ampiezza dei

movimenti (Alvarez, 2001). Infatti, secondo Marsden (1986), il ballismo è probabilmente

una forma severa di corea. È per lo più dovuto a lesioni vascolari del nucleo subtalamico di

Luys o delle sue connessioni, ma può essere dovuto anche a lesioni dello striato, della

substantia nigra, del talamo e delle relative connessioni (Barone, 2012). Altre cause

identificate sono infezioni (batteriche, virali, da parassiti), tumori, sostanze tossiche e

patologie sistemiche (lupus eritematoso sistemico) (Boukthir et al., 1991). Può presentarsi

in forma generalizzata o interessare un solo lato; in questo caso si parla di emiballismo e la

lesione si presenta controlateralmente rispetto al lato del corpo interessato.

Ballismo precipitato dalla febbre

Le malattie febbrili possono essere dei fattori precipitanti di severe forme di corea e

ballismo, soprattutto in pazienti affetti da paralisi cerebrale discinetica (Erickson and Chun,

1987; Harbord and Kobayashi, 1991). Durante questi episodi, si può osservare un aumento

sierico di transaminasi, creatina-chinasi e altri enzimi, con ritorno alla normalità una volta

che il disturbo del movimento migliora. L’EEG non mostra invece anomalie. Questi

pazienti vanno seguiti attentamente, in quanto la violenta attività muscolare a cui sono

sottoposti può essere pericolosa (Alvarez, 2001).

1.3.5 Diagnosi

Per la diagnosi, va attentamente indagata la storia familiare e, se presente, bisogna cercare

di capire la modalità di trasmissione. Tuttavia l’assenza di una storia familiare positiva non

esclude cause genetiche. Vanno poi considerate la storia clinica del paziente e l’eventuale

anamnesi farmacologica (per esempio, la corea si evidenza molto spesso in pazienti

parkinsoniani trattai con L-dopa).

Come per altre malattie neurologiche, il decorso nel tempo della sintomatologia può essere

di aiuto, ad esempio, un esordio improvviso può suggerire un’origine vascolare, un esordio

subacuto un disturbo metabolico, un andamento progressivo suggerisce una patologia

neurodegenerativa e un decorso stabile indirizza verso una corea benigna familiare.

L’esame neurologico è indispensabile per evidenziare caratteristiche cliniche particolari

dei movimenti coreici, per esempio l’asimmetria o altri segni neurologici associati.

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L’attività elettromiografia nella corea si presenta simile a quella dei normali movimenti

volontari, sebbene sia spesso più frammentata e meno regolare (Rondot, 1983).

La diagnosi va poi completata con strumenti di neuroimaging, come SPECT o RMN al fine

di evidenziare eventuali lesioni responsabili di movimenti coreici (Walker, 2011). Queste

non sempre sono d’aiuto, ad esempio nel caso della corea benigna familiare solo uno

studio ha dimostrato una diminuzione del metabolismo del F-18 glucosio a livello striatale

(http://emedicine.medscape.com/article/1181993-overview#a1) .

Soffermandoci sulla corea di Sydenham, c’è da dire che la diagnosi è spesso difficile, in

quanto non esiste un test diagnostico specifico. Aiutano quindi i già specificati criteri di

Jones. I risultati dei test di neuroimaging sono spesso negativi, sebbene alla RMN possano

esserci anomalie come aumento dell’intensità del segnale dei gangli basali o della sostanza

bianca cerebrale nelle immagini pesate in T2.

Al contrario, nella corea di Huntington possiamo disporre di test genetici per verificare la

presenza della mutazione sottostante, test che aiutano enormemente la diagnosi. La RMN e

la TC possono inoltre evidenziare l’atrofia del caudato e la RMN anche l’aumento del

segnale nel putamen nelle immagini pesate in T2. Infine, la F-18 PET può mostrare una

marcata riduzione del metabolismo del glucosio nel caudato (http://emedicine.medscape.

com/article/1181993-overview#a1).

1.4 Sindrome ipocinetico-rigida

1.4.1 Definizione e caratteristiche cliniche

I disordini espressi come sindrome ipocinetico-rigida o parkinsonismi sono rari nei

bambini e, quando si presentano, sono spesso accompagnati da distonia. Si è pertanto

ipotizzato che il deficit di trasmissione dopaminergica, responsabile delle sindromi

ipocinetico-rigide in età adulta, venga espressa in età infantile come distonia (Alvarez,

2001).

Da un punto di vista clinico, è caratterizzata da un gruppo di segni tra cui l’ipocinesia

(riduzione del numero di movimenti, sia automatici che volontari), la bradicinesia (lentezza

nei movimenti), la rigidità (aumento uniforme della resistenza ai movimenti passivi;

quando il muscolo stirato passivamente tende a mantenere la posizione assunta si parla di

rigidità “a tubo di piombo”), che però non è costante e il tremore a riposo (Garcia-Cazorla

et al., 2011). Altri segni frequenti sono il cosiddetto “fenomeno della ruota dentata”

(percezione di piccole scosse di arresto, che ricordano il movimento di una ruota dentata,

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durante i movimenti passivi di flessoestensione di un arto su quello adiacente) e la perdita

dei riflessi posturali. La diagnosi di parkinsonismo richiede che siano presenti almeno due

tra questi segni, di cui uno deve essere la bradicinesia o il tremore a riposo (Hughes et al.,

2001). In età prescolare, la sindrome può assumere aspetti fenomenologici particolari:

fluttuazione del tono muscolare, acinesia e ritardo dello sviluppo posturo-motorio

(Nardocci, 2013). Il tremore a riposo, quando presente, può avere un’occorrenza

parossistica o caratteristiche “rubral-like”. Infine, alla fenomenologia descritta, si associa

frequentemente distonia; essendo da un punto di vista semeiologico la sindrome

ipocinetico-rigida nei bambini incompleta e/o associata ad altri segni clinici, i termini

“parkinsonismo”, “parkinsonismo/distonia” o “parkinsonismo plus” sono in tal senso

appropriati per definire questa condizione nell’infanzia (Garcia-Cazorla et al., 2011).

1.4.2 Eziologia e classificazione

Il meccanismo sottostante al parkinsonismo è stato relativamente ben capito: una riduzione

dei neuroni dopaminergici della substantia nigra compatta riduce la normale inibizione sui

neuroni GABA/encefalinergici della via nigrostriatale che quindi aumentano la loro attività

iper-inibendo il globus pallidus laterale. La conseguenza è un’iperattività del nucleo

subtalamico e ipereccitazione dei suoi target.

Possiamo considerare tre gruppi principali di cause: cause acquisite o secondarie a

differenti agenti esogeni come asfissia, infezioni, disordini immunomediati, farmaci,

tumori dei gangli basali, ipoparatiroidismo e pseudoipoparatiroidismo, idrocefalo; disordini

geneticamente determinati come errori congeniti del metabolismo e altre malattie di

origine genetica e, infine, dobbiamo considerare le cause ignote: c’è infatti una fetta

significativa di casi in cui non viene evidenziata una causa definitiva di malattia (Garcia-

Cazorla et al., 2011).

In base al fenotipo clinico, possiamo invece classificare il parkinsonismo in tre tipi,

schematizzati dalla tabella 1.4.2.1:

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Tabella 1.4.2.1: classificazione clinica del parkinsonismo (Nardocci, 2013)

Tipi di parkinsonismo Caratteristiche cliniche

Parkinsonismo classico o puro Prevalenti o esclusive caratteristiche

parkinsoniane

Sindromi distonia-parkinsonismo Associazione di parkinsonismo e

distonia e/o segni di coinvolgimento

multisistemico

Parkinsonismo atipico Disordini caratterizzati da altri segni e

sintomi che presentano anche tratti di

parkinsonismo

Per quanto riguarda le cause del parkinsonismo classico, esiste una notevole controversia,

sebbene differenti studi evidenzino un’interazione tra fattori ambientali e suscettibilità

genetica. Come regola generale, possiamo assumere che più giovane è il paziente, più è

probabile che la patologia abbia una causa monogenica, come un errore congenito del

metabolismo. D’altro canto, esiste anche una grande varietà di cause acquisite. Nei

bambini, le cause più comuni sono gli effetti collaterali di farmaci e le encefaliti. Il morbo

di Parkinson è causato da un progressivo deterioramento dei neuroni della substantia nigra

e dalla consequenziale carenza di dopamina, che causa un decremento nella capacità di

controllare i movimenti corporei. Sebbene la dopamina sia il neurotrasmettitore

classicamente coinvolto nella fisiopatologia del morbo di Parkinson e nei parkinsonismi,

altri neurotrasmettitori come GABA, glutammato e acetilcolina partecipano al

funzionamento dei gangli basali (Garcia-Cazorla and Duarte, 2014).

1.4.3 Principali forme cliniche

Parkinsonismo classico o puro

Il parkinsonismo classico o puro è raro in età pediatrica; esempio di questa condizione è il

parkinsonismo giovanile da mutazioni del gene PARK2 (Nardocci, 2013).

La mutazione del gene PARK2, che codifica per la proteina parkina, è il più comune

fattore di rischio genetico per lo sviluppo del morbo di Parkinson ad esordio giovanile ed è

trasmessa con ereditarietà di tipo autosomico recessivo (Chu et al., 2014). Tale mutazione

è responsabile di circa il 70% dei pazienti con parkinsonismo ereditario o sporadico ad

esordio entro i 20 anni (Schneider and Bhatia, 2010).

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Clinicamente, tale patologia è caratterizzata da bradicinesia, rigidità, tremore a riposo

dopa-responsivo, ma con precoce occorrenza di discinesie e fluttuazioni motorie (Nardocci,

2013). Solitamente, il parkinsonismo correlato a mutazioni della parkina è L-dopa-

responsivo e presenta un decorso benigno e lentamente progressivo. Tuttavia, può essere

presente anche distonia, che solitamente colpisce gli arti inferiori e che, nel 40% dei casi, è

il primo sintomo che viene manifestato (Schneider and Bhatia, 2010).

Sindromi distonia-parkinsonismo

Queste sindromi sono quelle più frequenti, con spettro eziologico che include sia

condizioni patologiche inquadrate nell’ambito della distonia primaria (quindi legate a

mutazioni di geni DYT), sia altre classificate nell’ambito dei geni associati a sindrome

parkinsoniana (geni PARK) oltre a condizioni come le neurodegenerazioni con accumulo

intracerebrale di ferro (NBIA) (Nardocci, 2013).

Neurodegenerazione con Accumulo Intracerebrale di Ferro (NBIA)

Questo termine definisce un gruppo di condizioni patologiche caratterizzate da un aumento

dei depositi di ferro nei gangli basali che inducono allo sviluppo di complessi e progressivi

sintomi neurologici (Schneider et al., 2013). Tali patologie presentano un’ereditarietà di

tipo autosomico recessivo ed esordio in età pediatrica o adulta (Schneider and Bhatia,

2012). Le caratteristiche principali sono: un quadro clinico dominato da segni e sintomi di

coinvolgimento del sistema extrapiramidale, l’evidenza alla RM encefalo di accumulo

patologico di ferro nei nuclei della base e la presenza di distrofia neuroassonale.

Lo spettro clinico e genetico è molto eterogeneo e lo studio di correlazione genotipo-

fenotipo ha delineato quadri clinici che vengono definiti “classici” ed altri definiti “atipici”

(Nardocci, 2013). Nelle forme ad esordio giovanile la distonia è il segno clinico

predominante.

Una forma di neuro degenerazione con accumulo di ferro a livello cerebrale è la

neurodegenerazione associata a pantotenato-chinasi (pantothenate–kinase associated

neurodegeneration, PKAN). Precedentemente conosciuta come Sindrome di Halloverden-

Spatz (Gregory and Hayflick, 2011), tale disordine è stato rinominato dopo la scoperta del

gene responsabile, il PANK2 (Kruer et al., 2011). Alla base di PKAN vi è un difetto

ereditario recessivo del metabolismo del coenzima A. In media, l’esordio di PKAN si

verifica tra i 3 e i 4 anni di età e, in circa il 90% dei casi, esordisce prima dei 6 anni

(Hayflick et al., 2003; Antonini et al., 2006). Tuttavia, sono stati riportati anche casi ad

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esordio più tardivo (Hayflick et al., 2003; Aggrawal et al. 2010). I sintomi di esordio sono

andatura difficoltosa e anomalie posturali. Il fenotipo predominante è caratterizzato da

sintomi extrapiramidali, soprattutto distonia generalizzata con frequente coinvolgimento

oro-mandibolare (Schneider et al., 2006). Possono essere inoltre presenti segni piramidali e

alterazioni cognitive, come cambiamenti del comportamento e demenza (Schneider and

Bhatia, 2010). Dal punto di vista diagnostico, l’elemento centrale, oltre alla clinica, è la

presenza di accumulo patologico di ferro, evidenziabile come alterazioni di segnale alla

RM encefalo. Questa può configurare un quadro classico di “occhio di tigre”

patognomonico per PKAN, oppure un accumulo cerebrale aspecifico, comunque indicativo

per questo gruppo di patologie (Nardocci, 2013).

La NBIA include anche le forme derivanti dalla mutazione del gene PLA2G6, che codifica

per una fosfolipasi calcio-dipendente (Kurian et al., 2008). Tale enzima è coinvolto

nell’omeostasi di membrana (Garcia-Cazorla et al., 2011). L’età media di comparsa della

malattia è di 14 mesi. I bambini presentano una regressione delle abilità motorie e

cognitive, con evidenza di ipotonia assiale, spasticità dei quattro arti, disfunzione bulbare e

strabismo. Tutti i pazienti sviluppano atassia cerebellare e distonia e molti anche atrofia

ottica. La RMN mostra atrofia cerebellare corticale e gliosi, derivanti dall’accumulo di

ferro nel globus pallidus e nella substantia nigra (Kurian et al., 2008).

Disordini della sintesi delle amine biogene

Le condizioni patologiche incluse in questo ambito presentano grande variabilità in termini

di età di esordio e fenotipo clinico, il quale risulta tuttavia dominato da sintomi distonico-

parkinsoniani talvolta associati ad altri segni e sintomi neurologici. Tale variabilità è in

relazione al tipo e alla severità delle alterazioni dei neurotrasmettitori (Nardocci, 2013).

La patologia può esordire a qualunque età dall’infanzia in poi. La presentazione clinica

dipende dal neurotrasmettitore coinvolto e dalla severità dell’anomalia. Il coinvolgimento

neurologico è quello prominente, potendosi presentare con diverse manifestazioni come

encefalopatia, epilessia e disordini motori sia a coinvolgimento piramidale che

extrapiramidale, che sono primariamente attribuiti a deficienza cerebrale di dopamina,

serotonina o entrambe (Kurian et al., 2011). Parkinsonismo, distonia e crisi oculogire sono

i segni principali; altri segni sono la fluttuazione della sintomatologia, il disturbo della

termoregolazione e il disturbo dello sviluppo somatico (Nardocci, 2013).

La diagnosi si basa principalmente sul dosaggio di metaboliti delle amine biogene (acido

omovanilico HVA, acido 5-idossi-indolacetico 5-HIAA), delle proteine e dei folati a

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livello liquorale (Spatola and Wider, 2012). La RM encefalo usualmente risulta normale,

ma può essere utile nella diagnosi differenziale (Brajkovic et al., 2012).

Malattia di Segawa/ deficit di GTPCH/DYT5

La Malattia di Segawa è un raro disordine causata da una deficienza di GTP ciclo-idrolasi I

ed è caratterizzata da un’alterazione della marcia e da distonia, con marcata fluttuazione

diurna della sintomatologia (Kim et al., 2014). Non infrequentemente i pazienti segnalano

un peggioramento serale (Nardocci, 2013). La malattia ha un’eredità autosomica

dominante a penetranza incompleta e predominanza nel sesso femminile. L’esordio è

tipicamente rappresentato da una distonia agli arti che tende a una progressiva

generalizzazione e allo sviluppo di segni parkinsoniani (Spatola and Wider, 2012). Il

trattamento con L-dopa associato ad un inibitore della dopa-decarbossilasi comporta un

notevole miglioramento della sintomatologia fino a una completa risoluzione (Nardocci,

2013).

Rapid onset Dystonia-Parkinsonism (RPD)/ DYT12

La RPD è un disturbo del movimento associato alla mutazione del gene ATP1A3. I segni e

i sintomi comunemente compaiono in adolescenza o nella prima età adulta e possono

essere scatenati da stress fisici o psicologici (Oblak et al., 2014). La malattia è

caratterizzata dall’esordio acuto (ore o settimane) di distonia con prevalente

coinvolgimento oro-facciale e progressione cranio-caudale associata a segni parkinsoniani.

Non vi è usualmente un coinvolgimento intellettivo (Nardocci, 2013). Le mutazioni di

ATP1A3 sono inoltre associate a emiplegia alternante dell’infanzia (Oblak et al., 2014).

Malattia di Wilson

La malattia di Wilson è un disordine genetico ad ereditarietà autosomica recessiva causato

dalla mutazione della proteina ATP7B. La disfunzione conseguente porta a un alterato

metabolismo del rame con graduale accumulo nel corpo e ridotta sintesi di varie proteine,

soprattutto della ceruloplasmina (Dusek et al., 2014). Le manifestazioni cliniche sono

dovute all’accumulo di rame, in particolare a livello di fegato, reni, encefalo e cornea

(Nardocci, 2013). Le manifestazioni epatiche sono solitamente le prime a comparire,

mentre la sintomatologia neurologica compare più frequentemente in età giovane adulta

(Paviour et al, 2004; Machado et al., 2006; Kleine et al., 2012). Lo spettro fenotipico

neurologico è molto ampio: distonia, disartria, tremore e anomalie comportamentali sono

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caratteristiche comunemente presenti (Pulai et al., 2014). Possono inoltre essere presenti

corea, mioclonie, nistagmo e, seppur raramente, crisi epilettiche. Meno frequentemente

compaiono segni piramidali e cerebellari (Mihaylova et al., 2012). Il tremore, che può

essere a riposo, posturale o cinetico, è il sintomo neurologico più precoce nella malattia di

Wilson e può essere sia prossimale che distale (Pfeiffer, 2007). Inoltre, un’ampia varietà di

sintomi psichiatrici possono comparire in tali pazienti: cambiamenti di personalità e

disturbi dell’umore, in particolare depressione, sono i più frequenti tratti comportamentali

dei soggetti con malattia di Wilson (Brewer, 2005).

Per quanto riguarda la diagnosi, la moltitudine di mutazioni identificate rende i test

genetici impraticabili, per cui possono essere fatte diverse indagini, tra cui la

determinazione epatica di rame tramite biopsia, il dosaggio della ceruloplasmina sierica, il

dosaggio dell’escrezione urinaria di rame nelle 24 ore, il dosaggio del rame sierico libero e

legato alla ceruloplasmina (Pfeiffer, 2007) e studi di neuroimaging come la RMN, che può

mostrare aree di ipointensità nelle immagini T1 pesate e iperintensità in quelle T2 pesate a

livello dei nuclei della base, del peduncolo cerebrale, del claustro e della sostanza bianca

(Alvarez, 2001). Importante è la presenza dell’anello corneale di Kayser-Flescher a livello

oculare, il quale supporta fortemente la diagnosi (Pfeiffer, 2007).

Parkinsonismo giovanile idiopatico (JIP)

La JIP si riferisce a una forma idiopatica di sindrome ipocinetico-rigida con esordio prima

dei 20 anni, che può essere sporadica o familiare. Spesso si associa a segni distonici. La

risposta al trattamento con L-dopa è molto variabile (Alvarez, 2001). Questo eterogeneo

gruppo di patologie può essere suddiviso in due sottogruppi principali.

Atrofia progressiva pallidale: la patologia è progressiva, con segni di

parkinsonismo e tratti distonici e con intelletto intatto. I pazienti presentano una

severa degenerazione della substantia nigra e le caratteristiche cliniche correlano

con la perdita tissutale e la severità delle inclusioni patologiche. La responsività alla

L-dopa e lo scarso tremore a riposo sono stati associati alla preservazione del

volume pallidale, la presenza di atassia posturale è stata associata con l’atrofia del

putamen (Song et al, 2011).

JIP da altre cause: altri casi di JIP cominciano con tremore e/o distonia tra i 6 e i

16 anni, con successivo sviluppo di parkinsonismo e intelletto normale. Alcuni casi

sono sporadici (Gershanik and Leist, 1986), ma la maggior parte sono forme

familiari ad ereditarietà autosomica dominante o recessiva. La responsività alla L-

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dopa comporta notevoli miglioramenti, ma spesso si verifica lo comparsa di

fluttuazioni e anormalità dei movimenti involontari (Martin et al. 1971, Kilroy et al.

1972, Carlier and Dubru, 1979).

Parkinsonismo atipico

Numerose condizioni patologiche ad esordio in età pediatrica possono manifestare in modo

incostante segni e sintomi parkinsoniani:

Sindrome di Niemann-Pick

La sindrome di Niemann-Pick è un raro disturbo autosomico recessivo da accumulo di

lipidi a livello dei lisosomi perinucleari e conseguente alla mutazione del gene NPC1

(Kluenemann et al., 2013). La patologia è caratterizzata dallo sviluppo di sintomi

neurologici a sviluppo progressivo che conducono a morte prematura (Lyseng-Williamson,

2014). La clinica è molto eterogenea ed è caratterizzata da un’ampia varietà di sintomi

neurologici non specifici, sintomi sistemici e/o psichiatrici che si sviluppano a diverse età e

progrediscono in maniera variabile (Patterson et al., 2012; Vanier, 2010). Le anomalie dei

movimenti oculari sono spesso la prima manifestazione della malattia e sono presenti nella

maggior parte dei pazienti (Patterson et al., 2012; Imrie et al., 2007). I disturbi del

movimento variano in base all’età di insorgenza; la distonia, il parkinsonismo e la corea,

sono più frequenti nella forma che insorge dopo l’adolescenza. La diagnosi prevede la

dimostrazione della presenza dell’accumulo di colesterolo lisosomiale in colture di

fibroblasti o l’analisi del gene (Garcìa-Cazorla et al., 2011).

Gangliosidosi

I gangliosidi sono importanti componenti della membrana plasmatica neuronale. Le

gangliosidosi sono patologie derivanti da un’alterazione genetica che comporta un difetto

del catabolismo dei gangliosidi (Sandhoff and Harzer, 2013). Si possono manifestare a

qualunque età, sebbene nella maggior parte dei pazienti abbiano un esordio in età infantile

con morte in età tardo infantile o giovanile ed un quadro dominato dall’interessamento

neurologico (Lyon et al., 1996). Di tale patologia esistono tre forme, GM1, GM2 e GM3,

caratterizzate dalla presenza di diversi segni neurologici, tra cui distonia focale o

generalizzata, parkinsonismo e corea.

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Forme acquisite

Parkinsonismo post-encefalitico

Il parkinsonismo è una ben nota sequela encefalitica conseguente a diverse infezioni, tra

cui infezione da micoplasma (Kim et al., 1995), da virus influenzale (Isgreen et al., 1976) e

può essere una conseguenza della leucoencefalopatia multifocale progressiva associata al

virus HIV (Singer et al., 1993).

1.4.4 Diagnosi

La diagnosi può essere difficile e richiede una complessa diagnostica strumentale e di

laboratorio. Una causa genetica va sospettata in ogni bambino con una sindrome

ipocinetico-rigida non spiegata da farmaci, infezioni o lesioni cerebrali. Raramente le

cause genetiche conducono a una sindrome caratterizzata da solo parkinsonismo;

solitamente il quadro clinico risulta molto complesso (Garcia-Cazorla, 2011). Il seguente

schema mostra l’algoritmo diagnostico del parkinsonismo ad esordio infantile. La Figura

1.4.4.1 mostra come l’associazione con altri segni neurologici diversi dal parkinsonismo

indirizzi verso l’indagine più appropriata da eseguire per porre la diagnosi.

Figura 1.4.4.1: algoritmo diagnostico del parkinsonismo a insorgenza in età infantile

(Garcia-Cazorla et al., 2011)

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Lo schema seguente (Figura 1.4.4.2) si riferisce invece al percorso diagnostico da seguire

nel parkinsonismo ad esordio in tarda infanzia, adolescenza e prima età adulta: vediamo

che in primo luogo va considerata la possibilità di un parkinsonismo secondario ad altri

trattamenti farmacologici. Va verificato poi l’interessamento cerebellare, che può

indirizzare verso specifiche patologie genetiche e, infine, si ricorre alle tecniche di

neuroimaging, in particolare alla RMN.

Figura 1.4.4.2: algoritmo diagnostico del parkinsonismo a insorgenza in età tardo-

infantile, adolescenziale e giovanile (Garcia-Cazorla et al., 2011).

1.5 Tremore

1.5.1 Definizione e caratteristiche cliniche

Il tremore è un’oscillazione ritmica di una parte del corpo che deriva dall’alternanza di

contrazioni sincrone di muscoli antagonisti (Jankovic and Fahn, 1980). La ritmicità è la

caratteristica più utile per la sua identificazione.

Un tremore fisiologico è presente sia nei bambini che negli adulti, ma con un’ampiezza

talmente ridotta e una frequenza talmente alta da non essere visibile in condizioni normali.

In bambini e adulti sani il tremore fisiologico può verificarsi a causa di sensazioni come

paura, ansia, astenia ed eccitazione. Lo stesso può verificarsi in seguito all’assunzione di

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alcuni farmaci come la teofillina, agenti tossici come il mercurio e il bismuto o di sostanze

stimolanti, come tè e caffè (Alvarez, 2001).

Il tremore patologico a riposo è caratteristico del morbo di Parkinson, mentre quello

cinetico è più tipico di una sindrome cerebellare. Come accade per altri disturbi del

movimento, il tremore solitamente scompare nel sonno e, come quello fisiologico, può

essere accentuato da ansia e condizioni di stress. Altre caratteristiche importanti sono la

localizzazione, la frequenza e l’ampiezza (Barone, 2012).

Il tremore del capo è anche chiamato “titubazione” e può essere di affermazione o di

negazione; può interessare anche solamente la mandibola e le labbra, i muscoli periorali, la

lingua o il palato. Il tremore agli arti inferiori si ritrova solitamente nel Parkinson e, anche

se meno frequentemente, nel tremore essenziale. Il tremore ortostatico è invece un tremore

di alta frequenza e di bassa ampiezza, osservabile solamente nella stazione eretta e che

scompare con la deambulazione e la posizione seduta. Il tremore può presentarsi anche

solo durante la scrittura e non durante altri atti motori volontari (tremore primario della

scrittura), è caratterizzato da bassa frequenza e notevole ampiezza ed è probabilmente di

natura distonica (Barone, 2012).

1.5.2 Eziologia e classificazione

Nella patogenesi del tremore sono probabilmente coinvolti due circuiti: quello cortico-

striato-talamo-corticale e quello che coinvolge nucleo rosso, nucleo olivare inferiore e

nucleo dentato (triangolo di Guillain e Mollaret) (Barone, 2012).

Il tremore patologico si classifica in:

tremore a riposo (raro nell’infanzia), che si verifica in assenza di attività muscolare

volontaria e aumenta o decresce col movimento intenzionale;

tremore posturale, che si verifica quando una parte del corpo (ad esempio un

braccio) è mantenuta in una posizione antigravitazionale;

tremore cinetico o intenzionale, che si verifica durante l’esecuzione di movimenti

volontari, che vengono così disturbati. Esso tende ad aumentare quando l’arto

raggiunge il suo target, si parla infatti di “tremore terminale” (Davis and Kunkle ,

1951). Frequentemente è dovuto a disfunzioni cerebellari;

tremore mesencefalico (detto anche tremore del nucleo rosso o di Holmes), che ha

elevata ampiezza e si presenta a riposo, aumentando durante il mantenimento di una

postura e ancora di più durante l’esecuzione di un movimento (Alvarez, 2001).

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Sebbene il tremore possa essere dovuto a danni cerebellari, bisogna considerare che il

tremore non cerebellare nell’infanzia non è affatto raro. In base alle circostanze di

insorgenza, il tremore non cerebellare potrà essere a riposo, posturale o intenzionale. In

base all’eziologia, esso potrà invece essere suddiviso in tremore idiopatico se l’unica

manifestazione presente è il tremore o non c’è una causa riconoscibile, tremore secondario

se non corrisponde ai precedenti requisiti. In base all’evoluzione temporale, il tremore

potrà invece essere temporaneo, quando scompare spontaneamente senza sequele, o

cronico.

Tabella 1.5.2.1: classificazione del tremore non cerebellare (Alvarez, 2001).

Tremore idiopatico

Cronico

o Fisiologico esagerato

o Essenziale

Familiare

Sporadico

o Tremore del mento

Transitorio

o Neonatale

o Attacchi di tremore (simil brivido)

o Essenziale palatale

o Spasmus nutans

Secondario

Parkinsoniano (a volte idiopatico)

Simil essenziale, associato a:

o malattie neuromuscolari

o farmaci

o malattie metaboliche

o endocrinopatie

o altri disturbi

Cefalico

o Sindrome della testa di bambola ciondolante

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1.5.3 Principali forme cliniche

Tremore fisiologico accentuato

Il tremore fisiologico è costituito dall’oscillazione che si verifica nei soggetti normali in

ogni articolazione o muscolo libero di oscillare; non costituisce, ovviamente, un fenomeno

patologico. La sua frequenza varia dagli 8 ai 12 Hz. Un’accentuazione della stimolazione

β-adrenergica (ad esempio da fatica o farmaci β-agonisti) porta alla comparsa di un tremore

fisiologico accentuato che clinicamente può essere difficile da distinguere dal debutto di un

tremore essenziale, da cui differisce per la sua episodicità (http://www.limpe.it/2007/c

orso/relazione%206.pdf).

L’accentuazione del tremore fisiologico può avvenire anche a causa di condizioni

patologiche, ad esempio in caso di tireotossicosi, ipoglicemia, feocromocitoma, abuso di

caffeina, sedativi e oppioidi, interruzione del consumo di alcol o anche in condizioni che

normalmente non lo esacerberebbero (Pavone, 2006).

Tremore essenziale

Il tremore essenziale è considerato il disturbo del movimento più frequente in età adulta.

Nei bambini solitamente si presenta con un tremore posturale o intenzionale ad esordio

insidioso e durata prolungata. La frequenza è tipicamente tra i 5 e i 9 Hz e il decorso è

lentamente progressivo. La distribuzione interessa in maniera preponderante le mani e, in

minor misura, la testa. Così come il tremore fisiologico, il tremore essenziale può essere

aumentato dalla fatica o da stati emozionali e sparisce durante il sonno. Indagando

attentamente la storia familiare, spesso si ritrovano casi di tremore nell’infanzia nei

familiari del paziente (Keller and Dure, 2009). Infatti molti casi sono trasmessi con

ereditarietà autosomica dominante (Critchley, 1949). Approssimativamente il 60% dei

pazienti presenta dei familiari affetti, dato che indica anche che i casi isolati non sono rari

(Rautokorpi et al., 1982; Rajput et al., 1984). La patologia può esordire a qualunque età;

nel 19% dei casi si verifica prima dei 20 anni (Koller et al., 1994). La disabilità risultante

dal tremore essenziale è variabile e solitamente aumenta con la durata del tremore e l’età

del paziente (Baine et al., 1994). La diagnosi differenziale col tremore fisiologico e col

tremore fisiologico accentuato è spesso difficile. Per la diagnosi differenziale col tremore

secondario bisogna indagare sull’esposizione ad agenti che possono causare tremore.

Anche nella malattia di Wilson può verificarsi il tremore, ma questo è più spesso a riposo

(Keller and Dure, 2009). Altre patologie che possono presentare una condizione simile

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sono inoltre la sindrome di Klinefelter, la neuropatia sensoriale e motoria ereditaria

(HMSN) e l’idrocefalo cronico (Alvarez, 2001).

Tremore del mento

Il tremore del mento è un raro disturbo autosomico dominante spesso considerato una

variante del tremore essenziale. Il rapporto maschi:femmine è di 1,3:1 (Destee et al., 1997).

Si tratta di un tremore intermittente e involontario, facilitato da tensione emozionale e che

coinvolge i muscoli del mento, determinando il tremore quando il paziente comincia a

piangere. L’episodio può durare diversi minuti (Danek, 1993). Compare generalmente

poco dopo la nascita o dopo qualche anno. Può esacerbarsi spontaneamente, ma più spesso

è precipitato da stimoli emozionali. La frequenza degli episodi decresce negli anni. È una

condizione benigna, ma può interferire con azioni come parlare e bere (Soland et al., 1996).

La condizione è stata inoltre riportata in associazione con disturbi del sonno (Blaw et al.,

1989). La diagnosi differenziale si fa principalmente col mioclono epilettico focale

peribuccale. Nella maggior parte dei casi non sono necessari trattamenti (Alvarez, 2001).

Tremore neonatale

Il tremore neonatale è presente in circa la metà dei neonati sani nati a termine durante il

primo giorno di vita, soprattutto quando il neonato piange o è eccitato (Levene et al., 1988;

Parket et al., 1990). È un particolare tremore ad alta frequenza e bassa ampiezza che

coinvolge il mento e le estremità. Questo tremore può presentarsi anche in neonati con

encefalopatia ipossico-ischemica, ipocalcemia, ipoglicemia, in seguito all’interruzione di

alcuni farmaci (Volpe, 1995) e in bambini con difetti cardiaci congeniti prima di essere

operati (Limperopoulos et al., 1999). È inoltre presente nel 75% dei nati prematuri da

madri preeclamptiche (Ozkan et al., 1999). Anche l’uso materno di marijuana e cocaina

durante la gestazione può essere responsabile del tremore neonatale (Parker et al., 1990).

La prognosi per i bambini sani è ottima, con completa scomparsa del tremore durante il

periodo neonatale (Uddin and Rodnitzky, 2003). A volte il tremore può riapparire dopo un

intervallo libero di sei mesi e scomparire definitivamente entro il primo anno di vita

(Shuper et al., 1991). La diagnosi differenziale va fatta con le crisi epilettiche, soprattutto

quando gli episodi di tremore si verificano dopo un intervallo libero.

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Tremore palatale essenziale

Il tremore palatale essenziale è un raro disturbo del movimento caratterizzato da ritmici

movimenti di palato molle, faringe e laringe che a volte risultano in un click udibile anche

dal paziente (Alvarez, 2001). Ne esistono due sottotipi: essenziale e sintomatico. Il tremore

palatale sintomatico è caratterizzato da una lesione delle connessioni tra il nucleo dentato,

il nucleo rosso e il complesso olivare inferiore. Al contrario, la fisiopatologia del tremore

palatale essenziale non è ben conosciuta. Esso è caratterizzato da tinnito, sintomo che non

è invece presente nel tremore palatale essenziale, e assenza di altri deficit neurologici

(Carman et al., 2013). La forma sintomatica è presente quasi esclusivamente negli adulti

(Alvarez, 2001). Al contrario, la forma essenziale si verifica principalmente nei bambini

tra i 6 e i 10 anni e in alcuni casi può essere familiare (Klein et al., 1998). I movimenti

ritmici che interessano il palato possono a volte coinvolgere anche i muscoli sublinguali e

delle labbra. Il tremore in genere scompare durante il sonno, ma in alcuni casi può

persistere. È possibile un certo controllo volontario sia nel provocare che nel ridurre il

tremore, anche se entro certi limiti (Alvarez, 2001). Generalmente il disturbo persiste per

molti mesi o anni (Jacobs et al., 1981).

Spasmus nutans

Lo spasmus nutans è un disturbo autolimitante dell’infanzia caratterizzato da un lento

tremore cefalico, solitamente di negazione, associato a un nistagmo generalmente (ma non

sempre) orizzontale, che può essere bilaterale e asimmetrico, ma che è spesso monoculare

(Antony et al., 1980), rapido e di piccola ampiezza. Sono frequentemente presenti anche

anomalie posturali del capo e strabismo (Alvarez, 2001). L’età di insorgenza è tra i 4 e i 12

mesi ed è eccezionale dopo il terzo anno di vita. Il disturbo solitamente scompare dopo

qualche mese, ma in alcuni casi può durare per anni. L’eziologia è ignota, ma sono stati

riportati in letteratura casi di familiarità (Doummar et al., 1998).

Tremore e idrocefalo

Nei bambini, il tremore (insieme a un aumento della circonferenza cranica) può essere

l’unica manifestazione di un idrocefalo apparentemente arrestato. Si riconoscono due

forme: in una le estremità presentano un tremore molto simile al tremore essenziale,

nell’altra il tremore è assiale con conseguente tremore cefalico più frequentemente di tipo

positivo e lento, anche noto come “sindrome della testa di bambola ciondolante” (Benton

et al., 1966). Il tremore può essere controllato volontariamente dal paziente per qualche

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minuto (Pollack et al., 1995) e scompare durante il sonno. L’età di esordio è nella maggior

parte dei casi prima dei 10 anni (Mussell et al., 1997) ed è sempre presente una dilatazione

del terzo ventricolo, sebbene le cause possano essere variabili. La causa del tremore non è

ancora chiara.

Tremore secondario al deficit di vitamina B12 (cobalamina)

La vitamina B12 si trova negli alimenti di origine animale e non può essere sintetizzata

dall’uomo. La più frequente causa di un suo deficit è la scarsa assunzione, sebbene possa

essere dovuto ad altri fattori come un malassorbimento selettivo di vitamina B12. Quello

che ne risulta è lo sviluppo di un’anemia megaloblastica, ma possono svilupparsi anche

diversi segni neurologici, come irritabilità, apatia, ritardo dello sviluppo, ipotonia, atassia,

tremore e persino coma (Incecik et al., 2010). Per quanto riguarda il tremore, esso è

autolimitante (4-6 settimane) e a volte si associa al mioclono, può essere la prima

manifestazione o comparire dopo l’inizio della terapia sostitutiva (Alvarez, 2001).

L’insieme di tremore e mioclono può portare all’erronea diagnosi di epilessia. La RMN di

questi bambini mostra un’evidente atrofia cerebrale e, a volte, demielinizzazione (Grattan-

Smith et al., 1997). La macrocitosi è sempre presente e spesso è presente anche l’anemia.

Sono inoltre presenti iperglicinemia e iperglicinuria risultanti dal difetto metabolico, che

sono peraltro di grande importanza diagnostica e possono giocare un ruolo nella patogenesi

(Alvarez, 2001).

Tremore nel kwashiorkor

Nel kwashiorkor può essere presente un fine tremore precipitato da situazioni stressanti

come diarrea, polmonite o pertosse. In alcuni casi, il tremore si verifica da molti giorni fino

ad alcune settimane dopo l’inizio della rinutrizione (Kahn and Falcke, 1956). Tale tremore

è grossolano, di tipo parkinsoniano e può essere molto intenso. Interessa solitamente le

estremità superiori ma può verificarsi anche in altre regioni corporee (Alvarez, 2001).

Tremore nel deficit di tetraidrobiopteridina (THB4)

Il deficit di THB4 determina l’iperfenilalaninemia. I segni neurologici includono

tipicamente ritardo dello sviluppo, ipotonia o spasticità, distonia ed epilessia, ma sono stati

riportati casi di bambini che presentavano un grossolano tremore (Butler et al., 1981) che

migliora drasticamente in seguito al trattamento con L-dopa (Factor et al., 1991).

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Tremore indotto da farmaci

Il tremore può essere causato dall’assunzione di diversi farmaci, ad esempio α-2 agonisti,

acido valproico, neurolettici e antidepressivi triciclici.

Tremore psicogeno

Il tremore psicogeno è la manifestazione di un substrato psichico ed è sovente di difficile

diagnosi. Può mostrarsi come un misto di tremori a riposo, posturali e d’azione.

1.5.4 Diagnosi

La diagnosi di tremore nei bambini è spesso complessa. Essa si basa principalmente sulle

informazioni cliniche e sull’esame obiettivo. Sebbene ci siano molte differenze tra le varie

sindromi, le caratteristiche intrinseche del tremore solitamente forniscono importanti indizi

diagnostici. Il primo passo è classificare il tremore in base alle condizioni attivanti (a

riposo, cinetico, posturale), alla distribuzione topografica e alla frequenza (Crawford and

Zimmerman, 2011). Eventualmente vengono anche proposti dei test per verificare, ad

esempio, se il tremore è cinetico o posturale. Se il tremore ha avuto un’insorgenza

improvvisa, bisogna indagare su eventuali farmaci, tossine o sostanze stimolanti assunte

dal paziente e prendere in considerazione la causa psicogena. Una storia familiare positiva

può indurre a considerare una componente genetica, come spesso succede per il tremore

essenziale. Bisogna poi considerare l’eventuale presenza di altri segni associati, come

distonia, segni cerebellari (per esempio atassia e incoordinazione), segni piramidali e segni

di patologie sistemiche (ad esempio di tireotossicosi) (Crawford and Zimmerman, 2011).

Informazioni importanti possono derivare dalla poli-EMG, che viene utilizzata per

confermare la presenza di attività tremorigena e differenziarla da altri movimenti

involontari (ad esempio, mioclonie ritmiche), ma anche per precisarne le caratteristiche e

l’estensione a più distretti corporei (Nardocci, 2013). La polimiografia è anche importante

nel definire se si tratta di tremore isolato o di un tremore che fa parte di una sintomatologia

più complessa, per esempio di un tremore distonico, in quanto ciò condiziona fortemente la

strategia terapeutica (Deuschl et al., 1996; Hess and Pullman, 2012). Il tremore nei

bambini può essere potenzialmente serio, per questo le indagini diagnostiche devono essere

molto scrupolose (Crawford and Zimmerman, 2011).

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1.6 Mioclono

1.6.1 Definizione e caratteristiche cliniche

La mioclonia è una contrazione muscolare brusca, breve, involontaria, improvvisa, in

grado o meno di generare il movimento di un segmento corporeo. Può interessare una parte

di muscolo, un muscolo o un gruppo muscolare. Mette simultaneamente in azione più unità

motorie (in questo differisce dalla fascicolazione, che è una scarica spontanea di una unità

motoria e dalla miochimia, espressione dell’attività ripetitiva di un’unità motoria)

(Cambier, 2008).

Nella maggior parte dei casi, il mioclono deriva da una brusca contrazione muscolare, ma

può essere costituito anche da un fenomeno di breve decontrazione: in questo caso si

parlerà di mioclono negativo (anche chiamato asterixis). Di fatto, una breve inibizione

della contrazione segue molto spesso la scossa muscolare, per cui il fenomeno motorio

risulta nel suo complesso positivo/negativo (Nardocci, 2013).

Le contrazioni miocloniche possono essere isolate o ripetitive. In base al pattern di

ripetizione, possono presentarsi in modo ritmico o aritmico, possono essere spontanee,

senza alcun fattore precipitante, o precipitate da alcuni stimoli (mioclono riflesso), come

un rumore improvviso, una luce o un movimento volontario. L’intensità del fenomeno è

variabile, passando da contrazioni massive generalizzate che producono ampi movimenti e

cadute, a forme localizzate e di minima entità che non portano a variazione della posizione

del segmento corporeo interessato. Il mioclono può presentarsi anche solo in circostanze

particolari, per esempio quando il paziente è a riposo o quando sta compiendo dei gesti

delicati. Se aritmico, può essere confuso con un tic, ma non è parzialmente controllabile

dalla volontà come quest’ultimo; il mioclono ritmico deve essere invece differenziato dal

tremore. In alcuni casi di distonia, qualora il movimento sia particolarmente rapido, può

essere confuso con un movimento mioclonico (Alvarez, 2001) .

Il mioclono caratterizza molte malattie neurologiche e può essere sintomo precoce di forme

sia progressive sia stazionarie; spesso si associa ad altri sintomi, raramente è sintomo

isolato di malattia.

1.6.2 Eziologia e Classificazione

La classificazione su basi neurofisiologiche, che include la probabile sede di origine, è

molto utile nell’orientare la diagnosi e prevede quattro categorie: il mioclono corticale è

spesso ritmico, ed è riscontrabile nelle epilessie miocloniche progressive, nella malattia

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celiaca, nella m. di Creutzfeldt-Jakob, nella m. di Alzheimer, nella m. di Huntington, nella

degenerazione dentato-rubro-pallido-luysiana (Barone, 2012); il mioclono sottocorticale, al

pari delle mioclonie corticali, ha spesso presentazione infantile (Nardocci, 2013). È in

genere generalizzato e stimolo-sensitivo ed è causato da ipossia e disfunzioni metaboliche;

il mioclono spinale può essere ritmico, è causato da sclerosi multipla, siringomielia, traumi,

infezioni, ischemia; il mioclono periferico può essere esemplificato con lo spasmo

emifacciale, che consegue ad una lesione del nervo faciale (Barone, 2012). Questa

classificazione è schematizzata nella tabella 1.6.2.1.

Tabella 1.6.2.1: classificazione del mioclono dal punto di vista neurofisiologico

(Nardocci, 2013)

Corticale Focale

Multifocale

Generalizzato

Sottocorticale Talamico

Del tronco

Reticolare

Hyperekplexia (startle)

Palatale

Spinale Segmentario

Propriospinale

Periferico

La classificazione eziologica, invece, differenza quattro tipi di mioclono: un mioclono

fisiologico, come il singhiozzo e le mioclonie ipniche fisiologiche (contrazioni sporadiche,

asincrone e asimmetriche coinvolgenti soprattutto i muscoli della faccia e delle mani

durante la fase REM (Fahn et al., 1986)), un mioclono essenziale, che a sua volta può

essere sporadico o familiare; un mioclono epilettico e un mioclono sintomatico, cioè

secondario a varie patologie come disturbi metabolici, malattie neurodegenerative, malattie

virali, malattie da prioni, traumi, agenti tossici, tumori, farmaci (Tabella 1.6.2.2).

Un’altra classificazione possibile si basa sulla presenza o meno di anomalie parossistiche

associate temporalmente con gli spasmi clinici e le alterazioni elettromiografiche. Secondo

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questa classificazione avremo un mioclono epilettico, e un mioclono non epilettico

(Alvarez, 2001).

Tabella 1.6.2.2: classificazione su base eziologica del mioclono (Nardocci, 2013)

Mioclono

Fisiologico

Mioclonie ipniche

Singhiozzo

Mioclono Essenziale Sporadico

Familiare

Mioclono Epilettico Nelle forme generalizzate idiopatiche

In sindromi ed encefalopatie epilettiche

Nelle mioclonoepilessie progressive

Mioclono Sintomatico Metabolico (turbe epatiche, renali, elettrolitiche) o

tossico

Post-anossico

In sindromi paraneoplastiche (opsoclono-mioclono)

Infezioni

Demenze (soprattutto sindrome di Creutzfeldt-Jacob)

Malattie da accumulo

Malattie mitocondriali

Varie malattie neurodegenerative

Malattia dei gangli della base

Malattie degenerative spino-cerebellari

1.6.3 Principali forme cliniche

Mioclono ipnico neonatale benigno

Primariamente descritto da Coulter e Allen nel 1982, è un disturbo caratterizzato da lievi

movimenti mioclonici alle estremità che sopraggiungono esclusivamente durante il sonno e

non è correlato all’epilessia. La stretta correlazione al sonno può indicare un’associazione

con le stesse strutture o connessioni neurologiche (http://emedicine.medscape.com/article/

1355567-overview).

Nella maggior parte dei casi, i movimenti sono predominanti negli arti superiori, ma

possono raramente verificarsi anche al volto, al torace e all’addome. Tali movimenti si

verificano esclusivamente nella fase non REM del sonno in neonati sani ed esordisce entro

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i primi 15 giorni di vita, con risoluzione spontaneamente entro tre o quattro mesi (Di

Capua et al, 1993).

Mioclono benigno della prima infanzia

Il mioclono benigno della prima infanzia è stato descritto per la prima volta nel 1976 da

Natalio Fejerman in 10 pazienti dell’America Latina (viene anche chiamata infatti

Sindrome di Fejerman). L’esordio si verifica tra il primo e il dodicesimo mese di vita, con

un picco tra il terzo e il nono mese nel 90% dei casi (Alvarez, 2001). Le manifestazioni

motorie includono movimenti mioclonici, spasmi, brevi contrazioni toniche e tremori

(Dalla Bernardina, 2009). L’esame neurologico è normale e l’EEG durante il sonno e la

veglia non mostra anomalie (Pachatz et al., 1999). Lo sviluppo della maggior parte dei

bambini colpiti è normale. La diagnosi differenziale con la Sindrome di West può essere

difficile.

Mioclono essenziale

Il mioclono essenziale si presenta con scosse aritmiche e diffuse che in genere coinvolgono

il tronco e la parte prossimale degli arti e si verifica in assenza di epilessia o di altre

anormalità nervose e cerebrali. Può essere sporadico, ma può insorgere anche in più

membri della stessa famiglia, suggerendo che il disturbo possa essere ereditario. Il

mioclono essenziale tende ad essere stabile senza incrementi di severità nel tempo. In

alcune famiglie c’è un’associazione tra mioclono essenziale e altri disturbi, come il

tremore essenziale o alcune forme di distonia (distonia-mioclono). Un’altra forma di

tremore essenziale può essere un tipo di epilessia senza cause note (http://www.ninds.nih

.gov/disorders/myoclonus/detail_myoclonus.htm).

Iperriflessia

Si tratta di un raro disturbo spesso erroneamente diagnosticato come epilessia. La

trasmissione è per lo più autosomica dominante (Andermann et al., 1980), anche se

esistono dei casi a trasmissione autosomica recessiva e dei casi sporadici. È caratterizzato

da un’esagerata risposta a stimoli tattili, visivi, uditivi o ad altri stimoli sensoriali. La

diagnosi è essenzialmente clinica e la patologia ha un decorso variabile poiché, sebbene

persista per tutta la vita, i sintomi solitamente migliorano dopo il primo anno di vita e

risultano stazionari in età adulta (Alvarez, 2001).

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Sindrome mioclono-opistotono

La sindrome mioclono-opistotono (OMS, opsoclonus-myoclonus syndrome) è un rara

sindrome caratterizzata da opistotono, mioclono e atassia, solitamente accompagnati da

anomalie comportamentali, come irritabilità o disturbi del sonno (Hero and Schleiermacher,

2013). L’esordio è solitamente nel secondo anno di vita (Pike, 2013). Negli adulti è stata

riportata in associazione con differenti tipi di neoplasie, mentre nei bambini la sindrome

può essere associata a neuroblastomi. Si è ipotizzato che la sindrome sia di origine

autoimmunitaria (Hero and Schleiermacher, 2013). Oltre alla causa paraneoplastica ne

sono state evidenziate altre, come ad esempio quelle infettive (post e paraencefalitiche). In

alcuni casi non si riesce ad individuare l’eziologia: questi casi probabilmente derivano da

un piccolo neuroblastoma non identificato o dalla recidiva di un neuroblastoma

precedentemente regredito. L’outcome neurologico è poco favorevole: le sequele

neurologiche interessano il 70-80% dei pazienti e includono la sfera motoria, il linguaggio,

l’andatura e la sfera cognitiva (Krug et al., 2010).

Non esistono dei test diagnostici e anche gli esami di neuroimaging risultano normali. La

diagnosi è pertanto clinica e spesso è confusa con l’atassia cerebellare acuta (Pike, 2013).

Il trattamento di questa sindrome non è standardizzato. Sono stati provati diversi farmaci

per migliorare l’outcome neurologico, tra i quali steroidi, ciclofosfamide,

immunoglobuline endovena e, più recentemente, il rituximab, che hanno dimostrato effetti

collaterali ed efficacia variabile (Krug et al., 2010).

Mioclono epilettico

I movimenti mioclonici sono una componente di molte forme di crisi epilettiche, inclusi gli

attacchi tonico-clonici. Solo quando il mioclono è la manifestazione predominante di

un’epilessia si può però utilizzare il termine di epilessia mioclonica (Alvarez, 2001).

1.6.4 Diagnosi

Nell’approccio al paziente con mioclono bisogna indagare innanzi tutto la storia clinica,

ponendo particolare attenzione all’età di esordio e alle caratteristiche del mioclono (acuto o

progressivo), ai fattori precipitanti o allevianti, alla storia familiare e ai sintomi associati,

come l’epilessia, l’atassia e il declino cognitivo. È inoltre importante sapere se la

sintomatologia è statica o in progressione.

All’esame del paziente, bisogna osservare se il mioclono appare a riposo, quando il

paziente assume una particolare postura o durante un’azione e osservare la distribuzione,

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se è localizzato o generalizzato. Il passo successivo è osservare la reazione agli stimoli

sensitivi per vedere se essi sono in grado di fungere da trigger per il mioclono. Infine, è

importante considerare altri segni neurologici, in particolare demenza, segni cerebellari,

anomalie dei movimenti oculari ed eventuali altri segni di malattia sistemica.

Oltre alle analisi laboratoristiche di routine, vanno poi eseguiti gli esami di neuroimaging e

l’EEG. Test addizionali dipenderanno dalla presentazione clinica e possono includere

l’esame del fluido spinale, test per individuare anticorpi paraneoplastici, test genetici o test

di attività enzimatica.

L’elettrofisiologia è molto utile per distinguere tra mioclono di origine corticale,

sottocorticale o spinale/segmentale. La polimiografia è il primo step e include la

registrazione di durata, distribuzione e risposta agli stimoli del movimento mioclonico.

Successive indagini includono la registrazione combinata di EEG ed EMG. La semplice

registrazione elettromiografia dei movimenti mioclonici può aiutare ad escludere un

mioclono di origine psicogena (Kojovic et al., 2011)

1.7 Tic

1.7.1 Definizione e caratteristiche cliniche

I tic sono movimenti involontari che interessano gruppi di muscoli sinergici in una o più

parti del corpo. Sono movimenti bruschi, sovente stereotipati e iterativi, che si ripetono al

di fuori di un appropriato contesto. Ricordano, in maniera caricaturale, certe attività

mimiche e gestuali della vita relazionale. Tendono a scomparire durante il sonno e possono

essere soppressi volontariamente per un breve periodo, per ripresentarsi poi in modo

convulsivo (Cambier et al., 2008). Il picco di maggiore intensità dei sintomi solitamente è

in età preadolescenziale (intorno ai 10 anni). Verso la fine dell’adolescenza, i tic vanno

incontro a remissione nella maggior parte dei soggetti; in alcuni casi, tuttavia, la

sintomatologia persiste in età adulta e raramente può cronicizzarsi in una forma altamente

invalidante (Nardocci, 2013).

I tic subiscono frequenti variazioni nel tempo, potendo un determinato tic manifestarsi per

un periodo e poi scomparire. È frequente inoltre il cambiamento dello spettro dei tic

espressi nel corso del disturbo (Nardocci, 2013). I sintomi ticcosi sono tipicamente più

evidenti nei periodi di maggiore stress emotivo, anche se per ciascun paziente esistono

specifiche situazioni che possono aumentare o diminuire la frequenza dei tic (Alvarez,

2001). I tic non sono precipitati da particolari stimoli, come succede per alcune forme di

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mioclono. Sebbene tendano a scomparire durante il sonno, in alcuni pazienti questo non

accade e continuano a presentare i tic in particolari fasi del sonno (Glaze et al., 1983).

Un fenomeno interessante è l’associazione dei tic con “sensazioni premonitorie” (sensory

urges): fino al 90% dei soggetti riferiscono, infatti, particolari stati mentali associati ai tic,

che vanno da un semplice stato di tensione interna o urgenza, fino a vere e proprie

sensazioni che precedono il sintomo (sensazioni di caldo, freddo, pressione, dolore), che

sembrano essere temporaneamente alleviate dall’esecuzione del tic (Nardocci, 2013).

1.7.2 Eziologia e Classificazione

La particolarità dei tic è che essi sono una complessa combinazione di manifestazioni

volontarie e involontarie, psichiche e puramente motorie. Inoltre, colpiscono per la loro

stretta associazione con problemi psicopatologici e per la loro alta prevalenza nella

popolazione generale. Mentre un tempo si pensava che l’origine fosse psicogena, è oggi

chiaro che alcuni tipi di tic hanno origine ereditaria, sebbene i dettagli di trasmissione

genetica siano ancora indeterminati. La patofisiologia dei tic è quindi in gran parte ancora

sconosciuta, tuttavia l’efficacia terapeutica dei neurolettici porta a sospettare che alla base

possa esserci un disturbo della neurotrasmissione dopaminergica (Alvarez, 2001). Uno

studio condotto su gemelli con la sindrome di Tourette da Wolf et al. nel 1996 ha suggerito

che alla base della sindrome ci sia un’anormalità di una via dopaminergica a livello del

nucleo caudato e che il numero di recettori D2 della dopamina correli col grado di severità

clinica della sindrome.

Per quanto riguarda la classificazione, i tic possono essere suddivisi in motori e vocali ed

in semplici e complessi:

tic motori semplici, come ammiccare, torcere il collo, scrollare le spalle, fare

smorfie con la faccia, sbattere i piedi;

tic motori complessi, come saltare, toccare qualcosa, baciare, scalciare, mangiarsi le

unghie (onicofagia), torcersi i capelli (tricotillomania), ripetere gesti (ecoprassia) o

compiere gesti osceni (coproprassia);

tic vocali semplici, in cui c’è produzione di suoni ma non di parole, come schiarirsi

la gola, tirare su con il naso, grugnire, mugolare, tossire, fischiare;

tic vocali complessi come pronunciare sillabe, parole, frasi non volute, ripetere

propri suoni o parole (palilalia) o parole pronunciate dall’interlocutore (ecolalia),

usare compulsivamente parole oscene (coprolalia) (Barone, 2012).

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I tic transitori spesso si presentano in bambini, più frequentemente di sesso maschile, per

poi scomparire entro un anno e, in genere, coinvolgono i muscoli orbicolari; i tic cronici

possono essere motori o vocali e comprendono la Sindrome di Gilles de la Tourette. I tic

cronici solitamente esordiscono intorno ai 5-6 anni con la comparsa di tic motori semplici a

carico del distretto facciale, cui può seguire la comparsa di tic fonici.

Secondo la classificazione del DSM V, i disturbi da tic comprendono quattro categorie

diagnostiche distinte: il Disturbo di Tourette, il Disturbo cronico da tic motorio o vocale, il

Disturbo da Tic provvisorio e il Disturbo da Tic non altrimenti specificato (NAS).

1.7.3 Principali forme cliniche

Sindrome di Gilles de la Tourette (SGT)

La SGT è una disturbo del neurosviluppo caratterizzata da tic multipli motori e vocali che

appaiono nell’infanzia e spesso si accompagnano a sintomi comportamentali (Cavanna and

Seri, 2013). È caratterizzata da un esordio dei tic entro i 18 anni, generalmente verso i 5-6

e presenza contemporanea di tic cronici motori e vocali. Essa è più frequente nel sesso

maschile, con un rapporto di 4:1 (Barone, 2012). La presenza di almeno due tic motori e un

tic vocale sono considerate le caratteristiche chiave della SGT (Cavanna and Seri, 2013).

Tali tic si presentano per almeno un anno e i tic motori precedono quelli verbali. I tic

vocali più comuni sono tirare su con il naso, grugnire e schiarirsi la gola, ma possono

essere presenti tic vocali complessi come ecolalia e coprolalia. La coprolalia e la

coproprassia sono entrambi rari. Esistono, inoltre, aree di sovrapposizione con altri disturbi

del movimento (corea, distonia, mioclono) o con altri comportamenti motori (manierismi,

stereotipie). I pazienti con tic/SGT presentano frequentemente una o più comorbidità con

disturbi come il Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività (ADHD), il Disturbo

Ossessivo Compulsivo (DOC), i disturbi d’ansia, il Disturbo della Condotta,

comportamenti dirompenti quali Self-Injurious Behaviours (SIBs) e rage attacks (Nardocci,

2013).

La malattia ha sicuramente una base genetica, anche se geni rilevanti non sono stati ancora

identificati. C’è probabilmente un’anomalia a livello dei nuclei della base che conduce ad

ipersensività dei recettori dopaminergici. Nella SGT sono presenti tic motori e tic vocali,

semplici e complessi, ed un tipo di tic può scomparire nel corso della vita per essere

sostituito da altri. La tipologia e la varietà dei sintomi può essere molto variabile da

paziente a paziente e la sintomatologia ha tipicamente un decorso fluttuante, con frequente

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attenuazione dei tic dopo l’adolescenza. Possono essere presenti anche tic sensoriali che

talora precedono quelli motori e vocali, ma talora sono isolati (Barone, 2012).

1.7.4 Diagnosi

I disturbi da tic possono essere diagnosticati sia secondo i criteri dell’ICD10, sia seguendo

la classificazione proposta dal DSM-V. Nella maggior parte dei casi, per la diagnosi è

sufficiente un’anamnesi dettagliata, un esame neurologico e una valutazione

neuropsichiatrica (Cath et al., 2011). Nella diagnosi e nel follow up, è di ausilio la Yale

Global Tic Severity Scale, che fornisce un indice della gravità del disturbo (vedi Capitolo

III, paragrafo 3.2.8). La diagnosi è comunque spesso retrospettiva, poiché il clinico non

può predire con certezza quale bambino mostrerà una progressione dei sintomi e quale avrà

un decorso auto-limitante (Saccomani et al., 2004). Può essere necessario effettuare

ulteriori indagini qualora le manifestazioni siano atipiche o nel sospetto di tic secondari a

un’eziologia organica. In rari casi, infatti, i tic possono essere il sintomo di patologie quali

la malattia di Wilson, la Corea di Huntington, la neuroacantocitosi, oppure possono

dipendere dall’assunzione di farmaci o dall’abuso di sostanze (carbamazepina, fenitoina,

lamotrigina, amfetmina, cocaina) (Nardocci, 2013). Il neuroimaging di questi pazienti

risulta negativo. Interessante è notare che è stata trovata una correlazione tra complicanze

durante la gravidanza, come severa nausea e vomito nel primo trimestre di gestazione, e

sviluppo dei tic nei figli di madri con tali complicanze. Un’associazione è stata trovata

anche tra anossia neonatale e sindrome di Tourette. Pertanto, si è ipotizzata una relazione

tra fattori genetici e ambientali nello sviluppo del disturbo da tic (Saccomani et al., 2004).

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CAPITOLO II

IL TRATTAMENTO DEI DISTURBI DEL MOVIMENTO

2.1 Trattamento della distonia

Ci sono diverse opzioni terapeutiche per la distonia. L’introduzione della tossina botulinica

nella pratica clinica negli anni ’80 ha rivoluzionato il trattamento della distonia, tanto che

oggi è il trattamento di prima scelta in molti casi di distonia focale. Inizialmente fu

approvata la tossina botulinica A (BOTOX) per il trattamento dei pazienti con strabismo,

blefarospasmo e altre distonie facciali, incluso lo spasmo emifacciale. Successivamente, il

Botox e la tossina botulinica B (Neurobloc o Myobloc) fu approvata per il trattamento

della distonia cervicale (Jankovic, 2006). La tossina botulinica è usata anche in molte altre

distonie focali, come nella distonia oro-mandibolare, nel crampo dello scrivano, nella

distonia focale dell’arto superiore e nella distonia degli adduttori laringei. Minori livelli di

evidenza sono stati rilevati per la distonia degli arti inferiori (Albanese et al., 2011). Essa

agisce bloccando il rilascio di acetilcolina a livello delle giunzioni neuromuscolari,

causando una temporanea paralisi muscolare (Jankovic, 2006). Molti studi clinici hanno

dimostrato che la tossina botulinica porta a un significativo aumento della qualità di vita

nei pazienti distonici (Jankovic et al., 2004). Il rischio di resistenza terapeutica, dovuto allo

sviluppo di anticorpi antitossina, si è inoltre notevolmente ridotto con le nuove

formulazioni (Jankovic, 2006). In studi osservazionali a lungo termine effettuati su pazienti

in terapia con tossina botulinica e affetti da diversi tipi di distonia, si è visto che non si

verificava una perdita di efficacia nel tempo e il principale effetto collaterale consisteva in

una debolezza muscolare nei pressi dell’area di iniezione. Uno studio di meta-analisi

effettuato su bambini affetti da Paralisi Cerebrale ha individuato che gli eventi avversi

sono più comuni tra i pazienti affetti da Paralisi Cerebrali rispetto a coloro affetti da altre

condizioni. Occasionali episodi di sintomi assimilabili al botulismo sono stati riportati in

pazienti sia pediatrici che adulti trattati con la tossina (Albanese et al., 2011).

Per quanto riguarda il trattamento farmacologico, il primo farmaco che viene

somministrato è generalmente la L-dopa, per escludere un’eventuale forma dopa-

responsiva (Albanese et al., 2007). In caso di forme non responsive alla dopa, si possono

somministrare anticolinergici, eventualmente associabili ad un antagonista dopaminergico.

La tetrabenazina e la reserpina possono essere utili per la terapia della distonia primaria e

secondaria (Jankovic, 2006). Molti e differenti farmaci a meccanismo dopamino-

antagonista sono stati usati in pazienti distonici o ipercinetici con differente eziologia.

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Aloperidolo, pimozide e numerose fenotiazine sono esempi di farmaci ad azione bloccante

a livello del recettore dopaminergico post-sinaptico; la tetrabenazina ha un meccanismo

prevalentemente presinaptico, simile alla reserpina. I farmaci dopamino-antagonisti

trovano la loro prevalente indicazione nei casi più gravi, dove può essere necessaria anche

la combinazione di più farmaci al fine di utilizzare posologie più ridotte; questo è

particolarmente importante per la tetrabenazina, che presenta molti effetti collaterali (Cioni,

1996). Tra gli effetti collaterali ci sono sedazione, cambiamenti comportamentali,

depressione, peggioramento nei movimenti, nausea e parkinsonismo (Jain et al., 2006).

Nei casi di distonia grave si può ricorrere al cocktail di Marsden, che comprende un

anticolinergico, un bloccante dopaminergico e un depletore dopaminergico (Marsden,

1984). Un’altra possibilità è il baclofen per os alla dose di 5 mg/die in due

somministrazioni, con aumento graduale fino a un massimo di 30 mg nei bambini e 60 mg

negli adolescenti (Edgar, 2003). Altri farmaci che possono essere utilizzati sono ad

esempio i rilassanti muscolari come le benzodiazepine, soprattutto in associazione ai

farmaci anticolinergici, in quei pazienti in cui la risposta è insoddisfacente (Jankovic,

2006).

Per quanto riguarda lo stato distonico, benzhexol, tetrabenazina e pimozide o alloperidolo

dovrebbero essere provati per primi; in caso di fallimento, possono essere usati baclofen,

anticonvulsivanti e levodopa. Il baclofen intratecale può essere un’ulteriore opzione.

Anche l’iniezione locale di tossina botulinica in muscoli selezionati può essere di beneficio.

Infine, la chirurgia stereotattica o l’impianto di stimolazione talamica o pallidale possono

essere prese in considerazione nelle forme più resistenti. La prognosi è riservata e dipende

in parte dall’eziologia sottostante. In ogni caso, la maggior parte dei pazienti ritorna al

precedente quadro distonico e alcuni recuperano completamente (Manji et al., 1998).

Oltre alla tossina e al trattamento farmacologico, un’altra possibilità è la Deep Brain

Stimulation. La stimolazione elettrica a lungo termine del globus pallidus interno è

attualmente una valida strategia terapeutica per molti tipi di distonia, in particolare in

pazienti con distonia primaria generalizzata o segmentale, con distonia cervicale e in

pazienti che non ricevono sufficiente beneficio con approcci più conservativi. Tale

trattamento non è tuttavia scevro da effetti avversi, tra cui il più frequente è la disartria

(Albanese et al., 2011).

La somministrazione di baclofen per via intratecale (intrathecal baclofen therapy) consente

un’infusione continua e di raggiungere l’effetto terapeutico con dosi più basse e minori

effetti collaterali rispetto a quella per os (Albright and Ferson, 2006).

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Nella Figura 2.1 è rappresentato uno schema riassuntivo delle principali strategie

terapeutiche (Jankovic, 2006).

Figura 2.1: schema riassuntivo delle principali strategie terapeutiche nella distonia

2.2 Trattamento di corea e ballismo

Sia la corea che il ballismo sono considerati dei disturbi correlati ad un’aumentata attività

dopaminergica, per questo motivo il trattamento è generalmente diretto a compensare tale

iperattività. I farmaci più frequentemente utilizzati sono le fenotiazine, come la

clorpromazina, o i butirrofenoni, come l’aloperidolo. Altri farmaci come la carbamazepina

e il valproato sono stati utilizzati talvolta in passato. In letteratura sono inoltre riportati

benefici in seguito a trattamento farmacologico con reserpina. In casi cronici intrattabili

con terapia farmacologica, la pallidotomia può essere utile (Alvarez, 2001).

Trattamento della corea benigna familiare: non esiste un trattamento efficace in modo

definitivo, sebbene vi siano alcune segnalazioni sull’efficacia di aloperidolo,

clorpromazina, prednisone, fenobarbital e diazepam (Nardocci, 2013). In alcuni pazienti in

trattamento con levodopa sono stati riportati dei significativi miglioramenti dei sintomi

(Fons et al., 2011).

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Trattamento della corea nel morbo di Huntington: il trattamento di questa forma è al

momento solo sintomatico e si basa sui neurolettici e sulla tetrabenazina, che permettono di

controllare i movimenti coreici (Cambier, 2008).

Trattamento della Corea di Sydenham: è rappresentato da farmaci sintomatici e dalla

profilassi della malattia reumatica. Secondo Cardoso (2008) la corea reumatica va incontro

a remissione spontanea in circa 9 mesi nel 50% dei casi. Il trattamento di prima scelta in

letteratura è l’acido valproico e i neurolettici -rappresentati da dopaminoagonisti,

aloperidolo e pimozide- sono farmaci di seconda scelta. Sono usati inoltre i corticosteroidi

come il prednisone, che però non protegge dalla remissione della sintomatologia. Nei casi

gravi la terapia steroidea è associata ad un altro trattamento immunomodulatore, in

particolare ad immunoglobuline endovena (Nardocci, 2013).

2.3 Trattamento delle sindromi ipocinetico-rigide

La terapia con L-dopa e carbidopa può condurre a risultati molto variabili, potendo passare

dalla risoluzione completa, che si verifica nel deficit di GTPCH di tipo I, al grado variabile

di miglioramento che abbiamo invece nei difetti delle amine biogene (Garcia-Cazorla et al.,

2013). La dose iniziale di L-dopa consigliata è di 0,5-1mg/kg al giorni divisa in 3-6 dosi e

aumentata a periodi di quattro settimane in base alla tolleranza del paziente, poiché è

possibile lo sviluppo di severi effetti collaterali, principalmente irritabilità e discinesia

(DeLonlay et al., 2000; Zafeiriou et al., 2009). Dopo alcune settimane, in presenza di una

risposta clinica positiva, si può aumentare la dose fino a 10 mg/kg/die (Garcia-Cazorla et

al., 2011). In presenza di discinesia, la dose dovrebbe essere riportata a quella

precedentemente tollerata e l’incremento rimandato.

In alternativa, possono essere utilizzati altri farmaci, come gli inibitori della degradazione

della dopamina (selegilina). Nei casi non responsivi ad altri farmaci, i dopamino-agonisti

(pergolide, bromocriptina) e gli anticolinegici possono costituire un’ulteriore opzione

(Albanese et al., 2006; Tarsy and Simon, 2006). Gli errori congeniti del metabolismo che

portano a neurodegenerazione possono avere un iniziale risposta positiva all’L-dopa, che

però decresce nel tempo (Garcia-Cazorla et al., 2013). I soggetti con PKAN non traggono

beneficio dal trattamento con L-dopa, mentre quelli con altre forme di NBIA e Distonia-

Parkinsonismo ad esordio tardivo possono trarne giovamento (Gregory and Hayflick,

2011). Altre opzioni terapeutiche, come la tetrabenazina, il baclofen intratecale e la Deep

Brain Stimulation, dovrebbero essere considerate (Gregory and Hayflick, 2011; Krause et

al., 2006).

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2.4 Trattamento del tremore

Qualora sia indicato il trattamento farmacologico, i due farmaci principalmente utilizzati

nel trattamento del tremore sono il primidone e i bloccanti β-adrenergici, come ad esempio

il propanololo. Il primidone viene usato alla dose di 20-30 mg/Kg/die in due

somministrazioni e la dose finale deve essere raggiunta progressivamente. Gli effetti

collaterali includono nausea, vomito e sedazione e solitamente si verificano nei primi

giorni di trattamento (Koller, 1995). Per quanto riguarda il propanololo, sembra che la dose

di 60 mg/die sia una dose sicura nei bambini. Gli effetti collaterali includono astenia,

letargia e ipotensione. La maggior parte dei pazienti presenta un abbassamento della

frequenza cardiaca (Koller, 1995). Il farmaco è controindicato in pazienti con difetti

cardiaci, diabete e asma. Entrambi i farmaci sono solo parzialmente efficaci e gli effetti

collaterali ne limitano l’uso solo alle forme severe (Alvarez, 2001).

Anche altri farmaci vengono utilizzati nel trattamento del tremore, come benzodiazepine,

bloccanti dei canali del calcio e neurolettici atipici (Rajput and Rajput, 2014). La tossina

botulinica può essere usata in alcuni casi di tremore cefalico o manuale (Jankovic and

Schwartz, 1991). L’alcol, sebbene abbia una certa efficacia, non può essere usato nei

bambini (Alvarez, 2001). La figura 2.4 mostra uno schema riassuntivo della terapia nel

tremore essenziale (Rajput and Rajput, 2014).

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Figura 2.4: schema riassuntivo delle strategie terapeutiche nel tremore essenziale

2.5 Trattamento del mioclono

Il trattamento del mioclono dipende dal disordine sottostante. Le cause reversibili di

mioclono includono alcuni stati tossico-metabolici, intossicazioni da farmaci o lesioni

trattabili chirurgicamente; nella maggior parte dei casi, la causa sottostante non è

comunque correggibile e il trattamento sintomatico è l’unica possibilità. Solitamente sono

necessarie associazioni di farmaci (Kojovic et al., 2011).

L’efficacia del trattamento farmacologico del mioclono non epilettico è bassa, se si esclude

l’uso dell’ACTH nella sindrome mioclono-opistotono (risultato che probabilmente dipende

dall’eziologia) (Alvarez, 2001). Sono stati provati diversi farmaci sul mioclono, come

agenti antiepilettici, baclofen (Menon, 1980), benzodiazepine (Ryan et al., 1992). Sembra

che il mioclono sia l’unica discinesia che può rispondere al trattamento serotoninergico

(Pranzatelli, 1994).

Il trattamento del mioclono di origine corticale ha lo scopo di correggere il deficit di

neurotrasmettitori inibitori GABAergici (Caviness and Brown, 2004). Il trattamento è

solitamente polichemioterapico. Tra i farmaci GABAergici, il sodio valproato è il più

efficace e dovrebbe essere introdotto lentamente. Anche le benzodiazepine sono molto utili,

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specialmente il clonazepam ad alte dosi, sebbene possa sopraggiungere tolleranza al

trattamento dopo diversi mesi (Kojovic et al., 2011). Il Piracetam e il levetiracetam sono

farmaci che hanno dimostrato una notevole utilità nel mioclono (Genton and Gélisse, 2000;

Ikeda et al., 1996), sebbene il meccanismo d’azione sia scarsamente conosciuto. Questi

farmaci possono essere eventualmente combinati col sodio valproato. Il primidone e il

fenobarbital sono raramente efficaci. Lamotrigina, fenitoina, carbamazepina e vigabatrin

sono da evitare nel mioclono corticale, perché possono paradossalmente esacerbare il

mioclono. Gli effetti collaterali più frequenti della polichemioterapia sono la sedazione e

l’atassia (Kojovic et al., 2011).

Il mioclono negativo in bambini che soffrono di epilessia idiopatica parziale può

rispondere all’etosuccimide e al levetiracetam (Gélisse et al., 2003; Capovilla et al., 1999).

Il mioclono negativo associato ad altre forme di epilessia (esempio: epilessia

criptogenetica) è solitamente meno responsivo ai comuni antiepilettici, come

carbamazepina, acido valproico, fenitoina, lamotrigina e oxcarbamazepina, che possono

anche causarne un peggioramento (Kojovic et al., 2011).

Il mioclono sottocorticale non è responsivo ai farmaci efficaci nel mioclono corticale

(Caviness and Brown, 2004). Il clonazepam può essere utile, anche se la risposta può

essere parziale. I casi severi di distonia mioclonica possono rispondere alla stimolazione

pallidale bilaterale (Magariños-Ascone et al., 2005; Cif et al., 2004) o alla Deep Brain

Stimulation talamica (Tottenberg et al., 2001).

Per quanto riguarda il mioclono spinale, il trattamento farmacologico è insoddisfacente. Il

clonazepam è il trattamento di prima scelta. Il leviracetam è risultato essere efficace in

alcuni pazienti (Keswani et al., 2002). Il mioclono segmentale può invece essere trattato

con iniezioni di tossina botulinica, con successo variabile (Penney et al., 2006; Lagueny et

al., 1999). Nel mioclono periferico i farmaci sono inefficaci, sebbene la carbamazepina

possa avere qualche effetto (Caviness, 2007). Lo spasmo emifacciale risponde invece bene

alle iniezioni di tossina botulinica (Costa et al., 2005). Il mioclono psicogeno può

migliorare in seguito a trattamento placebo o psicoterapia (Kojovic et al., 2011).

2.6 Trattamento dei tic

Non esiste una terapia eziologica dei disturbi da tic, pertanto la terapia farmacologica è

sintomatica. Essa trova indicazione in casi selezionati, come nei soggetti in cui il disturbo

determina marcato isolamento sociale o riduzione dell’autostima, quando compaiono

importanti sintomi d’ansia o depressione secondari al disturbo da tic e laddove i tic

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provochino dolore, fastidio fisico o un’interferenza significativa nella vita quotidiana

(Nardocci, 2013).

La maggior parte dei farmaci di uso comune è costituita da antipsicotici tipici e atipici, che

agiscono sul metabolismo della dopamina attraverso il blocco dei recettori postsinaptici D2.

I farmaci attualmente in uso per la terapia dei disturbi ticcosi sono:

l’aloperidolo, attualmente l’unico indicato per la Sindrome di Tourette, con

dosaggio di 1-4 mg in 1 o 2 somministrazioni giornaliere (Nardocci, 2013);

la pimozide, che è risultata efficace, ma può determinare un allungamento del tratto

QT (1mg/die poi aumentare di 1mg ogni 5-7 giorni fino ad un massimo di 8mg/die);

Tuttavia, l’utilizzo di neurolettici tipici è limitato dal rischio di insorgenza di reazioni

avverse extrapiramidali come acatisia, parkinsonismo, distonie, discinesia tardiva, nonché

di sedazione e da effetti avversi endocrino-metabolici, quali aumento di peso e

iperprolattinemia, per cui si preferisce iniziare il trattamento con antipsicotici atipici:

risperidone, che agisce sui recettori D2 e 5HT2, utile per ridurre la frequenza e

l’intensità dei tic in alcuni pazienti (Budman, 2014) e nei casi associati a disturbo

ossessivo-compulsivo (da 1 fino a un massimo di 8 mg/die in due

somministrazioni);

flufenazina, che ha minor incidenza di sedazione e di effetti collaterali (1mg/die poi,

aumentare di 1mg ogni 5-7 giorni fino ad un massimo di 15mg/die);

aripiprazolo, che agisce da agonista parziale dei recettori D2 e ha come target anche

recettori serotoninergici; ha inoltre un minore impatto sul metabolismo (5-15mg/die

in monosomministrazione) (Nardocci, 2013);

pergolide (Gilbert, 2000);

tetrabenazina (Jankovic, 1982);

clonidina, nei casi in associazione con ADHD, determina sedazione, insonnia e

secchezza delle fauci; richiede monitoraggio della pressione arteriosa e della

frequenza cardiaca;

clonazepam (0,5-5mg/die);

benzamidi (tiapride e sulpiride, prima scelta terapeutica in Germania);

altri antipsicotici come olanzapina e quetiapina.

I tic vocali possono giovare del trattamento con microiniezioni di tossina botulinica nelle

corde vocali (Barone, 2012).

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Le linee guide europee (Verdellen et al., 2011) riconoscono l’efficacia inoltre di un

intervento terapeutico di tipo cognitivo-comportamentale, l’Habit Reversal Training, che

mira a far acquisire al paziente consapevolezza delle circostanze scatenanti i tic, per far sì

che possa mettere in atto una risposta competitiva rispetto al tic. Un’altra terapia

promettente è l’Exposure and Response Prevention, basata sulla frequente associazione tra

tic e sensazione premonitoria (Nardocci, 2013).

Il trattamento comportamentale dei disordini con tic è basato sulla premessa che un tic è un

disturbo neurologico, ma che l’espressione dei tic è determinata da un’interazione tra

fattori biologici e ambientali. Lo scopo è indebolire o eliminare il ciclo di rinforzo negativo

che si crea quando l’espressione del tic riduce l’urgenza premonitoria che precede

immediatamente l’espressione del tic (Bennett et al., 2012).

Infine, in alcuni casi selezionati di adulti refrattari alla terapia farmacologica e con grave

impairment, può essere preso in considerazione l’intervento neurochirurgico di

stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation) (Nardocci, 2013).

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60

CAPITOLO III

3.1 Misure di outcome

La sempre maggior esigenza di una prassi valutativa e riabilitativa basata sull’evidenza

scientifica (Evidence Based Medicine) rende indispensabile il ricorso a strumenti di

valutazione specifici per poter misurare il cambiamento e il risultato degli interventi

terapeutici (riabilitativi, farmacologici, ortesici, chirurgici). Tali strumenti devono

possedere le seguenti caratteristiche:

affidabilità: devono dare risposte costanti su valutazioni ripetute in soggetti

omogenei per categorie sia in misurazioni successive dello stesso esaminatore

(intra-rater agreement), sia fra esaminatori diversi (inter-rater agreement);

validità: devono essere appropriate in relazione agli obiettivi;

responsività: devono essere sensibili in caso di reale cambiamento e invariabili in

assenza di esso (Nardocci, 2013).

Per quanto riguarda i disturbi del movimento in età evolutiva, molti degli strumenti di

valutazione attualmente a disposizione sono in gran parte insufficienti e anacronistici per

diversi aspetti:

molte di queste scale funzionali sono ancora in gran parte limitate agli aspetti

neuromotori e neurofunzionali sia globali (aspetti posturocinetici, cammino,

funzioni manipolatorio-prassiche) sia specificamente legati ai disordini del

movimento (Nardocci, 2013);

ancora scarsi sono gli strumenti di valutazione standardizzata dei disordini

sensoriali, e in particolare percettivi, che ricoprono un ruolo fondamentale: il

paziente discinetico può essere definito infatti come dispercettivo sia in senso

qualitativo che quantitativo (Cioni, 1996);

gli aspetti emotivi e cognitivi si basano prevalentemente su valutazioni

osservazionali o test discriminativi poco sensibili al cambiamento indotto dal

trattamento;

la definizione di diverse scale di autonomia e qualità di vita a livello internazionale

non ha ancora permesso a oggi una standardizzazione e uniformità di valutazione

(Nardocci, 2013).

In conclusione, i disturbi del movimento in età infantile necessitano, per la complessità di

inquadramento diagnostico e semeiologico, ma soprattutto per le strategie terapeutiche

(farmacologiche, chirurgiche, riabilitative), di scale di valutazione neurofunzionali

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specifiche, sensibili e valide. Molte delle scale in uso tutt’ora presentano tuttavia dei limiti,

in quanto non esaustive rispetto a un trattamento integrato nel bambino (Nardocci, 2013).

3.2 Scale di valutazione

3.2.1 Scale di valutazione funzionale delle abilità grosso-motorie

Gross Motor Classification System

Per quanto riguarda la misura della gravità del quadro neuromotorio, è attualmente di

riferimento la classificazione Gross Motor Classification System di Palisano et al. (1997).

In questa classificazione sono definiti 5 livelli di autonomia in ordine di crescente

compromissione:

livello 1: completa autonomia, cammino senza restrizioni; limitazione in abilità

motorie più complesse (corsa, salto etc.);

livello 2: cammino senza ausili in ambiente familiare ma con limitazioni in

ambienti esterni; sale le scale con appoggio e non è in grado di correre o saltare;

livello 3: cammino con ausili sia in ambiente familiare che esterno; necessita di

essere trasportato nei lunghi percorsi; è in grado di mantenere da solo la stazione

seduta;

livello 4: non è in grado di camminare nemmeno con ausili; mantiene la stazione

seduta con sostegno; può spostarsi in carrozzina;

livello 5: gravi limitazioni dell’autonomia motoria anche con ausili; non è in grado

di mantenere la stazione seduta e il capo stabilmente in posizione eretta; deve

essere costantemente trasportato e assistito.

Gross Motor Function Measure (GMFM)

La GMFM è una scala di valutazione sviluppata da Russell come strumento di misura

osservazionale basato su specifici criteri per stimare i cambiamenti delle funzioni grosso-

motorie in bambini con Paralisi Cerebrale (Russell et al., 1994). Attualmente, è uno degli

strumenti più utilizzati per misurare ed obiettivare l’evoluzione delle competenze posturali,

degli schemi prelocomotori e del cammino nel bambino di età compresa tra 5 e 16 anni con

Paralisi Cerebrale. Essa consente di valutare il grado di competenza raggiunto dal paziente

nell’ambito di una specifica prova, ma presenta il grosso limite di riflettere solo una parte

dei cambiamenti presenti durante le prestazioni motorie: studia infatti le funzioni motorie

in modo quantitativo, senza tenere conto della qualità.

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62

La versione originale della scala è stata modificata prima nel 1990, quando vennero

aggiunti altri 3 items agli 85 già presenti, per permettere alle abilità testate con questi items

di essere valutate bilateralmente. Tale scala è divisa in 5 dimensioni:

postura supina/prona e rotolamento;

postura seduta;

stazione in ginocchio e quadrupedica;

stazione eretta;

cammino, corsa e salto.

L’esecuzione di tutti gli items richiede un tempo di circa 45-60 minuti.

Successivamente la scala venne modificata in una scala con 66 items divisa in 5

dimensioni (Russell et al., 2000). Gli items della GMFM sono misurati tramite

l’osservazione del bambino e il punteggio attribuito varia da 0 a 4, dove:

0: l’item non viene iniziato;

1: l’item viene iniziato ( <10% dell’attività);

2: l’item è parzialmente completato (attività che varia dal 10% al 100%);

3: l’item è completato (Russell et al., 2000).

Lo score totale viene ottenuto sommando i singoli score ottenuti per ogni dimensione e

dividendo la somma ottenuta per il numero di dimensioni (Bowman, 2005).

Gross Motor Performance Measure (GMPM)

Questa scala è stata sviluppata da Palisano et al. (1995) ed è uno strumento di valutazione

qualitativa. Essa utilizza 20 items derivati dalla GMFM, includendo funzioni posturali e di

spostamento, ciascuno dei quali viene valutato secondo 5 attributi delle performance:

allineamento posturale;

coordinazione (direzione, velocità, forza, ampiezza delle sequenze);

movimenti dissociati (movimenti isolati indipendenti);

stabilità posturale;

trasferimento di carico.

Questa scala ci dà informazioni riguardo la struttura del movimento ed è quindi più

sensibile nel valutare cambiamenti discreti nell’evoluzione di quadri clinici anche gravi.

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3.2.2 Scale di valutazione della manipolazione

Manual Ability Classificazion System (MACs)

La MACs (Elliasson et al., 2006) è un sistema di classificazione che valuta l’abilità del

bambino a compiere compiti manuali. Esso valuta la fluidità, la velocità e l’accuratezza

con cui i compiti vengono svolti, la presenza di restrizioni nell’autonomia quotidiana, la

necessità di aiuto o di adattamento del compito e la capacità di completarlo, lo sforzo

nell’esecuzione, la messa in atto di modalità alternative allo scopo di completare l’azione.

La gravità del deficit è classificata in 5 livelli in ordine crescente di gravità, dove a 1

corrisponde una ottima capacità di manipolazione con lievissime anomalie nella velocità o

nell’accuratezza e a 5 un’incapacità di manipolazione e necessità di assistenza totale.

Melbourne Assessment of Unilateral Upper Limb Function

Questa scala di valutazione è stata messa a punto negli anni ’90 con validazione e stesura

definitive nel 1999 (Randall et al., 1999). Lo scopo della scala è di valutare la qualità dei

movimenti finalizzati degli arti superiori dal 5 ai 15 anni; è costituita da 16 items riferiti a

compiti funzionali, quali raggiungere la bocca per mangiare, afferrare oggetti nelle diverse

direzioni spaziali etc. Per alcuni items il focus principale è la qualità del movimento, per

altri è il livello di sviluppo del gesto. I limiti di questa scala sono l’assente valutazione

della bimanualità, l’impossibilità di esecuzione prima dei 5 anni e la difficoltà di

comprensione delle consegne nei bambini più piccoli (5 anni) (Nardocci, 2013).

Quality of Upper Extremity Skills Test (QUEST)

La QUEST (DeMatteo et al., 1993) ha lo scopo di valutare la funzione dell’arto superiore

in 4 aree:

movimento dissociato (19 items);

afferramento (6 items);

paracadute (5 items);

sostegno del carico (3 items).

Il tempo richiesto per la somministrazione e la determinazione del punteggio è di circa 60

minuti. Il punteggio è relativo alla severità della disabilità, senza tener conto però dell’età.

Il punteggio viene calcolato in percentuale e la normalità è il 100% (Sorsdahl, 2008).

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Assisting Hand Assessment (AHA)

La AHA (Krumlinde-Sundholm and Eliasson, 2003) è un test sviluppato per la valutazione

di bambini con disfunzione unilaterale degli arti superiori, è validato per bambini dai 18

mesi ai 12 anni ed è fondato sul riconoscimento del differente ruolo delle due mani e sul

fatto che la mano paretica non deve necessariamente avere le stesse capacità della mano

dominante nelle attività bimanuali. Lo scopo consiste nel valutare non la performance

migliore, ma quella abituale (non viene considerato il livello di impairment).

Il tempo richiesto è di 10-15 minuti per il test, cui si deve aggiungere il tempo per lo score.

Gli items sono 22 suddivisi in 5 categorie:

utilizzo globale della mano affetta;

utilizzo dell’arto superiore;

afferramento e rilasciamento;

adattamento;

coordinazione.

Il punteggio va da 1 (non lo fa) a 4 (efficace). I limiti sono legati al fatto che il test valuta

la performance abituale della mano paretica in attività bimanuali, ma non l’utilizzo della

mano su richiesta e non fa un’adeguata valutazione età-dipendente (Nardocci, 2013).

Shriners Hospital for Children Upper Extremity Evaluation (SHUEE)

La SHUEE (Davids et al., 2006) è un test nato in ambito ortopedico nel 1996 con lo scopo

di misurare l’outcome di interventi farmacologici (come la tossina botulinica) o chirurgici

effettuati all’arto superiore. Esso è validato per i bambini dai 3 ai 18 anni e presenta dei

limiti dovuti al fatto che i parametri sono legati in parte ad aspetti semeiologici e in parte

all’uso dell’arto (Nardocci, 2013).

Scala Besta

Tale scala è stata elaborata presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta

di Milano per i bambini affetti da emiparesi. L’esame prevede due strumenti diversi:

la valutazione della prensione della mano paretica con materiali standard ogni 6

mesi;

la valutazione qualitativa dell’attività manipolatoria bimanuale nel gioco spontaneo

e nell’attività prassica con materiale scelto in relazione all’età ogni 6 mesi.

Il dato fornito è così sia qualitativo che quantitativo (Nardocci, 2013).

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65

3.2.3 Scale per le sindromi ipocinetico-rigide

Unified Parkinson’s desease rating scales (UPDRS)

La UPDRS è una scala ampiamente usata e globalmente accettata che è stata sviluppata per

catturare i differenti aspetti del morbo di Parkinson ed è adesso considerata il gold standard

per la sua valutazione. L’ultima versione di questa scala ha 4 componenti che valutano:

capacità cognitive, comportamento e umore;

attività di vita quotidiana;

sintomi motori;

complicanze della terapia.

Un punteggio uguale a 0 indica completa inabilità, quindi maggiore è il punteggio,

maggiore è il grado di indipendenza del soggetto.

La scala ha mostrato di rispondere ai cambiamenti nel corso della malattia, alle fluttuazioni

motorie e agli interventi terapeutici, permettendo di valutare la possibilità di modificare o

meno il dosaggio dei farmaci o la terapia (Ebersbach et al., 2006).

3.2.4 Scale per la distonia

Burke-Fahn Marsden Disability Scale (BFM)

La BFM (Marsden and Schachter, 1981) è la scala più usata per la valutazione della

distonia. Essa misura l’impatto della distonia in diversi ambiti funzionali legati

all’autonomia della vita quotidiana. Ad ogni ambito viene attribuito un punteggio di

gravità crescente.

La BFM è composta da due sezioni: una scala per il movimento, basata sull’esame

neurologico, e una scala di disabilità, basata sull’opinione che il paziente ha della sua

disabilità nelle attività quotidiane. La scala per il movimento è ulteriormente divisa in 9

regioni corporee: occhi, bocca, linguaggio e deglutizione, collo, arto superiore destro, arto

superiore sinistro, tronco, arto inferiore destro e arto inferiore sinistro. Sono calcolati dei

punteggi individuali per ogni area corporea usando una formula che utilizza un fattore di

provocazione, un fattore di gravità e un “fattore peso”.

Il fattore di provocazione è valutato da 0 a 4 come segue:

0: assenza di distonia;

1: distonia in particolari azioni;

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2: distonia in molte azioni;

3: distonia d’azione in una parte distante del corpo (overflow) o intermittente a

riposo;

4:distonia a riposo.

I fattori di gravità sono valutati in maniera simile, eccetto che per il linguaggio e la

deglutizione. In generale, i fattori di gravità sono calcolati con un punteggio che va da 0 a

4, dove:

0: assenza di distonia;

1: lievissima distonia;

2: lieve distonia;

3: moderata distonia;

4:severa distonia.

Il “fattore peso” è di 0,5 per occhi, bocca e collo e 1 per le altre regioni corporee.

Una volta che i vari punteggi per ogni regione corporea sono stati calcolati, vengono

sommati per ottenere il punteggio finale della scala del movimento. Si va da un minimo di

0 a un massimo di 120. Per quanto riguarda lo score di disabilità, vengono valutate 7

attività di vita quotidiana in base alla percezione del paziente della sua difficoltà:

linguaggio, scrittura, alimentazione, deglutizione, igiene, capacità di vestirsi e cammino. Il

punteggio va da 0 a 4 (ad eccezione del cammino in cui si va da 0 a 6). Il significato del

punteggio è il seguente:

0: normale;

1: lievissima difficoltà;

2: lieve difficoltà;

3: marcata difficoltà;

4: severa difficoltà, incapacità di svolgere l’attività.

Una volta ottenuti tutti i punteggi, si sommano per ottenere lo score totale di disabilità, che

va da 0 a 30 (Bernard et al., 2010).

Unified Dystonia Rating Scales (UDRS)

La UDRS è stata sviluppata dal Dystonia Study Group (così come la Global Dystonia

Rating Scale) come strumento per accertare la severità della distonia. I pazienti vengono

videoregistrati utilizzando un protocollo standardizzato.

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La scala valuta 14 aree corporee: occhi, parte superiore e parte inferiore del viso,

mandibola e lingua, laringe, collo, tronco, spalle/parte prossimale degli arti superiori, parte

distale degli arti superiori, parte prossimale degli arti inferiori, parte distale degli arti

inferiori/piedi. A ciascuna regione viene assegnato un punteggio di gravità che varia da 0

(assenza di distonia) a 4 (estrema distonia). Viene inoltre valutato se la distonia si verifica

a riposo o durante un’azione. Il punteggio massimo ottenibile è 112 (Comella et al., 2003).

Global Dystonia Rating Scale (GDS)

la GDS è una semplificazione della UDRS e valuta le stesse 14 aree corporee, cui viene

assegnato un punteggio che va da 0 (assenza di distonia) a 10 (severa distonia). Sommando

i diversi punteggi si ottiene lo score totale, che è al massimo di 140 (Comella et al., 2003).

Barry-Albright Dystonia Scale (BAD)

La BAD (Barry et al., 1999) è molto diffusa in letteratura, soprattutto per monitorare

l’efficacia di interventi farmacologici e chirurgici e permette una valutazione quantitativa

della distonia. Essa esamina 8 distretti corporei: occhi, bocca, collo, tronco, arto superiore

destro e sinistro, arto inferiore destro e sinistro. Ad ogni distretto viene assegnato un

punteggio secondo 2 parametri: durata (espressa in percentuale) e interferenza con l’attività.

Il minimo punteggio è 0 (assenza di distonia) e il massimo è 4 (distonia che è presente >

50% del tempo e che impedisce la funzione o una corretta postura). Il punteggio totale va

da 0 a 32.

Dyskinesia Impairment Scale (DIS)

Questa scala è nata specificamente per le forme croniche di Paralisi Cerebrali Infantili (PCI)

al fine di valutare separatamente la componente distonica rispetto a quella coreoatetosica.

È divisa secondo tale semeiologia in 2 sottoscale, una per la distonia e una per la

coreoatetosi. Entrambe valutano 12 regioni corporee: occhi, bocca, collo, tronco, arti

(superiori e inferiori, ulteriormente suddivisi in componente prossimale e distale e

destro/sinistro). Per ogni regione corporea viene valutata la durata, che si riferisce al tempo

totale in cui la discinesia è presente, e l’ampiezza, che viene invece valutata considerando

il grado di movimento della regione discinetica.

La valutazione viene effettuata in condizioni di riposo e attività, definendo ampiezza e

durata secondo 2 punteggi:

score di azione (range 0-192);

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score a riposo (range 0-96).

Lo score di azione e a riposo si sommano dando un punteggio che può essere compreso tra

0 e 288. Lo score finale si ottiene dalla somma dei punteggi delle sottoscale per la distonia

e per la coreoatetosi (Monbaliu et al., 2012).

3.2.5 Scale per la corea

Federal University of Minas Gerais (UFMG) Sydenham’s Chorea Rating Scale (USCRS)

La USCRS è stata designata per provvedere a una dettagliata descrizione quantitativa delle

performance delle attività della vita quotidiana, delle anomalie comportamentali e delle

funzioni motorie nei pazienti con corea di Sydenham. La scala comprende 27 items e ad

ognuno è assegnato un punteggio che va da 0 (nessun sintomo o segno) a 4 (grave

disabilità). La parte che valuta il comportamento prende in considerazione l’irritabilità, il

deficit di attenzione, l’iperattività, le ossessioni, le compulsioni e la riduzione della fluidità

verbale. La parte che valuta l’abilità funzionale misura l’impairment, il grado di

indipendenza del paziente e la performance nelle attività di vita quotidiana come scrivere,

tagliare il cibo, vestirsi, camminare e l’igiene personale. La parte motoria valuta la

funzione oculomotoria, la disartria, la corea in volto e agli arti, la bradicinesia, il tono

muscolare e l’andatura (Teixera et al., 2005)

Unified Huntington’s Disease Rating Scale (UHDRS)

La UHDRS è una sistema di valutazione che serve per quantificare la severità del morbo di

Huntington. La scala si divide in diverse sotto-sezioni: motoria, cognitiva,

comportamentale, funzionale. Il punteggio viene calcolando sommando i punteggi di ogni

quesito per ogni sezione (http://www.neuropsicol.org/Protocol/Uhdrs.pdf).

3.2.6 Scale per il mioclono

Unified Myoclonus Rating Scales (UMRS)

La UMRS valuta la severità del mioclono, le sue caratteristiche e la conseguente disabilità.

È costituita da 73 items raggruppati in 5 sezioni strutturate come segue:

questionario per i pazienti (12 items);

valutazione del mioclono a riposo (8 items);

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sensibilità agli stimoli (17 items);

mioclono durante un’azione (10 items);

test funzionali (5 items).

Ci sono inoltre altri items per valutare la disabilità globale, la presenza di mioclono

negativo e la gravità (Kompoliti, 2010).

Myoclonus Evaluation Scale

Questa scala ha lo scopo di valutare la gravità del mioclono ed è composta da due sezioni

che valutano il disturbo in posizione eretta e durante l’azione (Kompoliti, 2010).

Opsoclonus Myoclonus Syndrome Evaluation Scale

Questa scala ha l’obiettivo di valutare la severità della sindrome mioclono-opistotono

mediante 12 items a cui viene dato un punteggio da 0 (normale) a 3 (severo) (Kompoliti,

2010).

3.2.7 Scale per il tremore

The Essential Tremor Rating Assessment Scale

Si tratta di una scala che prevede 9 items che valutano il tremore intenzionale in diverse

regioni corporee: testa, volto, arti e tronco. Il punteggio varia da 0 (assenza di tremore) a 4

(tremore severo) con intervalli di 0,5 punti. Il tremore di testa e arti è definito in base

all’ampiezza del tremore misurata in centimetri (Elble et al., 2012).

3.2.8 Scale per i tic

Tourette’s Syndrome Global Scale (TSGS)

La TSGS si propone di valutare la frequenza e l’entità del disturbo dei differenti tipi di tic.

Valuta inoltre il comportamento del bambino, i tic durante l’azione e a riposo e i problemi

che causano al paziente in ambiente scolastico o lavorativo. Lo score totale può andare da

0 a 100 (Brand et al., 2002).

Yale Global Tic Severity Scale (YGTSS)

La YGTSS permette di valutare la natura dei tic motori e vocali. Essa è strutturata in 5

dimensioni, la cui valutazione permette di comprendere la severità dei tic. Le 5 dimensioni

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sono: numero, frequenza, intensità, complessità e interferenza. Un’altra scala valuta poi

l’invalidità percepita dal paziente. Si ottengono così 5 diversi punteggi: Total Motor Tic

Score, Total Phonic Tic Score, Total Tic Score, Overall Impairment Rating e Global

Severity Score (Storch et al., 2005).

3.2.9 Scale per la valutazione globale della disabilità

Si tratta di scale utilizzate per valutare le limitazioni che il disturbo del movimento

comporta nelle attività di vita quotidiana.

The Functional Independence Measure of Children (WeeFIM)

La WeeFIM è uno strumento che misura il livello di indipendenza funzionale nelle azioni

di vita quotidiana ed è stata sviluppata per bambini con età compresa tra 6 mesi e 7 anni

(ma con applicazione anche in età adolescenziale). La WeeFIM si avvale di osservazioni

dirette e interviste e richiede circa 15 minuti per la somministrazione (Niemeijer et al.,

2012). È caratterizzata da 19 items che indagano: cura personale, controllo sfinterico,

mobilità negli spostamenti, locomozione, comunicazione, relazioni sociali (Nardocci,

2013). Ciascun item viene valutato con un punteggio che va da 1 (necessità di assistenza

totale) a 7 (completa indipendenza) (Niemeijer et al., 2012).

Pediatric Evaluation of Disability Inventory (PEDI)

La PEDI è uno strumento pensato per i bambini dai 6 mesi ai 7 anni e 6 mesi e comprende

2 sottoscale che valutano:

la capability, cioè le funzioni acquisite;

la performance, cioè il grado di disabilità valutato attraverso la misura del livello di

assistenza e delle modifiche ambientali richieste.

La valutazione necessita della collaborazione dei genitori e richiede circa 45 minuti per la

somministrazione (Haley et al., 1992). Negli ultimi anni, una revisione da parte del PEDI

Research Team ha portato all’aggiunta di nuovi items e al miglioramento dello strumento

(Haley et al., 2010).

Burke-Fahn-Marsden Dystonia Rating Scale (BFM)

Vedi scale per la distonia.

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71

3.2.10 Movement Disorder-Childhood Rating Scale (MD-CRS)

La maggior parte delle scale descritte sono in realtà state validate e utilizzate

prevalentemente nella popolazione adulta e alcune di esse sono state solo successivamente

estese alla popolazione infantile. Negli ultimi anni tuttavia la necessità di strumenti

specifici per l’età evolutiva, l’esigenza di definire il disordine del movimento non solo

nella componente distonica, ma anche in altre componenti ipercinetiche e il bisogno di

poter disporre di uno strumento di valutazione comparativa in corso di trattamento per il

disturbo diagnosticato, hanno portato allo sviluppo di scale pensate specificatamente per

l’età pediatrica. Infatti i disturbi del movimento in età infantile sono un gruppo di

condizioni numerose ed eterogenee, la cui presentazione clinica, il decorso clinico e la

prognosi sono molto complesse e variabili nel corso dei differenti stadi dello sviluppo, per

cui differiscono notevolmente dai disturbi del movimento dell’età adulta.

È proprio allo scopo di rispondere a tutte queste esigenze che è nata la MD-CRS, ideata

presso il Dipartimento di Neuroscienze dello Sviluppo, Stella Maris (Pisa), in

collaborazione col Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma “La

Sapienza”. La MD-CRS esiste in due forme: la prima fu ideata per i pazienti di età

compresa tra i 4 e i 18 anni, sulla base della quale fu poi sviluppata la versione per i

pazienti di età compresa tra 0 e 3 anni. Lo sviluppo della scala per i bambini al di sotto dei

4 anni si è resa necessaria in quanto, nei bambini più piccoli, la relazione tra disturbi del

movimento e tappe fondamentali dello sviluppo è persino più complessa che negli stadi

successivi (Battini et al., 2009).

La MD-CRS 4-18 è stata testata e validata in pazienti affetti da un ampio spettro di

condizioni, che variavano da distonia primaria e disturbi secondari, a disturbi di differenti

eziologie e presentazioni cliniche. Lo studio pilota ha dimostrato che la MD-CRS 4-18

risponde a tutti i requisiti statistici per poter essere utilizzata nella valutazione quantitativa

dei disturbi del movimento in età pediatrica. Inoltre, comparando la scala con le altre

esistenti, lo studio ha dimostrato che può essere utilizzata in bambini affetti da diversi tipi

di disturbo del movimento e che i diversi items in cui è strutturata permettono di valutarne

i molteplici aspetti (Battini et al., 2008). Successivamente, è stato condotto uno studio sulla

MD-CRS 0-3 che ha dimostrato che la scala è effettivamente utile, facile da applicare e

idonea a provvedere a una misura quantitativa dei vari aspetti dei disturbi del movimento

in questo gruppo di età. Le analisi statistiche hanno infatti dimostrato un’alta affidabilità e

validità e un alto coefficiente di correlazione tra i risultati ottenuti da diversi esaminatori

per ciascun item (Battini et al., 2009).

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72

Recentemente, è stato eseguito un nuovo studio per verificare la sensibilità della MD-CRS

in pazienti affetti da Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) discinetica in trattamento con

farmaci anticolinergici. I pazienti sono stati divisi in due gruppi in base all’età (0-3 e 4-18)

e valutati prima dell’inizio del trattamento farmacologico, a 6 mesi e a un anno dal suo

inizio. I risultati dello studio hanno effettivamente dimostrato che la MD-CRS è uno

strumento sensibile nell’evidenziare e quantificare cambiamenti clinici anche piccoli nel

tempo, rivelandosi efficace nel monitorare l’outcome dei pazienti pediatrici affetti da

diverse forme di disturbi del movimento (Battini et al., 2014).

Ciascuna scala è divisa in due parti: la Parte I per la valutazione generale e la Parte II per la

severità del disturbo del movimento. Per la valutazione è necessaria la registrazione di un

video di circa 20 minuti girato secondo un protocollo standardizzato e durante i quali

vengono eseguiti dal paziente tutti gli items. In caso di scarsa cooperazione del paziente, la

videoregistrazione può però durare più a lungo o essere completata in due o più sessioni.

Deve essere inclusa anche un’intervista ai genitori per completare alcuni degli items

(Battini et al.,2008).

Vediamo ora nel dettaglio le due scale, partendo dalla MD-CRS 4-18, che è stata la prima

ad essere sviluppata.

MD-CRS 4-18

La MD-CRS 4-18 (Appendice 1) è costituita, come precedentemente detto, da due parti:

Parte I: General Assessment

La Parte I prevede una valutazione generale del paziente ed è suddivisa in quattro aree per

un totale di 15 items:

la prima area (area A) analizza le funzioni motorie ed è costituita da 7 items che

valutano: il controllo del capo, della posizione seduta e della posizione eretta, il

cammino e la funzione manuale, ovvero la capacità del paziente di raggiungere e

afferrare un determinato oggetto e di scrivere;

la seconda area (area B) analizza la funzione orale e verbale tramite 3 items, che

valutano il grado di disfagia, la scialorrea e il linguaggio;

la terza area (area C) valuta le autonomie del paziente tramite 3 items, che valutano

rispettivamente la capacità di vestirsi, di nutrirsi e la cura personale;

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73

la quarta area (area D) valuta infine l’attenzione e la vigilanza tramite 2 items che

misurano il grado di attenzione del paziente durante la valutazione e in ambiente

domestico.

Area A

Per i primi 4 items non è necessaria nessuna ulteriore specifica.

Per i punti da 5 a 7, il paziente deve essere posizionato seduto nel proprio sistema di

postura o in situazioni posturali adeguatamente contenute. I piedi poggeranno o sulla

pedana del sistema di postura o a terra. Nel caso degli items 5 e 6, si valuterà il lato

dominante se il disturbo è bilaterale, il lato affetto se il disturbo è monolaterale. In

presenza di un quadro complesso con MD di tipi diversi, si “scora” solo il lato interessato

dal disturbo del movimento in corso di valutazione. Per questi items verranno utilizzati dei

cubetti di dimensioni diverse che devono essere afferrati uno per uno dal bambino. Questi

possono essere appoggiati direttamente sul tavolo o infilati in una scatola. Per quanto

riguarda la scrittura, sarà valutata solo con la mano spontaneamente usata dal paziente.

Area B

Non è necessaria nessuna ulteriore specifica.

Area C

Tra le autonomie richieste, non viene considerata la capacità di togliersi e/o mettersi

eventuali ortesi. Nelle valutazione delle autonomie di abbigliamento, considerare anche le

informazioni ottenute dai genitori.

Parte II: MD Assessment

La Parte II si propone di dare una misura della gravità del disturbo del movimento (MD

Severity) attraverso 7 items, ciascuno valutanti una diversa regione corporea:

occhi e regione periorbitale,

volto;

lingua e regione periorale;

collo;

tronco;

arti superiori (lato maggiormente affetto se bilaterale);

arti inferiori (lato maggiormente affetto se bilaterale).

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74

Ciascuna regione viene valutata a riposo e durante l’esecuzione di specifici compiti, che

vengono richiesti mediante istruzioni verbali o su imitazione. Il punteggio della MD

Severity viene assegnato sulla base dell’intera osservazione (Parte I e Parte II con specifici

task). A ciascun item, sia della Parte I che della Parte II, viene assegnato un punteggio che

va da 0 a 4 in ordine di gravità crescente, dove quindi 0 = normalità e 4 = massima gravità.

Nell’assegnazione del punteggio negli item della MD Severity, la specifica di assegnazione

è stata modificata eliminando “or” e mantenendo solo “and”. Ossia, si assegnerà un

punteggio di 2 a quel paziente che avrà un MD presente durante una o alcune delle prove

proposte ed avrà coinvolgimento di una o due altre sedi. Si assegnerà un punteggio di 4

quando il MD sarà presente in ogni prova e si diffonderà tanto da non permettere

l’adempimento della prova.

In seguito all’assegnazione dei punteggi, verrà ottenuto un punteggio per ciascuna Parte

(Part I: Index I; Part II: Index II) e un punteggio globale (Global Index) tramite il metodo

delle medie pesate dei due indici. Il punteggio di ogni Index varia da 0 a 1 ed è divisibile in

5 classi a seconda della gravità del disturbo del movimento:

Classe = 1 per un indice da 0 a 0,2: sano/normale

Classe = 2 per un indice da 0,2 a 0,4: lieve

Classe = 3 per un indice da 0,4 a 0,6: moderato

Classe = 4 per un indice da 0,6 a 0,8: grave

Classe = 5 per un indice da 0,8 a 1: molto grave

Per ogni paziente viene quindi calcolata la classe per la Parte I, la classe per la Parte II e la

classe globale.

Parte I

Valore ponderato: valore assegnato item / 4 = X standard (valore ponderato per ogni item)

Index I: media X standard / 15

Parte II

Valore ponderato: valore assegnato item / 4 = X standard (valore ponderato per ogni item)

Index II: media X standard / 7

Global Index

Media ponderata Index I e Index II: (IndexI x 15 + IndexII x 7) / 22

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75

Classification of MD

Nella valutazione è compresa la specificazione del disturbo del movimento evidenziato

(Prevalent MD). Se sono presenti più MD, vengono notificati anche gli altri presenti

(Other MD). Tuttavia, nell’assegnazione del punteggio, deve essere considerato solo il MD

prevalente. Può essere comunque compilata una scala per ogni MD presente, che verrà

interpretato come prevalente (Battini et al., 2008)

MD-CRS 0-3

Anche la MD-CRS 0-3 (Appendice 2) è costituita da due parti.

Part I: General Assessment

La Parte I prevede una valutazione generale del paziente ed è suddivisa in tre aree per un

totale di 10 items:

la prima area (area A) valuta le funzioni motorie tramite 6 items. Vengono valutati

il controllo del capo, della posizione seduta ed eretta, il cammino e la funzione

manuale tramite la capacità di raggiungere gli oggetti e afferrarli (non c’è invece

l’item per la scrittura);

la seconda area (area B) valuta le funzioni orali e verbali tramite 2 items, che

valutano il grado di disfagia e di scialorrea (non c’è l’item per il linguaggio);

la terza area (area C) valuta l’attenzione e la vigilanza tramite 2 items, il primo si

riferisce all’attenzione durante la valutazione e il secondo in ambiente domestico.

Anche per questa Parte, il punteggio varia da 0 a 4 per item.

Part II: MD Assessment

Come per MD-CRS 4-18, questa parte si propone di valutare la MD Severity. In questa

sezione sono presenti 7 items, ciascuno dei quali indaga una regione corporea:

occhi e regione periorbitale,

volto;

lingua e regione periorale;

collo;

tronco;

arti superiori (lato maggiormente affetto se bilaterale);

arti inferiori (lato maggiormente affetto se bilaterale).

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76

Il punteggio che viene assegnato va da 0 a 2: 0 se il disturbo del movimento è assente in

quell’area corporea, 1 se è intermittente e 2 se è costantemente presente. Il paziente viene

osservato in condizioni di riposo e durante l’esecuzioni di attività motorie spontanee ed

elicitate da stimoli compatibili con l’età. Con le stesse modalità statistiche di MD-CRS 4-

18 vengono calcolati l’Index I, l’Index II e il Global Index.

Part I

Valore ponderato: valore assegnato item / 4 = X standard (valore ponderato per ogni item)

Index I: media X standard / 10

Part II

Valore ponderato: valore assegnato item / 2 = X standard (valore ponderato per ogni item)

Index II: media X standard / 7

Global Index

Media ponderata Index I e Index II: (Index I x 10 + Index II x 7) / 17

Anche per la scala 0-3 viene specificato il Prevalent MD ed eventualmente gli Others MD.

Per una corretta somministrazione e successiva valutazione delle scale occorre seguire

gli step dei protocolli di videoregistrazione (Appendici 1 e 2).

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77

PARTE SPERIMENTALE

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78

CAPITOLO IV

4.1 Obiettivi dello studio

Questo studio si propone di approfondire la intra- ed inter-rater reliability della Movement

Disorder-Childhood Rating Scale (MD-CRS), strumento già validato per la diagnosi e il

follow up dei disturbi del movimento (MD) in età evolutiva.

Gli obiettivi dello studio sono:

-ampliare il training formativo acquisito sulla MD-CRS attraverso lo studio di 18 video di

bambini affetti da disturbi del movimento (a me assegnati prima dell’inizio del lavoro di

ulteriore validazione della MD-CRS);

-verificare ulteriormente l’affidabilità intra-rater dello strumento, studiando la variabilità di

misura della scala mediante uno studio di test-retest condotto da una studentessa in

Medicina e Chirurgia;

-eseguire un’ulteriore verifica dell’affidabilità inter-rater mediante il confronto degli scores

ottenuti da tre diversi operatori, una neuropsichiatra infantile esperta in disturbi del

movimento, una terapista della neuropsicomotricità dell’età evolutiva e una studentessa in

Medicina e Chirurgia. Tali operatori non risultavano coinvolti nella creazione della scala

ed avevano partecipato ad un training di formazione per il suo utilizzo.

Ai fini dello studio sono stati selezionati due gruppi di pazienti, ciascuno dei quali è

composto da 20 soggetti equamente suddivisi in bambini di età compresa tra 0-3 anni e

bambini di età compresa tra 4-18 anni, conformemente alla suddivisione per età prevista

dalla scala, per un totale di 40 pazienti. Per ciascuno di questi bambini sono stati realizzati

dei video secondo il protocollo standardizzato previsto dalla MD-CRS.

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79

4.2 Materiali e metodi

4.2.1 Training Formativo Operatori per applicazione MD-CRS

Tutti gli operatori coinvolti nello studio hanno seguito preliminarmente un corso di

formazione per l’utilizzo della MD-CRS della durata di un giorno e strutturato in due tempi.

In un primo momento sono state effettuate delle lezioni frontali sui disturbi del movimento

in età evolutiva, mentre in un secondo momento si sono svolte delle esercitazioni di gruppo

sotto la guida di un tutor esperto nella MD-CRS, durante le quali ogni partecipante aveva a

disposizione 3 video di pazienti affetti da vari tipi di disturbo del movimento,

videoregistrati secondo il videoprotocollo previsto dalla MD-CRS, a cui assegnare lo score

adeguato per ogni item previsto. Prima di assegnare lo score indicato, l’operatore doveva

segnalare il tipo di disturbo del movimento presente nel soggetto ed individuato come

disturbo del movimento prevalente. Il training formativo si concludeva con la verifica

collettiva confrontando i punteggi assegnati da ciascun operatore con quelli forniti in

discussione dagli esperti di MD-CRS e, al termine, chi aveva raggiunto un buon agreement

otteneva una sorta di abilitazione all’uso della scala.

Successivamente alla frequenza del corso, in quanto studentessa di Medicina e avendo

scelto di perseguire una Tesi sui disturbi del movimento nel bambino, ho iniziato a

frequentare il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università di Pisa

presso l’IRCCS Stella Maris per perfezionare il mio training di formazione ed iniziare a

verificare lo strumento appreso non solo su video, ma anche sui pazienti presenti in Istituto

insieme al neuropsichiatra infantile e alla terapista della neuropsicomotricità referenti del

bambino oggetto di studio. A tale scopo ho inoltre preso visione di ulteriori 18 video di

pazienti con MD (9 bambini di età compresa tra 0-3 anni e 9 di età compresa tra 4-18 anni)

e a ciascuno di essi ho assegnato autonomamente uno score in base alla scala. Gli score da

me assegnati sono stati poi controllati e discussi con i neuropsichiatri infantili esperti in

MD dell’IRCCS Stella Maris.

4.2.2 Studio di test-retest

Per lo studio di test-retest, ho preso visione di 40 filmati realizzati dalla terapista e, in cieco,

ho assegnato a ciascun paziente un punteggio in base alla MD-CRS. I pazienti erano stati

videoregistrati al tempo 0 e a distanza di una settimana dal primo video, ottenendo perciò 2

filmati per paziente. A me era sconosciuto se il paziente fosse in trattamento o meno e

l’ordine di somministrazione temporale delle due valutazioni.

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80

4.2.3 Studio di reliabiliy tra tre operatori

Per la reliability tra tre operatori, sono stati realizzati 20 filmati, uno per ciascun paziente.

Questi filmati sono stati assegnati e scorati separatamente, utilizzando la MD-CRS, da

ciascuno dei tre operatori coinvolti nello studio.

4.2.4 Descrizione del campione

Caratteristiche della popolazione selezionata per il test-retest

Per lo studio di test-retest sono stati selezionati 20 pazienti di cui 10 rientranti nella fascia

di età 4-18 anni, a cui è stata somministrata la MD-CRS 4-18, e 10 rientranti nella fascia di

età 0-3anni, a cui è stata somministrata la MD-CRS 0-3.

I pazienti sono stati reclutati tra quelli recatisi presso l’IRCCS Stella Maris per

l’inquadramento clinico e terapeutico e valutati due volte a distanza di non più di 7 giorni

tra una valutazione e l’altra.

Per quanto riguarda i criteri di inclusione, i pazienti reclutati potevano presentare

qualunque forma di disturbo del movimento, non dovevano essere in trattamento o, se in

trattamento, questo non doveva subire nessuna modificazione tra la prima e la seconda

valutazione e doveva essere stabile da almeno tre mesi.

Caratteristiche della popolazione 4-18

La popolazione 4-18 selezionata per il test-retest è costituita da 10 soggetti, giunti

progressivamente in Istituto dal dicembre 2013 al marzo 2014 per l’inquadramento clinico

e terapeutico di un disturbo del movimento. Tale popolazione è costituita da 9 maschi ed 1

femmina di età compresa tra i 5 anni e 4 mesi e i 17 anni e 9 mesi (età media 10,1 anni ±

4,5)

I pazienti presentavano i seguenti MD (Figura 4.2.1):

7 pazienti presentavano distonia;

1 paziente presentava mioclono;

1 paziente presentava tremore;

1 paziente presentava tic.

Dal punto di vista eziopatogenetico, i pazienti si suddividevano come segue (Figura 4.2.2):

3 pazienti presentavano Paralisi Cerebrale Infantile discinetica;

1 paziente presentava Sindrome di Lesch-Nyan;

1 paziente presentava Sindrome di Tourette;

5 pazienti presentavano una causa attualmente non definita.

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81

Figura 4.2.1: distribuzione clinica MD nel campione 4-18

Figura 4.2.2: distribuzione eziopatogenetica nel campione 4-18

Abbreviazioni: PCI= Paralisi Cerebrale Infantile

70%

10%

10%

10%

Distonia

Mioclono

Tremore

Tic

50%

30%

10%

10%

Non definito

PCI discinetica

Sindrome di Lesch-Nyan

Sindrome di Tourette

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82

Caratteristiche del campione 0-3

La popolazione 0-3 selezionata per il test-retest è costituita da 10 pazienti, giunti

progressivamente in Istituto da luglio 2013 a luglio 2014 per un inquadramento clinico e

terapeutico di un disturbo del movimento. Questa popolazione di pazienti è costituita da 7

maschi e 3 femmine di età compresa tra 1 anno e 3 mesi e 3 anni e 8 mesi (età media 2,4

anni

I pazienti presentavano i seguenti MD (Figura 4.2.3):

8 pazienti presentavano distonia;

2 pazienti presentavano sindrome ipocinetica rigida.

Dal punto di vista eziopatogenetico, i pazienti si suddividevano come segue: (Figura 4.2.4)

5 pazienti presentavano Paralisi Cerebrale Infantile discinetica;

1 paziente presentava mutazione del gene ARX;

1 paziente presentava encefalopatia mitocondriale;

1 paziente presentava kernicterus;

1 paziente presentava esiti di encefalopatia batterica;

1 paziente presentava una causa attualmente non definita.

Figura 4.2.3: distribuzione clinica MD nel campione 0-3

20%

80%

Sindrome ipocinetica-rigida

Distonia

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83

Figura 4.2.4: distribuzione eziopatogenetica nel campione 0-3

Abbreviazioni: PCI = Paralisi Cerebrale Infantile

Caratteristiche della popolazione selezionata per reliability tra tre operatori

I pazienti sono stati selezionati dal database presente in Istituto, in cui si inseriscono

progressivamente tutti i pazienti affetti da MD giunti per inquadramento clinico e

terapeutico, e scelti random tra quelli valutati dal 2007 al 2014.

Anche per il test di reliability tra tre operatori sono stati selezionati 20 pazienti, di cui 10

rientranti nella fascia di età 4-18 anni, a cui è stata somministrata la MD-CRS 4-18, e 10

rientranti nella fascia di età 0-3anni, a cui è stata somministrata la MD-CRS 0-3.

Caratteristiche della popolazione 4-18

La popolazione 4-18 selezionata per lo studio di reliability tra tre operatori è costituita da

10 soggetti, di cui 5 maschi e 5 femmine, di età compresa tra 5 anni e 6 mesi e 18 anni e 11

mesi (età media 12,4 anni

I pazienti presentavano i seguenti MD: (Figura 4.2.5)

6 pazienti presentavano distonia;

2 pazienti presentavano corea;

1 paziente presentava sindrome ipocinetica rigida;

50%

10%

10%

10%

10%

10%

PCI discinetica

Kernicterus

Non definito

Mutazione ARX

Encefalopatia mitocondriale

Esiti di encefalopatia batterica

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84

1 paziente presentava mioclono.

Dal punto di vista eziopatogenetico, i pazienti si suddividevano come segue: (Figura 4.2.6)

6 pazienti presentavano Paralisi Cerebrale Infantile discinetica;

2 pazienti presentavano distonia primaria;

1 paziente presentava mutazione del gene TTF-1;

1 paziente presentava gangliosidosi di tipo 2.

Figura 4.2.5: distribuzione clinica MD nel campione 4-18

60% 10%

20%

10%

Distonia

Sindrome ipocinetica-rigida

Corea

Mioclono

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85

Figura 4.2.6: distribuzione eziopatogenetica nel campione 4-18

Abbreviazioni: PCI= Paralisi Cerebrale Infantile; GM2 = Gangliosidosi di tipo 2

Caratteristiche del campione 0-3

La popolazione 0-3 selezionata per lo studio di reliability tra tre operatori è costituita da 10

pazienti, di cui 8 maschi e 2 femmine, di età compresa tra 1 anno e 8 mesi e 4 anni (età

media 2,6 anni

I pazienti presentavano i seguenti MD (Figura 4.2.7):

9 pazienti presentavano distonia;

1 paziente presentava corea.

Dal punto di vista eziopatogenetico, i pazienti si suddividevano come segue (Figura 4.2.8):

7 pazienti presentavano Paralisi Cerebrale Infantile discinetica;

1 paziente presentava paraplegia spastica ereditaria;

2 pazienti presentavano una causa attualmente non definita.

60% 20%

10%

10%

PCI discinetica

Distonia primaria

Mutazione TTF-1

GM2

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86

Figura 4.2.7: distribuzione clinica MD nel campione 0-3

Figura 4.2.8: distribuzione eziopatogenetica nel campione 0-3

Abbreviazioni: PCI= Paralisi Cerebrale Infantile; HSP = paraplegia spastica

ereditaria

90%

10%

Distonia

Corea

70%

20%

10%

PCI discinetica

Non definito

HSP

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87

4.3 Analisi statistica

Gli indici ottenuti in seguito alle somministrazioni della scala sono stati sottoposti ad

un’analisi statistica in base al sistema di tecniche statistiche ANOVA.

La variabilità intra-rater (stesso operatore-due osservazioni) e inter-rater (tre diversi

operatori) è stata valutata con l’ICC (Intraclass Correlation Coefficient) usando un

modello di effetti random a due vie e una definizione di completa concordanza sotto

l’assunzione del modello parallelo. L’ICC è un coefficiente che descrive quanto fortemente

le unità di uno stesso gruppo si somigliano l’un l’altra. Questo indice è compreso tra 0 e 1.

Un valore di ICC 0,0-<0,1 è considerato “triviale”, ≥0,1-<0,2 “piccolo”, ≥0,3-<0,5

“moderato”, ≥0,5-<0,7 “ampio”, ≥0,7-<0,9 “molto ampio” e ≥0,9-1 “quasi perfetto”.

Inoltre è stata effettuata un’ANOVA per misure ripetute.

Per il test-retest, è stata calcolata la media ± SD (deviazione standard) e gli intervalli di

confidenza (C.I.: Confidence Interval) al 95% dei valori degli Index I, Index II e del

Global Index delle due valutazioni effettuate, sia per il campione 4-18 che per il campione

0-3. Per il test di reliability tra tre operatori è stata calcolata la media ± SD e C.I. al 95%

dei valori degli Index I, Index II e del Global Index scorati da ciascuno degli operatori

coinvolti, sia per il campione 4-18 che per il campione 0-3. Il C.I. al 95% comprende un

intervallo di valori che tiene conto della variabilità del campione, in modo tale che si possa

confidare con margine di certezza ragionevole (appunto il 95%) che quell’intervallo

contenga il valore vero dell’intera popolazione che non è stata esaminata.

Sia per il test-retest che per il test di reliability tra tre operatori è stato calcolato il p-value

o valore p. Il valore p di un test di verifica di ipotesi indica il minimo livello

di significatività per il quale l'ipotesi nulla (cioè l'ipotesi che si vuole verificare nel test)

viene rifiutata, ovvero l'ipotesi nulla viene rifiutata se il test fornisce un valore p inferiore

al livello di significatività del test o se superiore viene accettata. Una serie di dati viene

detta statisticamente significativa se p ≤ 0,05 (ovvero il 5%). Nel caso di confronti multipli

occorre effettuare la correzione di Bonferroni, per cui per la reliability inter-operatore il

valore p viene ritenuto statisticamente significativo se p ≤ 0,017.

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88

4.4 Risultati

4.4.1 Risultati per lo studio di variabilità intra-rater (test-retest)

La variabilità intra-rater è risultata essere “quasi perfetto”, con valori di ICC sempre

compresi tra 0,95 e 0,99 in tutte le analisi e per entrambe le versioni della scala.

Nella tabella 4.4.1 sono riportati i risultati dell’analisi del test-retest. Nello specifico, è

riportata la media ± SD dei valori dell’Index I, dell’Index II e del Global Index sia per il

campione 4-18 che per il campione 0-3 e calcolati sia per il Test 1 che per il Test 2 (che

rappresentano rispettivamente la valutazione al tempo 0 e quella a distanza di una

settimana). Nella tabella sono rappresentati anche i valori dell’indice p. I nostri dati

mostrano che p è sempre abbondantemente ≥ 0,05, con valori che variano da p=0,137 a

p=0,705. Possiamo inoltre osservare che i valori di ICC rientrano sempre nel range ≥ 0,9-1

(“quasi perfetto”), con valori che vanno da 0,95 a 0,99. È stato infine calcolato il C.I. al

95%.

Tabella 4.4.1: risultati test-retest

Variabilità intra-rater

4-10 anni (n.=10) Test 1 Test 2

media±sd media±sd p ICC 95%

C.I.

Index I 0.44±0.28 0.42±0.31 0.301 0.98 0.93-

0.99

Index II 0.48±0.17 0.46±0.20 0.137 0.95 0.80-

0.99

Global Index 0.45±0.23 0.43±0.25 0.210 0.97 0.90-

0.99

0-3 anni (n.=10)

Index I 0.59±0.20 0.57±0.20 0.290 0.96 0.86-

0.99

Index II 0.44±0.19 0.46±0.18 0.279 0.95 0.82-

0.99

Global Index 0.53±0.18 0.52±0.19 0.705 0.99 0.97-

1.00

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89

I risultati del test-retest sono inoltre riportati nelle figure 4.3.1 e 4.3.2, nelle quali vengono

confrontati i valori medi degli Index I, Index II e del Global Index ottenuti nei due test di

valutazione (Test 1 e Test 2) sia per il campione 4-18 (Figura 4.4.1), sia per quello 0-3

(Figura 4.4.2). Dalle immagini risulta evidente che le medie degli Index I nei Test 1 e 2 si

discostano molto poco tra di loro e stessa cosa accade per l’Index II e per il Global Index in

entrambi i gruppi di pazienti, con una differenza tra le due medie che è sempre di 0,02 per

il campione 4-18 e che varia da 0,01 a 0,02 nel campione 0-3. La concordanza tra i valori

delle medie degli indici nei due tempi è quindi in tutti i casi molto alta, come dimostrano

anche i valori di ICC ≥0,9-1 (“quasi perfetto”).

Figura 4.4.1: comparazione risultati test retest 4-18

Comparazione tra gli Index I

Comparazione tra gli Index II

0,44 0,42

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Test 1 Test 2

0,48

0,46

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Test 1 Test 2

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90

Comparazione tra i Global Index

Figura 4.4.2: comparazione risultati test-retest 0-3

Comparazione tra gli Index I

0,45 0,43

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Test 1 Test 2

0,59 0,57

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

0,65

0,7

Test 1 Test 2

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91

Comparazione tra gli Index II

Comparazione tra i Global Index

4.4.2 Risultati per lo studio di variabilità inter-rater (test di reliability tra tre operatori)

Per quanto riguarda la variabilità inter-rater, per prima cosa è stata valutata la concordanza

riguardo il MD assegnato a ciascun paziente come prevalente (e quindi scorato). È risultato

che la concordanza tra gli operatori per quanto riguarda questa sezione è stata del 100%,

premessa fondamentale in quanto gli operatori dovevano scorare necessariamente lo stesso

MD in ciascun paziente, in modo tale che i dati fossero comparabili.

La variabilità inter-rater ha raggiunto un livello di concordanza meno alta rispetto a quella

raggiunta dal test-retest, con valori compresi tra “ampio” e “quasi perfetto” (ICC: 0,50-

0,95). In particolare, i valori di correlazione più bassi sono stati osservati per l’Index II, sia

per quanto riguarda il gruppo di pazienti 4-18 che per il gruppo di pazienti 0-3.

0,44 0,46

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Test 1 Test 2

0,53 0,52

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Global Index Test 1

Global Index Test 2

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92

I risultati relativi al test di reliability tra tre operatori (inter-observer) sono mostrati nella

tabella 4.4.2. In questo caso è stata calcolata la media ± SD dei valori degli Index I, Index

II e del Global Index calcolati da ciascuno degli operatori coinvolti nello studio (Observer

A, Observer B e Observer C). Questo calcolo è stato fatto sia per il campione 4-18 che per

il campione 0-3.

È stato inoltre calcolato il valore p. Vediamo che in questo caso, per l’Index II nel

campione 4-18 e per il Global Index nel campione 0-3, i valori p sono ≤ 0,05, ma sono

superiori a 0,017, limite di significatività da considerare per la correzione di Bonferroni.

I valori di ICC sono qui compresi tra 0,50 e 0,96, variando quindi da “ampio” a “quasi

perfetto”, con valori più bassi osservabili all’Index II, sia per il campione 4-18 (ICC=0,50)

che per il campione 0-3 (ICC=0,60). Anche per il test di reliability tra tre operatori è stato

calcolato il C.I. al 95%.

Tabella 4.4.2: risultati reliability tra tre operatori

Variabilità inter-rater

4-18 anni (n.=10) Osservatore

A

Osservatore

B

Osservatore

C

media±ds media±ds media±ds p ICC 95%

C.I

Index I 0.31±0.19 0.30±0.18 0.28±0.18 0.274 0.96 0.89-

0.99

Index II 0.36±0.12 0.46±0.25 0.54±0.24 0.037 0.50 0.14-

0.82

Global Index 0.33±0.15 0.35±0.17 0.37±0.18 0.341 0.88 0.71-

0.97

0-3 anni (n.=10)

Index I 0.49±0.13 0.46±0.10 0.51±0.13 0.129 0.85 0.63-

0.96

Index II 0.58±0.24 0.63±0.21 0.75±0.16 0.074 0.60 0.23-

0.87

Global Index 0.53±0.17 0.53±0.13 0.61±0.12 0.038 0.72 0.38-

0.91

Le figure 4.3.3 e 4.3.4 mostrano i valori medi degli Index I, Index II e del Global Index

ottenuti dagli score dei tre operatori (Observer A, B e C) sia per il campione 4-18 (Figura

4.4.3), che per il campione 0-3 (Figura 4.4.4). Possiamo notare dalle figure che la

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93

concordanza varia da “quasi perfetto”, come nella comparazione degli Index I nel

campione 4-18 della Figura 4.4.3, a “molto ampio”, come nella comparazione dei Global

Index per il campione 4-18 e degli Index I e del Global Index del campione 0-3, fino ad

“ampio”, come nella comparazione degli Index II sia del campione 4-18 che del campione

0-3 (Figure 4.4.3 e 4.4.4). Si possono quindi notare i livelli di concordanza meno alti

rispetto a quelli osservati per il test-retest, in particolare per l’Index II, indice che

effettivamente presenta le maggiori difficoltà e richiede le maggiori abilità

nell’assegnazione del punteggio relativo ad ogni item.

Figura 4.4.3: comparazione risultati reliability tra tre operatori 4-18

Comparazione Index I

Comparazione Index II

0,31 0,30 0,28

0,15

0,2

0,25

0,3

0,35

0,4

0,45

Observer A Observer B Observer C

0,36

0,46

0,54

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Observer A

Observer B

Observer C

ICC: 0,96

ICC: 0,50

Page 99: “Validazione della ‘Movement Disorder Childhood Rating ... · follow-up dei pazienti con disturbi del movimento, il quale si è rivelato di grande utilità per il lavoro quotidiano

94

Comparazione Global Index

Figura 4.4.4: comparazione risultati reliability tra tre operatori 0-3

Comparazione Index I

0,33 0,35

0,37

0,2

0,25

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

Operatore A

Operatore B

Operatore C

0,49

0,46

0,51

0,3

0,35

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

Observer A Observer B Observer C

ICC: 0,88

ICC: 0,85

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95

Comparazione Index II

Comparazione Global Index

0,58

0,63

0,75

0,5

0,55

0,6

0,65

0,7

0,75

0,8

Observer A Observer B Observer C

0,53 0,53

0,61

0,4

0,45

0,5

0,55

0,6

0,65

0,7

Observer A Observer B Observer C

ICC: 0,60

ICC: 0,72

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96

4.5 Discussione

La Movement Disorder-Childhood Rating Scale (MD-CRS) è nata dall’esigenza di creare

uno strumento che fosse specifico per il paziente in età evolutiva e che fosse in grado di

valutare le caratteristiche cliniche di diversi tipi di MD, a differenza delle scale sviluppate

precedentemente che erano state riadattate da quelle per l’adulto o che erano state

progettate per valutare un singolo determinato MD.

Studi di verifica dell’affidabilità e della validità dello strumento erano stati già

precedentemente eseguiti ed erano stati condotti da operatori esperti in MD in età evolutiva

coinvolti nella creazione della scala (Battini et al., 2008, 2009). Inoltre, dagli stessi autori è

stata dimostrata, tramite un recente studio, anche l’ottima capacità della MD-CRS di

rilevare minimi cambiamenti (scale responsiveness): in tale studio sono stati valutati 47

pazienti affetti da Paralisi Cerebrale Infantile (PCI) discinetica, seguiti in follow up per un

anno e valutati con la MD-CRS prima dell’inizio del trattamento con farmaci

anticolinergici, dopo sei mesi e dopo un anno dall’inizio di tale trattamento (Battini et al.,

2014).

Con questo lavoro di tesi si è voluto cercare un approfondimento degli studi di validità e

affidabilità dei risultati ottenuti precedentemente nell’ottica di ampliare lo studio del test-

retest con un numero di pazienti più ampio e di verificare la validità dello strumento con

operatori diversi dai primi studi, in particolare con operatori non coinvolti direttamente

nella creazione della scala.

I risultati ottenuti appaiono pressoché sovrapponibili a quelli dei precedenti studi. In

particolare, in quegli studi i valori di ICC inter-rater ottenuti per tutti e tre gli indici (Index

I, Index II e Global Index) rientravano nel range ≥ 0,9-1, ovvero “quasi perfetto”. Anche il

valore del coefficiente di affidabilità inter-rater per ciascun item delle Parti I e II rientrava

nel range ≥ 0,9-1 e il confronto della media e della mediana ottenute dagli score degli

Index I, Index II e Global Index e della Class I, Class II e Global Class (vedi Capitolo III,

paragrafo 3.2.10) assegnati da ciascuno degli operatori aveva dimostrato un’elevatissima

concordanza. Questi risultati erano stati ottenuti sia sulla MD-CRS 4-18, che sulla 0-3. Si

era quindi dimostrato che la scala, in entrambe le sue versioni, è uno strumento adeguato

ed efficiente nell’inquadramento diagnostico, nella misura di gravità del MD, nella

valutazione dell’impatto che il disturbo ha sullo sviluppo e sul funzionamento del bambino

e nella misura dell’outcome di questi disturbi (Battini et al., 2008, 2009).

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97

Questo studio è stato svolto da diversi operatori, preparati tramite un corso di formazione e

un training specifico all’utilizzo della MD-CRS da parte dei creatori della scala, così come

è stato fatto per altre scale presenti in letteratura (scala DIS, Monbaliu et al., 2013).

Il campione di pazienti reclutato per lo studio oggetto di questa tesi è stato selezionato in

maniera randomizzata tra i pazienti valutati presso l’IRCCS Stella Maris e conformi ai

criteri di inclusione, in modo che il campione selezionato rispecchiasse la distribuzione dei

MD nella popolazione infantile.

Nel campione selezionato per il test-retest, come precedentemente specificato, i pazienti

dovevano essere liberi da trattamento o potevano essere in trattamento, purché non fosse

avvenuta alcun tipo di modifica nei tre mesi precedenti all’esecuzione del video e,

ovviamente, nell’intervallo tra i due video realizzati. I due video dovevano essere realizzati

a distanza di non più di 7 giorni l’uno dall’altro.

Per quanto riguarda il campione selezionato per il test di reliability tra tre operatori, i

pazienti sono stati selezionati in maniera randomizzata tra quelli presenti nel database

dell’IRCCS Stella Maris e videoregistrati secondo il protocollo previsto dalla MD-CRS, in

modo che la distribuzione delle patologie del campione riflettesse il più possibile quella

della popolazione generale. Nella selezione non si è tenuto conto del fatto che i pazienti

fossero in trattamento o meno.

Osservando i nostri campioni, possiamo vedere come la diagnosi nettamente prevalente

fosse quella di distonia (per il test-retest: 70% nel campione 4-18, 80% nel campione 0-3;

per il test di reliability tra tre operatori: 60% nel campione 4-18, 90% nel campione 0-3).

Questo dato è in linea con la distribuzione diagnostica dei MD nella popolazione generale,

in quanto la distonia è il disturbo del movimento più frequente in età evolutiva dopo i tic

(Alvarez, 2001). Ricordiamo però che, per quanto riguarda i tic, nonostante la MD-CRS

possa inquadrarli e valutarli clinicamente, non è la scala più specifica, esistendo infatti

scale disegnate specificatamente per il disturbo da tic (vedi Capitolo III paragrafo 3.2.8);

inoltre i tic più spesso interferiscono in minor misura sul funzionamento e sullo sviluppo

del bambino rispetto alla distonia. Per questo motivo la ricerca randomizzata nel database

dell’Istituto per il test di reliability tra tre operatori e la selezione del campione di pazienti

per il test-retest tra quelli giunti progressivamente in Istituto ha dato un campione

prevalentemente distonico.

Dal punto di vista eziologico, vediamo che la causa di MD predominante nella maggior

parte dei gruppi di pazienti è la Paralisi Cerebrale Infantile discinetica (PCI discinetica).

Nella popolazione di pazienti selezionati per il test-retest, la PCI è presente nel 30% dei

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98

pazienti del gruppo 4-18 e nel 50% di quelli del gruppo 0-3, mentre nel gruppo di pazienti

selezionati per il test di reliability tra tre operatori, la PCI è presente nel 60% dei pazienti

appartenenti al gruppo 4-18 e nel 70% dei pazienti appartenenti al gruppo 0-3. Dobbiamo

però specificare che nel gruppo 4-18 del test-retest, nella maggior parte dei pazienti del

campione (50%), l’eziopatogenesi è ancora in corso di definizione e solo il 30% ha una

PCI diagnosticata.

Le PCI sono invalidità motorie o posturali conseguenti a danni cerebrali prodotti da fattori

genetici o da noxae prenatali, perinatali o postnatali (Panizon, 2005). Esse hanno una

prevalenza nei paesi occidentali di 2-3 casi su 1000 nati vivi. Le cause più comuni sono

lesioni ischemiche verificatesi nel periodo fetale ed encefalopatie ipossico-ischemiche-

emorragiche, post-asfittiche o legate allo stato di prematurità nel periodo perinatale

(Panizon, 2005). La PCI discinetica è il tipo di Paralisi Cerebrale più frequente dopo la PCI

spastica, con una prevalenza che varia dal 6,5% al 14,4% (Cans et al., 2002; Bax et al.,

2006), ed è quindi una causa frequente di disturbi del movimento nell’infanzia, soprattutto

quando le lesioni riguardano i gangli basali e il talamo (Krӓgeloh-Mann and Cans, 2009).

La PCI discinetica è inoltre associata ad un’invalidità motoria più severa rispetto ad altri

tipi di Paralisi Cerebrale (Himmelmann et al., 2007).

Su questa popolazione di pazienti così selezionata è stata quindi somministrata la scala per

raccogliere i dati da analizzare.

Osservando i risultati ottenuti dall’analisi statistica dei nostri dati, è stato confermato che

anche per operatori non direttamente coinvolti nella creazione della scala i risultati di

concordanza sono ottimi.

Con il test-retest, la concordanza intra-operatore si è rivelata essere eccellente. Dal

confronto delle medie, possiamo vedere che gli indici dei due tempi si discostano solo

minimamente fra di loro, con una differenza che non influisce sull’inquadramento

generale, con p ampiamente superiore al livello di significatività e un ICC ≥ 0,95 e quindi

abbondantemente rientrante nel range ≥ 0,9-1 (Tabella 4.4.1). Quanto detto vale per il

confronto sia degli Index I, Index II e Global Index relativi alla MD-CRS 4-18, sia per

quelli relativi alla MD-CRS 0-3 (Figure 4.4.1, 4.4.2). Questo risultato è in linea con quanto

ci si aspettava, avendo valutato il paziente in due momenti poco distanti nel tempo e in

assenza di variazioni terapeutiche.

Il fatto che il risultato descritto valga sia per il campione 4-18, sia per il campione 0-3,

indica che la fascia di età dei pazienti non influisce sul risultato e che la concordanza

risponde al livello di “quasi perfetto” per entrambe le fasce di età.

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99

Nel test di reliability tra tre operatori, i risultati osservati sono meno uniformi. Per quanto

riguarda la versione 4-18 della scala, dall’analisi dei risultati ottenuti possiamo osservare

che: per quanto riguarda le medie degli Index I (l’Index ottenuto dai punteggi assegnati

nella Parte I della scala che indaga le abilità grosso-motorie), la concordanza è elevatissima,

con ICC di 0,96 e quindi con valore di “quasi perfetto”, con p non significativo e le medie

degli Index I assegnati dai 3 operatori che si discostano poco tra loro. Per quanto riguarda

le medie degli Index II (l’Index ottenuto in seguito alla valutazione di quanto il MD

influisca sul funzionamento delle varie parti del corpo), vediamo che i risultati si

discostano maggiormente tra i tre operatori (ICC=0,50 ovvero “ampio”). Di conseguenza,

si discostano anche i risultati ottenuti dalle medie dei Global Index (ICC=0,80 ovvero

“molto ampio”) (Tabella 4.4.2, Figura 4.4.3).

Analizzando anche i risultati ottenuti sul campione 0-3 del test di reliability tra tre

operatori, vediamo che essi sono assimilabili a quelli del campione 4-18, sebbene per

l’Index I si sia raggiunta una concordanza leggermente minore rispetto a quella raggiunta

nel campione 4-18 (ICC=0,85 ovvero “molto ampio”). Anche in questo caso, i valori di

concordanza minori si osservano per l’Index II (ICC=0,60 ovvero “ampio”; Global Index

0-3: ICC= 0,72 ovvero “molto ampio”) (Tabella 4.4.2, Figura 4.4.4).

L’analogia di risultati tra le due versioni della scala indica che il fattore età non incide sui

risultati di reliability tra più operatori, al pari di quanto osservato nel test-retest.

Per discutere da cosa derivasse la differenza nella concordanza relativa all’Index II rispetto

all’Index I e rispetto agli studi precedenti (dove la concordanza era molto elevata per tutti

gli indici, Index II compreso, per entrambe le versioni della MD-CRS), abbiamo ipotizzato

che la differenza di concordanza possa dipendere proprio dalla minore esperienza degli

operatori, essendo inclusi nel lavoro operatori che non avevano un’esperienza clinica e/o

una dimestichezza all’uso dello strumento di lunga data.

La differenza dei risultati di concordanza tra buoni per l’Index I e più bassi per l’Index II

potrebbe dipendere dal fatto che nella valutazione delle capacità grosso-motorie il

punteggio dell’Index I è di più immediata assegnazione, in quanto ci si può avvalere di

criteri temporali o spaziali. Per esempio, nell’item 1 della Parte I (“head control”) sia per la

MD-CRS 4-18 che per la 0-3, dovendo conteggiare i secondi in cui il paziente riesce a

mantenere il controllo del capo, il margine di errore possibile è davvero minimo, potendoci

basare sul parametro tempo in secondi (lo stesso vale per altri item, come gli item 2 e 3

della Parte I di entrambe le versioni della scala). Stessa cosa vale per i parametri spaziali,

come accade nell’item 4 sia per la scala 4-18 che per la 0-3, ossia per l’item “walking”, in

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100

cui ci si deve basare sul numero di metri che il paziente riesce eventualmente a percorrere

(Appendici 1 e 2). Anche l’assegnazione del punteggio di altre abilità grosso-motorie

risulta chiara, come per esempio per gli item 5, 6 e 7 nella MD-CRS 4-18 e 5 e 6 della 0-3,

in cui il grado di funzionamento del paziente relativamente all’azione richiesta lascia pochi

dubbi, se ci si basa sulla descrizione fornita dalla scala (Appendici 1 e 2).

La difficoltà nell’assegnare il punteggio per gli item della Parte II può essere dovuta al

fatto che non si deve solo giudicare quanto il MD influisca sull’esecuzione del task

richiesto, ma anche la diffusione del MD in regioni corporee diverse rispetto a quella

esaminata tramite il task specifico.

Personalmente, come operatore, ho effettivamente riscontrato le difficoltà maggiori

nell’assegnazione del punteggio negli item della Parte II e, in particolare, nella valutazione

degli item 2 (“face”), 4 (“neck”) e 5 (“trunk”), soprattutto nella versione 4-18 nella scala,

visto che i task richiesti ai pazienti più grandi sono più complessi e numerosi. Per quanto

riguarda gli item 4 e 5, la difficoltà che ho riscontrato stava principalmente nel capire se

una regione corporea fosse soggetta a diffusione del disturbo del movimento oppure se

l’anomalia osservata fosse dovuta a un meccanismo di compenso messo in atto dal

paziente per eseguire uno specifico compito in seguito all’attivazione degli arti. Nello

scorare l’item 2 (“face”) invece, i dubbi principali venivano dal dover scegliere se un MD

era a partenza dalla regione “viso” o se il movimento originasse da “lingua e regione

periorale” con diffusione solo successiva al viso.

I dubbi che mi si proponevano in questi casi venivano però fugati da un’attenta e, se

necessaria, ripetuta visione del filmato. In altre parole, l’assegnazione del punteggio agli

item della Parte II della MD-CRS mi è risultata meno immediata rispetto alla Parte I,

richiedendo un’analisi più accurata.

Per spiegare questa difficoltà, l’ipotesi più ragionevole è che nell’assegnazione del

punteggio degli item della Parte II, una esperienza clinica e un buon esercizio nell’uso

della scala aiutano notevolmente nell’assegnazione del punteggio più corretto.

Verosimilmente questa è anche la ragione principale della differenza riscontrata tra i nostri

risultati e quelli degli studi precedenti, essendo l’esperienza degli operatori la principale

discriminante tra i due studi.

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101

4.6 Conclusioni

In base ai nostri risultati, possiamo affermare che la MD-CRS è uno strumento di facile

apprendimento anche per operatori non esperti in MD e che, come verificato dagli studi

precedenti, presenta un’eccellente reliability intra-operatore anche quando somministrata

da operatori non esperti della scala, ma preparati in maniera opportuna e approfondita.

Lo studio di reliability inter-operatore ha dimostrato che anch’essa è molto buona, seppure

si siano evidenziate alcune discordanze rispetto agli studi precedentemente eseguiti,

verosimilmente correlate all’assegnazione dei punteggi effettuata da operatori con minore

expertise nell’ambito dei disturbi del movimento in età evolutiva.

In conclusione, il nostro studio conferma i risultati degli studi precedentemente acquisiti e

riafferma la validità del nuovo strumento nell’analisi diagnostica e prognostica dei disturbi

del movimento in età evolutiva.

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102

APPENDICE 1

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APPENDICE 2

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