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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 9 GIUGNO 2012 ANNO 15 N. 23 RAP ITALIA, IL PUNTO ENRICO CARUSO, IL MUSEO COMUNISTA A PARTE di SILVANA SILVESTRI ●●●Sarà stato più difficile che scendere nelle viscere della terra e filmare i minatori del Sulcis, più ancora che strappare agli operai della Fiat il significato del loro «sì». Fare un film su un «soggetto politico» come Luciana Castellina non deve essere certo stato facile. Personaggio troppo abile nel confronto dialettico, seduttivo, problematico, testimone di una parte decisiva della storia e anche della storia travagliata del nostro giornale, possiamo immaginare quanti ostacoli da superare pur nell’affettuoso raccontarsi ci siano da superare per un cineasta. Ma anche Daniele Segre è un magistrale incantatore e il risultato è Luciana Castellina, comunista, film che si presenta venerdì 15 in concorso al Biografilm Festival di Bologna, International Celebration of Lives alla presenza della protagonista. Dal dopoguerra e dalle annotazioni del suo diario politico iniziato a scrivere nel ’43, dalle sue attività nel partito, nelle brigate internazionali, fin da quel primo comizio tenuto a Brindisi nella piazza gremita di soli maschi (che ci piace sempre sentire raccontare), di tutto quel percorso parallelo che si doveva eludere finché non fu evidente che anche il femminismo aveva una sua identità e un suo decoro, della prigione per volantinaggio o per manifestazione e dei viaggi, della porta numero 2 della Fiat. E per quanto ci riguarda, soprattutto del «manifesto» di cui non mette in evidenza il lato debole, ma quello più avanzato, più eroico, quello che ci portò a fare le prime innovazioni rispetto a tutta la stampa, tanto che vennero perfino dalla Francia e dalla Germania a vedere come si lavorava. La sua voce decisa è proiettata verso il pubblico, della sua vita privata Daniele Segre riesce a far intuire le tante sfumature del carattere, i tanti ostacoli superati di slancio nei risvolti di un racconto, di un gesto. Insomma una trama intessuta di coraggio, una storia rivoluzionaria. Il titolo del libro che raccoglie l’esperienza didattica di Segre nello straordinario laboratorio tenuto nelle Marche, «L’amorosa visione», si adatta perfettamente al suo stile di ripresa. Così ricordiamo i film dedicati a personaggi mai sotto i riflettori, una visione che è come una magia di progressivo e impensabile avvicinamento: «È semplicemente la definizione di un rapporto, di una intensità, dice, e questo nasce e genera il pensiero di fare qualcosa con la macchina da presa. è un approdo naturale e reciprocamente voluto, con grande affetto ma anche con intenzionalità di vivere un’esperienza. E questo produce intensità sicuramente, per me indelebile rispetto ai rapporti che vivo e che si mantengono poi nel tempo». Non è così facile avvicinare un personaggio pubblico. Molti dei personaggi ripresi nei suoi film sono personaggi poco visibili, invece con Luciana Castellina, gli diciamo sarà sicuramente stato più difficile entrare in profondità, così come scrive anche nelle sue note di regia dove sottolinea: Raccontare Luciana Castellina non è stato facile. «Innanzi tutto dovevo scalfire una corazza per almeno intuire un’intimità che mi potesse restituire l’umanità di una persona. Tutto è partito da una reciprocità di studio per convincersi che si poteva fare. Più che tempo, che è sempre poco, c’è voluta molta concentrazione, almeno da parte mia per capire e farmi indicare da lei un cammino di ricerca comune che potesse aiutarci a capire quello che stavamo cercando, perché è talmente ricca la storia di Luciana. Lei è straordinaria, è qualcosa di unico come intelligenza, come lucidità che è come un fiume in piena. Ovviamente ho dovuto trovare LA STORIA DI LUCIANA CASTELLINA, DAL «MANIFESTO» A STRASBURGO IN UN FILM DEL CINEASTA ITALIANO DANIELE SEGRE IN PROGRAMMA AL BIOGRAFILM FESTIVAL DI BOLOGNA FOOTBALL FROM URSS IL CLOWN TOMASZEWSKI RON MANN TOLSTOIJ GIULIANO TAVIANI TEARDO BALANCING STONES LAURA ROSSO FILM SCHOOL SEGUE A PAGINA 2 Luciana Castellina sul set del film di Daniele Segre

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MUSICA » ARTI » OZIO SUPPLEMENTO SETTIMANALE DE «IL MANIFESTO» SABATO 9 GIUGNO 2012 ANNO 15 N. 23

RAP ITALIA, IL PUNTO ENRICO CARUSO, IL MUSEO

COMUNISTA A PARTE

di SILVANA SILVESTRI

●●●Sarà stato più difficile che scendere nelleviscere della terra e filmare i minatori delSulcis, più ancora che strappare agli operaidella Fiat il significato del loro «sì». Fare un filmsu un «soggetto politico» come LucianaCastellina non deve essere certo stato facile.Personaggio troppo abile nel confrontodialettico, seduttivo, problematico, testimonedi una parte decisiva della storia e anche dellastoria travagliata del nostro giornale, possiamoimmaginare quanti ostacoli da superare purnell’affettuoso raccontarsi ci siano da superareper un cineasta. Ma anche Daniele Segre è unmagistrale incantatore e il risultato è LucianaCastellina, comunista, film che si presentavenerdì 15 in concorso al Biografilm Festival diBologna, International Celebration of Lives allapresenza della protagonista. Dal dopoguerra edalle annotazioni del suo diario politico

iniziato a scrivere nel ’43, dalle sue attività nelpartito, nelle brigate internazionali, fin da quelprimo comizio tenuto a Brindisi nella piazzagremita di soli maschi (che ci piace sempresentire raccontare), di tutto quel percorsoparallelo che si doveva eludere finché non fuevidente che anche il femminismo aveva unasua identità e un suo decoro, della prigione pervolantinaggio o per manifestazione e dei viaggi,della porta numero 2 della Fiat. E per quanto ciriguarda, soprattutto del «manifesto» di cui nonmette in evidenza il lato debole, ma quello piùavanzato, più eroico, quello che ci portò a farele prime innovazioni rispetto a tutta la stampa,tanto che vennero perfino dalla Francia e dallaGermania a vedere come si lavorava. La suavoce decisa è proiettata verso il pubblico, dellasua vita privata Daniele Segre riesce a farintuire le tante sfumature del carattere, i tantiostacoli superati di slancio nei risvolti di unracconto, di un gesto. Insomma una trama

intessuta di coraggio, una storia rivoluzionaria.Il titolo del libro che raccoglie l’esperienza

didattica di Segre nello straordinariolaboratorio tenuto nelle Marche, «L’amorosavisione», si adatta perfettamente al suo stile diripresa. Così ricordiamo i film dedicati apersonaggi mai sotto i riflettori, una visione cheè come una magia di progressivo e impensabileavvicinamento: «È semplicemente ladefinizione di un rapporto, di una intensità,dice, e questo nasce e genera il pensiero di farequalcosa con la macchina da presa. è unapprodo naturale e reciprocamente voluto, congrande affetto ma anche con intenzionalità divivere un’esperienza. E questo produceintensità sicuramente, per me indelebilerispetto ai rapporti che vivo e che simantengono poi nel tempo». Non è così facileavvicinare un personaggio pubblico. Molti deipersonaggi ripresi nei suoi film sonopersonaggi poco visibili, invece con Luciana

Castellina, gli diciamo sarà sicuramente statopiù difficile entrare in profondità, così comescrive anche nelle sue note di regia dovesottolinea: Raccontare Luciana Castellina non èstato facile.

«Innanzi tutto dovevo scalfire una corazzaper almeno intuire un’intimità che mi potesserestituire l’umanità di una persona. Tutto èpartito da una reciprocità di studio perconvincersi che si poteva fare. Più che tempo,che è sempre poco, c’è voluta moltaconcentrazione, almeno da parte mia percapire e farmi indicare da lei un cammino diricerca comune che potesse aiutarci a capirequello che stavamo cercando, perché ètalmente ricca la storia di Luciana. Lei èstraordinaria, è qualcosa di unico comeintelligenza, come lucidità che è come unfiume in piena. Ovviamente ho dovuto trovare

LA STORIA DI LUCIANA CASTELLINA, DAL «MANIFESTO»A STRASBURGO IN UN FILM DEL CINEASTA ITALIANO DANIELE

SEGRE IN PROGRAMMA AL BIOGRAFILM FESTIVAL DI BOLOGNA

FOOTBALL FROM URSS IL CLOWN TOMASZEWSKI

RON MANN TOLSTOIJ GIULIANO TAVIANI TEARDOBALANCING STONES LAURA ROSSO FILM SCHOOL

SEGUE A PAGINA 2

Luciana Castellinasul set del filmdi Daniele Segre

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(2) ALIAS9 GIUGNO 2012

IL FESTIVAL

BIOGRAFILM FE

Luciana Castellina si racconta nel viaggio della sua vita,una storia bella e importante del nostro paese: e DanieleSegre che come lei ha dedicato la vita a farsi portavoce dellelotte dei lavoratori, ne svela le inquietudini più profonde

Foto di scena di Luciana Castellina (diDaniele Segre) ritratto di Daniele Segre. La

tessera del Pcidelle soluzioni di sintesi. Alcunequestioni che ho approfondito non leho utilizzate. Dopo che il film saràpresentato al festival metteremo incantiere il dvd e nel dvd ci saranno gliextra con tutte le cose che ha detto eche non ho messo nel film, ma chesono straordinarie, però io ho dovutoprendere la linea di raccontare«Luciana Castellina» e lei è talmentericca di esperienza che è risultatodifficilissimo al montaggio intuire,costruire, raccontare e mantenereun’identità al film e non perdermi intutta una serie di avventure che lei miha proposto e sono tante. È statomolto difficile trovare una quadra chepotesse dare il senso di come era lei,di come volevo raccontare la storia dicome è stata e di come è ancora.

●Come la volevi raccontare? Comeuna protagonista della politica?No, il mio tentativo era quello diraccontarla come donna. Comedonna nel suo progetto di vita contutto quello che ha significato, dipercorso complesso e anche per certiversi con delle combinazioni chesono arrivate al momento giusto eche le hanno permesso di capire e diandare avanti nel suo cammino. Èuna donna molto forte, che si ècontrollata molto, almeno dal miopunto di vista e questo è stato unelemento di difficoltà nell’approccio.Però credo che lei mi riconosca e amimolto il lavoro che faccio. Solorecentemente ha scritto su Sic Fiat unpezzo dal mio punto di vistamemorabile rispetto al mio lavoro diregista per quanto riguarda tutte lecose che ho fatto sul mondo dellavoro. Quindi da questo punto divista avevo fiducia che leicomprendesse la volontà, il desiderioreale, vero di mettermi in condizionedi poterla raccontare. E poi ognunoha fatto la sua parte.

●Un testa a testa sportivo eamorosoPer tutte le persone che ho avutol’onore di raccontare, Luciano Lischi,Morando Morandini, Lisetta Carmi,ma anche Adriana Prolo, lafondatrice del Museo del cinema, cheè stata la primogenita di questi ritrattianche se l’ho fatta nell’87, c’è sempreun rapporto affettivo, nel senso cheribadisco che come prima cosa è il

rapporto che determina la relazione.La qualità del rapporto è il motivodell’attrazione reciproca perchéquesto deve essere un meccanismoche scatta ed è chiaro che in questocaso dipende dal regista che desiderafare un film su questa persona, non èmai la persona che mi chiede di fareun film su di lei. Quindi in me devescattare un desiderio.

●Questo film potrebbe essere unospecchio, un’altra prospettiva deituoi film sul lavoro operaio.Qualcosa di speculare rispetto al

suo lavoro nel sindacaleQuesto anche negli altri film, nonsolo nei ritratti, ci sono elementi chemi riguardano molto da vicinoperché sono anch’io così. Con LisettaCarmi c’è stata una combinazionestraordinaria, perché ho deciso difare un film su di lei dopo esserestato a Ravenna a vedere una suamostra e lì l’ho incontrata per laprima volta. Io conoscevo il suolavoro di fotografa, è stata la primadonna che ha fotografato i travestiti aGenova alla metà degli anni ’60, eanch’io ho fatto un film sui travestiti,

lei è ebrea di origine e anch’io sonoebreo, faceva la fotografa e anch’iofacevo il fotografo. Con Morando c’èun rapporto di amicizia piùprofonda, lo conoscevo quando hoiniziato a fare il codirettore a Bellariacon Antonio Costa e Morandini.Quindi c’è un rapporto con questepersone costruito nel tempo e chedetermina un’azione emotiva che inme produce fare i film.

●Un altro elemento di difficoltà erache Luciana avesse appenapubblicato il libro, qualcosa di

assai strutturato che in qualchemodo poteva costituire un altroscudo protettivo tra lei e teSì. Diciamo che l’ho fatto in corsod’opera, perché le riprese le ho fattein due tempi: prima all’Argentario,poi ho pianificato un’altra discesa aRoma a casa sua, nella suaquotidianità. Almeno quando è aRoma. Perché è una vagabondaincredibile, è sempre in viaggio, èsempre da un aeroporto a un altro,oppure a cena in Sardegna, è semprein continuo movimento. Lei leggeframmenti del libro, ho scelto io i

brani che doveva leggere, perché miinteressavano degli elementi dellasua storia personale, come la madre,fossero letti da lei. Le ho dato la partedi attrice, sono i pochi momenti doveinterpreta.

●Trovo che la foto che hai sceltoper la locandina non le somigliaLo sguardo, la postura, la diconolunga sul personaggio. L’ho scelta io,quella foto l’ho fatta io come tutte lealtre. È lo sguardo di una persona cheha fatto tutto quello che doveva fare,che è soddisfatta del suo impegno.

I RITRATTIDI DANIELE SEGRE

SEGUE DALLA COPERTINA

L’amorosa visione,una donna nella storia

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(3)ALIAS9 GIUGNO 2012

ESTGERENZA

●●●«Don't Say No: the films of RonMann» è il titolo della prima retrospettivadedicata in Italia al documentarista,produttore e distributore di Toronto,esponente tra i più radicali, dellacontrocultura internazionalista. Ron (in giuriaa Torino anni fa) ha fatto molti film seri,divertenti e infuocati, per esempio suiragazzi del twist, sulle canne, sul movimentovega - anzi meglio dalla parte della marjiuana,dalla parte della della purificazionealimentare e spirituale dei nord americani edalla parte dei ventenni (lui che ventenne èstato molte volte nella vita e dunque sa benedi cosa parla) che in qualunque epocastorica e contesto geografico dalla swingingLondon alla primavera araba, da Berkeley almovimento anti nucleare, si inventano dalnulla un «mondo» che produce sogni,divertimento, ricchezza sociale e planetarisommovimenti tellurici (benigni). Ha dunquefatto benissimo il Biografilm Festival aomaggiare questo «sessantottino» che sidedica ultimamente alle biografie (dellascrittrice canadese Margaret Atwood, 2010e Robert Altman, in lavorazione). Poiperché Ron ha esplorato - non daentomologo, ma da militante - i fenomenisociali e culturali più dirompenti e leprincipali modificazioni (in meglio) dellacultura pop: dal design (l’omaggio alcreatore di automobili pazze, Ed «BigDaddy» Roth) alla musica - anche il free-jazz,Imagine the sound con Bill Dixon, Paul Bley,Cecil Taylor e Archie Shepp - dalla poesiacontemporanea, con Poetry in Motion del1982 – in cui compaiono, tra gli oltre 70poeti, anche Allen Ginsberg e ungiovanissimo Tom Waits, al cinemaunderground (ha prodotto un ritratto diStan Brakhage). Nel 1988, Mann firma ComicBook Confidential, un documentario cheanticipa il crescente interesse verso ilfumetto e le graphic-novel a cui Hollywoodpresto attingerà (The Spirit, Sin City,Watchmen, The Avengers o il doc su Crumb).

Il mitico Grass (Erba) esce nel ’99 erappresenta uno dei migliori documentarisulla droga più amata e vituperata al mondo,la marijuana. Anche se sfortunatamentenessuno lo regalò a Bossi (quando capiva)nè a Fini. Attraverso la voce di WoodyHarrelson - che tornerà a lavorare conMann in un magnifico viaggio californianoecologico per diffondere le virtù del cibobiodinamico (Go Further, 2003, uscito in Italiagrazie a Rarovideo) - e immagini direpertorio d’inizio 900, Ron Mann realizzaun film anticonformista e divertente (chesarà anche premiato al Toronto FilmFestival) e spiegherà che la lotta contro ledroghe leggere sono state una fissazione delCongresso americano dal XIX secolo nontanto per motivi sanitari o etici quanto percontrollare semplicemente l’economia,pericolosamente competitiva, dei sottostantipaesi produttori, in particolare del Messico.E, a proposito di droghe e allucinogeni,ispirato da John Cage - che oltre ad esserestato un grande musicista è stato anche ungrande giocatore di quiz, un rivoluzionariototale e un conoscitore e collezionista difunghi - Ron Mann scrive e dirige Know YourMushrooms, 73 minuti di puro divertimentocon le musiche originali dei Flaming Lips sututto quello che c’è da sapere (o da nonsapere) sul mondo dei funghi. E a John CageBiografilm Festival dedicherà uninteressantissimo e ben congegnatoomaggio...Come produttore, Ron Mann hacontribuito alla creazione del filosofico maiaccademico o noioso Examined life di AstraTaylor, con Judith Butler e Cornel West,mentre come distributore, ha portato inCanada Marina Abramovic: The Artist isPresent, Gomorra, Pranzo di Ferragosto.L'ultima fatica di Mann è contenuta in uncofanetto che contiene, come bonus track,un documento inedito che vede Jarmusch eJoe Strummer intenti a registrare la colonnasonora del film When Pigs Fly. Ed è propriocon l’anteprima italiana di When Pigs Fly dellagrande cineasta newyorkese no wave (egrande esperta di porno) Sara Driver cheBiografilm inaugura la retrospettiva su RonMann stanotte alle 22.30 al Cinema Odeone, a seguire, l’anteprima mondialeattesissima di Joe Strummer di Jim Jarmusch.

8˚ BIOGRAFILM FESTIVAL

TERREMOTI UMANIE FORZE DELLA NATURA●●●Alle piccole e grandi persone che sfidano imali della società, deviano il corso della storia(magari trascinandola per sentieri impervi) oinventano «mondi» dal nulla è dedicato, da 8anni, il Biografilm Festival 2012 di Bologna, edintorni (8-18 giugno), che a giudicare dalcartellone fittissimo tiene testa alla crisi, anche serisentirà inevitabilmente l’eco dell’ interminabileterremoto (nella sezione catastrofica «The lastdays», con incontri, doc ecologisti e film, da Gepia Cuaron, da von Trier a Ferrara, da Guzman aNaderi). Dunque 10 le vite, anticonformiste euniche in concorso: Luciana Castellina (venerdì15 giugno, ore 19.30 al cinema Odeon); JoschkaFischer; Judith Malina; Auma Obama (sorellafemminista e keniota), il chitarrista prodigioJason Becker che, malato di sla, compone musicacon gli occhi; il documentarista Richard Leacock;Dennis Hopper; Michael Rockefeller,l’antropologo svanito nel nulla. I registi sonoDaniele Segre, Pepe Danquart, Azad Jafarian,Branwen Okpako, Jesse Vile, Jane Wiener, CassWarner Sperling e Frazer C. Heston (figlio diJohn). Inoltre «Sea of Butterfly» (storia d’amoretra due disabili mentali) e «La colpa di miopadre» di Chloe Barreau (un sacerdote cattoliosposa un’infermiera e la loro figlia racconta).Fuori concorso «Yemen’s reluctantrevolutionary» dell’inglese Sean McCallister,«Jiro Dreams of Sushi» di David Gelb sul piùgrande maestro di sushi e «El jardim imaginario»di Guillermo Garcia Peydrò, sullo scultoreMaximo Rojo. Tra i 123 i film (66 in anteprima)omaggio a Ron Mann, retrospettiva AndreaSegre, il regista di «Io sono Lì», bio-doc videorarissimi su Mario Mieli, John Cage, Ken Kesey eKurt Cobain; 4 film sulla pena di morte in Usa diWerner Herzog; tre Fassbinder; premioFeltrinelli al miglior doc del festival. Grande laselezione di doc italiani e emiliano-romagnoli.Una prestigiosa giuria: Leonard Maltin, PaulZaentz, John Scheinfeld, Marcello Paolillo, MikeFreedman. Mostre, concerti e «focus» su ChiaraVigo, 57 anni, ultima tessitrice sarda di Bisso,dall'isola di Sant’Antioco.

Trasmette una nota positiva. È laforza della sua storia che mi hacolpito, anche la consapevolezza deidiritti e delle conquiste delle donne,di essere donna. Si considerava evoleva considerarsi uomo,assomigliare all’uomo. Lo racconta inmodo straordinario: lei è una granderaccontatrice, ricca di spunti percomprendere anche la complessitàdei momenti che ha vissuto e dellescelte che ha fatto.

●Mi piace quando dice che nonparla delle sue vicende personaliTastavo il terreno e cercavo diavanzare e lei molto furba,intelligente, intuiva e rintuzzava. Equesto gioco ha permesso dicostruire il racconto. Quello che miha concesso me lo ha concessoveramente e questa è la forza dellastoria. C’è una verità importante, lasua verità per testimoniare quella cheè stato e quella che è, una storia bellae importante della nostra Italia.

Non è un’intervista, è un racconto.Io detesto il termine documentario,non a caso il corso che tenevo fino al2010, perché poi Alberoni mi halicenziato dal Centro Sperimentaledopo 17 anni, l’avevo intitolato«cinema della realtà». Il terminedocumentario non mi appartiene.Per me il cinema è una sola cosa, poiil linguaggio che si utilizza è relativo.

●Rispetto al fatto di esserecomunista: tu aderisci al suo mododi dichiararsi comunista o lo vedeviin maniera critica?Io normalmente nei miei film studioe cerco di comprendere lacomplessità della storia che storaccontando ed è chiaro che se sonolì c’è un interesse da parte mia nelraccontare quella storia. Non è uncaso che il film l’ho fatto su LucianaCastellina, come l’ho fatto sullachiusura del’Unità, come l’ho fattosulla conquista dei diritti sulNovecento.

●È un percorso teoricoÈ un percorso di riflessione, distudio, di memoria. Io auspico edetermino un’azione che non deveessere vincolante nella mente dellospettatore che vede i miei film, peravere degli elementi di conoscenza inpiù per prendere poi lui le decisioni.Non sono un regista di propaganda.Poi ho le mie idee e decido io lestorie che voglio raccontare. Quellosono, nel bene e nel male. Certe voltenel male, perché molti film mi hannochiuso molte porte. Però adesso sonocontento, vado avanti nella miastoria e mi onora che Feltrinellipubblichi questo cofanetto dal titolo«Vivere e morire di lavoro». Ci sonodelle coincidenze straordinarie esono grato alla sorte. Continuo apensare e lavorare al mio meglio perraccontare l’Italia e cerco di dare uncontributo di utilità pubblicaraccontando delle storie altre e nonsolo delle realtà.

●Non dimentichiamo «ilmanifesto»Lei ha fondato il manifesto, è stato unquotidiano ma anche un movimentoimportante per raccontare l’Italia eper quello che è successo tra lei e ilpartito comunista. E per il rapportoche il manifesto aveva e che hatuttora con il movimento operaio:tutti quei suoi reportage da Torinosui metalmeccanici della FiatMirafiori. E questo è uno deglielementi importanti per cui credoche c’è stata questa riconoscibilità tradi noi, questo amore nei confrontidei lavoratori.

Il Manifestodirettore responsabile:Norma Rangerivicedirettore:Angelo Mastrandrea

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Dall’alto «Love Always Carolyn» di KenKesey e accanto «Grass» di Ron Mann,Emma Dante in «Sud Costa Occidentale»,Judith Malina in «Love and Politics»,«The Education of Auma Obama» e inpiccolo «11 metri», dedicato al capitanoromanista Agostino Di Bartolomei. Sotto,Je-Je e Woo-yeong nel documentario cheracconta la loro storia d’amore «Sea ofButterfly»

RON MANN

Vitalitàdel positivo.«Grass», freejazz, funghi,twist, i vega,Crumb, beat

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di CATHERINA PRESSMAN

●●●«In Russia il cinematografodeve scolpire solamente la vita russain tutte le sue forme fenomeniche,ma proprio così com’è. Non deveper niente andare a caccia di storiedi fantasia». Queste alcune parole diLev Nikolaevich Tolstoj sul ruoloche avrebbe dovuto avere il cinemaun’arte che (secondo un celebrearticolo uscito sul New York Timesdel 31 gennaio 1937, basato suiricordi di un collaboratore delloscrittore, I. Teneromo, vero nomeIsaak Fajnerman) avrebbe cambiatoil modo di scrivere e lo incuriosivatanto da spingerlo a scrivere unsoggetto (oltrettutto pieno diviolenza e di sangue). Nonostante ilfatto che tanti cineasti hanno volutoscolpire sulla pellicola frammentidella sua vita, Tolstoj all’inizio furestio a comparire davanti allacinepresa. Curiosamente è proprioun ritratto del grande scrittore Levla prima fotografia a colori scattatain Russia. Nello stesso anno, 1908,l’operatore Aleksandr Drankov giròuna sequenza di Lev Tolstoj aJasnaja Poljana. Quei fotogrammiebbero tale successo che si iniziò aprestare particolare attenzione alcinema come nuova forma artistica.Aleksandr Drankov aveva chiesto alungo a Tolstoj di riprenderlo, ma ilmaestro rifiutava sempre per ilsemplice motivo che non volevapartecipare a una cosa che nonsapeva cosa fosse. Come dice la

leggenda, Drankov, intraprendente efantasioso, posizionò la cinepresanel bagno di legno e dalla fessuradella porta fece le riprese: LevTolstoj si avvicina al bagno, provaaprire la porta che è chiusa, si gira esi allontana. Alle fine, quandol’operatore fece vedere il risultatoalla famiglia di Tolstoj, il maestro, aquanto pare, ebbe fiducia inDrankov e gli permise di filmare isuoi ultimi anni di vita. Nel 1909Paul Timan apre la casa diproduzione «P.Timan, F.Reinhardtand S.Osipov». Nei primi anni lacasa di produzione ebbe successo ediventò famosa proprio perl’adattamento di classici dellaletteratura. Proprio in quegli studinel 1912, due anni dopo la mortedel maestro, Jakov Protazanov girò ilAbbandono del grande vecchio ( «Lavita di Lev Tolstoj»), scritto proprio

da I. Teneromo e interpretato (nelruolo di Alexandra L’vovna ecoregista del film) da ElizavetaThiman). Protazanov al tempo erauno dei registi più giovani epromettenti dello studio. L’idea delfilm era originale: creare un filmartistico basato su alcune scene divita che erano state riprese daGeorges Meyer, della «Pathé Frères»(era l’aiuto dell’operatore dellafamiglia dello Zar). Protazanovaveva di fronte a sé un compitodifficile: fare un film in modo chenessuna avrebbe potuto capirequale fossero le scene autentiche equali quelle ricostruite dal registacon l’attore Vladimir Shaternikov.Senza sapere quali sono le sceneriprese da Meyer è impossibilenotare la differenza. Glisceneggiatori si basarono sull’ultimaparte della vita del maestro e sulla

fuga da Jasnaja Poljana. Questoprimo film dedicato agli ultimi annidella vita di Tolstoj venne proibitonella Russia dello Zar per varimotivi: prima di tutto perché ilmaestro, nel film, era rappresentatocome una una persona troppoindifesa e angariata dalla moglie ,l’aristrocratica Sofja AndreevnaTolstaja. Tolstoj soffriva per la gentepovera e voleva aiutarla ma era suamoglie ad avere tutto il potere edera di incredibile cupidigia. Altromotivo è che la famiglia eracontrarie a mostrare al pubblico leultime scene del film che eranostate girate da Georges Mayer dovesi vede Tolstoj a letto mentre stamorendo. Il terzo motivo eral’ultima scena che per i tempi erapiuttosto indiscreta: l’incontro diLev Tolstoj con Gesù sulle nuvole(non dimentichiamo che Tolstoj era

stato scomunicato dalla chiesaortodossa per le sue ideeanarchico-cristiane eanarco-pacifiste). In questa scenaper la prima volta nel cinema russoera usata la doppia esposizione (latecnica secondo cui la pellicola èesposta due volte per riprenderecontemporaneamente dueimmagini differenti).

«Ricordo questo episodio dellamia vita senza vergogna. Inoltretutto sembrava più facile con lagioventù e il desiderio di ideeaudaci. La sceneggiatura era scrittae curata da chi conosceva Tolstoj.Solo questo era già una garanzia chenella sceneggiatura non ci sarebbestata volgarità ma che il raccontodella vita e della cronaca famigliaredi Lev Nikolaevich sarebbe statadiscreta e delicata» così JakovProtazanov ricordava il periodo di

lavoro e dell’uscita del film.Per quanto riguarda l’adesione

della sceneggiatura alla verità inqualche modo si esprime pure lalettera lasciata da Lev Tolstoj allamoglie prima di abbandonareJasnaja Poljana: «La mia situazionein casa è diventata insopportanbile.A parte tutti i mali, non posso piùvivere nelle condizioni del lusso incui ho vissuto e devo fare quello chedi solito fanno gli anziani: lasciare lavita terrena per vivere in solitudinee in silenzio gli ultimi giorni dellavita (...) Ti ringrazio per iquarantotto anni di vita onesta chehai passato con me e ti prego diperdonarmi tutti i torti che ho avutoverso di te, come io ti perdono, contutta l'anima, quelli che tu hai avutonei miei riguardi».

Il successivo film sulla vita di LevTolstoj fu fatto soltanto nel 1984. Il

CINEMA E LETTERATURA

Tolstoj e il cinema,uno strano rapporto

Cosa dicevail grande scrittoredella nuova arte?Tre film sugliultimi anni dellasua vita, direttida Protazanov,Gherassimove Hoffman

Lev Tolstoy (in basso nella prima foto acolori della storia russa). A destraChistopher Plummer in «The last station»di Michael Hoffman (2010)

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CANNES ■ CINEFONDATION 2012

L’«urlo» comeantidoto a Putine come pericolosoasfrodisiaco

regista Sergey Gerasimov era unattore, regista e professore allafacoltà di regia e recitazionedell’Università statale pan-russa dicinematografia, più famosa comeVgik (intitolata a S.A.Gerasimovstesso). Era diventato famoso per isuoi affreschi epici, come PlacidoDon (Tichij Don) dall’omonimoromanzo di Šolochov o La giovaneguardia (Molodaja Gvardija) dalromanzo di Aleksandr Fadeev.

Il film Lev Tolstoj è composto dadue parti: Insomnia e Abbandono.Vediamo il maestro della letteratturarussa negli ultimi anni della sua vita(1908-1910). Nella prima parte delfilm, Insomnia, i ricordi di LevTolstoj lo riportano ai tempi dellasua giuventù, al periodo di svoltadel suo pensiero. La seconda partedel film inizia con l’abbandono diJasnaja Poljana e la sua morte. Lostesso Gerasimov ha sostenuto ilruolo di Lev Tolstoj, la moglie èinterpretata da Tamara Makarova,moglie di Gerasimov.

Il film ha vinto il premio «Globocristallo» al festival di Karlovy Vary.In qualche modo, lo hannosostenuto in tanti, lo sguardo sullerelazioni tra Lev Nikolaevich e SofjaAndreevna è stato visto attraverso ilprisma delle relazioni tra il regista eTamara Makarova. Il film in ognicaso è stato girato in manieraclassica, con toni profondi eraffinati.

L’ultimo film su Lev Tolstoj, TheLast Station del regista statunitenseMichael Hoffman, con Helen Mirrene Christopher Plummer, è uscito in2010, l’anno del’anniversario dellamorte di Lev Tolstoj (1910). Comediceva il co-produttore AndrejMichalkov-Konchalovskij, la Russiaha rifiutato il finanziamento eimpedito di girare il film a JasnajaPoljana, costringendo la troupe atrasferirsi in Germania. MichaelHoffman ha dovuto cambiaresceneggiatura originaria diversevolte. Il protagomista del film èValentin Bulgakov, il segretariopersonale dello scrittore. Vediamol’ultimo periodo della vita di LevTolstoj a Jasnaja Poljana attraversolo sguardo del suo giovane seguace.

L’ultimo film su Lev Tolstoj è inqualche modo un ripensamentecritico della biografia di Lev Tolstoj.Se il film di Protazanov mostravaLev Tolstoj come una personaschiacciata dall’autorità di unamoglie molto forte, il film diHoffman, invece, cerca di trovareuna giustificazione.

«La strada verso...» di TaisiaIgumentseva, del Vgik, vincela XVI edizione del concorsoper i saggi delle scuole di cinema

di ROBERTO SILVESTRI

●●●Non al Bolscio, ma nella notteperiferica di una lugubre Moscainnevata, quieta e addomesticata,vestiti di tutto punto, lui cravatta e leiin lungo da galà, ritrovanofinalmente se stessi e il filo che licollega. Corpo, spirito, sesso,appartenenza... Come avviene ilcontatto? Trasformandosiimprovvisamente in punk scalmanatie inaspettati. A teatro no si va, si fa.Urlano così a squarciagola, nelsilenzio assoluto, ai lavoratori schiaviche riposano a comando nei palazzigrigi e anonimi che li imprigionano -in una perfetta sequenza célinianada Grand Guignol - le peggioriparolacce che gli abitanti anonimi diquelle case più detestano sentire:Vaffanculo... stronzi...froci...! L’urlo,prima in solitario stile Munch, poi induetto Vicious/Lydon, è il terrenoche accomuna Sergio alla suafiamma, una bella collega coetanea.Il giovane affitta la camera da unsimpatico signore all’antica (disaggezza Zeman) nostalgico non delcomunismo ma di un certo stileperduto. I suoi dischi sono pericolosi:cantautori polacchi di incallitadissidenza... Sergio, per campare,vende oggetti insoliti e inutili (comefossimo su Main Street, a SantaMonica). Ma la sua ribellione, fino aquel momento solitaria, è ispirata(altri miracoli della globalizzazione edel formalismo russo che sa doveripescare le antiche cose belledimenticate) ai vecchi film di JamesCaan. Anche Sergio ama farsipicchiare di brutto. Farsi insultare. Seno gli sembrerebbe di non esistere. Econ il rituale tipico del masochista.Ricordate 40 mila dollari per non

morire di Reisz? E sceglie unacadenza lenta e implacabile, farsispezzare i denti una volta sola ogni24 ore... Esperienza di poterecondiviso, l’urlo come bene comune.E solo dopo, si potrà fondare unavera relazione profonda. Come i duepugili di Tokyo Fist di Tsukamoto, senon si picchiano non si sentono, noncombaciano. Non si può oggi stare insilenzio. A Damasco, come aManhattan come a Putilandia, lastessa lotta. Svegliatevi dal torpore,ribellatevi. L’urlo ci vuole.

Uno dei film capolavori di Cannes65 è questo Doroga na (La stradaper...), 32’, diretto dalla filmakerTiasia Igumentseva, saggio prodottodalla Vgik di Mosca, la più anticascuola di cinema del mondo. Ancheperché ci spiega usando solovibrazioni di luce acide, comesuonasse un «teremin visuale»,perché da settimane e settimane igiovani russi nelle piazze urlanocontro il «leader maximo dellazar-democrazia». La ragazza russa hadunque vinto il concorso per le

scuole di cinema, Cinefondation2012, che è un po’ il cuore segreto diCannes (Venezia vuole imitarlo). Siscoprono i talenti, si allevano...cresceranno. E, buona notizia, nei 16prescelti dell’anno c’è anche un filmitaliano, Terra di Piero Messina. Nonè un caso. La più prestigiosaesposizione di saggi studenteschi almondo evidenzia che la voragine trale nostre scuole (protette per anni,autarchicamente, dalle radiazioniimmaginarie pericolose) e il «designinternazionale aggiornato espregiudicato», certo secondo ilferreo ma vitale canone francese,sembrerebbe colmato. Terra è direttoda un assistente di Paolo Sorrentinoed è stato apprezzato dal pubblico edalla giuria, diretta da un DardenneJean-Pierre (Rosetta e Il ragazzo conla bicicletta). Film on the roadinteriore, d’atmosfera,nanotecnologico nei raccordiemozionali, cucito su GiorgioColangeli, è un poema delladisperazione ambientato sultraghetto Genova-Olbia. Unacameriera, una pistola, un vecchioche non sa elaborare un luttocatastrofico, un cliente vestitopiuttosto bizzarramente... E, comemateriale visuale utilizzato, ancheunderground e stile spot. Ma senzamenarsela troppo. I 15 mila euro delprimo premio vanno però a TaisiaIgumentseva, che ha già un postoassicurato nelle sezioni cannoise avenire. Ad Abigail di Matthew JamesReilly (New York University),sincopato ritratto di una precaria cheodia fare la parcheggiatrice, e alcubano (un poema campesino suiporci sqartati) Anfitriones di MiguelAngel Moulet vanno 11 mila e 7,50mila euro. In giuria Arsinée Khanjian,

Karim Aïnouz, Emmanuel Carrère eYu Lik-Wai. Nei primi 14 anni di vitadi questa sezione, mai film italianoera stato invitato da Gilles Jacob, cheancora presiede le varie attività diCinefondation (ecco perché abbiamopochi lunghi alla Quinzane e allaSemaine). Oltre alla competizionedue sono infatti i segmenti dellasezione, Atelier e Residence. Il primoseleziona 15 progetti di lunghiall’anno. Si invitano i registi sullaCroisette e si organizzano incontricon produttori per migliorare iprogetti e accedere a finanziamentiinternazionali. Résidence du Festivalaccoglie nel centro di Parigi, ognianno, 12 registi segnalatisi aCinefondation e che lavorano alprimo o al secondo lungo. La borsadi studio comprende: 800 euro almese; un soggiorno a Parigi centro di4 mesi e mezzo (ottobre/metàfebbraio); incontri di lavoroprofessionali, revisioni dellasceneggiatura... Questa «Villa Medicidel cinema mondiale» ha già accoltodal 2000 filmaker di oltre 40 paesi eadesso ha invitato Piero Messina, unex allievo del Csc di Roma, propriocome Pasquale Marino (qui nel 2011con L'estate che non viene) entrambiprodotti da una società che si ècostituita da anni dentro la scuola.Miglior cartoon Head over Heels delbritannico Timothy Reckart (Nfts): lacasa svolazza come in Up e i dueprotagonisti hanno un cuoreLasseter, ma i loro corpi digitali sonomeno plasticosi e l’idea dello spaziodal doppio e opposto pologravitazionale è piuttostosquilibrante. Buoni anche il feroceisraeliano Resen di Eti Tsicko (Tau) eil lisergico, alla Gondry, The ballad ofFinn+Yeti di Meryl O’Connor (Ucla).

TEATRO DI RICERCA - PROGETTO CANTOREGI●●●Produzione visionaria, e in «catena», di idee strane e bizzarre. La fabbrica e il manicomioanni 60 sono stati abbattuti anche se lo sfruttamento, materiale e mentale, è vivo e vegeto. Ma aRacconigi (Cuneo), sede di un ex manicomio, si lavora ancora per non colpevolizzare ladiversità e combattere l’esclusione, il pregiudizio e l’oblio attraverso la «Fabbrica delle idee»,rassegna teatrale giunta alla XII edizione (9-30 giugno). La manifestazione, diretta da VincenzoGamma e Marco Pautasso, aperta al teatro di ricerca e di impegno civile, presenta 9 spettacoliche andranno in scena proprio nell’ex ospedale psichiatrico e nel teatro comunaleP.M.Cantoregi di Carignano (provincia di Torino). Tra l’altro «The end» di Babilonia teatri (il12); «Mattei petrolio e fango» di Giorgio Felicetti (il 17), «Kore» Virgilio Sieni Danza (il 20).

In alto a destra «Doroga na» della russaTaisia Igumentseva e in basso «Head overHeels» del britannico Timothy Reckart

moderati arabi < 179 180 181 >

Il corpo di Said Dambar, giovane militante sahrawi, è stato seppellito in segreto dalla polizia

marocchina il 4 giugno scorso ad Al Aayoún.Ammazzato il 22 dicembre 2010 con un colpo alla

testa, Said era rimasto insepolto perché le autorità diRabat proibivano sia lo svolgimento delle indagini che

l’autopsia richiesta dalla famiglia. «La sua sepolturasenza testimoni rivela la volontà degli occupanti di

lasciare impunito ogni crimine», denunciano i familiaridelle vittime. Intanto è stato trovato in un fiume il

cadavere di Hamdi Etarfaoui, scomparso il 18 maggio.

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CINEMA ■ INTERVISTA A GIULIANO TAVIANI

È più facilecomporre musicaper il padre,lo zio e la sorella

CINEMA «INDIELISBOA»

Affacciarsia un balconecon vistasulla crisi

di GABRIELLE LUCANTONIO

●●●La colonna sonora dura estraziante del bel film potente diPaolo e Vittorio Taviani, orso d'oro aBerlino, Cesare deve morire, è statarealizzata da Giuliano Taviani eCarmelo Travia, una coppia artisticaquasi consolidata. Mentre stadiventando uno dei compositoriitaliani di musica applicata alcinema più importanti e ricercati,Giuliano Taviani aveva dichiaratoanni fa ai due registi: «Poichè sonovostro figlio e nipote non lavoreròmai con voi». Dopo La masseria delleallodole nel 2007 è il suo secondolavoro per loro. Ne parliamo con lui.

●L'anno scorso hai realizzato lemusiche di alcune commedie...Sì, ho scritto nel 2011 le colonnesonore di 4 commedie. Ho iniziatocon Nessuno mi può giudicare diMassimiliano Bruno. In quel film,collaboravo già con Carmelo Traviaper la colonna sonora. In realtà cisiamo conosciuto con la serie tvBoris nel 2007. Ho imparato conquella serie un modo di lavorare chenon conoscevo e a condividere ilmio lavoro con un altrocompositore. Non sarebbe statopossibile scrivere quella colonnasonora da solo. Con lui, ho lavoratopoi ad Oggi sposi (2009) e La donnadella mia vita (2010) di Luca Lucini,ad Ex-Amici come prima (2011) diCarlo Vanzina e a Boris-Il Film(2011) di Ciarrapico, Torre eVendruscolo. Anche per Il giorno inpiù (2011) di Massimo Venier, hocondiviso la colonna sonora con ilbravo Paolo Buonvino. Non avreimai potuto lavorare a tutti questifilm se avessi dovuto realizzare lecolonne sonore da solo.

●Il compositore PasqualeCatalano («Le conseguenzedell'amore» per Sorrentino, «Lakryptonite nella borsa» perCotroneo) rifiuta anche lavori,perché dice che ci vuole tempo perfare bene una colonna sonora.Sono d'accordo. Spesso il nostroproblema è che dobbiamo fare unacorsa contro il tempo. C'è raramentequello necessario per lavorare a unacolonna sonora come si deve. Lacollaborazione con un'altra personapuò essere una soluzione pratica.

●Hai lavorato alle musiche di«Fughe e approdi» (2010), il film ditua sorella gemella, GiovannaTaviani...Sono l'unico compositore su quelfilm. Lavorare con mia sorella, loaccomuno a lavorare con mio padre

(Vittorio Taviani) e mio zio (PaoloTaviani). Anche se avevo con lorodue il timore di non essereall'altezza. Ma con la mia famiglia mitrovo in una situazione ideale. Nelnostro lavoro interagire con il registaè fondamentale. E con loro, ciconosciamo da sempre. Ilcompositore deve filtrare einterpretare quello che vuole ilregista. Ma deve riuscire anche a farevalere la propria personalità. Inquesta situazione è più semplice.

●Quando hai iniziato a lavorare,con Carmelo Travia, alle musichedi «Cesare deve morire»?Abbiamo iniziato a scrivere dellemusiche quando abbiamo letto lasceneggiatura. Poi non abbiamo maifatto sentire questi brani a Paolo eVittorio Taviani. Spesso le musicheche si scrivono in quella fase, nonc'entrano nulla con quello che vienerealizzato poi. Io e Carmelo abbiamoscritto delle cose. Poi siamo andatisul set di Rebibbia. Lavorare aquesto film mi ha portato a scoprireun mondo a me sconosciuto: quellodelle carceri, dove il dolore e lasofferenza sono tangibili. Siamocapitati mentre stavano girando lascena appena prima dell'uccisione diCesare. Si svolge in una cellaall'aperto. Sopra di loro c'è unreticolato, una specie di gabbia. Miha subito dato un senso dioppressione e angoscia, eppure iprigionieri dicono che è il posto piùbello della giornata. Io e Carmelo cisiamo resi conto della situazionereale. C'erano emozioni così forti,così vere che le musiche cheavevamo scritto non andavano bene.Abbiamo cancellato tutto quello cheavevamo scritto. La musica dovevaessere diversa, più semplice epotente. Abbiamo scelto, comeelemento centrale della colonnasonora, un tema composto da 4 noteche si ripetono e che viene suonatoda un sassofono. Lo si sente anchenei titoli di testa. Senza nulla altro. Èun tema dolce ma anchemalinconico, contaminato in altripunti con suoni marcatamenteelettronici, una armonia fatta dielementi sonori sporchi, duri, quasigrezzi, dissonanti a volte addiritturasgradevoli. Quasi a voler raccontarela purezza dell'animo umanocorrotto dal mondo che ci circonda,con l'ausilio di strumenti acustici edei loro alter ego elettronici..

●Chi è l'editore della colonnasonora?Toni Verona, con la sua etichetta«Ala Bianca». Il budget è stato circaun quarto di quello che serve disolito per scrivere e registare lecolonne sonore. Non è stato faciletrovare un distributore per il film,perché è stato girato in bianco enero, con dei carcerati e non con ildivo di turno. Per fortuna il film èpiaciuto a Nanni Moretti, che lo havoluto per il suo cinema Sacher. Diconseguenza nessun editoremusicale voleva produrne la musica.I soldi investiti nella colonna sonoradi un film che non uscirà in salapossono non essere mai recuperati.Toni Verona mi ha dato fiducia. Tra imusicisti che ho chiamato per laregistrazione, c'è il sassofonistaAndrea Viviani. Non mi piacciono leorchestre finte, quindi non leutilizzo. Un pezzo della colonnasonora è stato realizzato conun'orchestra di archi di 40 elementi.Ma ci sono anche suonidichiaratamente elettronici.

●Che differenza nel realizzare lecolonne sonore di «La masseriadelle allodole» e di «Cesare devemorire»?

La masseria delle allodole è ungrande romanzo, epico. La musica èstata scritta per una grandeorchestra. Ha un respiro sinfonico.Mi sono sentito libero di farequalsiasi cosa, ho avuto la massimalibertà di fronte a tutti gli orizzontipossibili. In Cesare deve morire illavoro è stato anche più casalingo.Ho registrato il sax a casa mia.

«È stimolante ed èpratico lavorarein due». Incontrocon GiulianoTaviani, autorecon Carmelo Traviadella colonnasonora di «Cesaredeve morire»

Pocas Pascoal, Viktor Kossakowski...Nonostantela crisi economica molti i filmaker emergenti invitatie «rilanciati» dal festival indipendente di Lisbona

in pagina: manifesto del festival di Lisbona,locandina del documentario «Jesus por umdia» di Helena Inverno e Verónica Castro efoto da «Vivan los antipodas!» di VictorKossakovsky. A destra Giuliano Taviani

di NICOLA BERTASILISBONA

●●●Si è concluso da qualche settimana a Lisbona il 9˚festival di cinema indipendente IndieLisboa. Quest'anno, inun momento di crisi fortissima in Portogallo, gli organizzatorisi dicono contenti di essere riusciti a proseguire la rischiosa eun po' folle attività di fare festival di cinema, perché questo2012 è l'anno «de todos o perigros» - secondo loro - l'anno incui il cinema indipendente europeo naviga a vista. Fonditagliati, paralisi nella distribuzione delle piccole produzionida un lato e estrema vitalità creativa dall'altra hanno creatoun terreno paradossalmente fertile perché nella difficoltà delmomento, l'IndieLisboa di quest'anno diventasse anche unospecchio delle contraddizione del nostro tempo, un balconecon vista sulla crisi. E che questo balcone si trovi nella cittàdegli azulejos e del salario minimo a 430 euro al mese, non èper niente un caso.

Il miglior lungometraggio portoghese secondo la giurialisboneta è Jesus por um dia di Helena Inverno e VerònicaCastro. Nella regione sperduta del Tràs-os-Montes, siracconta la storia di un gruppo di carcerati che organizzanola rappresentazione teatrale della crocefissione di Gesù. Ilfilm, a metà tra fiction e documentario, restituisce con tantaironia e delicatezza i paesaggi umani, davvero pococonosciuti, delle valli montane portoghesi, spopolate

dall'emigrazione.I documentari sono stati proiettati nella sezione speciale

Pulsar do Mundo. Tra questi, !Vivan las Antipodas! di VictorKossakovsky è un viaggio-film alla scoperta di quattro puntiantipodali della Terra: un paesino argentino e Shangai, lagoBaikal e Cile, Hawaii e Botswana, Spagna e Nuova Zelanda.La pellicola è un omaggio alla bellezza del paesaggio senzaconfini con una fotografia magistrale che insegue un esteticaquasi maniacale e un utilizzo della macchina da presa dacapogiro (forse anche un po' troppo e alla fine del film gira latesta!). Ma resta la sensazione dell'universalità dei personaggiche popolano il lungometraggio. Personaggi che appaiono escompaiono, uomini e donne che sembrano sussurrare: «lefrontiere e le nazioni sono fragilissime».

La spagnola Mercedes Alvarez ha presentato il suoMercado do futuros. Una riflessione sulla memoria e una attodi sfiducia al «sogno del mercato». La giovane regista hafilmato diversi agenti immobiliari nell'atto di proporre sognidi speculazione agli investitori. In una fiera di Barcellona sivendono case a Budapest, grattacieli che ancora non esistonoa Dubai, si cerca di convincere del valore dell'investimentovirtuale. E poi il film si sposta in un mercato delle pulci dellacittà catalana. C'è un venditore di strada, fuori dal tempo,che si inventa di non avere della merce perché tropponascosta nel magazzino. E il film finisce con le parole diSimonide, il poeta greco che ha inventato l'arte dellamemoria. L'arte dimenticata dal mercato del futuro.

Molti i film di autori emergenti in questa ricca edizionedell'IndieLisboa. Uno in particolare colpisce per la sua forzanarrativa. Por aqui tudo ben della regista angolana PocasPascoal è la storia di due sorelle che lasciano nel 1980Luanda per rifugiarsi a Lisbona. La fuga dalla guerra civile sitrasforma in uno scontro con le difficili periferie dellacapitale, dove la diffidenza per gli stranieri si sente forte. Pergirare il film (che è anche autobiografico), Pascoal ha fattomolti provini con attori non professionisti. prima di formareil cast e riuscire a raccontare l'intima relazione fra le sorelleche si ritrovano sperdute nel paesaggio industriale deicantieri navali portoghesi. Pascoal è fortunata perché si èsalvata nella sua difficile partenza ma molti altri non cel'hanno fatta. Volevo anche raccontare un'altra storia - dice laregista - quella dei bambini e ragazzi angolani scomparsi. Idesaparecidos di Luanda. Sono migliaia e nessuno ne parla.La guerra civile è stata terribile ma il cinema angolano èmarginale. I registi sono pochissimi e il lavoro di memoria èpraticamente inesistente. È importante cominciare.

SUD OVEST

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(7)ALIAS9 GIUGNO 2012

Fine di un mito,Venere nel cemento

Tiziano Tempesta, docente universitariodi diritto e politiche del territorio e dell’ambientespiega come una politica dissennata stadistruggendo l’economia e il territorio del Veneto

di BEATRICE ANDREOSE

●●●Se andiamo a visitare l’areadei Prai di Castello di Codego, anord di Castelfranco Veneto,possiamo ammirare lo stessopaesaggio immortalato dalGiorgione nel quadro Veneredormiente (1505-1510). Unpaesaggio che conserva le suepeculiarità nei secoli ma che oggirischia l’estinzione. Sepolto dacolate di cemento, sfregiato dazone industriali disseminate intutto il territorio regionale onascosto da outlet giganteschi,non-luoghi sorti a nord est comefunghi. Il tutto in nome del boomeconomico che avrebbecaratterizzato la regione Venetofacendone uno dei territori piùricchi del mondo. Benetton, DeLonghi, Marzotto, Riello,accompagnati da una fitta rete diimprese familiari, per decennisono stati celebrati e studiati comemotore dello sviluppo economicoitaliano. Spesso dediti allosfruttamento della forza lavoro eall’evasione fiscale piuttosto chealla trattativa sindacale, gliimprenditori del nord est in realtàdi miracoloso, e questa è lanotizia, non hanno mai avutonulla, se non nei lontani anni ’70quando il Valore Aggiunto delVeneto ammontava al 6%. Tra glianni ’90 ed il 2000 è sceso infatti al2,6% sino a caderevertiginosamente, tra il 2000 ed il2010, ad un misero 0,16%. Adaffermarlo è il prof. TizianoTempesta, docente universitario didiritto e politiche del territorio edell’ambiente al campus diAgripolis, università di Padova, chein premessa spiega: «Peranalizzare le performanceeconomiche di una nazione o diuna regione generalmente si fariferimento al prodotto internolordo (Pil) o al valore aggiunto(Va), anche se è noto che questiindicatori non fanno riferimento albenessere della popolazione mapossono, al più, essere consideratiuna misura della capacità diprodurre merci vendute sulmercato - spiega - Quindi, specienei periodi in cui vi è un fortetrasferimento di fattori produttivi(in particolare lavoro) da attivitàche non comportano la vendita sulmercato (ad esempio tutti i lavorifatti in casa, l’assistenza aglianziani e ai bambini garantitadalla famiglia, ecc.) ad attività chedanno luogo a scambi monetari, siavrà un aumento fittizio del Pil.Anche trasformazioni dell’assettoterritoriale e insediativo possonodar luogo ad aumenti fittizi del Pil.Se a causa dell’aumento delladispersione insediativa e dellamotorizzazione privata le personepassano sempre più tempo inautomobile (spesso in inutilicode), il Pil aumenterà perchéaumenta il consumo di carburantee di mezzi privati di trasporto».

Detto questo l’economistaillustra l’andamento delle capacitàproduttive del Venetoconsiderando l’andamento del Vadella regione (misurato a prezzicostanti 2007) dal 1970 al 2007. «Sesi confronta i dati del Va con ladinamica demografica risulta che,in media, dal 1970 la capacità diaumento della produzione venetasi è ridotta ogni anno dello 0,17%.Negli anni ’70 la dinamicademografica, sostenutaessenzialmente dall’elevatanatalità, era in linea con quella delvalore aggiunto. Negli anni ’80 alcontrario la popolazione crescemeno delle capacità produttive.Negli anni ’90 nuovamente lapopolazione aumenta ad un tassoanalogo a quello del Va, mentre apartire dal 2000 la popolazioneinizia a crescere ad un tasso mairiscontrato nel passato (0,87%all’anno) principalmente pereffetto delle migrazioni dai paesidell’Est, specie quelli entratinell’Unione Europea. Si tratta di

un fenomeno per certi versiparadossale: alla forte immissionedi forza lavoro nell’economiaregionale non è corrisposto alcunaumento delle capacità produttive.Evidentemente, in questo periodo,al contrario degli anni ’90, gliimmigrati sono stati impiegati insettori economici a bassa obassissima produttività.Mediamente ogni anno dal 1970 lacapacità di aumentare laproduzione si è ridotta dello0,17%. Si potrebbe forse arguireche il Veneto ha per certi versiseguito il complessivo andamentodell’Italia, ma questo contrastacon quanto spesso affermanomolti politici, e cioè che il Venetoè pur sempre stato uno dei motoridell’economia nazionale». Inquesti stessi decenni varia anche ilcontributo veneto al Pil italiano.«Dagli anni ’80 alla fine dei ’90 lacapacità produttiva della regione èstata superiore a quella italiana. Inun decennio il contributo dellaregione alla produzione nazionaleè passato da circa l’8,5% a circa il9,3%. Il "miracolo" Nord-Est,almeno per quanto riguarda ilVeneto, si situa in valore assolutonegli anni ’70 e in valore relativonegli anni ’90 con unaperformance complessiva chepare avere poco di miracoloso. Nelvalutare le effettive capacità delsistema economico regionale edelle sue imprese bisogna, infatti,considerare che, alla caduta delmuro di Berlino e alla conseguenteapertura dei mercati dell’Esteuropeo, la regione si è trovata in

una posizione assolutamentestrategica. Il Veneto avendoun’economia prevalentementerivolta all’esportazione ha anchebeneficiato maggiormente dellevarie svalutazioni della lira che sisono avute in quel periodo, e inparticolare di quella pesantissimaavvenuta nel 1992. Il balzomaggiore dell’economia venetarispetto a quella italiana si collocaproprio dopo tale anno. Da questopunto di vista è evidente che unavolta entrati nella zona euro ancheil Veneto ha perso notevolmente lasua capacità competitiva». Undato confermato anche dal Va procapite. «Da metà degli anni ’90 iltrend si inverte e la regione perdeprogressivamente posizionirispetto al quadro nazionale.Ritengo che ciò dipendaessenzialmente dall’incapacità disfruttare adeguatamentel’opportunità fornita dagli intensiflussi migratori. Gli immigrati sonostati occupati in settori, qualil’edilizia, a bassa o bassissimaproduttività del lavoro. Il boomedilizio che si è verificato nellaregione dal 2002 ha per certi versicontribuito a sostenerel’economia, ma ha anche creatoun ingentissimo surplus nelladotazione di fabbricati residenzialie produttivi che hanno causato ilrecente crollo di questo settoreacuendo ulteriormente le difficoltàeconomiche della regione». Oggi ilmodello Veneto è in grandedifficoltà. «Basato esclusivamentesulla piccola e media impresa puòrivelarsi incapace di affrontare le

sfide dei mercati, specie quandovenga meno la possibilità direndere competitivo il sistemaeconomico tramite la svalutazionedella moneta - proseguel’economista del paesaggio -purtroppo questa incapacitàpotrebbe avere pesanti riflessi infuturo poiché nella nostra regionesi sono accumulati ritardi notevoliin alcuni settori strategici. Adesempio il tasso di scolarizzazioneuniversitaria è più basso dellamedia nazionale che a sua volta ènotevolmente inferiore alla mediadei paesi Ocse. Oppure si pensi aiproblemi connessi all’assettoinsediativo della regione e aiproblemi logistici che neconseguono. Nel Veneto ci sono inmedia 10 zone industriali perprovincia, con punte di 15 inquella di Treviso. Come può esserecompetitivo un settore produttivoframmentato e disperso nelterritorio come quello veneto? Larisposta che viene data dallapolitica e dagli stessi imprenditoriè priva di lungimiranza e si basaesclusivamente sul pesanteaumento della rete autostradaledella regione (si pensi allaPedemontana in via direalizzazione) quando il problemanon è rendere raggiungibili lamiriade di piccole fabbriche ezone produttive che punteggianola regione, quanto piuttostoriallocare complessivamente leattività produttive in aree serviteda infrastrutture esistentispecialmente di tipo ferroviario emarittimo. Infrastrutturare

pesantemente il territorio producediseconomie territorialiingentissime poiché favorisceulteriormente la dispersioneinsediativa che finiràinevitabilmente per aggravare i giàrilevanti problemi idraulici eambientali, degradando ilpaesaggio e riducendo per questavia la possibilità che il turismopossa essere in futuro un volanodello sviluppo in molte parti dellaregione».

Oggi in Veneto la ricchezza procapite è di 25.000 euro annui. «Sitorna indietro ai livelli del 1996 -prosegue il professor Tempesta - ilreddito pro capite di questaregione passa dal 20 al 16% in piùrispetto al resto d’Italia.Aumentano la spesa della sanitàpubblica, il settore dellecostruzioni e il degrado delterritorio. Il consumo di suolo perabitante è maggiore in Veneto chein altre parti d’Italia». Ed eccoqualche cifra: in un anno nel

Veneto sono state rilasciateconcessioni edilizie per 40 milionidi mquadri di capannoni, quelliper le case sono cresciuti da 10 a17 milioni di mcubi in pochianni. «Una dissennata politicaurbanistica crea veri e proprighetti, prevede colate di cementoe un maggiore consumo di suoloe parcheggi provocando cosìinquinamento, degrado idraulico,degrado agricolo e del paesaggio,più strade». Basti solo, a titolo diesempio, qualche dato relativoalla città di Padova dove, daglianni ’70 al 2000, la perdita diterritorio agricolo è stata di circa17 milioni di mq. Sembraparadossale ma il maggiorconsumo di suolo si è verificatonegli anni ’90, periodo in cui lapopolazione è diminuita di circa10.000 abitanti. Nell’interaregione, nei trent’anni che vannodagli anni ’70 al 2000, sono statipersi la bellezza di 203.279 ettaridi terreno agricolo, in media6.775 all’anno. Insomma più chebravi gli imprenditori veneti sonostati fortunati per la posizionegeografica della regione,imprescindibile crocevia tra ested ovest, ricca di storia ed arte,detentrice com’è del 5% delpatrimonio artistico nazionale.Un territorio unico che coniugaarchitettura veneziana epaesaggio. Lo stesso paesaggioimmortalato da VittoreCarpaccio, Giovanni Bellini,Giorgione o Tiziano, artisti del‘400 e del ‘500 tutti ammaliati daun paesaggio che rischia disparire per sempre.

IL «MIRACOLO»NORD EST

«La Venere dormiente» di Giorgione e in basso il paesaggio com’è oggisulle rive del fiume Musonello

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(8) ALIAS9 GIUGNO 2012

LAND ART

BALANCING

ARTE ■ PRIMO RADUNO MONDIALE DI STONER, A OTTAWA, IN CANADA

Sentire il ciotoloe vivere felici. 3 artistidi «stone balancing»Il misticoRabindra Sarkar,una «rock star»a San Diego;l’anconetano zenCarlo Pietrarossie John FeliceCeprano,il «felliniano»

Qui accantoCarlo Pietrarossi.

Sotto, Rabindra Sankare in grande

una sua opera

LAURA ROSSO EL’ORCHESTRA MÉLIÈS

●●●L'U.C.M.F (L'Union descompositeurs de Musiques de Films) si èufficialmente costituita il 16 settembre2002 al Forum des Images a Parigi.Quest'associazione riunisce sia i giovanicompositori (come Eric Neveux,Philippe Eidel) che i nomi più prestigiosinel campo della musica applicata alleimmagini (Vladimir Cosma, AntoineDuhamel, Francis Lai, Jean-ClaudePetit...). L’associazione, che dunquequest’anno festeggia i dieci anni, è statacreata con la volontà di riunire chicompone partiture per il cinema,tenendo conto sia di cosa li accomunache di cosa li divide. Si è volutosoprattutto dare il giustoriconoscimento alla loro professione,per fare conoscere meglio la musica perfilm attraverso convegni, conferenze,festival nazionali e internazionali,interventi nelle scuole. Ma anchedifendere le musiche originalidall’utilizzazione crescente e improria.Ucmf è nata anche per portare avantidelle battaglie, per difenderesindacalmente gli iscritti. «Dalla nascitadell'U.C.M.F, siamo stati considerati conun occhio diverso. Parlare tutti insiemecon una voce sola ci ha permesso difocalizzare l'attenzione dei nostriinterlocutori. Numerosi legami sonostati creati tra l'U.C.M.F e alcuneistituzioni come il ministero dellacultura, quello della pubblica istruzione,il Cnc, la Femis, il festival di Cannes,ecc... Ormai tutti i nostri interlocutorisanno che rivendichiamo lo statuto diterzo autore del film, cosa che prima, nonera sempre considerata ovvia» affermaGreco Casadesus, che fu il primopresidente dell'associazione. Un buonrisultato che sembra durare nel tempo.E in Italia, perché non è possibile creareun'associazione del genere?

Lo chiediamo a uno dei nostri miglioricompositori, Teho Teardo (Diaz diDaniele Vicari).

Perché i compositori italiani non siriuniscono in un'associazione o in unsindacato per difendere i loro diritti?

«È un fatto storico. In Italia, dalneorealismo in poi, la musica per film èsempre stata considerata soltanto uncommento. Non è mai determinante. Cisono pochissimi registi che hanno lacapacità di usarla come si deve. Tirispondo ad una domanda pratica conuna considerazione artistica. Credo cheil nostro ritardo dipenda molto dallapercezione della musica che c'è nelnostro paese. Non gode mai di unagrande considerazione, perché siamo unpaese vecchio e molto arretrato. Viaggiomolto, faccio molti concerti all'estero.Altrove si respira un'altra aria».

Ci sarebbero molte rivendicazioni dafare. Per esempio che la musica facciaparte del budget del film e non vengaaffidata agli editori musicali...

«Giusto. Anche se poi diverse case diproduzioni hanno le loro proprieedizioni musicali, come la Fandango.Finché i compositori faranno parte delcast tecnico e non del cast artistico, sisminuirà il loro lavoro Perché siamoinnanzi tutto degli artisti».

Ma il compositore non è troppoindividualista in Italia?

«Lo è. Ognuno pensa per sé.Nessuno dei compositori di musica perfilm italiani mi ha mai cercato perconoscermi. Mentre sono statocontattato da altri tipi di musicistidall'estero».

THEO TEARDO:È VECCHIA L’ITALIA

di SILVIA VEROLI

●●●Le rocce della baia di La Jolla,San Diego, California sono grandi eacuminate, spuntano tra prati ecale di sabbia grossa, fanno dacorona alla siesta di leoni di marepuzzolenti e mitologicispaparanzati sulla riva; il vento chespinge onde e surfisti porta, con illezzo primordiale dei seals, anchezaffate di ibiscus e agapanto e odoriminerali e freschi di salsedini econchiglie, qualcosa di amniotico.

Tra queste rocce non è raroincontrare Rabindra Sarkar, therock star of San Diego, impegnatoa mettere in equilibrio pietre chenon rotolano mai. Rabi è unmaestro Reiki, e compone pile dirocce miracolosamente in piedicon molta più destrezza e facilitàdi chi costruisce castelli di sabbia.

La pratica spirituale, dice, e lapace che ne consegue, laconvinzione di sentirsi una cosasola con gli altri e con tutto ciòche lo circonda, gli dona latelepatia col mondo necessaria atrovare l'allineamentoapparentemente magico dellepietre. «Se sgombri la mente puoifare qualsiasi cosa». L'energia,spiega, gli viene dalla preghiera aDio, comunque lo si chiami,perché tanto «uno ce n'è, seppurecon troppi nomi». Tutto qui.

Con un'aria perennemente tra ildisarmante e il divertito, Rabi, daqualche anno costella la baia dellasunny San Diego, appena oltre ilconfine con un Messico moltoraggiante e pochissimo in pace, deisuoi incredibili totem che fa e disfaper la gioia e lo stupore di indigeni eturisti che fanno a gara per caricarlosu youtube; altra locationsandieghese delle creazioni diRabindra, sempre lambita dapacifissimo oceano, è il SeaportVillage, quasi la versione pop di unvillaggio di pescatori (e in effetti aprogettarlo fu anche una società delgruppo Disney che architettò per gliedifici del waterfront molteambientazioni diverse: vittoriano,nuovo messico, vecchio west e capecod). Tra gabbiani che passeggianosfrontati come ballerini di musical ecarousel di cavalli che neancheMary Poppins ha mai visto cosìvividi, proprio a pochi metri dal sitodell’enorme statua di un marinaioche bacia un'infermiera eretta per il

Memorial Day di 5 anni fa («Resaincondizionata» si intitola) spuntaspesso anche Rabindra, adammaliare pietre come fosseroserpenti. Emergono dalle sue mani,sembra un tornitore coi vasi. «Èindiano, è un uomo spirituale» cispiegano all'Autorità Portuale di SanDiego dove lo considerano di casa«non usa trucchi, lui sente le pietre».

Dall'altra parte dell'oceano, sullesponde di un mare Adriatico chenon conosce i grandi mammiferipacifici e che, più che di ukulelihawaiani, risuona di eco balcaniche,opera - ma lui preferisce dire gioca -con i sassi, un collega doricodell'ignaro Rabindra.

Di mistico non ha nulla, e il suonome è tutto un programma: CarloPietrarossi.

Ha preso ad interessarsi alle

pietre guardando i bonsai edisponendo quelle giapponesisecondo l’arte del suiseiki; il suoposto preferito è la baia diPortonovo di Ancona, hacominciato un giorno e non ha piùsmesso. Tutte le mattine del mondopratica stone balancing in riva almare «è un habitat perfetto, ci sonoterra, acqua e aria nel fuoco globale,e stai qua: te la canti, te la conti e tela canti. E si trasmette percontagio».

La materia prima di Carlo, i sassicandidi, polverosi e senza spigoli diPortonovo, è apparentemente menoostica di quella di Rabindra. Indugiasui ciotoli, li accarezza e li famuovere cercando un punto diequilibrio «come lavorare col fuso,vedi. Cominci e in pochi istanti tisenti , ti ritrovi solo».

Deve fare i conti con le domandedei passanti, le esclamazioni dimeraviglia: ma anche le distrazioni,racconta, fanno parte del gioco diequilibrio, si sommano allagiustapposizione di elementi chepoggiano sulla base di tre punti,quella da individuare percominciare le costruzioni.

«È una cosa che riesce bene aibambini, perché è un bellissimogioco. Per alcuni una verità, ma iopreferisco non vederla così. Èpericoloso credere di avere la veritàtra le mani».

E Carlo Pietrarossi ha individuatonel mondo gli altri giocatori comelui, un paio di cento, e si sono datiappuntamento lo scorso aprile allabaia Portonovo, fiorita per mezzagiornata di scultore quasi cicladiche,

per la levigatezza e il candore diquei sassi. Il prossimo raduno saràad agosto, in Canada, ad Ottawa, suscenario fluviale stavolta, sull' ansadel fiume Ottawa appunto. Daquelle parti gioca John FeliceCeprano, che fa cose fellinianeassicura Carlo, che il geloimmobilizza in un fermo immagineper tutto l'inverno. Ogni stoner,impariamo, ha la sua impronta, c'èchi usa solo pietre, chi ammettel'intrusione di pezzi di legno esostegni naturali, e inserisce lostone balancing come elemento inpiù generiche opere di land art.

Poche le donne, che d'equilibriopure dovrebbero intendersene;esiste anche un manifesto aperto euna comunità di appassionati inespansione. Quando si incontranoad Ancona i giocatori o artistiamano praticare sotto una grandescoglio sotto la Baia della Torre chequalcuno chiama il sacrario. È cheda lontano era, sembra, un’isola,come aveva già intuito Munari. «Eper questo che ci piace» si affretta apuntualizzare Pietrarossi.

Però alla domanda su cosaaccomuni davvero gli stoner, al di làdi genere, nazionalità e stile,risponde senza esitazione «l'averattraversato momenti di attenzionee sofferenza. Chi si avvicina allepietre ha sempre pagato pegno».Con grande pace mette in equilibriol'ultimo ciotolo mentre ondeselvatiche e molto profumatetentano di sabotargli l'opera. A largopassa un surfer, spinge placido latavola col remo, San Diego non èlontana.

●●●Il 5 giugno all’Auditorium di via dellaConciliazione di Roma secondo concertodella nuova orchestra Méliès, 60 giovanistrumentisti italiani riuniti da FrancoPiersanti e diretti con l’emozione e lapartecipazione di un padre che assiste allanascita di un figlio. In sala EnnioMorricone, padrino, e Marie HeleneMéliès, madrina, pronipote del pionieredel cinema magico e fondamentaleinventore del montaggio. E poi i registi diPiersanti, Amelio, Moretti, Risi, Luchetti (lacolonna sonora del nuovo Bertolucci èsua). «Il mio è stato un gesto politicopreciso - ha detto Piersanti - in rispostaalla denigrazione di tutta l’arte e di chi la fada parte di chi ci ha governato in questianni». È vero, formare un’orchestra digiovani provenienti da tutti i conservatoridel paese, mentre le orchestre chiudono,la cultura soffoca priva di fondi eproduzioni, gli artisti e gli esecutori sonoalla fame e l’unica spinta che sembraesserci per i ragazzi appassionati è quellaall’espatrio, è atto politico, è un modo,economicamente rischioso, di combattereun sistema che spinge alla rassegnazione ealla morte civile. Le ragazze (tantissime agliarchi) e i ragazzi, allegri e serissimi, attentie eleganti nei loro abiti neri hanno, tral’altro, accompagnato L’ homme orchestre,in cui Méliès stesso si moltiplica e formaun orchestra di musicisti che hanno tutti lasua faccia, fa giochi di magia staccandosi latesta o parti del corpo, sdoppiandosi esostituendosi col suo volto alle note sulpentagramma . Avrebbe certamenteamata quest’orchestra un’ artista della vitache purtroppo ci ha lasciato due mesi fa,Laura Rosso poeta, performer, scrittrice,che verrà ricordata dal 13 (il giornodell’inaugurazione leggerò un suo testo) al23 giugno alla galleria Giulia, via dellaBarchetta 13 Roma, nella mostra diGiancarlo Benedetti Corcos, il pittore checon lei ha condiviso tutto amore, arte,dolore e che fino all’ultimo l’ha sostenutacurata, nutrita, con rarissima dedizione.Era una bella donna dagli occhi bluattraversata da una febbricitante passioneper la verità, provocatoria e violenta si èscontrata con tutto e tutti anche con quelmondo dell’arte ch’è sempre pronto ainneggiare alla diversità, all’originalità, alnuovo ma ch’è poi la prima vittima di sestesso, di un sistema di valori, anche insenso monetario, superficiale e comodo,in cui quegli artisti che vivono eesprimono la durezza e la crudeltà delreale verranno riconosciuti e magarimitizzati solo dopo morti perché da vivitroppo scomodi, ingombranti e nondisposti a mercanteggiare di se stessi. EraLaura una vera ribelle dadaista, una donnanella folla inseguita dalla propria psicosi -accusava un certo porco strizzacervelli diaverla provocata - e dai ricordi, giravasempre con un carrellino della spesa cheGiancarlo le faceva ogni giorno e lei incambio gli portava il panino conmozzarella e pomodoro ovunque egli sitrovasse prendendo pure tre autobus perraggiungerlo. Un grande amore. Per lui leiscriveva commediole, atti unici, misto digergo romanesco e interpretazionifilosofiche, laureata si era appassionata diWittgenstein, Cassirer, Humboldt,pesante e leggera, incontenibile. Volevacostruire la gabbia dell’arte una veragrande gabbia e rinchiuderci, per ilnecessario tempo performativo, artisti ecritici, voleva agire dentro i commissariatio gli ospedali, perché «parto dall’assuntoche il male della società contemporanea èun male del linguaggio».

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(9)ALIAS9 GIUGNO 2012

IL CIRCO

I MAKERS

LA RIVISTA

LA CARICA DEI 101 (1)DI CLYDE GERONIMI, HAMILTON LUSKE,WOLFGANG REITHERMAN. ANIMAZIONE. USA1961

099 cuccioli di dalmata vengonorapiti da Crudelia De Mon chevuole farne pellicce. La loro

liberazione avvine con l’aiuto di ungatto, un cane e un cavallo. Celebreanimazione Disney in versionerimasterizzata. I doppiatori italiani perPongo e Peggy erano Giuseppe Rinaldie Flaminia Jandolo, Rosetta CalavettaCrudelia De Mon, Mario Pisu ilCavallo, Oreste Lionello il gatto.

LA MIA VITA È UNO ZOODI CAMERON CROWE, CON MATT DAMON,SCARLETT JOHANSSON. USA 2011

0Dopo la scomparsa dellamoglie, un giornalista decide didare una svolta alla propria

vita trasferendosi in campagna con ifigli a dirigere uno zoosemi-abbandonato. L’impresa è ardua,ma ce la farà con l’aiuto dei figli e deicollaboratori. Girato nel sud dellaCalifornia, dal regista di Jerry Maguire,Elisabethtown.

ATTACK THE BLOCKDI JOE CORNISH; CON JOHN BOYEGA, JODIEWITTHAKER. GB FRANCIA 2011

1Gli alieni atterrano nel sud diLondra e non conoscendo leasperità del cockney se la

passano malissimo quando incrocianosulla loro strada un gruppo diragazzetti agguerriti delle periferie,armati di tutto. Così in due ore diinseguimenti e scontri degni di unvideogame dark il regista inglesequarantenne, ex comico in tv e allaradio, alla sua opera prima cerca direalizzare un’opera di horror spazialeper adolescenti platealmenteumoristica, mentre la polizia non siaccorge di nulla, se non che sono legang le uniche vere responsabili dellaviolenza. (r.s.)

COSMOPOLISDI DAVID CRONENBERG, CON ROBERTPATTINSON, JULIETTE BINOCHE. USA 2012

7Teorema sul cybercapitale, ilmanifesto di Occupy-WallStreet nell’interpretazione del

più morale dei registi che compiedetour politici su ogni riga di Don DeLillo. La limousine bianca al ralenti neltraffico di Manhattan è una metaforavivente lunga dieci metri che conduceda Park Avenue all’inferno di Hell’sKitchen il miliardario Eric Packer conla faccia pietrificata dell’ex-vampiro diTwilight, tanto per rinviare aisucchia-sangue dell’alta finanza. E se loscrittore americano dellapost-modernità data i suoi appuntiaprile 2000, Cronenberg li proietta inuno spazio atemporale, l’ambienteclaustrofobico dell’auto lievita e sidissocia dal presente. È il regno delpotere invisibile, una «zona morta»dove il regista canadese comprimesotto la superficie asettica i mostri piùferoci del suo cinema. (m.c.)

DARK SHADOWSDI TIM BURTON, CON JOHNNY DEPP. USA2012

7Burton gioca con l'immortalitàin un bazar di memorabilia, tralupi mannari e Crocodile rock,

alla ricerca impossibile di un presentedove fermarsi. Fruga nei bauli dellapaura, dietro alle sue creaturinemostruose, tutte fil di ferro, canapascucita, occhi sbilenchi, «autoritratti».Il vampiro Barnabas dei mille episodiAbc (’66-’71) salta fuori dalla memoriadegli esseri anormali, reietti ecadaverici. Depp riprende la sua facciadi cera ed è Barnabas, signorino nellatenuta di Collinswood, padrone dellacittà che dal 1750 porta il suo nome.Burton orchestra una commedia neradai toni camp sull'essere sempre fuori

dal proprio tempo. (m.c.)

EDWARD E WALLIS: IL MIOREGNO PER UNA DONNADI MADONNA; CON ABBIE CORNISH, JAMESD'ARCY. USA 2012

7Madonna, riesce ad annodarecoscienza classica, l'Europa, ecoscienza moderna, il

Vermont, con le storie parallele di duedonne, Wally Winthrop e WallisSimpson, in questa sua opera secondadi produzione britannica, dalle stranedissonanze ritmiche. Inossidabilequello dell'amore assoluto tra laduchessa e il duca di Winsdor chepassò per lei la corona al fratellobalbuziente e pusillanime, e solo perAmore. Il film non è una commediaromantica, e non è un film storico.Linguaggio non sperimentale, manell'arrangiamento sa come farprocedere il «mero intreccio» traadagio e allegro, tra crescendo eariette. (r.s.)

LA GUERRA È DICHIARATADI VALÉRIE DONZELLI, CON VALÉRIE DONZELLI,JÉRÉMIE ELKAÏM. FRANCIA 2011

7Una storia d’amore che haentusiasmato lo scorso anno ilfestival di Cannes, Siamo nel

marzo 2003, è appena stata dichiaratadagli Usa la guerra all’Iraq, Romeo eJuliette si sono incontrati in discotecae niente può separarli. Un giornoarriva Adam e dovrà essere operatod’urgenza per un tumore al cervello.Ed eccola la loro guerra, contro lapaura, la disperazione, la paranoia chefa dubitare di tutto e di tutti, la geurracontro i sensi di colpa. Al contrario diciò che potrebbe sembrare è unacommedia in cui i corpi degli attori e isentimenti danzano e si rincorronocambiando continuamente il lororegistro, dal dramma alla gioia. Concoraggio e con eleganza il film parla divita. (c.pi.)

ISOLEREGIA: STEFANO CHIANTINI, CON ASIAARGENTO, IVAN FRANEK. ITALIA 2012

7Tre personaggi vivono nel loroisolamento e nel silenzioperché dolore o difficili

situazioni hanno segnato il lorodestino. Isole nell’isola (siamo alleTremiti), ma tra loro si crea unaprofonda comprensione: una ragazzamuta (Asia Argento), l’anziato preteappena uscito dall’ospedale,l’immigrato senza documenti. Altatensione emotiva, interpretazioninotevoli. Il film esce in sala e si potràvedere dal 16 maggio online sul sitowww.larepubblica.it (s.s.)

MARILYNDI SIMON CURTIS, CON MICHELLE WILLIAMS,KENNETH BRANAGH. GB 2011

7Colin Clark,figlio dello storicod’arte Kenneth Clark fuassistente sul set del film «Il

principe e la ballerina», del ’56 conMarilyn Monroe da poco sposata conArthur Miller in trasferta in Inghilterra.A quel backstage leggendario perl’antipatia che Olivier sviluppò neiconfronti della sua co-star americanasi ispira il film con una Marilyn moltoriuscita. A cavallo tra love story,sogno e gossip hollywoodiano.(g.d.v.)

IL MUNDIAL DIMENTICATODI FILIPPO MACELLONI, LORENZO GARZELLA.DOCUMENTARIO. ITALIA ARGENTINA 2012

8Mockumentary che racconta,come se fosse vero,l’incredibile storia dei moniali

di Patagonia del 1942. A contribuire adare credibilità al gioco si sonoprestati in molti, tra cui Baggio,Havelange, Lineker, Valdano. E ilrisultato è spassoso con italiani etedeschi che mettono in campotrucchi e abilità, fotografie, giornali e

cinegiornali, amori impossibili,invenzioni straordinarie. Da treracconti di Osvaldo Soriano. (a.ca.)

NON VOGLIO MORIRE DASOLODI TSAI MING-LIANG, CON SHIANG-CHYI CHEN,LEE KANG-SHENG. TAIWAN FRANCIA 2006

7Siamo nella Kuala Lumpur delnuovo millennio popolata daimmigrati, non parlano il

malese e spesso si guardano anche traloro con diffidenza, se nonaggressività, per difendere quel pocoche hanno. C'è un senso di malattiaprofonda nel film, forse più acuto chenegli altri suoi lavori a cominciaredallo straniamento esasperato diun'immagine quasi documentaria. Unragazzo (Lee Kang-Sheng, icona di TsaiMing-Liang) picchiato quasi a morte, èaccolto da un altro emigrato dalBangladesh che divide con lui ilmaterasso. Una ragazza cinese cura ungiovane ricco in coma. (c.pi.)

PROJECT X - UNA FESTA CHESPACCADI NIMA NOURIZADEH; CON THOMAS MANN,OLIVER COOPER. USA 2012

4Tre liceali sfigati di Pasadena.Costa è un vulcano di idee perfar convergere a casa di

Thomas con i genitori assenti, quantapiù gente sia possibile per una festamemorabile. Alla fine arriveranno inmigliaia, mettendola a ferro e a fuoco,mentre i vicini impazziscono, ipoliziotti fuggono e la tv riprendedall’elicottero. L’idea chiave è quella dispostare il teenmovie verso territoripiù trasgressivi. Alla fine il problemavero di questa festa è che non ci sidiverte, non si ride. (a.ca.)

SILENT SOULSDI ALEKSEI FEDORCHENKO; CON IGORSERGEYEV, YURIY TSURILO. RUSSIA 2010

8Il titolo originale è Ovsyankizigoli, una specie di passeri dalpiacevole cinguettio, un

soprannome dato anche alla bellaTanya defunta in attesa di funerale. Enon è una semplice cerimonia, ma uncomplesso rito fatto in solitudine checoinvolge il marito Miron e un suodipendente che farà la cronaca delviaggio a cui aggiungere personaliricordi, appartenente al suo stessopopolo quasi estinto, i Merja, una tribùugro finnica del lago Nero nella Russiacentro occidentale. Il linguaggio èessenziale e disteso, un affascinanteviaggio nelle profondità del tempo apartire da una ambientazionemoderna, una cartiera in pienafunzione. Il film, come altri celebri,scorre lungo il fiume ed è un fiumedella storia, delle tradizioni, dei ricordidi famiglia, degli usi e costumi che siperdono per sempre. Resta il fuocodove bruciare il cadavere e le cenerida spargere nell’acqua e, legamesottile tra vivi e morti, il raccontodella intima vita coniugale.La scheggiaimpazzita sono i due passeri chesvolazzano nella gabbia collocati inmacchina a ricordarci qualcosa che cisfugge. (s.s.)

LA VITA NEGLI OCEANIdi JACQUES CLUZAUD - JACQUES PERRIN.DOCUMENTARIO. FRANCIA 2011

1Non è un semplicedocumentario, ma un viaggioin una dimensione sottoposta

a regole diverse e sconosciute,popolato da esseri che contengono insé la memoria dei secoli passati,glossario vivente per il poco che neconosciamo, di una storia sommersa.Le meraviglie degli oceani, con pocoantropomorfismo, non fosse per imammiferi. Il resto sono luci, coloriguizzanti, bocche e ventri, spilli erocce, con una musica simile al cantodelle sirene, al rombo delleprofondità. (s.s.)

SINTONIEA CURA DISILVANA SILVESTRICRISTINA PICCINO, MARCO GIUSTI,ROBERTO SILVESTRI,GIULIA D’AGNOLO VALLAN,ARIANNA DI GENOVA,MARIUCCIA CIOTTA

MENCRAFTROMA, ARANCIERA DI SAN SISTO VIA VALLE DELLECAMENE 11 (TERME DI CARACALLA)12-16 GIUGNOMencraft proposto da Radio, agenzia deimedia emergenti è il primo festivaldedicato ai Makers, esposizione diprogetti, creazioni e oggetti nel mondodelle due ruote, dello street food, dellapornografia, del social design e molti altriterritori in cui si esprime l’ingegnomanuale. Artigiani singoli o piccoleimprese espongono moto assemblate echitarre di alluminio artigianali, tavole dasurf e prototipi abitativi per i senzatetto, ilmanifesto dello ‘street food’. Persone e cose provenienti dal Libano, da New York, dallapenisola arabica, da Los Angeles, Bergamo e Ravenna: Davide Caforio, Felix Thorn, illaboratorio N.O.A.H. guitars, il collettivo Tour De Fork, Sergio Messina e molti altri. Unprogramma di concerti e performance dal vivo accompagnerà l’esposizione: la classicaorchestra afro-beat, ensemble barocco di 11 elementi che suona le musiche di Fela Kutiaccompagnati dal figlio Seaun Kuti, il live di Machinedrum, Gilles Peterson DJ e labelmanager, ispiratore del movimento acid-jazz con la sua Talkin' Loud, Mombu, afro-noisecon un gruppo di percussionisti africani e, sempre assai apprezzato, il reading di ValerioAprea accompagnato da due musicisti. Ingresso gratuito. (s.s.)

I FILM

PIETRE DEL «BOSS»CONTRO LO STATO

MAGICO

IL FILM7 GIORNI ALL’HAVANADI AUTORI VARI. CON EMIR KUSTURICA, JORGE PERUGORRÍA. SPAGNA FRANCIA 2012Sette cortometraggi di 15 minuti l'uno, firmati da Benicio Del Toro, Pablo Trapero,Julio Medem, Elia Suleiman, Gaspar Noé, Juan Carlos Tabìo e Laurent Cantet checercano di decostruire gli stereotipi dell'isola. Qualcuno ci riesce. Certo l'occhio èunidimensionale, maschio al 100%, e ne vedremo di «bonite» di ogni colore con lelunghe gambe. Kusturica interpreta se stesso, parabola della celebrità, suggerisceTrapero, Il cineasta in crisi creativa si risveglierà e diventerà amico dell’autistajazzista. Nel divertente episodio di Benicio Del Toro un giovane yankee visita la cittàper la prima volta e fa cilecca con ogni ragazza che incontra. Una ragazzina nerasedotta da una (turista?) bianca, la mercificazione della carne cubana non conoscefrontiere: Ritual di Gaspar Noè. Il palestinese Elia Suleiman firma il corto piùautocritico e più bello che svela il fascino e l’incomprensibile «viaggio all’Havana» : inattesa di un appuntamento ad alto livello, il suo è l'inchino più discreto e poeticoall'isola. Juan Carlos Tabio fugge non solo dagli stereotipi ma anche da Cuba, abordo di un zattera piccola e fragile che trasporta «verso la libertà» una ragazza e ilsuo fidanzato, divo cubano del baseball che ha rinunciato per lei a un ingaggio aPuerto Rico. La ragazza è Cecilia dell’episodio di Julio Medem, Dulce Amargo come letorte di Mirta, psicologa, pasticcera per necessità, artista di dolci sontuosi, moglie diun colonnello depresso in pensione che vorrebbe dividere la zattera illegale con lafiglia adottiva. E Laurent Cantet che si avventura in storie di Santeria. (m.c.)

MIRABILIAFOSSANO (CUNEO) 13-17 GIUGNODal 13 al 17 giugno si tiene a Fossano lasesta edizione del «MirabiliaInternational Circus & Performing Arts»ideato e organizzato da IdeAgorà, Nelcorso del festival si esibiranno 35compagnie provenienti da tutto ilmondo e saranno presentati 40spettacoli, 6 dei quali inseriti nell'ambitodi progetti europei. Tra gli spettacoli, IlCirco di Lorca (Cirko Vertigo, Italia),Siege (Les Baigneurs, Francia) spettacolodi danza con accompagnamento lirico,espressività dell’artista con l’oggettosedia, On My Way (Stefano Di Renzo, Inghilterra/Italia) Il Sidecar (I MattacchioniVolanti – Italia), strani personaggi in lievitazione, #File Tone (SubliminatiCorporation - Multi) dal progetto Jeunes Talents Cirque Europe, lo spettacolo piùcontemporaneo del Festival e anche uno dei più interessanti e discussi delcirco/teatro francese, Concert’eau en Do Nageur (Aquacoustique – Francia), tremusicisti immersi nell’acqua, una dimensione sonora inedita, +75 (Fadunito, Spagna)spettacolo che mette in evidenza i problemi di accessibilità degli anziani. ScarpetteRosso Borotalco (Cafelulé - Italia) una innovativa produzione di danza verticale. Epoi convegni, seminari, workshop e una sezione dedicata ai bambini. (s.s.)

«RROSE»EDIZIONI RROSE SELAVY, TOLENTINO, NUMERO 2La rivista bimestrale - il cui nome èprelevato dall’alter ego femminile diMarcel Duchamp (almeno un «pezzo»,quel Rrose sempre impigliato fra i dentidi chi lo pronuncia) - che scommettesulla creatività ad ampio raggio, si va daldesign alla grafica passando per la poesiae la paesaggistica, è arrivata alla suaseconda uscita e per festeggiare cambiaun po’ i suoi connotati. Nata come freepress con le sole forze dell’associazioneculturale Rrose Sélavy di Tolentino,distribuita a mano e per posta nellelibrerie, gallerie, alberghi, caffè, musei, passa a 4 euro e consacra metà delle sue paginea una tematica precisa e l’altra metà a felici vagabondaggi intellettuali. Questa volta alcentro è il paesaggio, declinato nei modi più inusuali. Dalla grafica che compone i testicreando così una «geografia» della lettura (l’intervista all’art director RiccardoFalcinelli) al corpo a corpo con i luoghi di Franco Arminio, fino alle architetturefotografiche di Gabriele Basilico «rivisitate» da Achille Bonito Oliva come fosserosegni perturbanti e oscillazioni sentimentali. C’è anche un incontro con la poesia diMaria Luisa Spaziani (intervista di Riccardo Giacconi) che svela l’esistenza di un suoromanzo costruito per frammenti e pezzetti di carta raccolti qua e là in sacchi di juta.Le incursioni artistiche del numero sono affidate a Mimmo Paladino. (a.d.g.)

TOMORROWUk/Irlanda, 2012, 4’10”; musica: The Cranberries;regia: Colin McIvor; fonte: Mtv

6Curiosa l’ambientazione diTomorrow, che segna il ritornodella formazione irlandese dopo

ben 10 anni. Dolores O’Riordan, dal voltopiuttosto emaciato, si sdoppia in due: inuna sorta di loculo di cemento, distesa ecoperta di rose come se fosse morta; insuperifice, avvolta da un’enorme catenadavanti al microfono, accompagnata daimembri della band, mentre ogni tantoslides sono proiettate sulla parete. Cupo,surreale ma non troppo. McIvor dovevaosare di più ma, allo spirito visionario,preferisce puntare tutto sul playback.

WE TAKE CARE OF OUR OWNUsa, 2012, 3’55”; musica: Bruce Springsteen; regia:Thorn Zimny; fonte: Mtv

7La grande poesia ed energia di«The Boss» visualizzata in unvideoclip che – nell’ultima parte –

dal bianconero slitta nel colore. Armatodi chitarra, Springsteen è interrotto dalleimmagini (a volte fisse) di un’anonimacittadina americana che potrebbe trovarsitra «Chicago a New Orleans» comerecita la canzone, ma soprattutto dai voltidi uomini, donne e ragazzi che, alla finedel clip, diventano una massa in lentocammino. Il testo di We Take Care of OurOwn – canzone di denuncia verso lo statoche non si fa carico dei cittadini di frontealle catastrofi sociali e naturali – appare insovrimpressione, a testimonianza che, maicome stavolta, la parole sono pietre.

IL COMICO (SAI CHE RISATE)Italia, 2012, 4’50”; musica: Cesare Cremonini; regia:autore ignoto; fonte: Youtube.com

6Cremonini ruba la bici di unaragazza che apre la saracinescadel suo negozio, per giungere in

una villa dove c’è una grande festa inmaschera e in cui si consuma la storiad’amore e di gelosia tra lui e la medesimaragazza che – a fine video – ritorna con labici nel luogo iniziale e viene di nuovoderubata. Singolari alcune trovateperformative del gruppo di mimi, ma «Ilcomico» (sai che risate) – primo singolodell’album La teoria dei colori – non ha unanarrazione forte, ma solo una strutturavagamente surreale che si morde la coda.Più divertente il video non ufficialerealizzato dallo stesso Cremonini con isuoi amici che animano una schiera dipeluche intorno a un pianoforte.

GOOD INTENTNuova Zelanda, 2011, 4’30”; musica: Kimbra; regia:Guy Franklin; fonte: Youtube.com

9Il camerino di un teatro. Unsilenzio assoluto. Kimbra(conosciuta in Italia per aver

duettato con Gotye in una fortunata hitdel momento) canta davanti allo specchio,mentre tre uomini in strada accennanopassi di danza. Ora la vocalist kiwi è sulpalco, dove si sdoppia in tre e il ballodiventa collettivo. Non c’è un’ideaparticolare se non quella di creareun’atmosfera sospesa trasformando ilvideo in un musical anni ’50-’60. Ilrisultato – grazie alla lucida fotografia diEdward Goldner e alle coreografie di LucyRichards e Ashley McKenzie – è piuttostosingolare e di grande eleganza.

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INTERVISTA ■

Le metamorfosidi Piotta. «Bastapersonaggi, solola forza delle idee»di L. GR.

Tra gli artisti rap più popolari c’è chisi è smarcato sia da un pubblico solohip hop, sia da quello adolescente espensierato. Così, vuoi per coerenzacon certe idee, vuoi per voglia di nonseguire per attitudine o «percontratto» le tendenze, c'è ancoraspazio per delle sorprese.Emblematico il percorso di Piotta(Tommaso Zanello), la cui esperienzadice molto sugli sviluppi della storiadel rap in Italia. Abbiamo intervistatoil recente autore di Odio gliindifferenti (La grande onda), albumche ospita in un colpo solo PierpaoloCapovilla del Teatro degli Orrori,Francesco Di Giacomo del Banco delMutuo Soccorso, gli Africa Unite maanche Dj Myke e Rancore, rapper ditalento, attualmente molto quotato.Un album infarcito di suoni e ritmidiversi ma che ha come filoconduttore il rap. Non chiamatelocrossover però perché potrebbesembrare un’operazione nostalgica ePiotta ci ha detto che le cose nonstanno così.

●Dire che quando l’hip hop italianoera volto all’impegno tu eri piùscanzonato e ora che l’hip hopitaliano pare votato al disimpegnotu figuri tra le voci più«consapevoli», è una visione

superficiale della tua carriera?Se si analizza il mio percorso a singoli,cioè concentrandosi sulle canzoniestratte dagli album per proporle a unpubblico più ampio, è un’analisi checi può stare. Entrando poi neldettaglio, ogni mio album - a partiredal primo, del 1998, vedi pezzi comeLa valigia e Ciclico - ha braniimpegnati o intimi. La maturazionemi ha portato a prendere sempre piùconsapevolezza di me. Da tempo nonho più bisogno di un personaggio perarrivare a tutti, basta Tommaso con laforza delle sue idee. Ho sottrattosempre più all’estetica e ampliato laconoscenza musicale e la capacitàcompositiva di musiche e testi.

●Il tuo nuovo album sembra unomaggio agli anni ’90…Io credo invece che Odio gliindifferenti sia un omaggio al futuro.Non amo molto il passato, ingenerale, e trovo malinconico viveredi ricordi. Guardo sempre avanti,forse troppo avanti, e se inSupercafone cantavo di un’Italia dacommedia che poi è arrivata inparlamento, oggi canto il rigurgito diun ventennio edonista e superficiale.Il mio rigurgito è un mix di rap, rock ereggae, che vuole superare generi ebarriere. Prendo posizione, miespongo, cerco un confronto, mettoin discussione.

Una scena in precario equilibrio tra vogliadi diversificazione e assenza di identità. Con piccoleetichette a corto di risorse e major a cacciadell’ultima sensazione pop. Ma c’è chi reagisce

Rap Italia, l’eradel grande caos

FENOMENI ■ PUNTI DI VISTA, VALUTAZIONI, CONTRADDIZIONI DEL MONDO HIP HOP NOSTRANO

di LUCA GRICINELLA

L'impegno della scena romana, ladenuncia di quella napoletana,l'edonismo alla milanese e il purismodei bolognesi. Sono alcuni dei trattigenerali del rap italiano che emergonodall’opinabile gioco di circoscriverlo inuna singola città. Negli anni ’90 il rapin Italia si è prima caratterizzato per lasua militanza politica o comunque perla denuncia sociale. Successivamentec’è stato il flash di quel mix ispirato traimpegno e il tanto ambito, quantocontroverso, «stile»: due nomi su tutti,Sangue Misto e Lou X. Infine è toccatoa un'agonia impersonale, un periodobuio sia per la qualità, sia per ilmercato - complice solo in partel’avvento dell’era digitale. Spazzato vial’entusiasmo di quel primo boomcollettivo delle rime in italiano,accantonata del tutto l’utopiadell’unità della scena, nel decenniosuccessivo si è ripartiti lentamente esenza chiari punti di riferimento.Facendo perno propriosull’azzeramento prodotto dalla crisidi fine anni ’90, il mercato ha trovatoun varco d’entrata, così sono statifirmati anche dai rapper i primicontratti seri con le major, i rapporticon i colossi della discografia sonodiventati continuativi e le dinamichesono decisamene cambiate rispettoagli anni in cui il rap veniva discussonelle assemblee dei collettivi. Passatequeste fasi, oggi la scena rap italianada un certo punto di vista si puòdefinire diversificata, da un altro privadi un’identità comune. E arrivaresenza identità a trattare con i piani altipuò diventare un problema, puòsignificare consegnarsi nelle mani delmercato e dunque sottostare, più omeno consapevolmente, alle suetendenze. Dimenticata l’esperienzadell’autoproduzione iniziale, ilproblema reale pare proprio ladifficoltà di trovare strutture dimercato che, con lungimiranza,portino il rap italiano alla maturità. Lepiccole case discografiche nonsembrano avere modelli da seguire e,oggi più che mai, non fruttano,dunque non hanno risorseprofessionali e mezzi, passione aparte. Una buona parte di queste,vista dall’esterno, fa anche sorgere ildubbio che produrre musicaalternativa, e dunque restare nellanicchia sotterranea, non sia una sceltaeditoriale ma una condizione subita.

Nel grande contenitore rock questoavviene in misura minore perché siparla di una realtà ben più radicata, incui da tempo, anche in Italia, esiste unmodello mainstream - o quantomenofunzionante - e uno alternativo. Cosìla divisione italiana delle grandi casediscografiche può permettersi divendere con insistenza il rapesclusivamente come musicagiovanilistica, anche quando prodottada ultratrentenni. L’impressioneesterna è che le major sappiano fintroppo bene (insieme a vari rapper) didoversi rivolgere irrimediabilmente aun pubblico adolescente opost-adolescente. Da un nostroincontro con un diciassettenneromano che segue il rap da circaquattro anni, è venuto fuori che tra iriferimenti del suo giro di amici non cisono solo i popolari Fabri Fibra, ClubDogo, Marracash o Fedez ma ancheveterani dell’impegno come Colle derFomento e Assalti Frontali («sono

ancora molto stimati e acclamati»),artisti underground come Gemitaiz,Canesecco, Diluvio e MadMan e ilrapcore del giro Truceklan.

«Il rap da sempre vuole denunciarema non dimentica il successo: qualchevolta chi si afferma proviene dacondizioni sociali al limite e fare unavirata cominciando a produrre rap piùcommerciale non è cosìinconcepibile», così ci ha raccontato.Per la controprova basta fare un giroai concerti di Colle der Fomento eAssalti Frontali, due casi emblematici:i trentenni non mancano ma iragazzini sono in maggioranza eripetono a memoria anche i versistorici degli anni ’90. I più giovani eassidui seguaci del rap sembrano

dunque ascoltare le rime a tempo aprescindere dal filone e dal messaggio,seguendo prima di tutto una passioneforte. Ma il mercato sa che si tratta diuna nicchia non decisiva per il decollodi un artista, magari capace dicostituire la presenza minimagarantita a un evento ma nient’altro.

Insomma, a conti fatti, l’interopubblico che sostiene il rap pare avereil suo stesso limite, non ha piùun’identità netta: oggi in Italia tra gliascoltatori di rap solo una minimaparte frequenta la cultura hip hop.Dinamiche che fanno partedell’entrata del rap nel mondo pop,guidata dalle major. Un passaggio cheda noi avviene con fatica, anche acausa di quell’impronta inizialemilitante e di denuncia con cui eraesploso il fenomeno e che solo inparte si è persa - per lo più a causa dispaccature e polemiche interne allascena. Ancora oggi insomma alcuniartisti resistono e fanno in modo chequel bagaglio non vada perso, anchedando vita a etichette chepromuovono rap di qualità,consapevole, non urlato. Così, lavarietà dell’ambiente rap odierno hagenerato un cortocircuito all’italianaper cui si esce dalla porta dei centri

sociali per entrare in quella degli ufficidelle grandi case discografiche eviceversa. Se non di continuo, quasi.

Tra le realtà che potrebbero avereuna funzione mediatrice ci sono i clubpiù o meno alternativi che stannoaprendo le porte ai rapper più o menoin voga, ma la fatica che fanno perinstaurare un rapporto continuo eprivilegiato con l’hip hop - come lohanno con il rock - è ancora evidente.La risposta più concreta vienedall’interno ed è costituita dagli artistiche hanno frequentato i piani alti delmercato discografico esuccessivamente messo a disposizionedegli altri la loro esperienza epassione, come Piotta, e da altriancora, come Macro Marco, cherestando attaccati ai sotterranei hannofatto crescere alcuni artisti fino a farlicorteggiare da major e tv. Entrambidirigono un’etichetta e ci hannoraccontato le loro impressioni sullafase che sta attraversando il rap inItalia. Una fase cruciale, in cui dalbasso si ha l’occasione di ridareun’impronta trasversalmente credibilealle rime a tempo, anche visto lo statoeconomico in cui versa la grandeindustria musicale. È ancora possibileinventare il rap italiano?

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INTERVISTA/2

«Le rime hannogli occhi addosso»Macro Beats spiegacome resistere

●E la citazione iconografica de«L’odio» (1995) in copertina? Ha unlegame con l’attualità?L’unico omaggio agli anni ‘90 èproprio quello a L’odio: un film cultoche ha segnato più di unagenerazione. I legami con l’attualitàsono tanti, a partire purtroppo dallabrutalità della polizia, ampiamentedocumentata e ripetutasi in numerosie recenti episodi anche qui in Italia.

●A proposito di impegno eattualità, cosa vuoi aggiungere sullaquestione che ti ha visto opposto aMediaset? Di recente hai dichiarato«se Mediaset continuerà a passare imiei brani durante il GrandeFratello, non potrò impedirlo alivello legale ma utilizzerò tutti iproventi che deriveranno dai dirittid’autore per sostenere il movimentoNo Tav».Personalmente trovo discutibilequesto accordo quadro della Siae conMediaset. Come autore vorrei avere lafacoltà di poter impedire l’utilizzo dimie opere d’ingegno in contesti chetrovo umilianti e in antitesi con il miopercorso. Lo trovo un dannod’immagine e morale ma non c’èscelta perché la Siae ha il monopolioe vuole incassare sempre.

●Ma a posteriori si può dire che«Supercafone» e le altre tue hit tiabbiano permesso di essere piùlibero di tanti altri colleghi rispettoalle logiche di mercato?Non saprei risponderti. Io mi sentivolibero nel farla, poi nel superarla, poilibero di sognare La grande onda(etichetta discografica di Piotta, ndr).Sempre a testa alta, perché se unartista non è libero di dire «no» a certelogiche di mercato, sarebbeveramente triste. Anche per questo hofondato questa mia etichettaindipendente, perché gli squali non ciavranno mai!

●Quindi sulla nascita de La grandeonda ha influito anche una cattivaesperienza con i piani alti delmercato discografico?L’etichetta è nata dall'esigenza dicostruire un percorso autonomo e

indipendente, in tutti i sensi. Unpercorso coraggioso, viste le milledifficoltà economiche del momentoacuite da una becera gestione delledinamiche lavorative, non sviluppateda chi vive sui luoghi di lavoro ma dacattedratici. Mi piace l'approccioartigianale che si vive in questadimensione, fatta di un rapportomolto familiare con artisti e fan-base.Insomma, niente superstar ma solostelle del quartiere.

●Parlando di un altro tipo dietichetta: quella di«supercafone» pesa ancoraoggi o no?Zero. Se poi per qualcuno pesaancora è qualcuno cheprobabilmente non segue lamusica alternativa, i concerti,ma magari una certa tv, tipoquella suddetta. Le porte sonosempre aperte, ci mancherebbe,ma non sarò io ad andare nellasua direzione, piuttostol’opposto, oppure stiamobene così.

●A questo proposito:dai tempi del tuopicco di popolarità aoggi come e quanto ècambiato il tuopubblico? E più ingenerale dagli annidei tuoi inizi a oggi ècambiato molto ilpubblico del rap inItalia?Dal picco a qui cambia cheil pubblico che mi seguiva ècresciuto con me e negli annisi sono aggiunti tanti ragazzi.Giovani attenti, sensibili alletematiche sociali e alla realtàche si vive oggi, dinamici emusicalmente trasversali. È unpubblico che come me ama rap,rock, reggae e la musica alternativa ingenere, con grande apertura mentale.Il pubblico del rap è aumentato adismisura e finalmente ce n'è di tutti itipi, a ciascuno il suo.

COLLEZIONI DISCOGRAFICHE IN FUMOdi FRANCESCO ADINOLFI

Il triste destino di alcune collezioni discografiche. Da un lato hanno fatto la storia dei musicisti a cuisono appartenute e dei rispettivi generi di riferimento, dall'altro si sono tragicamente accartocciatesu stesse. Tra le più note quella del Pias Group, il noto distributore musicale britannico. Durantele rivolte della scorsa estate un deposito di 60mila metri quadri è andato a fuoco mandando infumo tre piani di dischi appartenenti a etichette come Domino, 4AD, Warp, Ninja Tune. Inquell'occasione fu distrutto quasi tutto lo stock in vinile di The Hellcat Spangled Shalalala, secondosingolo degli Arctic Monkeys da Suck It and See, il quarto album. Le poche copie sopravvissute

furono vendute via web dalla band. Un incendio ha distrutto anche l'immensa collezione di GeraldCosloy, fondatore della Matador, la label di Pavement, Guided By Voices, Liz Phair, Yo La Tengo.Lui si è salvato, i dischi no. L’incendio divampò nell'agosto 2009 nella sua casa di Austin, Texas.Diverso l'esito della storica micro-collezione di Elvis Presley. Nel 1968 il cantante chiese aScotty Moore, chitarrista e manager, di trasferirgli su nastro 26 dischi a 78 giri di artisti che loavevano ispirato: da Carl Perkins a Fats Domino. Moore avrebbe dovuto restituirglieli in occasionedi un prossimo tour che però non ebbe mai luogo. Nel 2010 Moore li ha venduti all'astaracimolando oltre 92mila euro. Triste anche il destino della collezione di Jam Master Jay (nellafoto), il dj dei Run DMC, assassinato nel 2002. Li conservava nel suo studio del Queens. Duranteuna ristrutturazione stavano per essere gettati via. Great Zeee, produttore/produttore, se n'èaccorto e ora li ha stipati nella sua cantina.

di L. GR.

Macro Beats è una delle etichette indipendenti hiphop di riferimento. «Anche se alcuni, forse perl'imprinting iniziale, ci considerano un’etichettareggae - racconta il suo fondatore Macro Marco - inrealtà nella nostra discografia i prodotti hip hoppesano di più in percentuale, assestandosi attornoal 70%, direi». L’etichetta è nata nel 2007 e,continua Macro Marco, «tra uscite ufficiali e non, inquesti cinque anni abbiamo lavorato una ventina didischi». Anche con lui, che milita nell’hip hop daglianni ’90 prima di tutto in veste di dj e produttoremusicale, abbiamo parlato dello stato del mercatoitaliano del rap e del suo attuale pubblico.

●Avere nella griglia artisti come Kiave e Ghemon(il suo «Qualcosa è cambiato» è una dellemigliori uscite rap del 2012, ndr) significa lottarecon le major per non farseli strappare? O ritienil'esperienza con Macro Beats formativa rispetto aun futuro di questi e altri artisti nei piani alti delmercato discografico?Avere artisti come loro in questo momento per noisignifica aver lavorato bene! A parte l'oggettivovalore dei singoli artisti, il fatto che siano alla ribaltae che le major, le radio e le tv abbiano messo gliocchi su di loro è il risultato di un percorso iniziatoinsieme da anni, quindi non può che farci piacere.Rispetto ai nostri artisti non siamo mai stati né«gelosi» fino al punto di privarli di possibilità piùalte, né «smaniosi» fino al punto di svenderli.Crediamo che la strada che stiamo percorrendo siaquella vincente e che l'unico futuro immaginabileper dare una posizione alla musica di qualità nel«mainstream» sia la collaborazione tra etichetteindipendenti come la nostra e le major e/o altregrosse strutture come per esempio distributori,uffici stampa, agenzie di booking ecc.

●Qual è l'identikit del pubblico che segue i vostriartisti e le vostre uscite?Il nostro pubblico logicamente parte da una baserap e reggae; è costituito da ragazzi molto giovaniche sono anche quelli che ti seguono nei live e«morbosamente» su internet e sui social network. Inrealtà col passare del tempo mi sono reso conto chela nostra musica è seguita da personeestremamente diverse tra loro, di tutte le età. Moltenon sono neanche strettamente fan dei nostrigeneri musicali ma hanno imparato ad amare inostri artisti e i nostri suoni, prendendo quellodell'etichetta come logo di garanzia e di qualità.

●Tu parti come artista ma poi oltre all'etichettahai messo in piedi anche un booking: oggi inItalia si può vivere con il rap indipendente?Si può vivere bene (non parlo a livello economico)sapendo di essere fortunati di fare nella vita quelloche piace fare. Si può sopravvivere (e questa voltaparlo a livello economico) nonostante i tempi sianoquelli che sono. La prima risposta spesso evolentieri rende più facile tutto il resto.

Al centro Piotta, nel riquadro il disco di Ghemone sotto un’illustrazione hip hop. A destra Macro Marco

ERRATA CORRIGELa scorsa settimana la doppiapagina su «Cantanti & gregari»è uscita a nome Guido Mariani.In realtà l’autoreè Guido Michelone.Ce ne scusiamo con i lettorie i diretti interessati.

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di SIMONA FRASCA

Il 25 febbraio scorso, nel giorno delcompleanno di Enrico Caruso nato aNapoli nel 1873, a Lastra a Signa - aun passo da Firenze - ha apertoufficialmente la sua attività il primo,almeno a memoria, museo italianodedicato al tenore, in un luogo a luiparticolarmente caro. Si tratta dellaVilla di Bellosguardo edificata su unodei colli più suggestivi dell’areafiorentina, una struttura di singolarebellezza di impianto cinquecentescocircondata da 8 ettari di parco. Lavilla fu una delle ultime dimoreitaliane del tenore, acquistata nel1906 è rimasta proprietà dellafamiglia Caruso, del figlio Rodolfo edel fratello Giovanni, fino al 1926cinque anni dopo la mortedell’artista. Dopo vari passaggi, nel1995 il Comune di Lastra a Signa laacquistò dalla famiglia Gucci e daquel momento è cominciato il lungoe laborioso cammino per lacostituzione del museo.

«Il primo nucleo del museo - ciracconta il direttore Claudio Rosati -si è formato grazie a una raccolta dicimeli dell’Associazione EnricoCaruso di Milano. Tutti gliappassionati sanno bene che Carusoera un grafomane, un produttore didocumenti di ogni tipo, lettere,caricature, vignette e un grandecollezionista di monete d’oro,orologi, opere d’arte. Questo è stato ilpunto di partenza per la nascita delnostro museo che raccoglie questogenere di materiali. Abbiamo inesposizione circa 400 reperti macontando quelli presenti nei depositiarriviamo a circa 2000 documentiappartenuti o prodotti dal tenore.Questo per dare indicativamenteun’idea del grande patrimoniolasciato in eredità da Caruso».

Che il tenore napoletano fosse,oltre che un grande artista e uno deipiù notevoli interpreti dell’operaverista italiana, un esperto vignettistacapace di disegnare con pochi trattieccellenti caricature che ritraevanotutti i personaggi noti e meno notiche gli capitassero a tiro era cosadiffusa soprattutto nella comunitàitaloamericana di inizio Novecento.La Follia di New York, il fogliocircolante tra gli emigrati in quelperiodo, è un tesoro in questo sensogiacché su quelle colonne Carusoesprimeva il suo guizzo di ironicoritrattista ogni settimana. La suaopera fu fondamentale perpromuovere l’integrazionedell’italiano nel contesto americano,egli costituì un supporto importantenel veicolare l’immagine positiva delmeridionale emigrato a New York.Per semplificare si potrebbe dire chela sua figura sta alla comunità italianaun po’ come quella di LouisArmstrong sta a quellaafroamericana. Erano ambedueesempi virtuosi dei rispettivi contestietnoculturali di appartenenza eutilizzarono la musica come percorsodi emancipazione, una testa d’arieteche negli anni servì a valutare sottouna nuova luce la questione razzialein un’epoca in cui i linciaggi eranoeventualità assolutamente nonremote tanto per i neri che per gliitaliani.

Il volto solare, fiducioso erassicurante di Caruso era utilizzatosulle riviste e sui volantini dellacomunità italiana in America persponsorizzare ogni tipo di prodottoitaliano, dalla pasta al caffè, dall’olioai giornali, senza tralasciare, come èovvio, i grammofoni e i dischi. Iltenore napoletano fu la prima starproveniente dal mondo dell’opera a

vendere un milione di dischi conl’aria Vesti la giubba da I pagliacci.

L’altro grande elemento diattrazione del museo è costituitoproprio dalla ricca collezione digrammofoni e di fonografi la cuitecnologia nella storia della culturaoccidentale si sviluppa di pari passocon la carriera del tenore. «Abbiamocostruito il percorso del museo -continua il direttore - come unracconto biografico. All’ingresso c’èun busto di grande pregio che ritrae iltenore. Un’opera di Filippo Cifariello,scultore formatosi nella temperie delverismo e della scuola napoletana diVincenzo Gemito e noto per le sueterribili vicende familiari culminatecon l’uxoricidio della prima coniuge.Ci si inoltra poi nelle stanze della villache raccontano la vita ricca,turbolenta, a volte anche infelice diCaruso. Tra di esse quella forse piùbella è la camera arredata con il lettorealmente appartenuto al tenore,acquistato nel 1979 per la cifra di450mila lire. L’idea dunque è quella

di narrare una biografia ma anche diillustrare la costruzione di un mito. Aseguire c’è la sala da musica quellanella quale Caruso si esercitavaquotidianamente con il pianoforte,qui sono presenti alcuni costumi discena tra i quali quello del celebreCanio da I pagliacci di Leoncavallo.In tutto il museo sono statiposizionati degli attivatori sonori chediffondono a discrezione delvisitatore ascolti tratti dall’ampiadiscografia del tenore. L’obiettivo è diimplementare questo aspetto sonorodella villa costituendo una vera epropria sala di ascolto e continuandoil progetto nato insieme al CentroPaganini di Genova che ci ha giàfornito la sua competenza per questaprima fase di sonorizzazione. Leiniziative che stiamo attivando inquesti mesi sono di vario tipo econsiderando che siamo un museo a«euro zero» cerchiamo di mettere inpiedi delle proposte che partendo dalnome del tenore promuovano ilmuseo come modello culturale conalcuni percorsi che abbiamointitolato "Dietro le quinte", lamusica con il laboratorio ludico sullavoce per ragazzi, l’esplorazione delparco e delle zone circostantiattraverso l’acquisizione di unamappa che disegni tra l’altro percorsiarborei e botanici, perché la VillaCaruso è un luogo di gran pregioanche sotto questo aspetto. Carusoracconta un mondo particolare chespesso entra in contatto con ilterritorio, alcuni raccontano peresempio di come abbia messo adisposizione la sua abitazionedurante i moti agricoli di iniziosecolo. Al di là di questi aspettiCaruso resta un artista. Non è statoun grande tenore ma il tenore per

eccellenza che sopravvive ai suoicontemporanei perché come spessomi raccontano i suoi estimatori èl’unico della sua epoca che si puòcontinuare ad ascoltare mentrel’evoluzione dello stile operistico haoffuscato le altre voci che non hannosaputo reggere la sfida del tempo».

Caruso fu interprete innovativo,stravagante, intelligente e curioso. Ilrapporto costante tra scrittura eoralità che determina la cifraspecifica della produzione musicalelegata al canto in Campania, luogodal quale proveniva fisicamente eidealmente, costituisce un aspettonodale dell’attività di Caruso cheresta una figura esemplare capace disaldare quel principio di circolaritàtra cultura alta e bassa della musica edi consegnare alcune importantiesperienze della tradizione italiana inlingua e in dialetto all’immediatofuturo che fu quello della musicaregistrata e amplificata conl’intermediazione dei microfoni e lariproduzione fonomeccanica, cioè inparole povere l’industria musicale. Inuna intervista rilasciata nel 1917 a unrappresentante della casadiscografica Victor Talking Machinerivelò: «Mi piace incidere dischi manon mi diverto. Come potrei? Lotemo più della recita piùimpegnativa, perché tutto deveessere assolutamente perfetto, laperfezione di un perfettomeccanismo. Io devo essere il cuore,l’anima, il sentimento di quello checanto e devo essere anche un artista.Vorrei che quelli che non mi hannomai sentito in teatro non silimitassero a comprare solo uno deimiei dischi. Per giudicarmi,dovrebbero averne almeno tre oquattro, o anche più. Vorrei che miascoltassero nelle parti pesanti eleggere, nel repertorio lirico e neldrammatico e così sarei contento.Sono fiero che la mia voce non andràmai perduta, e ho anche un po’ dipaura. Diventare una tradizione èuna grave responsabilità, vero?».

Per tutti questi aspetti che furonofrutto in parte del destino e in partedel suo talento, Caruso fusicuramente la prima «media star». Eforse questo è uno dei motivi cherendono la sua voce ancoraprofondamente emozionante e il suoCanio intenso, e lo collocano lontanoda stereotipi compassionevolinonostante quell’abito da pagliaccio.

ZIGGY È TORNATOdi R. PE.

Proprio in questi giorni, esattamente il 6giugno 1972, usciva The Rise and Fall ofZiggy Stardust and the Spiders from Mars,uno dei dischi più importanti della storiadel rock. In quell’album David Bowievestiva i panni di un umanoide a cuirestavano cinque anni per salvare il

mondo. Ziggy verrà divorato da eccessivari, incluso il suo ego. In realtà il discoera una grande metafora sull’idea dicelebrità, argomento caro soprattutto aWarhol, grande ispiratore del musicista.La photo session di copertina di BrianWard ha fatto storia; si tenne al 23 diHeddon Street, di fronte alla sede dellapellicceria K West (oggi non esiste più) inuna notte fredda e piovosa. La band sirifiutò di uscire e solo Bowie comparve

sulla copertina. Volto, capelli e vestitovennero poi ridipinti in studio. Era laprima volta che Bowie si facevafotografare fuori da uno studio; l’idea eradi rendere ancora più minuto e squallidoil personaggio di Ziggy. Oggi nella via(nota per la sua moltitudine di ristoranti)è stata affissa una placca che ricordal’evento fotografico. Le foto interne stileArancia Meccanica furono fatte in studio.Proprio di recente gli scatti scartati di

di ALESSANDRO MICHELUCCI

Negli anni Cinquanta del secoloscorso, in vari paesi europei, latelevisione di stato si modernizzò perfar fronte alle novità imposte daitempi: controllo del suono, stacchipubblicitari, sigle. Tale contesto sidimostrò subito un alleatofondamentale dei giovani musicistiche volevano esplorare le possibilitàdelle nuove apparecchiatureelettroniche.

Pierre Schaeffer fondò il Groupe deRecherches Musicales (Grm) diParigi; a Colonia nacque lo Studio fürElektronische Musik; a LondraDaphne Oram e Desmond Briscoecrearono il Bbc RadiophonicWorkshop. Anche l'Italia partecipòattivamente a questo fermentoeuropeo. Nel 1955 Luciano Berio,Bruno Maderna e Marino Zuccherifondarono lo Studio di fonologiadella Rai, ospitato dai locali milanesidell'emittente statale. L'annosuccessivo, per sostenere questaricerca, Berio e Maderna dettero vitaalla rivista Incontri musicali.

Dimenticata per molti anni,l'esperienza dello Studio di fonologiaha ottenuto la rivalutazione chemeritava soltanto fra la fine del secoloscorso e l'inizio di questo. Libri comeNuova musica alla radio. Esperienzeallo studio di fonologia della Rai diMilano 1954-1959 (Rai-Eri, 2000) eC'erano una volta nove oscillatori. LoStudio di fonologia della Rai diMilano nello sviluppo della NuovaMusica in Italia (Rai-Eri, 2002) hannoriacceso l'interesse per questaesperienza fondamentale. I contattifra le ricerche che si andavanosviluppando in vari paesi vennerostimolati dal Prix Italia, un concorsointernazionale per programmiradiofonici e televisivi che la Raiaveva fondato nel 1948. Nonostante ilrisveglio d'interesse per lo Studio difonologia, mancava ancora unadocumentazione esauriente dellacompetizione promossa dalla Rai. Acolmare questo vuoto ha provvedutol'etichetta Die Schachtel, che hapubblicato L'immaginazione inascolto. Il Prix Italia e lasperimentazione radiofonica (DieSchachtel/Rai Trade, 2012).L'elegante confezione in cartonegrigio contiene 6 cd per quasi 5 ore dimusica e un volume bilingue(italiano-inglese) di 400 pagine.

La selezione non si basa sui lavoripremiati, che sono soltanto due, mainclude anche opere partecipanti eperfino escluse dalla competizione.Sette opere concepite per la radio dacinque compositori: Berio,

Castiglioni, Maderna, Rota eSciarrino. La stessa scelta deimusicisti è stata operata in modointelligente. Berio e Maderna eranoovviamente necessari, essendo ifondatori dello studio di fonologia.La presenza di Nino Rota serve aricordare che il grande compositoremilanese, pur essendo noto al grossopubblico per la collaborazione conFellini, ha diretto la propria ricerca inmolte altre direzioni. Castiglioni,forse il meno noto del gruppo, meritadi essere conosciuto o rivalutato.Sciarrino, unico vivente dei cinque, èil necessario ponte fra i due secoli,mentre gli altri sono legati allatemperie culturale del Novecento.

Secondo un criterio caro alla Raidell'epoca, molte opere traggonoispirazione dalla letteratura: Ages diMaderna da Shakespeare, Diarioimmaginario di Berio da Molière,Attraverso lo specchio di Castiglionida Carroll, Don Perlimplin diMaderna da Garcia Lorca, ecc.Quest'ultima, una delle ultime operedel compositore veneziano, era stataappositamente costruita per la radio,ma nel 1975 fu messa in scena aColonia, dove ottenne scarsosuccesso. La musica è stata incisa intempi più recenti dal ContempoartEnsemble di Mauro Ceccanti,affiancato per l'occasione dal flautistaRoberto Fabbriciani. Di Berio vieneproposto Il diario immaginario,opera del 1975 scritta insieme aVittorio Sermonti per la regia diGiorgio Pressburger. All'epoca ilmusicista di Oneglia aveva giàcomposto alcune delle sue opere piùrilevanti, come le Folk Songs scritteper la moglie Cathy Berberian ebuona parte delle Sequenze.

A Dante si ispira invece Sciarrino,autore del vigoroso monumentosonoro La voce dell'inferno. Il poeta èuna presenza importante nellaparabola artistica del compositoresiciliano. Sciarrino gli dedicheràinfatti altre composizioni, comequelle per La divina commediatelevisiva (1988) e le musiche di scenaper il dramma di Giovanni Giudici Ilparadiso.

Il volume curato da Angela Ida deBenedictis e Maddalena Novati non èun complemento trascurabile, ma haun alto valore critico e documentarioanche se lo si consideraautonomamente. Meritano un plausosincero Bruno Stucchi e FabioCarboni, responsabili dell'etichettaDie Schachtel, impegnata dal 2003nella ricostruzione di una memoriastorico-musicale che spesso rischia diessere sacrificata dalla logicamercantile.

In provinciadi Firenze nasceun museointeramentededicato al grandetenore partenopeo.Icona positivadell’emigrante In alto, in grande, un’immagine del museo

dedicato a Enrico Caruso. Qui accantoLuciano Berio, in alto Nino Rota

STORIE ■ CIMELI, DOCUMENTI E VIGNETTE

Enrico Caruso,la prima popstar.L’incredibile vocedi un «pagliaccio»

PAGINE

Esperimentiin onde medieQuando la RaipreferivaLuciano Berioe Nino Rota

RITMI

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Thee Oh SeesGarage rock per la band californiana.Segrate (Mi) LUNEDI' 11 GIUGNO(MAGNOLIA-INDIE SUMMER PARTY)Marina di Ravenna (Ra) MARTEDI'12 GIUGNO (HANA-BI)Roma MERCOLEDI' 13 GIUGNO (PIAZZALEDEL VERANO-SUPERSANTO'S)Torino GIOVEDI' 14 GIUGNO (SPAZIO 211)Marghera (Ve) VENERDI' 15 GIUGNO(POP CORN)

Light AsylumDark wave e electro per l'esordienteduo newyorkese.Milano MARTEDI' 12 GIUGNO (SPAZIOCONCEPT, CON THE BODYGUARD)

The BodyguardIl nuovo progetto di James Ferraro.Milano MARTEDI' 12 GIUGNO (SPAZIOCONCEPT, CON LIGHT ASYLUM)Faenza (Ra) MERCOLEDI' 13 GIUGNO(CLANDESTINO)

LagwagonIl punk anni Novanta della bandcaliforniana.Portomaggiore (Fe) DOMENICA10 GIUGNO (PARCO COLOMBANI)Livorno MARTEDI' 12 GIUGNO (THE CAGE)Sesto San Giovanni (Mi)MERCOLEDI' 13 GIUGNO (CARROPONTE-ROCKIN IDRHO)

Herman DuneIndie rock in chiave francese.

Bologna MARTEDI' 12 GIUGNO(BOLOGNETTI ROCKS)Roma MERCOLEDI' 13 GIUGNO (INIT)

Dimmu BorgirMetal estremo per la band norvegese.Roncade (Tv) DOMENICA 10 GIUGNO(NEW AGE)Ciampino (Rm) LUNEDI' 11 GIUGNO(ORION)Bologna MARTEDI' 12 GIUGNO (ESTRAGON)

The BoxettesIl gruppo vocale al femminile di Londraospite del «Solevoci Festival».Varese VENERDI' 15 GIUGNO (PIAZZA MONTEGRAPPA)

Elliott MurphyNonostante non abbia mai raggiuntograndi livello di notorietà ilcantante/autore di Long Island,, con lasua musica ha influenzato gente comeBruce Springsteen e Lou Reed.Trieste MARTEDI' 12 GIUGNO (PIAZZASANT'ANTONIO)

Il Teatro degli OrroriIl tour di presentazione dell'ultimolavoro della band veneta, Il mondonuovo.Prato SABATO 9 GIUGNO (BLACK OUT)Padova SABATO 16 GIUGNO (PARCHEGGIONORD STADIO EUGANEO-SHERWOOD FESTIVAL)

SubsonicaLa band torinese impegnata nel tour

estivo.Perugia SABATO 16 GIUGNO (PG CITYFESTIVAL)

Offlaga Disco PaxIl trio reggiano torna con un Gioco disocietà.Roma GIOVEDI' 14 GIUGNO (PIAZZALEDEL VERANO-SUPERSANTO'S)Castel Maggiore (Bo) VENERDI'15 GIUGNO (SPUTNIK FESTIVAL)

Paolo BenvegnùIl cantautore, ex Scisma e leader dellaband che prende il suo nome.Sommacampagna (Vr) SABATO9 GIUGNO (PARCO IMPIANTI SPORTIVI)Bologna SABATO 16 GIUGNO (PIAZZA VERDI)

Giardini di MiròLa post rock band reggiana con unlavoro dal titolo benaugurante, GoodLuck.Campogalliano (Mo) SABATO16 GIUGNO (ARTI VIVE FESTIVAL)

Marlene KuntzTorna dal vivo la rock band piemontese.Brescia DOMENICA 10 GIUGNO(PALABRESCIA)

MIT Meet in TownLa seconda e conclusiva giornata delfestival di musica elettroinca propone leperformance, tra gli altri, diSquarepusher, James Blake, Mouse onMars, Sébastien Tellier, Atlas Sound,

Ghostpoet e Machinedrum.Roma SABATO 9 GIUGNO (AUDITORIUMPARCO DELLA MUSICA)

Indie Summer PartySecondo appuntamento con la rassegnameneghina. Sul palco Thee Oh Sees,Lonewolff, The Assyrians.Segrate (Mi) LUNEDI' 11 GIUGNO(MAGNOLIA)

Traffic Free FestivalProgramma corposo per la rassegna rocktorinese. In cartellone Drink to Me,Mount Kimble e Orbital.Torino SABATO 9 GIUGNO (PIAZZA SANCARLO)

Supersanto'sFestival indie a San Lorenzo. Incartellone: Il Muro del Canto (stasera),Fabrizio Cammarata e Nicolò Carnesi (il10), Massimo Zamboni e Angela Baraldi(il 12), Thee Oh Sees e Giuda (il 13),Offlaga Disco Pax e Calibro 35 (il 14),Brunori Sas (il 15).Roma DA SABATO 9 A VENERDI' 15 GIUGNO(PIAZZALE DEL VERANO)

MencraftIl Makers Festival ha in programma il djset di Machinedrum (l'11) e a seguireMombu feat. West African Percussionlive (il 12), Classica Orchestra Afrobeatfeat. Seun Kuti live (il 14), GillesPeterson dj set (il 14), Benjamin Damage& Doc Daneeka live e Lovejet dj set (il

16).Roma DA LUNEDI' 11 A SABATO 16 GIUGNO(ARANCIERA DI SAN SISTO)

Rock in IdrhoLa prima delle due giornate del festivalrock (la seconda il 21 luglio) propone sulMain Stage The Offspring, The Hives eBilly Talent, sul Second Stage Lagwagon,Hot Water Music e La Dispute.Sesto San Giovanni (Mi)MERCOLEDI' 13 GIUGNO (CARROPONTE)

10 Giorni suonatiIl programma del festival prevede iltrittico Lynyrd Skynyrd, Molly Hatchet eBetta Blues Society.Vigevano (Pv) MERCOLEDI' 13 GIUGNO(CASTELLO)

FestateVentiduesima edizione della rassegnaticinese il cui sottotitolo quest'annorecita «The High Side of Freedom».Ospiti della due giorni: Orchestra di ViaPadova, Anthony Joseph & The SpasmBand, Ebo Taylor (il 15); Mariem Hassan,Staff Benda Bilili, Magnifico (il 16).Chiasso (CH) VENERDI' 15 E SABATO16 GIUGNO (PIAZZA MUNICIPIO)

DinamofestIn cartellone per i primi due giorni difesta, Congo Natty Movement e GeneralLevy (il 15), 99 Posse (il 16).Roma VENERDI' 15 E SABATO 16 GIUGNO(CITTA' DELL'ALTRA ECONOMIA)

quella storica notte sono raiaffiorati inrete (vedi qui: http://www.flavorwire.com/292865/alternate-photos-from-david-bowies-ziggy-stardust-cover-shoot).Ovviamente rientrano negli eventi cheaccompagnano la ristampa dell’album(rimasterizzato) sia in cd che in vinile. Aquest’ultimo formato è allegato un dvdche include mix alternativi dei singolipezzi e una versione strumentale diMoonage Daydream.

BOOGALOOPER SEMPRE

A CURA DI ROBERTO PECIOLA CON LUIGI ONORI ■ SEGNALAZIONI: [email protected] ■ EVENTUALI VARIAZIONI DI DATI E LUOGHI SONO INDIPENDENTI DALLA NOSTRA VOLONTÀ

ULTRASUONATI DAFLAVIANO DE LUCAGIANLUCA DIANAGUIDO FESTINESEMARIO GAMBAROBERTO PECIOLAMARCO RANALDI

AMADOU&MARIAMFOLILA (Because Music)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Ormai superstar, la coppia -chitarra e voce - di musicisti non vedentipiù famosa del Mali, stavolta ha puntatodecisamente verso ampie sperimentazionie nuove traiettorie sonore con importanticollaborazioni internazionali, registrandoquesto disco in tre periodi diversi, aBamako, New York e Parigi. Il calorosoafrobeat del duo si colora di elettronica,di venature pop, di un’atmosfera blues unpo’ frenetica dovuta anche ai numerosiospiti, dalla rapper Santigold a Tunde eKyp dei Tv on the Radio, passando perBertrand Cantat dei Noir Desir. (f.d.l.)

TAB BENOITLEGACY (Telarc)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Nascere a Houma, Lousiana eavere New Orleans a poco più di un'oradi macchina, lascia il segno. Benoit e il suo«Best of», nonostante sia solo classe1967. Un bluesman proveniente dallaterra dei cajun, che ha già detto e incisotanto e ci auguriamo lo faccia ancora. 14brani in cui si traccia il suo percorsomusicale, in chiave elettrica. Incisionitrascinanti e ricche di groove che sialternano a episodi più intimi e prossimialla ballad. Certo, mancano alcune chiccheacustiche fuori casa Telarc, ma pocoimporta. (g.di.)

PIERRE BOULEZMÉMORIALE/DÉRIVE 1/DÉRIVE 2 (Naïve/Jupiter)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Magmatica e infinitamenteanalitica. Fittissimamente polifonica epopolata di densi blocchi sonori.Germinazione di idee musicali unadall’altra quasi senza requie. Operaappassionante per un ensemble di 11strumenti (clarinetto, oboe, fagotto,corno, piano, vibrafono, marimba, arpa,violino, viola, violoncello). Appare per laprima volta nel 1988 e poi viene ripresa,ampliata, trasformata nel 2001 e nel 2006.Grande occasione d’ascolto questa Dérive2 dell’ottantasettenne compositorefrancese, che l’ha dedicata a Elliott Carter.Interpretata con acutezza dall’EnsembleOrchestral Contemporain diretto daDaniel Kawka. Nel formidabile cd ancheMémoriale (1985) e Dérive 1 (’84). (m.ga.)

BOBBY CONNMACARONI (Fire/Goodfellas)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Come al solito in un disco diBobby Conn ci trovi di tutto. Masoprattutto ci trovi una sana e lucida folliache lo porta a giocare con la psichedeliabeatlesiana, a flirtare con il glam di unDavid Bowie d’antan, a duellare conritmiche funky, a sbattere contro punk epost punk. Insomma un piatto, che unavolta qualcuno ha chiamato now wave,non facilissimo da digerire se non siamano certi «formati»... (r.pe.)

Il singolo con cui i Ramones debuttanonel 1976 si intitola Blitzkrieg Bop, unaspecie di inno con quell'«hey ho, let's go»che ha fatto storia. Poiché l'estate puòservire a cambiare prospettiveesistenziali, sentimentali e artistiche eccoche il pezzo muta in un guizzo reggae chetravolge. In Hotstylin'/Babylon Bop (MusicFor The People MFTP005; 2012)Harvey K-Tel e Snorkie infilano unsingolo che fa scuola. Rielaborano inchiave reggae il pezzo dei Ramones esembra che sia nato proprio così tanto èperfetto e efficace il trattamento. In uncerto senso è molto vicino a quanto giàfatto da Minimatic con Oasis Skaker, lastrepitosa versione bossanova diWonderwall degli Oasis.

Sul lato A, che in questa sede pocointeressa, la stessa infusione di suonigiamaicani è conferita a Hot Stepper di IniKamoze. Harvey K-Tel è il re delreggae/bootleg, già noto per BoopsApocalypse, pezzo in cui rileggeva Womanof the Ghetto (Marlena Shaw). AncheSnorkie la sa lunga: è il creatore diWoman, un brano stile Santana che nonpuò mancare nei dj set con impennatelatin. È stato ristampato nel 2009 e inmolti si sono affrettati a risuonarlo neiclub: da Dj Andy Smith a Fatboy Slim.Imperdibile il debutto dei Los Fulanosdi Barcellona. Si esto se acaba que siga elboogaloo (Lovemonk LMNK 46CD; 2012)è una deliziosa incursione nei regni dellatin sound. L'ensemble, noto per averaccompagnato Joe Bataan su disco (Kingof Latin Soul) e dal vivo non sbaglia uncolpo. È un soul boogaloo molto urbanoe bianco (a volte un po' sottile, privo diquell'ampiezza e quegli slanci dei grandimaestri) che punta dritto ai piedi, inparticolare in pezzi come Kind of Guy oWhy Don't We Do Some Boogaloo. Delresto «quando non c'è più nulla daperdere, continuiamo con il boogaloo».Come recita il titolo.

Tra i dischi appena usciti Together(Légère rec. LEGO 044; 2012) deitedeschi Pitch & Scratch. Il duo diAmburgo aveva colpito con l'albumHamburg Hustle e in particolare conEnough, saltellante singolocripto-northern soul. Il nuovo albumcontinua ad esplorare i confini del funk(con puntate disco) ma la scossa arrivasolo con Papa Never Was a Genius:splendida la voce roca e ultrablues diWayne Martin. Molte le novità AcidJazz, etichetta londinese da sempre alcuore di suoni mod e new soul. Traqueste Men Of North Country,gruppo israeliano (di Tel Aviv) guidatodal cantante/dj/produttore YashivCohen. L’album The North (Acid JazzAJXCD 291) include anche il primosingolo (che dà il titolo all'album) e ilsecondo Mirror Man, cover del pezzodegli Human League. Il disco - sorrettoda una voce che rimanda sovente aDavid Bowie - è un cocktail saltellante dipop e northern soul influenzato dalunghi ascolti delle produzioni Acid Jazz.

Di Sea of Bees ci eravamo occupati loscorso anno per l’esordio, Songs for theRaven. Il ritorno, Orangefarben (Heavenly/Coop Music), come spesso accade per uncerto tipo di folk cantautorale, la vedeallargare gli orizzonti, ma purtroppo ladelicata magia del debutto si è un po’ persaper strada. Arrivano da Liverpool e sono intre, si fanno chiamare Stealing Sheep epubblicano un ep, Noah & the Paper Moon(Heavenly/Coop Music), che anticipa ildebutto previsto per il 2012. Le tre ragazzedel Merseyside sembrano avere stoffa, e illoro folk contaminato da elettronica e psychpop ha le carte in regola per piacere agliamanti del genere e non. Ben più esperto èinvece il newyorkese Gabriel Levine,cantante dei Takka Takka, che si prende unapausa dal gruppo e con l’aiuto di una serie diamici - dai National a Jónsi, da Björk a SufjanStevens, da tUnE-yArDs a St. Vincent - hacostruito un album, Kiss Full of Teeth(Communion/Coop Music), sotto lopseudonimo di Gabriel & The Hounds.Un gioiellino folk ma con i piedi ben piantatiin un range sonoro ad ampio spettro, trapsichedelia e blues. Mood intimo e ottimiarrangiamenti sono il surplus che ne fannouna vera chicca. (Roberto Peciola)

News per il blues italico. Dalla Sardegnacon il King Howl Quartet all'esordiocon un lavoro omonimo edito dalla TalkAbout Records. Dietro il leader bandDiego Pani un combo di quattro giovanie preparati musicisti che si cimentanocon un solido rock-blues versione 2.1.Mornin' e Nocturne gli episodi migliori diun disco che consta di undici brani: bravie in bocca al lupo. Mike Sponza,triestino, da tempo invece rivolge il suosguardo vers l'Est Europa. Dove tantisono gli appassioanti di blues. Eccoquindi un doppio disco che riassumeincontri ed esperienze con musicisti chevanno dalla Finlandia all'Ungheria e moltialtri. Titolo esplicativo Continental Shuffle(Sonic Shapes), per Sponza &European Blues Convention chedanno risultato finale interessante edestremamente eclettico. Terzo disco inanalisi il doppio Me, My Music & My Life(Pepper Cake) di Rudy Rotta. Unasorta di compendio della lunga carrieradel chitarrista che include vari e illustriospiti (da John Mayall a Carey Bell, daRobben Ford a Brian Auger), ma chenon aggiunge nulla alla biografiadell'autore. (Gianluca Diana)

INDIE FOLK

Gabriel, segugiopsichedelico

TRIBUTI

Sulle fondamentadel XX secolo

BLUES ITALIA

Il lamento regaledella Sardegna

JAZZ ITALIA

La coscienzadi Claudia

HAWKWINDONWARD (4Worlds)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Dave Brock ha settantuno anni.Da oltre 40 ha tra le mani la cloche dellanavicella space rock Hawkwind, un nomeuna leggenda. Meravigliosamente inattualie fuori tempo massimo, con i loro frulliispaziali da radio fuori sintonia e le chitarreindurite, gli Hawkwind del 2012 sonodiventati ciò che predicavano nel 1970:degli alieni in musica che insegnano almondo un'altra realtà. Onward è il migliordisco da un decennio a questa parte.Allacciate le cinture, si parte. (g.fe.)

FRANK MARTINMESSE (Harmonia Mundi)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Un capolavoro questo di FrankMartin: la Messa per doppio coro acappella è una sintesi di grande musica edi ricerca spirituale. Del compositorefrancese purtroppo si conosce poco (nelsenso di incisioni) ma questo capolavoro,cantato con dal Rias Kammerchor direttoda Daniel Reuss, ce lo fa scoprire. (m.ra.)

SIGUR RÓSVALTARI (Emi)❚ ❚ ❚ ❚ ❚ Se con il precedente lavoro, dal

titolo impossibile da recitare e dascrivere, il quartetto islandese sembravaaver abbandonato la strada del post rockcon i suoi crescendo sonici, per lasciarespazio addirittura a momenti «solari»,allegri e spensierati, con questo nuovoValtari, disco nato nonostante voci discioglimento, a vincere sono le atmosfere,dilatate e sognanti, più ambient che mai.Quello che però appare chiaro è che,almeno stavolta, le idee fossero poche enon sempre a fuoco. Ma certo, quello cheper i Sigur Rós può essere un passo falso,per altri, molti, è solo un miraggio. (r.pe.)

Chi pensa che le «quote rosa» del jazzcontemporaneo in Italia siano riservate alcanto, si ricreda subito: ci sono parecchiesempi che vanno in tutt'altre direzioni:Carla Marciano, ad esempio. Che inStream of Consciousness (Alfa Music/Egea)suona sax contralto e sopranino, unaggeggio gradevole alla vista, ma micidialenell'intonazione. Affiancata da un trioclassico eccellente, Marciano sfodera unatorrenziale capacità di fraseggio (il «flussodi coscienza» del titolo) che rammenta davicino il John Coltrane del quartettoclassico, senza esserne il calco mimetico.Va invece all'hard bop che precedettel'esperienza più avanzata di Coltrane ilriferimento del sassofonista tenoreClaudio Giambuno, alla guida di un suoquintetto in Moon Is Here (Jazzy Record/Egea). Suono robusto, elegantearchitettura di frasi, e l'ospite Dino Rubinoa tromba e flicorno, un musicista cheultimamente ritroviamo in molte belleincisioni. Chi ama la fusion, il funk e losmooth jazz ascolti invece Crystals delcontraltista Alessandro Bertozzi(level49/ Egea): ci trovate spunti notevoli,e una delle ultime prove del compiantoHiram Bullock. (Guido Festinese)

I tre dischi «omaggi» o «tributi» adaltrettanti musicisti fondamentali negli itercreativi del XX secolo: Bela Bartók,compositore ungherese «espressionista»,Tom Jobim, ossia la bossanova, MiriamMakeba, la Signora d'Africa. Pingopingando(Abeat) di Antonella Montrasio e MaxDe Aloe Quartet vive su tredici«brasiliane» (arrangiate sulle versioni pergrande orchestra di Claus Ogerman) in unmood cameristico dai contrappuntivoce/armonica a restituire uno Jobimquasi crepuscolare. A Little Bartók (Abeat)del trio di Daniele Santimone (chit.),Ares Tavolazzi (cb.) Riccardo Paio(batt.) con l'aggiunta di Marco Tamburini(tr.) e Achille Succi (ance) riprende settedei bartokiani Mikrokosmos pertrasformarli quasi in un happening perguitar jazz. Infine per Zenzi del DinoRubino Trio (Tùk Music) già ilsottotitolo celebre la grandissima vocalistsudafricana, il cui potente folk-jazz vieneromanticamente plasmato dalmultistrumentismo del leader (pianoforte,tromba, flicorno) che, con l’aiuto degliesperti Paolino Dalla Porta (cb.) e StefanoBagnoli (perc.), offre un convincentepost-bop. (Guido Michelone)

ON THE ROAD

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Il mito sovieticodel footballcollettivistico

di LUIGI CAVALLARO

●●●«Unione Sovietica». L’albod’oro degli Europei di calcioesordisce così, con un nome alquale non corrisponde più alcunarealtà geograficamenteriscontrabile. Quasi una metaforadell’assetto dei rapporti diproduzione che quel nomeevocava e che adesso, al pari delnome, è destinato ad una presenzapuramente spettrale.

Era il 1960, e da almeno quattroanni – dall’«indimenticabile 1956»– il mondo sperimentava unanuova recrudescenza della guerrafredda fra Est e Ovest, da ultimo acausa della rivoluzione cubana diFidel Castro e Che Guevara e delladecisione di Chrušcëv di installarea Cuba una base militare sovietica.Ma forti tensioni attraversavano idue blocchi anche al loro interno: aEst, non si era ancora sopita laconflittualità che aveva portato laJugoslavia di Tito a fuoriuscire dalcampo socialista e la Polonia el’Ungheria a ribellarsi contro iregimi filosovietici; a Ovest, era laFrancia di De Gaulle, tornato alpotere nel 1958, a mostrarsisempre più insofferente neiconfronti del regime di«protettorato» entro il quale gliamericani costringevano di fattol’Europa occidentale ad offrire alcolto e all’inclita robusti motivi perdiffidare dell’ingombrantepresenza dell’«amico americano».Motivi che peraltro andavano arafforzare i primi tentativi dei «nonallineati» di affrancarsidall’egemonia dei due blocchi.

Astraendo da questo contesto,

non si capirebbe nulla dellepeculiarità di quella primaedizione dell’Europeo di calcio.Che infatti vide il boicottaggio delleprincipali potenze calcisticheoccidentali (Inghilterra, Scozia,Germania Ovest, Italia), lapresenza massiccia di squadredell’Est (Urss, Ungheria,Cecoslovacchia, Polonia,Romania), la convintapartecipazione di compaginidichiaratamente «neutrali» ocomunque difficilmenteclassificabili (Norvegia, Danimarca,Jugoslavia, Spagna, Portogallo) e lacelebrazione della sua fase finalegiusto in Francia: la quale, mancoa farlo apposta, era la nazione chein Henri Delaunay (primo

segretario generale dell’Uefa) avevaespresso il più tenace assertoredell’idea di una competizionecalcistica continentale.

Fu un’edizione strana. Quelmisterioso e per lo più invisibilelegame che avvince il calcio e lapolitica e che fa sì che l’uno sianiente più che una narrazionemetaforica dell’altra tornòbrutalmente a manifestarsi inoccasione del categorico divietoche il «generalissimo» Francooppose all’incontro tra la Spagna el’Urss, che avrebbero dovutodisputarsi l’accesso alle semifinali:praticamente, una riedizione arovescio dell’antico niet con cuil’«Internazionale Sportiva Rossa»aveva per molti anni risposto alla

richiesta delle squadre di calciosovietiche di sfidare le loroomologhe «borghesi» (perché – sidiceva – gli operai dovevanomisurarsi «solo con i loro simili»),che rese per sempre impossibile lasfida tra Alfrédo Di Stéfano e LevJašin, ossia tra il più forteattaccante e il più forte portiere diquegli anni.

Alla fase finale a quattro(secondo una formula che sarebbedurata fino al 1976) accedetterocosì l’Urss a tavolino, la Francia, laJugoslavia e la Cecoslovacchia.Vinse l’Urss, battendo 2-1 in finalela Jugoslavia e vendicando cosìl’umiliante sconfitta subita ottoanni prima alle Olimpiadi diHelsinki: «umiliante» se non altroper la pubblica degradazione chel’intera rappresentativa sovieticaaveva dovuto subire di ritorno inpatria per non aver saputomostrare la «superiorità socialista»rispetto ai «rinnegati» titoisti.

Sarebbe tuttavia erroneoascrivere la vittoria sovieticasoltanto all’assenza di validicompetitors: in quegli anni, infatti,l’Urss era all’avanguardia nellesperimentazioni tattiche seguiteall’universalizzazione del WM edella marcatura a uomo. Il suoallenatore, Gavril Kacalin, avevamilitato come calciatore nellaDinamo Mosca durante i miticianni in cui Boris Arkad’ev avevaprovato con successo a infonderelo spirito russo nell’invenzionetattica di Herbert Chapman,esortando i suoi attaccanti ascambiarsi frequentemente leposizioni per sfuggire allamarcatura avversaria, spingendouno dei due mediani arretrati asvariare maggiormente inposizione offensiva e facendoscalare gradualmente l’altro acopertura degli altri tre difensori.Per di più, il gioco prediletto daisovietici – una teoria infinita dipassaggi ravvicinati, che insiemealle sovrapposizioni delle linee e aimovimenti degli attaccanti su tuttoil fronte offensivo ubriacava ledifese avversarie – aveva dato provadi poter mettere in crisi perfino lefortissime squadre inglesi: già nel1945, in una tournée in Inghilterra,la Dinamo Mosca aveva costretto alpari il Chelsea e battuto l’Arsenal,suscitando la preoccupataammirazione dei suoi avversari.

Insomma, anche nel calcio l’Ursssembrava poter costituire «il

laboratorio della vita», come avevapronosticato Keynes a metà deglianni ’20. Sul rettangolo verde nonmeno che nei rapporti diproduzione, gli elementi costitutividelle relazioni vitali fino a quelmomento consolidate venivanofebbrilmente rimescolati,esplodendo in nuovecombinazioni. Sebbene nel primocampionato europeo l’Urssgiocasse ancora con il WM,sarebbe stato lo stesso Kacalin –certamente memore degliinsegnamenti tattici di Arkad’ev – aguidarla in breve verso l’adozionedella difesa a quattro, in unoschieramento che richiamava il4-2-4 sfoggiato dal leggendarioBrasile nel Campionato del mondodel 1958. E di lì a poco ViktorMaslov, allenatore della DinamoKiev tra il 1964 e il 1970, avrebbespinto fino in fondo l’eredità del«caos organizzato» di Arkad’ev,irrobustendo con l’arretramentodelle due ali l’esile mediana del4-2-4, introducendo il pressing epassando organicamente alladifesa a zona.

Ma soprattutto, anche nel calcios’imponevano sempre più iprincipi della pianificazionecollettivistica. Già nel ’45 nonpochi osservatori inglesi avevanorilevato come il gioco dellaDinamo Mosca fosse frutto dellarigorosa esecuzione di un «piano»,e proprio in occasione della vittoriacontro l’Arsenal Mihail Jakušin(che dal 1944 aveva sostituitoArkad’ev sulla panchina deimoscoviti, recependone in toto gliinsegnamenti) aveva spiegato achiare lettere che «il giococollettivo è il principio guida delcalcio sovietico». Giungendoperfino a ipotizzare che unfuoriclasse come l’attaccanteinglese Stanley Matthews potessenon trovar posto nella sua squadra:«Le sue doti individuali sonoelevate, ma siccome noi mettiamoal primo posto l’efficienza delcollettivo, saremmo pronti a fare ameno di lui se il suo modo digiocare pregiudicasse il lavoro delgruppo».

Sembrava (e sembra ancora)eresia, ma non lo era. Era semmaila presa d’atto che, essendo ilcalcio un gioco collettivo enecessitando dunque di unaqualche forma di organizzazione,non si poteva sfuggireall’alternativa: o si organizzava la

EURO 2012

Un omaggioalla nazionaledell’Urss chenel 1960 conquistòla prima edizionedegli Europeie aprì la portaal laboratoriodel calcio totale

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POLONIA ■ UNA LEGGENDA FINITA MALE

Tomaszewski,il clown di destrache imbarazzala «Cool Poland»

IL CALCIO DI WALESA

●●●Con le prime sfide del gironeA (Polonia-Grecia eRussia-Repubblica Ceka) si èaperta ieri la 14esima edizione deiCampionati Europei di calcio.Come quattro anni fa in Austria eSvizzera, sono due i paesiorganizzatori: da un lato laPolonia, nuova locomotivad’Europa in pieno boomeconomico; dall’altro l’Ucraina chevive invece una fase di fortepressione da parte della comunitàinternazionale per la questione deidiritti umani e per le condizioni didetenzione dell’ex premier JuliaTimoshenko, il cui caso ha spinto laGermania e diversi paesi della Ue aminacciare il boicottaggio degliEuropei. Polonia e Ucraina, che asorpresa ottennerol’organizzazione della rassegnacontinentale a danno dellacandidatura italiana, ospiteranno31 partite nei prossimi 24 giorni,finale a Kiev il 1 luglio. Questi i 4gironi dell’Europeo. Gruppo A:Polonia, Grecia, Russia, Rep. Ceka.Gruppo B: Olanda, Danimarca,Germania, Portogallo. Gruppo C:Spagna, Italia, Irlanda, Croazia.Gruppo D: Ucraina, Svezia,Francia, Inghilterra. L’Italia fa il suoesordio domani a Danzica contro icampioni d’Europa e del mondodella Spagna.

DA VARSAVIA A KIEV

squadra in modo che il fuoriclassesi integrasse armonicamente nelcollettivo, oppure si sarebbe reso ilcollettivo una «variabiledipendente» dell’estro delfuoriclasse. O il singolo al serviziodel gruppo o il gruppo al serviziodel singolo: non c’era alcuna «terzavia», e non c’è ancora.

Ernst Nolte ha suggerito che pertutto il Novecento il comunismoavrebbe rappresentato lo specchioe lo spauracchio dell’Occidente,che tanto lo avrebbe temuto sulpiano ideologico quanto lo avrebbeimitato sul piano degli assetti dipotere. Indipendentemente dallaquestione della validità della suaanalisi sul piano propriamentestorico-economico (ma le massiccedosi di pianificazione e spesapubblica all’insegna delle quali sicompirono i «miracoli economici»del breve XX secolo rappresentanocerto un corposo indizio alriguardo), possiamo trovarne nelcalcio una significativa riprova.Nonostante una violentaopposizione ideologica, che duratuttora, dal secondo dopoguerra inpoi il calcio «collettivistico» sidiffuse infatti anche a ovest della«cortina di ferro», per lo più comerisposta «passiva» alle inefficienzedel WM e di quei suoiaggiustamenti ad hoc che furono ilcatenaccio e la zona mista.

Nei primi anni ’50 fu ilTottenham guidato da ArthurRowe, con Alf Ramsey terzinosinistro, a sperimentare tra i primiun sistema di gioco fatto dipassaggi brevi palla a terra, con iterzini che si sovrapponevano sulleali e tutti i calciatori a muoversi inavanti a formare una sorta di«onda» che procedeva pertriangolazioni ravvicinate e veloci. Esul finire del decennio VicBuckingham, già mezzala delTottenham al tempo di Rowe,esportò quel modo di giocare interra d’Olanda, succedendo a JackReynolds sulla panchina dell’Ajax,dove giocava in attacco unlungagnone di nome RinusMichels. Nel frattempo, in UnioneSovietica, un talentuoso attaccantedella Dinamo Kiev d’una decinad’anni più giovane di Michels, taleValerij Lobanovskij, sperimentavasulla propria pelle, con

l’allontanamento dalla squadra,fino a che punto la sincronia deimovimenti collettivi impostadall’organizzazione scientifica delgioco voluta da Maslov fosseincompatibile con leimprovvisazioni individualistichedi un virtuoso come lui, chepretendeva di tener troppo ilpallone.

Nel 1988, quei due giovanotti diallora, divenuti nel frattempoallenatori dell’Olanda e dell’Urss, sisarebbero scontrati in una famosafinale di un altro Europeo, dopoaver entrambi implementatol’autocoscienza del collettivismocalcistico fino alla dimensione«totale» costituita dalla capacità diallargare e restringere lo spazio digioco attraverso movimentisincronici delle linee di difesa, dicentrocampo e d’attacco, econtemporaneamente di innescarecontinue sovrapposizioni dellelinee, con i difensori cheattaccavano mentre icentrocampisti e gli attaccantitornavano a difendere.

Fu quello l’ultimo Europeo alquale risultò iscritta una squadradenominata «Unione Sovietica». Treanni più tardi, Igor Šalimov e IgorKolyvanov, due giovani calciatori diquella nazionale ormai prossima adissolversi in una comunità di statiindipendenti, approdavano in Italia,a Foggia, in una squadra allenata daun ceco di nome Zdenek Zeman.Ma questa è un’altra storia – o forseè ancora la stessa.

di LORENZO LONGHI

●●●Dal calcio si è ritirato 28 anni fa.Di quel periodo, però, JanTomaszewski qualcosa se l’è portatodietro, se è vero che oggi è di nuovosqualificato. Non per una partita, maper un partito. Proprio così, qui siparla di politica: il più leggendarioportiere della nazionale polacca,infatti, una decina di giorni fa è statosospeso per un mese da Legge eGiustizia, il partito nazionalistaconservatore di Jaroslaw Kaczynskiper il quale Tomaszewski si eracandidato alle ultime elezioniottenendo un seggio in parlamento. Ilmotivo? Una dichiarazionepolitico-calcistica giudicata troppo didestra anche da un partitochiaramente di destra: «Non guarderòe non tiferò per una nazionale dipolacchi di plastica, per una magliaindossata da francesi e tedeschi chehanno già giocato per Francia eGermania». Boom. Tomaszewski, inpatria, è stato accusato - non a torto -di razzismo, tanto che il suo stessopartito ha appunto deciso di estrarreun cartellino rosso temporaneo neisuoi confronti. «Scusarmi? No, hodetto quello che pensavo e che penso- ha arricchito la dose poi - e nonandrò a vedere alcuna partita dellaPolonia. Piuttosto tiferò per laGermania, che ha più polacchi di noi».

Chi, ricordandolo con i capellilunghi e la fascia elastica in testa,nella versione con baffi o senza,avesse ancora in mente una specie dihippie trasportato in un paesecomunista e ben felice di esserci,sbaglierebbe di grosso. Non lo è, o senon altro non lo è più, il 63enneTomaszewski, icona di una nazionalepolacca che negli anni ’70 e sinoall’inizio del decennio successivoprodusse la migliore generazione ditalenti mai vista da quelle parti. Oroolimpico nel 1972, terzo al Mondialedel 1974 (dove la sua Polonia mandòa casa l’Italia di Valcareggi superandogli azzurri 2-1 a Stoccarda), autore diprestazioni giudicate ben pocoortodosse da puristi ed esteti del ruoloma incredibilmente efficaci, follecome vuole la tradizione dei numero1, incapace di tacere e piuttosto fuoridagli schemi, Tomaszewski per annisi è portato dietro la nomea di clown,per il suo modo di stare fra i pali e peril carattere eccentrico. Fu uno dei piùgrandi manager inglesi, Brian Clough,a chiamarlo così nel 1973 alla vigilia diuna delle più grandi sorprese disempre, la prima storica eliminazionedell’Inghilterra dalle qualificazionimondiali che pose fine al regno di SirAlf Ramsey. Anni dopo quelclamoroso 1-1 a Wembley, il portiereraccontò di uno strano fioretto:«Giurai a me stesso che avreirinunciato a cinque anni della miavita pur di non essere umiliato dagliinglesi. Clough finì per chiedermiscusa». Il soprannome fece presaanche sullo stesso Tomaszewski chein fondo ne trasse giovamento perchédi lui, da allora, nel bene o nel male si

è sempre parlato molto, e ben primadella svolta a destra della sua vita, conuna carriera politica che da tempo intanti gli pronosticavano.

Già, perché Tomaszewski inPolonia è da anni riconosciuto comeil grande fustigatore del mondo delcalcio. Un nemico al giorno, per lui,una fama di Cassandra, polemiche supolemiche. Spesso, peraltro, a ragionveduta, anche se a fare discutere èsempre stato il modo in cui il buonvecchio Jan le ha provocate oalimentate. Perché è uno che facasino, Tomaszewski, e fa i nomi: siscontrò - non fu la prima né l’ultimavolta - con l’allora vice presidentefederale Boniek, nel 2000, per unaquestione relativa ad un accordo suidiritti televisivi per il quale l’exportiere accusò Zibì di avereinterferito nella trattativa per un suotornaconto, essendo stato inprecedenza a capo di un gruppointeressato in questa vendita. Poi,qualche anno più tardi, denunciò unmai del tutto chiarito scandalosessuale di cui era stato protagonistaun calciatore dell’Under 19 aiMondiali di categoria nel 2001 e chevenne insabbiato dalla Pzpn, lafedercalcio polacca, per poi essereammesso solo dopo quattro anni.Tomaszewski si gustò una effimerarivincita, allora, dal momento chevenne investito dell’incarico dipresidente della Commissione eticadella federazione. Ma l’idillio, se maici fu, durò comunque lo spazio dipochi mesi.

Duro e puro, Tomaszewski, almenocosì si descrive. «E’ che non possotifare per una nazionale che haconvocato giocatori condannati percorruzione (qui il riferimento è aPiszczek, ndr). Questa non è laPolonia. E’ la squadra di Lato eSmuda». Grzegorz Lato, il presidentefederale, e Franciszek Smuda,commissario tecnico: entrambifurono compagni di Tomaszewski innazionale, ora sono nemici giuratidell’ex portiere. Che, tuttavia, qualchescheletro nell’armadio ce l’ha: graziealla sua vis polemica e a critiche avolte anche pretestuose si è ritagliatosu misura un ruolo in cui sguazza,quello del personaggio scomodo cheva sui giornali un giorno sì e l’altropure, in tv fa il commentatore conpiena libertà di espressione e si ègarantito appunto anche un presentein politica - dove per ora si è fattonotare solo per la sparata sullanazionale - che gli consente dirimanere sempre in prima pagina. Di

processi per diffamazione ne haaffrontati diversi, tre li ha anche persi,ma poco importa: «Ci ho rimesso unpo’ di soldi, ma in questo modo i mieinemici hanno fatto sì che potessiripetere le mie critiche e renderleancora più popolari». Bene o male,insomma, basta che se ne parli.

Così Tomaszewski, con lo stessospirito, ha affrontato anche l’Accusacon la A maiuscola. Un anno fa, ilrumore dei nemici e i titoloni:Tomaszewski sarebbe stato uninformatore volontario della SluzbaBezpieczeñstwa, la polizia segretadella Polonia comunista. Una spia,nome in codice Alex, anno diarruolamento 1986, poco prima delcrollo dei regimi dell’est. Jan hasempre smentito («il mio ingresso inpolitica ha dato fastidio a qualcuno,ecco il motivo di questa accusa: manon è vero niente»), poi hacominciato a giocarci su con ironia,per ridicolizzare una calunnia evolgere tutto a suo favore(«frequentavo il ritrovo più mondanodi spie e agenti segreti, il ristorantedel Grand Hotel di Lodz...»). Casosmontato, più o meno, ma nella «CoolPoland» che accoglie il calcio europeonel pieno del proprio boomeconomico, si continua a discuterne.In fondo, viene quasi da chiedersicosa sarebbe il calcio polacco se nonci fosse uno come lui a picconare unmovimento che, a livello interno, daanni non riesce a produrre unanazionale, né un club, capace di farsinotare a livello internazionale.

La nazionale dei polacchi diplastica, intanto, in casa dovrà farebella figura. Dal basso del 65esimoposto nel ranking Fifa, Smuda haconvocato anche i quattro giocatorinel mirino dell’ex portiere: i «tedeschi»Sebastian Boenisch e Eugen Polanskie i «francesi» Damien Perquis eLudovic Obraniak. In porta c’è il22enne estremo difensore dell’ArsenalSzczesny, uno cresciuto nel mito diDudek e Boruc, piuttosto che inquello del predecessore più illustre.Gli occhi, però, sono puntati sul triodel Borussia Dortmund, per laseconda volta consecutiva campionedi Germania: il capitanoBlaszczykowski, il difensore Piszczek eil bomber Lewandowski. È su di loroche puntano Smuda e Lato per nonfallire l’appuntamento con la primavittoria in assoluto della Polonia in unEuropeo: sinora, nell’unicapartecipazione della nazionale (2008),sono arrivati due pareggi e unasconfitta. L’obiettivo è ottenere unprimo successo da tre punti, in ungirone che non sembra proibitivo, epossibilmente la qualificazione aiquarti di finale, il traguardo minimorichiesto e presumibilmente ilmassimo possibile per questa Polonia.Se neanche questo dovesse realizzarsi,beh, allora Jan il fustigatore avrebbediversi motivi per divertirsi.

EURO 2012

●●●Sul sito del «Guardian» (ilmiglior sito di calcio del mondo) c’èda ieri una bella intervista diJonathan Wilson a Lech Walesa, ilpremio nobel polacco che a partiredal 1980 guidò il movimentosindacale Solidarnosc e divenne poinel 1990 presidente della Polonia.Pur non essendo un vero tifoso,Walesa ricorda come ai tempi delregime comunista il calciorappresentasse un mezzo per unirele persone che chiedevano maggiorelibertà e come le tribune degli stadifossero un arena per i dissidentidove la polizia non aveva il coraggiodi intervenire. Tanto che le partitedel mondiale dell’82 nel quale laPolonia arrivò terza affrontando duevolte l’Italia di Bearzot, furonotrasmesse in leggera differita perevitare il rischio di mandare in ondastriscioni inneggianti a Solidarnosc.Nell’intervista Walesa ricostruiscepoi l’incredibile successo di unapiccola squadra della sua città, ilLechia Gdansk, che nel 1983 vinse asorpresa la Coppa di Polonia el’anno successivo disputò la Coppadelle Coppe. Qui, al primo turno,sfidò la Juventus di Platini. A Torinofinì in goleada per i bianconeri (7-0),al ritorno vinse ancora la Juve (3-2)ma Walesa, che era appena uscito diprigione, riuscì ad intrufolarsi allostadio e tutto il pubblico cominciò agridare il nome di Solidarnosc. «Fuuna grande vittoria sulla poliziasegreta ma soprattutto un grandemomento di storia».

Era il portierepazzo e capelloneche stregò l’Italiaai mondiali del ’74.Oggi è un deputatoconservatoresospeso per eccessodi razzismo.«Siamo diventatiuna nazionaledi plastica»

L’Urss del 1988 e, in alto, quella del 1960.Illustrazioni tratte dal libro «Football HeroesSee Red» dell’artista Jerzovskaja

Jan Tomaszewskinella famosissima sfida

di Wembley control’Inghilterra

che lo trasformòin un clown. In alto,

coi capelli lunghiai mondiali del ’74

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(16) ALIAS9 GIUGNO 2012

di LUCIANO DEL SETTE

●●●C’è un angelo, anzi ce ne sonodue, il secondo con l’inizialemaiuscola, nella vita artistica recentedi Mauro Cicaré, classe 1957,marchigiano di Macerata. Il primoangelo ha un colore insolito per lefigure alate di biblico repertorio. Ènero. È, come lo definisce Mauro, «Ilprimo, seppur sui generis, supereroemigrante della storia». È l’angelo che,con l’altro angelo dall’inizialemaiuscola, cognome Ferracuti,anch’egli marchigiano, di Fermo,scrittore «in movimento», Cicaré hacoronato, era il 2010, il sogno di ognifumettista: disegnare, appunto, unsupereroe. Tanta audacia cromaticae di trame ha subito fruttato allacoppia il Premio Speciale Fumetti inTv al Treviso Comic Book Festivaldello stesso anno. Ma il percorso diMauro era cominciato ben prima,quando, ricorda, « ... capisco che ilfumetto non è solo Tex Willer eZagor (che per altro ancora midiverto a leggere) e mi innamoroperdutamente di Andrea Pazienza,Stefano Tamburini e TaninoLiberatore, tra gli anni ’70 e ’80. Nel1984 mi ritrovo nella banda diFrigidaire, rivista ‘rivoluzionaria’, sindal primo numero, sotto la curainesorabile del Robespierre delfumetto italiano, Filippo Scòzzari».Avanti così, mentre mestiere epassione crescono. Adesso, altripunti di riferimento sono Munoz ePratt, Moebius e Tardi. I racconti conle nuvolette firmati Cicorécontinuano su varie riviste, tra cui IlGrifo, diretta da Vincenzo Mollica:l’unico giornalista televisivo a parlaree promuovere i fumetti sul piccoloschermo. Ancora avanti, barra adritta, con progetti realizzati insiemea musicisti come Lucio Dalla, TheGang (anch’essi, sottolinea il papàdell’Angelo Nero, fieramentemarchigiani e internazionalisti), gliemiliani Paolo Nori ed ErmannoCavazzoni. E le copertine per i libri diStefano Benni, la rivista di letteraturaIl Caffè Illustrato diretta da WalterPedullà. Proprio grazie a Pedullà,Cicoré incontra il Morgante del Pulci.Lo disegna a fumetti con il titolo Leavventure del gigante Morgante, diprossima uscita per le Edizioni Di diMauro Paganelli. Infine la tavola peril manifesto «Ferracuti ed io abbiamorealizzato questa tavolaautoconclusiva in segno disolidarietà con il popolo emiliano.Noi marchigiani abbiamo ancoraben presenti, nelle gambe e nellatesta, la paura, gli sconquassi e i crollidel terremoto che iniziò nel 1997 eche per un anno scandìquotidianamente e tristemente lanostra esistenza».

MAURO CICARÉ

In solidarietàcon l’Emiliae la RomagnaMauro Cicaré con Angelo Ferracuti«Angelo Nero. Crolli»23 cm x 33 cm (dimensioni foglio intero33 cm x 42 cm) - tecnica: china e acrilicoeuro 600

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