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Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia Numero Speciale Numero Speciale Quarant’anni di Archeologia Medievale in Italia La rivista, i temi, la teoria e i metodi a cura di Sauro Gelichi

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Archeologia Pubblica in Italia

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€ 48,00

ISSN 0390-0592ISBN 978-88-7814-607-5

Numero Speciale

Numero Speciale

Quarant’anni di Archeologia Medievale in ItaliaLa rivista, i temi, la teoria e i metodia cura di Sauro Gelichi

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All’Insegna del Giglio

Quarant’anni di ARCHEOLOGIA

MEDIEVALE in italia

La rivista, i temi, la teoria e i metodi

a cura di Sauro Gelichi

2014Numero Speciale

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IndIce

Sauro GelichiIl ‘canto delle sirene’ e l’archeologia medievale del futuro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

Sauro GelichiI quarant’anni di Archeologia Medievale e l’archeologia in Italia negli ultimi quarant’anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11Vincenzo Fiocchi nicolaiArcheologia medievale e archeologia cristiana: due discipline a confronto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21cristina TonghiniArcheologia medievale e archeologia islamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33Marco MilaneseDall’archeologia postclassica all’archeologia postmedievale . Temi e problemi, vecchie e nuove tendenze . . . . . . . . . . . . . . . 41Juan Antonio Quirós castilloArcheobiologie e Archeologia Medievale . Dall’archeometria all’archeologia ambientale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51Franco cambiArcheologia medievale e storia e archeologia dei paesaggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63enrico GiannicheddaArcheologia della produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75Alessandra MolinariArcheologia medievale e storia economica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95Irene BarbieraSepolture e necropoli medievali nei quarant’anni di vita di Archeologia Medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 111Marco ValentiArcheologia delle campagne altomedievali: diacronia e forme dell’insediamento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123Gian Pietro BrogioloCostruire castelli nell’arco alpino tra V e VI secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143Giovanna BianchiArcheologia della signoria di castello (X-XIII secolo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 157Andrea AugentiArcheologia della città medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 173Guido Vannini, Michele nucciotti, chiara BonacchiArcheologia pubblica e archeologia medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 183Martin Oswald Hugh carverMedieval archaeology: families and freedoms . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197Richard HodgesMedieval Archaeology and Civic Society: Celebrating 40 years of Archeologia Medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 205chris WickhamReflections: forty years of Archeologia Medievale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213

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Numero Speciale, 2014, pp. 183-195

Guido Vannini, Michele Nucciotti, Chiara Bonacchi

archeologia pubblica e archeologia medievale

«gli storici studiano le epoche passate, ma sono figli del loro tempo. a questa antinomia non si può sfuggire, essa è inerente alla nostra professione (…) il lavoro dello storico, come quello di ogni altro ricercatore, comincia quando ci si pone delle domande. (…) i risultati della ricerca dipendono in buona misura dalle domande a cui si cerca di rispondere. e il modo di formulare le domande sul passato dipende da come lo storico giudica e comprende la sua epoca» (modzelewski 2008, Introduzione). Questa condizione richiamata da Karol modzelewski non solo può riferirsi anche all’archeologia ma rappresenta la cornice, classica se si vuole, in cui si inscrive anche un’altra, più recente, interpretazione della disciplina, che tende a strutturare un rapporto con la società contempo-ranea, sempre a partire dai risultati della ricerca sul campo, per contributi in particolare ai grandi settori della produzione di servizi e/o di reddito, della comunicazione come strumento strategico di progettualità sostenibili, di governo consapevole e condiviso del complesso dei bbcc archeologici (in senso lato, in un’accezione preferibilmente territoriale), di apporti identitari per le comunità interessate a cominciare (ma solo a cominciare) da quelle locali. l’‘archeologia pubblica’ – non a caso preceduta e accompagnata dalla Public History (Noiret 2009) – strutturatasi una dozzina di anni fa nel sistema accademico britannico ed in questo ultimo lustro in via di diffusione in tutta europa, anche in italia (prima che altrove) è entrata nel dibattito e, con una significativa tem-pestività, nella stessa prassi di alcune esperienze disciplinari, in specie, con altrettanta interessante priorità, di ambito medievistico 1. e non si tratta, in italia, di un tema agevole, dovendo ‘prima’ superare un pregiudizio antico («Carmina non dant panem», scriveva orazio), fino alla più modesta sintesi tremontiana “con la cultura non si mangia”: troppo facile ricordare in proposito i danni che la retorica dei bbcc come ‘giacimenti’ da sfruttare ha comportato per una loro autentica valorizzazione anche sul piano professionale (con le tonnellate di inutili schede ‘neopositivistiche’…) e che tuttora dobbiamo scontare per una credibilità da ricostruire almeno sul piano della comunicazione (ciò che, nella società attuale, non è un dettaglio).

1 le radici di questo ambito disciplinare sono da rintracciarsi nella Public Archaeology intesa come gestione delle risorse naturali e culturali (Cultural Resource Management), affermatasi negli Stati uniti dagli anni ’70 in risposta all’inadeguatezza della legislazione in materia di tutela del patrimonio. in questi termini il settore si è sviluppato rapidamente anche in gran bretagna, dove però verrà diversamente riletto e interpretato, soprattutto grazie al contributo della ricerca condotta presso l’University College di londra (cfr. bonacchi 2009).

Se infatti nel Workhop di Firenze del 2010 2 e nel i con-gresso Nazionale 3 possono riconoscersi le prime pionieristi-che manifestazioni d’interesse per un inserimento – fra ricerca pura e applicata – di questo ‘nuovo’ settore della disciplina in italia, realtà e presenze a pieno titolo, sia per prassi, magari sperimentale 4, sia per formazione di competenze già speci-fiche si erano costituite sfruttando le pieghe dei nostri rigidi regolamenti accademici 5: tutti segni, indizi, prove infine, di un’esigenza di ‘coprire’ un settore che si sta rivelando come strategico per lo stesso futuro della disciplina (fig. 2).

2 «l’archeologia pubblica è l’area disciplinare che ricerca e, su base scienti-fica, promuove il rapporto che l’archeologia ha instaurato o può instaurare con la società civile. il potenziale di innovazione del settore risiede nella capacità di creare un tessuto connettivo forte tra ricerca archeologica e comunità (locali, regionali o nazionali). i settori che ricadono entro la sua sfera di interesse sono tre: comunicazione, economia e politiche dell’archeologia» (papT in vannini 2011, p. 139).

3 il congresso è stato organizzato da università e comune a Firenze (palazzo vecchio, ottobre 2012; (coordinamento scientifico di michele Nucciotti e chiara bonacchi); il programma era stato elaborato da un ampio comitato scientifico nazionale e internazionale, rappresentativo delle categorie interessate (ricercatori, amministratori pubblici, imprenditori etc), che si è riunito in varie sedi, a cadenze regolari, costituendo esso stesso un primo forum/osservatorio sull’archeologia pubblica in italia (cfr. anche bonacchi 2013a e Zuanni 2013).

4 come il progetto relativo alla villa dei Quintili, all’origine dello splendido (oramai classico) saggio di ricci 2006; o la prima mostra in italia redatta secondo i criteri dell’archeologia pubblica (vannini, Nucciotti 2009; bonacchi 2011, pp. 103-112); un fatto che risulta anche da un censimento sistematico condotto per la tesi di laurea in archeologia medievale di laura lazzerini 2010. il test della mostra Da Petra a Shawbak sulle potenzialità di un simile approccio ha dimostrato, in particolare, l’utilità della progettazione museologica e degli studi sul pubblico nella definizione dell’impatto socio-economico delle mostre tem-poranee sulle comunità residenti. ciò perché costituiva parte di un programma più complesso di archeologia pubblica che si proponeva di ‘mettere in serie’ i suoi diversi ambiti di interesse. Schematizzando, i settori da fare interagire erano due: quello ‘esterno’, affidato ad una scelta di ‘comunicazione’ da giocarsi su di un palcoscenico di rilievo internazionale come quello europeo della reggia medicea di Firenze (con una immissione nel sistema economico della città del 430% (±4%) superiore all’investimento); quello ‘interno’, centrato su programmi mirati a contribuire allo sviluppo delle comunità locali ed a produrre servizi per il turismo internazionale. così, accordi con enti locali e centrali nell’am-bito di un progetto europeo di sviluppo territoriale Liaisons for Growth (italia, giordania, armenia) ciudad-eNpi, ha portato ad un radicale aumento dei flussi turistici e dell’occupazione in soli due anni. l’attività, si è concentrata a costituire e ‘coltivare’ una rete integrata multilivello (locale, centrale, settoriale, ong etc.) e ad elaborare strumenti progettuali altrettanto integrati ed interdipen-denti: master plan turistici, attività concordate con le autorità regionali ed il sito unesco di petra, inserimento di strutture ed organizzazioni locali, etc.; ciò che, fra l’altro, ha portato ad un alto incremento di addetti contrattualizzati, ad un aumento del 24% del flusso turistico, all’apertura di un albergo con standard internazionali (fig. 1): a Shawbak, il primo dal medioevo…

5 come l’esperienza, che si riferiva direttamente alla Scuola anglosassone, di armando de guio, con i suoi ‘elementi di archeologia pubblica’ impartiti fino dagli anni ’90 presso l’università degli Studi di padova o l’analogo seminario tenuto da paolo peduto nella sua università di Salerno da almeno una decina d’anni, fino ai moduli tenuti negli ultimi anni da chiara bonacchi presso la Specializzazione dell’università di Firenze.

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fig. 1 – il nuovo Montréal hotel, aperto a Shawbak (2011), in giordania, in seguito alle attività del progetto europeo eNpi Liaisons for Growth (missione dell’univer-sità di Firenze Petra ‘medievale’).

fig. 2 – il primo congresso nazionale di archeologia pubblica (Firenze, Sala d’armi 2012).

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archeologia pubblica e archeologia medievale

fig. 3 – lettura del territorio con gli strumenti metodologici dell’archeologia ‘leggera’: ricomporre una sintassi diacronica del contesto paesaggistico, scavi e ricognizioni ad intensità variabile, per una lettura storica del paesaggio del pratomagno e come strumento gestibile all’interno dei SiT

comunali e provinciali, per segnare/valorizzare il paesaggio e le sue componenti.

con una rapidità ed efficacia (sia pure un po’ a macchia di leopardo, com’è del resto nelle nostre tradizioni) che costituisce in sé un motivo di riflessione, gli ultimi anni hanno visto proliferare iniziative, variamente indirizzate ma tutte ascrivibili alla specificità d’approccio, peraltro in genere esplicitamente indicata, proprie della public archaeology; solo per esemplificare, l’attività messa in campo negli ultimi due anni – ancora una volta, significativamente – dalle cattedre di archeologia medievale: a padova, per impulso di gian pietro brogiolo, in particolare tramite contributi di sistema affidati a forum elettivamente italo-britannici ospitati con rilievo su pca, ma anche come promotore (insieme a m.c. parrello ed altri) del recente convegno di agrigento 6; a Sassari, con le ini-ziative di estremo interesse ed originalità di marco milanese, con caratteri di marcata originalità anche rispetto ai ‘modelli’ anglosassoni, che coniugano in particolare esiti di ricerche di archeologia territoriale sistematica con soluzioni innovative legate a strutture di comunicazione appositamente costituite (segno in sé, fra l’altro, di un convinto coinvolgimento di realtà locali); a Siena con marco valenti e giovanna bianchi

6 aa.vv 2012, convegno locale dedicato appunto all’archeologia pub-blica in Sicilia (Archeologia pubblica al tempo della crisi, organizzato dal parco archeologico e paesaggistico della valle del Templi, il 29-30 novembre 2013, ad agrigento; cfr. bonacchi 2013a).

che riprendono – con originalità ed appunto reinterpretan-do in chiave di archeologia pubblica specifiche iniziative di comunicazione per i grandi scavi che stanno conducendo sul territorio (come ora l’‘archeodromo’ di poggibonsi) – l’inten-sa, sistematica impostazione che, sull’intero territorio senese e grossetano, aveva dato, anche in questo anticipando i tempi, il magistero di riccardo Francovich. Naturalmente, esempi anche di notevole significato si potrebbero citare anche per altri settori dell’archeologia, ma certo che (a parte la presente circostanza dedicata al medioevo e ciò che, in poco più di un lustro, è davvero sorprendente) le iniziative in ambito medievistico sono davvero numerose, crescenti e in più casi, come quelli citati (si potrebbero aggiungere giuliano volpe a Foggia, paolo peduto a Salerno, Sauro gelichi a venezia, paul arthur a lecce …), tendenzialmente già a sistema, oltre singoli progetti. Tutto ciò si spiega anche per la ricca, articola-ta, competente tradizione non solo di studi ma di uso sociale dell’archeologia, sia pure condotto in altra ottica, per così dire fra mecenatismo ed alta professionalità, già matura e disponi-bile per coltivare il ‘nuovo’ settore muovendo da una risorsa (bbcc e competenze) ineguagliabile (potenzialmente…) 7.

7 citerei due esperienze di percorsi archeologici, in ambito di archeologia urbana, che possono rappresentare una sensibilità ed una prassi diffusa nella

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Nel contesto attuale, credo si possa considerare tematica e prassi, fra ricerca applicata e formazione avanzata, dell’arche-ologia pubblica anche come una risposta mirata ad affrontare, nel contempo, un rinnovamento di ruolo dell’archeologia accademica e la messa in cantiere di nuove progettualità sostenibili da proporre e condividere con realtà diverse della società civile, dalla ricerca scientifica – che potrebbe trarne significativi sostegni in un momento delicato come l’attuale – allo sviluppo economico (tramite servizi mirati 8, strutture 9, eventi 10), ad una diffusione indirizzata a segmenti specifici della società di prodotti (ma anche procedure) della disciplina in opera. Si tratta anche (in significativa coincidenza con il suo rapido diffondersi in tutta europa 11) di uno strumento potenzialmente in grado di affrontare una crisi che morde la società oramai strutturalmente reagendo in modo altret-tanto strutturale; interpretare l’attuale come un momento di svolta (appunto ‘crisi’) con anche, quindi, l’‘opportunità’ di ripensare convinzioni consolidate e/o abitudini incrostate (vannini 2011; brogiolo 2012). Si tratta anche, sui tali basi, di progettare ‘prodotti culturali’ attraverso la costruzione di una filiera complessa fondata su due elementi base: i beni culturali (come ‘materia prima’) e la ricerca scientifica (come ‘bene/prodotto’).

la sfida, a partire dalla dimensione scientifica, sta nel se-lezionare una serie opportuna di risultati per contribuire allo sviluppo delle comunità di riferimento; locali per un verso (identità consapevole e come processo, dal passato al futuro, per un presente condiviso), più ampie per altri aspetti (dal

cultura archeologica italiana, sia prima che al di fuori del diffondersi di un approccio esplicitamente di public archaeology: il ‘percorso attrezzato’ dell’an-tico palazzo dei vescovi di pistoia, il primo totalmente diacronico, un ‘evento’ che, fra l’altro, ha lasciato una traccia forte nella stessa sensibilità identitaria della comunità cittadina (rosati 2014) e l’affascinante itinerario archeologico allestito nell’interrato di palazzo valentini a roma dove, in particolare, è risolto in modo brillante e convincente, proprio sul piano della comunicazione (non solo) visiva, il cruciale rapporto fra base documentaria materiale e soluzioni di comunicazione, dove molto, molto spesso, per insufficiente condivisione di questa decisiva quanto delicata fase progettuale, letteralmente naufragano strutture espositive archeologiche anche attrezzate largamente con ‘nuove’ tecnologie informatiche. insomma il successo del progetto credo si debba non solo all’eccellenza dei protagonisti – piero angela per l’allestimento, eugenio la rocca per l’archeologia – quanto alla loro collaborazione, mantenuta anche per il programma di comunicazione intesa come momento creativo, parte in-tegrante della ricerca stessa (Le domus romane: http://www.palazzovalentini.it/).

8 come l’esperienza dell’‘atlante per l’edilizia medievale’. in sintesi, si tratta di uno strumento programmabile nell’ambito di ricerche territoriali complesse a carattere interdisciplinare, con taglio tendenzialmente diacronico, in un’ottica ad ‘archeologia globale’ e con gli strumenti delle ‘archeologie leggere’. un’opportuna selezione mirata dei risultati delle indagini sugli elevati costitu-isce la base per la costruzione di uno strumento, dotato di apparati tecnici di registrazione informatizzata dei dati, per una gestione dei bbcc del paesaggio storico, specificamente calibrata sulle necessità di tutela e intervento architet-tonico, urbanistico e territoriale, a partire dalla conoscenza della loro specificità culturale, così come la ricerca ha potuto contribuire a definire. la redazione di tali ‘atlanti’ è una delle ‘produzioni’ più caratteristiche del programma di attività che la cattedra di archeologia medievale ha avviato nell’ambito del ‘progetto Strategico d’ateneo’ di Firenze in regioni toscane e mediterranee. la prima realizzazione si riferisce ai territori dello ‘Stato’ aldobrandesco in area amiatina: Nucciotti 2008.

9 una delle più brillanti realizzazioni, con soluzioni d’avanguardia, è il museo di biddas (Sassari), basato sulle ampie ricerche degli insediamenti abbandonati sardi dirette da marco milanese (cfr. infra).

10 Si possono esemplificativamente citare le iniziative messe in cantiere per poggibonsi dallo staff di marco valenti.

11 al 19° congresso eaa, pilsen 2013, con una sessione per la prima volta dedicata alla Public Archaeology è emerso un panorama europeo già dinamico (fra una quindicina di contributi, fra i quali citerei il caso di Kalisz portato da Tadeusz baranowski (iaepaN), il primo in polonia; cfr. bonacchi 2014).

turismo informato ad una comunicazione non strumentale di radici – comuni o no – e connotati culturali ‘interessan-ti’). Si tratta tuttavia di costruire percorsi non strumentali a partire anche da opzioni metodologiche, certo di matrice scientifica (come potrebbe essere quella delle archeologie ‘leggere’, spese sul piano territoriale), ma che assumano già in fase progettuale la funzione ‘pubblica’ dell’archeologia (fig. 3). un approccio (vannini, Nucciotti 2011, pp. 44-45) che, a cominciare dal piano semantico, presenti – come in effetti è o almeno potrebbe bene essere – il bene culturale archeo-logico non come “rischio” ma, al contrario, come ‘risorsa’ da gestire per il territorio e per la comunità non solo residente: un’endiadi come tale inscindibile.

credo occorra anche considerare il bene culturale non solo come un patrimonio che ci è stato trasmesso ‘ogget-tivamente’ e che dobbiamo gestire (studiare, conservare, valorizzare, comunicare) per trasmetterlo (per così dire, nello spazio ai contemporanei e nel tempo a chi ci seguirà) a nostra volta; ma come un’eredità in cui pietre e uomini sono indissolubilmente connessi, in quanto frutto di una selezione – positiva e negativa (in senso anche stratigrafico…) – che ha interessato più generazioni che vi si sono in qualche modo riconosciute. così, l’interpretazione che l’archeologia pubblica propone supera la dimensione di sola gestione dei beni culturali e si apre a tutte le problematiche relative al rapporto tra ‘archeologia’ e ‘pubblico’, questo inteso nella sua duplice accezione di ‘stato’ e ‘società civile’ 12; un rapporto, fra conservazione e gestione, che contribuisce a ridefinire lo stesso ruolo dell’archeologo 13. infine questo approccio ‘pubblico’ dell’archeologia si propone di ridefinire il rap-porto che la disciplina instaura con il “pubblico”, sia come Stato 14 che come società civile 15. d’altra parte, a proposito della struttura del pubblico dell’archeologia contemporanea, è sorprendente quanto, anche negli ultimi anni, la cultura archeologica si sia guadagnata, in forme nuove, un proprio spazio nella vita stessa dei cittadini e come l’archeologia sia oggi un fatto ‘naturalmente’ pubblico.

Se ciò vale per ogni archeologia, certo l’archeologia me-dievale dispone, come altre, di alcune proprie specificità. possiamo qui limitarci a considerare – sul piano dei contenuti, certo, ma anche sotto il profilo metodologico – il patrimonio medievale come un’efficace chiave di lettura per una storia territoriale ad ampia diacronia; il paesaggio delle nostre campagne (e non solo) è ancora largamente improntato su strutture di popolamento, stratificatesi e consolidatesi in età medievale, la cui percettibilità materiale si è complessiva-mente conservata spesso in modo ancora sufficientemente organico, tale da costituire una traccia anche per ricomporre

12 «Any area of the archaeological activity that interacted or has the potential to interact with the public.» (Schadla-hall 1999).

13 Si vedano ora, in proposito, le considerazioni di giannichedda 2014. l’ampio e tuttora discusso settore dell’archeologia preventiva, può essere decli-nato in un’ottica di archeologia pubblica (cfr. i contributi di brogiolo 2012 e, diffusamente, di giuliano volpe).

14 il pubblico come «corpo collettivo della cittadinanza, in contrapposizione all’interesse e agli ambiti del privato» (van horn melton 2001), assunzione di un concetto sviluppato già in età romana.

15 merriman 2004; matsuda 2004. il pubblico come «gruppo di indi-vidui che dibattono questioni e consumano prodotti culturali e le cui reazioni sviluppano l’opinione pubblica» (habermas 1962), un concetto sviluppato dalla cultura illuminista.

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archeologia pubblica e archeologia medievale

fig. 4 – museo di biddas (Sassari), forse la prima ‘struttura’ di comuni-cazione realizzata in italia come opera di ‘archeologia pubblica’.

una sequenza che risalga alle epoche precedenti, oltre che co-stituire la base per leggere quanto intervenuto in età moderna, fino agli assetti della nostra contemporaneità. un territorio come incontro, anche sotto il profilo di un’identità delle comunità residenti rintracciata per via archeologica, in fondo un’ulteriore ricaduta, si potrebbe anche dire, dell’‘archeologia globale’ di Tiziano mannoni (mannoni 1994).

g.v.

1. archeologia pubblica 16 e medievale: uNa raSSegNa

Questo contributo ripercorre (selettivamente ma critica-mente) alcune tappe fondamentali che hanno condotto nel passato recente e recentissimo allo sviluppo in seno all’arche-ologia medievale italiana di uno specifico interesse rivolto alla conoscenza del (proprio) “pubblico” 17. gli esempi proposti allo scopo di illustrare specifici aspetti teorici o metodologici clas-sificabili come archeologia pubblica sono tratti soprattutto da progetti di ricerca e pianificazione implementati a partire dagli anni ’990 da archeologi medievisti italiani. Non trattandosi di un report la rassegna va considerata essenzialmente antologica ed esemplificativa, anche a causa della scarsa rappresentatività statistica di quanto finora edito in italia 18 sul tema discusso. Tuttavia, pur nelle condizioni date, quanto attualmente dispo-nibile consente di delineare piuttosto chiaramente un processo di progressiva definizione di un’area di archeologia pubblica (bonacchi 2013a) entro l’attuale archeologia medievale italiana. Nelle conclusioni vengono avanzate alcune proposte operative per integrare l’attività rivolta al pubblico nelle filiere dei prodotti scientifici e culturali del settore archeologico.

archeologia pubblica e archeologia medievale in italia

archeologia pubblica e archeologia medievale si sono frequentemente intrecciate negli ultimi anni. le maggiori iniziative nazionali esplicitamente presentate con ‘l’etichetta’ archeologia pubblica sono state infatti spesso promosse da archeologi medievisti, come (in ordine cronologico) la mo-stra internazionale da Petra a Shawbak. Archeologia di una Frontiera (vannini, Nucciotti 2009), il volume Archeologia Pubblica in Toscana: un progetto, una proposta (vannini 2011), il Primo congresso nazionale di Archeologia Pubblica in Italia (Firenze 2012, curato da chiara bonacchi insieme a chi scrive), il dossier Public Archaeology in Europe curato da gian pietro brogiolo per il secondo numero della rivista Post Classical Archaeologies (2/2012) e, infine, il recente convegno

16 intesa come «area disciplinare che ricerca e, su base scientifica, promuove il rapporto che l’archeologia ha instaurato (storicamente o nella contempora-neità), o può instaurare (in prospettiva futura) con la società civile» secondo la definizione proposta in vannini 2011 (pp. 139-140), a sua volta collocabile nell’ambito della recente riflessione scientifica di matrice anglosassone sul tema (merriman 2004; bonacchi 2013).

17 per una discussione nella letteratura archeologica italiana dell’ambiva-lenza semantica del termine “pubblico” si vedano Nucciotti in vannini 2011 e bonacchi 2011.

18 molti dati rilevanti per valutare l’impatto dell’archeologia pubblica nel quadro di progetti di ricerca e sviluppo in italia sono infatti reperibili quasi esclusivamente nella cosiddetta “letteratura grigia” (pubblicazioni interne, rela-zioni tecniche, progetti di ricerca, ecc.) difficilmente accessibile per definizione.

Archeologia pubblica al tempo della crisi (agrigento, 2013; recensito in bonacchi 2013a).

Seppure non si possa (né avrebbe senso) parlare dell’ar-cheologia pubblica italiana come di un’‘archeologia pubblica medievale’, in quanto ognuna delle iniziative citate è stata realizzata con il fondamentale contributo di colleghi arche-ologi non medievisti 19, è certo però che la ‘nostra’ comunità scientifica sta dimostrando, in questo momento, una forte capacità organizzativa e progettuale in direzione di una sintesi operativa che includa ricerca archeologica e pubblico. un orientamento che, in qualche modo, è stato rafforzato anche dalla “Società degli archeologi medievisti italiani” (Sami) con la creazione nel 2013 del Premio Riccardo Francovich 20 per i musei e parchi archeologici di ambito medievistico, la cui prima edizione ha premiato (ed è altrettanto significativo) il museo biddas dei villaggi abbandonati della Sardegna (Sorso, SS); un ente culturale rurale caratterizzato da una progetta-zione museologica consapevolmente “pubblica” (fig. 4) 21.

19 Si veda la lista dei componenti del comitato scientifico in Nucciotti, bonacchi 2012. anche online su: www.archeopubblica2012.it.

20 «il premio riccardo Francovich è destinato annualmente al museo o al parco archeologico che, a livello nazionale, rappresenti un caso di best practice di allestimento museografico, attività didattico-comunicative e qualità scientifica in grado di rappresentare adeguatamente le tematiche e le metodo-logie dell’archeologia post-classica» (http://archeologiamedievale.unisi.it/sami/premio-riccardo-francovich).

21 Sito ufficiale: www.museobiddas.it; sono inoltre disponibili online (a. 2014) video-presentazioni del museo con la partecipazione del direttore marco

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la disponibilità della redazione della principale rivista di settore dell’archeologia medievale italiana a ospitare questo e altri interventi dedicati all’archeologia pubblica confermano, infine, questo trend.

l’archeologia pubblica in italia prima dell’archeologia pubblica

Nel quadro logico 22 sviluppato per il ‘primo congresso di archeologia pubblica in italia’ 23 il contesto in cui si andava a collocare l’iniziativa veniva così sintetizzato: 1. insufficienti esperienze italiane di archeologia pubblica (ap)2. disponibilità a livello nazionale di un’ampia casistica di progetti pilota di messa in valore dei beni archeologici attuati dal pubblico dei destinatari 24. conseguente presenza di expertise inquadrabile nell’ambito dell’ap.3. disponibilità a livello internazionale delle conoscenze di ap integrative a quelle presenti in italia.4. disponibilità di giovani studenti e ricercatori disposti ad apprendere obiettivi e metodi dell’ap partecipando volon-tariamente alla realizzazione del progetto

a parte il punto quattro, che rappresentava una con-tingenza di carattere soprattutto organizzativo, la sintesi (tuttora attuale) evidenzia al punto due la presenza di quelle competenze, inquadrabili come ‘di archeologia pubblica’, già sviluppate in italia prima del 2012. esperienze di successo nella valorizzazione socio-economica del patrimonio arche-ologico divenute punto di riferimento (nazionale e non solo) per buone pratiche di gestione. È qui, infatti, che si rintrac-ciano le vere premesse strategiche per un pieno auspicabile sviluppo dell’archeologia pubblica italiana.

in questo quadro il 25% circa dei partecipanti alle tavole rotonde del congresso nazionale 25 erano archeologi medievisti e hanno offerto una casistica di rilevanza nazionale (e inter-nazionale) di esperienze di integrazione tra ricerca, sviluppo socio-economico locale e tutela 26. a tale proposito i lavori del congresso hanno messo in evidenza gli apporti ‘genetici’ forniti alla discussione sulla relazione tra ricerca archeologica e società civile da figure di primo piano dell’archeologia me-dievale italiana contemporanea e recente, tra i quali merita particolare attenzione il lavoro di riccardo Francovich, pre-cocemente orientato a rendere esplicita la funzione necessaria della ricerca archeologica (e medievistica) nella moderna pianificazione territoriale.

Nel volume del 2009 (preite 2009), ad esempio, veniva presentato, in forma pubblica, un masterplan che delineava pianificazione e implementazione delle strategie territoriali

milanese: www.youtube.com/watch?v=lXghS2htbga22 il congresso era stato pensato come un progetto di archeologia pubblica

e si era dotato di strumenti di monitoraggio e valutazione ex-ante, in-itinere ed ex-post basati sulla Logical framework analysis per la stesura di un quadro logico (o log-frame).

23 Sito ufficiale: www.archeopubblica2012.it/.24 Settori destinatari dell’iniziativa individuati dal comitato scientifico:

accademico, amministrativo, politico, piccola e media impresa, onlus.25 dieci interventi su un totale di trentotto (Nucciotti, bonacchi 2012). 26 per gli abstracts degli interventi: Nucciotti, bonacchi 2012; per gli

articoli della sezione Progetti: de Falco et al. 2012; per una discussione critica sui temi affrontati nella discussione: bonacchi 2013a; Zuanni 2013.

di valorizzazione del patrimonio e dei paesaggi minerari delle colline metallifere (in provincia di grosseto). il lavoro, in italiano e inglese, era articolato in cinque capitoli dedicati rispettivamente al paesaggio minerario, al patrimonio mi-nerario, alla presentazione della logica del masterplan, ai progetti realizzati nei comuni del parco (9 in tutto di cui 4 direttamente o parzialmente ricollegabili a musealizzazione e/o valorizzazione di aree archeologiche medievali – castel di pietra, monterotondo marittimo, montieri, montemassi) e al rapporto tra il masterplan e la pianificazione vigente. Si trattava di un’opera rivolta essenzialmente a portatori di interesse locali/specifici e alla comunità scientifica nazionale e internazionale 27, con una forte impronta metodologica.

per quanto riguarda l’interesse per il pubblico, la “carta dei prinicipi” (ibid., pp. 191-194), ratificata nel 2007 dai rappresentanti del parco 28 contiene un riferimento esplicito ai benefici socio-economici attesi per la popolazione resi-dente. Tra i principi della carta, infatti, al secondo punto si definisce il ruolo del patrimonio del parco come: «risorsa utile per promuovere virtuosi processi di sviluppo locale impostati su principi di sostenibilità ambientale e di rispetto dell’identità territoriale» (ibid., p. 192). il masterplanning delle colline metallifere rappresentava quindi una declinazione “multivocale”, pluridisciplinare e territoriale (dal basso) dei principi insiti nel decreto istitutivo del parco stesso, emanato dal ministro dell’ambiente il 2 maggio 2002 29. dal punto di vista della governance il volume del 2009 mostrava inoltre compiutamente la traduzione operativa di tematiche schiet-tamente scientifiche quali l’archeologia dell’architettura, l’archeologia dei paesaggi e l’archeologia della produzione, nel quadro degli strumenti di gestione amministrativa del parco, in questo adottando una prospettiva analoga a quan-to sperimentato in val di cornia (guideri 2012), in area amiatina-maremmana (Nucciotti 2008) o, ancora negli stessi anni, in puglia (volpe, di Zanni, laurenza 2009).

verso un nuovo ruolo del pubblico?

l’archeologia pubblica viene invece esplicitamente men-zionata tra le metodologie utilizzate nel progetto europeo di cooperazione Liaisons for Growth (2009-2012) per la creazione di distretti turistico-archeologici in giordania, italia e armenia (Nucciotti, Segnini 2013). il pubblico dei destinatari di questo intervento è stato estesamente analizzato attraverso campagne di studio dei visitatori e dei fruitori potenziali dei diversi prodotti della ricerca, basate su interviste e somministrazione di questionari di valutazione e progettazione partecipata. Nell’area di progetto giordana (il distretto di Shawbak, ma’an) i rilevamenti condotti hanno tra l’altro consentito di osservare il positivo impatto della

27 per certi versi assimilabile al Plan director de restauracion della cattedrale di vitoria (azkarate et al. 2001).

28 Tutti riferibili a livelli di governo locale (5 sindaci e i presidenti della comunità montana e della provincia di grosseto) a esclusione del presidente, in rappresentanza del governo nazionale.

29 dal punto di vista organizzativo il parco è un consorzio gestito «da un comitato rappresentativo di tutte le amministrazioni pubbliche coinvolte» (corsi 2009, p. 8). la “comunicazione istituzionale” si articola attraverso una serie di punti di accesso detti “porte del parco” concepiti come presidi locali (la gestione è affidata ai singoli comuni con l’ausilio di un coordinatore generale) per l’accesso turistico e lo sviluppo delle attività culturali/formative del parco.

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archeologia pubblica e archeologia medievale

tab. 1 – azioni previste per la validazione di archeologia pubblica sulle tipologie progettuali sviluppate dal papT (Nucciotti 2011, pp. 148-149, testo di chiara bonacchi).

PRODOTTO AZIONI DA INTEGRARE

Esposizioni temporaneeSviluppo del concept, front-end evaluation, sviluppo del progetto museologico (definizione della strategia per l’interpretazione, sviluppo della metodologia espositiva, sviluppo del percorso espositivo di dettaglio), progetto museografico, formative evaluation, realizzazione, summative evaluation

Esposizioni permanenti

Audience research, marketing research, definizione dell’identità del museo o di percorsi attrezzati sul sito stesso della ricerca (missione, valori, obiettivi, strategia), definizione del concept per ciascuna sezione, front-end evaluation, sviluppo di un piano per la gestione, sviluppo di un piano per la promozione, sviluppo del progetto museologico (definizione della strategia per l’interpretazione, sviluppo della metodologia espositiva, sviluppo del percorso espositivo di dettaglio), progetto museografico, formative evaluation, realizzazione, summative evaluations periodiche sul pubblico, monitoraggio dell’efficacia della gestione e della promozione

Parchi archeologico/tecnologici e Master Plans

Audience research, marketing research, definizione del concept, front-end evaluation, sviluppo di un piano per la gestione, sviluppo di un piano per la promozione, sviluppo del progetto museologico (definizione della strategia per l’interpretazione, sviluppo della metodologia per la comunicazione on-site, sviluppo del percorso espositivo di dettaglio), progetto museografico, formative evaluation, realizzazione, summative evaluations periodiche sul pubblico, monitoraggio dell’efficacia della gestione e della promozione

Catalogazione BB CC per Enti Locali o assimilabili

Analisi delle necessità di didattica e di ricerca, definizione campi per la catalogazione, realizzazione, disponibilità online per scopi di didattica e ricerca, promozione della risorsa, monitoraggio dell’efficacia a livello di fruibilità

Ricerca sul campo

Presentazione iniziale della ricerca alla comunità locale, open-days per scuole e comunità locale, partecipazione di non-specialisti all’attività di ricerca (sotto la direzione del responsabile della ricerca e nelle modalità sostenibili dai singoli progetti), comunicazione dei risultati ottenuti attraverso conferenze, realizzazione e aggiornamento di depliant/guide dei siti

WebSelezione segmenti destinatari, definizione standard di accessibilità, sviluppo del concept, definizione di struttura e grafica, sviluppo dei contenuti, realizzazione, monitoraggio del reach attraverso studi sulla frequentazione del sito e forum

Pubblicazioni scientifiche Affiancamento di comunicazioni online destinate a segmenti di pubblico non-specialistico sui temi oggetto delle principali pubblicazioni scientifiche prodotte dai diversi gruppi di ricerca

Film/Video

Audience research, selezione dei segmenti destinatari, front-end evaluation sui contenuti da comunicare, sviluppo del concept, pitch, sviluppo del format, sviluppo della sceneggiatura, definizione della scaletta di produzione, produzione, montaggio video e audio, distribuzione, analisi dei dati di ascolto e summative evaluation tramite focus groups

Altro Per i prodotti che non ricadono nelle tipologie sopra elencate il Comitato Scientifico di indirizzo, strategia e controllo valuterà ex ante, caso per caso, le misure di validazione di Archeologia Pubblica

mostra Da Petra a Shawbak. Archeologia di una Frontiera (bonacchi 2009b, 2011) sul contesto locale, con un aumento della visibilità del sito archeologico di Shawbak nel quadro dell’offerta turistica nazionale e un contributo alla crescita dei visitatori (+22% visitatori internazionali tra 2009 e 2010). al termine del progetto inoltre, nel dicembre 2012, l’attività di rete realizzata (basata sul “metodo leader”, v. Segnini 2011), mostrava di aver favorito un notevole au-mento dell’occupazione nel settore turistico-ricettivo locale, i cui addetti risultavano passati da 2 unità (2009) a circa 50 (2012). inoltre (e si tratta di un dato qualificante), la crescita occupazionale ha riguardato soprattutto il settore privato/imprenditoriale locale.

rispetto al masterplan delle colline metallifere e ai casi analoghi, i cui i modelli di intervento fanno più o meno direttamente riferimento al Cultural Resources Management (mcgimsey 1972), in Liaisons for Growth l’instaurazione dei rapporti di rete è stata estesa a tutti i soggetti pubblici e privati potenzialmente interessati allo sviluppo socio-economico del contesto di progetto. il “pubblico” non è stato cioè ‘descritto’ a priori ma è diventato esso stesso un oggetto della ricerca, la cui conoscenza (progressiva) ha interagito in modo dinamico con la progettazione dei prodotti previsti, modificandoli 30. un approccio che, tra l’altro, ha consentito di integrare nelle strategie e negli obiettivi progettuali i punti di vista, le pro-

30 ad esempio, nel masterplan delle colline metallifere non vengono espli-citamente definite le strategie e le metodologie di coinvolgimento di residenti e visitatori che presiedono all’attivazione dei valori potenziali del parco, e/o all’integrazione del “pubblico” nei processi decisionali. aspetti invece centrali sia in Liaisons for Growth, sia nella proposta di creazione di un polo di archeologia pubblica in Toscana (Nucciotti 2011).

spettive e le potenzialità espresse da soggetti generalmente sottorappresentati nella governance dei bb.cc. (in parte in analogia con le pratiche della Community Archaeology – Smith, Waterton 2009).

illuminante a questo proposito l’esito dello studio (2010-2011) condotto sui visitatori potenziali del ‘museo’ della rocca di arcidosso (gr), nel quadro del progetto di distretto turi-stico “amiata-maremma” previsto in Liaisons for Growth. le circa 200 interviste su questionario hanno infatti evidenziato una significativa incapacità di computare il tempo in secoli e di collocare temporalmente il medioevo (in due casi esteso fino al XiX secolo) da parte di alcuni degli intervistati. la conoscenza tempestiva di questo dato, correlato alla com-posizione della popolazione rappresentata 31, ha determinato modifiche nel lessico, nella sintassi e nella selezione degli argomenti del ‘museo’ stesso. al contrario, senza la ricerca sul pubblico, i testi prodotti (ad esempio quelli per i pannelli – cfr. Zifferero 1999) avrebbero potuto presentare difficoltà

31 «The sample that was analysed was composed for the most part of residents (58%), whereas 35% were tourists; half of the latter were visiting parents or friends during the summer, and 7% of the sample was composed of people who had travelled to arcidosso for reasons related to their business. The sample, was rather evenly subdivided into men and women (56% and 44% of the total, respectively), and shows a prevalence of people between 46 and 75 years old (55% of the total sample). The least represented group was the one of young people aged 25 to 36 years old (10%). The education level attained was generally low: 34% had attended up to lower secondary school and 44% had also obtained an upper secondary school diploma. only 17% held a university degree and a meagre 5% a postgraduate qualification as well. This information will be taken into consideration when developing the interpretation strategy for the museum. 25% of the sample consisted of retired people. among active workers, the most recurrent professions were: clerks (14%); qualified professions in commerce and services (14%); artisans, specialized plumbers and farmers (14%)», da: Liaisons for Growth: Final Narrative Report, p. 32 e ss. (offprint).

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di decifrazione e comprensione per i visitatori, tali da inficiare (parzialmente) gli obiettivi dell’intera azione.

la centralità del pubblico e il suo ruolo attivo nella progettazione, gestione e monitoraggio dei progetti di valorizzazione socio-economica di beni e ricerche archeo-logiche potrebbe quindi rappresentare (analogamente a quanto accaduto soprattutto nel regno unito) una delle attuali frontiere (forse quella più caratterizzante) della giovane archeologia pubblica italiana. integrando progressivamente conoscenze e metodologie di carattere sociologico nei dataset (e nelle pratiche – v. ricci 2006) di ricerche archeologiche e progetti di valorizzazione (ovvero, agendo sui processi), si dovrebbero cioè ottenere innovazioni migliorative nei pro-dotti. aspettativa per ora confortata dai (pochi) casi studio nazionali a disposizione.

un aspetto strettamente collegato al precedente è, infine, quello del monitoraggio qualitativo e quantitativo, da in-tendersi come ‘motore di sviluppo’ progettuale e strumento centrale di validazione del raggiungimento degli obiettivi prefissati. in questo senso, ad esempio, Simpson e Williams (2008) propongono di considerare la ricerca di un affidabile metodo di valutazione dell’impatto delle azioni di archeo-logia pubblica (e community archaeology) come una priorità generale per il settore archeologico tout-court, in quanto «for archaeology to survive on the government’s political agenda, when funding for heritage is under increasing pressure, it must provide the public service it claims to provide» (ibid., p. 87).

in questo senso sarebbe auspicabile una progressiva defi-nizione condivisa delle conoscenze da integrare nei progetti di ricerca archeologica (pura e applicata) al fine di validare un set di pratiche tra loro confrontabili, all’interno della comunità scientifica italiana. per il momento l’unica meto-dologia pubblicata in italia si riferisce al Polo di archeologia pubblica per la Toscana (papT – Nucciotti 2011), proget-tata in collaborazione tra rappresentanti di tutti i settori archeologici delle università statali toscane e rappresentanti dei soggetti territoriali pubblici e privati di sviluppo rurale. la proposta è stata inoltre ‘validata’ dal supporto espresso da rappresentanti nazionali e internazionali dei portatori di interesse ‘esterni’ (ibid., 151 e ss.). Si tratta, ovviamente, di un lavoro prodotto in occasione di una precisa contingenza e senza alcun fine manualistico. Tuttavia, rappresentando il frutto di una progettazione concettuale ed operativa piuttosto ampia e multidisciplinare e proponendo una declinazione ‘esecutiva’ delle pratiche di archeologia pubblica (9 degli autori sono inoltre archeologi medievisti), il papT può essere considerato un utile punto di partenza per una riflessione più generale e inclusiva sugli obiettivi a breve e medio termine di un’archeologia pubblica (anche medievale) in italia.

m.N.

2. riFleSSioNi Sulla comuNicaZioNe iN archeologia

Negli ultimi venti anni e prima ancora di divenire uno dei temi chiave del nascente settore dell’archeologia pubblica (bonacchi 2009a, 2013a; vannini 2011), la comunicazione in archeologia è stata oggetto di crescente interesse da parte

della comunità scientifica in italia, sebbene non vi siano stati tentativi di fornirne un inquadramento teorico e metodolo-gico complessivo.

Nel 1973, l’anno successivo alla pubblicazione del primo volume specificatamente dedicato alla Public Archaeology (mcgimsey 1972), si potevano già contare almeno centoven-tisei definizioni del termine ‘comunicazione’ e ancora oggi i significati ad esso attribuiti variano sensibilmente sulla base dell’orientamento teorico degli studiosi che se ne occupano (Steinberg 2007, p. 39). Nonostante la potenziale ricchezza di un simile orizzonte semantico, l’esperienza mostra come in archeologia si sia prevalentemente teso a riferirsi alla comuni-cazione rivolta a pubblici non specialistici utilizzando la parola ‘divulgazione’. Quest’ultima, corrispondente all’inglese disse-mination, suggerisce l’idea di un trasferimento d’informazioni dall’archeologo ad un pubblico sostanzialmente indifferenziato, secondo la linea dei modelli di comunicazione cosiddetti ‘di trasmissione’ (mcQuail 2005, pp. 62-63). Tali modelli sono stati sviluppati dal secondo dopoguerra in poi, in ambito tecnico-ingegneristico, con l’obiettivo di descrivere la comu-nicazione di massa, definita come mero passaggio di contenuti da una fonte (sender) ad un destinatario (receiver), attraverso un canale; secondo questo approccio, esistono dei messaggi ‘fissi’ che vengono inviati e recepiti passivamente nell’esatto modo in cui il comunicatore li ha codificati, producendo gli stessi effetti su chiunque li riceva (Fiske 2002, pp. 6-10).

anche alla luce della crescente diffusione dei nuovi media digitali, un effettivo coinvolgimento del pubblico in archeo-logia non può che fondarsi, invece, sul paradigma culturale di comunicazione, alternativo a quello ‘dominante’ al quale si ispirano i modelli di trasmissione sopra citati (mcQuail 2005, p. 68). Nell’ambito del paradigma culturale, la comu-nicazione è concepita come un processo attivo di costruzione di significato (ibid.), in continuità con la teoria educativa del costruttivismo, che a sua volta affonda le proprie radici nella riflessione di John dewey sull’apprendimento esperienziale, oltre che di piaget, bruner e vygotsky (hooper-greenhill 1997, p. 1). il costruttivismo ha origine dall’incontro di una teoria dell’apprendimento quale «selezione e organizzazione di dati a partire da una esperienza culturale» e di una epi-stemologia che intende la conoscenza come il risultato di interpretazione soggettiva (hein 1991; hooper-greenhill 1997, p. 1). Si tratta di un orientamento riassumibile nel prin-cipio che «coloro che apprendono costruiscono significato per se stessi – ognuno costruisce significato individualmente (e socialmente) mentre apprende» (hein 1991). Queste linee di pensiero sono state riprese e applicate nel campo della museologia soprattutto dagli anni ’90. Falk and dierking (1992, 2000), ad esempio, ne hanno fatto le fondamenta del primo modello capace di sintetizzare l’esperienza di visita al museo tenendo conto delle relazioni esistenti tra una serie di fattori che in precedenza erano stati studiati solo isolatamen-te. Secondo tale modello, l’esperienza di visita si configura come il risultato dell’interazione di tre sfere (o contexts) nel tempo: personale (ad essa attengono motivazioni, aspettative, interessi, esperienze pregresse e caratteristiche socio-demo-grafiche dei visitatori); sociale (il gruppo di persone con cui l’esperienza viene costruita e condivisa); fisica (lo spazio che ospita l’esperienza) (Falk, dierking 1992, 2000).

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archeologia pubblica e archeologia medievale

fig. 5 – mostra Da Petra a Shawbak. la prima mostra in italia redatta secondo i criteri dell’archeologia pub-blica. il ruolo della stagione crociato-ayyubide è stato al centro di approfondite valutazioni in sede di comitato scientifico per le implicazioni di carattere socio-politico (alto patronato della regina rania al-abdullah di giordania, del presidente della repubblica italiana e del presidente del parlamento europeo). creare un percorso espositivo che inviti il visitatore a partecipare attivamente al proprio processo di costruzione dei signi-ficati accanto al curatore (domande aperte, esperienze interattive, possibilità di lasciare il proprio feedback). Non percorso per bambini ma percorso per famiglie.

Nello sviluppare un progetto di comunicazione museale dell’archeologia, si terrà quindi conto delle variabili che afferiscono a ciascuna di queste sfere e le si analizzeranno con indagini ex-ante, in itinere ed ex-post. essendosi preposti obiettivi di apprendimento in chiave costruttivista, si andrà a valutare non ciò che di una mostra è stato compreso ma, piuttosto, come la conoscenza di determinati argomenti si è modificata e, se del caso, come si è accresciuta o consolidata e non si prenderanno in esame solo obiettivi relativi all’ambito della conoscenza ma anche, potenzialmente, dell’acquisizione di competenze, del cambiamento di attitudini, valori o com-portamenti, e della creatività (hooper-greenhill 2002). la sistematizzazione su ampia scala (territoriale e disciplinare) di queste operazioni di ricerca costituirebbe una innovazione di processo in grado di produrre due vantaggi sostanziali. da un lato, favorirebbe una più lucida definizione degli scopi della comunicazione, dall’altro ne consentirebbe la misurazione. in ultima analisi, i dati raccolti permetterebbero di dimostrare, quantitativamente e qualitativamente, il cosiddetto ‘impatto

sociale’ della ricerca, facilitando anche il dialogo con ammi-nistratori e partner privati.

un ruolo tanto importante quanto spesso trascurato è giocato poi dal contesto socio-culturale più ampio entro cui i processi di comunicazione archeologica si svolgono. ad esempio, precedenti studi hanno rivelato come le modalità di partecipazione del pubblico italiano e di quello britannico differiscano sostanzialmente (bonacchi 2012, 2014). in gran bretagna, il coinvolgimento assume forme generalmente più mediate e la comunicazione museale, televisiva e via internet sono quelle scelte più di frequente per avvicinarsi all’arche-ologia (ead. 2014). in italia, invece, il web e la televisione sono utilizzati molto meno a tale scopo, mentre risultano più diffuse le visite a musei e siti archeologici (ead. 2014), che spesso però lasciano i visitatori insoddisfatti per quegli aspetti che attengono alla progettazione museologica (ead. 2012; misiti, basili 2009). la soglia del cosiddetto digital divide, per la comunicazione archeologica in particolare, è poi sensibilmente più bassa in italia, dove si attesta attorno ai 45

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anni, rispetto ai 65 della gran bretagna (bonacchi 2012). la stessa comunicazione televisiva ha assunto un volto profon-damente diverso nei due paesi e, mentre in italia sono stati prodotti prevalentemente format di carattere giornalistico, nel regno unito ha conosciuto grande popolarità, per quasi un ventennio (dal 1994 al 2013), il programma televisivo Time Team (bonacchi 2013b, 2014; Taylor 1998). in questa serie Tv, un presentatore (Tony robinson) segue il lavoro di un gruppo di archeologi impegnati in attività di scavo e incarna il punto di vista del telespettatore che, interessato, pone domande agli ‘esperti’ (bonacchi 2013b; Taylor 1998).

due percorsi espositivi a confronto

a partire dall’osservazione di due casi studio, la mostra Da Petra a Shawbak. Archeologia di una Frontiera e la Medieval Gallery del Museum of London, le due sezioni che seguono illu-streranno come la comunicazione museale offra, in italia, un terreno particolarmente fertile per promuovere la conoscenza dell’archeologia come disciplina storica di forte attualità.

la mostra Da Petra a Shawbak. Archeologia di una Frontiera, promossa dalla cattedra di archeologia medievale dell’uni-versità di Firenze in collaborazione con il dipartimento di antichità di giordania, è stata inaugurata a palazzo pitti il 12 luglio 2009 (vannini, Nucciotti 2009). l’esposizione mirava a comunicare i risultati di oltre venti anni di ricerca svolta dalla missione archeologica Petra ‘Medievale’-Progetto Shawbak, presentando la storia della Transgiordania, di petra e Shawbak attraverso la chiave interpretativa della ‘frontiera’ e i metodi dell’archeologia ‘leggera’ (vannini 2009). Si voleva soprattutto restituire il ruolo diverso e mutevole nel tempo che la frontiera ha rivestito, nella giordania del sud, dal pe-riodo nabateo sino al ventesimo secolo (vannini, Nucciotti 2009). attraverso questa narrazione si è anche inteso sotto-lineare come la frontiera medievale costituisca una struttura storica fondante alla base dell’identità contemporanea dei paesi che si affacciano sul mediterraneo (vannini 2009). la riscoperta di questa funzione ha permesso di porre l’accento sulla vocazione dell’archeologia quale strumento in grado di consentire riletture critiche del presente.

Nel promuovere l’incontro di un pubblico diversificato con questi contenuti, il progetto museologico ha teso a facilitare l’intero spettro di possibili esperienze museali così come descritto da Kotler e Kotler (1998) (bonacchi 2009b, 2011, 2014). il percorso espositivo prevedeva al suo interno un’ampia gamma di media, tra cui reperti, ricostruzioni a scala ridotta o naturale, illustrazioni archeologiche, espe-rienze interattive per famiglie con bambini in età trai 5 e i 7 anni e varie tipologie di testo (fig. 5). Questi exhibits sono stati organizzati in unità espositive, ciascuna corrispondente ad una diversa funzione della frontiera in un dato periodo storico (ead. 2009b).

la metodologia espositiva adottata per la mostra si è ispirata a quella elaborata in occasione del rifacimento della Medieval Gallery del Museum of London, portato a termine nel 2005 (Jeater 2006). l’aspetto attuale della Gallery è, infatti, il risultato di una ristrutturazione della sezione me-dievale originaria, compiuta al fine di aggiornare il percorso espositivo alla luce delle scoperte archeologiche intervenute

dagli anni ’70 in poi (ibid.). oggi, la Medieval Gallery mette a fuoco i significati storici della cultura materiale esposta, proponendosi di comunicare: «… the history and archaeology of not only the urban centre but of the London region throu-ghout the period ad 410 to 1558, from a broad national and international viewpoint» (amos 2004).

diversamente dal precedente assetto della sezione, che presentava la città medievale di londra secondo un criterio esclusivamente tematico, la struttura della nuova Gallery è scandita da tre landmarks dalle implicazioni significative per la storia sociale del centro urbano e della regione circostante: la fondazione di lundenburg (886), la Black Death (1348-49) e il Supremacy Act (1534). particolare rilievo è attribuito, infine, ai temi ritenuti di «maggiore interesse per la contem-poraneità», tra cui il popolamento della città di londra, la vita domestica e la casa, la salute e la medicina, il lavoro e le professioni, la religione e le credenze e la diversità culturale della popolazione di londra nel suo complesso (amos 2004).

Nell’ambito di una più ampia ricerca sulla comunicazio-ne dell’archeologia (bonacchi 2012, 2013b, 2014), è stato effettuato uno studio comparato sui visitatori della mostra Da Petra a Shawbak e della Medieval Gallery del Museum of London. l’analisi ha preso in esame due campioni, ciascuno di 500 visitatori adulti in età non inferiore ai 18 anni, che sono stati selezionati casualmente mentre uscivano dai due spazi museali e sottoposti ad interviste strutturate, condotte con l’ausilio di un questionario composto da domande chiuse e aperte. ambedue i campioni erano costituiti per circa la metà da visitatori residenti, rispettivamente, in italia (il 53% del campione totale della mostra) e in gran bretagna (il 54% del campione totale della Medieval Gallery). Quando non diversamente indicato, le analisi riportate di seguito si riferiscono a questi due sotto-gruppi e sono da considerarsi rappresentative con un margine di errore approssimativa-mente pari al ±6% all’intervallo di fiducia del 95% 32. la composizione dei due sotto-campioni, dal punto di vista socio-demografico è illustrata nella tab. 2.

esperienze di visita e percezione dell’archeologia

come si è già avuto modo di rilevare, sia la mostra che la Gallery hanno voluto porre l’accento sul rapporto che la ricerca archeologica consente di stabilire tra ricostruzione storica del passato e comprensione profonda del presente. Questo tema, tuttavia, è diversamente messo in luce dai due percorsi espositivi. la mostra Da Petra a Shawbak, infatti, ha proposto una sintesi interpretativa derivante dal lavoro di un team accademico di ricerca interessato a rispondere a specifici interrogativi storici. la Medieval Gallery, invece, è stata realizzata con lo scopo di restituire la storia di londra nel medioevo senza però che venisse adottato un particolare filtro interpretativo e partendo dalla necessità di comunicare le collezioni del museo.

per comprendere entro quali limiti i due modelli espositivi riuscissero nell’intento di evidenziare il ruolo dell’archeologia come disciplina storica di rilievo per la società contempo-

32 le osservazioni pertinenti a ciascuno dei due campioni nel suo complesso (N = dimensione del campione = 500) sono invece valide con un margine di errore del ±4% circa all’intervallo di fiducia del 95%.

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archeologia pubblica e archeologia medievale

Medieval Gallery del Museum of LondonCategorie di risposta** identificate in inglese Percentuale valida

Visitatori residenti in Gran Bretagna Campione totaleArchaeology as material remains/material culture 5 3Archaeology as the process of reconstructing history/the past 31 34.5Archaeology as the process of digging/discovery of evidence 11.5 11Archaeology as the process of studying material remains/cultures in order to understand the past 11.5 10Archaeology as the process of studying material remains/culture 9 7.5Archaeology as time travelling 2 1.5Archaeology as past events 2 3Archaeology as understanding history/the past to understand the present and build the future 15.5 11Archaeology as the study of human evolution 6 10Archaeology as the process of understanding the past through digging/discovering material remains 0 1Archaeology as the process of reconstructing the past by digging/discovering material remains and studying them 3 3

Archaeology as the study of others 1 1Archaeology as the process of reconstructing history through the environment 1 0Archaeology as finding and studying material remains 1 1

tab. 3

Medieval Gallery del Museum of London Mostra Da Petra a ShawbakVisitatori residenti in Gran Bretagna Visitatori residenti in Italia

Percentuale valida Percentuale validaUomini 48 Uomini 39Donne 52 Donne 6118-25 13 18-25 1026-35 21 26-35 1636-45 16 36-45 1446-55 17 46-55 1256-65 20 56-65 2966-75 10 66-75 1676+ 3 76+ 3O Level/GCSE 17 Elementari 1A Level 24 Medie inferiori 10Titolo di laurea 34 Medie superiori 41.5Titolo post-laurea 25 Titolo di laurea o post-laurea 47

tab. 2

ranea, si è chiesto ai visitatori che lasciavano i due spazi museali di fornire una definizione di ‘archeologia’. ciò ha consentito di valutare la conoscenza della disciplina che i rispondenti possedevano al termine del percorso espositivo. interviste sia in entrata che in uscita avrebbero consentito una misurazione più accurata dell’impatto dell’esperienza di visita al netto delle conoscenze pregresse dei rispondenti, ma non è stato purtroppo logisticamente possibile effettuare una survey all’ingresso della mostra. l’analisi rimane tuttavia giustificabile alla luce di uno studio sull’apprendimento dei visitatori che ha dimostrato un accrescimento conoscitivo diffuso sia tra i visitatori della Medieval Gallery che tra quelli del percorso Da Petra a Shawbak (bonacchi 2014).

a coloro che hanno partecipato alle due survey, è stato chiesto: “How would you define archaeology?” (ai rispondenti di madrelingua italiana: “come definirebbe l’archeologia?”) e le risposte fornite dai due campioni sono state analizzate separatamente. per i visitatori della Medieval Gallery sono state individuate quattordici categorie di risposta di cui si è misurata la ricorrenza (tab. 3) e queste classi di risultati sono state poi ulteriormente raggruppate e ridotte alle seguenti cinque: ‘archeologia come disciplina avente uno scopo storico o come storia’, ‘archeologia come cultura materiale’, ‘archeologia come processo (senza l’identificazione di uno scopo storico)’, ‘archeologia come viaggio nel tempo’, ‘altro’.

la distribuzione delle risposte mostra che la maggioranza dei visitatori della Gallery residenti nel regno unito (71%) ha definito l’archeologia come una disciplina storica, mentre solo il 21% l’ha descritta come semplice operazione di scavo e senza menzionare il fine ultimo di individuare una risposta a interrogativi storici di ricerca. percentuali molto più basse di rispondenti hanno identificato l’archeologia con la cultura materiale (5%), oppure, in termini più generici, con un ‘viag-gio nel tempo’ (2%). più in particolare, del 71% costituito da coloro che hanno riconosciuto la vocazione dell’archeologia come disciplina storica, il 15,5% ne ha posto in evidenza la capacità di facilitare una più approfondita conoscenza del presente, utile anche a progettare il futuro della nostra società.

rispondendo alla stessa domanda, il campione della mostra Da Petra a Shawbak. Archeologia di una Frontiera ha invece fornito definizioni classificate come segue: ‘studio del passato/ricostruzione della storia attraverso manufatti e altri resti materiali’; ‘storia’; ‘studio del passato per comprendere il presente e costruire il futuro’, ‘lo studio delle civiltà’, ‘una avventura nello spazio e nel tempo o attraverso la conoscenza e l’immaginazione’, ‘lo studio del passato e la ricostruzione della storia attraverso lo scavo e l’interpretazione dei manufat-ti’, ‘scavo’, ‘altro’. la maggior parte dei rispondenti ritiene che l’archeologia sia ‘lo studio del passato/la ricostruzione della storia’ (26%), facendo pertanto riferimento allo scopo storico

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della disciplina ma non ai metodi della ricerca. il 20% dei visitatori intervistati ha poi dimostrato di cogliere i caratteri di attualità dell’archeologia, descrivendo quest’ultima come un modo di studiare il passato che aiuta la comprensione del presente e contribuisce positivamente alla costruzione informata del futuro. Questo dato, in particolare, rivela la più marcata efficacia della mostra, rispetto alla Medieval Gallery del Museum of London, nel presentare l’archeologia come materia di potenziale interesse per la contemporaneità.

le considerazioni contenute in questo breve testo dedicato alla comunicazione in archeologia contribuiscono a mostrare come l’università italiana e i gruppi di ricerca al suo interno possano svolgere un ruolo significativo per lo sviluppo ef-fettivo dell’archeologia pubblica in italia, anche attraverso percorsi museali capaci di promuovere una maggiore consa-pevolezza del valore dell’archeologia come disciplina storica; un valore che deriva dalla ricerca pura e dalle interpretazioni che questa produce. com’è stato qui esemplificato, l’arche-ologia pubblica fornisce quel framework di teoria e metodo che permette di individuare e monitorare i migliori ‘usi pubblici’ degli assets archeologici. Si rende pertanto più che mai auspicabile, in italia, una istituzionalizzazione di questo settore che dia concretamente seguito alle riflessioni condivise su questi temi, negli ultimi anni (bonacchi 2009b, 2013a, 2014; brogiolo 2012; vannini 2011).

c.b.

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SummaryPublic Archaeology and Medieval Archaeology.The last few years have seen a fast-encroaching movement in

public archaeology, avowedly anglo-Saxon in background, aimed at uniting theoretical frameworks and operational practices drawn from the traditions and experiences of different schools of thought. This is particularly the case in relation to the management of archaeological heritage, communication, and identity issues. in italy this has been happening earlier than elsewhere, especially in the field of medieval archaeology. This paper gives an overview (both selective and critical) of a number of milestones which have led to the development within italian medieval archeology of a particular interest in, and awareness

of, its own “public”, in its dual sense of both ‘state’ and belonging to ‘civil society’. Starting from the results of field research, archaeological research is considered as a discipline sharing the demand for functional sustainability (considering archaeology as a tool) with the demand for economic sustainability (in terms of profitability) with both public and private entities. Thus, specialists in different fields are addressed. The formal introduction of this research field in italy can be traced back to the inauguration of the 1st Congress of Public Archaeology (Florence 2012). however, activities directly influenced by this approach were already taking place in the academic world, both in terms of advanced training (at the universities of padua, Salerno and Florence), and in terms of research experiences (eu development projects such as enpi-ciudad, for Shawbak – Jordan). Finally, this paper focuses on communication in archeology, conceived as an active process of con-structing meaning and as a connecting link between the varied aspects of public archaeology. comparative case studies from recent british and italian experiences (the Medieval Gallery at the Museum of London; the exhibition From Petra to Shawbak) are used to elucidate this argument.

RiassuntoNegli ultimi anni è in atto in europa un movimento che sta rapi-

damente consolidando cornice teorica e prassi operative di una Public Archaeology (in specie: governo dei bbcc archeologici, comunicazione, identità) che, di riconosciuta matrice anglosassone, viene declinata riprendendo tradizioni ed esperienze delle diverse Scuole. in italia ciò sta avvenendo prima che altrove, specie in ambito medievistico. Questo contributo ripercorre (selettivamente e criticamente) alcune tappe fon-damentali che hanno sviluppato recentemente in seno all’archeologia medievale italiana uno specifico interesse rivolto alla conoscenza del (proprio) “pubblico”, nella sua duplice accezione di ‘stato’ e ‘società civile’. Si tratta di un’interpretazione dell’archeologia che, a partire dai risultati della ricerca sul campo, condivide con soggetti pubblici e privati della società civile esigenze di sostenibilità funzionale (strumenti) ed economica (redditività), tramite una progettualità specialistica. Se l’atto di introduzione in italia di tale settore disciplinare può riconoscersi nel I Congresso Nazionale di Archeologia Pubblica (Firenze 2012), attività esplicitamente riferite a tale approccio erano già in atto in ambito accademico (sia di formazione avanzata: padova, Salerno, Firenze; sia come esperienze di ricerca: progetto europeo di sviluppo territoriale ciudad-eNpi per Shawbak). una focalizzazione è dedicata alla comunicazione in archeologia, concepita come un processo attivo di costruzione di significato e collante delle diverse anime della Public Archaeology, anche mettendo a confronto esperienze recenti britanni-che (Medieval Gallery del Museum of London) ed italiane (mostra Da Petra a Shawbak).

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ISSN 0390-0592ISBN 978-88-7814-607-5

Numero Speciale

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Quarant’anni di Archeologia Medievale in ItaliaLa rivista, i temi, la teoria e i metodia cura di Sauro Gelichi