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ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P. a Noi “La parola” “La parola” Tariffa Associazioni senza fini di lucro: “Poste Italiane S.p.A.” - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/03 (convertito in legge 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 2 DCB TA

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ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.

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Questo periodico è as so cia to alla Unione StampaPeriodica Italiana

ommarioSEditoriale ........................................................... Pag. 3

La ASL di Taranto si dota del Comitato Unico di Garanzia » 4

Diario di una dottoressa con la padella ...................... » 17

Progetto di valutazione di Coordinatore Infermieristico » 20

Il gel piastrinico della speranza .............................. » 25

La f issazione esterna:aspetti dell’assistenza infermieristica ....................... » 26

Il ruolo del Coordinatore Infermieristiconel percorso educativo del bambino diabetico ............ » 38

In viaggio con... “Nardino” ..................................... » 40

La consulenza infermieristica .................................. » 44

Abbracciamo un sogno .......................................... » 54

Mi sento un po’ pazza ............................................ » 56

Programma Scientifi co ........................................... » 57Informutili ......................................................... » 58

Rassegna Stampa .................................................. » 61

Il Collegio interviene ............................................ » 64

Master Management Infermieristico ........................ » 65

Master Universitario .............................................. » 66

AVVISOLa redazione si riserva la valutazione degli articoli inviati, il rimaneggiamento del testo, la pubblicazione secondo esigenze giornalistiche. Il materiale inviato non è restituito.

Fotocomposizione e stampaStampa Sud spa - Mottola (Ta)

www.stampa-sud.it

Reg. Trib. di Taranto n. 462/94decreto del 23/03/1994

Direttore ResponsabileBenedetta Mattiacci

Coordinamento editorialee redazionale

Emma Bellucci Conenna

Hanno collaborato:

Benedetta MattiacciGiovanni ArgeseAngela CarreraAttilio GualanoItalia CiminoGirolama de GennaroSabina Borraccino

Comitato di RedazioneG. ArgeseL. CalabreseE. De Santis

A. GualanoG. MeccaF. Perrucci

Collegio IPASVIVia Salinella, 15

Tel. 099.4592699 - Fax 099.4520427www.ipasvitaranto.it - [email protected]

orari di apertura al pubblicolunedì - mercoledì - venerdì

9,00- 12,00martedì 15,00 - 17,30venerdì 17,00 - 19,00

Francesca BrunoChiara OriginaleMaria D. PalmasFilomena PerrucciNatalina SegoloniPierpaolo VolpeElena De Santis

ANNO XVIII Numero 2 - Settembre 2012 PERIODICO TRIMESTRALE DI INFORMAZIONE - SPEDIZIONE IN A.P.

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Editoriale

Benedetta MattiacciPresidente Collegio IPASVIL’editoriale

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lmeno 2500 nuove unità di personale in Puglia per garantire i LEA”.La dichiarazione è dell’assessore regio-nale alla salute Ettore Attolini che, nella relazione generale sulla sanità puglie-se, ha paventato anche la chiusura dei

pronto soccorso senza, peraltro, fare cenno alcuno allo stato dei nuovi ospedali sui quali è calata una cortina di silenzio, dopo enfatici e trionfalistici annunci.La situazione è nel complesso disastrosa per la riduzio-ne dei fi nanziamenti, per il continuo vivere alla giornata e all’insegna di tagli, di chiusura dei servizi ai cittadini, di conferma degli sprechi. Di fatto un Piano di rientro che fi nora ha prodotto chiusure e dismissioni senza l’attiva-zione di servizi alternativi. Sconfortanti i dati:

a) 5000 unità di personale sanitario fuoriuscite come conseguenza della combinazione blocco del tur-nover-legge Fornero;

b) chiusura di 22 presidi ospedalieri (gli ultimi due entro la fi ne dell’anno) - nella Asl Taranto ad oggi chiusi gli ospedali di Massafra e Mottola, ma le previsioni sono di ulteriori tagli -;

c) riduzione per il prossimo anno di 800 posti letto e di punti nascita.

A fronte, la mancata riconversione e il mancato poten-ziamento del territorio, tanto che di recente dal Governo, nel monitoraggio trimestrale delle regioni sottoposte al piano di rientro, sono giunte sollecitazioni per l’attuazio-ne di programmi e riconversioni. Risposte inevase quel-le inviate per il monitoraggio, ulteriore conferma di una sanità pugliese decisamente in crisi, carente di modelli organizzativi e gestionali nuovi, anche se esistono timidi tentativi come il progetto Nardino che vede la presenza del care manager ovvero dell’infermiere che prende in carico la persona affetta da “patologie croniche nell’otti-ca del continuum assistenziale, attraverso l’acquisizione di tecniche e strategie specifi che”.Parliamo di “timidi tentativi” perché la realizzazione del progetto si presenta irto di diffi coltà, incontra una se-quela di palizzate erette da chi vede nel care manager un usurpatore o, se vogliamo, un “invasore di campo”. Ecco allora che, se il progetto Nardino è realtà nella ASL leccese, nelle altre Asl è speranza. Non vogliamo lasciarci andare ad inutili sofi smi ma è d’obbligo rico-noscere che sono anche i paletti, anche i bastian con-trario a rallentare il cammino verso una sanità nuova, in linea con i bisogni e le esigenze della popolazione. Così il progetto Nardino, che si sviluppa nei comuni oggetto di riconversione ospedaliera ed impiega infermieri con onere a carico dell’ARES, stenta a decollare nella ASL

TA, sebbene siano stati individuati i care manager e sul territorio si registri un vuoto effettivo di offerta sanitaria, tanto più grave in un momento di accertata escalation di patologie oncologiche, cardiovascolari, patologie su base allergica, esplose con la grande industria ed avalla-te dall’intervento della Magistratura che ha giustamente disposto il sequestro degli impianti inquinanti dell’ILVA. Esiste forse a livello di Governo Centrale la volontà di uno smantellamento del sistema di WELFARE, come af-fermato dall’assessore Attolini? Evidentemente, ma la nostra realtà è anomala anche in questo a giudicare da quanto accaduto nella casa di cura “S.Rita”, impossibi-litata ad evitare “il ricorso alla procedura di mobilità e/o di programmare ulteriori e diverse misure atte a fronteg-giare le conseguenze sul piano sociale derivanti dall’at-tuazione della medesima procedura” (di licenziamento collettivo per 26 unità). Dunque, da un lato infermieri che fanno paura, tacciati di invadenza del campo altrui (come per i care manager del Progetto Nardino), dall’al-tro infermieri ed altro personale sanitario licenziato per le contrazioni dei budgets, in mezzo malati i cui bisogni di salute non possono essere soddisfatti per la prevalenza delle “ragioni economico-fi nanziarie sui principi della uni-versalità ed equità delle cure”. Noi, no, non ci stiamo, non ci stiamo ad invadere campi altrui ed altrui competenze; non ci stiamo ad uno scadi-mento della qualità delle prestazioni né ad una riduzione delle opzioni; non ci stiamo, neppure, a vedere invadere il nostro campo di competenze. È accaduto, sta acca-dendo! E noi abbiamo sollevato dubbi di opportunità e di sostanziale applicazione in merito alla “selezione pub-blica per titoli e colloquio per eventuali incarichi a tempo determinato di Operatore Socio Sanitario per la tracheo bronco aspirazione del paziente non ospedalizzato”.Noi infermieri sappiamo che la pratica della bronco aspi-razione è estremamente delicata e riguarda pazienti ad alta complessità assistenziale, quindi passibili di eventi inattesi, fronteggiabili da chi ha esperienze acquisite per bagaglio scientifi co-culturale e lavorativo. È intuibile che qualche giornata di informazione non possa fornire le capacità per eseguire in maniera competente e corretta una pratica cosi importante; è fuori dubbio che la man-canza di competenza e correttezza si traduca in danni per il paziente, di rifl esso per quel servizio sanitario che ha operato una scelta economica – l’Oss piuttosto che l’Infermiere - e si ritrova gravato dal peso dell’errore. Da rifl ettere.Allora, la sanità pugliese, che vive una oggettiva dif-fi coltà, deve cominciare a sciogliere i molti nodi che la frenano, a districarsi in quel ginepraio che si ripercuote sull’offerta sanitaria e sulla qualità delle prestazioni, se non vorrà dichiarasi fallita!

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La ASL di Taranto, nel Marzo u.s., rispondendo ai richiami ordinamentali, che saranno trattati successivamente nell’articolo, si è dotata del Comitato Unico di Garanzia, organismo di rile-vanza strategica per la “garanzia” del “benes-sere organizzativo”e della lotta alle discrimina-zioni nell’ Azienda. Può apparire marginale per alcuni, oppure campanilistico, precisare che la “guida”di questo Comitato è stata affi data ad un Infermiere, precisamente a Battista Baccaro, neo Presidente, che dichiara:E’ certamente importante che l’Azienda sanita-ria tarantina, pur attraversata da momenti dif-fi cili che in alcuni momenti impongono scelte di razionalizzazione impopolari, abbia deciso di dotarsi di un organismo come il Comitato Unico di Garanzia, segnale della volontà di in-serire elementi di conoscenza su fenomeni di discriminazione che pure rischiano di esserci in una realtà lavorativa, per numero di addetti,

seconda della Provincia ionica dopo l’accia-ieria di Riva. Nella direttiva Ministeriale si af-ferma “che l’Amministrazione pubblica ha da essere un datore di lavoro esemplare”. Sono personalmente convinto che fenomeni di “di-scriminazione strisciante” rischiano di essere sottovalutati , è per questo che tra le prime azioni del CUG abbiamo deciso di avviare una fase conoscitiva, defi nita “del Buon Ascolto”, allo scopo di valutare, con metodologia scien-tifi ca, come viene percepita l’organizzazione aziendale ed i rifl essi sul benessere lavora-tivo. Certo, le risposte possono essere scon-tate, ma una cosa sono le sensazioni, altro è la rilevazione sistematica che certamente ci metterà nelle condizioni di offrire proposte e prospettare soluzioni. La stessa composizione del CUG vede al suo interno professionalità e competenze importanti, tali che potremo di-ventare un luogo di confronto e di elaborazio-

Dott. Giovanni ArgeseDottore Magistrale in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche

Infermiere UAL Crispiano - TA

LA ASL DI TARANTO SI DOTADEL COMITATO UNICO DI GARANZIA

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ne. Nell’immediato, l’apertura di uno sportello informatico potrà essere un primo momento di elaborazione del disagio, successivamente do-vremo passare al confronto con le varie realtà. Gli altri gruppi insediati, presieduti e coordinati ognuno da un componente, offriranno supporti importanti sulla legislazione regionale vigente. A tal riguardo la sottoscrizione della “Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro”, avvenuta il 18 giugno nella Sala del Consiglio regionale alla presenza del Governatore Nichi VENDOLA, apre un percorso di Confronto con la Consigliera regionale delle pari opportunità, Serenella MOLENDINI. Penso che avremo la possibilità di indicare ipotesi di inclusione la-vorativa, per esempio, per le lavoratrici che rientrano dalla maternità: in alcuni casi è spe-rimentabile il telelavoro, ma anche eventuali convenzioni agevolate con asili nido e ludote-che. Altro aspetto è quello della trasparenza delle procedure sulla fruizione dei diritti: sugge-riremo di uscire dalla “giungla” della modulisti-ca personalizzata per uffi cio. Accennavo prima

alla possibilità che il CUG possa divenire un luogo del confronto, oserei dire della possibile decantazione di eventuali confl itti. La presen-za importante delle Organizzazioni sindacali ci induce a ipotizzare un protocollo di relazioni con il Vertice strategico aziendale, che riaffermi il diritto a corrette relazioni anche al di là della burocratica prassi “dell’informazione” prevista dalla vigente legislazione che il più delle vol-te rappresenta la volontà di esautorare il ruolo delle organizzazioni dei lavoratori. Insomma, un impegno importante attende il CUG della nostra Azienda; il fatto, poi, che il Direttore Generale mi abbia indicato alla presidenza dell’organismo, è certamente un riconoscimen-to non solo di tipo personale, ma anche del va-lore della professione, avallato dalla presenza nel Comitato di altri colleghi, segnale che la nostra presenza è portatrice non di interessi di parte, ma rappresentativi di un enorme baga-glio di esperienze che sino a qui, consentitemi l’affermazione, ci è costato “sangue e sudore”. In ogni caso penso che conti anche il valore delle esperienze e la personale storia, non solo professionale. In sede di presentazione del Progetto CONCILIA ho avuto modo di afferma-re che il nostro compito, per la mole di lavoro, ci fa tremare i polsi, ma non arretreremo. La mia è una consapevolezza che si è formata, dappri-ma, nel movimento sindacale quindi nella lotta al superamento dello stigma della malattia men-tale per l’affermazione dei diritti dei “reclusi” nei manicomi. Come è stata dura la lotta per far riconoscere al disagio psichico solo la “dignità di malattia”! Poi il lavoro in emergenza sanitaria ed ho utilizzato proprio questa esperienza per evidenziare “il silenzio”- al limite dell’omertà - che aleggia nei luoghi dove veniamo chiamati per prestare soccorso a chi ha subito violenza, quasi sempre familiare e quasi sempre donne. Ecco il CUG, consapevoli dell’importanza del contributo di tutti, può servire a sollevare il velo “sul silenzio” delle discriminazioni. E sarà già un risultato. Esaurito il carattere giornalistico dell’argo-mento, per poter meglio comprendere il ruolo di questo Organismo sembra opportuno spie-garne in maniera più dettagliata i “compiti” e le origini.

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NASCITA DEL C.U.G. e sue prerogativeL’ordinamento italiano ha recepito i principi diffusi dall’Unione Europea in tema di pari op-portunità uomo/donna sul lavoro, contrasto ad ogni forma di discriminazione e mobbing. Nel 1988 il DPR 395 ha previsto la costituzione dei Comitati per le Pari Opportunità nella Pubblica Amministrazione attraverso la contrattazione collettiva (“in sede di contrattazione di com-parto saranno defi niti misure e meccanismi atti a consentire una reale parità uomo-donna nell’ambito del pubblico impiego”).Nel quadro dei recenti interventi di raziona-lizzazione dell’amministrazione pubblica, fra i quali, da ultimo, il decreto legislativo 27 ot-tobre 2009, n. 150, specifi camente fi nalizzato all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, si inserisce anche l’art. 21 della leg-ge 4 novembre 2010, n. 183 (c.d. «Collegato lavoro»), intervenuto in tema di pari opportuni-tà, benessere di chi lavora e assenza di discri-minazioni nelle amministrazioni pubbliche. La legge 183/2010, apportando alcune importan-ti modifi che agli articoli 1, 7 e 57 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, prevede, in particolare, che le pubbliche amministrazioni costituiscano (art. 57, comma 1) al proprio in-terno il “Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni”, che so-stituisce, unifi cando le competenze in un solo organismo, i Comitati per le pari opportunità e i Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing, costituiti in applicazione della contrattazione collettiva, dei quali assume tutte le funzioni pre-viste dalla legge, dai contratti collettivi relativi al personale delle amministrazioni pubbliche o da altre disposizioni1.In dettaglio:la Legge 4 novembre 2010, n. 183 – Collegato Lavoro; In particolare l’art. 21 (Misure atte a ga-rantire pari opportunità, benessere di chi lavora e assenza di discriminazioni nelle amministra-zioni pubbliche) prevede:

1. Modifi che all’articolo 1, comma 1, let-tera c) del decreto legislativo 30 marzo

1 Adriana Apostoli – Dipartimento di Sc. Giuridiche Univ. Degli Studi di Brescia, marzo – aprile 2012

2001, n. 165 e sostanzialmente la realiz-zazione della migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche ammi-nistrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, garantendo pari opportunità alle lavora-trici ed ai lavoratori e applicando condi-zioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato, nonché l’assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o psichica.

2. Modifi ca all’articolo 7 (Gestione delle risorse umane). Viene sostituito il com-ma 1: Le pubbliche amministrazioni garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne e l’assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indi-retta, relativa al genere, all’età, all’orien-tamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, opportunità tra uomini e donne nell’accesso al lavoro, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella forma-zione professionale, nelle promozioni e nella sicurezza sul lavoro. Le pubbliche amministrazioni garantiscono altresì un ambiente di lavoro improntato al benes-sere organizzativo e si impegnano a rilevare, contrastare ed eliminare ogni forma di violenza morale o psichica al proprio interno.

Il miglioramento dell’organizzazione del lavoro e la creazione di un “ambiente lavorativo sano” garantiscono “effi cienza” ed “effi cacia”; questi fattori, insieme, si traducono sostanzialmente in miglioramento della “produttività” e “dell’at-taccamento al lavoro”. È chiaro a tutti che, in un ambiente lavorativo nel quale si verifi chino episodi di discriminazione o mobbing, inevita-bilmente, si appalesano una riduzione ed un peggioramento delle prestazioni. Oltre al di-sagio arrecato ai lavoratori e alle lavoratrici, si hanno ripercussioni negative sia sull’immagine delle Amministrazioni, sia sulla loro effi cienza. Il “management” deve essere chiamato a ri-spondere delle proprie capacità organizzative anche in relazione alla realizzazione di am-bienti di lavoro improntati al rispetto dei principi

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comunitari e nazionali in materia di pari oppor-tunità, benessere organizzativo, contrasto alle discriminazioni e mobbing (…la mancata costi-tuzione del Comitato Unico di Garanzia com-porta responsabilità dei dirigenti incaricati della gestione del personale…).

CUG: obiettivi• Assicurare, nell’ambito del lavoro pub-

blico, parità e pari opportunità di gene-re, rafforzando la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici e garantendo l’assenza di qualunque forma di violenza morale o psicologica e di discriminazione, diret-ta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla re-ligione e alla lingua. Senza diminuire l’attenzione nei confronti delle discrimi-nazioni di genere, l’ampliamento ad una tutela espressa nei confronti di ulteriori fattori di rischio, sempre più spesso co-esistenti, intende adeguare il comporta-mento del datore di lavoro pubblico alle indicazioni della Unione Europea.

• Favorire l’ottimizzazione della produt-tività del lavoro pubblico, migliorando l’effi cienza delle prestazioni lavorative, anche attraverso la realizzazione di un ambiente di lavoro caratterizzato dal ri-spetto dei principi di pari opportunità, di benessere organizzativo e di contrasto di qualsiasi forma di discriminazione e di violenza morale o psichica nei confronti dei lavoratori e delle lavoratrici. Razio-nalizzare e rendere effi ciente ed effi cace l’organizzazione della Pubblica Ammini-strazione anche in materia di pari oppor-tunità, contrasto alle discriminazioni e benessere dei lavoratori e delle lavora-trici, tenendo conto delle novità introdot-te dal d.lgs. 150/2009 (Il sistema di mi-surazione valutazione delle performan-ce deve prevedere il raggiungimento degli obiettivi di promozione delle pari opportunità) e delle indicazioni derivanti dal decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (T.U. in materia della salute e della

sicurezza nei luoghi di lavoro), come in-tegrato dal decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 81/2008) (benes-sere) e dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportu-nità tra uomo e donna), come modifi cato dal decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5 (Attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle pari oppor-tunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupa-zione e impiego). La razionalizzazione, ottenuta anche mediante l’unifi cazione di competenze, determina un aumento di incisività ed effi cacia dell’azione, la semplifi cazione organizzativa e la ridu-zione dei costi indiretti di gestione an-drà a vantaggio di attività più funzionali al perseguimento delle fi nalità del CUG, anche in relazione a quanto disposto dall’art. 57, comma 1, lett. d) del d.lgs. 165/2001.

Componenti del CUGIl Comitato unico di garanzia per le pari oppor-tunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni” ha composi-zione paritetica ed è formato da un componen-te designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a li-vello di amministrazione e da un pari numero di rappresentanti dell’amministrazione in modo da assicurare nel complesso la presenza paritaria di entrambi i generi. Il presidente del Comitato Unico di Garanzia è designato dall’amministra-zione (per conoscere i componenti del GUG della ASL di Taranto vedi allegato n.1).

RequisitiLa complessità dei compiti demandati al CUG richiede che i/le componenti siano dotati/e di requisiti di professionalità, esperienza, attitu-dine, anche maturati in organismi analoghi e, pertanto, essi devono possedere:� adeguate conoscenze nelle materie di

competenza del CUG;

� adeguate esperienze, nell’ambito delle pari opportunità e/o del mobbing, del

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contrasto alle discriminazioni, rilevabili attraverso il percorso professionale;

� adeguate attitudini, intendendo per tali le caratteristiche personali, relazionali e motivazionali.

II/le componenti rimangano in carica 4 anni e gli incarichi possono essere rinnovati 1 sola volta.Procedura di scelta dei membri del CUG

� Al fi ne di accertare il possesso dei re-quisiti di cui sopra, l’amministrazione fa

riferimento, in primo luogo, ai curricula degli/delle interessati/e, eventualmente presentati secondo un modello predi-sposto dall’amministrazione stessa. A regime, e, ove possibile anche in sede di prima costituzione del CUG, con riguar-do alla quota di rappresentanti dell’am-ministrazione, i curricula potranno per-venire all’amministrazione a seguito di una procedura trasparente di interpello rivolta a tutto il personale (prassi se-guita dalla ASL di Taranto). Il dirigente preposto al vertice dell’amministrazione

ALLEGATO 1

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può, comunque, prevedere colloqui con i/le candidati/e ai quali può partecipare anche il/la Presidente precedentemente nominato/a.

� Resta salva la possibilità, per le ammi-nistrazioni in cui è consolidata la pras-si dell’elezione dei/delle componenti, di nominare gli stessi attraverso tale pro-cedura.

CUG: CompitiSono quelli che la legge, i contratti collettivi o altre disposizioni in precedenza demandavano ai Comitati per le Pari Opportunità e ai Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing, oltre quel-li indicati dall’articolo 21 della legge 183/2010 (collegato lavoro).

Il CUG esercita quindi compiti:• propositivi• consultivi• di verifi ca

Compiti propositivi

� Predisposizione di piani di azioni positi-ve, per favorire l’uguaglianza sostanzia-le sul lavoro tra uomini e donne;

� promozione e/o potenziamento di ogni iniziativa diretta ad attuare politiche di conciliazione vita privata/lavoro e quan-to necessario per consentire la diffusio-ne della cultura delle pari opportunità;

� temi che rientrano nella propria compe-tenza ai fi ni della contrattazione integra-tiva;

� iniziative volte ad attuare le direttive co-munitarie per l’affermazione sul lavoro della pari dignità delle persone nonché azioni positive al riguardo;

� analisi e programmazione di genere che considerino le esigenze delle donne e quelle degli uomini (es. bilancio di ge-nere);

� diffusione delle conoscenze ed espe-rienze, nonché di altri elementi informa-

tivi, documentali, tecnici e statistici sui problemi delle pari opportunità e sulle possibili soluzioni adottate da altre am-ministrazioni o enti, anche in collabo-razione con la Consigliera di parità del territorio di riferimento;

� azioni atte a favorire condizioni di be-nessere lavorativo;

� azioni positive, interventi e progetti, qua-li indagini di clima, codici etici e di con-dotta, idonei a prevenire o rimuovere situazioni di discriminazioni o violenze sessuali, morali o psicologiche - mob-bing - nell’amministrazione pubblica di appartenenza.

Compiti consultivi• progetti di riorganizzazione dell’ammini-

strazione di appartenenza;

• piani di formazione del personale;

• orari di lavoro, forme di fl essibilità lavo-rativa e interventi di conciliazione;

• criteri di valutazione del personale;

• contrattazione integrativa sui temi che rientrano nelle proprie competenze.

Compiti di verifi ca� risultati delle azioni positive, dei progetti

e delle buone pratiche in materia di pari opportunità;

� esiti delle azioni di promozione del be-nessere organizzativo e prevenzione del disagio lavorativo;

� esiti delle azioni di contrasto alle violen-ze morali e psicologiche nei luoghi di la-voro - mobbing;

� assenza di ogni forma di discriminazio-ne, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’acces-so, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale,

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promozione negli avanzamenti di carrie-ra, nella sicurezza sul lavoro.

Altri adempimenti� Il CUG redige entro il 30 marzo di ogni

anno una dettagliata relazione sulla si-tuazione del personale nell’amministra-zione pubblica di appartenenza, riferita all’anno precedente, riguardante l’attua-zione dei principi di parità, pari opportu-nità, benessere organizzativo e di con-trasto alle discriminazioni e alle violenze morali e psicologiche nei luoghi di lavoro - mobbing. La relazione tiene conto an-che dei dati e delle informazioni forniti sui predetti temi:

• dall’amministrazione e dal datore di lavoro ai sensi del d.lgs. 81/2008;

• dalla relazione redatta dall’ammini-strazione ai sensi della direttiva 23 maggio 2007 della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimen-ti della Funzione Pubblica e per le Pari Opportunità recante “misure per realizzare parità e pari oppor-tunità tra uomini e donne nelle am-ministrazioni pubbliche”.

CUG e collaborazioniIl CUG può avvalersi di collaborazione esterna e sicuramente intrattiene rapporti collaborativi con:� “l’Osservatorio interistituzionale sulle

buone prassi e la contrattazione decen-trata” previsto dal Piano Italia 2020 “Pro-gramma di azioni per l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro”, dei Mini-stri del Lavoro e delle Politiche Sociali e per le Pari Opportunità;

� il/la Consigliere/a nazionale di parità;

� l’Uffi cio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), istituito presso il Di-partimento per le Pari Opportunità del-la Presidenza del Consiglio dei Ministri, per tutte le azioni ascrivibili all’ambito delle discriminazioni per razza o prove-nienza etnica.

ALLEGATO 2

Azienda Sanitaria Locale TarantoCOMITATO UNICO DI GARANZIA

Regolamento di istituzionee funzionamento

del Comitato Unico di Garanzia(CUG)

per le pari opportunità,la valorizzazione del benessere

di chi lavora e controle discriminazioni.

Il GUG, per il suo funzionamento, si dota di un regolamento. A tale riguardo, in allegato, vie-ne presentato il regolamento adottato dal CUG della ASL di Taranto (vedi allegato n.2).

INDICEArt. 1 Costituzione del ComitatoArt. 2 Composizione e sede del ComitatoArt. 3 Durata in caricaArt. 4 Compiti del Comitato Art. 5 Compiti del Presidente, del Segretario e dei Componenti Art. 6 ConvocazioniArt. 7 Modalità di funzionamentoArt. 8 Commissioni e Gruppi di LavoroArt. 9 Risorse e strumentiArt. 10 Dimissioni e/o decadenza dei componentiArt. 11 Rapporti tra CUG e Direzione Strategica AziendaleArt. 12 Relazione annualeArt. 13 Comunicazione ed accesso ai datiArt. 14 Approvazione, validità e modifi che del RegolamentoArt. 15 Collaborazioni e audizioni di esperti Art. 16 Obbligo di riservatezza Art. 17 Norme transitorie e fi nali

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Art. 1 COSTITUZIONE DEL COMITATO

Con Deliberazione del Direttore Generale n. 1089 del 12/04/2012, e successiva integra-zione di cui alla Deliberazione n. 1547 del 24/05/2012, è costituito, ai sensi dell’art. 57 del D.Lgs. n. 165 del 30 marzo 2001, come modi-fi cato dall’art. 21 della Legge n. 183 del 4 no-vembre 2010, nell’ambito dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Taranto, il Comitato Unico di Garanzia (CUG) per le pari opportunità, la valorizzazione del benessere di chi lavora e contro le discriminazioni.Il CUG sostituisce, unifi candoli, i Comitati per le Pari Opportunità e i Comitati paritetici per il contrasto del fenomeno del mobbing, costituiti in applicazione della contrattazione collettiva. Esso si afferma come soggetto unico ed inno-vativo, assume tutte le funzioni previste dalla legge, dai contratti collettivi o da altre disposi-zioni, ed esplica le proprie attività nei confronti di tutto il personale, includendo le sue rappre-sentanze dirigenziali e non.

Art. 2 COMPOSIZIONE E SEDE DEL COMITATO

1) Il Comitato Unico di Garanzia ha compo-sizione paritetica ed è formato da compo-nenti designati da ciascuna delle organiz-zazioni sindacali rappresentative, i sensi degli artt. 40 e 43 del D. Lgs 165/2001, e da un pari numero di rappresentanti dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto. Per ogni componente effettivo è previsto un componente supplente, che può parte-cipare alle riunioni solo in caso di assenza o impedimento del rispettivo titolare. Il nu-mero dei componenti è stabilito nella De-liberazione n. 1089 del 12/04/2012 e nella Deliberazione di integrazione n. 1547 del 24/05/2012, fatto salvo eventuali future successive modifi che e/o integrazioni.

2) Nella composizione del Comitato dovrà essere assicurata, nel complesso, la pari-tà di genere tra effettivi e supplenti.

3) Il CUG, Organismo indipendente, ha sede presso il Dipartimento Gestione

Risorse Umane dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto.

Art. 3 DURATA IN CARICA

1) Il Comitato Unico di Garanzia ha la durata di un quadriennio, a far data dalla nomina. I Componenti esercitano le pro-prie funzioni in regime di prorogatio sino alla costituzione del nuovo organismo.

2) Il Presidente ed i Componenti titolari del CUG possono essere rinnovati nell’incari-co per un solo mandato.

Art. 4 COMPITI DEL COMITATO

1) Il Comitato Unico di Garanzia opera in stretta collaborazione con la Direzione Strategica Aziendale ed esercita le pro-prie funzioni utilizzando le risorse umane e strumentali, idonee a garantire le fi nalità previste dalla legge, che la Direzione stes-sa metterà a tal fi ne a disposizione, anche sulla base di quanto previsto dai contratti collettivi vigenti.

2) Il CUG esercita compiti propositivi, consul-tivi e di verifi ca, nell’ambito delle compe-tenze ad esso demandate, ai sensi dell’ar-ticolo 57, comma 01, del D.Lgs. 165/2001 (così come introdotto dall’articolo 21 della legge 183/2010), le stesse che la legge, i contratti collettivi o altre disposizioni in pre-cedenza demandavano ai Comitati per le Pari Opportunità e ai Comitati paritetici sul fenomeno del mobbing, oltre a quelle indi-cate nella norma citata.

Compiti Propositivi :- predisposizione di piani di azioni positive,

per favorire l’uguaglianza sostanziale sul lavoro tra uomini e donne;

- promozione e/o potenziamento di ogni ini-ziativa diretta ad attuare politiche di con-ciliazione vita privata/lavoro e quanto ne-cessario per consentire la diffusione della cultura delle pari opportunità;

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- temi che rientrano nella propria competen-za ai fi ni della contrattazione integrativa;

- iniziative volte ad attuare le direttive comu-nitarie per l’affermazione sul lavoro della pari dignità delle persone nonché azioni positive al riguardo;

- analisi e programmazione di genere che considerino le esigenze delle donne e quelle degli uomini (es. bilancio di genere);

- diffusione delle conoscenze ed esperien-ze, nonché di altri elementi informativi, documentali, tecnici e statistici sui proble-mi delle pari opportunità e sulle possibili soluzioni adottate da altre amministrazio-ni o enti, anche in collaborazione con la Consigliera di parità del territorio di riferi-mento;

- azioni atte a favorire condizioni di benes-sere lavorativo;

- azioni positive, interventi e progetti, quali indagini di clima, codici etici e di condotta, idonei a prevenire o rimuovere situazioni di discriminazioni o violenze sessuali, mo-rali o psicologiche - mobbing - nell’ammi-nistrazione pubblica di appartenenza.

Consultivi, formulando pareri su:

- progetti di riorganizzazione dell’ammini-strazione di appartenenza;

- piani di formazione del personale;

- orari di lavoro, forme di fl essibilità lavorati-va e interventi di conciliazione;

- criteri di valutazione del personale;

- contrattazione integrativa sui temi che ri-entrano nelle proprie competenze.

di Verifi ca su:

- risultati delle azioni positive, dei progetti e delle buone pratiche in materia di pari op-portunità;

- esiti delle azioni di promozione del benes-sere organizzativo e prevenzione del disa-gio lavorativo;

- esiti delle azioni di contrasto alle violenze morali e psicologiche nei luoghi di lavoro

-mobbing;

- assenza di ogni forma di discriminazione, diretta e indiretta, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’o-rigine etnica, alla disabilità, alla religione o alla lingua, nell’accesso, nel trattamento e nelle condizioni di lavoro, nella formazione professionale, negli avanzamenti di carrie-ra, nella sicurezza sul lavoro.

Il CUG promuove, altresì, la cultura delle pari opportunità ed il rispetto della dignità della per-sona nel contesto lavorativo, attraverso la pro-posta, agli organismi competenti, di piani for-mativi per tutti i lavoratori e tutte le lavoratrici, anche attraverso un continuo aggiornamento per tutte le fi gure dirigenziali.

3) Per la partecipazione dei componenti alle riunioni non è previsto alcun compenso, poiché le ore prestate per il Comitato sono a tutti gli effetti orario di servizio.

4) Il Comitato, qualora ne ricorrano le condizioni, chiederà alla Direzione Strategica Aziendale la documentazione e le risorse necessarie o utili per il cor-retto ed adeguato svolgimento dell’attività dello stesso.

5) Il Comitato, avvalendosi delle competen-ze e delle strutture dedicate di cui l’Azien-da dispone (tramite proposta ai compe-tenti Uffi ci/Servizi Aziendali), propone e favorisce indagini conoscitive, ricerche ed analisi sulle condizioni di benessere la-vorativo e individua misure generali atte a creare effettive condizioni di parità tra i lavoratori e le lavoratrici dell’Azienda.

6) Il Comitato promuove e propone alla di-rezione Aziendale, sulla scorta delle più attuali conoscenze ed esperienze in tema di buone pratiche, l’adozione di misure or-ganizzative, funzionali o anche strutturali, per accogliere e valutare eventuali segna-lazioni di presunta discriminazione, vio-lenze, mobbing, disagio lavorativo.

7) Il Comitato mette a disposizione i progetti utili agli Organismi – Uffi ci - Servizi del-

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la ASL di Taranto che hanno il compito di realizzare interventi inerenti argomenti e materie di competenza del CUG.

Art. 5 FUNZIONI DEL PRESIDENTE, DEL SEGRETARIO E DEI COMPONENTIFunzioni del Presidente

1) Il Presidente del CUG ha funzioni di:

� rappresentare il CUG;

� dirigerne i lavori;

� convocare e presiedere le riunioni, sta-bilirne l’ordine del giorno nonché coor-dinarne il regolare svolgimento.

2) Il Presidente, in caso di assenza o im-pedimento a partecipare alle riunioni del CUG, sarà sostituito nelle proprie fun-zioni dal Vicepresidente. In caso di as-senza di entrambi presiederà la seduta un componente del CUG appositamente de-legato dal Presidente.

Funzioni del SegretarioLe funzioni di Segretario/a vengono svolte da persona appositamente nominata dall’Ammini-strazione, su proposta del Presidente del CUG, per la durata di incarico del Comitato.

Le funzioni di Segretario/a consistono nella re-dazione del verbale delle sedute, nell’invio ai componenti del medesimo, nelle convocazioni e di altra documentazione, nella conservazione degli atti e dei documenti del CUG.

In assenza di un Segretario nominato dall’Am-ministrazione, tali funzioni saranno svolte da un componente del Comitato nominato dal Presidente.

Funzioni dei Componenti1) I componenti titolari del CUG partecipa-

no alle riunioni e comunicano tempesti-vamente alla segreteria e al componente supplente, tramite e-mail, eventuali impe-dimenti alla partecipazione.

2) I componenti titolari, possono proporre argomenti di carattere specifi co da inseri-re all’o.d.g. delle riunioni e partecipano ai gruppi di lavoro da costituirsi.

Art. 6 CONVOCAZIONI1) Il CUG si riunisce in convocazione or-

dinaria, di norma, almeno quattro volte all’anno. Si riunisce presso la Direzione Generale dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto, o sedi locali previamente concor-date con il Comitato stesso. La convoca-zione deve contenere l’ordine del giorno e il materiale utile alla trattazione dei relativi argomenti.

2) Il CUG è convocato dal Presidente e la convocazione deve avvenire in forma scritta (è valida la convocazione a mezzo posta elettronica o via fax con obbligo di conferma di avvenuta ricezione da parte del titolare) e inviata almeno dieci giorni lavorativi prima della data prescelta per la riunione. La convocazione deve esse-re altresì inviata ai Responsabili/Direttori dei Servizi/Uffi ci d’appartenenza dei com-ponenti del CUG, perché ne agevolino la partecipazione alle riunioni senza ricadute sull’organizzazione del lavoro, sulla per-formance e sulla qualità dei servizi erogati.

3) Il Presidente convoca il Comitato in via straordinaria ogni qualvolta sia richiesto da almeno un terzo dei suoi Componenti effettivi; la convocazione straordinaria vie-ne effettuata con le medesime modalità di quella ordinaria, ma almeno 72 ore prima.

4) La prima convocazione di ogni riunione prevede la validità della stessa, in presen-za della metà dei componenti effettivi più uno; la seconda convocazione è da con-siderarsi valida con un quorum strutturale di almeno un terzo dei componenti effetti-vi (titolari o supplenti), con composizione paritetica, escluso il Presidente. In caso di assenza del titolare, le funzioni dello stesso vengono assunte, su mandato, dal supplente.

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Art. 7 MODALITA’ DI FUNZIONAMENTO1) Il CUG adegua il proprio funzionamento

alle Linee Guida di cui al comma 4, art.57, del D.Lgs. n. 165/2001, come modifi ca-to dall’art. 21, comma 1, lettera c) della Legge n. 183/2010 e, ove non incompati-bili con le stesse linee guida, alle seguenti disposizioni.

2) Qualora un componente del CUG risulti assente in modo ingiustifi cato per tre vol-te nel corso del mandato, verrà dichiarato decaduto e verrà sostituito con le medesi-me modalità e procedure utilizzate per la designazione ordinaria di cui all’art. 2 del presente Regolamento, in relazione alla spettanza della nomina. La sostituzione si verifi ca, altresì, qualora un Componente presenti le proprie dimissioni, opportuna-mente motivate, per iscritto.

3) Esaurita la discussione sull’argomento, il Presidente pone ai voti la decisione da assumere. Il CUG può validamente as-sumere determinazioni quando sia pre-sente la metà più uno, dei componenti aventi diritto al voto. Le decisioni sono assunte a maggioranza dei voti espressi dai presenti e, in caso di parità, prevale il voto del Presidente. Le determinazioni sono trasmesse alla Direzione Strategica Aziendale.

4) Il Presidente è tenuto a riunire il CUG in via straordinaria, quando lo richiedano al-meno un terzo dei suoi Componenti effet-tivi.

5) Delle sedute del CUG verrà tenuto appo-sito verbale sottoscritto dal segretario ver-balizzante e dal Presidente. Il verbale si riterrà approvato con voto della maggio-ranza più uno dei presenti alla seduta. Il verbale contiene le presenze, la durata, gli argomenti trattati, le decisioni assunte ed eventuali posizioni difformi espresse.

I verbali sono trasmessi a tutti i compo-nenti, a cura del Segretario, anche ai componenti supplenti, al fi ne di favorire il loro costante aggiornamento sui temi trat-tati, entro i 15gg successivi alla seduta.

Eventuali osservazioni dovranno perveni-re al Presidente entro i 7gg successivi.

Gli originali dei verbali, con gli eventua-li allegati, saranno depositati e custoditi presso l’uffi cio sede del CUG. Il verba-le approvato con votazione palese dalla maggioranza più uno dei presenti alla se-duta, rimane a disposizione di chiunque ne faccia richiesta e sarà reso pubblico nelle modalità ritenute le più opportune (bacheca da istituirsi presso la sede del CUG, sito ASL TA accessibile ai dipen-denti, ecc.).

Art. 8 Commissioni e gruppi di lavoroNello svolgimento della sua attività il Comitato può operare anche in commissioni o gruppi di lavoro, con requisiti di composizione (pariteti-ca) e quorum identici a quelli del CUG.

Il Comitato può deliberare la partecipazione alle sedute, senza diritto di voto, di soggetti esterni al Comitato nonché di esperti, su richiesta del Presidente o dei componenti.

Il Presidente, sentito il Comitato, può designa-re tra i componenti un responsabile per singo-li settori o competenze del Comitato stesso. Il responsabile svolge le funzioni di relatore sulle questioni rientranti nel settore assegnato e a tal fi ne cura l’attività preparatoria ed istruttoria, riferisce al Comitato e formula proposte di deli-berazione. Il Comitato predispone annualmen-te un piano delle attività da svolgere nel corso dell’anno successivo e lo stesso viene sotto-posto all’esame del Comitato stesso (in sede di convocazione ordinaria) entro il secondo se-mestre dell’anno precedente.

Art. 9 RISORSE E STRUMENTI1) Per lo svolgimento della propria attivi-

tà il CUG utilizzerà le risorse messe a disposizione dalla Direzione Strategica Aziendale, nonché i fi nanziamenti previsti da leggi o derivanti da contributi erogati da soggetti di diritto pubblico e/o privato.

2) La Direzione Strategica Aziendale si im-

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pegna a mettere a disposizione del CUG, in occasione delle proprie riunioni, locali idonei, materiale e strumenti necessari.

3) La Direzione Strategica Aziendale provve-de a realizzare sul proprio sito web un’ap-posita area dedicata alle attività del CUG, periodicamente aggiornata a cura dello stesso Comitato.

Art. 10 DIMISSIONI E/O DECADENZA DEI COMPONENTI1) Le dimissioni di un Componente del CUG

devono essere presentate per iscritto al Presidente del Comitato e alla Direzione Strategica Aziendale; il Comitato ne pren-de atto nella prima seduta successiva alla data di inoltro.

2) Le dimissioni del Presidente sono pre-sentate in forma scritta al Comitato e alla Direzione Strategica Aziendale.

3) Le sostituzioni dei Componenti decaduti, ratifi cate dal CUG, avranno luogo entro 30 giorni, secondo le indicazioni dell’art. 2 del presente Regolamento.

Art. 11 RAPPORTI TRA CUG E DIREZIONE STRATEGICA AZIENDALE

1) Per perseguire (assolvere) i propri fi ni istituzionali, il Comitato instaura con la Direzione Strategica Aziendale un rappor-to di reciproca e costante collaborazione, attraverso la stesura di uno specifi co pro-tocollo di intesa.

2) Il Comitato, nell’ambito delle proprie com-petenze di cui all’art. 4, formula proposte di misure atte a creare effettive con-dizioni di miglioramento, che vengono trasmesse ai soggetti abilitati alla contrat-tazione collettiva. La Direzione Strategica Aziendale, prese in esame tali proposte ed espletate le consultazioni che ritiene ne-cessarie, è tenuta a dare risposta entro 30 giorni dalla data di trasmissione.

3) L’Amministrazione, nelle sue diverse arti-colazioni, tiene conto dell’attività svolta dai

componenti all’interno del CUG, ad esem-pio ai fi ni della quantifi cazione del carico di lavoro e della valutazione della produt-tività.

4) La Direzione Strategica Aziendale deve consultare preventivamente il CUG, ogni qualvolta saranno adottati atti interni nel-le materie di competenza (es. fl essibilità e orario di lavoro, part-time, congedi, forma-zione, progressione di carriere ecc.) alme-no 20gg prima dell’adozione degli stessi. Il CUG deve esprimersi entro i successivi 20gg. Le modalità di consultazione saran-no predeterminate dal vertice dell’Azienda Sanitaria Locale, sentito il CUG, con atti interni (circolari o direttive).

Art. 12 RELAZIONE ANNUALE1) Il CUG redige entro il 30 marzo di ogni

anno, una dettagliata relazione sulla situa-zione del personale dell’Amministrazione di appartenenza riferita all’anno prece-dente, riguardante l’attuazione dei prin-cipi di parità, pari opportunità, benessere organizzativo e di contrasto alle discrimi-nazioni e alle violenze morali e psicolo-giche nei luoghi di lavoro – mobbing. La relazione potrà contenere altresì il report sull’attività svolta anche dai gruppi di la-voro e sui risultati delle iniziative assunte, riferita all’anno precedente. La relazione viene trasmessa alla Direzione Strategica Aziendale, ai Direttori dei Distretti Socio Sanitari, ai Direttori dei Dipartimenti e per il loro tramite ai Direttori delle Strutture Complesse.

Art. 13 COMUNICAZIONE ED ACCESSO AI DATI

1) Gli estratti dei verbali approvati e la relazio-ne annuale verranno inseriti in un apposito spazio del portale telematico dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto, contenente an-che le modalità per poter contattare diret-tamente il CUG. Allo scopo è predisposto un indirizzo di posta elettronica dedicato.

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Art. 14 APPROVAZIONE, VALIDITA’ E MODIFICHE DEL REGOLAMENTO1) Il presente Regolamento viene assunto

con atto deliberativo entro 15gg dalla sua trasmissione alla Direzione Strategica Aziendale ed entra in vigore il giorno della pubblicazione della delibera sul sito web dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto.

2) Per l’approvazione di eventuali modifi che che si intendono apportare al presente Regolamento, è necessaria la presenza dei 2/3 dei componenti ed il voto favo-revole della maggioranza dei presenti.

Art. 15 COLLABORAZIONI E RISORSEPer lo svolgimento delle proprie funzioni il CUG:

1) Promuove, attraverso motivata proposta e fattiva collaborazione con gli Organismi/Servizi/Uffi ci aziendali competenti, indagi-ni, studi, seminari, anche in collaborazio-ne con altri Enti, Istituti e Comitati aventi analoghe fi nalità.

2) Si avvale della collaborazione di esperti in-terni ed esterni.

3) Si avvale dei Servizi dell’Azienda Sanitaria Locale di Taranto in relazione alle loro competenze.

4) Promuove incontri con gruppi, singoli di-pendenti, dirigenti od altri soggetti a fi ni in-formativo/formativi e di sensibilizzazione.

5) Collabora con la Direzione Strategica Aziendale (es. responsabili della preven-zione e sicurezza e/o con il medico compe-tente), per lo scambio di informazioni utili ai fi ni della valutazione dei rischi in ottica di genere e dell’individuazione di tutti quei fattori che possono incidere negativamen-te sul benessere organizzativo, in quanto derivanti da forme di discriminazione e/o da violenza morale o psichica.

6) Collabora con :

� Consigliera nazionale di parità e Osservatorio sulla contrattazione de-centrata e buone prassi per l’organiz-zazione del lavoro;

� Consigliera Regionale e Provinciale di parità, valutando con le stesse l’oppor-tunità di sottoscrivere accordi di coope-razione strategica volti a defi nire inizia-tive condivise e sinergiche in tema di pari opportunità;

� UNAR - Uffi cio Nazionale di Antidiscriminazione Razziali, istitui-to presso il Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per tutte le azioni ascrivibili all’ambito delle discriminazio-ni per razza o provenienza etnica;

� OIV – Organismi Indipendenti di Valutazione, ai fi ni dell’introduzione nella valutazione della performance, dei temi delle pari opportunità e del be-nessere lavorativo.

Art. 16 OBBLIGO DI RISERVATEZZALe informazioni e i documenti assunti dal Comitato, nel corso dei suoi lavori, devono es-sere utilizzati nel rispetto delle norme contenute nel Codice per la protezione dei dati personali di cui al Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196. Tutti i componenti del CUG sono tenuti all’osservanza del segreto d’uffi cio.

Art. 17 NORME TRANSITORIE E FINALIPer quant’altro non menzionato nel presen-te Regolamento si rimanda alla direttiva del 4 marzo 2011 emanata di concerto dal Dipartimento della Funzione Pubblica e dal Dipartimento per le Pari Opportunità del-la Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 21 della Legge n. 183 del 4 novembre 2010.

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Diario di unadottoressa con la padella

IPAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAASSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

Dott.ssa Natalina SegoloniInf. Presidio Ospedaliero “Valle D’Itria” - Martina Franca

Caro diario,

tutto passa e per fortuna passa anche l’estate e le impreviste e risapute problematiche del-le ferie estive del personale. Come direbbe Benigni, come mi vien diffi cile parlare in versi satirici di come squallore ed egoismo hanno ingoiato il mio paese. Che, poi, non capisco tutta sta tirite-ra sulla mobilità passiva. Ma dove vogliono andareee? Una mia paziente mi rac-contò di essere stata ri-coverata per 15 giorni in un grande ospeda-le Toscano che rim-piangeva per tutto. Credimi, diario mio, una testa così ,che mi veniva di caricarmela sulla Multipla con tutto il letto per lasciarla dietro la porta di quel benedet-to ospedale toscano. Alla fi ne, durante una chiacchiera-ta notturna le spalancai la mente“Sai, - diceva - c’erano gli Oss che ti la-vavano e ti sedevano alla sedia, i fi sioterapisti che venivano ogni tre ore a sistemarti l’ossige-no e controllavano che respirassi correttamen-te, poi i dietisti che ti chiedevano un sacco di cose ,mai sia non ti arrivava quello che ave-vano deciso loro !Ma gli infermieri devo dire erano professionali, veramente professiona-li, controllavano la data di quando ti avevano messo l’ago ,di quando ti avevano cambiato il tubicino dell’ossigeno,veramente professiona-li !Non come voi che vi si chiede una cosa e venite dopo mezz’ora,sembra sempre di stare

in lista d’attesa. No, no, ogni volta che gli chie-devi qualcosa…. subito!! Avevi bisogno della padella e dopo un minuto ’ veniva l’oss. Ti ave-vano mandato la banana al posto della mela? Dopo un po’ arrivava il tipo della cucina. Che

organizzazione!-

“Pertanto gli infermieri del sud sono super qualifi cati sappia-

mo risolvere tutto noi ,di pomeriggio quando c’è

un solo ausiliario le por-tiamo su e giù anche le mele cotte ! – le risposi io scherzando-l’unica pecca è che facendo l’one man band ab-biamo poco tempo per scrivere e per consul-

tare le carte”

“Ah ma non scrivete tut-to al computer? - Le infer-

miere in Toscana andavano dietro” al gabbiotto “e scrive-

vano al computer”

No signora, qui non hanno la crudeltà di chiuderci dentro ad un gabbiotto!!! -chiusi così le mie considerazioni per evitare divagazioni, ma lei tirò fuorì un eresia

“Non c’è voglia di progredire forse!?” eccepì.

“Mi creda tutte le infermiere che lavorano al sud sanno ogni quanto và cambiato un raccor-do o la sua postura ed abbiamo anche dove annotarlo,ma ci sono momenti in cui la sua mela deve arrivare subito e il cambio del de-fl ussore della sua vicina di letto viene lascia-to in lista d’attesa. Alla fi ne il mio ospedale mi paga delle giornate di aggiornamento come

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fanno per le infermiere del Nord … però de-dico il mio tempo a cambiare e svuotare sac-che di urine e lenzuola bagnate;così io sembro meno esperta di una infermiera del Nord ma mi creda non è così” riuscì ad osare.

“Eh bella mia ma se una ha una malattia seria preferisce pagarsi un viaggio e mettersi nelle mani di persone sicure. Ti credo, ti credo sicu-ramente siete aggiornate anche voi ma io sono convinta che non avete voglia di progredire voi o chi per voi,solo manovalanza… Sai che ti dico? Quando uno non sta bene conviene che vada altrove a farsi curare il grosso,ma per i piccoli problemi ti puoi fi dare degli ospedali del sud. Gli infermieri qui sgobbano e seppure non hanno il tempo di farti il calcolo di quanto tempo è passato da quando ti hanno cambiata di decubito,se non stai proprio male sei capa-ce tu di chiamare l’infermiera per farti girare.

Le avrei risposto: “Signora, altrove, passa-to il “fatto grosso”, dall’ospedale esci e ba-sta. Con i soldi che pagano me in un mese per assistere 60 degenti,pagano due O.S.S. e ne rigirano 120 a domicilio come su uno spiedo di pollo pronto”. Ma alla fi ne avrei fat-to pure la fi gura di quella che ruba lo stipen-dio, la gente è quadrata, si sa. Così le risposi:“Per fortuna signora… altrimenti se non fosse che devo garantire i LEA, stanotte sarei anda-ta in Toscana ad imparare il mestiere!

Che poi sul giornale si leggono notizie di ‘sti ospedali del Nord, che se so’ magnati tutto, tracolli fi nanziari, bancarotta, un magna ma-gna di soldi della sanità che sembra che la gente l’hanno curata con le monete del mono-poli. Eppure lì sembra che i pazienti vengano adagiati su di un vassoio d’argento e ninnati a tintinii di campane d’oro. Con quali soldi scu-sate? Pertanto io ho fede, penso che prima o poi usciranno tutti sti danari sapientemente in-vestiti nella sanità meridionale.

Come diceva un infermiere napoletano “forse hanno lasciato aperte le fi nestre e vai a vede-re che è davvero colpa dell’infermiere che fa il turno di notte se qualcosa è sparito”.No no che sparito , qui non è sparito niente ed appa-riranno come una Madonna che lacrimerà un clinical governance che si piegheranno tutti ad

applaudirci e i settentrionali verranno a curarsi da noi.

L’elogio da Balduzzi l’abbiamo già ricevuto, peccato però doveva venire a dirlo in corsia agli ammalati o al C.U.P., a quelli che prenota-no un ecografi a con tempi d’attesa di 3 mesi. Mi sarebbe piaciuto avessero sentito che sia-mo da prendere come esempio.

‘sti pazientacci che non sono mai contenti. Quando i settentrionali chiederanno di rice-vere un referto in e-mail, gli risponderemo a denti stretti “no caro che ti credi, qui devi ve-nire a farti la tua fi letta ed il tuo viaggetto”. Ah che grandiosa idea! I malati faranno su e giù per gli ospedali nostrani anche per chiedere una copia di cartella, incentiveranno anche il settore alberghiero e ci sarà una rinascita del Paese.

Uhee, sta il fi glio di mia cugina Rosetta che è disoccupato, quasi quasi gli propongo di fare il prendi posto abusivo, come quelli di Napoli che alle 4 del mattino prendevano il posto fuori dai C.U.P, chè, se scoppia ‘sta migra-zione al contrario, devi essere pronto in tutto. Immaginate che al nord quando uno ha da fare i controlli periodici per una malattia cro-nica i c.u.p organizzano tutto in una giornata se il paziente viene da lontano. Metti il caso che sei operata di cuore ti prenotano i prelievi,

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l’ecocardiografi a,la prova da sforzo, il doppler e via dicendo in una o due giornate e nello stesso posto ! Mò che siamo impazziti e poi ve-ramente dove lo passiamo il tempo ?Io quando devo fare i controlli a mio zio di Brindisi pre-noto un esame a Francavilla, uno alla Salus, l’altro a Lecce, qualcosa a Martina e quando proprio stiamo stretti coi tempi ci facciamo dei giretti a Matera e Potenza, tanto che, quando ho sentito che vogliono sopprimere Matera come provincia, mi è venuto il sudore freddo . Certe volte, siccome ci sembra di fare troppo presto se in 4 mesi abbiamo raccolto tutte le fi gurine dell’album, il cardiologo ci dice “sì ma qui l’ecografi sta di Ostuni aveva consigliato la visita urologica.Ce l’avete la visita urologica? Sennò niente !” Ci si sente più uniti in famiglia a trascorrere questi mesi e mesi fra ospedali e c.u.p. Ci stanno certi baretti fuori dal policli-nico che sono la fi ne del mondo! Ormai ci ho passato una vita, che, se qualcuno mi faces-se la violenza di farmi sbrigare tutto in un’uni-ca soluzione ed in un unico posto, credo che ne morirei. Ogni tanto, strada facendo, senti che hanno chiuso qualche ospedale e ti devi rivolgere altrove. Per fortuna sui giornali poi ti scrivono che ne apriranno di nuovi. Bah, basta che si tengano impegnati pure loro. Metti caso che Monti si alzi la mattina e decida di sbloc-care il turn over del personale e di bloccare i fondi per l’edilizia sanitaria. Son dolori!E che, mò si seguono le indicazioni Europee per fi lo e per segno? E dai che, se esce un master per imbianchino, mi sistemo!

Come infermiera questa epopea dell’assistito crea dei rapporti ormai famigliari , ti affezioni a queste persone. Ci stanno le mie vecchie col-leghe della medicina che ormai i loro pazienti li conoscono da anni, li stabilizzano e li dimet-tono. Tu sei un po’ triste, ti sei affezionata, ma la collega ti dà una pacca sulla spalla e ti sus-surra:

“Non temere, una volta a casa precipiterà nell’abbandono e ben presto verrà di nuovo a bussare alle porte del pronto soccorso”. Una volta ero in “missione” in un’altra medicina mi avvicinai ad un paziente per un prelievo e que-sto fa: “Sei nuova?”

“Appena trasferita, ma non nuova di mestiere” spiegai. E lui di rimando:

“Stai attenta.. che tizio è separato, la madre di caio è morta il mese scorso, sempronio due anni fa mi ricoverai per un coma diabetico e mi fece una glucosata, mentre pinco pallino ha sempre le ascelle sudate”. Conosceva gli in-fermieri di tutti i reparti dell’ospedale nemmeno fosse una casa alloggio.

Poi ci stanno quelli con le carte: li vedi che vanno su e giù e su e su e giù. Quando ero agli ambulatori, vedevi sempre le stesse facce, questi che venivano per il controllo ed il CUP gli aveva sbagliato l’appuntamento, e te li ritro-vavi la mattina dopo e magari al cup trovavano fi la per pagare e li vedevi che facevano su e giù per chiedere se potevano fare prima la visita e poi pagare, poi tornavano su e dicevano che mancava un timbro e lì il medico che diceva che no la normativa è cambiata e questi che con-tinuavano su e giù. I computer, intanto, stava-no lì immobili ed inutilizzati ad aspettare come noi i tempi in cui qualcuno avrebbe compreso che non è che non la si vuole fare una cosa, è proprio uno status a cui non si può rinunciare.Questi del Nord, se vorranno curarsi da noi, dovranno abituarsi a questo status. Questo è il paese del sole, del vento e del mare e per godersi tutto questo non basta di certo una giornata !

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Dott.ssa Angela Carrera

Infermiera Casa di Cura “Villa verde” - Taranto

PROGETTO DI VALUTAZIONE DI COORDINATORE INFERMIERISTICO:COSTRUZIONE E

IMPLEMENTAZIONEDI UNO STRUMENTO

OGGETTIVO

Motivo dello studio: Questo lavoro nasce dal desiderio di approfondire un particolare aspetto della fi gura del Coordinatore Infermieristico: la valutazione. In Italia non esiste ancora un si-stema di valutazione oggettivo a riguardo.

Risorse materiali, strutturali e/o umane uti-lizzate: Le risorse umane utilizzate sono i Co-ordinatori Infermieristici delle diverse strutture ospedaliere: San G. Moscati, SS. Annunziata, Casa di Cura Villa Verde di Taranto. Attraverso un questionario strutturato di natura anonima si analizzerà l’indice di gradimento dello strumen-to valutativo creato e le dinamiche della valuta-zione all’interno delle strutture ospedaliere.Metodo: Il metodo utilizzato è rappresentato da un indagine esplorativa effettuata secondo criteri di campionamento non rigidi. L’azienda sanitaria è un’organizzazione carat-terizzata da un elevato grado di complessità strutturale, ambientale, tecnologica ma, so-prattutto, di conoscenza, tanto da poter essere defi nita azienda knowledge intensive, ad alta intensità di sapere. I professionisti che ne fan-no parte, portatori di tali saperi ai vari livelli pro-fessionali e organizzativi, costituiscono un vero e proprio patrimonio e sono, al tempo stesso, un fattore critico di successo. La possibilità per l’azienda di raggiungere i propri fi ni istituziona-li, vale a dire, nel caso di sanità, di contribuire alla soluzione dei problemi di salute dipende, in gran parte, dalla capacità di integrare le proprie componenti professionali.

Così, permettere all’azienda di operare nel modo più appropriato possibile, massimizzan-do l’effi cacia e l’effi cienza produttiva, signifi ca anche capitalizzare, accrescere e diffondere conoscenze e competenze dei propri profes-sionisti, cioè sviluppare il capitale intangibile. Per questo, tutti gli strumenti di gestione delle risorse umane hanno grande rilevanza e vanno applicati seguendo una logica di valorizzazione del personale, a partire dalla necessità che le risorse siano motivate cioè che venga sem-pre ricercato il punto d’incontro tra gli obiettivi aziendali e le aspirazioni, le necessità, le attitu-dini dei professionisti. Il primo, e storicamente il più diffuso, di questi strumenti è il sistema di valutazione, uno dei più importanti, ma, forse, anche il più critico e complesso. L’esperienza ha dimostrato essere il mezzo che senza dub-bio impatta più bruscamente sul personale, an-dando a determinare, spesso, pesanti conse-guenze. A fronte di uno strumento “diffi cile”, è aumentata in modo progressivo la richiesta di utilizzo, a tutti i livelli e per uno spettro sempre più ampio di fi gure professionali. La nuova logica aziendale, applicata in sanità, è fondata sul binomio autonomia-responsabi-lità: al crescere del grado di autonomia s’ac-compagna un carico di responsabilità sempre maggiore, che fa nascere l’esigenza di andare a verifi care, attraverso adeguati sistemi di valu-tazione, se e in che misura l’esercizio di questa autonomia ha portato il raggiungimento degli obiettivi assegnati. Dalla valutazione discendo-

ASSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSSVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVVIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

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no possibilità di sviluppo e valorizzazione delle risorse umane, non solo nei termini classici di percorsi di carriera e ricompense economiche, ma anche sotto forma di riconoscimenti di sti-ma, possibilità di espressione di competenze possedute ma non esercitate, percorsi formativi specifi ci, anche attraverso modalità innovative.In Italia, ancora oggi, non esiste un sistema og-gettivo di valutazione del coordinatore infermie-ristico. A tal proposito, l’obiettivo della tesi è la costruzione e l’implementazione di questo stru-mento. Per la realizzazione verrà effettuato un percorso conoscitivo del sistema di valutazione in tutte le sue sfaccettature, in modo da poter conseguire nel miglior modo possibile l’obietti-vo fi nale della tesi. Il sistema di valutazione del personale, per avere la capacità di raggiungere obiettivi di sviluppo e valorizzazione delle risor-se, deve necessariamente essere costruito nel rispetto di alcuni criteri generali, quali:

• coerenza con gli obiettivi strategici azien-dali e il contesto organizzativo;

• fl essibilità/adattabilità del sistema al con-testo;

• sistematicità, periodicità e permanenza della valutazione;

• trasparenza e omogeneità dei criteri a parità di oggetto/soggetto e delle conse-guenze della valutazione;

• tendenza verso la riduzione della sogget-tività (ovvero ricerca di massimizzaazione della oggettività);

• valutazione solo di fatti e comportamenti posti sotto la responsabilità/controllabilità del valutato;

• diretta conoscenza dell’attività del valuta-to da parte del valutatore;

• massima partecipazione del valutato e possibilità di contraddittorio;

Occorre, quindi, per il successo del processo di valutazione, stabilire un forte legame tra si-stema di valutazione e contesto organizzativo aziendale. Obiettivi:

• trasmissione del pensiero strategico;• orientamento dei comportamenti;• diffusione di una cultura aziendale;

• raccolta di indicazioni sui fabbisogni for-mativi;

I rischi in cui può intercorrere il sistema di valu-tazione sono:

• demotivazione;• sfi ducia;• ribellione;

Il sistema di valutazione si divide in diverse metodologie valutative applicabili tra cui:

• valutazione delle prestazioni: intese come risultati ottenuti in relazione agli obiettivi assegnati;

• valutazione delle competenze: capacità individuali e organizzative intese come valore per l’azienda e fattore critico di successo;

• valutazione delle posizioni: corrisponden-za tra: responsabilità, posizione organiz-zativa e retribuzione;

• valutazione del potenziale: insieme del-le attitudini che la persona possiede, ma che non ha ancora espletato per carenza di contesto ambientale adeguato.

Il profi lo professionale del coordinatore, oggi, è nettamente cambiato; le competenze tecnico-specialistiche hanno lasciato il posto gradual-mente a funzioni manageriali mirate al conte-nuto del lavoro ed agli aspetti formativi della professione. Il training formativo del coordi-natore è focalizzato all’acquisizione di abilità/competenze per pianifi care, organizzare, coor-dinare e verifi care le attività al fi ne di garantire: - un’effi cace assistenza infermieristica - un uso effi ciente delle risorse - una corretta amministrazione del reparto - la partecipazione ad attività di formazione, aggiornamento e ricerca.Il coordinatore si assume il carico di mettere in atto tutte le conoscenze in campo manage-riale per raggiungere gli obiettivi e cercare di fare convergere gli ideali professionali a quelli aziendali. Lo strumento di valutazione è stato plasmato prendendo in considerazione l’evoluzione del-le competenze dei coordinatori infermieristici,

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le aspettative, il contesto organizzativo attuale e i criteri fondamentali della valutazione. Tale strumento creato utilizza una scala di misura-zione “lineare continuo”, espressa con valori numerici da 1 a 10. Il vantaggio di questa scala di giudizio sta nella facilità, per il valutatore, di

STRUMENTO DI VALUTAZIONE

correlare il giudizio a una modalità di misura-zione piuttosto nota e utilizzata (per esempio, in ambito scolastico), consentendo una certa varietà di sfumature e una più immediata con-frontabilità.

Capacità relazionali;

Disponibilità alle relazioni interpersonalie capacità di integrazione delle informazioni/conoscenze

con colleghi/collaboratori;

Valutazione da 1 a 10 per ogni capacità elencata;

Coordinamento e/o partecipazione attiva e propositiva a gruppi di lavoro;

Capacità di condivisione delle decisioni e informazioni con colleghi/collaboratori;

Saper gestire il confl itto;Essere trasparenti;

Essere in grado di relazionarsi in modo empatico;

Aggiornamento professionale;

Partecipazione costante a iniziativeformative e di aggiornamento; Valutazione da 1 a 10;

Capacità di introduzione, diffusione e utilizzo di quanto appresocon l’attività di formazione;

Capacità di formulare proposte di nuove attivitàdi formazione e aggiornamento;

Responsabilità organizzativa e gestionale;

Gestione autonoma di attività e risorse Valutazione da 1 a 10;Capacità di individuazione, defi nizione e risoluzione dei problemi;

Capacità di autonoma gestione degli imprevisti;

Responsabilità tecnico-professionali;

Possesso di competenze adeguate al ruolo ricoperto; Valutazione da 1 a 10;Contributo personale alla elaborazione, utilizzo,diffusione di linee guida e procedure aziendali;

Capacità di individuazione e introduzione di innovazioni tecnologiche;

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Competenze tecnico-gestionali;

Attenzione all’appropriato utilizzo di risorse in relazionealle attività da realizzare;

Valutazione da 1 a 10per ogni competenzatecnico-gestionale;

Capacità di individuazione di strumenti e modalità di controllo sulle attività realizzate rispetto agli obiettivi concordati;

Analisi periodica delle cause di difformità tra concordato e realizzato, conseguente capacità di adattamento dei

comportamenti o proposte di revisione;

Comunicazione interna ed esterna;

Sviluppo effi cace di attività comunicative aziendali, sia interne sia esterne alla propria articolazione organizzativa; Valutazione da 1 a 10;

Sviluppo/utilizzo di effi caci strumenti comunicativi con soggetti esterni all’azienda;

Pianifi cazione e gestione di momenti comunicativi periodici interni e/o esterni;

Competenze tecnico-assistenziali;

Identifi care i bisogni delle persone assistite;Valutazione da 1 a 10 per ogni competenzatecnico-assistenziale;

Organizzare, pianifi care e controllare/valutare l’assistenza;

Erogare l’assistenza infermieristica,monitorare i risultati, valutarli e fare modifi che se necessario;

Stabilire e utilizzare criteri rispetto alla valutazione della qualitàdell’assistenza erogata (controllo);

Informare, consigliare, assicurarsi della comprensione da parte del paziente e del suo “gruppo”(inteso come famiglia, conoscenti ecc. . .)

Applicare e fare applicare le norme di igiene e sicurezza;

Elaborare, realizzare e valutare i protocolli diassistenza per gli ambiti di autonomia;

Utilizzare in modo proprio le risorse a disposizione;

Essere in grado di comprendere, guidare e inserirsi in modo effi cace nel sistema di coordinamento delle varie funzioni ospedaliere

(ambito medico, amministrativo e assistenziale infermieristico)

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Comportamenti/attitudini professionali;

Essere autonomo;Valutazione da 1 a 10 per ogni

comportamento/attitudineprofessionale elencata;

Essere oggettivi;Rispettare e fare rispettare il segreto professionale e i principi deontologici

correlati all’attività dell’ U.O.,del servizio (infermieristico), e della struttura;Tradurre nella pratica le questioni etiche;

Essere disponibile al cambiamento organizzativo;Essere in grado di conciliare gli interessi dei pazienti,dell’organizzazione e quelli dei singoli collaboratori;

Essere in grado di creare e adattare criteri di scelta specifi ci sia come ambito disciplinare per l’équipe (integrazione), rispetto alla gestione delle risorse

umane;Essere in grado di accogliere i nuovi arrivati nell’ U. O.;

Effettuare monitoraggi;Analizzare le situazioni anticipare i problemi e prevedere le scadenze;

Partecipare e/o controllare la messa a punto,l’utilizzo di protocolli e di tecniche nuove;

Promuovere il colloquio strutturato multidisciplinare e/o di équipe;Realizzare eventuali azioni correttive;

Essere in grado di portare a termine un progetto con metodo:stimolare e/o partecipare alla formazione/informazione dei suoi

collaboratori (tecniche assistenziali, procedure amministrative ecc. . . .Essere in grado di identifi care le risorse (come punti di forza),le diffi coltà e i problemi (come punti di debolezza) in équipe;

Il sistema di valutazione elaborato è stato presentato ai coordinatori della Casa di Cura Villa Verde, dell’Ospedale San G. Moscati e dell’Ospedale Santissima Annunziata di Taranto e, attraverso un questionario strutturato di natura anonima, si è verifi cato l’indice di gradimento. Dai risultati emerge che nelle aziende ospedaliere di Taranto, effettivamente, esiste un sistema di valutazione del coordinatore. Quest’ultimo, come affi ora dai risultati, viene utilizzato per l’86,66% dal Primario e solo in minima parte dal Dirigente Infermieristico (13,33%).Tanto evidenzia che il coordinatore non riesce a svincolarsi dalla fi gura medica nel proprio campo d’azione. Inoltre, possiamo notare dalle percentuali (69,23%) che quasi tutti i coordinatori intervistati sono a conoscenza dei parametri di valutazione utilizzati. Questo rappresenta un elemento positivo, in quanto, come si è potuto assimilare in questo percorso, i principi fondamentali su cui si fonda la valutazione sono: trasparenza, fl essibilità, sistematicità ma soprattutto partecipazione del valutato e possibilità di contraddittorio. Inoltre, i coordinatori, preferirebbero essere valutati dai pazienti (20%), dai propri collaboratori (26,66%) e particolarmente dal Primario (40%). Questi dati denotano che la relazione con le fi gure che circondano il coordinatore nel proprio lavoro ha un elevata importanza. Il sistema di valutazione presentato è stato accolto in maniera positiva dai coordinatori infermieristici. Quindi, lo strumento di valutazione creato rappresenta in modo esaustivo il coordinatore. Infatti, tutti i coordinatori intervistati vorrebbero essere valutati secondo i criteri di tale strumento di valutazione. La valutazione è un atto importante e non deve essere vista come un momento negativo del proprio operato. Lo strumento valutativo effi ciente, dà la possibilità a colui che viene valutato di prendere coscienza dei propri punti di forza, ma anche , dei propri limiti, i quali una volta riconosciuti potranno essere colmati.

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IL GEL PIASTRINICO DELLA SPERANZA

Dal sangue la vita. Nulla di più vero oggi, come non mai, per i nuovi campi di impiego del sangue e dei suoi derivati. Tra gli emocomponenti ad uso non trasfusionale riveste un ruolo importante il concentrato piastrinico per uso non trasfusionale, fonte di fattore di crescita, utilizzato in vari ambitiPreparato da sangue anticoagulato in volume va-riabile secondo la tipologia di utilizzo econtiene piastrine risospese in plasma; può essere prepa-rato da donazione di sangue intero o mediante aferesi secondo procedure standard di prepara-zione (CPunT allogenico) o può essere prepara-to da sangue intero, da aferesi, ovvero utilizzan-do altre modalità di prelievo (CPunT autologo)Dal concentrato piastrinico deriva il Gel piastrini-co usato per la riepitelizzazione cutanea in caso di ulcere o piaghe, senza cicatrici, o addirittura per la rigenerazione ossea.Una nuova “ frontiera” che ha aperto orizzonti e suscitato speranze in pazienti, di tutte le età, affetti da patologie varie, dalle ulcere diabetiche alle lesioni a problemi odontoiatrici. Anche a Taranto la metodica è in uso da qual-che anno nel Centro Emotrasfusionale del “SS. Annunziata”, diretto dal dott. Gianfranco Miloro, dove le dott.sse Maria Carmela Guerrese, aller-gologa ed immunologa nonché medico dirigen-te”, e Rosa Bruno, biologa, si occupano, già dal 2009, dei pazienti ai quali la terapia può apporta-re benefi ci Nel luglio del 2009 è stata applicata per la prima volta ad un bambino di 11 anni, con una cisti congenita nella parte più alta del femo-

re, al quale è stato praticato un prelievo per una donazione autologa di piastrine, ricavando un gel che insieme con osso liofi lizzato è stato inietta-to, durante l’intervento chirurgico di asportazione della ciste, per riempire la parte del tessuto man-cante. Ottimi i risultati, come per gli altri casi ad oggi trat-tati (19 pazienti su 20 ma va considerato che in uno esistevano diffi coltà di altro tipo) nel campo cutaneo, osseo, odontotecnico, ortopedico e, per fi nire, estetico. Una gamma diversifi cata che, ov-viamente, presuppone un progetto multidiscipli-nare avanzato.Ogni caso ha presentato delle diffi coltà inaspet-tate, tutte risolte con successo.Una donna di 80 anni, affetta da diabete e car-diopatia, che presentava alla gamba sinistra una estesa lesione da grattamento con crosta, curata per 7 mesi con terapie tradizionali non risolutive, dal gel piastrinico (per donazione eterologa), ap-plicato in tre sedute totali, in 45 giorni ha avuto la guarigione completa.Due mesi e 8 applicazioni di gel piastrinico da donatore eterologo (prelievo effettuato con kit per cellule staminali) sono stati necessari per un 80enne cardiopatico affetto da ulcera da trauma al malleolo di diametro di circa 12-15 centimetri. Il paziente che presentava una vascolarizzazio-ne insuffi ciente, dopo aver girato vari reparti ed essersi sottoposto a diverse medicazioni, senza trovare soluzione, ha risolto completamente il problema.Tre mesi per la completa guarigione di un ulcera vascolare ad una donna di 40 anni, obesa, che, nel corso della terapia, si è scoperta allergica ad alcuni medicinali per cui la serie di complicanze inaspettate ha protratto il tempo della guarigione.Trattato di recente un uomo operato in Neurochi-rurgia per microangiomi, intervento che ha pre-visto l’applicazione di valvole, causa di ferite al cuoio capelluto. Le ferite sono state rigenerate con il gel piastrinico.Speranza, dunque, dalla ricerca applicata sul campo con nuove “comunità di pratiche”.Speranza anche nella nostra realtà, troppo spesso e per troppe patologie costretta ai viaggi della speranza! Oggi, almeno per un certo tipo di pazienti, la speranza è “a casa”!

L’équipe del Centro Trasfusionale “SS. Annunziata”, Taranto

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La fi ssazione esterna può essere defi nita come un metodo di osteosintesi, in grado di stabiliz-zare monconi e frammenti scheletrici mediante elementi di presa infi ssi nell’osso, trapassanti le parti molli e raccordati ad un apparato ester-no, detto fi ssatore.

I fi ssatori, dunque, sono dispositivi biomedicali che vengono impiantati temporaneamente nel corpo umano dove svolgono la funzione di alli-neare e tenere uniti due o più frammenti ossei originatisi da una frattura.

Dott. Attilio GualanoInfermiere Sala Gessi P.O. “SS. Annunziata” - TA

LA FISSAZIONE ESTERNA:ASPETTI DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA

Indicazioni relativeFratture con perdita di sostanza osteo mu-scolo cutanea

Fratture in politraumatizzati

Fratture irriducibili in soggetti in accresci-mento

Fratture in pazienti in condizioni cliniche scadenti

Fratture complesse o con frammenti inter-media

Allungamento degli arti dismetrie post-trau-matiche o per patologia congenita).

Vantaggi e svantaggi all’utilizzo di Fissatori EsterniPer ciò che attiene ai vantaggi, come abbia-mo visto prima, il fi ssatore esterno permette di trattare fratture scomposte esposte complicate da ferite severe e, quindi di curare le stesse contemporaneamente alla frattura.

Questo trattamento permette al paziente di ri-manere in Ospedale per un breve periodo e nella maggior parte dei casi di riprendere in tempi brevi la propria attività.

Il fi ssatore è versatile e semplice da utilizzare e permette una mobilizzazione precoce artico-lare.

Gli svantaggi dei fi ssatori esterni riguardano la reazione del materiale ossia fi ches e fi li se-guita da una eventuale infezione più o meno grave.

Le fi ches e fi li possono allentarsi con il rischio che l’osso diventi instabile, inoltre la vista del fi ssatore esterno può causare paura al pazien-te ed ai membri della sua famiglia e psicolo-

Obiettivo: supportare l’osso durante il suo consolidamento e promuovere la guarigione.

Indicazioni assolute.Fratture scomposte esposte

Fratture da arma da fuoco

Fratture con lesioni vascolo nervose

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gicamente può non essere tollerato per il suo ingombro.

La forma è strettamente collegata allo scopo dell’ apparato, ai materiali impiegati, alla si-curezza dell’utilizzatore, all’ergonomia, all’e-stetica; possono essere Circolari, Bilaterali, Monolaterali, Ibridi e costituiti da diverse tipo-logie di materiale: titanio, acciaio, alluminio o materiale composito.

Anche gli elementi che sono diversi, associati, formano svariatissimi apparati di varia forma e complessità, necessari per ogni metodo di trat-tamento.

Questi elementi vengono divisi in: principali e secondari.

I componenti principali sono utilizzati per soli-darizzare le ossa ed i loro frammenti all’appa-recchio stesso: semianelli ed anelli, archi, fi li di Kischner, fi ches, aste fi lettate supporti obliqui.

I componenti secondari sono tutte quelle par-ti necessarie alla congiunzione dell’apparato stesso al di fuori dello scheletro: snodi univer-sali, bussole, bandierine, rondelle, dadi, bulloni.

UN PO’ Dì STORIA..La storia della fi ssazione esterna “iniziereb-be” nel 1843, quando Joseph - François Malgaigne ideò un perno di metallo in una cinghia di cuoio Per il trattamento delle frattu-re di tibia, ideò anche un meccanismo a forma di “artiglio” chiamata “griffe” che permetteva la riduzione e la fi ssazione di fratture di rotula, en-trambi i dispositivi portano il suo nome.

Fig. 1 - Joseph François Malgaigne

Fig. 2 - Griffa Malgaigne

Fig. 3 - Pinza Malgaigne

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Nell’antichità, in realtà vengono descritti siste-mi di fi ssazione rudimentali, di seguito è ripor-tata l’immagine di una mummia egizia della Va dinastia che riporta la frattura di un avambrac-cio con esiti di consolidazione immobilizzato con una stecca.

Fig. 37- Albin Lambotte1866-1955

Fig. 4 - Frattura dell’avambraccio con stecca da una mummia della quinta dinastia, che mostra segni di gua-rigione.

Fig. 5 - Ippocrate

Ippocrate descrive nel 400 A. C. un sistema rudimentale di fi ssazione esterna con la quale viene ridotta e fi ssata una frattura di tibia.

Dopo Malgaigne,I dispositive di ROUX ED OLLIER rappresentano tentativi di migliora-mento

Mentre nel 1848 è Clayton Parkil (Denver, Colorado1894 /1897) ad usare un fi ssatore per il trattamento delle pseudoartrosi di tibia deno-minata “pinza osso”.

Nel 1902 Albin Lambotte chirurgo belga, cre-ava il primo fi ssatore esterno per sintesi femo-rale con fi ches monolaterali, a lui è attribuito il primo chiodo auto fi lettante denominato “thre-

aded”.

Allo stesso, va ri-conosciuto il merito di essere stato pio-niere nella raccolta della documenta-zione scientifi ca.

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Il primo perno autofi lettante “threaded

Robert Judet, R.Anderson, Giovanni De Bastiani, sono i chirurghi che danno il via alla moderna concezione di sintesi esterna, che trova il suo capostipite in R. Hoffmann, nel 1938.

Nel 1950, Gavril Abramovich Ilizarov chi-rurgo di Kurgan, Unione Sovietica, inventa un sistema di fi ssazione circolare che prende il suo nome ossia:

Apparato per compressione e distrazione “Ilizarov”.In ortopedia può essere utilizzato per l’allun-gamento degli arti, la correzione di deformità congenite e acquisite, pseudoartrosi e ritardi di consolidazione, contratture muscolari rigide, infezioni ossee.

Oggi i fi ssatori sono di diversa forma, di diversi materiali, per diversi segmenti anatomici.

Sono di seguito riportati alcuni fi ssatori esterni oggi in uso.

BACINO

TIBIA

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ARTO SUPERIORE e MANO

PIEDE

ASSISTENZA INFERMIERISTICA AL PAZIENTE PORTATORE DI

FISSATORE ESTERNO

La pianifi cazione e l’elaborazione del proces-so di nursing è di competenza infermieristica, il piano d’azione dev’essere specifi co e perso-nalizzato.

Nell’assistenza si distinguono varie fasi duran-te le quali ci si prende cura del paziente:

La FASE DÌ PRE-RICOVERO, in caso di rico-vero, programmato, riguarda l’organizzazione dello stesso, il paziente esegue gli esami e ri-ceve le prime indicazioni su come si svolgerà il soggiorno e su quale sarà il programma che lo riguarderà durante la degenza.

L’ACCOGLIENZA ed IL RICOVERO urgente o programmato rappresentano sempre un pro-blema generale per ogni paziente.

FASE PRE E POST OPERATORIA.LA MEDICAZIONE DEL FISSATORE.Il ricovero rappresenta un momento molto par-ticolare per ogni paziente: la separazione dal proprio ambiente, il distacco dai propri cari, possono rappresentare un trauma.

Un ambiente del tutto nuovo, orari, procedure, pratiche medico-infermieristiche rappresenta-

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no elementi nuovi di un enorme contenitore dove il paziente si trova catapultato, per cui la fase di accoglienza in reparto diventa delicata ed importantissima.

Importante sarà ospitare il paziente in maniera accogliente; l’instaurare la migliore relazione di aiuto con uno scambio di informazioni rassere-nerà lo stesso predisponendolo ad un atteggia-mento positivo per il proseguo delle cure.

L’infermiere deve essere in grado di ricono-scere gli aspetti psicologici caratteristici della persona.

Come visto in precedenza, la maggior parte degli interventi di fi ssazione esterna, riguar-dano persone che hanno subito traumi gravi, spesso bambini con handicap congenito o ac-quisito, oppure persone che hanno una lunga storia clinica come ad esempio esiti di fratture non consolidate che necessitano di diversi e lunghi trattamenti.

Da questo emerge una situazione psico-emoti-va differente e contrastante: da una parte l’an-sia e la paura, che possono far visualizzare alla persona una situazione negativa, dall’altra la speranza, sentimento positivo che incoraggia la persona.

L’intervento di fi ssazione esterna comporta una profonda modifi cazione dell’immagine del pro-prio corpo, seguito da disagio emotivo e da dif-fi coltà nel rapporto con gli altri, (Limb, 2003) il paziente sente il “bisogno di essere come gli altri”.

La psicologia del paziente è importantissima, la depressione è un aspetto da non sottovalu-tare (Patterson, 2006), infatti può rappresenta-re un ostacolo all’auto gestione del fi ssatore.

Ansia, incertezza, paura del futuro, immagine futura di sè e tempi relativamente lunghi di de-tenzione del fi ssatore possono sfociare, (fa-cendo sentire il paziente prigioniero del dispo-sitivo) nella così detta “sindrome della rabbia gabbia”.

Questi sono aspetti da non sottovalutare, ma da affrontare con una informazione e comu-nicazione competente valida ed effi cace. Ed è proprio l’ immagine di sè (ciò che è, ciò che

teme di diventare) a creare ansia ed incertezza, predisponendo a volte ad un atteggiamento an-siogeno che può sfociare, se non supportato da un’adeguata informazione e comunicazione, in un approccio negativo all’intervento chirurgico.

L’obiettivo dell’intervento infermieristico di edu-cazione sanitaria, in vista dell’intervento chirur-gico, ha come fi nalità la riduzione dell’ansia, rendendo il paziente cosciente del problema ponendo allo stesso una visione quanto più re-ale possibile.

FASE PRE OPERATORIA Preparazione all’intervento

chirurgico in reparto ortopedia

Assicurare l’interazione nella comunicazio-ne:fermo restando quanto riportato sopra in rap-porto alle problematiche psicologiche,sarà im-portante indagare su eventuali patologie con-comitanti, informare il paziente effettuando un colloquio sulle modifi che temporanee/perma-nenti comportate dall’intervento. Se si tratta di bambini, programmare un percorso idoneo con la presenza di uno psicologo che supporti bam-bino e genitori. Se si tratta di pazienti stranieri, si programmerà la presenza di un interprete e/o mediatore culturale per il ricovero); per pa-zienti dementi o non collaboranti richiedere la presenza di un familiare o di chi sia in posses-so di notizie cliniche dettagliate.

Assicurare l’alimentazione e idratazione:

programmare un regime dietetico adeguato in collaborazione con il dietista, far assumere una dieta ricca di ferro (per contrastare l’anemia post operatoria) e calcio (per favorire la forma-zione del callo osseo), eventualmente ipoca-lorica se persona obesa. Il giorno precedente l’intervento l’assistito assumerà una dieta leg-gera, con digiuno dalla mezzanotte. Fornire diete di vario tipo, insegnare i comportamenti per favorire una alimentazione e idratazione equilibrata e indicare i motivi della dieta da se-

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guire, insegnare a monitorare l’introito di cibi/bevande.

Assicurare l’eliminazione urinaria e intesti-nale:

nel caso di pazienti giovani e di pz con inter-vento programmato non ci sono particolari problemi, per pz anziani o con impossibilità al movimento per alcuni giorni la cateterizzazione consentirà di monitorare il bilancio Idro elettroli-tico, evitando di alzarsi prevenendo cadute.

La cute sarà tenuta asciutta impedendo ma-cerazioni che deriverebbero dal contatto con le urine in caso di panno. L’evacuazione di feci sarà ottenuta mediante clisteri evacuativi il giorno precedente l’intervento.

Assicurare l’igiene:

favorire l’igiene sarà importante, (il giorno pre-cedente l’intervento di solito la sera prima o pri-ma del trasferimento in sala operatoria quanto alla tricotomia seguire i protocolli di reparto là dove presenti. il giorno dell’intervento: fornire il camice e la cuffi a; le unghie in caso di pazien-ti di sesso femminile dovranno essere prive di smalto, dovranno essere rimosse eventuali protesi e monili, il letto dovrà essere rifatto con biancheria pulita, traversa monouso e due co-perte, e dovrà essere posizionato un archetto sollevacoperte).

Assicurare la funzione cardiocircolatoria:

programmare con il Centro Trasfusionale il deposito di sacche predonate per pz per i quali si supponga una perdita importante da reinfondere nel post operatorio;

controllare ed identifi care i sintomi ed i segni di una TVP: dolore, calore, rossore e gonfi ore all’arto interessato dalla frattura, per cui rileva-re e sorvegliare la temperatura dell’arto frattu-rato e la frequenza cardiaca periferica, per la presenza di eventuali segni di trombosi o com-pressione del circolo (arterioso e venoso); con-trollare il colorito dell’arto fratturato per rilevare segni di compressione del circolo; rilevare lo

stato di idratazione in seguito alla ridotta intro-duzione o perdita di liquidi da edemi o emato-mi. possono presentarsi punti di esposizione della frattura, perciò rilevare l’integrità cutanea; in presenza di febbre applicare la borsa del ghiaccio, rilevare ed annotare la temperatura corporea.

Respirare: pz anziani allettati a differenza di pz giovani possono avere problemi di clearen-ce delle vie aeree con possibili infezioni delle stesse, anche per eventuali traumi toracici as-sociati che riducono l’espansione toracica, per intubazione intraoperatoria, per inibizione del rifl esso della tosse a scopo antalgico.

Assicurare la respirazione : insegnare ad eseguire esercizi respiratori e di tosse, drenag-gio posturale, azioni: favorire l’esecuzione di esercizi respiratori (atti: respirazione diafram-matica, costale, respirazione a labbra socchiu-se, far utilizzare appositi dispositivi), effettuare percussioni e vibrazioni, far effettuare esercizi di tosse, effettuare il drenaggio posturale (per quanto è possibile visto il decubito obbligato); nel caso in cui si renda necessario : aspirare le secrezioni delle prime vie aeree; dato il rischio post traumatico di EPA, contusione polmonare, PNX, versamento pleurico da trauma, vi è la necessità di rilevare i caratteri della respirazio-ne.

Applicare le procedure terapeutiche

Se il paziente assumeva terapie con anti-coa-gulanti orali, andrebbero sospese almeno una settimana prima dell’intervento, di solito sosti-tuiti con trattamenti eparinici sottocute; se as-sumeva terapia con acido acetilsalicilico, la te-rapia andrebbe sospesa almeno 5 giorni prima dell’intervento; se assume terapie neurolettiche (es: Anafranil), andrebbero sospese almeno 10 giorni prima dell’intervento. Il tutto avviene su indicazione dell’ortopedico o dell’ Anestesista o degli specialisti ognuno per la propria area di competenza.

Vi sono comunque protocolli specifi ci a riguar-do. In caso di auto somministrazione di terapia eparinica sottocute a domicilio, il pz sarà edotto alla pratica oppure sarà individuato il care giver,

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importante sarà porre attenzione al dosaggio del farmaco ed alla corretta applicazione della stessa procedura.

Il giorno precedente e il giorno stesso dell’in-tervento somministrare i farmaci prescritti dall’anestesista come premedicazione e te-rapia domiciliare se indicato dall’anestesista (azione: Sostituire: somministrare sostanze te-rapeutiche).

Eseguire le procedure diagnostiche : esami necessari sono tutti quelli di laboratorio (esami standard per intervento, gruppo san-guigno ed eventuale prelievo per la richiesta di sangue o di sacche predonate), esami stru-mentali standard (ECG, RX e Torace) inoltre RX e/o RMN bacino + articolazione interessata (eseguire prelievo di sangue venoso, eseguire ECG, eseguire esami radiologici).

Prima dell’intervento chirurgico, il chirurgo stesso chiederà all’assistito o a chi legalmen-te lo rappresenta il consenso ad essere infor-mato sull’intervento, sugli effetti dello stesso e sui rischi ad esso correlati (consenso informa-to scritto), in caso positivo procederà a forni-re tutte le informazioni, in caso di accettazio-ne dell’intervento si assicurerà di far fi rmare lo stesso consenso.

Stessa procedura sarà adottata per l’aneste-sista circa i rischi correlati alla pratica aneste-siologica, l’infermiere quindi porrà attenzione ai consensi informati scritti, assicurandosi che siano stati fi rmati.

Fase POST OPERATORIA Post operatorio Immediato (dalla fi ne dell’intervento alle prime 24 ore) :

� controllo parametri vitali (PAO, FC, FR, SaO2) valido anche per post operatorio in-termedio

� controllo della Diuresi valido anche per post operatorio intermedio;

� controllo condizioni generali del pazien-te (orientamento, vigilanza) valido anche per post operatorio intermedio:

� controllo del dolore (usare scale del do-lore validate (VDS-VAS-NRS) pediatriche per i bambini e riportare i dati sulla C.I.) por-tandoli all’attenzione del medico, controllo dell’effi cacia della terapia analgesica (gene-ralmente due accessi: endovena e peridu-rale) valido anche per post operatorio inter-medio;

� controllo della ferita chirurgica e delle fi ches (se presenza di rossore, ematoma, sanguinamento, adesione della medicazio-ne) e di eventuali drenaggi (quantità/quali-tà),

per la medicazione sarà dedicata di segui-to una sezione particolare.

� controllo dell’arto operato (polso perife-rico, sensibilità, motilità, temperatura, colo-re), posizionare zuppingher, borsa di ghiac-cio e archetto sollevacoperte, valido anche per post operatorio intermedio;

� somministrazione di antibiotico terapia secondo protocollo di reparto.

� effettuare prelievi ematici su prescrizio-ne medica: emocromo di controllo su pre-scrizione medica) valido anche per post operatorio intermedio.

� pz giovani con intervento programmato privi di complicanze a differenza di pz anzia-ni affetti da traumi acuti, su indicazione me-dica possono assumere la posizione eretta senza caricare con l’ausilio di stampelle.

controllo segni di comparsa complicanze che possono essere:

� Generali: immediate (shock, emorra-gie) a distanza (embolia polmonare, LDD).

� Locali: immediate (rottura di vasi, le-sioni nervose, infezioni, TVP), a distanza (ri-tardo di consolidamento, pseudoartrosi)

Post operatorio Intermedio (dalle 24 ore ai primi 15 giorni dall’intervento) :

Caratterizzato dalla ripresa del movimento gra-duale, sotto prescrizione e sorveglianza medi-

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ca, svolta dal fi sioterapista;

controllo ferita chirurgica e medicazione, ri-mozione drenaggi (di solito dopo 24/48 ore dall’intervento): i punti in caso fosse associata ferita verranno tolti secondo la condizione di cicatrizzazione, in genere in 15A - 18Agiornata.

� controllo dello stato di cute e mucose (pre-venzione LDD),

� controllo canalizzazione e rimozione del CV a partire dalla 2^ giornata post-operatoria

� terapia antibiotica (in genere sino alle 24 ore dopo l’intervento) e terapia infusiva sino a 48/72 ore dall’intervento e comunque come da protocollo di reparto.

� la dieta è libera sin dal 1° giorno post ope-ratorio

Post operatorio Tardivo (oltre i 15 giorni dall’intervento) :

periodo trascorso a domicilio o presso centri di riabilitazione dove sarà opportuno ed importan-te il controllo e la gestione del fi ssatore.

LA MEDICAZIONE

Abbiamo visto in precedenza come prendersi cura del paziente portatore di fi ssatore esterno, ora vediamo l’aspetto prettamente tecnico che riguarda la medicazione del fi ssatore stesso che rappresenta un aspetto importante. Esiste una best Practice nelle cura delle lesioni cau-sate dai fi ssatori esterni in particolare dalle fi -ches?

Il problema più importante da affrontare è si-curamente rappresentato dall’infezione del tratto delle fi ches che rappresenta la compli-canza più temibile. Importante sarà individuare e riconoscere i segni di una infezione causata dalle fi ches. Diverse possono essere le tipologie di pazienti che possiamo incontrare: pazienti portatori di FE senza ferita chirurgica (trattati a cielo chiu-so) o pz portatori di FE con presenza di lesioni che dovranno risolversi per seconda intenzione

oppure pz portatori di FE con ferita chirurgica.

I segni minori di un’infezione sono: arrossa-mento, gonfi ore, fragilità cutanea, drenaggio purulento che migliora con l’incisione della cute.

I segni maggiori sono rappresentati da: arros-samento, gonfi ore, fragilità cutanea, drenaggio purulento che non migliora con l’incisione della cute e richiede la rimozione del fi ssatore per ottenere il miglioramento cutaneo.

Due autori, Checketts R. & Otterburn M., pro-pongono una classifi cazione delle infezioni del tratto delle fi ches. Uno studio osservazionale è stato condotto su 353 perni posizionati, nell’ar-co di 12 mesi il 54,4 % dei perni ha mostrato segni di infezione minore, i perni maggiormen-te soggetti ad infezione sono stati quelli in pros-simità delle articolazioni. Si possono distinguere 6 diversi gradi di infe-zione dei perni in trazione, vengono considera-te infezioni minori quelle di grado 1-3; infe-zioni maggiori quelle di grado 4-6.

1° GRADO: drenaggio modesto e arros-samento presso l’inserzione del perno;

2° GRADO: arrossamento della cute at-torno al perno, sensibilità dei tessuti molli, presenza di pus;

3° GRADO: simile al grado 2, ma un trat-tamento intensivo locale e l’uso di anti-biotici non sono suffi cienti, i perni devono essere riposizionati;

4° GRADO: grave coinvolgimento dei tessuti molli, interessamento di più di un perno. I fi ssatori esterni devono essere ri-mossi;

5° GRADO: come il grado 4 ma con pre-senza di osteomielite;

6°GRADO: sequestro nella formazione di osso e persistenza di “sinus” (tratto fi sto-loso a fondo cieco) anche dopo la rimo-zione dei fi ssatori esterni. È necessario un intervento chirurgico.

Tra gli INTERROGATIVI più comuni: Come de-tergere? Quali disinfettanti usare? Rimuovere le croste? Tecnica sterile o pulita? Usare o no

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pomate? Quali medicazioni utilizzare? Con quale frequenza? Si può fare la doccia con il fi ssatore? L’igiene? Il dolore?La mobilizzazio-ne?

le fonti utilizzate per questa ricerca sono state diverse

- CDC DI ATLANTA (USA) - MEDLINE /PUBMED - RIVISTE DI NURSING ORTOPEDICO

- LINEE GUIDA PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLE LESIONI DA PRESSIONE

Tra gli articoli più interessanti - Lethaby A,Temple J, Santy J. Pin site care for preventing infections associated with external bone fi xators and pins. Cochrane Database of Systematic Reviews 2008, Issue 4. Art. No.: CD004551.

- Ward P., Care of skeletal pins: a lite-rature rewiew, in Nursing Standard (1998) 12, 39p. 34-38 (di seguito denominato Standard per la medicazione dei fi ssatori monolaterali

Tra i disinfettanti, acqua ossigenata, iodio-povidone in soluzione, clorexidina 0,05%. Lo iodio-povidone è sconsigliato poiché corro-sivo nei confronti dell’acciaio, (W. Dahl 2003) quando associate iodio e clorexidina hanno dimostrato di provocare aumento delle infezio-ni, ritardo della guarigione ed alterazione della normale fl ora cutanea. L’uso dell’acqua ossige-nata pari alla clorexidina ed allo iodio-povidone è associato al ritardo del processo di guarigio-ne della lesione ed alterazione della fl ora cu-tanea. Se utilizzata per le fi ches la lesione va poi sciacquata con soluzione fi siologica. Due studi:

� Henry c. pin site do we need clean them? Practice nursing 1996(4) 12,15-7

� J.Eric Gordon pin site care during external fi xation in children

hanno confrontato due gruppi, il primo deterso con sol salina 0’9 % e alcol 70 % il secondo non deterso, i risultati hanno dimostrato un numero

minore di infezioni nel gruppo non deterso..

Tra le soluzioni detergenti, Acqua sterile e soluzione fi siologica sono utili nella cura del-le fi ches ammorbidiscono le croste ed i resi-dui di essudato In modo da essere facilmente rimossi, ad esse non sono associate reazioni avverse.

Rimozione della crosta. Alcuni autori indicano di rimuovere le croste che circondano la fi ches in modo da permettere la fuoriuscita di materia-le di drenaggio dai tessuti profondi ed evitare formazione di ascessi, altri autori sostengono che le croste rappresentino una barriera alle contaminazioni profonde , l’orientamento at-tuale in attesa di nuovi studi, è quello di rimuo-vere le croste al fi ne di permettere il drenaggio.

Tecnica sterile o pulita. Quattro auto-ri raccomandano tecnica sterile in ambiente ospedaliero per la presenza di batteri antibio-tico-resistenti, a domicilio è consigliato l’uso di tecniche pulite.Le pomate. Le controversie riguardano il “se” usare o meno le pomate; attualmente sono sconsigliate e si preferisce lasciare esposte all’aria le fi ches. QUALE MEDICAZIONE UTILIZZARE? Alcuni autori propongono l’uso della medica-zione per un’azione barriera nei confronti del-le fi ches. altri sostengono di lasciarle scoperte per non bloccare il drenaggio.

“Sisk” propone di medicare le fi ches solo in presenza di drenaggio e raccomandano l’u-so di medicazioni associate a lesioni cutanee o se è previsto movimento del tessuto attor-no alle stesse fi ches. “Triguerio” spiega che L’applicazione di garze sterili, attorno alle fi -ches, può rappresentare una barriera protettiva contro: le infezioni aeree e la contaminazione attraverso le mani del paziente o dei caregi-vers.

LA FREQUENZA DELLA MEDICAZIONE

Variare la frequenza di medicazione rilevabile dall’osservazione delle garzeWard P. Santy J. Bernardo L.M.

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La prima medicazione è consigliata dopo 24 ore dall’intervento; In presenza di drenaggio copioso è consigliata una frequenza della medicazione ogni 8 ore. La cura delle sedi delle fi ches, in assenza di chiari segni di infezione, va eseguita ogni cin-que - sette giorni. In passato, l’indicazione che si dava era quella di sostituire la medicazione una volta al giorno.

IGIENE DOCCIA E ABBIGLIAMENTOUn’adeguata igiene personale sortisce effetto positivo su circolazione ed idratazione.

È possibile eseguire la doccia , anche con il FE, quando non sono presenti altre ferite sull’arto interessato e comunque dopo almeno dieci - quindici giorni dall’intervento. Durante la doccia, è opportuno che il paziente strofi ni delicatamente la cute e la struttura metallica, in prossimità delle fi ches, utilizzando un deter-gente saponoso.

Al termine della doccia è necessario asciugare accuratamente sia la cute sia la struttura me-tallica, utilizzando un telo pulito, procedendo In seguito alla medicazione.

Per ciò che attiene all’abbigliamento può esse-re utile l’utilizzo di capi (tuta o camicie) dotati di bottoni, anche laterali, per facilitare le opera-zioni del cambio dell’abbigliamento.

Il dolore L’infermiere “misura” e monitora la presenza o assenza del dolore in ogni paziente regolar-mente, mediante una delle scale validate e riporta il valore sull’apposito spazio previ-sto nella cartella infermieristica, su schede di valutazione dedicate portandolo all’atten-zione del medico.

ADULTIVAS (Visual Analogue Scale) VDS (Verbal Descriptor Scale) NRS (Numeric Pain Intensity Scale)

Per I bambini saranno adottate scale pediatri-che.

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Controllo del fi ssatore � Controllare che i dadi o i morsetti siano serrati

� Che le fi ches non siano mobili

� Che I fi li non siano rotti

� Che i fi li di K. all’esterno della struttura siano curvati

� Che i bordi taglienti dei chiodi siano Co-perti

� Che vi sia uno spazio suffi ciente tra il fi s-satore e la cute in caso di edema.

MOVIMENTO E DECUBITOOgni sede di applicazione del FE presenta delle particolarità di assistenza. Se il fi ssatore è posizionato sulla gamba pre-stare particolare attenzione alla posizione del piede perché, se non sostenuto, tende ad assu-mere una postura errata (equinismo) con diffi -coltà e dolore nel recupero. Perciò, la posizione corretta è data dal posizionamento della scar-petta, o ciabatta, sostenuta con dei tubolari in lattice per dare una tensione tale da mantenere il piede a novanta gradi rispetto alla gamba.

Se il fi ssatore è collocato sul braccio,(omero) è opportuno posizionare un supporto per sostenere gomito ed avambraccio (reggi - gomito).Se di polso sarà opportuno sostenere polso e mano ove vi sia diffi coltà iniziale all’estensione del polso con rischio di permanenza del defi cit.

Conclusioni Ricerca scientifi ca dove sei?

È defi citaria in questo settore specifi co del wound care dove Non esistono protocolli..per cui Parlare di EBN (evidence based nursing) può risultare aleatorio.

Un trattamento standard delle sedi delle fi ches resta ancora da individuare..

Tutti gli autori sono concordi nel sottolineare che è scarsa la ricerca infermieristica in que-

sto ambito, le raccomandazioni sono di livello II, spesso le affermazioni derivano dai “principi di guarigione delle lesioni croniche” e le racco-mandazioni sono basate sulla preferenza del singolo autore.

BIBLIOGRAFIA● Cohen, A. (1991). Body image in the person with a stoma. Journal of Entero-stomal Therapy ; 18(2), 68-71. L’immagine corporea nella persona con una stomia;. Journal of enterostomale Therapy 18 (2), 68-71. ● Center for Disease Control, Linee guida per la prevenzione delle infezioni del sito chirurgico.

● Lee – Smith J., Santy J. Davis P., Je-ster R., Kneale J., Pin site management. Toward a consensus: Part I, in J. of Ortho-pedic Nursing (2001) 5, p. 37 – 42

● Ward P., Care of skeletal pins: a litera-ture rewiew, in Nursing Standard (1998) 12, 39 p. 34-38

● Bereton V., Pin-site care and the rate of local infection, in Journal of wound care (January 1998) vol. 7 n. 1, p. 42 – 44

● Libro degli Abstracts – Congresso ASAMI 2003 – Lecco 8-10 Maggio, 2003

● Lethaby A,Temple J, Santy J. Pin site care for preventing infections associated with external bone fi xators and pins. Co-chrane Database of Systematic Reviews 2008, Issue 4. Art. No.: CD004551. DOI: 10.1002/14651858.CD004551.pub2.

● Sisk,T.(1983) general principles and techniques of external skeletal fi xation. Clinical orthopaedics and related rese-arch 198:96-100 (OP CIT.IN McKENZIE LL 1999)

● Triguerio, M 1983 pin site care proto-col. Canadian nurse; 79:8,24-26. (OP cit in Mckenzie LL 1999).

● M. Cantarelli “Il modello delle presta-zioni infermieristiche” Masson Milano 1997

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Il D.M. tipo 1 (diabete infantile o autoimmu-ne) è l’endocrinopatia più frequente nell’età pe-diatrica. Il futuro dei bambini diabetici è cam-biato signifi cativamente negli ultimi decenni. Il progresso nella cura del diabete si fonda su solide basi, è frutto sia delle nuove conoscenze sia del coinvolgimento della diade famiglia – pa-ziente. Entrambi questi fattori sono propedeutici per poter “educare” a gestire una malattia così complessa e instabile come il diabete infantile. Viene infatti affrontato il tema dell’educazione terapeutica come strumento indispensabile per migliorare la qualità della vita ai piccoli pazienti e alle relative famiglie.

Mentre l’educazione alla salute è rivolta alle persone in stato di salute, per promuoverla ul-teriormente, l’educazione terapeutica è un pro-cesso educativo che si propone di aiutare la persona malata ad acquisire e mantenere la ca-pacità di gestire in modo ottimale la propria vita, convivendo con la malattia.

E’ indispensabile che il bambino e la sua fa-miglia vengano educati all’autogestione, devo-no, cioè, essere aiutati nell’acquisizione della capacità di autogestire la propria vita in presen-za di diabete, di svilupparla, potenziarla e so-prattutto di metterla in pratica.

I dati riportati dalla letteratura mondiale in-dicano che il DM è una patologia molto co-stosa e che si possono realizzare risparmi signifi cativi per il Servizio Sanitario, riducendo soprattutto i costi causati dalle complicanze del diabete attraverso un trattamento attento ed ef-fi cace della malattia.

Le responsabilità del coordinatore vengono sempre meno collegate allo svolgimento di atti-vità assistenziali e sempre più caratterizzate in termini di soluzione di problemi di funzionamen-to dell’unità, per il raggiungimento di migliori risultati assistenziali. La funzione dell’infermie-re coordinatore si identifi ca nella gestione del

IL RUOLO DEL COORDINATORE INFERMIERISTICO E DEL TEAM NELLA PROGETTAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE INFERMIERISTICA PER LA TRACCIABILITÀ

DEL PERCORSO EDUCATIVO DEL BAMBINO DIABETICO

servizio affi dato che consiste essenzialmente nel guidare un gruppo di operatori e nel creare le condizioni necessarie per assolvere a tutti i bisogni assistenziali, educazionali e riabilitativi dei pazienti (bambini, adolescenti, giovani adul-ti) e delle famiglie che afferiscono al servizio. Il servizio di diabetologia pediatrica esaminato si trova in un ospedale del brindisino dove vengo-no seguiti circa 250 bambini con diabete melli-to tipo 1 attraverso attività di ambulatorio (circa 600 accessi l’anno) e di day – hospital (circa 400 accessi l’anno). Durante l’attività assisten-ziale si è osservato che erano sempre le stesse insicurezze e paure a tormentarli: ricorrevano frequentemente al servizio perché non in grado di gestire e soprattutto di prevenire episodi di ipo o iperglicemia. Questi ripetuti eventi hanno fatto emergere, all’interno dell’ambulatorio di diabetologia pediatrica, la mancanza di do-cumentazione infermieristica destinata alla tracciabilità del percorso di educazione sa-nitaria al bambino diabetico e alle famiglie. L’osservazione ha portato a formulare l’ipotesi che un’adeguata educazione terapeutica rivolta ai bambini e alle famiglie migliora l’aderenza al piano di cura, favorisce l’autonomia da parte degli stessi e riduce al minimo le situazioni di complicanze acute e a lungo termine anche di quelle croniche.

La prima fase del lavoro ruota intorno all’esi-genza di evidenziare criticità e, nel contempo, realtà oggettive positive che potrebbero ulterior-mente essere migliorate. Il fi ne ultimo è quello di ottimizzare la qualità del servizio di diabetolo-gia pediatrica in questione.

Perché ciò sia possibile, bisogna cercare di risolvere i punti di debolezza, servendosi di strumenti effi caci e moderne metodologie di analisi e progettazione quali diagramma causa – effetto, tecnica dei sei cappelli per pensare. Il diagramma causa effetto è il metodo più sem-plice ma al tempo stesso più effi cace per indivi-

Dott.ssa Italia CilinoInfermiera Piattaforma Ambulatoriale - Grottaglie

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duare le cause che determinano il problema e per studiarne le relazioni, che ci permettono di risolverlo. E’ quasi un procedimento algoritmico che ci aiuta a risalire alle vere cause e, quindi, ai veri problemi da risolvere. Edward De Bono, un’autorità nel campo del pensiero creativo, ha elaborato un metodo (sei cappelli per pensa-re), che utilizza sei cappelli colorati per farsi un quadro esauriente della situazione. Decidere di indossare, anche solo metaforicamente, un cappello per pensare è già, di per sé, un invito e uno stimolo ad abbandonare i binari del pen-siero passivo, quello di reazione e a predisporsi ad una forma di pensiero attivo, di azione. Si è deciso di utilizzare questa metodologia per affrontare il nostro problema (assenza di un programma di educazione terapeutica rivolta ai bambini diabetici e alle famiglie), per entrare meglio nel merito e per abbracciare anche l’in-tero problem solving.

Grazie a ciò è venuto a galla che bisogna mettere in pratica, sì, un programma di educa-zione terapeutica ma che il tutto deve poi esse-re monitorato e valutato creando la documen-tazione infermieristica per la tracciabilità del percorso educativo attuato. Il progetto educativo nel nostro ambulatorio è partito nel mese di gennaio c. a., e vi hanno preso parte 15 bambini di età compresa tra i 10 e i 12 affet-ti da Diabete mellito tipo 1, accompagnati dai genitori. Gli incontri a tema (10 in tutto) della durata di 2 ore con cadenza settimanale, sono stati completati in due mesi e mezzo.

La metodologia usata durante gli incontri è stata quella del teatro d’impresa con partecipa-zione attiva dei piccoli pazienti e delle famiglie. La valutazione è l’ultima tappa del processo educativo e, pur essendo molto diffi cile da ef-fettuare, è imperativa perché è solo attraver-so questo processo che si può verifi care se gli obiettivi fi ssati sono stati raggiunti. Spetta, quin-di, al coordinatore, all’inizio del percorso educa-tivo, defi nire con precisione ciò che va misurato. In questa sede ci limiteremo ad approfondire la valutazione pedagogica progettando una sche-da che segua il percorso educativo dei 15 pic-coli pazienti che vi hanno partecipato, da inseri-re all’interno della cartella infermieristica.

La scheda verrà utilizzata sugli stessi bambi-ni prima, durante e dopo il corso di educazione terapeutica per valutarne la validità. Compito del coordinatore è anche quello di progettare, insieme al suo team, una scheda di raccolta dati per tracciare l’effi cacia o meno del percor-so educativo effettuato. Bisogna progettare uno strumento che valuti se il bambino diabetico ha fatto propri quegli insegnamenti teorico/pratici che si è cercato di trasmettere.

La scheda, ideata dal coordinatore insieme al suo team infermieristico, è un vero e proprio lavoro di indagine conoscitiva. E’ composta da un’ unica scheda fronte/retro dove, sul fronte-spizio, vi sono tre tabelle che devono essere compilate dal team di diabetologia, osservando la capacità pratica del piccolo paziente. Nella parte posteriore della scheda troviamo, invece, delle domande rivolte direttamente ai bambini, alle quali dovranno rispondere mettendo delle crocette su diverse immagini; questo per testa-re la loro conoscenza teorica. La valutazione fi nale viene, in entrambi i casi, effettuata dal team che stabilirà se il “compito” nei vari pas-saggi è stato: ben fatto , mal fatto , non fatto. I risultati ottenuti dalle schede raccolta dati sono stati inseriti in una matrice di Excell predisposta per il calcolo automatico delle percentuali.

I dati, ricavati dallo studio, anche se attraver-so un campione poco rappresentativo, permet-tono di affermare il raggiungimento dell’obietti-vo prefi ssato. La “scheda di raccolta dati per la tracciabilità dell’effi cacia del percorso educati-vo” progettata si è rivelata anche un ottimo stru-mento di valutazione. Ha consentito di verifi ca-re che, le conoscenze teorico/pratiche apprese dai bambini durante il percorso formativo/edu-cativo, si sono trasformate in “competenze”. Il risultato ottenuto non deve essere inteso come punto di arrivo, bensì punto di partenza per un ulteriore percorso di crescita professionale. Lo stimolo a migliorarsi deve essere insito in questo processo evolutivo, nel quale il coordi-natore gioca un ruolo essenziale essendo chia-mato non solo a semplici compiti organizzativi, ma soprattutto a sostenere coloro che ne sono coinvolti, a dettare i tempi giusti, a promuovere sostanzialmente il “cambiamento”.

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SI è di recente svolto il Seminario di Formazione del “DISEASE & CARE MANAGEMENT” relativo al progetto “Nardino” elaborato dall’ AReS Puglia. Il corso si è svuluppato in 6 gg. con una forma-zione professionalizzante di “Care Management” specifi ca per infermiere “Care Manager”, fi gura chiave del nuovo modello assistenziale di “pre-sa in carico globale della persona” affetta da pa-tologie croniche come malattie cardiovascolari, scompenso cardiaco, diabete e BPCO.

Il corso si è svolto nella sede formativa della ASL TA ed ha visto il pieno coinvolgimento di tutti gli operatori, grazie alla particolare attenzione dedi-cata dal personale dell’uffi cio Formazione della ASL. Dal 22 giugno, tre infermieri C.M., assunti dalla ASL TA con fondi AReS dedicati, sono già operativi nell’ambulatorio inf.co di Massafra del distretto SS 2 interessato dalla riqualifi cazione dell’ospedale per l’attuazione del nuovo modello assistenziale per il malato cronico.

Il Chronic Care Model (CCM) è un modello di cura per le persone affette da malattie croniche sviluppato dal prof. Wagner1 e dai suoi colleghi del McColl Institute For Health Care Innovation, in California, fondato su un nuovo approccio as-sistenziale di Care Management, ovvero di presa in carico globale della persona.

Il modello presuppone il coinvolgimento del CM, del medico di medicina generale e del medico specialista che, attraverso interventi mirati, raf-forzano la capacità di empowerment e di self management, sostenendo la persona che diven-ta parte attiva nel processo di cura, generando nuove prospettive di ben-essere.

Gli infermieri ed i medici di medicina generale saranno supportati da un software gestionale, utile sia per la gestione ottimale del percorso di cura che per le attività di monitoraggio e valuta-zione, elementi essenziali del ciclo della qualità (PDCA).

1 Wagner, E. “The Chronic Care Model” The McColl Insti-tute For Health Care Innovation, in California

Gruppo di lavoro infermieristico AReS - Puglia

Dott.ssa Girolama de Gennaro, dirigente infermieristicaDott.ssa Sabina Borracino, CPS coord. infermieristicaDott.ssa Francesca Bruno, CPS coord. infermieristica

IN VIAGGIO CON... “NARDINO”

VERSO LA ASL TA

Un progetto ambizioso quello dell’AReS Puglia che ha avviato un’importante partita insieme agli operatori sanitari, ai cittadini e alle associazioni di volontariato che hanno partecipato numerose al seminario, esprimendo apprezzamenti po-sitivi per l’iniziativa promossa dall’ARes puglia. L’intento è quello di trasformare le criticità legati al piano di rientro 2010-2012, in opportunità ri-spondenti sia ai bisogni delle persone affette da patologie croniche che riequilibrare le disequità in aumento nella nostra regione. Questa neces-sità contingente2 ha imposto al Sistema Salute un profondo ripensamento, praticabile attraverso un processo di reingegnerizzazione con l’obiet-tivo ed una forte volontà, di potenziare la rete dei servizi territoriali in grado di offrire sostegno e accompagnamento alle persone affette da pa-tologie croniche e/o fragili e di chi se ne prende cura, evitando che ciò si traduca in marginalità sociale e sostenendo il principio guida, ovvero del diritto alla salute.

Il programma prevede di governare il processo di riorganizzazione delle cure primarie anche attraverso la costruzione di PDTA (percorsi di diagnosi, cura e assistenza), unita ad una forte integrazione socio-sanitaria3. La riqualifi cazione dei Servizi Territoriali Distrettuali, l’innovazione tecnologica professionale, la conseguente valo-rizzazione delle risorse umane sono presupposti necessari per offrire risposte adeguate ai bisogni del malato cronico.

Valorizzare le risorse umane signifi ca trasfor-mare il modello assistenziale, tuttora di tipo pre-stazionale, con un utilizzo degli operatori quali meri “compitieri”4, cioè esecutori di prestazioni tecniche con un modello ripensato, in una logi-

2 Cavicchi, I. “I mondi possibili della programmazione sanitaria” Milano Ed. Mc Graw Hill, 20123 Aquilino, A. “Progetto Nardino - modello assistenziale di gestione dei percorsi diagnostico-terapeutici e di presa in carico dei soggetti con patologie croniche” Bari ARes puglia, 20114 Cavicchi, I. “I mondi possibili della programmazione sanitaria” Milano Ed. Mc Graw Hill, 2012

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ca di ridistribuzione di nuove competenze fi gure professionali, come l’infermiere, con un bagaglio culturale e professionale rinnovato, capace di offrire un’assistenza innovatrice e funzionale ai nuovi bisogni assistenziali. Erogare prestazioni e servizi adeguati ai bisogni della colletività si-gnifi ca adeguare le caratteristiche degli operatori agli scopi che si vogliono raggiungere; signifi ca sviluppare innovative culture di servizio ed, in ul-tima analisi, curare lo svilupp professionale del-le risorse umane presenti nelle diverse strutture sanitarie.

Il sostegno a molti di questi principi rimanda ai temi della comunicazione per la salute e della formazionedei professionisti.

Di qui, la necessità di formare personale sem-pre più ad alto profi lo professionale che abbia abilità organizzative, ma che sia anche teso a quella partecipazione umana e affettiva utile per creare ambienti di lavoro stimolanti e capaci di valorizzare la professionalità di ogni individuo che diventa una parte essenziale per avviare un cambiamento.

Entriamo nel merito del “Progetto Nardino” che deve il suo nome a “Leonardo”, progetto pilota sperimentato positivamente nell’ASL di Lecce e come si conviene in ogni ambito, l’allievo, ha su-perato il maestro!

L’attuazione del progetto ha reso necessaria l’e-laborazione di un Programma Formativo, pensa-to secondo la tecnica del “cucito addosso”, attra-verso l’analisi dei bisogni formativi, da cui sono scaturite le “competenze attese” dei professioni-sti coinvolti nel Care Management.

Questa analisi attenta delle diverse componenti, di cui necessita l’applicazione del modello (clini-co-relazionale-gestionale-organizzativo), ha por-tato a determinare la pianifi cazione di 3 momenti formativi, specifi ci per livelli di approfondimento, di cui:

1) Il Seminario, della durata di un gior-no, è rivolto a tutti gli attori del Sistema Sanitario, a qualunque titolo coinvolti, dall’Assessore alla Salute, al Direttore Generale dell’AReS, Direttore Generale e Sanitario dell’ASL, Infermiere, Coordinatore Infermieristico, Medico di Medicina Generale, Presidente de-

gli Ordini Professionali dei Medici e de-gli Infermieri Fisioterapistici, Psicologi, Assistenti Sociali e le diverse Associazioni dei Diritti del Malato (Cittadinanza Attiva);

2) Il corso professionalizzante, della durata di quattro giorni, è destinato a chi dovrà attivare la presa in carico, cioè all’infer-miere, anche se è prevista la partecipa-zione di altre fi gure professionali come assistenti sociali, sanitari, medici di medi-cina generale e specialisti;

3) Il Modulo di rinforzo, “Work in progress”, della durata di n. 1 giornata con l’intento di analizzare e rimuovere eventuali critici-tà emerse in fase operativa5.

Il programma formativo affronta ambiti diversi, dal clinico-assistenziale per la conoscenza di base delle principali malattie croniche, al proces-so di nursing e di Care Management, a quello psicologico, pr comprendere le dinamiche del gruppo, del singolo e di lavoro, sino a quello in-formatico, per la gestione del software dedicato. Il Progetto Nardino è attivo già in 7 dei primi 8 comuni interessati dal Piano di Rientro, secondo le modalità previste da Progetto.

- I Modelli OrganizzativiI Modelli Organizzativi su cui si fonda il Progetto Nardino sono basati su:

- 1) Le Medicine di Gruppo (come nel Progetto Leonardo), ambulatorio del MMG, le reti e Super reti;

- 2) Le Case della Salute;

- 3) I Servizi Infermieristici Distrettuali.

Attualmente i modelli organizzativi fanno riferi-mento alle Medicine di Gruppo, attivi presso la ASL LE, e ai Servizi Infermieristici attivi presso la ASL BT, ASL FG e ASL TA.

- Le fi nalità del Care ManagementL’obiettivo del Care Management è quello di in-dividuare ai bisogni complessi di gestire l’uso appropriato dei servizi allo scopo di ottimizzare il funzionamento e nel contempo promuovere

5 Piazzolla, V. “L’introduzione al modello assistenziale di gestione dei percorsi diagnostici e terapeutici per la pre-sa in carico delle persone affette da patologie croniche in Puglia”. Progetto formativo, Bari: AReS Puglia, 2001.

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l’auto-curva/self-management, masimizzando la conoscenza della propria malattia, riconoscen-do al tempo stesso il diritto di ogni individuo all’autodeterminazione. Applicando il modello di Assistenza Cronica, si permette al paziente di di-ventare un effi cace self-manager.

La conoscenza informata e consapevole, della propria condizione di malato cronico permette l’acquisizione di fi ducia e una nuova prospettiva di benessere capace di sviluppare il proprio po-tere di autocontrollo.

Per riuscire a gestire con successo una condi-zione cronica sono essenziali i seguenti requisiti:

- La creazione di una prtnership tra paziente ed operatore, tale da favorire uno spirito col-laborativo;

- Un’educazione del paziente all’autogestio-ne;

- Il desiderio, sia nei pazienti che negli opera-tori, di assumere un ruolo attivo e responsa-bile all’interno del processo di cura6.

- Il ruolo del Care Manager nel Chronic Care ModelQuesto “nuovo infermiere” professionista della salute, rappresenta, insieme al medico di medi-cina generale e lo specialista, la tecnologia es-senziale nonché l’elemento innovatore del nuovo Sistema Salute pugliese.

Il ruolo del Care Manager nel programma preve-de il supporto e l’educazione dei pazienti, non-ché tutte le modifi che al proprio stile di vita che infl uenzano il processo di cura.

Il Care Manager deve anche essere in grado di responsabilizzare i pazienti per ottenere il mas-simo supporto determinante per la realizzazione del proprio profi lo di cura.

Il paradigma che riassume questa tendenza è quello del Modello Biopsicosociale, che propo-ne una visione sistematica per la quale la salute viene ad essere correlata ad una moltitudine di determinanti, efferenti appunto alle dimensioni biologica, psicologica, sociale e spirituale.

6 Anderson, G. JL. Wolf, e B. Starfi eld. “Prevence, Ex-penditure, and Complications of Multiple Chronic Condi-tions in the Enderly”. Vol. 162 Archives of Internal Medi-cine, Nov. 11, 2002.

La chiave di lettura per un nuovo approccio assi-stenziale non può essere di tipo olistico.

- Il processo di nursing e le otto priorità di base dell’autogestioneIl Nursing nella sua eccezione si confi gura, da sempre, come assistenza globale alla persona, perché favorisce la partecipazione attiva della stessa, con l’intento di consentire l’autonomia attraverso la promozione e la produzione della salute, evitando che l’insorgere di complicanze, proprie delle malattie croniche, possano ridurre le aspettative di vita.

Il processo di nursing aiuta il Care Manager ad individuare una serie di priorità che possono promuovere l’autogestione/self-management e sostenere i pazienti a collaborare con loro per giungere all’auto-responsabilizzazione/empo-werment, rilevante soprattutto coloro che soffro-no di condizioni croniche.

Lorig ha individuato otto priorità riconducibili a tre aree di controllo di tipo: medico, comportamenta-le e emozionale7.

Il Care Manager, formato sul modello delle otto priorità di base dell’autogestione, sarà in grado, con l’ausilio di strumenti come i Decision Support System e la SWOT Analysis, di aiutare il pazien-te ad acquisire responsabilizzazione ed auto-ef-fi cacia, attraverso la rilevazione di punti di forza, criticità, minacce e opportunità.

- Le cinque fasi del processo di curaPer ogni priorità il Care Manager, seguendo il processo di nursing, dovrà predisporre una se-rie di azioni/interventi, tenendo conto delle cin-que fasi basilari che intervengono nel processo di cura.

La sfi da è il cambiamento culturale per il Sistema Salute pugliese sostenibile, in linea con le prime due delle tre grandi fi nalità del Sistema Sanitario Mondiale (WHO)8.

1) Miglioramento della salute: 1a. innalzare il livello medio di salute (go-

odness);

7 Lorig, K and Associates. “Patient Education: A practical Approach”. California: Sage Publications, inc: Third Edi-tion, 2001. 8 WHO; Geneva, 2000.

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1b. ridurre al minimo le differenze di stato di salute tra individui e tra gruppi (fairness);

2) Capacità di risposta alle aspettative: 2a. innalzare il livello medio di capacità di ri-

sposta alle aspettative;

2b. ridurre al minimo le differenze di stato di capacità di risposta alle aspettative;

3) Equità della contribuzione fi nanziaria.I principali ispiratori del “Progetto Nardino”, fan-no un chiaro riferimento alla funzione sociale del-la mission del Sistema Salute:

- Il valore della persona, nella sua concre-tezza, unicità, e multidimensionalità che sono alla base del concetto di umanizza-zione;

- il valore del servizio pubblico, come patri-monio della collettività, che viene garanti-to al malato cronico attraverso la continu-ità assistenziale territoriale;

- il valore del rispetto delle risorse econo-miche pubbliche, che ispira la corretta gestione nel loro uso, garantendo l’equi-librio delle risorse economico-fi nanziarie, la buona gestione del patrimonio, nella legalità e nella trasparenza che si con-cretizzano con un risparmio della spesa

sanitaria evitando il ricorso inappropriato alle strutture ospedaliere che devono es-sere destinate ai ricoveri per acuti;

- Il valore dell’ugualianza dei cittadini di fronte al servizio, che fa porre la massima attenzione alle fasce più deboli rimuoven-do gli ostacoli che ne impediscono il loro effettivo accesso, attraverso la presa in carico globale della “persona”.

In questa fase di reintegrazione della concezio-ne del bene salute, come bene collettivo e quin-di, valore sociale, il “Progetto Nardino” diventa la strada aperta e percorribile per comprendere l’essere complesso, dove è possibile praticare l’arte della cura e delle “care”.

I nuovi professionisti della salute dovranno es-sere in grado di far valere e mettere in campo le proprie competenze, che possono essere af-fermate dall’integrazione multiprofessionale e multidisciplinare attraverso la formazione, anello inestricabile ed imprescindibile dello stesso pro-cesso di cura.

Puntando sul bene salute, il Progetto Nardino rende compossibile9 il rapporto tra bisogni e ri-sorse.

9 Cavicchi, I. “Il pensiero debole della sanità”. Bari: Ed. Dedalo, 2008.

Limiti e scelte errate stanno portando la sanità pugliese ad un punto di non ritorno, mettendo in crisi l’intero sistema assistenziale, come ormai assodato, anche per la mancata riconversione, conte-stuale alla chiusura degli ospedali ed al ridimensionamento delle case di cura. In questo scenario desolante può capitare che spunti fuori un “PROGETTO NARDINO” destinato a potenziare l’assi-stenza territoriale in comuni, come quello di Massafra, dove la dismissione dell’ospedale è ancora dolorosa. Già individuati i care manager: Anna Turrisi, Benedetta Granio, Annunziata Pomo. Ma quanto credono in questo progetto?“ Tanto, perché punta a rafforzare la rete territoriale; punta al lavoro d’equipe: paziente, MMG, Spe-cialista, Infermiere per stabilire la cosa più giusta per il benessere del paziente, obiettivo primario del Progetto; punta anche alla prevenzione, ovvero l’Infermiere prende in carico il paziente stabiliz-zato o potenziale cronico e lo segue dal punto di vista infermieristico, programmando controlli così come avviene all’interno di una U.O. Continua la collaborazione con il medico, cui spetta la prescrizione, mentre a noi interessano programmazione e prenotazione. Ovvero gli ambiti sono ben defi niti e rispettati, nell’ottica di un continuum assistenziale in grado di offrire prestazioni di qualità.La Sanità va verso la deospedalizzazione ed il Progetto Nardino viaggia in questo senso”

L’opinione dei Care Managers

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L’anno 1999 vede affacciarsi nel panorama ita-liano una serie di progetti sulla creazione di un servizio di consulenza infermieristica. Questa esperienza nasce dalla volontà di migliorare la qualità dell’assistenza infermieristica al servi-zio dell’assistito, strutturare e formalizzare l’e-sperienza consulenziale (rimanendo sempre e comunque nell’ambito della propria Azienda Ospedaliera) ancora basata su canali infor-mali all’interno della stessa unità operativa o al massimo tra le unità operative della stessa Azienda Ospedaliera. Le esperienze dettaglia-te emerse dalla ricerca bibliografi ca riguardano le Aziende Ospedaliere di Modena, Firenze e Gorizia. All’interno dell’Azienda Ospedaliera Policlinico di Modena si è partiti costituendo un gruppo di lavoro formato da un referente medico e da in-fermieri esperti (non sono specifi cati i requisti) appartenenti alle unità operative di neonatolo-gia, malattie infettive, dermatologia, oncoema-tologia, pediatria con il compito di descrivere l’iter del progetto e creare degli indicatori per verifi care i risultati ottenuti: - assicurare un’uniformità dei comportamenti professionali, valorizzando le competenze spe-cialistiche di ogni fi gura professionale; - garantire un’assistenza effi cace ed effi ciente valutando la soddisfazione dell’assistito; - valorizzare le proprie capacità, riconoscere i propri limiti e declinare le responsabilità ad al-tri quando si comprende il limite delle proprie azioni; - riconoscere l’integrazione professionale e di conseguenza valorizzare la formazione infer-mieristica come risorsa per fronteggiare i pro-

blemi dell’assistito; - verifi care attraverso la somministrazione di un questionario quali fossero le unità operati-ve che chiedevano prestazioni consulenziali. La prima parte del lavoro ha previsto la scel-ta delle aree di interesse clinico in cui operare chiedendo ai colleghi (potenziali richiedenti di consulenza) le prestazioni specialistiche che avessero arrecato loro problemi di risoluzio-ne. Individuate le unità operative di interesse (Pediatria, Centro Riabilitazione Stomizzati, Emodialisi, Neonatologia, Ortopedia, Cardiolo-gia, Malattie infettive, Ostetricia) sono stati cre-ati degli strumenti operativi attraverso i quali espletare l’attività consulenziale: un catalogo o quaderno delle consulenze, una procedura di attivazione della consulenza infermieristi-ca e/o tecnica e un modulo di richiesta della prestazione disponibile in formato elettronico o cartaceo creato sulla falsa riga del modulo di richiesta di consulenza medica. Il quaderno delle consulenze contiene numero di telefono (per consulenze anche di carattere telefonico) delle unità operative che prestano consulenza, l’elenco delle prestazioni consulenziali disponi-bili, tempi di erogazione (massimo 24 ore dalla richiesta), suggerimenti per la preparazione del paziente all’espletamento della consulenza. La procedura di attivazione della consulenza (fl ow chart:) parte dall’analisi del consulente (non sono specifi cati i requisiti dell’infermiere con-sulente si evince solo che non è mai un infer-miere neolaureato né in addestramento) della pertinenza della richiesta; se la richiesta può trovare accoglimento successivamente viene contattato il richiedente e la consulenza viene

LA CONSULENZA INFERMIERISTICA: RISULTATO DI UN’INDAGINE NEI PAESI

ANGLOSASSONI

Dott.ssa Chiara ORIGINALEInfermiera libero-professionista

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espletata in presenza di quest’ultimo; in que-sto modo la consulenza diventa un momento formativo per il collega meno esperto (consu-lenza indiretta incentrata sul destinatario), al quale verrà comunque consegnata una copia del documento dell’attività prestata e un’altra copia verrà conservata in archivio per l’anali-si dei dati. Se la consulenza richiede l’utilizzo dei farmaci, questi verranno prescritti dal me-dico referente dell’unità operativa. Dall’analisi dei moduli di richiesta delle consulenza risulta che negli anni 2000-2009 il maggior numero di consulenze espletate sono in ambito neona-tologico-pediatrico e in ambito riabilitativo per l’assistenza ai pazienti stomizzati Un’altra realtà che ha sviluppato un progetto di consulenza infermieristica è stata l’Ospedale Careggi di Firenze per i dispositivi intravasco-lari totalmente impiantabili e la consulenza in wound care (Progetto Osservatorio Aziendale sulle lesioni cutanee). Per entrambi i progetti si è partiti defi nendo innanzitutto i requisiti che il consulente infermieristico deve possedere. Per il primo progetto: conoscenza dell’inglese scientifi co fi nalizzato alla ricerca e lettura di ar-ticoli scientifi ci, esperienza pratica di almeno 3 anni nell’assistenza ai pazienti portatori di dispositivi intravascolari totalmente impianta-bili, aggiornamento annuale di almeno 20 ore sul tema in oggetto, conoscenza e utilizzo dei programmi informatici e delle banche dati, cor-so di specializzazione ed esperienza in attività di tutoring . Per il progetto sulle gestione delle lesioni cutanee invece l’infermiere consulente deve possedere: diploma di infermiere, diplo-ma di maturità, diploma universitario di per-fezionamento in wound care, aggiornamento annuale di almeno 30 ore sul tema in oggetto, conoscenza della lingua inglese della lingua parlata e scritta, esperienza pratica nell’assi-stenza di almeno tre anni, esperienza in atti-vità formativa e del processo metodologico di qualità adottato dall’Azienda Ospedaliera, co-noscenza della metodologia di ricerca e della normativa per la stesura dei capitolati e infi ne utilizzo e conoscenza dei sistemi informatici (Word, Excel, Internet) (9). Successivamente per entrambi i progetti si è passati a realizzare la job description che elenca le competenze

che l’infermiere esperto deve possedere rispet-to all’argomento. Come ultimo step si è identi-fi cata la procedura di gestione e realizzazione della consulenza:tutto parte dalla richiesta con-giunta medico-infermiere (attraverso apposi-to modulo) per la valutazione dell’assistito da parte dell’infermiere esperto. Questo valutando l’assistito, decide se prenderlo in carico o meno: se l’assistito risulta idoneo l’infermiere esper-to esegue la raccolta dati, valuta il problema e mette in atto gli interventi per la risoluzione. I risultati e l’effi cacia del trattamento verranno verifi cati e qualora fossero positivi l’infermiere esperto conferma il trattamento sempre e co-munque riservandosi di monitorare e valutare l’evoluzione del paziente fi no alla dimissione (qualora il risultato del trattamento fosse nega-tivo, l’infermiere deve eseguire nuovamente la valutazione del problema). Infi ne tutto il proces-so di consulenza verrà documentato e inserito in una banca dati creata appositamente al fi ne monitorare le consulenze eseguite e elaborare i dati da discutere in riunioni periodiche che lo staff utilizza come strumento formativo inseme a protocolli, linee guida e indicatori di qualità. Altra esperienza è quella dell’Azienda per i Servizi Sanitari n.2 di Gorizia (che comprende ospedale di Gorizia, Ospedale di Monfalcone, distretto alto Isontino). Si è partiti nel 1999 costituendo un gruppo di lavoro di 17 operatori infermieristici, ognuno in rappresentanza della propria unità operativa, che volevano aderire al progetto consulenzia-le. Da questi si è costituito un gruppo tecni-co di 10 operatori che ha contattato tutte le unità operative aderenti al progetto cardiolo-gia, dialisi/nefrologica, rianimazione, chirurgia, ostetricia,urologia e ambulatorio stomizzati, pediatria, otorinolaringoiatria, ortopedia, oculi-stica) chiedendo loro di proporre i temi di con-sulenza che potevano offrire. Lo stesso gruppo operativo valutando i temi della consulenza (ad esempio: gestione della stomia uretrale, sostituzione e medicazione drenaggio pleurico, controllo desault, istruzione sulla mobilizzazio-ne del paziente politrauma ecc..) li ha ordinati e raccolti in fascicoli evidenziati da un bollino rosso indicando che, all’atto della consultazio-ne, devono essere sempre accompagnati dai

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protocolli organizzativi del progetto. Succes-sivamente si è redatto il modulo di richiesta per la consulenza come strumento operativo, diviso in due parti: la prima parte contiene i dati dell’assistito e la diagnosi infermieristica è riservata all’unità operativa che richiede la consulenza e la seconda riservata al parere del consulente che valuterà la pertinenza della prestazione. La richiesta così compilata verrà inviata all’unità operativa per la consulenza che defi nirà i tempi entro i quali espletare l’attivi-tà, distinguendo le prestazioni in immediate (basta chiamare l’unità operativa, successiva-mente verrà inviato il modulo di richiesta ),ur-genti (previa compilazione modulo, eseguite in giornata) e non critiche (eseguite entro 72 ore). Il modulo verrà compilato all’origine in triplice copia: una copia verrà allegata alla cartella in-fermieristica dell’assistito, le altre due verranno trattenute dal consulente (una utilizzata per l’e-laborazione statistica Aziendale e l’altra verrà inviato al gruppo tecnico per l’elaborazione dei dati sperimentali). I risultati dell’attività consu-lenziale vengono valutati attraverso riunioni di formazione/informazione periodiche (10). Altri centri di cura dove sono in atto progetti di con-sulenza sono: l’Arcispedale Santa Maria Nuo-va di Reggio Emilia (dove l’infermiere consu-lente in Wound Care gestisce un ambulatorio infermieristico e su richiesta medica prende in carico pazienti con lesioni diffi cili da trattare), Biella per la consulenza sulla gestione delle enterostomie e delle cure palliative, Udine, Ri-mini, Parma e Genova per la consulenza sulle lesioni cutanee.

UN’ ESPERIENZA OLTRE L’AMBITOCLINICO. Le esperienze consulenziali infermieristiche, in Italia come abbiamo visto riguardano solo l’ambito clinico: sono tutte forme di consulen-za effettuate da infermieri esperti in settori nei quali le competenze si acquisiscono attraverso anni di esperienza lavorativa pratica nell’as-sistenza, diploma universitario di perfeziona-mento o specializzazione nell’ambito prescelto e minimo 20 o 30 ore di aggiornamento an-nuale sul tema in oggetto. Il percorso forma-tivo specialistica (Master di primo e secondo

livello, Laurea Magistrale, Dottorato di ricerca) permette di possedere invece un bagaglio cul-turale di conoscenze che riguardano soprat-tutto l’area manageriale. Questo iter formativo favorisce lo sviluppo del pensiero critico e della capacità dell’infermiere di districarsi in situa-zioni ad alta complessità sia in ambito etico che in ambito deontologico. Possedendo tutte que-ste conoscenze e capacità quindi si potrebbero ipotizzare ambiti diversi da quello clinico dove il consulente infermieristico potrebbe prestare la propria attività: - la bioetica: ovunque possano sorgere quesiti relativi all’etica e alla deontologia professiona-le, l’infermiere può collaborare alla creazione di linee guida o protocolli che guidino l’agire secondo le migliori evidenze scientifi che;- l’ambito legale: l’infermiere, attraverso lo studio degli aspetti concettuali, metodologi-ci e pratici della dimensione giuridica-legale dell’assistenza infermieristica, potrà svolge-re attività di consulenza sia internamente alle Aziende Ospedaliere, sia come rappresentan-te di un cittadino (consulenza verso terzi, che non è argomento di questa tesi) o su richiesta di organi giudicanti nell’ambito di perizie le-gali e nelle cause riguardanti ipotesi di danno da malpractice o dove verranno messe in di-scussione scelte assistenziali o comportamenti adottati nell’assistenza infermieristica (dimen-sione comunque già presente in Italia, grazie al Master di Infermieristica Forense); - l’ambi-to organizzativo: l’infermiere consulente deve essere in grado di progettare ed intervenire in caso di problemi organizzativi complessi, deve saper programmare, gestire e valutare i servizi assistenziali, conoscere ed applicare i differen-ti modelli organizzativi. Ha inoltre competenze comunicative, relazioni e di gestione dei grup-pi avanzate: è quindi capace di fornire consu-lenza su tutti gli aspetti strutturali e relazionali del proprio lavoro; - la ricerca: la creazione di protocolli di ricerca o di linee guida può pre-sentare problematiche di natura metodologica, legale, organizzativa ed informativa quindi l’ at-tività di consulenza può essere relativa alla va-lidazione del tema di ricerca, alla metodologia scelta, sul diritto/ dovere al consenso informa-

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to dell’assistito rispetto alle pratiche assisten-ziali, alla modalità di registrazione e gestione dei dati (norme sulla privacy) per non sfociare in controversie legali sulla tutela delle informa-zioni e dei dati personali o sensibili. LA CONSULENZA INFERMIERISTICA NEI PAESI ANGLOSASSONI Nei Paesi Anglosassoni, la formazione infer-mieristica inizia nel 1900 e viene offerta in ambito universitario terminando il percorso sia a livello di diploma che a livello di laurea. Dal 2002 però nel Regno Unito di Gran Bretagna (Scozia, Galles, Inghilterra) e Irlanda del Nord e Canada (tranne il Quebec) diventa obbligato-ria la formazione a livello di laurea per unifor-mare ed elevare lo status formativo dell’infer-miere (ad esempio prima esisteva anche la fi -gura dell’infermiere pratico che, in possesso di una licenza dopo uno o due anni di corso, era autorizzato ad esercitare la professione entro i limiti di un defi nito ambito di esercizio e sempre sotto la supervisione (diretta o indiretta) dell’in-fermiere abilitato). In Australia la transizione della formazione a livello universitario è inizia-ta circa dieci anni prima e ad oggi la formazio-ne post base offre varie aree di specialità clini-ca per implementare conoscenze nella pratica clinica nel campo dell’ostetricia, neonatologia, pediatria, area critica, nefrologia, salute men-tale, emergenza, neuroscienze, ortopedia, on-cologia, lesioni spinali, sala operatoria, nursing respiratorio e cardiotoracico. Il percorso di studi universitario si divide in cor-si pre-registration e post-registration. Il post-registration include tutti i percorsi di formazio-ne che si possono seguire, una volta concluso il corso di pre-registration. Il corso di laurea (pre-registration) della durata di tre anni, consi-ste in una preparazione della durata di 18 mesi ed una specializzazione di ulteriori 18 mesi nel campo di specializzazione prescelto divenen-do così anche infermiere specializzato (advan-ced expertice) in un campo specifi co dell’assi-stenza infermieristica. I campi per la specializzazione includono: - assistenza a pazienti anziani; - assistenza a pazienti con patologie mentali; - assistenza a pazienti portatori di handicap;

- assistenza pediatrica. Al termine del corso triennale pre-registration si ottengono due qualifi che: una di tipo acca-demico ( Diploma o Degree Base nurse) dive-nendo così infermiere di base abilitato all’eser-cizio della professione (registered nurse) e una di tipo professionale che consente l’iscrizione all’albo professionale, il Nursing and Midwife Council. In seguito alla laurea è possibile proseguire gli studi attraverso i corsi post-registration (corsi di specializzazione): Corsi di Formazione (Taught Courses) come il Diploma Post-Laurea (Po-stgraduate Diploma) di nove mesi e il Master di un anno, oppure attraverso i Programmi di Ricerca (Research Programmes): due anni nel caso del Master in Filosofi a della professione (Master of Philosophy) o tre anni per Dottorato in Filosofi a della professione ( Doctor of Philo-sophy) Frequentando e superando i corso di formazione post-registretion, si diventa infer-miere in assistenza infermieristica avanzata (advanced nurse practice, nurse pratictioner): una fi gura che avendo acquisito una base di conoscenze tali da arrivare a livello di esperto e possedendo competenze cliniche per eserci-tare una pratica estesa (expanded) in accordo con gli standard dell’assistenza infermieristica e della pratica migliore (nursing and best prac-tice standards) attua procedure, trattamenti e gli interventi che rientrano nell’autorità legale della propria fi gura La fi gura dell’infermiere consulente nei Paesi Anglosassoni nasce in risposta ad un iden-tifi cato bisogno di infermieri esperti in pratica clinica, per raggiungere i migliori risultati nella cura degli assistiti, garantendo agli stessi una carriera strutturata proporzionata alle loro va-ste competenze. Il Governo del Regno Unito infatti, defi nì il ruolo dell’infermiere consulente per offrire una struttura professionale per infer-mieri specialisti con adeguata remunerazione economica, con il requisito di una base solida in pratica clinica che occupasse il 50% del loro tempo lavorativo (Circolare del Servizio della Salute 217/1999). Nel settembre del 1998 fu annunciata la nascita della fi gura dell’infermie-re consulente e introdotta nel Servizio Nazio-nale della Salute in Inghilterra, Scozia, Canada

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(tranne nel Quebec) e Wales (Australia) Il ruolo dell’infermiere fu introdotto per la pri-ma volta nel Regno Unito nel 1999-2000. L’in-fermiere consulente è colui il quale deve aver conseguito un Master o un Dottorato in ambi-to clinico, essere registrato come infermiere e possedere un’ulteriore qualifi cazione professio-nale. Ci si aspettava che queste fi gure fossero competenti per iniziare e condurre la pratica clinica, l’educazione e lo sviluppo dei servizi. In una circolare del 1999 del Servizio della Salute furono defi nite quattro funzioni core che l’infer-miere deve possedere: - esperienza nella pratica clinica (autorevolez-za clinica); - leadership professionale e consulenza (pren-dere decisioni avanzate); - educazione e sviluppo (capacità di ‘fare rete’, lavoro in collaborazione, comprensione delle implicazioni etiche medico-legali e professio-nali); - pratica e sviluppo dei servizi legati alla ricer-ca e alla valutazione (valutazione dei risultati di gruppo).In aggiunta alle capacità cliniche l’infermiere consulente deve possedere consapevolezza strategica, capacità politiche ed intelligenza emozionale: - autorevolezza clinica: competenza essenzia-le non solo fra pari ma anche con altre profes-sioni o organizzazioni (stakeholders) che inte-ragiscono con gli infermieri consulenti; - consapevolezza strategica: comprende la consapevolezza del ruolo strategico, del pote-re di infl uenza e delle abilità che deve possede-re un infermiere consulente; - capacità di leadership: comprende la capaci-tà di esercitare la leadership sull’intera area di specialità dell’infermiere consulente; - capacità di relazionarsi o ‘di fare rete’: com-prende la capacità di di comunicare e di stare all’interno di reti locali, regionali, nazionali e al-cuni anche internazionali; - lavoro in collaborazione: comprende la capa-cità di lavorare in collaborazione, mantenendo la centralità del paziente; - prendere decisioni avanzate: defi nisce la ca-pacità di prendere decisioni anche in situazioni cliniche complesse;

- comprensione delle implicazioni etiche, medi-co-legali e professionali: descrive la capacità di rifl ettere, formalizzare e regolarizzare le proce-dure di lavoro, i percorsi assistenziali o nuove pratiche da attivare, tenendo conto anche delle implicazioni etiche, medico-legali e professio-nali; - valutazione dei risultati del gruppo: capacità di misurare o valutare i risultati del singolo o dell’equipe; - intelligenza emozionale: capacità di instaura-re con i colleghi e con i pazienti un rapporto empatico.Il ruolo dell’infermiere consulente fu defi nito in Australia nel 1986: deve essere un infermiere diplomato, abilitato alla professione, con ruolo approvato dal Dipartimento della salute. Una fi -gura con minimo 5 anni di esperienza post base documentata e che deve possedere in aggiun-ta titoli infermieristici post base nel campo in cui egli stesso è specializzato. Fu immaginato come un esperto in pratica clinica che possiede vaste conoscenze, esperienza e capacità clini-che nel campo della propria specialità scelta, una fi gura che operando in autonomia dirige i propri sforzi verso il progresso nella cura degli assistiti, nella pratica infermieristica e fornisce un servizio di consulenza per infermieri e altri professionisti della salute. Nel 2000 il diparti-mento della salute de New South Wales defi ni-sce e rivaluta il ruolo dell’infermiere consulente a causa di confl itti nati tra gli stessi ed altre fi -gure coinvolte in campo clinico. Per defi nire il tutto furono creati cinque campi di funzioni per questa fi gura: - servizio clinico e di consulenza: offrire con-sulenza clinica esperta, sviluppare e facilitare l’implementazione la direzione di piani di cura per pazienti con complessi bisogni di salute; - leadership clinica: offrire attività di leadership che faciliti il continuo sviluppo della pratica cli-nica; - ricerca: valutare e utilizzare risultati di ricer-che; - educazione: sviluppare e mantenere speciali-tà relative a programmi educativi; - pianifi cazione e direzione dei servizi clinici: partecipare in processi formali per formulare piani strategici e operativi per il servizio clinico.

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Per defi nire e differenziare ulteriormente la fi -gura degli infermieri consulenti venne effettuata una divisione per gradi in base alla formazione: - Grado 1: infermiere consulente apprendista (probationary): un infermiere diplomato, abilita-to, con ruolo approvato dall’Area Health Servi-ce, una fi gura con minimo 5 anni di esperienza post base documentata e che deve inoltre possedere titoli infermieristici post base nel campo in cui lo stesso è specializzato o qualsi-asi altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea dall’Area Health Service. - Grado 2: infermiere consulente avanzato (pro-fi cient): un infermiere diplomato, abilitato, con ruolo approvato dall’Area Health Service, una fi gura con minimo 5 anni di esperienza post base documentata, con almeno 3 anni di espe-rienza in campo specialistico; inoltre deve pos-sedere titoli infermieristici post base nel campo in cui lo stesso è specializzato, o qualsiasi altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea dall’Area Health Service. Un datore di lavoro può anche richiedere la più alta qualifi cazione in un cam-po infermieristico specialistico dove il titolo è considerato essenziale per l’espletamento del ruolo dirigenziale; -Grado 3: infermiere consulente avanzato esperto (expert): un infermiere diplomato, abili-tato con ruolo approvato dall’Area Health Servi-ce, una fi gura con minimo 7 anni di esperienza post base documentata, con almeno 5 anni di esperienza in campo specialistico; inoltre deve possedere titoli infermieristici post base nel campo in cui lo stesso è specializzato o qualsi-asi altra qualifi ca o esperienza ritenuta idonea dall’Area Healt Service. Un datore di lavoro può anche richiedere la più alta qualifi cazione in un campo infermieristico specialistico dove il tito-lo è considerato essenziale per l’espletamento del ruolo dirigenziale;In Canada invece è presente una variante o meglio una specializzazione della fi gura del consulente infermieristico, l’educatore infer-mieristico (nurse educator). Questa fi gura na-sce dalla necessità di implementare e valutare i programmi di educazione infermieristica e di approfondire le conoscenze legate in modo par-ticolare alla pratica clinica (infatti questa fi gura

è conosciuta anche come educatore clinico: clinical educator). Viene defi nito educatore in-fermieristico, un infermiere laureato, iscritto all’ albo professionale, con 5 anni di esperienza in pratica clinica, 2 anni di esperienza nell’inse-gnamento e conoscenza di tecniche relazionali costruttive: deve possedere competenza pro-fessionale, capacità di leadership ed essere continuamente aggiornato sulle evoluzioni legi-slative. I settori di attività di questa fi gura sono: - la formazione: il nurse educator valuta il li-vello di apprendimento dell’infermiere, fi ssa per lui un iter formativo e valuta i risultati ottenuti con meeting mensili; inoltre essendo una fi gura sempre presente garantisce la supervisione del lavoro (divenendo esperto anche nella gestio-ne dell’errore) e verifi ca direttamente i risultati della formazione infermieristica sui pazienti; - la pratica: l’educatore infermieristico provve-de a fornire un modello di pratica professio-nale, collaborando allo sviluppo di protocolli e procedure per offrire assistenza infermieristica sicura e basata sull’evidenza; - la consulenza: il nurse educator si presta come consulente per i diversi professionisti che compongono lo staff per migliorare il servizio sanitario erogato da parte di tutta l’èquipe infer-mieristica e inoltre partecipa alla selezione di nuovi infermieri da assumere; - la ricerca: l’infermiere educatore promuove il miglioramento della qualità dell’assistenza e integra la ricerca nella pratica clinica in accor-do con gli standard della pratica basata sull’e-videnza.Il Consiglio Centrale del Regno Unito ha defi -nito la consulenza infermieristica come un’atti-vità che si occupa di adeguare i propri confi ni allo sviluppo futuro della pratica, in modo pio-nieristico, sviluppando nuovi ruoli in risposta a nuovi o diversi bisogni e attraverso la ricerca e la formazione, arricchisce tutto l’ambito della pratica assistenziale. Questa defi nizione ben rispecchia le funzioni di riferimento che si ritro-veranno all’interno della fi gura dell’ l’infermiere consulente. Nei Paesi Anglosassoni sono stati defi niti quat-tro tipi fondamentali di consulenza infermieri-stica, distinti in base al destinatario della con-sulenza (modello Caplan):

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- consulenza incentrata sul paziente (counsel-ling): prevista di fronte a pazienti con comples-se problematiche assistenziali; - consulenza incentrata sul destinatario: il con-sulente fornisce al gruppo infermieristico o al singolo professionista, le proprie indicazioni o raccomandazioni, non legate ad uno specifi co paziente ma, ad esempio, ad una categoria di pazienti, all’utilizzo di una nuova tecnologia o presidio medico-chirurgico; - consulenza incentrata sul processo (program-ma/progetto): questa forma di consulenza, è meno focalizzata sugli ambiti clinico assisten-ziali, è soprattutto una consulenza metodologi-ca. Il consulente ha un ruolo di propositore ed esprime un parere in merito alla modernizza-zione e coerenza interna di un processo, alla pertinenza e fattibilità di un progetto; - consulenza incentrata sull’organizzazione/de-stinatario: anche in questo caso oggetto della consulenza non è il paziente ma i professioni-sti che formano l’organizzazione: Gli obbiettivi sono il miglioramento e sviluppo delle condi-zioni di lavoro, delle capacità manageriali dei leader, di previsione e pianifi cazione degli sce-nari organizzativi. Da questo si evince che l’at-tività consulenziale include e comprende con-temporaneamente entrambi gli ambiti, diretto ed indiretto. L’ambito diretto riguarda il lavoro a contatto con l’assistito e la famiglia mentre l’ambito indiretto riguarda tutte le azioni che hanno come destinatario il gruppo professiona-le e che si rifl ettono in interventi di innovazione, motivazione, coinvolgimento, formazione e svi-luppo di potenziale. L’infermiere specializzato che assumerà il ruolo di consulente dovrà pos-sedere le competenze necessarie in entrambi gli ambiti: qualora desiderasse sviluppare di più un’ attività di consulenza prettamente orga-nizzativa o manageriale non dovrà mai perdere il contatto con gli sviluppi della pratica clinica infermieristica .

TECNICHE DI SUPPORTO PER LO STAFF L’infermiere consulente è ritenuto dai colleghi infermieri un’effettiva risorsa per il possedi-mento di vaste competenze cliniche di base e avanzate, senza per questo minare la credibili-tà di questi agli occhi dei pazienti, ma per spin-

gerli ad intraprendere nuove ‘sfi de’ nell’ambito della cura degli assistiti ad alta complessità as-sistenziale. La maggior parte delle consulenze richieste si espleta nell’ambito della pratica cli-nica e nell’attuazione del Problem Solving, pra-tiche che cooperano al sostegno dei colleghi dello staff. Naturalmente a sua volta l’infermie-re consulente deve godere della fi ducia, base di tutte le relazioni, del sostegno dei colleghi e dello staff medico (sostegno individuale), dell’ausilio delle infrastrutture e delle risorse (sostegno organizzativo) e dell’utilizzo di una rete di relazioni nazionali come mezzo per col-laborare e condividere una linea di sviluppo del proprio ruolo (sostegno nazionale) L’attività di supporto/formazione dello staff infermieristico si espleta nell’attuazione di tecniche che sono abitualmente applicate in ambiti diverse dall’in-fermieristica (ad esempio quello della fi nanza) ma che ben si adattano per i contenuti, quali: il Mentoring, la Supervisione Clinica, il Feedback, le Sessioni Individuali (One to one session). - Il Mentoring (è una relazione volontaria tra due persone, non un sistema direzionale) che concede all’allievo di focalizzarsi su un aspetto particolare della propria carriera; è caratteriz-zato da incontri focalizzati ma informali sul pro-blema che comprendono discussione, soste-gno e consiglio. Il Mentore spesso “spronerà’’ l’allievo ad operare fuori dalla propria zona di competenza abituale e gli insegnerà ‘la sag-gezza’ di acquisire conoscenza piuttosto che capacita’ specifi che.- La Supervisione Clinica (raccomandata dal Consiglio di Infermieri ed Ostetriche come ‘buona pratica’) permette alla persona di fo-calizzarsi su un particolare aspetto della prati-ca clinica: è caratterizzata dalla rifl essione su azioni compiute e le ripercussioni di queste sulle azioni future!Il supervisore clinico spesso spingerà il ‘discepolo’ ad uscir fuori dagli sche-mi della linea abituale di procedere e essendo interessato alla qualità della prestazione offrirà un feed-back costruttivo.- Il Feed-back è riconosciuto come metodo per fare ‘il punto della situazione’, identifi care cosa è andato bene, cosa non è andato per il verso giusto, da questo partire per rifl ettere sugli er-rori compiuti e insieme fare passi avanti. Per

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ottenere questo viene utilizzato il ‘ Modello del Sandwich’: - ‘prima fetta di pane’: stabilire la base dei fatti:cosa è accaduto e perché; - ‘farcitura’(la sostanza del feed-back): stabilire cosa è andato bene e cosa no;il feedback è un processo a doppio senso:essere capaci di accettare le critiche ed elogi e impor-tante quanto essere capace di farli; - ‘ultima fetta di pane’: è la ricapitolazione di tut-to il processo,conducendo insieme il feedback e valutando il modo per compiere passi in avanti ).- Sessioni individuali: per costruire una serie di relazioni individuali di fi ducia e rispetto all’inter-no del team, identifi cando uno scopo comune da raggiungere.La strutturazione delle sessioni individuali comprende: - identifi care tempo e luogo: stimare di quanto tempo si avrà bisogno e riferire ad altri compo-nenti dello staff di non essere disturbati in quel lasso di tempo; - avendo precedentemente stabilito quale è l’o-biettivo dell’incontro, chiedere quali pensieri si sono sviluppati sull’argomento; - rendere sicuri gli altri di essere ascoltati e di concedere loro ‘tempo di qualità’; - identifi care ogni problema da discutere; - ringraziare i colleghi per il tempo dedicato e per gli input forniti.Da tutto questo si evince l’importanza e la ver-satilità delle competenze della fi gura del consu-lente infermieristico, il quale per l’attività svolta verso i colleghi è considerato da questi come un leader,una guida che sa’ adattarsi a situa-zioni complesse e opera a livello individuale, di gruppo, organizzativo e strategico. La leadership del consulente infermieristico viene esercitata a quattro livelli distinti: indi-viduale, di gruppo, organizzativo e strategico. Questa funzione richiede grande competenza per ‘infl uenzare’ le convinzioni ‘dei più grandi anziani della professione’, spesso il coraggio di intraprendere nuove sfi de ed di sostenere e difendere opinioni che si mostrano contrarie alla pratica clinica corrente…. la pratica della leadership del consulente infermieristico esige un ‘mix’ di competenze da adattare ad ogni am-bito lavorativo per affrontare con grande abilità

le nuove sfi de che la professione richiede, ma soprattutto richiede un sostegno della persona e del ruolo da parte dei colleghi dello staff per permettere che questa fi gura continui a svilup-pare al meglio le proprie potenzialità. VERSO LA FIGURA DI UN MANAGER Nel Dipartimento del Consiglio Sanitario nel Re-gno Unito uno degli obbiettivi dall’introduzione della fi gura del consulente infermieristico era quello di garantire migliori risultati per i pazienti (migliorando i servizi e la qualità) e rafforzarne la leadership, garantendo così l’opportunità di una nuova carriera e un’adeguata remunera-zione economica. Il Dipartimento Sanitario nel 2006 intraprese una revisione dell’infermieristi-ca e dell’ostetricia e pubblicò: ‘Modernizzando le carriere infermieristiche-Stabilire la Direzione puntando sul garantire le nuove direzioni per le carriere infermieristiche’. Il rapporto riconobbe il ruolo di guida del consulente infermieristico e il bisogno crescente di schemi strategici per intraprendere decisioni e perspicacia nel bu-siness per assicurare massimo guadagno per acquisire risultati sanitari migliori. Dall’esame del Dipartimento Sanitario fu pubblicato un quadro di carriere per modernizzare le carrie-re infermieristiche che identifi cano il ruolo del consulente come il ruolo di miglior prestigio per infermieri esperti. La futura direzione infermie-ristica delineata in questi documenti, fu soste-nuta e rinforzata dalla Commissione del Primo Ministro nel 2010 nel documento:Cura Fronta-le: Il Futuro di Infermieri ed Ostetriche in Inghil-terra. Da uno studio condotto sulle aspirazioni degli infermieri consulenti sulla progressione della carriera furono individuate cinque aree di interesse da parti di questi: - rimanere nel ruolo di consulenti; - intraprendere il ruolo di direttore o assistente di direzione di un servizio di consulenza; - intraprendere il ruolo di consulente guida; - intraprendere il ruolo di consulente regionale o nazionale; - intraprendere il ruolo di consulente in ambito educativo. Le aree dove ad oggi vi sono esperienze di progressione di carriera di consulenti infermie-ristici sono componenti della cultura manage-

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riale: l’area gestionale, strategica, direzionale e clinica .I ruoli intrapresi da questi sono: - assistenti o direttori; - capi di servizi di connessione e direttori di rete consulenziale; - consulenti in leadership o in pratica clinica; - specialisti in pratica clinica.È da circa 10 anni che, grazie all’accredita-mento professionale, l’infermiere consulente nei Paesi Anglosassoni lavora al di fuori del-la realtà ospedaliera seguendo un Modello di Gestione della Performance. Secondo tale mo-dello ciascun infermiere stipula un accordo an-nuale di prestazione con l’ente datore di lavoro, sottoponendo un’analisi semestrale delle pre-stazioni e presentando mensilmente un report alla gestione infermieristica (che espleterà l’a-nalisi delle prestazioni) sulle attività lavorative dal quale si evince che la maggior parte delle prestazioni viene fornita nell’ambito del servi-zio clinico e nella consulenza verso i colleghi (non consulenti), assistiti, caregiver e altri pro-fessionisti della salute (27). Comunque il ruolo del consulente infermieristico non-medico es-sendo il pinnacolo della carriera in ambito clini-co rimane ancora oggi la posizione più ambita; l’esperienza di consulenza rappresenta inoltre il punto di partenza e una piattaforma di lancio per infermieri che hanno aspirazioni anche in ambito non clinico per capacità strategiche e di leadership sviluppate. RISULTATI Da quanto appreso risulta che partendo già dall’ambito formativo si riscontrano profonde differenze tra le due realtà. Nei Paesi Anglosassoni l’infermiere consulente per essere defi nito tale oltre all’attività consu-lenziale (specialmente in ambito clinico) deve incrementare e sviluppare ulteriormente: lea-dership professionale, educazione e sviluppo, pratica e sviluppo dei servizi legati alla ricerca e alla valutazione, autorevolezza clinica, con-sapevolezza strategica, capacità relazione e valutazione dei risultati del gruppo, compren-sione delle implicazioni etiche, medico-legali e professionali e intelligenza emozionale (capa-cità di instaurare con i colleghi e con i pazienti un rapporto empatico).

In Italia invece non vi è l’istituzione formalizza-ta della fi gura dell’infermiere consulente e di conseguenza dell’attività consulenziali, ma vi sono progetti da circa dieci anni (per l’Azien-da Ospedaliera San Carlo Borromeo si parte solo da gennaio 2011) di esperienze con-sulenziali (Aziende Ospedaliere: Policlinico di Modena, Careggi di Firenze, dei Servizi n.2 di Gorizia) all’interno delle quali viene defi nito infermiere consulente un infermiere con: co-noscenza dell’inglese scientifi co fi nalizzato alla ricerca e lettura di articoli scientifi ci,esperienza pratica di almeno 3 anni nell’assistenza specialistica,aggiornamento annuale di almeno 20 ore sul tema in oggetto, conoscenza e uti-lizzo dei programmi informatici e delle banche dati, corso di specializzazione ed esperienza in attività di tutoring o anche un infermiere con: diploma di infermiere, diploma di maturità, di-ploma universitario di perfezionamento in cam-po specialistico, aggiornamento annuale di al-meno 30 ore sul tema in oggetto, conoscenza della lingua inglese parlata e scritta, esperien-za pratica nell’assistenza di almeno tre anni, esperienza in attività formativa e del processo metodologico di qualità adottato dall’Azienda Ospedaliera, conoscenza della metodologia di ricerca e della normativa per la stesura dei ca-pitolati e infi ne utilizzo e conoscenza dei siste-mi informatici (Word, Excel, Internet) DISCUSSIONE/CONCLUSIONI Da quanto si evince dai risultati sull’attività consulenziale e sulla fi gura dell’infermiere con-sulente non si può far altro che riscontrare la profonda discrepanza tra la realtà italiana mol-to arretrata dal punto di vista dell’istituzionaliz-zazione della fi gura dell’infermiere consulente e della consulenza infemieristica formale e la realtà anglosassone che vanta addirittura già da dodici anni la nascita della consulenza infer-mieristica e al giorno d’oggi le prime esperienze di specializzazione della fi gura dell’infermiere consulente in ambito manageriale. Anche in Italia vi sono corsi di laurea post-base come i Master e iI Dottorato di Ricerca che nei Paesi Anglosassoni (precisamente nel Regno Unito) insieme ad una base solida in pratica clinica sono gli unici requisiti formativi richiesti per

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intraprandere il ruolo consulenziale. Conside-rando soprattutto i momenti formativi ( come il Feed-back e le Sessioni Individuali in riunioni predefi nite e di attività come la Supervisione Clinica e il Mentoring durante la pratica clinica) che il consulente nei Paesi Anglosassoni offre e paragonandoli alle sole riunioni di staff presen-ti in Italia (e non ancora in tutte le realtà ospe-daliere) allora viene da proporre ancora con più enfasi, l’istituzione formalizzata di questa fi gura in Italia, sottolineando anche il benefi cio che può trarre il paziente dalla migliore prestazione

assistenziale fornita. Forse con l’avvento del consulente infermieristico si potrebbe temere, in un primo tempo, anche una diatriba profes-sionale con i medici (come è già successo nei Paesi Anglosassoni) ma come ogni nuova pro-fessione basta delinearne l’ambito e defi nirne i confi ni per stabilire un’attività di collabora-zione volta ad avere come unico scopo il bene dell’assistito, anche perché da ciò che si evince nelle esperienze consulenziali italiane, vi sono sompre uno o più referenti medico che collabo-ra all’interno dei progetti.

BIBLIOGRAFIA CONSULTATA

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Dott.ssa Maria Dolores PalmasMaster Psiconcologia - S.C. Oncologia Medica

e DH “Businco” Cagliari

Abbracciamo un sogno

Oltre la malattia. Frammenti di storie di vita, è il titolo della prima festa dell’oncologia che lo scorso trenta giugno ha richiamato centinaia di persone presso l’incantevole parco di Monte Claro, nella città di Cagliari. Una pagina rile-vante della storia sociale e culturale del capo-luogo voluta e scritta da un gruppo di pazienti, operatori sanitari e volontari che, insieme, con spirito di amicizia e solidarietà, hanno operato per la riuscita dell’evento.Una giornata magica, ricca di emozioni e diver-timento, non studiata a tavolino, non pensata dai vertici delle direzioni politiche, né sanitarie, ma proveniente dal basso, da persone tanto anonime quanto preziose che da anni seguo-no, in maniera più o meno diretta, i percorsi della malattia: vivendoli in prima persona, da pazienti, accompagnatori o familiari, oppureper lavoro e dedizione. Così come riferisce Maria Dolores Palmas, promotrice dell’iniziativa, in

occasione della presentazione della giornata. Dolores lavora nell’ambito ospedaliero da tanti anni e ha conosciuto tante storie di vita e tanti modi di affrontare quanto di bello e meno bello essa propone: gli insegnamenti che dalle espe-rienze possono essere tratti, i cambiamenti de-gli stili di vita, ed in particolare, i molteplici modi di interpretare e dare senso al tempo.Ecco nascere il sogno di Dolores: far conosce-re alla comunità, fuori dalle strutture ospedalie-re, pensieri, emozioni e signifi cati dei percor-si di vita dei pazienti oncologici.A partire dallo scorso inverno, con determinatezza, profes-sionalità ed entusiasmo organizza calendari di incontri tra persone che desiderano rifl ettere, insieme,sui rispettivi percorsi di cura;invita le pazienti a scrivere le proprie esperienze sul “senso del tempo”; realizza videointerviste per la creazione di un fi lmato intitolato “il nostro tempo”. Ancora, chiede e riceve in dono cen-tinaia di foulard che serviranno per la realizza-zione del simbolo della giornata: il caleidosco-pio (foto). Così, pian piano, Dolores coinvolge e condivide il suo sogno con altre sognatrici disposte a raccontare le proprie storie di vita, e prende forma un corposo quanto delicato insieme di materiali, fi lmati e scritti, che docu-mentano i tanti aspetti della vita segnata dall’e-sperienza della malattia.Ed è proprio a partire dalle storie raccontate che si decide di stilare il programma della festa e di pensare all’allesti-mento di una mostraper la presentazione delle testimonianze.Tra i tanti racconti si scelgono ed espongono su pannelli esplicativi “frammenti” di storie tra-scritte a manodalle carissime e generoseSorel-le Povere di Santa Chiara di Iglesias. (foto)Anche il video “Il nostro tempo” presentato per la prima volta in occasione della festa è un col-lage di “frammenti” di immagini e parole dette dalle protagoniste delle testimonianze. Il ter-

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mine “frammenti”, però, non ha niente a che vedere con la rottura e la frammentarietà del-la vita del paziente oncologico, ma, come tie-ne a precisare una giovane paziente,la parola “frammenti” è strettamente legata al simbolo dell’evento: per spiegare cosa intendiamo con la parola frammenti, ci piace proporvi l’esempio del caleidoscopio, vale a dire un tubo cilindrico che racchiude frammenti di vetro colorato che rifl ettendosi in un gioco di specchi angolari vi producono infi nite combinazioni di immagini e colori.Ecco, oggi, ciascuna di noi vi offre il proprio ca-leidoscopio, metaforicamente la nostra vita, e vi offre per alcuni minuti la possibilità di poggiarvi l’occhio e di vedere delle immagini composte da frammenti di racconti. Sono combinazioni di immagini e di colori scelti da noi. Ciò signifi ca che esistono tante altre immagini e altri colori legati alla nostra vita, e quindi anche all’espe-rienza della malattia, che però oggi non vengo-no mostrati, a prescindere che possano avere il colore della tristezza, della gioia, della felicità, della spensieratezza.Una volta che distoglieremo l’occhio dal cilin-dro, a ciascuno di noi resterà qualcosa. Logica-mente senza mai pensare di aver capito l’Altro, perché non lo abbiamo conosciuto, non ci ab-biamo parlato, non abbiamo avuto la possibilità di ascoltarlo, di conoscere i suoi problemi, i suoi progetti, il suo passato , il suo presente [ ]. I “frammenti” diven-tano testimonianze che trasmettono forti emozioni, centinaia di persone le ascoltano con un silenzio quasi sacrale,senza mai co-gliere connotazioni di banalità; colgono signi-fi cati legati al senso del tempo e della vita inte-sa come dono. E, come scrive Valentina sul diario delle presenze, la festa dell’oncologia è una occasione per ri-pensare alla propria vi-

tae a ciò che si ha senza saperlo, come anche un’occasione per arricchirsi spiritualmente: […] grazie, senza le vostre storie di vita non sarei riuscita ad apprezzare quello che ho [….].Alla presentazione della mostra e del fi lmato seguono momenti di rifl essione e comunicazio-ne con alcuni medici oncologi che hanno tratta-to il tema “Prevenzione e salute”.Non mancano gli spazi per la convivialità e il divertimento con attori di cabaret e clown: tra le tante persone non si riconoscono i pazienti dai medici, gli infermieri dai familiari dei pazienti, il dirigente sanitario dal curioso capitato alla fe-sta per caso: non esistono distanze tra perso-ne, né colori di divise e di camici,né gerarchie. Si lascia spazio alle persone: mamme e papà, fi gli, nonni, fi danzati, fi danzate, amici e parenti. Tutti, partecipano alla realizzazione della festa donando qualcosa: contributi in denaro, com-petenze lavorative, buona volontà per allestire le sale, per realizzare torte, tortine e dolci di ogni foggia.Ciò che dà rilievo alla giornata è il modo in cui avviene la condivisione della festa, cioè attra-verso la forma del dono. Il dono che, in qua-lunque sua forma, crea e salda legami tra per-sone. Il dono che ci fa rifl ettere sulla bellezza della vita, anche quando ci mette a dura prova. Il dono come comprova della vera amicizia.

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Dott.ssa Filomena PerrucciInf.f.f. Coord. Inf. SPDC

MI SENTO... UN PO’ PAZZA...

È nata da un’idea “collettiva” - Direttore di Struttura Dr.ssa Maria Nacci, Medici, Coord. Inf. , Infermieri -nel Giugno 2010, una sor-ta di ristrutturazione del reparto del Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, ubicato nello Stabilimento S.G.Moscati.La motivazione era nel desiderio di creare in-torno al paziente e per il paziente stesso tut-to ciò che può servire, vale a dire un mondo confacente alle sue esigenze, adeguato ai suoi bisogni, calato nella realtà, in grado di smantel-lare quei timori e quei pregiudizi che permea-vano alcuni colleghi e studenti restii ad entrare in contatto con il paziente psichiatrico e con il servizio stesso.Ma consentitemi di affermare che varrebbe la pena, anche solo per un istante, guardare la vita del reparto e del servizio stesso: se ne trar-rebbero insegnamenti e si capirebbero tante cose, a cominciare dalla umanità dei pazienti per fi nire all’impegno degli operatori, la cui pri-orità è solo e sempre il paziente, centro dell’at-tenzione relazionale, pazienti con i quali condi-vidono momenti ricreativi e ludici. La carenza infermieristica rilevante potrebbe ma non frena la cura della condivisione e della comunicazione. Il merito è anche della giovane dott.ssa Maria Nacci, dal febbraio 2010 venuta a dirigere la S. C. di Psichiatria, portando una freschezza gio-vanile che ha contagiato tutti quanti, facendo nascere negli operatori, fi n ad allora messi in secondo ordine, la voglia di poter dire “ anch’io nell’ASL di TA esisto e conto qualcosa”.Personale, allora, motivato, ma anche pazien-ti ben contenti del nuovo reparto. Accade così che, rientrata in reparto dopo un incidente che

mi ha tenuta lontana dal servizio dal 14 giu-gno 2012 al 1 luglio 2012, sono stata invitata a pranzo da un paziente che ha tenuto a sottoli-neare come, da quando il reparto è in ristruttu-razione, si respira un’aria diversa, di cordialità e serenità tra degenti ed operatori. Una soddisfazione, il riconoscimento di un im-pegno della struttura e degli operatori, ma, an-che, dei pazienti, soggetti unici. A breve il reparto sarà inaugurato uffi cialmente e noi tutti ci auguriamo sia sempre in grado di dare risposte alle aspettative, a quelle psico-patologie con le quali veniamo a contatto ogni giorno.Noi siamo ben intenzionati a non permettere ad alcunché di bloccare il cammino intrapreso, ci auguriamo soltanto che altre fi gure professio-nali possano venire a coadiuvarci nel lavoro. Purtroppo, nel passato abbiamo vissuto pro-blemi di carenza di organico che non hanno permesso l’offerta qualifi cata che avremmo vo-luto offrire ed alla quale i malati hanno diritto. Oggi la situazione è migliorata ed ha permesso di superare alcuni gap, ha permesso di intra-prendere un cammino di “coinvolgimento” che motiva fortemente e gratifi ca. Così, ad esem-pio, io sono stata chiamata nella commissione per la scelta degli arredi, perché è logico che, chi opera a stretto contatto con i degenti, pos-sa poter scegliere il meglio da un punto di vista alberghiero e dei comfort in generale, rispet-tando le necessità dei degenti stessi.E dare al paziente risposte adeguate nel ri-spetto della sua piena totalità psicofsica è uno degli obiettivi del nostro progetto condiviso .

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IPASVIINFERMIERISTICA CLINICA:

STRUTTURAZIONE DI UN PIANO DI ASSISTENZAProfessioni sanitarie cui è rivolto l’evento:

Infermierin. partecipanti 100

CORSO GRATUITO

DESCRIZIONE GENERALELa professione infermieristica si caratterizza come professione sanitaria fondata su un proprio corpo sistematico di conoscenze e sull’espressione di una competenza autonoma nelle valutazioni, nelle decisioni e nei comportamenti professionali. Per tale motivo l’esercizio professionale richiede il ricorso continuo a teorie proprie e l’adozione di metodi e strumenti validi, intersoggettivi e collocati in un contesto di relazioni multidisciplinari. Il Corso in oggetto intende introdurre il partecipante ai fondamenti metodologici dell’assistenza infermieristica, dove l’adozione di un validato e condiviso sistema di regole metodologiche assicura all’assistenza stessa le condizioni per interpretare correttamente e risolvere con appropriatezza, effi cacia, effi cienza e sicurezza i problemi di salute posti all’infermiere nei diversi ambiti operativi dell’esercizio professionale. Il metodo della disciplina infermieristica maggiormente riconosciuto in Italia, cioè il “processo di assistenza infermieristica”, è considerato una funzione esplicita sul piano normativo, come sottolinea il Profi lo dell’Infermiere (D.M. Sanità 739/94), che riconosce l’autonomia professionale connessa all’identifi cazione dei bisogni, alla formulazione degli obiettivi, alla pianifi cazione e valutazione degli interventi di competenza.

PROGRAMMA

8.00-9.00 L’infermiere e la titolarità del nursing. 9.00-10.00 I modelli organizzativi: dal “compito” all’assistenza personalizzata. 10.00-11.00 La metodologia del processo assistenziale: dalla teoria alla prassi. 11.00-12.00 Strumenti a supporto dell’attività clinica. 12.00-13.00 Strutturazione di un piano di assistenza: confronti esperienziali. Presentazione delle varie realtà locali. 13.00-13.30 Discussione 13.30-15.00 Intervallo 15.00-18.00 Elaborazione di un piano di assistenza individualizzato applicato a casi clinici. 18.00-18.30 Discussione in plenaria dei lavori di gruppo. 18.30 Chiusura del corso

Crediti ECM: 10 Sede dell’evento:12-11-2012 - Centro Monticello, Via K. Marx, 1 - GROTTAGLIE (TA)24-11-2012 - Sede CIOFS - Istituto S. Teresa, Via P. Capponi, 15 - MARTINA FRANCA (TA)12-12-2012 - Sede Collegio IPASVI TA, Via Salinella, 15 - TARANTO

LE modalita’ di Iscrizione saranno pubblicate nel Sito del Collegio IPASVI: www.ipasvitaranto.it a partire dal 15 Ottobre. Il corso sarà riproposto a Gennaio 2013 nelle sedi di Manduria e Castellaneta.

EVENTO FORMATIVO ITINERANTE

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Dott. Pierpaolo Volpe

Sono trascorsi ormai più di dieci anni da quando è stata emanata la direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999 da parte della Comunità europea, con cui sono state dettate a tutti gli Stati membri le linee guida aventi come obiettivo fondamen-tale il miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato, garantendo il rispetto del principio di non discriminazione. Ma nulla è an-cora cambiato…..La direttiva 1999/70/CE , recepita dallo Stato italiano con il decreto legislativo 368/2001, af-ferma che

i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno

favorevole, rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo de-

terminato, a meno che non esistano ragioni oggettive.

Il principio di “non discriminazione” è disatteso da tutti i CCNL presenti sul territorio naziona-le, ed è per questo che spetta al Giudice del Lavoro dichiarare la non conformità degli stessi alla Direttiva comunitaria, disapplicando ogni norma, articolo o comma in contrasto con esso.Palesemente in contrasto con la direttiva 1999/70/CE è l’art. 22 del CCNL Integrativo 1998/2001 del Comparto Sanità Pubblica dove sono concessi appositi permessi retribuiti per il “diritto allo studio”, nella misura di 150 ore individuali per ciascun anno, ai dipendenti a tempo indeterminato. Così come discriminato-rio appare il non garantire anche al tempo de-terminato la progressione di carriera attraverso l’ottenimento delle fasce stipendiali.Per quanto riguarda il danno patrimoniale da non progressione di carriera le sentenze che hanno visto vittoriosi i precari che hanno riven-dicato il riconoscimento ab origine di tale diritto,

IL PRINCIPIO DI “NON DISCRIMINAZIONE” TRA LAVORATORI A TEMPO DETERMINATO E QUELLI A TEMPO INDETERMINATO:ANCHE AI PRECARI SPETTANO LE 150 ORE PER IL DIRITTO

ALLO STUDIO E LE FASCE STIPENDIALI.

ormai sono innumerevoli e diffi cili da contare. L’ultima sentenza è di Maggio 2012, dove nella Sezione Lavoro del Tribunale di Taranto, il dott. Gentile, ha riconosciuto il diritto alla progressio-ne di carriera ad alcuni precari della scuola.Al lavoratore precario spettano in base a quan-to suddetto, anche le 150 ore per il diritto allo studio, lo ha ribadito laCorte di Cassazione Sez. Lavoro con Sentenza del 17.02.2011, n. 3871, nel contenzioso tra Ministero della Giustizia e un lavoratore precario.Il principio di “non discriminazione” non deve essere minato e disatteso da nessuna norma, e qualora questo avvenisse è nostro diritto e do-vere ricorrere in tutte le sedi opportune.La Sentenza del 17.02.2011, n. 3871 della Corte di Cassazione Sez. Lavoro è un precedente rivo-luzionario, che fa e farà giurisprudenza,aprendo scenari importanti per i lavoratori precari della sanità, vedendo anche ad essi riconosciuto il diritto allo studio attraverso l’ottenimento delle 150 ore.Le prime sentenze in sanità arriveranno a bre-ve ( 20 settembre 2012), dove vedremo ricono-scere anche nel nostro settore l’illegittimità dei contratti apposti ai precari da parte della Asl sul posto vacante e la progressione di carriera. In Giudice del lavoro si pronuncerà in seguito al ricorso adotto dai precari nei confronti della Asl, in base ai precedenti giurisprudenziali, secondo le seguenti possibilità:

1. Contratto a tempo indeterminato + fasce stipendiali

2. Contratto a tempo indeterminato + risar-cimento del danno (circa 5 mensilità) + fasce stipendiali

3. Risarcimento del danno pari a circa 20 mensilità + fasce stipendiali.

I N F O R M U

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Il riposo di 2 ore giornaliero spetta anche al lavoratore padre anche se la moglie non lavora perchè casalinga. La circolare INPS n. 8 del 17 gennaio 2003 e con quella successiva n. 95-bis del 6 settembre 2006 precisavano che spettava solo ai pa-dri aventi come moglie una “lavoratrice autonoma”, ma il con-siglio di stato nel 2008 ha riformato il tutto facendo giurispru-denza. E questo perchè lo status di casalinga è paragonabile a quello di “prestatore d’opera”( Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4293/2008; Cassazione, sez. III, n. 20324/2005 e lettera circola-re del ministero del Lavoro del 12 maggio 2009)

Riposi giornalieri (ex permessi per allattamento)

Entro il 1° anno di vita del bambino sono riconoscibili alla madre (art. 39): • 2 ore giornaliere anche cumulabili se l’orario è pari o superiore a 6 ore • 1 ora se l’orario di lavoro è inferiore a 6 ore • 1 ora quando la lavoratrice fruisca dell’asilo nido o di altra struttura idonea, istituiti dal datore di lavoro nell’azienda riposi sono riconosciuti anche al padre lavoratore (art. 40): • quando il fi glio è affi dato al padre • in alternativa alla madre lavoratrice dipendente che non se ne avvalga • quando la madre non è lavoratrice dipendente • in caso di morte o grave infermità della madre

Nell’ipotesi di madre non lavoratrice dipendente, deve essere ricompresa anche la lavoratrice casalinga (si vedano Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4293/2008; Cassazione, sez. III, n. 20324/2005 e lettera circolare del ministero del Lavoro del 12 maggio 2009)

M U T I L I a cura di Dott. Pierpaolo Volpe - Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (Taranto)

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14/09/2011 - Addio carta per i certifi cati di ma-lattia: da oggi anche per i dipendenti privati bi-sognerà utilizzare le procedure telematiche.

Dopo i dipendenti pubblici, anche per quelli pri-vati è arrivato il giorno delle certifi cazioni di ma-lattia on line: da oggi, 14 settembre, non sono più obbligati a inviarli al loro datore di lavoro e nemmeno all’Inps, secondo quanto previsto dalla Circolare n. 4 dello scorso 18 marzo dei ministri della Funzione Pubblica e del Lavoro.

Il datore di lavoro, dunque, non potrà più chie-dere al lavoratore l’invio della copia cartacea dell’attestazione di malattia, ma dovrà prender-ne visione avvalendosi dei servizi resi disponi-bili dall’Inps. Potrà, tuttavia, chiedere ai propri dipendenti di comunicare il numero di protocol-

DA OGGI CERTIFICATI DI MALATTIASOLO ON LINE

lo identifi cativo del certifi cato inviato online dal medico.

Anche il dipendente potrà consultare i propri certifi cati direttamente sul sito dell’Inps.

Il medico certifi catore dovrà comunque conse-gnargli una copia del documento trasmesso per via telematica e comunicargli il numero del pro-tocollo del documento.

Questo anche perché, se si verifi casse un im-pedimento all’invio telematico (per esempio il malfunzionamento del sistema di trasmissione), il lavoratore dovrà tornare alla “vecchia” proce-dura, presentando al proprio datore di lavoro l’attestazione cartacea rilasciata dal medico e, laddove previsto, consegnando all’Inps il certi-fi cato.

Dott. Pierpaolo Volpe

INFORMUTILI a cura di Dott. Pierpaolo Volpe - Inf. Centro Diurno EPASSS - Grottaglie (Taranto)

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02 settembre 2012

Fibrillazione atriale. I pazienti eu-ropei sono scontenti della tera-pia anticoagulantePer trattare la condizione si assumono anticoagulanti orali, che necessitano costan-te monitoraggio e continua regolazione della dose. Ma il 60% dei pazienti vorrebbe ridurre lo screening, l’80% preferirebbe assumere i far-maci una volta al giorno. Ecco i risultati di una nuova indagine presentata al Congresso Esc.02 SET - Oltre il 60% dei pazienti affetti da fi -brillazione atriale (FA), condizione responsa-bile del 15-20 percento degli ictus ischemici, sarebbe felice di potere ridurre il regolare mo-nitoraggio del trattamento anticoagulante, così come il 55% circa vorrebbe rivedere le moda-lità di assunzione dell’anticoagulante stesso che prevede un costante riaggiustamento delle dosi, e magari preferirebbe arrivare ad assu-merlo una sola volta al giorno. Questo quanto emerge da un’indagine Daiichi Sankyo presen-tata al Congresso della European Society of Cardiology (Esc) di Monaco. La ricerca è stata condotta da un team internazionale - di cui fan-no parte ricercatori dell’Università di Ramon y Cajal di Madrid, della Oxford PharmaGenesis e del NHS inglese – su un campione di 1.507 pazienti in Italia, Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna. Dagli stessi dati, emerge an-che una certa insoddisfazione dei pazienti af-fetti da questa condizione in tutta Europa, ma soprattutto in Italia. A dipingere questo quadro è infatti la 1a Indagine Paneuropea sui Pazienti con Fibrillazione Atriale (EUPS-AF). “L’obietti-vo dell’indagine – ha dichiarato José Luis Za-morano, direttore dell’Istituto Cardio-Vascolare all’Università di Madrid – era quello di cogliere il punto di vista del paziente sullo stato dell’arte del trattamento della FA, con riguardo alle aree in cui è possibile migliorare la sua soddisfazio-

ne e la sua aderenza alla terapia. È chiaro che i limiti attuali della terapia anticoagulante sono legati alla necessità di un continuo monitorag-gio e aggiustamento della dose con il conse-guente carico che ricade sul paziente. Adattare i sistemi di cura in funzione delle esigenze dei pazienti risulta cruciale per migliorare l’effi ca-cia e la qualità dell’assistenza”. Per giungere ai risultati, dunque, gli scienziati hanno inter-vistato gli oltre 1500 pazienti di età media di 70 anni, concentrandosi in particolare su quel-li che assumono antagonisti della vitamina K come trattamento anticoagulante orale. Tra questi, addirittura il 61% avrebbe dichiarato di vedere di buon occhio la possibilità di ridurre i monitoraggi, per diverse ragioni: alcuni per questioni di tempo (28% del totale); altri per dover andare meno spesso nei centri specia-lizzati (29%). Molti altri, inoltre, vorrebbero non dover continuamente aggiustare la dose dei loro farmaci (55%) e soprattutto sarebbero feli-ci se potessero assumere le loro medicine solo una volta al giorno (80%).Ma non solo. Una delle esigenze fondamentali dei pazienti con FA è la necessità di conseguire una maggio-re consapevolezza rispetto al proprio regime di trattamento. “L’ipertensione e la fi brillazione atriale – ha sottolineato Florian Abel, Medical Affairs Director Daiichi Sankyo Europa – sono entrambe patologie croniche con complessi meccanismi di trattamento, che richiedono un notevole impegno da parte del paziente; l’in-dagine EUPS-AF mostra che gli attuali livelli di soddisfazione dei pazienti con FA riguardo ai trattamenti e l’effi cacia dell’assistenza sono sub-ottimali. Anche lo stesso controllo della pressione arteriosa, nonostante le opzioni te-rapeutiche disponibili, è risultato sub-ottimale. Per questo è fondamentale adottare in Euro-pa standard clinici più avanzati per coinvolgere maggiormente il paziente con FA nella gestione più diretta e responsabile della terapia antiper-tensiva”.

a cura di Dott.ssa Elena De SantisInf. D.H.Oncologia P.O. “Giannuzzi” - Manduria (TA)

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23 agosto 2012

Trapianti. 161 effettuati su bam-bini nel 2011. Ma 195 piccoli pa-zienti ancora aspettano un orga-noSono stati 73 i trapianti di rene, 60 quelli di fe-gato e 28 di cuore. Per il cuore e il fegato l’età dei pazienti è solitamente superiore ai 9 anni. Nel caso dei reni, invece, i bambini fi niscono sotto i ferri prima di averne compiuti 3. Al 31 dicembre 2011 c’erano ancora 117 bambini che aspettavano un rene, 23 che aspettavano un fegato e 55 che aspettavano un cuore. Ecco i dati del Programma nazionale pediatrico del Cnt.

23 AGO - Il trapianto di organo è un intervento molto complesso e delicato. Un processo in cui la speranza di vita per qualcuno si lega inevita-bilmente al dramma di qualcun altro. Quando si pensa che ad essere coinvolti siano dei bambi-ni, il quadro si fa ancora più impressionante e il procedimento ancora più diffi cile e rischioso, considerata la necessità di reperire organi di piccole dimensioni compatibili con il corpicino del paziente.Eppure stiamo parlando di casi tutt’altro che eccezionali. Se si considera, infatti, solo cuo-re, rene e fegato, sono stati ben 161 i trapianti effettuati nel 2011 su bambini e adolescenti. In particolare, 73 i trapianti di rene, 60 quelli di fegato e 28 quelli di cuore. A rilevarlo sono i dati del Programma nazionale pediatrico al 31

dicembre 2011 del Centro nazionale trapianti (Cnt), diffusi nei giorni scorsi dal ministero della Salute (vedi i dati relativi al cuore, quelli relativo al fegato e quelli relativi al rene).Un’occasione anche per fare il punto sull’atti-vità dei trapianti pediatrici negli ultimi 10 anni: in particolare, dal 2002 al 2011 sono stati 204 i trapianti di cuore, 653 quelli di fegato e 633 quelli di rene. Ma vediamo i dettagli per ciascu-no dei tre organi.

29 agosto 2012

Il dolore è in testa. Per studiarlo e combatterlo si fotografa il cer-velloAl via a Milano il Congresso Mondiale sul Do-lore. Oltre 7 mila gli esperti da tutto il mondo riuniti per confrontarsi sugli ultimi sviluppi del-la ricerca e della terapia del dolore: dal brain imaging all’epigenetica, dal dolore viscerale al mal di testa, fi no all’importanza degli interventi psicosociali.29 AGO - Un adulto su 5 soffre di dolore da moderato a severo Mal di schiena ed emicrania sono i dolori più diffusi:ogni adulto ha soffer-to di un episodio di dolore muscoloscheletrico almeno una volta nella propria vita e si stima che 1 persona su 2 soffra di mal di testa alme-no una volta all’anno. Ma tutti i dolori, rileva-no gli esperti, sono “in testa”. Tanto che oggi

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l’analisi del cervello con le moderne tecniche di brain imaging sta aprendo nuove prospettive per la terapia e la gestione dei pazienti.Proprio questa innovazione sarà al centro del 14° Con-gresso Mondiale sul Dolore che si è aperto ieri a Milano. Si tratta del più importante appunta-mento internazionale sul tema della ricerca e della terapia del dolore, organizzato ogni due anni dall’International Association for the Study of Pain (IASP). Sono oltre 7 mila gli esperti che, provenienti da più di 110 Paesi di tutto il mon-do, si confronteranno fi no al 31 agosto al MiCo - Milano Congressi per favorire il progresso scientifi co e contrastare il dolore: un’emergen-za sociale che nel mondo colpisce molti milioni di persone. “Il brain imaging - ha spiegato Irene Tracey, presidente del Comitato Scientifi co del 14° Congresso Mondiale sul Dolore, Universi-tà di Oxford - ci consente di ‘vedere’ all’interno del sistema nervoso centrale umano (encefa-lo e midollo spinale) e di misurare il suo fun-zionamento. Possiamo ‘osservare’ il cervello mentre elabora i segnali provenienti dalle aree danneggiate dell’organismo, generando l’espe-rienza conscia del dolore. Così – ha proseguito Tracey - possiamo identifi care le aree più im-portanti da cui nasce il dolore e studiare come altre aree, una volta divenute attive, lo peggio-rino notevolmente, generando ansia, depres-sione, aspettative negative eccetera. Sono state fatte nuove scoperte e apprese nuove in-formazioni sul cervello e sulla centralità del suo ruolo: speriamo che da qui possano svilupparsi nuove terapie e nuove strategie per la gestione dei pazienti”.

29 agosto 2012

Infermieri sempre più giovani. L’iscrizione all’Albo arriva prima dei 25 anniTra il 2007 e il 2011 la quota di laureati con meno di 25 anni è cresciuta dal 45,6% al 57,8%. Ipasvi: “Segno evidente di un percorso universitario che regge e di un appeal ritrovato

nei confronti della professione da parte dei gio-vanissimi”.29 AGO - Infermieri sempre più giovani. Dimi-nuisce ancora, infatti, l’età media di iscrizione all’albo (e quindi di conseguimento della Lau-rea in Scienze infermieristiche). Già bassa nel 2007 (25,3 anni di età in media), è scesa fi no a 24,7 anni nel 2011. Una riduzione che ha in-teressato indistintamente uomini (da 25,5 anni a 25,2) e donne (da 25,3 a 24,5) così come, a livello territoriale, ha investito tutte le ripar-tizioni geografi che. I dati arrivato dalla rico-gnizione della Federazione dei Collegi Ipasvi sulle “transizioni in ingresso e in uscita dalla condizione professionale di infermiere” nel quadriennio 2007-2011. Si tratta di informa-zioni utili ad analizzare la reattività della pro-fessione infermieristica alle sollecitazioni della realtà sociale ed economica del nostro Paese e alle modifi che che intervengono in essa nel corso degli anni. Sotto la lente di ingrandimen-to sono fi niti i nuovi iscritti agli Albi provinciali Ipasvi appartenenti alla fascia d’età 22-30 anni, proprio per fotografare al meglio la transizione università-lavoro. Quello che emerge è che i ragazzi diventano infermieri in età sempre più giovane, appunto. Un successo che, secondo l’analisi degli uffi ci della Federazione, dipende da molteplici fattori: “L’accorciamento dei tem-pi di conseguimento della laurea derivante da una maggiore applicazione negli studi, verosi-milmente determinata da una maggiore moti-vazione e fi ducia nelle opportunità offerte dalla professione”. E ancora, “l’anticipo dei tempi di ingresso ai corsi universitari, almeno in parte dovuta al fatto che la professione di infermie-re non è più vista come scelta di ‘ripiego’”. In generale, secondo l’Ipasvi, “l’ingresso ai corsi universitari di studenti di ‘qualità’, che si rifl ette positivamente sui punti precedenti. Tutti fatto-ri che, secondo la Federazione, “testimonia-no di un accresciuto appeal della professione infermieristica e di una maggiore fi ducia sulle relative prospettive professionali”. Conclusio-ne che per l’Ipasvi trova conferma anche nel dato sulle iscrizioni di giovani 22-30enni, che per il 2011 parla di un incremento del 17% ri-spetto al 2010 e del 53% rispetto al 2007.

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Al Presidente della Regione Puglia Dott. Nichi VendolaAll’Assessore alla Salute Regione Puglia Dott. Ettore Attolini

OGGETTO: Licenziamento 26 unità

Il Collegio degli Infermieri della Provincia di Taranto esprime profondo rammarico per quanto accade nella Casa di Cura “S. Rita”, gravata dalle diffi coltà economiche rivenienti dalla riduzione del budget. Il licenziamento collettivo di 26 unità sarà l’ennesimo attacco alla qualità dell’assistenza e ad una economia già collassata.La Regione non può limitarsi al riconoscimento verbale delle diffi coltà, deve mettere in atto strumenti per risollevare la Sanità e dare risposte effi cienti ed effi caci alle domande di salute di una città affossata dall’immobilismo.

Benedetta Mattiacci Presidente Collegio IPASVI - Taranto

VERTENZA SANTA RITA

DELIBERAZIONE ASL-TASU TRACHEO-BRONCOASPIRAZIONE

Il Collegio interviene su:

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA “TOR VERGATA”“MANAGEMENT INFERMIERISTICO

PER LE FUNZIONI DI COORDINAMENTO”AA.2010/2011-20 LUGLIO 2012 SEDE IDI - TARANTO

ELENCO DEGLI INFERMIERI CHE HANNO CONSEGUITO LA SPECIALIZZAZIONE:

1) CAFAGNA LUCIA 2) CAVALLO RAFFAELA RITA 3) CIMINO ITALIA

4) GALEANDRO VINCENZA 5) LAGHEZZA RAFFAELLA 6) PANARELLA LEONARDA ANNA

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Art. 1– IstituzioneE’ istituito, presso la Facoltà di Medicina e Chi-rurgia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, in convenzione con la Provincia Ita-liana della Congregazione dei Figli dell’Imma-colata Concezione (PICFIC) - Istituto Dermo-patico dell’Immacolata e la Società scientifi ca a carattere interdisciplinare AISLEC., il Ma-ster universitario di primo livello in “Gestione lesioni della cute e delle ferite complesse (Wound Care) . Il Master sarà effettuato presso la sedi dell’Istituto Dermopatico dell’Immacola-ta di Roma e nelle altre sedi in Italia coinvolte nella formazione.

Art. 2 - FinalitàIl Corso si rivolge agli operatori sanitari in pos-sesso della Laurea di primo livello di area sa-nitaria in Infermieristica, Ostetricia, Infermie-ristica Pediatrica, e diploma di scuola media superiore quinquennale A termine del Master lo studente dovrà essere in grado di:

- Saper effettuare una valutazione complessi-va del rischio di sviluppo di lesioni cutanee nei pazienti in tutte le situazioni clinico-assistenzia-li e a domicilio.- Individuare ed elaborare gli strumenti infer-mieristici per la pianifi cazione assistenziale nel wound care.-Individuare, selezionare e utilizzare gli stru-menti e gli ausili idonei per la prevenzione delle lesioni da pressione.- Essere in grado di effettuare una valutazione delle diverse tipologie di lesioni cutanee croni-

MASTER UNIVERSITARIO PRIMO LIVELLO

“GESTIONE LESIONI DELLA CUTE E DELLE FERITE COMPLESSE”

(WOUND CARE)

STATUTO

che correlate a stati patologici (lesioni da pres-sione, vascolari, diabetiche, da ustione, trau-matiche e neoplastiche- Impostare il trattamento di lesioni cutanee croniche nella situazione specifi ca, in collabo-razione con le altre fi gure professionali compo-nenti l’èquipe- Contribuire al miglioramento continuo della qualità assistenziale, attraverso l’utilizzo nella pratica clinica di conoscenze validate secondo i criteri dell’evidenza scientifi ca e la revisione periodica degli strumenti operativi in uso nelle Unità Operative- Fornire consulenza per la valutazione e il trat-tamento delle lesioni cutanee croniche.- Partecipare ad attività di ricerca infermieristi-ca nella situazione specifi ca- Realizzare attività di tutorato clinico nei con-fronti di studenti o di altri operatori in formazio-ne- Conoscere e progettare forme di attività pro-fessionale innovative nell’ambito del Wound Care

Il professionista che ha conseguito il titolo di Master in Gestione lesioni della cute e del-le ferite complesse (Wound Care) è colui che può esercitare una competenza specifi ca nell’area assistenziale clinica, nell’ambito del-la prevenzione e cura delle lesioni cutanee (disciplina nota nella letteratura internaziona-le come “Wound care”, in Italia con il termine “vulnologia”) e dell’uso delle medicazioni cosid-dette “avanzate”, che può operare nei settori assistenziali, organizzativi e gestionali ove tali competenze sono ormai necessarie a realizza-

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re un’assistenza sanitaria orientata al cliente, e impegnata nello sviluppo delle strutture e delle tecnologie. Gli sbocchi professionali possibili riguardano vari ambiti:responsabili dell’organizzazione, della consu-lenza e dell’assistenza ai pazienti con lesioni cutaneecroniche all’interno dei servizi infermieristici aziendali; referenti di Unità Operativa per leproblematiche relative al wound care; respon-sabili e referenti negli ambulatori infermieristici vulnologici; referenti nelle ADI per le problema-tiche legate al wound care.

Art. 3 - Requisiti di ammissionePer l’ammissione al Master è necessario il Di-ploma di scuola media superiore quinquennale e la Laurea di primo livello di area sanitaria in Infermieristica, Ostetricia, Infermieristica Pe-diatrica, o titolo equipollente.I posti saranno assegnati in base ad una gra-duatoria generale di merito tra tutti i partecipan-ti alla selezione.

Art. 4 - DurataLa durata del Master è di un anno accademico e l’attività formativa prevista è di 60 crediti pari a 1500 ore di cui 510 dedicati all’attività didat-tica frontale alla presenza di docenti (lezioni tradizionali, laboratorio guidato, esercitazioni guidate).Ai sensi dell’art. 8, comma 1 del Regolamento didattico di Ateneo, possono essere riconosciu-te, dal Consiglio del Master attività formative, di perfezionamento e di tirocinio seguite succes-sivamente al conseguimento del titolo di studio che dà accesso al Master universitario e delle quali esista attestazione (ivi compresi insegna-menti attivati nell’ambito di corsi di studio), pur-ché coerenti con le caratteristiche del Master stesso. A tali attività vengono assegnati crediti utili ai fi ni del completamento del Master uni-versitario, con corrispondente riduzione del ca-rico formativo dovuto, fi no a un massimo di 20.La prova fi nale deve essere sostenuta entro l’ultima sessione del secondo anno accademi-co successivo all’ultimo anno di iscrizione al

corso. Oltre tale termine il titolo non è più con-seguibile.

Art. 14 - Iscrizione al Master UniversitarioIl Master è rivolto a un numero massimo di 30 partecipanti per ogni singola struttura, salvo di-verse indicazioni delle stesse strutture date in base alla loro capacità recettiva e che saranno comunque specifi cate nel bando. Il numero mi-nimo di partecipanti al di sotto del quale il ma-ster non sarà attivato è di 20 per ogni singola struttura salvo diverse indicazioni delle struttu-re in convenzione.L’ammissione dei candidati è subordinata al superamento di una prova scritta di tipo psico-attitudinale di cultura professionale.La quota di partecipazione verrà stabilita, anno per anno, dal Consiglio del Master.La quota stabilita per l’iscrizione è pari a € 2.300,00 suddivisa in n. 2 rate: la prima di € 1.150,00 da versare al momento dell’iscrizione, la seconda di € 1.150,00 dovrà essere versata entro il termine stabilito dal bando.

Art. 15 - Obbligo di frequenzaLa frequenza al Master è obbligatoria e deve essere attestata con le fi rme degli studenti. Una frequenza inferiore al 75% delle ore pre-viste comporterà l’esclusione dal Master e la perdita della tassa di iscrizione.

Art. 16 - Conseguimento del titoloL’attività formativa svolta nell’ambito del Master è pari a 60 crediti formativi. A conclusione del Master agli iscritti che supereranno con esi-to positivo le prove di verifi ca del profi tto e la prova fi nale consistente nella dissertazione di un elaborato su tematiche manageriali, verrà rilasciato il diploma con il titolo di master uni-versitario di primo livello in “Gestione Lesioni della cute e delle ferite complesse (WOUND CARE)”.

IL MASTER SI TERRÀ IN TARANTO, NELLA SEDE DEL COLLEGIO IPASVI DI TARANTO, VIA SALINELLA N. 15.PER INFORMAZIONI RIVOLGERSI, NEGLI ORARI D’UFFICIO, ALLA SEGRETERIA DEL COLLEGIO.

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n questo momento la nostra città vive una fase drammatica, di-laniata, come è, dal dilemma salute e lavoro.Come infermieri sappiamo che il diritto alla salute è “diritto invio-labile” per tutti: per quanti vivono ambienti lavorativi “a rischio” e per quanti ne subiscono le conse-guenze.ILVA, ENI, CEMENTIR, occasioni di lavoro, non possono e non devono essere fonte di morte. Coniugare salute e lavoro è un dovere della società civile, è un diritto sancito dalla Costituzione. Violare questi diritti è un reato.

I

Taranto merita di più del “saccheg-gio” al quale è stato sottoposto; merita rispetto dalla Grande Indu-stria, ma, in primis, dai rappresen-tanti politici e amministrativi che non sono riusciti a rispettare il loro mandato. Taranto merita, anche, che si co-struiscano alternative all’industria, rispolverando le vocazioni del ter-ritorio.Ma non solo a parole.

Il Consiglio DirettivoIPASVI - TARANTO