1847 Mariano d'Ayala. Pietro Colletta General of the Neapolitan Engineers

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    Pietro Colletta

    generaledegl'ingegneri militari

    di Mariano D'AyalainAntologia italiana, giornale di scienze, lettere ed arti, Torino, II, 1847, vol. III, pp. 183-213

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    COLLETTA, Pietro

    Dizionario Biografico degli Italiani- Volume 27 (1982)

    diAlfonso Scirocco

    COLLETTA, Pietro. - Nacque a Napoli il 23 genn. 1775 da Antonio, avvocato, e da Maria Saveria Gadaleta, terzo di settefigli. Di indole vivace e ribelle, fu poco seguito dai genitori. A tredici anni si iscrisse alle scuole pubbliche, ove ebbe tra gliinsegnanti P. L. Castriota per il latino e Gennaro Minzele per la matematica, e si segnal tra gli alunni migliori. Nel 1794fu mandato con un fratello presso lo zio Filippo Maria Colletta a Postiglione (Caserta), dove, forse, prese lezioni dalgiurista Niccol Fiorentino. Tornato a Napoli, i genitori lo posero in una scuola di diritto, ma il C. prefer la carriera dellearmi, che si prospettava rapida e brillante. In seguito alla Rivoluzione francese il governo borbonico stava rafforzandol'esercito, e non bastando gli allievi del Collegio militare ai quadri di artiglieria e genio, arruol tra gli ufficiali anchegiovani borghesi non abbastanza ricchi per comprare i gradi; il C. nel dicembre 1794 fece domanda per l'Accademiamilitare, il 20dello stesso mese supero l'esame con un lusinghiero giudizio, e il 27 ottenne l'ammissione.

    Il 23 luglio 1796 usc dall'Accademia col grado di alfiere e fu inviato al corpo reale in qualit di alunno; dal 1 novembre fuassegnato al reggimento "Regina" di artiglieria, dove rest dopo la nomina a tenente (20 giugno 1798). Durante lacampagna del novembre-dicembre '98 fu incaricato delle funzioni di aiutante maggiore del corpo di artiglieria; partecipallo scontro di Civita Castellana, quindi fu impiegato nella difesa di Capua e rientr a Napoli il 19 genn. 1799.Ader con poco entusiasmo alla Repubblica, di cui vide la debolezza. Conserv il grado di tenente, e forse prese parte allaspedizione dello Schipani. All'arrivo dei sanfedisti fu tra i difensori di Castel Nuovo: rendendosi conto della situazione,consigli la resa.Caduta la Repubblica, in un primo tempo rest nascosto, poich anche i fratelli si erano compromessi e la casa paterna,era stata assalita durante la reazione. Quindi si present al brigadiere Menichini, incaricato di riorganizzare il corpo diartiglieria, ma non fu riammesso; anzi, arrestato dopo poco, rest rinchiuso nelle carceri di Castel dell'Ovo per cinquemesi. Scagionato da false testimonianze, nell'aprile 1800 era libero; per, elencato tra gli ufficiali "intinti di giacobinismo",fu escluso dalla riammissione nell'armata e da ogni sussidio. Per vivere esercit la professione di architetto. Nel 1803 fuinviato dal governo a Fondi per il prosciugamento di quelle paludi. Nel 1805 un terremoto che colp Napoli gli diede

    occasioni di lavoro.Fu per lui un periodo di incertezza morale, deturpato da una smodata passione per il gioco e da non degni amori. L'arrivodei Francesi nel 1806 lo fece rinascere "a nuova vita". Non legato alla caduta dinastia, poteva abbandonarsi "a tuttol'impeto dei desideri e dell'ambizione", confortato dalla fiducia nella stabilit del nuovo regime. In un momento in cui nelMezzogiorno si auspicava un governo forte, capace di attuare le riforme da tempo richieste, "quella conquista, compiutasenza guerra, senza sangue, senza danni [parve al C.] un dono benigno della Provvidenza" (Aneddotipi notevoli della miavita, in Storia, a cura di N. Cortese, I, pp. II, 14).Per evitare l'anarchia nella capitale il C. al momento della fuga del Borbone si arm con altri gentiluomini, che formaronopattuglie e tennero tranquilla la citt fino all'ingresso dei Francesi, il 14 febbraio. Quindi ader al nuovo regime,impegnandosi attivamente. Si fece subito apprezzare dal corso Cristoforo Saliceti, potente ministro della Polizia, tanto chefu sul punto di essere posto a capo di una provincia. Fu tra i fondatori e redattori del Monitore napoletano, che inizi lepubblicazioni il 1 marzo 1806. Ripresa la carriera delle armi, il 3 marzo fu reintegrato nel grado di tenente dellacompagnia artefici, e partecip all'assedio di Gaeta; il 21 luglio fu promosso secondo capitano del genio e subito dopo

    primo capitano; il 9 agosto fu prescelto come aiutante di campo del generale Parisi, preposto al genio; il 14 agosto funominato giudice del Tribunale di Terra di Lavoro e dei due Principati, con sede a Napoli (uno dei quattro tribunalistraordinari creati per "giudicare privatamente dei delitti contro la pubblica sicurezza"). Giudice rigoroso, fu tacciato dipartigianeria verso i nuovi governanti.Tra l'altro il tribunale straordinario fu chiamato a decidere una questione riguardante il Saliceti. Nella notte tra il 30 e il 31genn. 1808 croll un'ala del palazzo abitato dal ministro, che rimase ferito con alcuni familiari; il Saliceti vide nel fatto unattentato alla sua vita, mentre i suoi avversari attribuirono il crollo a un fatto accidentale. Il C. prima dimostr che ilpalazzo era stato minato, quindi istru la causa e fu il relatore contro i presunti rei nel giudizio che si concluse con seicondanne a morte.Diventato ricco per il cumulo degli stipendi e i proventi del giornale, si diede a spendere "in esterne apparenze, comevoleva il malnato desio di grandezza e celebrit" (Aneddoti..., p. 17); continuava ad essere dedito al gioco e ad amori congiovani dame, potenti presso re Giuseppe, dopo aver coltivato una relazione con una matura e ricca gentildonna. Tutto cicontribu a renderlo oggetto di invidia, gelosia, accuse di arrivismo. Fu mal vista, perci, la promozione a tenente

    colonnello del genio, con il mantenimento delle cariche di giudice e di aiutante di campo, concessagli da GiuseppeBonaparte il 20 maggio 1808 poco prima della partenza da Napoli, su proposta del Saliceti, in quel tempo anche ministrodella Guerra. Ma il C. continu la sua ascesa sotto Murat, n gli nocquero il declino politico e poi la morte del Saliceti(dicembre 1809). Era stato il Saliceti a metterlo in evidenza presso il nuovo re, presentandogli un piano del C. perattaccare Capri (tenuta dagli Inglesi), che fu approvato dal sovrano e permise la conquista dell'isola nell'ottobre 1808.

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    Nel successivo novembre il C. prese in moglie la ventiduenne Bettina Gaston, figlia di un colonnello, vedova del capitanoPietro Zelada, dal quale aveva avuto un figlio, Federico. Abbandonata la vita dissipata, il C. fu buon marito ed am comefiglio proprio il figliastro, che tenne con s anche dopo la morte della Gaston, avvenuta nell'estate del 1813.Poco dopo il matrimonio, il 19 nov. 1808, il C. fu inviato in Capitanata per sovraintendere al riordinamento delle legioniprovinciali, e si ferm a Foggia nel dicembre 1808-gennaio1809; dal 31 dicembre, soppressi i tribunali straordinari, eracessato dalle funzioni di giudice. Nello stesso anno era uscito dalla redazione del Monitore. Il 10 marzo 1809 fu nominatoda Murat suo aiutante di campo. Per ordine del re si rec in Calabria per studiare le condizioni delpaese e le cause delpersistere del brigantaggio; nell'aprile-maggio fu ancora in Calabria per organizzarvi le legioni provinciali. Il 9 giugno fuincaricato di portare istruzioni al generale Pignatelli Strongoli, impegnato nella conquista di Ponza. In occasione dellaspedizione anglo-borbonica, apparsa in un primo momento molto pericolosa, il 14 giugno fu mandato in Calabria condispacci per le autorit militari e civili, quindi prese il comando del corpo di avanguardia; il 21 fu richiamato a Napoli,

    dove il 10 luglio fu incaricato di preparare un piano per la difesa della capitale. Svanito il pericolo, il 9 settembre funominato aiutante generale, e, restando ufficiale di ordinanzadel re, intendente della Calabria Ultra, una delle provincepi estese (nel 1817 fu divisa nelle province di Reggio e Catanzaro) e la pi agitata per la vicinanza della Sicilia.Il C. ritenne che la nomina fosse stata suggerita dai suoi nemici per allontanarlo dalla capitale, e cerc di evitarla,ottenendo solo la promessa che la missione sarebbe stata limitata a due anni. In realt le condizioni dell'estrema Calabriarichiedevano alla guida della provincia un uomo dotato di conoscenze militari e amministrative, di grande resistenza allavoro, di spirito di iniziativa: qualit possedute dal C., che, per giunta, ambizioso, animato dal desiderio di distinguersi,esercit le cariche affidategli con estremo zelo, con un'opinione forse troppo alta dell'importanza delle funzioni compiute.Dai carteggi burocratici, dalle numerosissime relazioni, solo in parte rintracciate (il C. nella veste di funzionario stataleebbe la penna molto facile e present in ogni occasione esaurienti memoriali, ricchi di dati, osservazioni, proposte),emerge la tendenza ad una valutazione eccessiva della propria opera, cosa che lo spinge ad impegnarsi a fondo.Esercit le funzioni di intendente con autonomia rispetto al potere centrale, rifiutando di confinarsi nel ruolo di meroesecutore di ordini, e, viceversa, diresse la provincia con mano ferma, richiedendo dai subordinati la precisa esecuzione

    delle sue disposizioni, ed avocando a s ogni decisione. Preoccupato di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni,cur in particolare l'amministrazione comunale (impostata con nuovi criteri dai Napoleonidi), fece eseguire con buonirisultati le operazioni di leva, opponendosi fermamente alle disposizioni del governo, lasci libero il commercio del granoanche in momenti difficili, favor lo sviluppo dell'istruzione pubblica, cerc di dare lustro ed importanza a Monteleone(Vibo Valentia), allora capoluogo della provincia; si occup dell'organizzazione delle legioni provinciali e delle guardieciviche, contribuendo alla repressione dei brigantaggio, per la quale il 27 sett. 1810 furono dati pieni poteri al generaleManhs, che ag con spietata ferocia.Nel 1810 la Calabria fu la base dei fallito tentativo murattiano di invasione della Sicilia: il C. fu vicino al re, tradusse iproclami e ne cur la pubblicazione, provvide ai bisogni delle truppe raccolte per la spedizione. Era pi che mai impegnatonell'attivit di intendente, tanto che si prospettava un piano di lavoro per gli anni avvenire, quando il 22 febbr. 1812 furichiamato nella capitale e nominato direttore generale del corpo d'ingegneri di ponti e strade.Si dedic al nuovo compito con l'abituale fervore: per suo impulso fu tracciata e fatta in parte la difficile strada per laCalabria, furono continuate quelle di Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, ne furono cominciate e progettate altre; a Napoli

    ebbero inizio le strade di Posillipo e dei Campo di Marte a Capodichino; fu studiato un piano per la valorizzazione deiporti; fu proposto un piano cinquantennale per la bonifica e la messa a cultura dei terreni paludosi del Regno. Il C.miglior anche l'organizzazione amministrativa del corpo.Promosso maresciallo di campo il 27 giugno 1813, il 29 dello stesso mese ebbe il comando del genio dell'armata attiva, delquale cur l'organizzazione. Quando Murat rientr a Napoli abbandonando l'armata francese in ritirata dalla Russia, il C.fu, probabilmente, tra coloro che lo spinsero a tentare di unire l'Italia sotto il suo scettro e ad intavolare trattative con lordBentinck e con l'Austria. Dopo Lipsia consigli al re di abbandonare la causa napoleonica e fare l'interesse dei Napoletani"fermando pace ed alleanza coi re di Europa, tenendo unito l'esercito in Italia, dando al suo popolo commercio libero conl'Inghilterra, migliorando le istituzioni civili, revocando le persecuzioni di polizia, riducendo in uno le parti divise delloStato" (Storia, cit., II, p. 405).Iniziando la campagna d'Italia, il 22 novembre Murat gli ordin di porre il quartier generale a Bologna, di studiare ilterreno in Emilia e Toscana, di riferire sui movimenti del nemico e sullo spirito pubblico, di stabilire buone relazioni conle autorit locali e soprattutto con i general rimasti a Bologna, ai quali avrebbe dovuto tenere discorsi vaghi sull'aiuto chegli Italiani potevano avere dalle truppe napoletane, di far visita al Fouch (inviato da Napoleone per distogliere Muratdall'accordo con l'Austria), se ancora a Bologna. Le istruzioni dimostrano in quale conto il re tenesse il C., che fu vicino alsovrano durante le operazioni militari, fino alla sospensione delle ostilit nell'aprile '14; tra l'altro prepar il piano perl'attacco di Castel Sant'Angelo e Civitavecchia (nel gennaio '14 ancora in mano ai Francesi), e dal marzo al luglio riordined ampli il corpo del genio.Nominato consigliere di Stato il 26 apr. 1814, il 26 maggio fu chiamato a far parte di una commissione incaricata distudiare il miglioramento dell'amministrazione comunale. Il 25 dicembre ebbe il titolo di barone. Il 22 ottobre era statonominato primo ispettore del genio; invitato a scegliere tra questa carica e la direzione dei ponti e strade, il 18 novembrediede le dimissioni da quest'ultima, diventate effettive nel gennaio 1815.Nel Consiglio di Stato Propose, senza successo, che nel Mezzogiorno fosse adottato il sistema metrico decimale; fu,probabilmente, tra i pochi che si opposero alla naturalizzazione dei francesi venuti al seguito di Giuseppe e Gioacchino.Intanto si era riunito il congresso di Vienna. Per rafforzare la sua posizione di fronte alla diplomazia europea, il Muratsollecit dai generali, dalle autorit civili, da amministrazioni e comunit indirizzi di fedelt: anche il C. ne firm alcuni.Forse fu tra coloro che all'inizio del '15 progettarono, di concerto con agenti inglesi, un'iniziativa in Toscana intesa a darvita al moto per l'indipendenza italiana. Al profilarsi della guerra, il C. consigli al re di concedere la costituzione e tenersifuori dalla lotta. L'11 marzo gli scrisse prospettandogli le difficolt della situazione internazionale, la debolezza delle forzesu cui poteva contare, l'utilit di mantenersi, fedeli ai nuovi alleati, l'opportunit di non entrare in guerra, o almeno diattendere lo sviluppo degli avvenimenti. Non si sa se la lettera, ritrovata tra le carte di Tito Manzi, a, cui il C. ne avevainviato copia per avere un parere sulla convenienza di un tal passo, fu effettivamente inviata.

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    Scoppiata la guerra nel marzo 1815, il C. fu di nuovo accanto al re quale comandante del genio. Il 25 marzo in un consigliodi guerra ad Ancona sugger di mantenersi sulla difensiva; l'8 aprile partecip alla battaglia di Occhiobello, dove gli fuucciso il cavallo, e il 3 maggio a quella di Tolentino; nel consiglio di guerra tenuto a Macerata nella notte seguente prese laparola per primo riconoscendo che la situazione era disperata.Nell'estremo tentativo di evitare l'insurrezione nel Regno, Murat lo invi a Napoli col principe di Cariati per dare lacostituzione; fu riunita una commissione che discusse ed approv il testo, datato Rimini 30 marzo, ma divulgato a Napoliil 20 maggio 1815. Era troppo tardi, come era tardi per l'apprestamento alla difesa dei forti della capitale e delle zone difrontiera, per cui si adoper il C. negli stessi giorni. Questi, nominato il 17 maggio tenente generale, il 19 fu chiamato a farparte della reggenza, e, col generale Carrascosa, fu incaricato dal Murat di trattare con gli Austriaci l'accordo, raggiunto il20 con la convenzione di Casalanza: in essa, tra l'altro, si riconoscevano alcuni importanti provvedimenti presi durante il"decennio", si confermavano gradi, onori e pensioni ai militari, con la garanzia austriaca si concedeva il perdono per

    l'opera svolta contro i Borboni. Di contro, i negoziatori parvero curarsi poco degli interessi della caduta dinastia.Come gli altri generali, il C. pass automaticamente nell'esercito borbonico. Troppo in vista nel passato regime, fuesonerato dal comando del genio, e per qualche tempo ebbe cariche di secondaria importanza: nel 1815 membro dellacommissione per la compilazione del nuovo codice militare (un suo Progetto di un Codice penale militare, datato Napoli,18 ag. 1816, pubblicato in Opere inedite e rare, I, pp. 365-391), presidente della commissione di esame "degli ufficialiconcorrenti al servizio dello Stato Maggiore", presidente della commissione del vestiario dell'esercito, nel 1816 presidentedel consiglio di revisione. Dal 10 genn. 1818 torn ad una carica importante con la nomina a comandante generale della IVdivisione, comprendente il Salernitano e la Basilicata. Si impegn con il solito zelo per la repressione del brigantaggio, perl'organizzazione della milizia provinciale, per il buon esito della leva. Rendendosi conto della diffusione della carboneria,ritenne impossibile opporsi ad essa e consigli al governo di venire incontro alle sue richieste in modo da avernel'appoggio; questi consigli non furono seguiti. Nel giugno 1820 il C. avvert prossima la rivoluzione e chiese mezzistraordinari per reprimerla, ma non fu creduto e fu esonerato dall'incarico.Nel luglio, allo scoppio della rivoluzione, era nella capitale. Partecip al consiglio tenuto nella reggia in cui fu deciso di

    concedere la costituzione, e fu incaricato di portare la notizia a Salerno, alle truppe schierate contro gli insorti. Il 10 lugliofu nominato direttore generale del genio, il 16 membro della giunta di scrutinio degli ufficiali superiori, il 22 agostogiudice ordinario dell'Alta Corte militare, il 16 settembre primo ispettore generale del genio.Intanto il C. su L'Amico della Costituzione del 23 luglio aveva pubblicato anonimo un lungo articolo, La storia di Napolidal 2 al 6luglio 1820 (subito ristampato a parte), in cui definiva la rivoluzione "una grande riforma politica" operata"senza che alcuna delle garanzie sociali [fosse] distrutta, o lesa, o minacciata", osservava che la carboneria in precedenzaera diventata la "sede del malcontento" e che il governo nessun provvedimento aveva preso, faceva la cronistoria delmovimento insurrezionale, portato a termine senza che avvenisse alcun delitto, riconosceva la moderazione mostrata daicarbonari, che avevano diretto nella nazione "il desiderio di un miglioramento politico" e dopo la vittoria erano rientratinelle ordinarie occupazioni, affermava che "la grande opera" doveva essere consolidata: l'opuscolo era espressione delpensiero dei "murattiani" che avevano preso il potere ed intendevano svolgere una politica di moderate riforme, mettendoda parte la carboneria, promotrice della rivoluzione e portatrice di esigenze pi avanzate.Ancora su L'Amico della Costituzione, dal 23 agosto al 18 ottobre, in sette puntate subito raccolte in opuscolo (Napoli

    1820), il C. pubblic Pochi fatti su Gioacchino Murat, narrazione della vita del sovrano dalla partenza da Napoli fino allosbarco a Pizzo, al giudizio e all'esecuzione. Scopo della rievocazione era sfatare l'accusa di un agguato teso al re da ministriborbonici e generali del "decennio", accusa apertamente rivolta anche al Colletta. Ne nacque una vivace polemica: leaccuse, dimostrate poi infondate furono pi volte ribadite, a conferma dell'avversione cui egli stesso era fatto segno.Ai primi di ottobre Florestano Pepe aveva domato in Sicilia la rivoluzione separatista scoppiata nel luglio, ottenendo laresa di Palermo a condizioni ritenute a Napoli troppo larghe, e quindi annullate dal Parlamento. Il Pepe fu richiamato, e il14 ottobre il C., fu nominato comandante generale delle armi nell'isola, conservando la carica di primo ispettore del genio.Egli intese la sua come una missione di pacificazione: si adoper per ristabilire l'ordine pubblico, chiese provvedimentiper la crisi economica in cui era caduto il paese, propose (invano) al governo centrale una serie di misure per venireincontro, almeno nell'amministrazione, alla richiesta di autonomia della Sicilia ed evitare che nei Siciliani si consolidassel'ostilit verso Napoli e il desiderio di indipendenza.Sostituito con decreto dell'8 dicembre, rientr a Napoli nel gennaio 1821. Il 25 febbraio ebbe l'interim del ministero diGuerra e Marina, tenuto dall'ormai anziano generale Parisi. In previsione dell'intervento austriaco contro il regimecostituzionale, ag attivamente per preparare l'esercito ed apprestare fortificazioni; tent ancora di organizzare la difesadopo la disfatta di Antrodoco. In questo periodo pubblic l'opuscolo Riconoscenza e memoria militare sulla frontiera diterra del Regno di Napoli (Napoli 1821), una relazione datata 9 febbr. 1815, quando il C. era ispettore generale del genio.Caduto il regime costituzionale, il C. fu esonerato dall'incarico di ministro con decreto del 15 marzo emanato da Firenze daFerdinando I e comunicato a Napoli il 23 dal governo provvisorio; il 29 fu esonerato dalla prima ispezione del genio.Ritenendo di avere agito nella legalit di un regime sanzionato dal re e nel pieno accordo col vicario, il principe Francesco,il C. non si allontan dalla capitale. Invece fu arrestato nella notte tra il 20 e il 21 aprile per ordine del principe di Canosa(che in quei giorni aveva assunto la direzione del ministero di Polizia), e rinchiuso in Castel Sant'Elmo. Senza esseresottoposto a regolare processo, fu condannato all'esilio in territorio austriaco con Gabriele Pepe, Giuseppe Poerio, LuigiArcovito, Pasquale Borrelli e Gabriele Pedrinelli.Gravemente ammalato, chiese ed ottenne di fare il viaggio per terra a sue spese, poi prefer imbarcarsi con i compagni disventura su una nave che part da Napoli il 6 agosto e, dopo una sosta a Brindisi, giunse a Trieste il 4 settembre. L gliesuli si divisero; il C. e il Pepe furono destinati a Brnn (odierna Brno), in Moravia. Durante il viaggio il C. si ferm per ungiorno a Vienna, dove fu ricevuto dal Metternich. Giunto a Brnn il 23 settembre, alloggi col Pepe in una locanda, e presecasa per suo conto nel novembre, quando fu raggiunto dal figliastro Federico Zelada e dalla cognata Maria MicheleGaston.Gi il 6 settembre aveva scritto da Trieste di aver chiesto invano un permesso di venti giorni per attendere in quella citt"il mio caro Federico", l'unione col quale era "inseparabile dal mio riposo", ed aveva disposto che il figliastro loraggiungesse a Brnn. Il giovane e la zia, che aveva voluto accompagnarlo, restarono col C. fino alla sua morte. Il C. ebbe a

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    cuore l'educazione di Federico, al quale a Brnn fece personalmente lezione di matematica, filosofia e latino,procurandogli, allora e in seguito, gli insegnanti necessari per una preparazione completa, e preoccupandosi della suasistemazione, ma dal giovane, svogliato nello studio e poco amante del lavoro, ebbe delusioni ed amarezze. Ebbe, invece,grande conforto dalla cognata, da cui fu assistito con affettuosa dedizione nella malattia che lo travagli sempre pigravemente, conducendolo alla tomba.Dal momento dell'arresto il C., ritenuto facoltoso (anche la polizia di Brnn raccolse la voce che il C. fosse ricco e cheaddirittura avesse un conto aperto presso la casa bancaria viennese Scheidlein), non aveva ricevuto stipendio oemolumenti. In effetti il C. aveva un patrimonio di una certa entit (egli stesso nel testamento del 3 luglio 1821 dichiarbeni per 36.000 ducati, gravati da debiti per 11.000 ducati), minore di quello che avrebbe potuto accumulare un uomo cheaveva occupato cariche importanti e ben remunerate (ma il C. aveva sempre condotto una vita brillante), ma pur semprenotevole. Si trattava, per, di beni che, detratti i pesi, davano una rendita modesta; come risulta dal carteggio col fratello

    Nicola, che ne cur gli interessi a Napoli. Ridotto in difficili condizioni finanziarie, supplic invano i governanti borboniciperch riprendessero il pagamento dello stipendio e lo aiutassero in altro modo; quindi nel gennaio '22, col Pepe, si rivolsedirettamente al Metternich, che minacci il governo napoletano di rimandare in patria gli esiliati se non si fosseprovveduto al loro mantenimento. Cos al C. fu concesso un sussidio di 8 fiorini al giorno, salvo il diritto ad ipoteca o asequestro dei beni; per le vivaci proteste del C. il pagamento fu iniziato nell'agosto del 1822 senza pensiero di rimborso.Il sussidio rese meno precarie le condizioni economiche del C., ma non gli permise di mantenere il tenore di vita cheriteneva confacente alla sua posizione; quando si trasfer in Toscana, per l'elevato costo della vita, e soprattutto per la curadella salute, fu costretto a chiedere prestiti al fratello Nicola. Nel 1826 gli venne incontro il re Francesco I, che gli concesseuna tantum un, sussidio di 300 ducati (ridotti a 270 per le tasse), e compr per 13.000 ducati parte di una sua villa aCapodimonte; migliorarono le disponibilit del C., che impieg a buone condizioni la somma rimastagli dopo ilpagamento dei debiti ed un prelievo per s, ma dal '28 le spese per una vita pi comoda lo fecero ricadere in ristrettezze,tanto che nel '31, alla vigilia della morte, pensava di vendere altre propriet.Nel settembre del 1822 (la comunicazione ufficiale al C. del 6 dicembre) il governo napoletano permise agli esiliati di

    scegliersi la dimora pi gradita, vietando, per, il ritorno in patria e decretando la cessazione del sussidio. La sceltadefinitiva spettava all'Austria, e il C. indic Firenze e Roma. Ottenuto il permesso di stabilirsi a Firenze, come desiderava,part da Brnn col Pepe e con i familiari il 1 marzo 1823, il 4 giunse a Vienna (dove si trovavano Ferdinando I ed ilprincipe Ruffo, presidente del Consiglio, e fu ricevuto da quest'ultimo), il 23 arriv a Firenze. Ivi, dopo qualche difficoltda parte del governo toscano, restio ad accogliere gli esuli, mise casa, sempre in compagnia del figliastro e della cognata.Di tanto in tanto dimor nella villa del Capponi a Montughi, che fini col prendere in fitto, e dal '27 pass a Livorno i mesipi freddi dell'anno.Sper ancora nel ritorno in patria o almeno nella concessione del terzo dello stipendio, specialmente dopo l'ascesa al tronodi Francesco I, che era stato vicario nel nonimestre costituzionale; da lui ottenne solo un aiuto economico, non lariabilitazione. Fu vano un ultimo tentativo del giugno '31 per ottenere da Ferdinando II il terzo dello stipendio, e almenol'acquisto della parte della villa di Capodimonte non comprata da Francesco I.Col tempo nel C. si era andato attenuando il desiderio di tornare in patria. A Firenze si era legato in stretta amicizia conGino Capponi e Pietro Giordani; circondato di grande stima, si era inserito nella fiorente vita culturale toscana;

    collaborava all'Antologia (Sul disegno del terreno nelle carte topografiche, 1825 [XVIII], c, pp. 102 ss., e la lungarecensione Sulla storia delle campagne e degli assedii degli italiani in Ispagna dal 1808 al 1813... di Camillo Vacani, 1826[XXIII], c. pp. 1 ss.) e frequentava il gabinetto di lettura del Vieusseux; era stato chiamato a far parte dell'Accademia deiGeorgofili (1824), ove lesse Alcuni pensieri sulla economia agraria della Toscana (pubblicati in Antologia, 1825 [XVI], a,pp. 12-31), della Societ toscana di geografia, statistica e storia naturale (1826), dell'Accademia pistoiese di scienze, lettereed arti (1827), dell'Accademia labronica di scienze, lettene e arti (1828), ove pronunci il Discorso intorno alla storia de'Greci moderni (pubblicato in La Giovine Italia, serie di scritti intorno alla condizione politica e letteraria d'Italia..., fasc. 2,Marsiglia 1832) e Alcuna proposizione adatta allo stato economico della Toscana, ed allo stato industriale della citt diLivorno (in Opere inedite o rare, II, pp. 97-115). A Firenze conobbe anche Giacomo Leopardi, ne comprese il dramma ecerc di aiutarlo, facendosi promotore della sottoscrizione (accettata nell'aprile del '30, che assicur al recanatese per unanno un assegno mensile. Il C. venne frequentemente in soccorso di esuli meridionali bisognosi.Durante la permanenza in Toscana principale cura del C. fu la stesura e la elaborazione stilistica della Storiadel Reame diNapoli, dalla quale si attendeva la fama.L'aveva cominciata a Brnn, lavorando nel 1821-22 alla redazione del nono libro (il pi attuale, perch riguardante il"nonimestre costituzionale"), col proposito di farlo leggere esclusivamente al Metternich, cui era grato per la protezioneaccordata agli esuli. A Firenze inizi sistematicamente la stesura dell'opera, in dieci libri (I: regno di Carlo Borbone; II:regno di Ferdinando IV, 1759-1790; III, regno di Ferdinando IV, 1791-1799; IV: Repubblica partenopea; V: regno diFerdinando IV: 1799-1806; VI: regno di Giuseppe Bonaparte; VII: regno di Gioacchino Murat; VIII: regno di FerdinandoI, 1815-1820; IX: regno di Ferdinando I, reggimento costituzionale; X: regno di Ferdinando 1, 1821-1825). Si dedic primaai libri dal VI al X, rielaborando profondamente il IX, quindi ai primi cinque; a completamento dell'opera si proponeva discrivere la Vita di Ferdinando I, le Congetture sull'avvenire tratte dalla storia narrata nei suoi libri, gli Annali del regno diFrancesco I.Diede grande importanza all'elaborazione formale. Prima del '21 il C. non solo aveva scritto ampie relazioni, aveva datoalla stampa opuscoli, era stato socio dell'Accademia Pontaniana (Napoli), dell'Accademia Florimontana degl'Invogliati(Monteleone), dell'Accadernia Ionia (Corf), ma aveva studiato con passione i classici latini ed aveva tradotto pagine diSallustio (parte del Bellum Iugurthinum), Seneca (libro IV del De beneficiis), Cicerone (l'orazione Pro Ligario) ed i primisei libri degli Annali di Tacito: tutte queste traduzioni, cadute in mano della polizia borbonica andarono perse tranne illibro IV degli Annali (pubblicato in, Opere inedite o rare, II, pp. 5-68);a Firenze si dedic allo studio della lingua perperfezionare il suo stile, modellato su Tacito, e curare l'eloquio. Alla revisione formale della Storia collaborarono anchecon consigli alcuni suoi amici, come G. B. Niccolini, e principalmente il Capponi e il Giordani, i quali lessero i libri manmano che venivano terminati.

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    Nel marzo del '31 il C., ritenuto dalla polizia promotore di una cospirazione tendente a strappare al granduca lacostituzione, ebbe rintimazione di lasciare la Toscana, ma l'intervento di autorevoli amici e soprattutto le sue precariecondizioni di salute indussero il governo ad annullare il provvedimento. Mor a Firenze l'11 nov. 1831, e fu sepolto nellacappella di famiglia di Gino Capponi, nella villa di Varramista.Ad occuparsi della pubblicazione della Storia fu ancora il Capponi. Nei primi mesi del '31 il C.aveva pensato di pubblicarel'opera a Parigi, e ne aveva iniziato la stampa in pochi esemplari presso un tipografo fiorentino, per rendeme pi agevolela lettura ad eventuali editori; vedendo approssimarsi la morte diede al Capponi "la preghiera ed il carico" di correggere laLettera ai suoi amici, ancora abbozzata, scritta come premessa, di rivedere gli ultimi tre libri, privi della correzione finale,e di interessarsi della pubblicazione. La Storia (attesa e gi da molti lodata, poich il C. ne aveva letto pi volte brani aletterati ed amici) apparve nel 1834a Capolago, preceduta dalla Notizia intorno alla vita di P. C., di Gino Capponi (celatosinell'anonimato), in cui era anche inserita la maggior parte della lettera introduttiva del Colletta. Seguirono numerose

    ristampe e traduzioni, testimonianza dell'interesse suscitato. Nella seconda parte il C. aveva ricostruito vicende ancoracontroverse, esprimendo giudizi sull'operato di generali ed uomini politici viventi. Si rinfocolarono polemiche appenasopite, per ritorsione furono riprese le antiche accuse al C. di arrivismo, incompetenza, favoritismo. Una immediatasmentita venne dal Canosa (Epistola ovvero riflessioni sulla moderna Storia del Reame di Napoli del Generale P. Colletta,Capolago 1834), che contest punto per punto la parte che lo riguardava. Tra le altre repliche di contemporanei, notevoliper l'acredine che li anim i Discorsi critici sulla Storia del Reame di Napoli del General Colletta di un antico uffiziale,pubblicati anonimi a Lugano nel 1835-36dal generale Francesco Pignatelli Strongoli in tre opuscoli, nel primo dei quali ilPignatelli narrava la vita del C. in contrapposizione alla biografia premessa all'edizione di Capolago: l'intonazione eradenigratoria, i fatti presentati nella maniera pi sfavorevole al C., giudicato negativamente sotto ogni aspetto, la Storiaeraritenuta traboccante di calunnie verso le persone contro le quali il C. nutriva odio privato. Ad una confutazione politicadella seconda parte della Storia, apparsa pericolosa al governo napoletano per la chiara intonazione antiborbonica,provvide, con mediocri risultati, Andrea Cacciatore (Esame della Storia del Reamo di Napoli di P. Colletta dal 1794 al1825,Napoli 1850).

    Al di l dei risentimenti personali e delle preoccupazioni politiche, le riserve, espresse anche in seguito, avevano unfondamento. Anzitutto sono frequenti nella Storia inesattezze anche gravi, bench non siano da imputare a malafede o asuperficialit del C., che fece tutte le ricerche allora possibili, preoccupandosi di procurarsi una documentazione precisa.In molti casi, per, la conoscenza della verit era preclusa dal segreto che circondava l'opera dei governi assoluti, comeappare evidente per gli anni dal '21 in poi, per i quali il C. ignora la parte avuta dall'Austria nella determinazione dellapolitica interna napoletana.D'altra parte manca all'opera un disegno complessivo che riscatti l'andamento cronachistico della narrazione. con unavalutazione globale delle alterne vicende del Regno. Essa rispecchia i limiti dell'esperienza del C., formatosi in quel"decennio" che resta il suo punto di riferimento ideale e gli offre il modello di uno Stato forte, capace di realizzare ilprogresso civile, a cui (secondo le sue convinzioni) fanno ostacolo da un lato la rivoluzione, dall'altro i governi reazionari.Ed tanto forte nel C. l'amore per l'ordine, che egli loda la paternalistica saggezza con cui retta l'Austria e non intende leragioni ideali che animano i moti costituzionali e nazionali.Ispirata pi agli ideali illuministici del Settecento che a quelli liberali dell'et romantica (Croce la colloca tra la

    "storiografia anacronistica"), la Storia vuole avere un intento educativo, vuole distinguersi da opere anche notevoli che"oggi sono magnifica letteratura, ma non istoria, delizia di chi legge, non istruzione" (lettera al Capponi, Livorno, 2 genn.1829). In questo sta il suo valore: in effetti il C. trasfonde nei suoi libri l'esecrazione per la tirannide con un impegno civileche d calore alla narrazione e determina la popolarit dell'opera anche oltre gli anni pi fervidi del Risorgimento.Opere: Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, preceduta da [G. Capponi], Notizia intorno alla vita di P. C., Capolago1834; [Firenze] 1846, "con una notizia intorno alla vita dell'Autore" scritta dal Capponi; La Storia del Reame di Napoli,"ridottaad uso delle scuole secondarie ed annotata da F. Torraca", Firenze 1890 (nuova ediz. con presentazione di N.Cortese, Firenze 1968), Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825, con introduzione e commento di C. Manfroni, Milano1905; Storia del Reame di Napoli, revisione degli autografi, introduzione e note di N. Cortese, Napoli 1951-57: edizionefondamentale per la ricostruzione del testo e delle fonti e per la ricchezza delle note, che correggono ed integrano lanarrazione del C.; di minore importanza le edizioni con introduzione di C. Francovich, Firenze 1962, e di A. Bravo, Torino1975.Quasi tutti gli scritti minori sono in Opere inedite o rare, Napoli 1861 (tra gli scritti non citati sono da ricordare lamemoria Campagna d'Italia del 1815, I, pp. 1-194; il Cenno storico sulla Rivoluzione napoletana del 1820, I, pp. 253-284e leLettere filologico-militari intorno al Dizionario militare di Giuseppe Grassi, I, pp. 497-547). N. Cortese ha curato unaraccolta diLettere e scritti inediti di P. C., Napoli 1927.

    Fonti e Bibl.: Sulle carte del C. si veda di N. Cortese, oltre a Lettere e scritti inediti, citate nel corso della voce, Nuovidocum. sulla vita e sulle opere di P. C., in Studi in onore di R. Filangieri, Napoli 1959, III, pp. 353-367. Per la biografia delC. vedi la Notizia di G. Capponi nell'ediz. della Storia del 1846; la Vita di P. C., di M. D'Ayala nelle Opere inedite, cit., II,pp. III-XXXVIII; N. Cortese, La vita di P. C., in Rass. stor. del Risorgimento, VII (1920), pp. 657-675; Id., P. C. e la suaStoria del Reame di Napoli, Aquila 1924; Id., P. C., in Enc. Ital., X, Roma 1931, pp. 747-48. Delle repliche e precisazionidei contemporanei ricordiamo solo oltre all'Epistola di A. Capece Minutolo, principe di Canosa (ora in S. Vitale, Il principedi Canosa e l'Epistola contro P. C., Napoli 1969), e ai Discorsi di F. Pignatelli Strongoli (ora in N. Cortese, Memorie di ungenerale della Repubblica e dell'Impero: F. Pignatelli principe di Strongoli, Bari 1927, II, pp. 277-296); [P. Borrelli],Saggio sul romanzo stor. di P. C., in Appendice alla Bibliografia di P. Borrelli, Coblentz [ma Napoli] 1840, pp. 87-161, e[Id.] Conte Radowski, Casi memorabili antichi e moderni del Regno di Napoli ricavati dagli autografi del fu conteRadowski, Coblentz [Napoli] 1840; G. Pepe, Memorie intorno alla sua vita, Parigi 1847. Principali confutazioni diintonazione filoborbonica, dopo l'Esame di A. Cacciatore, P. Cal Ulloa, Intorno alla Storia del Reame di Napoli di P. C.Annotamenti, Napoli 1877. Esauriente rass. delle ediz... della Storia, con le traduzioni, la fortuna dell'opera, le repliche e igiudizi critici fino al 1920, delle ediz. delle opere minori, dei contributi al carteggio, delle biografie e i sussidi biograficifino allo stesso anno in N. Cortese, Saggio di bibliografia collettiana, Bari 1917; e Id., Aggiunte al saggio di bibliografia

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    collettiana, in Boll. del bibliofilo, III (1921), pp. 138-148. Delle opere sul C. precedenti al 1920 ricordiamo solo G. Oxilia,La moralit di P. C., Firenze 1902. Vedi inoltre B. Croce, Storia della storiogr. italiana nel sec. decimonono, Bari 1921, I,pp. 84-89; G. De Ruggiero, Il pensiero politico merid. nei secc. XVIII e XIX, Bari 1922, pp. 234-241; G. M. Monti, P. C. inesilio, Bari 1932; E. Benedetto, La Toscana nel 1831 e gli ultimi giorni di P. C., in Rass. stor. del Risorg., XXII (1935), pp.452-494; N. Cortese, La condanna e l'esilio di P. C., Roma 1938 (importante raccolta del carteggio e di documenti relativial C. dal 1821 alla morte); G. M. Monti, L'esilio di P. C. nella sua corrisp. familiare inedita, in Rass. stor. del Risorg., XXV(1938), pp. 795-824, 927-968; G. G. Ferrero, Prosa illustre dell'Ottocento, Torino 1939, pp. 79-129; N. Cortese, Le note diG. Pepe alla Storia del C., in Rass. stor. del Risorg., XXVI (1939), pp. 675-682; L. Pescetti, P. C. in Livorno, in Boll. stor.livornese, VI (1940), pp. 14-29; A. Natta, Il moderatismo di P. C., in Belfagor, III (1948), pp. 300-314; N. Cortese, LaPrima rivoluz. separatista siciliana, 1820-21, Napoli 1951; M. Meynaud, A propos de La Storia delReame di Napoli di P. C.,in Revue des tudes italiennes, IX (1962-63), 1, pp. 126-156; D. Uhlir, L'epilogo dell'interv. austriaco contro Napoli nel

    1821e l'esilio dei murattisti napoletani C. e Pepe in Moravia, in Historica, XVII (1964), 8, pp. 89-100; G. Cingari,Mezzogiorno e Risorgimento. La restauraz. a Napoli dal 1821al 1830, Bari 1970, pp. 110-111; N. Cortese, La storiografiamerid. del primo Ottocento, in Atti del Convegno sul tema Napoleone e l'Italia, Roma 1973, pp. 461-469; A. Scirocco, P. C.,in Arch. stor. per le prov. napol., s. 4, XIV (1975), pp. 25-36; A. Bulgarelli Lukacs, Rete stradale e le opere pubbliche nelMezzogiorno in un inedito rapporto di P. C., in Arch. stor. per le prov. napol., s. 4, XVIII (1979), pp. 325-343.