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amici webzine 13|2015 musical del Le Bal des Vampires Daniele Carta Mantiglia Raffaëlle Cohen Next to normal Sarà perché ti amo Mary Poppins Angelo Di Figlia Chitty Chitty Bang Bang Beauty and the Beast Dirty Dancing Casanova Houdini Le nozze di Figaro Risate sotto le bombe Trasteverini

Amici del Musical #13

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Le Bal des Vampires Daniele Carta Mantiglia Raffaëlle Cohen Next to normal Sarà perché ti amo Mary Poppins Angelo Di Figlia Chitty Chitty Bang Bang Beauty and the Beast Dirty Dancing Casanova Houdini Le nozze di Figaro Risate sotto le bombe Trasteverini

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Le Bal des VampiresDaniele Carta MantigliaRaffaëlle CohenNext to normalSarà perché ti amoMary PoppinsAngelo Di FigliaChitty Chitty Bang BangBeauty and the BeastDirty DancingCasanovaHoudiniLe nozze di FigaroRisate sotto le bombeTrasteverini

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Amici del Musicalwww.amicidelmusical.itsito ideato da Franco Travaglio

webzineissuu.com/amicidelmusicalideazione e coordinamento editorialeFrancesco Morettiin redazioneStefano Bonsi, Alessandro Caria, Enrico Comar, Laura Confalonieri, Sara Del Sal, Diana Duri, Matteo Firmi, Roberta Mascazzini, Roberto Mazzone, Valeria Rosso, Enza Adriana Russo, Franco Travaglio

n. 13|201521 marzo 2015

in copertina: Daniele Carta Mantiglia e Raffaëlle Cohen in Le Bal des Vampires

Abbiamo fatto il possibile per reperire foto autorizzate e ufficiali.Per ogni informazione e/o chiarimento scrivete a:[email protected]

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Facts & Figures

Dall’ItaliaNext to NormalSarà perché ti amoTrasteveriniDisney’s Beauty and the BeastRossetti experience(Beauty, la Famigli Addams, JCS, Aggiungi un posto a tavola)Risate sotto le bombeLe nozze di Figaro

Dall’esteroLe Bal des VampiresAn American in ParisDirty DancingMary PoppinsChitty Chitty Bang BangCasanovaDER GROSSE HOUDINI

Le intervisteDaniele Carta MantigliaRaffaëlle CohenIl cast di Beauty and the BeastAngelo Di Figlia

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Buon sanguenon menteBuon sanguenon mente

foto | BRINKHOFF/MÖGENBURG

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di Franco Travaglio

Le Bal des Vampires, Parigi - Teatro Mogador

Grande successo anche nella capitale francesceper i vampiri di Roman Polanski

Un’enorme dentiera da carnevalecampeggia sulla facciata del Mogador,sede parigina di Stage Entertainment:è il logo sanguinolento de Le Bal desVampires, il grande musical (siamo piùabituati a conoscerlo col titolo tede-sco Tanz Der Vampire), visto da più di7 milioni di spettatori in tutto ilmondo, debuttato a Vienna 18 anni fae tratto dalla parodia cinematograficaPer favore non mordermi sul collo.Fautore del successo cinematogra-fico e teatrale un grande maestro,Roman Polanski, che ha portato lasatira dei vampiri anche nella ville lu-mière. E sorprendentemente le dolcisonorità del francese si sposanomolto meglio alle musiche di JimSteinman di quelle più aggressivedel tedesco. Ecco allora Le Bal DesVampires, l’ultimo blockbuster diStage Francia, dopo La Bella e la Be-stia, e in attesa di Cats previsto per laprossima stagione. Vampiri quindi, ma non quelli agghiac-cianti di Dracula, e nemmeno quellipatinati e adolescenziali di Twilight,no, questi vampiri sono parzialmenteballerini (nonostante il titolo qui ladanza è alquanto al margine), assairockettari, e deliziosamente comici.La colonna sonora è un ibrido traballad roboanti, scioglilingua da revue,grandi hit stranamente pre-esistenti

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(dall’intenso Total Eclipse of the Heartai meno noti titoli di Meat Loaf, giàEddie nel Rocky Horror film), sonoritàhiddish e rock epico. A confezionareil tutto la vena gotica del rocker JimSteinman, già mentore dello stessoLoaf nonché (co)autore del WhistleDown The Wind lloywebberiano, coa-diuvato per il libretto e le lirichedall’esperto Michael Kunze (Elisa-beth, Mozart, Rebecca).La storia è quella del film: Alfred, gio-vane assistente del vampirologoAbronsius, segue il professore in unvillaggio sui Carpazi, si mette sulletracce del vampiro Von Krolock,trova l’amore in Sarah, l’affascinantefiglia di un locandiere, e tenta di sal-varla dalle grinfie del succhiasangue

del quale subisce il fascino magneticoe peccaminoso. Il tutto tra insegui-menti nelle cripte, un sontuoso ca-stello che sembra uscito da un videoclip metal, balletti all’aglio, vampiri sa-dici e invadenti, vasche da bagno con-tese e un intero camposantosemovibile che si anima di mille de-funti dai denti aguzzi pronti a cele-brare l’insaziabile appetito di sanguee vita. Il libretto mescola con sa-piente mestiere il registro grottescocon quello ironico, la risata e l’emo-zione, il coup de theatre con la su-spence, e l’allestimento non dàtregua allo spettatore nella bulimia diluci, cambi scena, costumi strepitosidi Sue Blane, storica costumista diRocky Horror (Picture) Show, sontuose

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orchestrazioni rigorosamente dal vivo.Nel cast c’è una ‘vecchia’ conoscenzadel musical italiano, Daniele CartaMantiglia, già giovanissimo Romeoper Cocciante, e poi nel cast di PeterPan, davvero convincente nei pannidell’eroe imbranato Alfred, mentreRafaëlle Cohen (già vista nel mede-simo teatro in Sister Act) è la splen-dida Sarah, dalla vocalità cristallina euna sensualità naif ‘suo malgrado’perfetta per il ruolo, che rende an-cora più sorprendente la sua meta-morfosi da bellezza angelica a maturadonna-vampira. Stéphane Métro(voce francese del Fantasma del-l’Opera al cinema) è un Krolockistrionico, carismatico, che mette lasua potente vocalità al servizio di unpersonaggio mai così inquietante. Danotare anche i perfetti tempi comicidell’Abronsius di David Alexis, deli-

zioso nel suo solipsismo scientifico,ma tutti i protagonisti sarebbero dacitare per la naturalezza e la profes-sionalità con cui ricreano un mondoin cui sarebbe facile scadere nellamacchietta. Abilissimo nell’orche-strare l’insieme con grande senso delritmo teatrale, Polanski trova il ter-reno fertile per rinverdire la causticasatira dei vampiri già al centro delquarto lungometraggio della sua car-riera (che aveva anche interpretatoaccanto alla compianta moglie SharonTate), accompagnando lo spettatorein un viaggio pieno di sensazione edeffetti, in cui non mancano rifles-sione, potenza narrativa e teatro diottima fattura, che si può nutrireanche del sangue finto, del gran gui-gnol vampiresco e del gioco scenicopiù collaudato, se è nelle mani sapientidi professionisti di questo calibro.

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Daniele CartaMantiglia

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di Franco Travaglio

Dopo Daniela Pobega nel Re Leonespagnolo, e Gian Marco Schiaretti nelTarzan tedesco un altro performeritaliano porta all’estero la bandieradel musical tricolore, a testimonianzadella grande qualità che caratterizza inostri performer. Daniele Carta Man-tiglia protagonista del Bal des Vampiresa Parigi: un altro sogno che diventarealtà grazie al colosso dell’intratte-nimento Stage Entertainment. Incon-triamo Daniele nel lussuoso foyer delTeatro Mogador.

Raccontaci dell’avventura che ti ha por-tato a essere qui a Parigi, protagonistadi questo kolossal.È partito tutto dalla chiamata di unacollega, Loredana Fadda, “Ho letto suun sito francese delle audizioni per unnuovo musical della Stage, lo conosci?” Il titolo però in francese non mi di-ceva nulla, solo dopo ho realizzatoche l’avevo visto pochissimi mesiprima a Berlino e me ne ero comple-tamente innamorato: dovevo assolu-tamente farlo. Ho mandato tutto ilmateriale, dopo di che sono venuto aParigi 4 volte, la prima solo per uncolloquio riguardante la pronuncia,infatti la prima fase è stata dedicata averificare se era possibile lavorare sulmio francese, mentre nelle altre duemi sono esibito di fronte al team

Le Bal des Vampires, Parigi - Teatro Mogador

Un italiano alla corte di Roman PolanskiIl giovane Daniele Carta Mantiglia si racconta

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creativo cantando il mio solo, ilduetto, la coreografia. Superate tuttequeste scremature è arrivata l’ulti-missima prova alla presenza di Polan-ski stesso, e ho avuto il ruolo.

Ma tu lo parlavi già il francese? Sì, l’avevo studicchiato un po’ allemedie con la mia insegnante, e me loricordavo. La cosa mi ha aiutato anon essere totalmente spaesato: sa-pevo parlicchiare, lo capivo, non erauna lingua totalmente nuova per me.Certo, dopo ho dovuto fare uno stu-dio enorme con una professoressa didizione con cui lavoravo quasi tutti igiorni sulla pronuncia e la dizione pertogliere un po’ di accento italiano erendere tutto più comprensibile.

Che tipo di musical è Le Bal des Vampires?È uno spettacolo che si distaccamolto dal classico musical a cuisiamo abituati, come la rivista o loshow Disney. Roman Polanski haportato nel mondo del musical la suaesperienza cinematografica, e molticolleghi della prosa hanno notato chemantiene una grande dimensione re-citativa, che è un grande compli-mento perché vuol dire chetraspaiono bene le relazioni dei per-sonaggi. C’è un vero gioco teatrale inscena: nonostante il rock, la maesto-sità di scenografie e costumi, man-tiene una grande leggerezza. Ci sonomolti doppi sensi, c’è tutta l’ironia giàpresente nel film che satireggiava suivampiri, moda che oggi è tornata conoperazioni cool e glamour alla Twilight.Per questo motivo è uno spettacoloanche molto attuale perché mette

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alla berlina il vampirismo e in gene-rale la cultura gotica.

Nella colonna sonora il rocker Jim Stein-man riesce a creare costruzioni dram-maturgico-musicali mai scontate: neibrani non c’è mai la stuttura pop ripeti-tiva strofa-ritornello, c’è sempre un movi-mento imprevedibile, evolve sempre inun tema melodico più intenso. Qual è ilsuo segreto secondo te?Jim Steinman non scrive abitual-mente per il musical, non nasce comecompositore di musical, probabil-mente è proprio questo il suo puntodi forza. Anche in ambito pop hasempre scritto (per cantanti comeMeat Loaf e Bonnie Tyler ndr.) can-zoni molto complesse, molto lunghee mai banali che sorprendono conti-nuamente nonostante ci sia sempre ilritornello che ti rimane in mente. Èdifficile capire quale sia il suo segreto,perché analizzando le partiture nonsi trova la chiave stilistica esplicita chesi riscontra in molti dei suoi colleghi.

Raccontaci la tua esperienza con unmostro sacro come Roman Polanski.Ero molto spaventato, per tuttal’operazione in generale, ma quandoè entrato in sala il primo giorno, glisono bastati due secondi, un sorrisoe una battuta per mettere tutti aproprio agio. Il timore reverenzialenei suoi confronti è sparito e cisiamo trovati a lavorare con un com-pagno, un amico. Nei miei confronti èstato come un padre, mi ha accompa-gnato per mano in un’esperienza cheper me era completamente nuova, ed

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è stato un grande onore, una grandis-sima lusinga sapere che una personacome lui si mettesse a mia disposi-zione, senza farmelo pesare, per per-mettermi di dare il meglio. Per il resto è stato un mese e mezzodi lezione di recitazione e di messa inscena: vedere lui lavorare sulla regiami è servito come attore, perché miha fatto notare tante piccole coseche mi sono poi trovato a interioriz-zare e a restituire quasi inconsape-volmente in scena, ma anche dalpunto di vista registico. Ora sonomolto giovane, e non penso ci sipossa improvvisare registi senza unalunga esperienza, ma è una cosa chemi ha sempre affascinato e il suoesempio mi ha insegnato la cura ma-

niacale per i particolari. Anche sesiamo a teatro non ha mai badatoalle distanze e ha curato i dettaglicome se lo spettatore si trovasse a10 cm, come se ci fosse la cinepresa.Ogni costume, scena, elemento di at-trezzeria doveva essere perfetto;ogni gesto, ogni posizione calibraticon precisione certosina, per ren-dere lo spettacolo stimolante dall’ini-zio alla fine, in modo che non ci sianulla di scontato, di ripetitivo, di la-sciato al caso. Dopo questo tipo dilavoro sei sicuro che quella scena riu-scirai a farla perfettamente, che tu siain perfetta salute o con 40 di febbreo che tu ti sia fatto male, perché haitutti gli strumenti e le indicazioni cheti servono.

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Qual è il momento che preferisci dellospettacolo e quello più difficile?La scena più difficile è quella iniziale:sono in una tormenta di neve, nonc’è assolutamente nulla sul palco conme, a parte il pupazzo del professorecongelato. Ci sono solo quattro note,quindi è un opening in punta deipiedi, ma ci deve essere nello stessotempo molta energia per aprire lospettacolo, cosa difficile visto chenemmeno vedo il pubblico, perchérecito dietro un tulle, come un murotra me e la platea. Mi mette sempremolta agitazione e mi stanco tantis-simo. Il momento più divertente invece ènel secondo atto: dopo la mia can-zone solista, c’è la scena spassosis-sima nella cripta in cui io e ilprofessore cerchiamo i vampiri: orache abbiamo chiari tutti i passaggitecnici ci divertiamo veramentemolto.

Alfred è un personaggio molto difficileperché è continuamente sospeso tra co-micità e serietà, passione e goffaggine,quindi basta il minimo errore per rovi-nare lo spettacolo, perché è il primopersonaggio in cui lo spettatore si im-medesima. Come hai raggiunto questoequilibrio? Polanski ci ha chiesto da subito diguardare il film, non tanto per emu-larlo ma per capire l’essenza dei per-sonaggi, e c’è da dire che nellaversione cinematografica lui interpre-tava il mio ruolo. Pur essendo perso-

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naggi molto caratterizzati non sem-brano mai finti o caricaturali, non miha mai dato l’indicazione di ‘fare’ l’im-branato o l’innamorato, mi ha detto:“mettiti nei panni di un ragazzino unpo’ naif che si trova a dover faretutto ciò che avrebbe mai voluto”. Lealtre sfaccettature del personaggiomi arrivano dagli impulsi che ricevodagli altri personaggi: col professoresono tremendamente maldestro, conSarah alla goffaggine aggiungo la pas-sione dell’innamoramento, e coi vam-piri esce tutto il terrore che miparalizza. Da tutti questi elementi e rapportiho maturato l’equilibrio in Alfred econ gli altri personaggi: è arrivato unpo’ da sé, un po’ grazie alla direzionedi Polanski, un po’ grazie al lavoroche faccio sera dopo sera. Infatti ognireplica è diversa serve a far sì chenon subentri l’automatismo, che èsempre un rischio per gli spettacolireplicati a lungo e uccide l’arte. Io punto sempre a evitare la ‘rappre-sentazione’ e a puntare sulla ‘presen-tazione’, come se fosse sempre laprima volta. Ogni replica mi chiedo se potevo re-citare in un determinato modo, met-tere determinate sfumature, e ognitanto provo delle cose diverse, sefunzionano le tengo. Ovviamentesono tutti cambiamenti in linea conquello che si è costruito col regista,ma cerco di inserire qualche ele-mento nuovo, vivo, che renda semprelo spettacolo unico.

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Le mille e una vitadi Rafaëlle Cohen

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di Franco Travaglio

Rafaëlle Cohen è giovanissima, ma dalcurriculum diresti che ha già vissutomolte vite. Incontrandola per stradapotrebbe sembrare semplicementeuna modella, però sa ballare, cantaree recitare ad alti livelli. È un animaleda palcoscenico, però scrive, com-pone e crea sceneggiature. Ha all’at-tivo più di dieci spettacoli teatrali ealtrettanti film tra medio e lungome-traggi, corti, video clip e spot pubbli-citari. Diresti che appartiene solo almondo dello spettacolo, ma ha duelauree in Ingegneria e Architetturatra Parigi e il Politecnico di Milano, èesperta di disegno grafico e fotogra-fia, e parla ben sette lingue, tra cui unitaliano impeccabile, con cui ci haparlato del suo ultimo successo.

Cosa ci racconti di questo show?Le Bal des Vampires è uno spettacolodavvero divertente: un musical moltocomico, con una travolgente parti-tura rock, ed è anche stupendo dalpunto di vista visivo e scenografico.Cantiamo dall’inizio alla fine, e gli ar-tisti sono uno più bravo dell’altro. Iostessa ogni sera mi diverto da morireguardando i colleghi, si ride molto. La regia di Roman Polanski è ungrande valore aggiunto: si tratta di unallestimento studiato e pensato neiminimi dettagli, nonostante sia un ko-

Le Bal des Vampires, Parigi - Teatro Mogador

Ingegnere, architetto, organizzatrice di eventi, performer:scopriamo chi è davvero la giovane interprete di Sarah

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lossal di proporzioni inedite: non cisono spettacoli di questo livello inEuropa attualmente, a parte alcuneeccezioni, tra cui le produzioni delCirque du Soleil. C’è uno sforzo im-mane a livello di scene, luci, suono.Pensa che abbiamo fatto quasi tresettimane solo di prove tecniche. Inuna parola, è una meraviglia!

Che tipo di lavoro avete affrontato conRoman Polanski, e com’è stato umana-mente approcciarsi con un personaggiocosì famoso?All’inizio ero un po’ intimorita, mapian piano ho iniziato a capire cheRoman è innanzitutto una personasquisita. È un vero professionista eparla solo di lavoro, però sa anche

essere molto divertente: cerca sem-pre di far ridere le persone che glistanno intorno. All’inizio non riuscivoa credere che avrei lavorato con lui:fino al primo giorno di prove, in cuiabbiamo letto con lui il copione, eroconvinta che sarebbe venuto due otre volte, e che avremmo provato so-prattutto con i suoi assistenti. Inveceè stato qui quasi tutti i giorni dell’al-lestimento. Ogni volta che apriva bocca io avevobrividi in tutto il corpo, perché di-ceva cose talmente giuste, belle e in-teressanti da emozionarmi nelprofondo. Inoltre nonostante i suoi82 anni si muove con incredibile agi-lità: è dappertutto, corre, salta, uma-namente è veramente fantastico.

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Raccontaci dei provini e della tua reazionequando hai saputo che eri stata scelta.Dopo 5 lunghi turni di audizioni daottobre 2013 a febbraio 2014, in cuisono rimasta sempre molto serena,abbiamo fatto l’ultima prova sulpalco, con le luci, alla presenza di Po-lanski e di altre 20 persone. Da 100eravamo rimaste in 5, ma strana-mente quando ho saputo che erostato scelta, ho accolto la notizia concalma e serenità, l’ho vissuta comeuna grande vittoria però non cono-scevo ancora lo spettacolo (nonl’avevo visto a teatro e il film l’hovisto solo successivamente), quindinon sapendo bene a cosa andavo in-contro non ho avuto una reazioneparticolarmente eclatante.

Qual è il tuo rapporto con l’Italia: tu haistudiato al Politecnico di Milano e parlil’italiano molto bene, lavoreresti in musi-cal di produzione italiana?È vero, io ho studiato ingegneria e ar-chitettura in Italia, e intanto per man-tenermi in allenamento hocontinuato a esercitarmi anche nelladanza e nel canto. La mia esperienzaal Politecnico è stata molto interes-sante: ho imparato una nuova linguaed ho scoperto il mondo dell’archi-tettura, che era nuovo per me, èstato un periodo molto stimolantedella mia vita. Però all’inizio ero aLecco, che è un piccolo centro in cuinon c’è una grande vivacità culturale,e non ero felicissima... Gli unici eventiartistici li organizzavo io.

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Invece quando sono arrivata a Milanoè stato molto più interessante: hoconosciuto un sacco di gente e sonovenuta a contatto con molte realtàartistiche nuove.Nonostante questo però non so semi piacerebbe lavorare in Italia.Anche se sono innamorata di questoPaese e mi appassiona la sua bellezza,l’esperienza di quegli anni mi ha fattopercepire una mentalità troppochiusa: qualsiasi progetto proponessi,le porte mi si chiudevano sempre, setentavo di migliorare qualcosa o lan-ciare un’iniziativa mi sentivo sempredire: “non è possibile, si fa così e basta”.Questo atteggiamento non mi piace,quindi non vorrei lavorare a questecondizioni. Però se ci fosse il tour di

uno spettacolo francese o inglesecon una tappa in Italia, verrei conmolto piacere.

Molti artisti, soprattutto in Italia, fannofatica a ottenere una formazione cheunisca le tre arti del teatro musicale:canto, danza e recitazione. Come haifatto tu ad aggiungerci ingegneria e ar-chitettura? Che consigli daresti a unaspirante performer?Una persona che vuole studiare letre discipline deve aver presente chel’elemento che le unisce è il teatro.Ballare o cantare senza sentire cosastai dicendo o facendo col tuocorpo, senza interpretare, non hasenso. Ballare per ballare, o cantaresolo per la bellezza della voce, è una

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cosa inutile, quindi ricordate sempreche il teatro è la cosa più impor-tante. La danza e il canto invece sonocose discipline talmente tecniche chesi devono iniziare a padroneggiare dapiccoli, diversamente bisogna insi-stere all’infinito finché non le haidentro di te. Io ho le ho imparate inaggiunta ai miei studi di ingegneriaperché non potevo vivere o respiraresenza, era un’esigenza, non potevofarne a meno.

Io e te abbiamo fatto entrambi unospettacolo a cui siamo molto legati, Si-ster Act, come lo ricordi? Qualcosa deltuo lavoro in Sister ti è servito in Le BalDes Vampires?Certo, Sister Act mi è servito moltis-

simo! Oltre ad essere stata una bel-lissima esperienza, ha rappresentatola mia prima grossa produzione a Pa-rigi, una grande famiglia che non di-menticherò mai. Io poi ero swing[l’artista che non fa parte del primocast di uno show ma è pronto a so-stituire un gran numero di ruoli ndr.]e cover [il sostituto di un ruolo chesubentra quando il primo cast non èin scena] quindi non ero sul palcotutte le sere, però rimpiazzavo trediciruoli diversi, quindi dovevo esseresempre pronta. Conoscere così tantiruoli è stata una formazione accele-rata: io ho fatto ingegneria e architet-tura per molti anni, non ho potutoaffrontare una scuola specifica, quindinon avevo un diploma in musical,

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Sister Act è stato il mio diploma sulcampo, una palestra incredibile! Daallora sono pronta ad affrontaretante cose di cui prima non avevogrande dimestichezza: fare le audi-zioni è più facile, sono più a mio agiosul palco e posso anche fare cambia-menti all’ultimo minuto. Qualchegiorno fa il direttore ed io non cisiamo trovati: lui è partito prima dime ed ho dovuto tagliare un po’ ditesto, decidendo in due secondi.Questo non l’avrei potuto fare senzala mia esperienza da swing!

Ho notato che rispetto alle altre produ-zioni qui a Parigi si vede di più la matu-razione del tuo personaggio dallaragazza solare dell’inizio alla donna-

vampira maliziosa e matura del finale.Polanski ha trovato in te l’interprete giu-sta per questa evoluzione, o è unaspetto sottolineato in modo particolarenell’edizione parigina? Io non ho visto le altre versioni, maad esempio nel film il personaggio ineffetti non evolve. Secondo me è unelemento voluto dall’adattatore Mi-chael Kunze. Me l’ha spiegato luistesso quando è venuto alle prove: lospettacolo parla della trasformazionedi Sarah da ragazza a donna, o dapura a vampira. Sono sicura che l’ab-bia sempre voluto, quindi se tu nonl’hai visto negli altri spettacoli vuoldire che qui è riuscito meglio, forseperché dentro di me ho entrambi gliaspetti. La gente mi dice spesso che

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esprimo pu-rezza, ma nello stesso

tempo nascondo la vogliadi ammazzare tanta gente,

quindi mi sento molto vam-pira!!!...

Quali sono il momento più divertente equello più difficile dello spettacolo?Tutti i momenti col professore, che èun interprete molto comico, sono di-vertentissimi, ma la mia scena in cuila gente ride di più è quando sto fa-cendo il bagno nel castello e tirofuori un’enorme spugna: in una scenasimile nel primo atto spiego la miapassione per il bagno in vasca, e nelsecondo è come se avessi trovato ilmio paradiso in una enorma vasca dabagno e una spugna spropositata,quindi il pubblico muore dalle risate!Le scene più difficili sono entrambele mie canzoni: prima di cantare “Glistivali rossi” sono di fretta, devo cam-biarmi gli stivali e poi correre, reci-tare, e poi cantare delle cosedifficilissime, e trovare il fiato giustoper farlo è sempre una grande sfida.Anche i duetti con Krolock sonomolto complessi da eseguire, tutto lospettacolo è una sfida continua!

Qual è attualmente il tuo sogno piùgrande? Fare l’architetta, la scenografa,o hai dei ruoli in particolare che vorrestiinterpretare, o magari fare tutt’altro, einaugurare l’ennesima vita di Raffaelle?Sogni ne ho tanti, quello più grandesarebbe fare un musical al cinema. Ilcinema è l’arte che preferisco in as-soluto, quindi oggi è il mio obiettivoprincipale. Mi piacerebbe anche can-tare per una principessa Disney, o es-sere Maria in West Side Story, VelmaKelly in Chicago, Lucy in Jekyll&Hyde.Ci sono tanti ruoli che mi piacciono,però il mio più grande sogno rimaneil cinema!

E chissà che Roman Polanski non ti vo-glia per un suo prossimo film.. Beh perché no? Vediamo... Non poniamo limiti ai sogni!

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Una famigliaquasi normale

foto | Gaetano Cessati

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di Roberto Mazzone

Attesissima da mesi, ha debuttato inanteprima nazionale sabato 7 marzoal Teatro Coccia di Novara la ver-sione italiana di Next to Normal, musi-cal del 2008, con libretto e liriche diBrian Jorkey e musica di Tom Kitt.Il musical debutta a Broadway il 15aprile 2009 dopo venti anteprime erimane in scena al Booth Theatre finoal 16 gennaio 2011, per un totale di734 repliche.La versione italiana è prodotta daAndrea Manara e Davide Iencoper STM – Scuola del Teatro Musicaledi Novara, in collaborazione conCompagnia della Rancia, con la super-visione artistica di Saverio Marconi.Diana Goodman (una intensa e stu-pefacente Francesca Taverni) è inapparenza una normale casalinga chevive nella periferia americana, cosìcome del tutto normale sembra lasua bella famiglia. In realtà Diana sof-fre di disturbo bipolare accompa-gnato da allucinazioni, derivanti da untrauma da lei vissuto anni prima. Suomarito Dan (Antonello Angiolillo),si impegna per mantenere stabile lafamiglia, ma le cose si complicanoquando Diana decide di smettere diprendere le pillole prescritte dal suopsichiatra, fino ad arrivare a un tenta-tivo di suicidio. Su suggerimento diun nuovo medico curante, il dottor

Next to Normal, Novara - Teatro Coccia

Suicidio, depressione, tossicodipendenza, elettroshock:la ricetta per un musical di successo

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Madden (Brian Boccuni), Dianaviene convinta dal marito a sotto-porsi a terapia elettroconvulsiva(elettroshock) che le provoca peròamnesie. Insieme alla figlia adole-scente Natalie (Laura Adriani), laquale si sente invisibile agli occhidella madre e comincia a sua volta adassumere farmaci in modo incontrol-lato, Dan cercherà di ricostruire lavita di Diana come se Gabe - il pic-colo mancato anni prima a soli ottomesi di vita, in seguito a un blocco in-testinale - non fosse mai esistito. Luca Giacomelli Ferrarini è unGabe - immaginato diciottenne dasua madre - molto “rock”, e sempreconvincente, che nelle intenzioni in-carna i desideri e le paure più recon-

dite di ogni essere umano, una sortadi It; si fa notare anche questa volta ilgiovane e brillante Renato Crudo,nel ruolo di Adam, fidanzato di Nata-lie, già apprezzato in Ragtime, andatoin scena la scorsa estate al TeatroComunale di Bologna. Lo spettacolo affronta temi che nonci si aspetterebbe di trovare in unmusical “tradizionale”: disturbo bipo-lare, allucinazioni, elettroshock, ela-borazione del lutto, il suicidio, latossicodipendenza.Suggestivo il disegno luci di ValerioTiberi, le cui scelte cromatiche do-minanti (blu-giallo-verde), sembranodavvero rispecchiare gli stati d’animodei protagonisti.Lo spettacolo non è tratto da alcun

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nista del film Qualcuno volò sul nidodel cuculo e la pièce teatrale Chi hapaura di Virginia Woolf?Pubblico delle grandi occasioni estampa presente al Teatro Cocciasono concordi nel tributare a questa

libro o film di successo, è totalmenteoriginale, ma molti sono i riferimentiad altri musical o a personaggi lette-rari. Le più evidenti riguardano il mu-sical Tutti insieme appassionatamente, ilromanzo Il giovane Holden, la protago-

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operazione il successo che merita esi può già affermare che il registaMarco Iacomelli stia portando acasa la sfida di aver descritto, nel suoadattamento, una infinita gamma disfumature emotive, grazie ad inter-

preti di talento, che hanno fatto vi-brare sul palcoscenico una partituramusicale di stampo rock eseguita damusicisti dal vivo, sotto la direzionemusicale di Riccardo Di Paola, conla supervisione di Simone Manfredini.

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Più Mamma Mariache Mamma Mia!

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di Roberto Mazzone

L’impressione aleggiava già durante ilworkshop messo in scena il giugnoscorso. E ieri sera, purtroppo, ha tro-vato conferma.Sarà perché ti amo, il progetto firmatoe diretto da Alfonso Lambo, checontiene le più belle canzoni dei Ric-chi e Poveri, ha debuttato nella suaforma “compiuta” al Barclays TeatroNazionale il 6 marzo scorso.Accanto al titolo si legge “Una can-zone e molto più” ed è un peccatoconstatare che tutta l’operazione po-teva in effetti essere “molto più”.Come durante il workshop di presen-tazione, permangono evidenti difettia livello audio (per gran parte dellospettacolo la voce degli attori sulpalco sembra sdoppiarsi tra timbronaturale e amplificazione, n.dr.); eanche l’illuminazione della scena la-scia un po’ a desiderare, nonostanteil disegno luci sia affidato all’espe-rienza di Valerio Tiberi. È soprattutto sul piano drammatur-gico, però, che lo show presenta no-tevoli lacune. Il claim “Lasciateviinnamorare” appare pretestuoso: lospettacolo parla d’amore, ma l’uni-versalità del concetto non è suffi-ciente (e soprattutto non andrebbesfruttata) nell’intento di creare il suc-cesso di un prodotto. Essendo unprogetto tutto italiano, sembra quasi

Sarà perché ti amo, Milano - Barclays Teatro Nazionale

Le canzoni dei Ricchi e Poveri non bastanoper convincere del tutto

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che il messaggio che voglia passaresia che i musical realizzati in Italianon affrontino il tema dell’amorenelle sue varie sfaccettature… Anche l’ambientazione presenta qual-che elemento di scarsa coerenza: lospettacolo vorrebbe rappresentare“la vecchia Milano delle case di rin-ghiera”, e invece – a esclusione delcaseggiato dove vivono i tre protago-nisti appunto – le scene di città sonoun susseguirsi di moda, iPhone, VanityFair, e prenotazioni on line. Lo spettacolo ha avuto una gesta-zione lunga e travagliata. Una rifles-sione risulta immediata: ci saràdunque un motivo se questo spetta-colo ha impiegato sette anni per arri-vare al punto in cui si trova ora? Epurtroppo non sembra essere an-cora un traguardo.

Nonostante le evidenti perplessitàsuscitate a livello drammaturgico, laregia di Alfonso Lambo si dimostrafresca e piuttosto dinamica, suppor-tata dal talento di TUTTI i performerin scena, che hanno saputo costruireal meglio i propri personaggi.I protagonisti Giada D’Auria,Bruno De Bortoli e Andrea Ver-zicco (che cura anche le simpatichecoreografie) sono un terzetto collau-dato. Paola Ciccarelli e AlteaRusso (quest’ultima interpreta anchela leggendaria Mamma Maria), nelruolo di due vicine impiccione, sonoun’esplosione di italianità. Tanti ap-plausi anche per l’effervescenteLucia Blanco negli eccentrici pannidi Susy; e poi Fabrizio Corucci nelruolo di papà Ernesto, TizianaLambo, Giorgio Camandona,

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Marta Belloni e Andrea Rossi.Le carte vincenti di questo spetta-colo risultano dunque i personaggi e– ovviamente – le canzoni dei Ricchie Poveri, negli entusiasmanti e ineditiarrangiamenti di Davide Marchi ePaola Bertassi.

Siamo ancora lontani però dal po-terlo considerare la risposta italianaa Mamma Mia!... o almeno non si puòdire che lo sia, solo perché un’eccel-lenza italiana come i Ricchi e Poveriviene di sicuro apprezzata all’esteropiù di quanto non accada in Italia.

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La Roma da sognare dei Trasteverini

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di Franco Travaglio

Dalle penne di Andrea Perrozzi eGianfranco Vergoni, e dalla mentedi Veruska Armonioso nasce Tra-steverini, un piccolo gioiello di teatromusicale che nelle sapienti mani diFabrizio Angelini prende corpo inuno spettacolo di rara poesia e diver-timento. Deliziosamente sospeso traGarinei e Giovannini, off-Broadway euno Scugnizzi alla romana, tra risate(tante, intelligenti e di cuore) edemozioni, racconta di un gruppo diragazzi del pittoresco quartiere capi-tolino di Trastevere alle prese coisoldi che mancano, il lavoro che nonsi trova o non si vuole trovare, tenta-zioni di fare la ‘svolta’ tramite la clas-sica scorciatoia che si rivela unatrappola verso l’inferno, problemi dicoppia, amicizia e canzoni. Dario (lo stesso Perrozzi, anchecompositore delle musiche, impunitodalla simpatia contagiosa) è un mo-derno Rugantino col sogno di diven-tare cantante ma col vizio di nonprendere mai nulla sul serio (“tumanco da morto starai serio cinque mi-nuti”), ed è fidanzato con Adriana (labravissima Elisabetta Tulli), che hapiedi per terra per entrambi. Ne na-scono battibecchi e duetti (“Me pos-sino cecà”) all’insegna de “l’amore nonè bello se non è litigarello”. Il suoamico inseparabile Enrico (Enrico

I trasteverini, Roma - Teatro Sette

Poesia, emozioni e tante risate con la commedia musicale Romana de Roma

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D’Amore, in una delle sue prove piùconvincenti) si innamora di Gabriella– Irene Cedroni, un’altra perfor-mer completa, come tutto il restodel cast, tra cui ricordiamo il multi-forme Alessandro Salvatori, leamiche schiave dei social FrancescaCinanni, Roberta Marini e Valen-tina Naselli, e il ‘cattivo’ TizianoCaputo – assistente di un losco im-presario che promette un lancio nelmondo dello spettacolo che si rive-lerà una truffa. Enrico sarà costrettoa tradire l’amico, che si troverà inprigione al posto suo, e il dramma ir-romperà nella commedia, spiazzandoil pubblico e lo stesso ritmo regi-stico. Essenziale e lineare l’allesti-mento: otto sedie, qualche tavolo e

poco più, con momenti geniali comeil prologo in cui una sorta di staffettadi monologhi assolve brillantementealla funzione di presentare tutti i per-sonaggi in un’unica scena, e il finaleprimo atto, “Credice”, in cui tutti ipersonaggi e i loro motivi conduttoridialogano in un crescendo di emo-zioni. Ma tutte le canzoni hanno un perché,ci sono belle arie, inni da cantare a

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squarciagola (“I Trasteverini”, ad esem-pio, è una efficace autopresentazione“semo i romani de ‘na vorta quelli che ale donne j’aprono la porta pe’ pagà nunfanno alla romana e tutte ‘e sere sottocasa ‘e vanno a pià. Noi semo i trasteve-rini quelli che nun c’hanno ‘n euro né iquattrini ma lealtà e pe’ sognà je bastade cantà”), numeri comici e dramma-tici, tutti ben inseriti nel contestodrammaturgico e nella trama e im-

mersi in una romanità folk alla Trova-joli incrociata con l’opera pop e ilmusical da camera. Ed è un bene che ci sia il cd in ven-dita perché sono brani da ascoltare eriascoltare, per portarsi a casa un ri-cordo di questo spettacolo e pensarecon nostagia alla città eterna. Quellacittà che forse non c’è più, o forsenon c’è mai stata, forse un po’ da car-tolina ma tutta da sognare, dipintacon efficacia in “La mia città”: “Tra vi-coli e balere, commari, vecchie e sore, lecarrozzelle e i fiori de lillà... Le gratta-checche e i colli, le chiese, i sanpietrini el’anima, la mia città...”. Dopo questospettacolo, è anche un po’ nostra,anche se siamo nati a chilometri didistanza. Credice.

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Tale as oldas time

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di Enrico Comar

Il segreto del perfetto spettacolopre-natalizio? Divertimento, tantamusica, un tocco di magia e i “soliti”ma sempreverdi buoni sentimenti amarchio Disney in una confezione al-tamente spettacolare!Questa, sostanzialmente, la ricettavincente di questo Disney’s Beautyand the Beast, tour internazionale inoccasione del ventesimo anniversariodello spettacolo (che, ricordiamo, de-buttò a Broadway nel 1994, restandoin scena per 13 anni), che vede riu-nito gran parte del team creativo ori-ginale di Broadway (regia di RobRoth e coreografie di Matt West,costumi premiati con il Tony Awarddi Ann Hould, luci di NatashaKatz, scenografie di Stanley A.Meyer) sotto la diretta supervisionedella Disney, per proporre uno showche supera ampliamente, per spetta-colarità e cura dell’allestimento, la“concorrente” produzione austro-ungherese attualmente in tourneéeuropea. Uno spettacolo di puro intratteni-mento, nel senso migliore del ter-mine. Forse niente di geniale o diepocale (Roth non è Julie Taymor, néambisce ad esserlo) ma spettacolaritàe divertimento puri e ai massimi livelli. Allestimento ricco, colorato, sfarzo-sissimo e naif (stilisticamente poi in

Disney’s Beauty and the Beast, Trieste - Teatro Rossetti

A vent’anni dal debutto a Broadway, un nuovo tourmondiale fa rivivere il sogno della Bella e la Bestia

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perfetto pendant con il Rossetti, conquelle scenografie liberty tutte gio-cate sui toni blu e dorati!), di grandeimpatto e molto coinvolgente, perquanto a tratti un po’ troppo circensee zuccheroso (laddove la tramaavrebbe richiesto qualche atmosferapiù gotica), con uno stile un po’sopra le righe che a volte non coin-volge fino in fondo (la trasformazionefinale sin troppo spettacolare, che ba-nalizza, anziché esaltare, la magia delmomento) ma che indubbiamente sadestare meraviglia e divertimento.Testo semplice ed efficace (di LindaWoolverton), volutamente schema-tico (con i personaggi caricatural-mente stereotipati ma proprio perquesto spesso irresistibili), che riescetuttavia ad approfondire in modo in-teressante alcuni aspetti che nellaversione cinematografica da cui ètratto restavano solo sfiorati, alter-nando massicce dosi di umorismo“basso” ma efficace e alcuni momentidavvero toccanti. Musicalmente orecchiabile e friz-zante, nel tipico stile di Alan Men-ken (su solidi testi di HowardAshman e Tim Rice) con almenoun paio di numeri memorabili. Al-terna sonorità vagamente “offenba-chiane” a rimandi al musical deglianni ‘40 e al vaudeville, che perdonoperò molto della loro efficacia affi-date ad un orchestra risicata (direttada Michael Borth) con ampio usodi sintetizzatori (comunque un passoavanti rispetto agli standard italiani).Cast eccellente e notevolmente affia-

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tato a partire dai comprimari, che di-ventano spesso i veri perni dellospettacolo.Teatralmente perfetto, adesempio, l’equilibrio tra la compli-cità/rivalità raffinata e aristocraticatra Lumiere (Hassan Nazari-Ro-bati) e Cogsworth (James May) equella clownesca e piacevolmentedozzinale tra Gaston (Adam Dier-tlein, meraviglioso!) e Lefou (JordanAragon), ma eccellenti anche la sexyBabette di Andrea Leach o lo stra-lunato Maurice di Paul Crane, men-tre decisamente poco convincente(non tanto per mancanza di talento,ma per discutibili scelte interpreta-tive, oltre che registiche) è la Bestiadi Darick Pead, fortemente sbilan-ciata sul versante sdolcinato e grot-tescamente umoristico e priva dellastatura tragica richiesta al personag-gio (imperdonabile la dozzinale ese-cuzione della bellissima If I can't loveher) anche a causa di un character de-sign non troppo convincente(aspetto “orsacchiottoso” che incutetenerezza più che paura, con cornaappena visibili e lunga coda volpina,movimenti più scimmieschi che fe-rini). Decisamente più a suo agio Hi-lary Maiberger nel ruolo di Belle,in grado di rendere umanissimo esfaccettato un personaggio facile alcliché, che l’attrice riesce invece amantenere interessante e dinamicoper tutta la durata dello spettacolo.Sonoro ben bilanciato, pulitissimo econ volumi mai eccessivi ed eccel-lente, come sempre, l’organizzazionedell’evento da parte del Rossetti.

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Girare il mondodivertendosi

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di Sarah Del Sal

Americani. Partiti da un tour nel loropaese per arrivare ben oltre gli StatiUniti. Alcuni sono nel cast già da treanni e non dimostrano il benché mi-nimo sintomo di stanchezza né del-l’essere in scena con lo stesso ruoloda cosi tanto tempo, né per i lunghiviaggi.Non di certo per quanto riguarda iteenagers. Charlie Jones e Wil-liam Poon sono due macchine daguerra, sanno intrattenere chiunquecon la loquacità degli adulti e parlanocome loro. “Sono davvero fiero di lavo-rare con persone di così grande talento,credo di poter dire che questi anni nellospettacolo mi hanno dato molto e girareil mondo facendo il mio lavoro è un tra-guardo bellissimo” afferma Jones conla sicurezza di una persona che po-trebbe avere il quintuplo dei suoianni, e invece lui è ancora dell’etàgiusta per interpretare Chip; maormai lo abbiamo capito che al-l’estero il talento viene assecondatoe trasformato in una professione findall'infanzia. Quello che invece è meno scontatoè l'entusiasmo dei principals.Hilary Maiberger, Belle, è alla suaprima esperienza che però dura datre anni, senza alcun training in danzao recitazione, ma con lunghi e appro-fonditi studi di canto. “Studiavo per

Disney’s Beauty and the Beast, Trieste - Teatro Rossetti

I protagonisti del musical si raccontano: talento, fatica, palcoscenico e la sensazione di stare in una lunga vacanza

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scoprire le potenzialità della mia voce eper poi poter insegnare a cantare, e hoavuto l’opportunità di ottenere il ruoloche sognavo fin da bambina, quando hovisto lo spettacolo. Belle ha cosi tanto incomune con me che mi viene naturaleinterpretarla. Anche io leggo tanto, hosempre un libro conme, anche se spessosono dei trattati sullavoce. Dopo questaesperienza penso chevorrei continuare arecitare.” DarickPead, la Be-stia, ama par-lare d’amoree dei suoimeccanismi,indagandocome questamagia riescaa unire duepersone.“Sono stato undiscolo a scuolama amo raccon-tare storie, e finchépotrò raccontareuna storia con un

pubblico davanti io sarò felice. Questotour ci offre la possibilità di interpretaredei ruoli stupendi. Ammetto che non co-noscevo che una canzone di questospettacolo prima

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di entrarvi ed è proprio quella della Be-stia, quindi sono stato felice anche perquesta occasione, così come l’opportu-nità unica che abbiamo di girare ilmondo facendo quello che ci piace”.Hassan Nazari-Robati e James

May sono invece Lumièree Cogsworth. “È difficileper noi esibirci fuori dal-l’America perché le bat-

tute vanno riviste e la reazione del pub-blico non è mai uguale.” James Maycolleziona foto di orologi, li fotografain tutti i posti che visita. Per lui, dellaCalifornia del sud, essere da tre annistabilmente in uno show è una veranovità perchê è abituato agli allesti-menti che stanno in scena circa tresettimane lasciando poi un punto in-

terrogativo sul futuro. Questiragazzi sono partiti da unUS tour per andare intutto il mondo a raccon-tare una storia che li haappassionati tutti fin da

bambini. Chissà se que-stoshowpor-terà

loro for-tuna e ce lifarà ritrovarea Broadway,così comespesso è ac-caduto con iloro colleghi

inglesi, che inWest End

però, dopo itour, ci ritornano.

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the Rossettiexperience

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di Francesco Moretti

La prima volta fu in Cats, nel 2008.Già all’ingresso nella grande sala delteatro Rossetti, abbracciando con uncolpo d’occhio la platea e il palco, cisi rendeva conto dell’enorme valoreaggiunto dato dalla volta affrescatacon un cielo al crepuscolo, le nubi il-luminate da una calda luce gialla earancione che annuncia il tramonto.Il bello, però, veniva all’affievolirsidella luminosità in sala, quando lemille luci colorate della scenografia diCats diventavano un tutt’uno con lemigliaia di stelle che improvvisa-mente si accendevano sul cielo di-pinto: un effetto da togliere il fiatoper qualche secondo. Poi la musica, ei gatti che sbucavano ovunque, e iballi e le movenze... ma quando co-minciarono a suonare le note di Me-mory, e Grizabella cantava i suoistruggenti ricordi alla luna, ecco chela magia si ripeteva: si riaccendevanole stelle sulla volta, e tutto il teatro sifece scenografia, abbracciando palchi,gallerie, loggione e platea.È un’emozione che non so in quantiteatri al mondo si possa provare. Quial Rossetti indiscutibilmente sì. Edanche in questa stagione, quattro mu-sical e quattro momenti si sono pre-stati ancora una volta a questosuggestivo gioco tra palco e platea, inun’esperienza unica.

Trieste - Politeama Rossetti

...e tutte le volte che le stelle sulla volta del Rossetti si accendono per celebrare la magia del musical

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In Disney’s Beauty and the Beast(novembre 2014), tutte le tonalità blue oro che caratterizzano così bene ilRossetti si fondono armoniosamentecon i colori dominanti dello show.Ma le stelle della volta si sono accesedopo la dolcissima scena del ballo,quando Belle e la Bestia escono dallagrande biblioteca per andare a se-dersi nei giardini del Palazzo, in unanotte blu. Il cielo stellato del Rossettiè diventato per magia il cielo cheguardano sognanti i due protagonistidel musical Disney.

È in Gethsemane, uno dei brani più in-tensi di Jesus Christ Superstar(gennaio 2015), che la volta stellatadel Rossetti si fa un tutt’uno con lascena. Ted Neeley, illuminato da unocchio di bue, canta i suoi tormentiad una platea rapita, ma sembra dav-vero che si rivolga direttamente aDio.

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Anche ne La famiglia Addams(gennaio 2015), le stelle della voltafanno capolino per dialogare diretta-mente con la luna che ballonzola leg-gera in scena, tanto amata da zioFester - Pierpaolo Lopatriello, inuno dei momenti più suggestivi epoetici dello show.

In Aggiungi un Posto a Tavola(febbraio 2015), le stelle fanno capo-lino, discrete, durante Notte da nondormire... c’è da ripopolare la terradopo il diluvio, un tocco di romanti-cismo in più aiuta sempre!

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Si può ridere anchesotto le bombe

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di Enrico Comar

8 settembre 1943. Costretti da un at-tacco aereo a rifugiarsi nello scanti-nato del teatro di provincia in cui sistanno esibendo, gli artisti di unascalcinata compagnia itinerante gui-data dal poco affidabile impresarioCommendator Fresconi, ingannano iltempo e la tensione provando i nu-meri di un nuovo spettacolo che do-vrebbero rappresentare la settimasuccessiva in un importante teatro.Con il passare delle ore vengono agalla tensioni, rivalità, piccoli segretiche si sviluppano via via in situazionipiù complesse, sino ad improbabilicolpi di scena.La commedia, che vede il ritorno sulpalcoscenico della fortunata squadraBuozzo-Marinetti-Schmitz, è, piùche un musical vero e proprio, un di-vertito omaggio al teatro dell’epocae ai suoi cliché, con tocchi di avan-spettacolo, commedia musicale e rivi-sta fluidamente inseriti in una “solita”ma sempre efficace cornice di teatronel teatro, e affidati ad un cast effi-cace e ben amalgamato, che sopperi-sce ad un testo (di Giorgio Buozzoe Gianni Fantoni) a volte un po’ at-torcigliato su se stesso e prete-stuoso, che non sempre sfrutta almeglio un materiale di partenza (diper sé promettente) ma che, grazieall’asciutta regia di Francesco Sala

Risate sotto le bombe, Trieste - Teatro Bobbio

Un divertito omaggio al teatro degli anni Quaranta,e ai suoi cliché, tra avanspettacolo e rivista musicale

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e alle sonorità curate e retrò dell’or-chestra diretta da Christian Schmitz(piacevole e frizzante colonna sonoracostituita, eccezion fatta per la titlesong composta per l’occasione, inte-ramente da classici dell’epoca), offreun bel ritratto storico e d’ambiente,trasportando efficacemente il pub-blico nel mondo di frenesia bohe-mienne e di disperata vitalità degliartisti in tempo di guerra.Il gioco funziona per un po’, con untocco piacevolmente leggero che nonsfocia mai nella banalità, ma alla lungarischia di stancare, senza mai riuscirea toccare corde (anche umoristiche)più profonde e interessanti.Ne fanno per prime le spese propriole tre Sorelle Marinetti (al secolo, ri-

spettivamente, Nicola Olivieri, Andrea Allione e Marco Lugli), icui personaggi risultano un po’ sotto-tono e a volte inseriti a forza inquello che sulla carta dovrebbe es-sere uno spettacolo cucito su di loro,mentre a vestire i panni del matta-tore è Fantoni, in grado di portare inscena efficacemente e con grandeequilibrio un personaggio sempre sulfilo della macchietta come quello diFresconi.Completano il cast i bravi France-sca Nerozzi (Velia Duchamp) ePaolo Cauteruccio (Rollo).Il risultato è comunque uno spetta-colo gradevolissimo, divertente alpunto giusto e musicalmente impec-cabile.

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Who could askfor anything more?

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di Franco Travaglio

Misurarsi con un cult del cinema nonè mai una passeggiata. Quando il cultin questione è Un Americano a Parigidi Vincente Minnelli l’impresa rasental’atto eroico. Non sorprende quindiche Christopher Wheeldon, regi-sta e coreografo di questo primoadattamento teatrale destinato aBroadway, abbia, parafrasando Man-zoni, ‘sciacquato i panni in Senna’,immergendo letteralmente tutta laprima fase di allestimento proprio inquelle atmosfere parigine evocate dalmusical. Infatti, prima di debuttare alPalace di Broadway, An American inParis ha realizzato due mesi di repli-che nella Ville Lumiere, al Théâtre duChatelet, dove abbiamo assistito conpiacere a un’anteprima. Il libretto, adattato da Craig Lucas(The Light in the Piazza), rispetto allapellicola mette in maggiore risaltol’intreccio amoroso (lei che ama luiche ama l’altra, concupita segreta-mente anche dai suoi due amici..) egli aspetti storici e drammatici: nelsecondo dopo guerra Jerry, soldatoamericano, decide di rimanere a Pa-rigi e coltivare la sua passione per lapittura e dimenticare la barbarie delconflitto mondiale. Si offrirà di aiutarlo nella sua carrierala connazionale Milo, matura mece-nate il cui interesse non si limita

An American in Paris, Parigi - Théâtre du Chatelet

Nella Ville Lumière una stilosa produzione de “Un americano a Parigi” destinata a Broadway

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però all’aspetto artistico, e quando ilgiovane si innamorerà di Lisa, giovanecommessa che lui non sa essere pro-messa all’amico Henri, la complica-zione sentimentale e drammaturgicatoccherà l’apice. A questo quadrila-tero amoroso Lucas aggiunge unaltro vertice, lo sfortunato pianistaAdam, che si rivelerà anch’egli inna-morato di Lisa, musa di tutte le suecomposizioni. La danza è la componente più ricor-rente e curata, con i corposi ballettisulle suite di Gershwin, compresaquella che dà il titolo allo spettacolo,e i protagonisti sono ottimi danza-tori, a cominciare dalla dolce Lisa diLeanne Cope, inglese etoile del

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Royal Ballet e dal convincente Jerrydi Robert Fairchild, proveniente in-vece dal New York City Ballet, impe-gnati in romantici passi a due e ascene di più ampio respiro, tuttestraordinariamente coreografate.Stranamente defilata in un ruolo nonda protagonista assoluta abbiamo ri-visto con piacere Jill Paice (Milo), lecui qualità canore e attoriali avevamogià avuto modo di apprezzare in Ma-tilda e The Woman in White a Londra ein Curtains a Broadway. Non mancano le celeberrime song diGershwin da I got rhythm a The man Ilove, da Love is here to stay a They can'ttake that away from me, che prendonovita in un allestimento di gran classe,

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con scenografie fastose e mai kitsch,arricchite da suggestive proiezioni dalfotografico al pittorico, ricreando unaParigi dai colori caldi, e scene di tea-tro nel teatro ricche di simbolismi einvenzioni, per culminare con la di-scesa di un grande arco decò che ri-corda il Chrysler Building.La sfida di portare il film a teatro èvinta ampiamente, anche se sarà inte-ressante valutare la risposta dell’esi-gente pubblico della Grande Mela e

della spietata critica newyorkese, auno spettacolo che ha dalla sua unacolonna sonora indimenticabile, maanche l’inevitabile patina datata di undance show old style che dovrà fron-teggiare la concorrenza di spettacolipiù moderni nella concezione stili-stica e nel ritmo registico. E a Broad-way gli spettatori non avranno lafortuna che è toccata a noi di usciredal teatro e di sentirsi davvero comeun americano a Parigi.

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Solo la noianon è proibita

foto | Mehr! Entertainment GmbH

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di Roberta Mascazzini

In questa stagione 2014/2015, Ger-mania ed Italia hanno un altro musi-cal in comune, oltre a La famigliaAddams, ed è Dirty Dancing, trattodall’omonimo film del 1987, ormai di-ventato un cult tra le spettatrici cine-matografiche femminili più per lastoria d’amore e l’attraenza del pro-tagonista che per altri motivi: tantobasta per far assurgere questo titoloa leggenda e convincere EleanorBergstein, già autrice del film, a por-tare la sua creatura a teatro, facen-dolo diventare un musical nel 2004.Inutile ripercorrere la trama di DirtyDancing, in quanto lo show teatralericalca quanto ancora oggi viene re-golarmente replicato in televisione.Le scene (Stephen BrimsonLewis) ed i costumi (JenniferIrwin) sono gli stessi visti al TeatroBarclays Nazionale di Milano, conl’orchestra esattamente nella stessaposizione, sopra agli attori e visibileal pubblico. Insomma, per una voltatanto non ci si deve né si può lamen-tare che “all’estero però è diverso”,frase ricorrente, ma spesso fasulla,ormai diventata abituale come tantialtri modi di dire.Quello che in Germania, semmai, èdiverso, in questo caso, è che DirtyDancing ha avuto una première nelmaggio 2014 a Berlino e proseguirà

Dirty Dancing, Düsseldorf - Capitol Theater

Nonostante gli evidenti difetti, anche in Germaniail musical tratto dal film cult riempie le platee

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in tour attraverso Germania, Svizzeraed Austria fino all’inizio di agosto2015, mentre la produzione italiana èandata in scena, seppure per ben duemesi, che in Italia non è affatto poco,solo a Milano.La produzione tedesca poteva inoltrecontare su due protagonisti che giàinterpretarono i ruoli di Baby e Johnnynella passata edizione di Stage Enter-tainment, seppure come cover: MátéGyenei e Anna-Louise Weihrauch.Anche Marie-Luisa Kaster vestì giàper la nota società di produzioneteatrale i panni di Penny. Ci sarebbero tutte le premesse peruno spettacolo ben riuscito. Eppurequesto musical ha qualcosa che nonconvince. Il successo di pubblico, in

termini di biglietti venduti è indiscuti-bile, ma esiste una differenza tra unteatro sold out e la soddisfazione delpubblico in sala. È vero che alle so-cietà di produzione che non sianoteatri stabili o altri enti sovvenzionatida contributi pubblici poco può im-portare che il pubblico sia soddi-sfatto quando la cassa è piena, ma èun discorso che non sempre o non alungo premia.Lasciando da parte il fatto per cui sipotrebbe discutere se Dirty Dancingmeriti il titolo di musical, visto che iprotagonisti ballano e recitano, masono altri a cantare, questa produ-zione ha essenzialmente una grandemancanza: il ritmo. Tutto sembra tra-scinarsi faticosamente, i dialoghi sono

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lenti e persino pochi e brevi in pro-porzione alla lunghezza dello spetta-colo. Ci sono momenti vuoti, in cuisembra che tutto sia sospeso, comese si fosse pigiato il tasto “pausa” delvideoregistratore. Non si tratta ,come si potrebbe magari pensare, dimomenti di vera pausa per permet-tere al pubblico di applaudire. Ancheperché gli spettatori trovano benpochi motivi per farlo e in quellerare occasioni fanno fatica a cogliereil momento opportuno. In poche pa-role, i tempi sono tutti sbagliati. Ilprimo tempo è quello peggiore daquesto punto di vista. Va leggermentemeglio nel secondo atto, ma il risve-glio dalla catalessi si ha solo alla finedel musical con la famosa scena sulle

note di The time of my life, natural-mente applauditissima, a sottolineareil fatto che gli spettatori, in realtà,fossero lì solo per quello.Se è vero che i due attori nei ruoli diJohnny, ma soprattutto di Penny, ese-guono egregiamente il loro compito,si può invece imputare parte dellacolpa alla Weihrauch. La sua è unaBaby poco espressiva, addirittura in-significante, a parere non solo discrive, ma anche del resto del pub-blico presente in sala che, natural-mente, si lascia andare a commentidurante la pausa oppure a fine rap-presentazione. Inoltre, l’attrice nonriesce a rendere l’evoluzione dellequalità di ballerina del personaggionel modo in cui ci si aspetterebbe:

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non è né abbastanza negata all’inizio,né eccessivamente brava alla fine,tanto da stonare quasi accanto ad unJohnny dai passi così perfetti da appa-rire distaccato e freddo. La vera pas-sione per la danza è invece trasmessadal personaggio di Peggy: perfetta,sciolta, elegante, bella e sexy. In-somma, come ogni donna vorrebbeessere o almeno ballare.Tirando le somme, l’attuale produ-zione teutonica di Mehr Entertain-

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ment porta a teatro solo intratteni-mento, senza emozioni e senza diver-timento, ma di sicuro, avrà unsuccesso garantito fino a fine tour-née il 2 agosto, solo grazie al ri-chiamo del titolo cinematografico e acome a quell’epoca - negli ormai lon-tani anni ’80 - Patrick Swayze entrònei cuori del pubblico femminile che,infatti, ancora oggi, riempie i teatri,sperando di rivedere attraverso Mátéil defunto attore americano.

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La tata volasu Vienna

foto | Deen van Meer

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di Roberta Mascazzini

A quasi dieci anni dalla première diLondra e a cinquanta dall’uscita delfilm della Walt Disney Pictures, MaryPoppins è arrivato al Ronacher diVienna nell’ottobre del 2014.Il musical era stato un buon successoa Londra (poco più di 3 anni) e aNew York (quasi 7 anni), passandopersino per l’Olanda, la Svezia, il Mes-sico e tanti altri paesi. Anche nellacittà austriaca questo spettacolopare andare a gonfie vele, tanto èvero che si è deciso di prolungarlofino al 31 gennaio 2016, mentre, ini-zialmente, era previsto “solo” fino agiugno dell’anno corrente.Eppure, nonostante possa sembrarescontato, non sempre o non ovun-que, è facile aver successo con la tra-sposizione teatrale di un enormesuccesso cinematografico, soprat-tutto perché non in tutti i paesi cisono le stesse tradizioni e la stessacultura. Per esempio, se i bambini ita-liani sono cresciuti vedendo ognianno il film disneyano alla televisionedurante le vacanze natalizie, non ècosì nel mondo di lingua tedesca,dove il genere dei film musicali ècompletamente ignorato dalle emit-tenti televisive.Nonostante ciò, è naturale e lecitoche lo spettatore si aspetti da questotitolo soprattutto della magia, perché

Mary Poppins, Vienna - Ronacher Theatre

Com’era prevedibile, anche nella capitale austriaca la tata più famosa del mondo fa il botto

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Mary è una tata dotata di poteri so-prannaturali. Il teatro però è il luogodove tutto è possibile e quindi, graziea diversi trucchi, il pubblico ottienetutto ciò che desidera: la borsa ma-gica da dove esce di tutto, persino unattaccapanni, la tata che vola sopra leteste degli spettatori fino a raggiun-gere il fondo della sala, gli scaffalidella cucina di casa Banks che ca-scano e vengono risistemati con unpo’ di magia.È vero che la storia raccontata nelmusical diverge leggermente daquella del film: un paio di scene com-paiono in ordine differente (peresempio Feed the birds o Spoonful ofsugar), non c’è la divertente scena deipinguini ballerini e nemmeno quello

strano personaggio dello zio Albert.Però l’opera teatrale conserva unelemento essenziale del capolavorodisneyano: i colori vivaci. Anche a tea-tro pare, durante molte scene, di tro-varsi dentro un lavoro di WaltDisney. Da questo punto di vista, bel-lissime sono proprio le scene chenon sono presenti nel film, come lagita al parco dove, al posto dei pin-guini danzanti, ci sono le statue ani-mate. Altrettanto colorata è labellissima ed allegrissima scena nelnegozio di Corry, durante la quale sicanta Supercalifragilistichespiralidoso,che nel film veniva intonata al parco.Anche l’altra notissima canzone, Conun poco di zucchero non viene cantatanella stanza di Mary, ma in cucina

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mentre si cerca di rimettere ordineal caos creato dai terribili bambini.L’effetto è così molto più dinamico edivertente.Il musical, a differenza del film, carat-terizza maggiormente le figure deigenitori, mostrandoci un padre chetratta in modo piuttosto freddo isuoi famigliari, cercando di imporsi inmodo quasi militaresco, perché luistesso, da bambino, non ha ricevutoaffetto, ma è stato affidato alle curedi una terribile bambinaia, quasi unastrega. La moglie, di conseguenza,non può che essere più fragile di ca-rattere e sottomessa ai voleri delmarito, tutto preso dal lavoro e dalcostruirsi e mantenere una certa po-sizione sociale. Proprio sulla tematica

sociale il musical pone qua e là un ac-cento che non era presente nellaspensieratezza disneyana pur termi-nando, per la famiglia Banks, in modomigliore, che si può scoprire peròsolo andando a teatro!Oltre ai trucchi che consentono allaprotagonista di essere magica, allescenografie coloratissime, sono i bel-lissimi balletti a caratterizzare questomusical: la già citata scena nel parco, ilfamoso ballo degli spazzacamino suitetti di Londra, i giocattoli che si ani-mano. Le coreografie di MatthewBourne sono talmente belle da farrivivere davvero l’atmosfera del film.Ma la magia di questo musical si deveanche ai suoi attori, in primis Anne-mieke Van Dam, che se qualche

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anno fa non aveva proprio acceso glientusiasmi dei musical fans con la suainterpretazione di Sissi in Elisabeth,pare aver trovato in Mary Poppins unruolo che le è molto più congeniale.Annemieke costruisce un personag-gio al contempo dolce e deciso. Bravianche i signori Banks, ReinaldKranner (George) e Anaȉs Luec-ken (Winifred). Ottimo DavidBoyd nella parte di Bert, fantasticotutto il cast, del quale fa parte il per-

former italiano Angelo Di Figlia, in-tervistato in questo numero.Visto che Vienna è tra le città più vi-sitate dagli italiani, consigliamo diprendersi una sera per andare a ve-dere questo bel musical a teatro,proprio nel centro cittadino.In alternativa, si possono tenered’occhio le date del tour in GranBretagna ed Irlanda, che partirà adottobre 2015 per continuare fino allaprimavera del 2017.

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Angelo Di Figliaun italiano nel mondo di Mary Poppins

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di Matteo Firmi

È una fredda giornata a Vienna, l’ap-puntamento è fissato davanti al fa-moso Cafe Sacher, ma all’arrivo diAngelo, dopo un breve scambio diconvenevoli, andiamo a scaldarci al-l’interno di un locale poco lontano .La chiacchierata prende subito corpoe il tempo, come nelle migliori occa-sioni,vola.Diplomato nel 2001 alla MTS di Mi-lano, Angelo di Figlia ha partecipato agrandi produzioni in Italia e all’estero,da Pinocchio a Mamma Mia! in Italia eFrancia, dalla Bella e la Bestia a Parigi,all’attuale Mary Poppins a Vienna.

Partiamo da Mamma Mia!, che espe-rienza è stata?Mamma Mia! è uno spettacolo cheha lasciato il segno, mi ha cambiatoun po’ la vita. È uno spettacolo dovel’energia e l’entusiasmo trainanotutto. In Italia ero il capo balletto eho vissuto lo spettacolo subito a 360gradi, abbiamo avuto un ottimo castcon dei performer veramente bravinel nostro panorama italiano. A dettadel team creativo si tratta di uno deimigliori delle ultime produzioni e l’horiscontrato anche io nelle varie repli-che che ho visto. Mamma Mia! è unagrande famiglia e uno spettacolo cheè uguale in ogni parte del mondo,cosi quando mi han chiamato in

Vienna

Da Mamma Mia! a Mary Poppins, il giovane performersi racconta tra sogni e speranze

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Francia sono riuscito a prepararmiin poco tempo. Chi ha partecipato aMamma Mia! sa che è un qualcosa diunico, e quando ne parliamo tra col-leghi sembriamo dei bambini appenausciti da un mondo magico.

Perchè Mary Poppins è il sogno di una vita? Beh... quando vedi lo spettacolo locapisci, credo che non ci sia show mi-gliore per l’ensemble... c’è tutto: millestili, mille emozioni, tutti ci siamoemozionati vedendo Mary da bam-bini. Quando anni fa lo vidi a Londraero rimasto colpito, ma non cositanto; sai, è uno spettacolo che sibasa più sul libro che sul film, peròsono stati creati dei numeri speciali,Supercalifragilistichespiralidoso è com-pletamente diverso, non è soltantoballare, ma si tratta d’interpretare, haiun personaggio... è il mio primo en-semble (di quelli che ho fatto io)dove sul contratto ho il nome delmio personaggio. Hai un ruolo bendefinito e ciò è importantissimo, poic’è il tap che io adoro! Ancoraadesso sono grato dell’opportunitàche mi è stata data. L’entusiasmo cheho qui è alle stelle... E siamo al 19 di-cembre... e devo farlo fino a giugno!È uno spettacolo eccezionale, il castè unico... c’è talmente tanto talento!

Una domanda che tante volte mi sonfatto... cos’è per te musical? Decisamente il mio canale d’espres-sione ideale per il tipo di artista checerco e voglio di essere.Ho avuto la fortuna di provare vari

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tipi di lavoro, ho fatto il ballerino em’annoiavo... Il mio primo amore è ladanza, amo ballare, ma ho capito chenon era la mia strada principale. Daquando mi ricordo io ho sempre bal-lato, però se mi chiedi cosa vuoi farenella vita, beh... ballare e basta non èabbastanza per me, anche perchénella mia testa il termine di paragoneè talmente alto che ho capito chequella strada non l’avrei fatta benecome lo volevo io. L’insegnamento diMary Poppins è “Anything can happenif you let it” ed è molto importanteche ognuno di noi lavori appunto per“far succedere” il proprio sogno equando ho scoperto il musical, ho ca-pito che QUELLO era il mio verosogno e ho lavorato per farlo succe-dere... ci ho investito la mia vita edora ho la fortuna di fare IL lavoroche amo!

Che tipo di artista vuoi essere?Il più poliedrico possibile, voglio farebene tante cose, tutto ciò che m’in-teressa lo voglio fare a livello otti-male, mi piace che il pubblico gioiscadi una cosa che io faccio, ma il primodevo esser io a star bene. A me piacecercare, scoprire, approfondire sem-pre qualcosa di nuovo, punto sempresulla qualità: meno, ma fatto bene.

Com’è stato lavorare in giro per l’Europa? È bellissimo, puoi confrontarti conculture e metodologie diverse... iosono stato tanto fortunato, le miedue avventure estere sono state Pa-rigi e Vienna.

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Tante volte noi italiani all’estero siamoetichettati come quelli che hanno unaqualità più bassa; com’è stato l’approc-cio con le nuove compagnie?Devo riconoscere che tante volte c’èun idea un po’sbagliata dell’artista ita-liano, però sono contento di esserriuscito a far la mia parte per farcambiare questa idea. Bisogna un po’conoscere l’ambiente dove entri, èdifficile che nella prima settimana dilavoro a Parigi ci si prenda a pacchesulla schiena o altro, però rispet-tando paese e tradizioni e lavorandobene si può creare quell’amicizia cheva al di là della bandiera.

La chiaccherata molto piacevolevolge al termine, Angelo è una per-sona veramente stupenda, la sua pas-sione per il musical la si vede mentreparla, mentre spiega nel pomeriggioviennese il suo cammino nel magicomondo del teatro. Auguro a lui il mi-glior cammino musicale possibile,perché se lo merita.

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Una vecchiafuoriserieconquista Monaco al volo

foto | Thomas Dashuber

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di Laura Confalonieri

Mettere in scena la prima continen-tale di Chitty Chitty Bang Bang, uno deimusical più costosi degli ultimi anni, èuna sfida che pochissimi teatri citta-dini avrebbero accettato.Il sovrintendente del Gärtnerplatz-theater Josef E. Köpplinger, tuttavia (epur avendo la sede in restauro fino alprossimo anno), non si è tirato indie-tro: non solo si è accaparrato - primofra tutti nei Paesi germanofoni - i di-ritti di rappresentazione dello spetta-colo, ma ne ha anche curatopersonalmente la regia. La traduzione in tedesco dei testi deifratelli Richard M. e Robert B.Sherman è stata affidata a FrankThannhäuser. Il loro spartito èstato adattato per il teatro da Je-remy Sams e Ray Roderick.Il direttore musicale Michael Bran-dstätter ha avuto a disposizione ilcoro operistico e l’orchestra sinfo-nica del Gärtnerplatztheater, che hadiretto con brio, e la coreografa Ri-carda Regina Ludigkeit un corpodi balletto classico, che ha usatopoco e male. Judith Leikauf e Karl Fehringerhanno fatto le cose in grande, co-struendo la fabbrica di dolci di LordScrumptious (solenne: AlexanderFranzen) sul modello di quella diWillie Wonka, e la cervellotica mac-

Tschitti Tschitti Bäng Bäng, Monaco

Una tonnellata e mezza di alluminio e legno: nonostante il peso, Chitty Chitty Bang Bang vola alto

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china da colazione di Caractacus Potts.Per fabbricare Chitty sono stati usatisolo alluminio e legno. Nonostanteciò, la fuoriserie pesa una tonnellatae mezza. Un banco idraulico le per-mette di ruotare e di sollevarsi fino adue metri di altezza.Il 30 aprile 2014 la sala ospitante delPrinzregententheater registrava il“tutto esaurito”, con un pubblico al-l’inizio scettico, ma incuriosito, e allafine divertito ed entusiasticamente

plaudente. Anche per tutte le repli-che nel teatro da 856 posti non se netrovava uno libero.Il film del 1968 cui il musical s’è ispi-rato, del resto, è stato in parte giratoanche in Baviera: il castello del ba-rone era quello di Neuschwanstein eil paese sottostante era Rothenburgob der Tauber (ma le riprese hannofatto tappa anche a Rohrbach, nel Pa-latinato). Era quasi un punto d’onore,quindi, che la prima continentale sidesse qui.

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Il Prinzregententheater non è grandecome il Palladium di Londra, quindibisogna lavorare di proiezioni. Mentre l’orchestra suona l’ouver-ture, in effetti, sembra di essere al ci-nema: sul fondo viene proiettato uncielo azzurro con qualche nuvolabianca, e cominciano a scorrere i ti-toli di testa (i nomi degli interpreti edel resto della troupe).Quando l’obiettivo ritorna sullaterra, la scena è semibuia (luci: Mi-chael Heidinger) e divisa in duepiani da un ponte sopraelevato, dovesta una parte del coro. Siamo allecorse - non, come potrebbero farpensare i costumi di Alfred Mayer-hofer, a quelle, celeberrime, di Ascot,ma a quelle automobilistiche di unluogo imprecisato nella campagna in-glese (se Michael Otto, in carico

della drammaturgia, s’è attenuto alfilm, dovremmo essere nel Buckin-ghamshire). Tagli al numero musicalee brevi proiezioni in bianco e nerodella corsa, per mostrare al pubblicocome mai, quando farà giorno pieno,vedremo il rottame arrugginito diuna fuoriserie dominare la scena.A bordo di questo rottame giocanoJeremy e Jemima Potts (MarinusHohmann e Amelie Spielmann),figli del bizzarro inventore vedovoCaractacus Potts (sottotono: PeterLesiak) e nipoti di un ex ufficiale cheha servito nelle Indie (vivace: FrankBerg) e che ora, un po’ svanito, giraper casa perennemente in divisa co-loniale.

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A completare la famiglia il cane Edi-son (ruolo muto, chissà perchè affi-dato a Nicola Gravante, visto chetutti gli altri cani che appaiono du-rante lo spettacolo sono di peluche).I bambini sono quasi alti quanto ilpadre e quando cantano, a differenzasua, non si fanno mettere sotto dal-l’orchestra.Nadine Zeintl, una Truly Scrum-ptious anche lei a misura di bambini,non osa usare tutta la bella voce che ha. Non si fa, invece, problemi a dar sfog-gio del suo timbro brillante SigridHauser, Baronessa esilarante: Bom-bie Samba è il numero più applauditodi tutto lo spettacolo.Erwin Windegger, baritono abi-tuato a ruoli vocalmente più impe-

gnativi (ad esempio Sweeney Todd,proprio nel Gärtnerplatztheater), èchiaramente sprecato nel ruolo delBarone. Però è divertente osservare isuoi tentativi di eliminare la Baro-nessa (che si salva perfino da un volodalla finestra).E se Markus Meyer è un Accalap-piabambini tanto sinuoso e inquie-tante da far sudare freddo anche gliadulti, David Jakobs e HannesMuik, rispettivamente nei ruoli diBoris e Goran, riportano il buonu-more coi loro siparietti comici.Nel coro spicca il nome famoso diKerstin Ibald, in lista anche comesostituta Baronessa. Quasi spiace chenon abbia mai avuto la possibilità didebuttare in quel ruolo.

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Casanovail seduttore in pantaloni attillati

foto | Claudia Heysel

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di Laura Confalonieri

Un teatro cittadino deve, di questitempi, avere una massiccia dose dicoraggio per portare in scena un mu-sical in prima mondiale, soprattuttonell’indigente ex Germania Est, dovela politica taglia le sovvenzioni con lecesoie. Eppure l’Anhaltische Theater di Des-sau, cittadina sassone che ha un com-plesso architettonico patrimoniodell’UNESCO, ha commissionato alquarantaduenne compositore Ste-fan Kanyar e al quarantesettennescrittore Andreas Hillger proprioun musical.In Germania, in un settore dominatoda una multinazionale che agisce suscala mondiale, un nuovo musicaldeve, se spera di fare cassa, avere unsoggetto accessibile, un protagonistafamoso e una miscela di temi musicalitipici del genere.Hillger, che da tempo ha preso gustoa scrivere libretti, ha evidentementeripassato di recente il Don Giovanni dida Ponte e ne ha ricavato tre atti direcitativi, ballate, duetti e numerid’insieme sulla vita di Giacomo Casa-nova. “Was kostet die Welt? (quanto costa ilmondo)”, tema centrale del composi-tore Stefan Kanyar, è il vero mottodi Casanova, più delle avventure ro-mantiche, che pure non mancano e

Casanova, Dessau [D] - Anhaltische Theater

Un nuovo musical in prima mondiale, tra kitsch e citazioni classiche: una scommessa nell’ex Germania Est

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che vengono mostrate senza sotti-gliezze, oltre che senza veli: Casanovaviene arrestato dall’Inquisitore ConteQuerini (Adam Fenger, baritonospietato) durante un’orgia, i cui par-tecipanti portano fatsuits con genitaliultradimensionali.Ad un orecchio allenato non è diffi-cile riconoscere da quali autori ilcompositore ha tratto ispirazione(accanto a Mozart, si sentono Bee-thoven, Bizet e Bernstein, oltre ad in-flussi di musica popolare al limite delkitsch), come ad un frequentatore deiteatri d’opera è impossibile nonavere un déjà-vu fin dall’inizio dellospettacolo, quando il servitore Lepo-rello (sic!) si lamenta della vita gramacui è costretto dalle avventure delsuo padrone, mentre detto padronedeve lasciare le braccia di una damaper difendersi in duello dal di leipadre, che ucciderà (e che, in conclu-sione di serata, tornerà a prenderloper trascinarlo all'inferno). D’altronde la leggenda vuole cheproprio Casanova abbia collaboratoalla stesura del libretto e alla regiadel mozartiano Don Giovanni...André Eckert è un Leporello conuna bella voce da basso e le bracciatatuate, in jeans e gilet di pelle comeun roadie.Il Giacomo Casanova di PatrickStanke ha una passione per i panta-loni troppo aderenti in pelle rossa ele canotte nere senza maniche. Ha icapelli lunghi e il fiato corto, non soloquando duella (inesplicabilmente in-crociando le mani dietro le spalle)

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ma, soprattutto, quando canta, oltread un’epa incipiente.Non si capisce come tutte le donne(suore in giarrettiere comprese) diVenezia vogliano dargli la caccia, arri-vando perfino ad arrampicarsi sullesbarre della sua cella nei Piombi, gri-dando come groupies isteriche.Però si vede anche dalla gigantescascritta luminosa stile Las Vegas (la Ve-nezia dello scenografo e costumistaUlrich Schulz è, oltre a quella, solouno schermo gigante su cui vengonoproiettate immagini in bianco e nerodi gondole e Piazza San Marco) che laSerenissima è in decadenza: ognitanto le lampadine delle letterone sifulminano e di “VENICE” resta solo“NIE” (che in tedesco significa “mai”)o “NICE” (che in tedesco neppureesiste, ma che in inglese significa, fral’altro, “carino”). In questo scenario da crisi econo-mica, le veneziane, si vede, hanno im-parato ad accontentarsi - perfino diun rubacuori con la panza da camio-nista americano.Una di loro in particolare diventerà ilchiodo fisso del seduttore: bella, mi-steriosa, ottima schermidrice (glisalva la vita fin all’inizio, mettendo infuga i ninja - sic! sic! - dell’Inquisizione),accetta di diventare la sua amante,ma rifiuta la sua proposta di matri-monio, oltre che di rivelargli il suovero nome, facendosi chiamare sem-plicemente Henriette.Roberta Valentini è vocalmente efisicamente sempre a suo agio, sianelle scene di cappa e spada, che in

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quelle in costume, che in quelle dinudo. Il regalo d’addio di Henriette alsuo Casanova sarà farlo fuggire daiPiombi.Gli apparirà fantasma molti annidopo nel castello boemo di Dux,nella cui polverosa biblioteca, sven-trata e invasa da una grigia coltre dineve con vista su opprimenti montigrigi, lui, ridotto al lumicino, riceve lavisita della loro figlia (Karen Hel-bing, voce prorompente di soprano),della quale fino ad allora ha ignoratol’esistenza, che, per buona misura, sipresenta non solo con una letteradella defunta madre, ma addirittura

incinta, per incoraggiarlo a conti-nuare a vivere. E siccome qui il librettista sta decisa-mente esagerando, gli dei del musical(nelle vesti del regista Christianvon Götz) intervengono a salvare ilpubblico: una discesa agli inferi è, perun seduttore canuto, una fine più di-gnitosa che diventare un nonno ba-bysitter, fosse anche solo dal punto divista teatrale.Daniel Carlberg dirige con pigliol’Anhaltische Philharmonie. BravoHelmut Sonne alla direzione delcoro del teatro.Standing ovation per tutti.

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Buon sanguenon menteHoudiniuna vita a testa in giù

foto | Harald Dietz

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di Laura Confalonieri

Una prima mondiale ha sempre qual-cosa di magico, e il teatro cittadino diHof ha pensato bene di commissio-nare al compositore e paroliere in-glese Paul Graham Brown unmusical su una figura storica il cuinome è sinonimo di magia: HarryHoudini. Brown apre il suo nuovospettacolo, The Great Houdini (DERGROSSE HOUDINI nella traduzionetedesca di Moritz Staemmler),con un’ouverture degna di un’ope-retta del secolo scorso, al terminedella quale il sipario si apre su ungrande tableau: davanti ad un tendoneda circo la folla canta un inno aHarry Houdini, che, appeso a testa ingiù, si libera da una camicia di forza.Da quel momento la vita di Houdini,o, meglio, la vita di Erik Weisz, vieneraccontata in flashback.La famiglia Weisz arriva nel 1878 inAmerica, dapprima nel Wisconsin, poia New York. Il padre abbandona mo-glie e figli e Ehrich (il ragazzo ha de-ciso, d’ora in poi, di chiamarsi così), ei suoi due fratelli aiutano la madre atirare avanti, un po’ con lavoretti sal-tuari, un po’ con piccoli imbrogli. Più tardi Ehrich e il fratello maggioreDash si aggregano ad uno spettacoloitinerante di freaks. Lì Ehrich scopre la sua passione per ilucchetti.

DER GROSSE HOUDINI, Hof [D]

Un’altra eccellente prima mondiale in Germania,sulla vita del più celebre degli illusionisti ed escapologi

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Durante una fiera incontra la sua fu-tura moglie Beatrice (Bess) e se neinnamora. I tic, le crisi depressive e le manie diHoudini crescono di pari passo allasua popolarità. Dopo la morte dellamadre, una relazione fatale e alcuniinsuccessi professionali, muore acausa di una peritonite, apparente-mente provocata dai pugni richiesti ericevuti sottopancia da uno studente. Questa la trama dello spettacolo, chesi attiene alla biografia di Houdini.La partitura di Paul Graham Brownsrichiede un’orchestra eccellente ecantanti che sappiano cantare vera-mente. Il teatro di Hof fornisce sia

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l’una che gli altri. Sotto la direzione diKenneth Duryea l’orchestra sinfo-nica di Hof riesce a destreggiarsisenza sforzi fra melodie stile imperoaustroungarico e i ritmi dei ruggentianni ‘20, inframmezzati da ballate, ariesentimentali, piacevoli assoli, teneriduetti e grandi cori (complimenti aldirettore Cornelius Volke).Chris Murray è un Houdini intensoe combattuto, che centra tutte lenote e tutti gli acuti anche quando èappeso a testa in giù in catene. Nonsi risparmia neanche il trucco più fa-moso del grande illusionista, l’eva-sione dal contenitore pieno d’acqua.Christian Venzke è Dash, il fratello

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maggiore che sacrifica la sua felicitàpersonale sull’altare del successo delfratellino, e Cornelia Löhr è unaBess devota, ma anche determinata.Stefanie Rhaue dimostra le sue ca-pacità di trasformista, passando dalpersonaggio della donna cannone al-l’inizio dello spettacolo a quello dellamedium sofisticata e intrigante Ma-dame Charmian poche scene più tardi.Janelle Groos è una madre com-movente. Karsten Jesgarz è il padre in fuga,che accompagna tutta la vicenda coisuoi commenti. È lui che chiude lospettacolo con un ultimo assolo, unagradevole ballata.Il basso Jens Waldig brilla in tantiruoli minori, così come Andreas

Bühring nel ruolo di Leopold, il fra-tello più giovane, e André Weiß inquello del giovane Erik, che per tuttala serata accompagna Harry come unalter ego.Il balletto con le coreografie di TimZimmermann arricchisce l’intelli-gente allestimento di James Ed-ward Lyons, che evita di propositoogni spettacolarità, per concentrarsisul contenuto cameristico del musi-cal, aspetto, questo, sottolineatoanche dalla scenografia (oltre trentacambi di scena in toni seppia, chedanno un tocco d’antan) e dai co-stumi (più di cento) di Annette Ma-hlendorf. Peccato che la tournee abbia richia-mato poco pubblico.

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Wolfgangche inventò il musical

foto | Teatro Regio, Torino

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di Franco Travaglio

Il rapporto tra Mozart e il musical sicaratterizza in due spettacoli, Mozart!di Kunze e Levay (revival a Viennaprevisto per il prossimo settembre2015) e il francese Mozart, L’OperaRock. Ma non si può capire a fondo lastoria del teatro musicale modernosenza studiarne i progenitori, e quindil’opera lirica, con la rivoluzione por-tata in essa dal compositore salisbur-ghese che ha influenzato il teatro inmusica di tutti i tempi, compresa lacommedia musicale moderna. Lenozze di Figaro in particolare inaugurail filone del dramma giocoso, con cuiriesce a raccontare i sentimenti, i vizie i tic dell’umanità, con l’efficacia, laschiettezza e la potenza drammaticadella musica. Il segreto è far convi-vere, proprio come nella vita, ele-menti seri e buffi, contrapponendosialle affettazioni, agli astrusi artificidell’opera seria contemporanea. Dicelo stesso Wolfgang in Amadeus, par-lando dell’amore agli italiani “No, noncredo che lo conosciate. Almeno assi-stendo alle vostre opere, con tutti queisoprani che strillano, amanti flaccidi cheroteano le pupille. Questo... questo...questo non è amore, questo è immondi-zia!”. Non è difficile fare un parallelonemmeno troppo azzardato tra que-sta rivoluzione e l’approccio più mo-derno, quotidiano, vero del musical

Le Nozze di Figaro, Torino - Teatro Regio

La rivoluzione del teatro musicale modernoinizia proprio col compositore salisburghese

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sul palcoscenico fin dall’aprirsi del si-pario, dopo la solenne overture esal-tata dal piglio energico del direttoreYutaka Sado. Diamo ancora la pa-rola al protagonista di Amadeus: “Al-lora, c'è un servitore a terra, inginocchio. E lo sa perché? Non perchévi è costretto, no! Sta solo misurando lospazio. Sa per cosa? Il letto. Il suo lettonuziale. Per vedere se ci sta! Ah! Ah!Ah!”. Barbalich sposta piùdignitosamente Fi-garo da terra a untavolo di proget-tazione, ma l’ef-fetto ‘verista’ nonne è diminuito. Ilprimo atto pro-cede senza solu-zioni diconti-

rispetto alle forme di teatro musicaleprecedenti. Si trova piena conferma a queste sug-gestioni nella messa in scena, propriodelle Nozze mozartiane, vista al Tea-tro Regio di Torino il febbraio scorso.Un allestimento fortunatamente ri-spettoso della partitura e del li-bretto, lontano da certi modernismicervellotici che si riscontrano introppe regie liriche. Un plauso alla regista Elena Barba-lich, allo scenografo e costumistaTommaso Lagattolla e al light de-signer Giuseppe Ruggiero, peraver composto quadri scenici di ispi-razione pittorica coi colori caldi diuna Spagna solare, e aver seguito lapartitura senza forzature né manie diprotagonismo. La rivoluzione mozartiana irrompe

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nuità sorretto da una trama leggerache sottende una leggiadra, arguta, ir-resistibile celebrazione dell’ingegnofemminile che mette in castagna qual-siasi tentativo maschile di gabbarlo.

Figaro (il bravo baritonoGuido Loconsolo) sta

per sposare la servettaSusanna (la convin-cente Grazia Do-ronzio), che è però

concupita dalloro padroneConte di Alma-viva, e con lacomplicitàdella Con-

tessa (la coppia è interpretata dallebelle voci di Dionysios Sourbis eErika Grimaldi), una serie infinitadi equivoci, travestimenti in cui solo ildeliziato pubblico sa chi è chi, so-spetti incrociati, spille perdute, paggitravestiti da dame (Cherubino è Sa-mantha Korbey, ottima prova vo-cale e mimica), e scappatelle più omeno innocenti, si riuscirà a mante-nere l’illibatezza della sposina e otte-nere il pentimento del Conte, chedarà il via al dolente eppur dolcis-simo perdono della Contessa primadel finale. Tanti i brani diventati cele-berrimi, dall’immortale Non più andraifarfallone amoroso che un sadico

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È certo un grande onore per me.”Ogni singola nota delle Nozze non silimita alla meraviglia musicale, diventateatro e quindi vita, ci parla di noicon un’intensità tale da far volare lequasi 4 ore di spettacolo.Se gli espedienti sono quelli tipici delteatro brillante, l’abilità librettistica diLorenzo Da Ponte (le cui parolesono perfettamente comprensibili adue secoli e passa di distanza) e l’in-descrivibile musica di Mozart ci rega-lano uno spaccato dell’animo umanocon le sue debolezze, le ripicche, ibattibecchi, con uno sguardo indul-gente e amorevole che permette aogni spettatore di salire su quel palcoe a non volerci scendere più.

Figaro canta al Paggio destinato allavita militare, al caustico Se vuol ballaresignor contino, alla metateatrale Voiche sapete che cos’è amor di Cheru-bino. Lo stesso compositore (questavolta quello vero) godeva del suc-cesso extra-teatrale delle sue arie:“Alle sei sono andato con il conte Canalal cosiddetto ballo di Bretfeld, dove è so-lito riunirsi il fior fiore delle bellezze pra-ghesi… Io non ho ballato e non homangiato… Ho però guardato consommo piacere tutta questa gente sal-tarmi intorno, piena di autentica allegria,sulle note del mio Figaro, trasformato incontraddanze e in allemande. Perchéd'altro non si parla se non di Figaro,altro non si suona, intona, canta e fi-schietta se non Figaro...

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di Nome Cognome

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Le Bal des Vampires, Parigi - Teatro Mogador, data

Grande successo anche nella capitale francesceper i vampiri di Roman Polanski

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